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CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA

COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA

SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITA'

ILLECITE AD ESSO CONNESSE

20.

SEDUTA DI GIOVEDI' 27 NOVEMBRE 1997

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO SCALIA

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori. *

Audizione del presidente della conferenza Stato-regioni, dottor Vito D'Ambrosio, e dell'assessore all'ambiente della regione Piemonte, dottor Ugo Cavallera. *

 

La seduta comincia alle 13.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

 

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità della seduta sia assicurata anche attraverso gli impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

 

Audizione del presidente della conferenza Stato-regioni, dottor Vito D'Ambrosio, e dell'assessore all'ambiente della regione Piemonte, dottor Ugo Cavallera.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente della conferenza Stato-regioni, dottor Vito D'Ambrosio, e dell'assessore all'ambiente della regione Piemonte, dottor Ugo Cavallera.

Ringrazio, innanzitutto, il dottor Cavallera, in rappresentanza della conferenza Stato-regioni, ma mi duole di assegnargli un compito di latore del disappunto di questa Commissione nei confronti del Presidente della conferenza stessa. Infatti, la data dell'audizione di oggi era stata fissata proprio su indicazione del dottor D'Ambrosio, per cui ora la Commissione trova inaccettabile, a poche ore dall'audizione, che essa venga disattesa. Certo non vogliamo far valere i poteri dell'autorità giudiziaria, ma ci sembra che vi debba essere un rapporto istituzionale più attento: di questo la pregherei di essere interprete presso il presidente D'Ambrosio.

Il motivo di fondo per il quale abbiamo voluto un nuovo incontro con la Conferenza Stato-regioni è il seguente: sulla base del rapporto del Ministero dell'ambiente per gli anni 1993-1994, con una denuncia recentemente ripresa anche da un dossier di lega ambiente, ci troviamo di fronte ad un aspetto particolarmente preoccupante che riguarda i rifiuti pericolosi. Tra l'altro l'assessore Cavallera, occupandosi di ambiente per la sua regione, sa bene che il Piemonte è la zona d'Italia che si trova al vertice per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi, nel senso che la sua capacità di smaltimento coincide quasi esattamente (mi pare si tratti del 93 per cento) con il totale di rifiuti pericolosi prodotti. Purtroppo questa non è la stessa situazione del gran numero delle regioni italiane. Da quanto risulta dai dati forniti dal Ministero dell'ambiente, noi ci troviamo di fronte ad una contraddizione evidente, nel senso che - senza che io debba ricorrere ad una lunga serie di dati numerici - su una quantificazione di oltre 2 milioni e mezzo di rifiuti pericolosi per anno (sempre con riferimento al periodo 1993-1994), si ha certezza di uno smaltimento di circa 900 mila tonnellate, mentre un milione e 600 mila tonnellate di rifiuti di quel tipo non si sa bene che fine facciano. E' paradossale, a questo proposito, la situazione delle isole Sicilia e Sardegna le quali dichiarano di smaltire completamente al di fuori della regione i rifiuti pericolosi. Ebbene, da tempo, ho inviato lettere alle capitanerie di porto della Sicilia e della Sardegna e le risposte che mi stanno tornando fanno apparire certo il fatto che da quei porti è partita all'incirca solo una tonnellata (ma presto potremo avere i dati precisi) di rifiuti di quel tipo. E' evidente una totale disparità tra i quantitativi stimati (che si aggirano attorno alle 250 mila tonnellate per la Sardegna e 100 mila per la Sicilia e che le regioni stesse dichiarano di smaltire fuori dal loro territorio) e i quantitativi che sono stati indicati dalle capitanerie. Trattandosi di isole, difficilmente quei rifiuti possono "prendere il volo". Ci si attendeva che vi fosse traccia di tutto questo nei registri di carico e scarico delle autorità portuali; ma traccia non c'è.

Per quanto ci riguarda, noi vorremmo allertare la conferenza Stato-regioni su questo gravissimo problema e vorremmo che, sulla base dei dati ora riferiti, le regioni stesse riprogrammassero una loro maggiore attenzione nei confronti dei rifiuti pericolosi nonché un accertamento su che fine essi facciano in realtà. In altri termini, non possiamo avallare l'idea, soprattutto in questo settore, che vi sia una sorta di disinteresse da parte di quei soggetti che affidano rifiuti pericolosi su che fine essi facciano veramente. Penso che, anche dal punto di vista strettamente normativo, questo non sia possibile: forse vi sono varie interpretazioni, ma queste ultime trovano un limite chiaro nella salute dei cittadini italiani. Poiché noi, come Parlamento della Repubblica, dobbiamo avere assolutamente questa priorità (sancita, oltre che dalla Costituzione, da numerosi dispositivi della Corte suprema), credo sia necessario un ruolo delle regioni che offrono la massima garanzia nei confronti di questo problema. Massima garanzia significa anche attivare le necessarie procedure e fare in modo che le strutture di controllo (oltre alle ARPA, esistono anche organismi di controllo provinciale) possano avviare atti opportuni, partendo da quello fondamentale relativo ad un corretto censimento dei rifiuti. Personalmente credo che finora vi sia stata una certa sottovalutazione perché, rispetto a stime che sono corse, mi convince poco una cifra complessiva che si aggira attorno ai 2 milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti pericolosi. Poiché passato ho avuto notizia di una cifra molto superiore (attorno alle 4 tonnellate e mezzo), è necessario accertare per davvero il quantitativo di rifiuti pericolosi prodotti sapendo con certezza dove essi vadano a finire.

Questo è il tema di oggi. Ovviamente non pretendo risposte immediate, a meno che la conferenza Stato-regioni non abbia già disposto accertamenti. Credo che questo non sia accaduto per cui il nostro incontro vale soprattutto a richiamare un problema e ad avanzare una richiesta di dati il più solleciti possibile.

Desidero altresì informare i nostri interlocutori che la Commissione, con gli strumenti di cui dispone, sta già attivando una serie di indagini in questo senso proprio sul tema dei rifiuti pericolosi. Quando nelle prossime settimane saremo riusciti ad avere i dati cui facevo riferimento, fisseremo un ulteriore confronto con la conferenza Stato-regioni, possibilmente "a ranghi pieni".

UGO CAVALLERA, Assessore all'ambiente della regione Piemonte. Ovviamente, non tocca a me giustificare il presidente D'Ambrosio, ma solamente ricordare che abbiamo fissato oggi questo incontro dal momento che, solitamente, nelle giornate di giovedì si tiene anche la seduta dei presidenti della conferenza Stato-regioni; non dobbiamo dimenticare, inoltre, che il dottor D'Ambrosio è presidente di una regione terremotata, per cui ha effettive difficoltà - a volte - a garantire la sua presenza. Comunque, ritengo che si potrà senz'altro concordare con la presidenza della Commissione un ulteriore incontro con il dottor D'Ambrosio, in rappresentanza di tutti i presidenti delle regioni italiane.

Ci tengo a sottolineare che noi siamo qui in rappresentanza della conferenza dei presidenti delle regioni, dal momento che la conferenza Stato-regioni ha compiti istituzionali ed ufficiali nella sua composizione plenaria, comprese le rappresentanze ministeriali.

PRESIDENTE. E' evidente, dottor Cavallera, che l'invito noi lo avevamo rivolto alla parte "regioni". Comunque, ha fatto bene a precisarlo!

UGO CAVALLERA, Assessore all'ambiente della regione Piemonte. Le regioni italiane, nel passato, hanno ritenuto di autocoordinarsi attraverso la costituzione di questo organismo rappresentante dalla conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome: dico questo affinché la Commissione possa apprezzare il nostro sforzo di regioni capofila nelle varie materie, comprendendo che le nostre richieste di informazioni non possono che essere corrisposte in altro modo che in termini volontaristici da parte delle regioni. Ciò premesso, tutto quanto è stato sottolineato dal presidente Scalia è da me condiviso: ritengo che sia inoltre opportuno procedere ad ulteriori approfondimenti - anche su canali paralleli e, alla fine, convergenti - per confrontare i vari dati allo scopo di comprendere come stiano effettivamente le cose.

A questo proposito vorrei ricordare la normativa recentemente introdotta dal decreto Ronchi e dal successivo decreto n. 389, con la quale non si prevede un incarico diretto alla regione per l'accertamento statistico; al contrario, è stato creato un sistema incentrato sul ruolo dell'ARPA, dell'ANPA e, ovviamente, delle camere di commercio. Ritengo (ma sono certo che anche la Commissione sia arrivata a questa conclusione) che un eventuale accesso all'Ecocerved dell'Unioncamere potrebbe fornire elementi utili da confrontare con quelli che possono scaturire dal sistema ANPA-ARPA. Come diceva il presidente se l'ANPA esiste, l'ARPA è presente soltanto in alcune regioni: ebbene, la situazione relativa all'accertamento dei dati (che alcune volte non abbiamo se non in forma molto approssimativa) mette in risalto la necessità di estendere questi organismi a tutto il territorio nazionale. Nel momento in cui la legislazione è impostata sulla presenza di queste istituzioni, ma essi non sono ancora perfezionati, è chiaro che si creano delle smagliature attraverso cui possono verificarsi fenomeni di controllo più attenuato. Mi sia consentito di definirlo in questi termini.

Approfitto di questa occasione per ricordare che le regioni che hanno già costituito l'ARPA, lo hanno fatto fra mille difficoltà. Infatti, in un momento di contenimento della finanza pubblica e di rigidità nella gestione del personale, noi andiamo a costituire tali organismi facendo i salti mortali e camminando sul filo delle norme. Da un lato, si chiede di ridurre le spese e di limitare il personale, dall'altro noi abbiamo la coscienza e la volontà di costituire questi organismi con un minimo di potenziamento, poiché altrimenti si poteva lasciarli dove erano, cioè nel settore della sanità. L'ARPA, al contrario, deve abbandonare quella concezione monodirezionale, propria del mondo della sanità, ed agire a tutto campo, con particolare riferimento agli obiettivi che la legislazione più aggiornata in materia di ambiente si pone e, soprattutto, con un occhio al grande mercato europeo, alle normative, alle procedure ed a questo movimento transfrontaliero che viene soprattutto dalle regioni di confine.

E' per queste ragioni che, anche a norme delle regioni che stanno costituendo l'ARPA, desidero sottolineare ancora una volta la necessità di dare stabilità al finanziamento di questi organismi che debbono beneficiare di una quota del fondo sanitario prima destinata alla sanità stessa. Può sembrare l'uovo di Colombo, ma i combinati disposti di una serie di norme, a volte portano a perplessità da parte di coloro che sono preposti alla certificazione della legittimità della spesa, creando situazioni di conflitto all'interno delle regioni stesse.

In occasione della discussione della legge finanziaria, alla Camera si tenderà probabilmente a non introdurre modifiche: tuttavia, se modifiche fossero consentite, ne propongo una che non presenta costi. Mi riferisco alla necessità di prevedere una norma in base alla quale ciascuna regione, proprio per favorire la costituzione dell'ARPA, deve determinare una quota del fondo sanitario da destinare alla prevenzione. Questa cosa è già in essere, anche se non è ben distinta. Ora si tratta di enuclearla in maniera più precisa. Noi sappiamo che quando enucleiamo un finanziamento e lo finalizziamo verso una certa direzione, contribuiamo alla realizzazione di quella finalità. Una norma di questo tipo oltre a non determinare un aggravio per le finanze pubbliche, metterebbe in condizione le regioni che hanno necessità di farlo di creare quegli organismi. Evidentemente, le regioni, nelle quali l'ARPA non si costituisce nell'arco del 1998, possono investire nei dipartimenti di prevenzione che già appartengono al comparto sanitario. Al di là dell'autocoordinamento e della volontà di ogni singola regione, riteniamo che si possano realizzare interventi più pregnanti da parte del ministero competente che può attivare azioni più o meno cogenti per giungere alla creazione di questi organismi tecnici e di controllo. E' chiaro che tali funzioni fanno capo anche alle amministrazioni provinciali, per cui ritengo che la battaglia per una maggiore attenzione verso questi probelmi deve essere combattuta a tutti i livelli di governo locale. I comuni presidiano il territorio ed i vigili urbani hanno la facoltà di controllare i mezzi: se tutte le forze andranno nella stessa direzione, riusciremo a raggiungere i risultati che ci siamo prefissati.

Per quanto riguarda le altre richieste fatte dal presidente Scalia, possiamo senz'altro darci un appuntamento per un ulteriore incontro alla presenza del dottor D'Ambrosio. Da parte nostra stiamo tentando di compilare una tabella che, in qualche modo, dia conto di come stanno le cose nelle varie regioni. Naturalmente appare più sotto controllo il settore dei rifiuti urbani, mentre quando si tratta di rifiuti speciali (o, addirittura, di rifiuti pericolosi, anche se in questo caso siamo in attesa dei decreti attuativi che possano definire meglio la classificazione di tali rifiuti) i dati riferiti dal presidente sono senz'altro esatti. L'autosufficienza regionale non esiste se non in poche realtà territoriali. Quello che avviene nella nostra regione non rileva, poiché quello che conta è il dato medio nazionale. Per queste ragioni, presidente, mi riservo di fornire, nella mia qualità di coordinatore di soggetti che autonomamente hanno deciso di autoregolamentarsi - tutti i dati che sono in nostro possesso, riferendo allo stesso presidente D'Ambrosio la necessità della sua presenza per questo importantissimo scambio di opinioni, affinché egli possa riferire come effettivamente stanno le cose.

PRESIDENTE. Condivido molte delle cose che lei ha detto. Ci è molto chiara la natura "spontanea" del coordinamento tra le regioni. La sollecitazione che rivolgo ai presidenti delle regioni stesse trae forte impulso, sul terreno dei rifiuti pericolosi, dal fatto che, in realtà, quando parliamo di rifiuti di questo tipo, abbiamo di fronte due aspetti, uno immediato ed uno di prospettiva. L'aspetto immediato è che i rifiuti pericolosi hanno moltissimo a che vedere con la salute pubblica. Per questa ragione, non faccio tanto riferimento agli aspetti amministrativi (o, almeno, non soltanto ad essi) che riguardano la gestione dei rifiuti, ma proprio perché ritengo prioritari gli aspetti sanitari dell'inquinamento e delle contaminazioni dovute ai rifiuti pericolosi (aspetto sul quale abbiamo un panorama ampio e preoccupante), la mia sollecitazione è rivolta ai presidenti delle regioni nella loro veste di autorità a livello intermedio i quali devono garantire la salute di tutti.

Il secondo aspetto di prospettiva che riguarda ancora una volta le regioni in quanto tali è il seguente: noi speriamo che, prima o poi, la situazione di contaminazione, grave e profonda, dovuta ai rifiuti pericolosi - speriamo più prima che poi - diventi oggetto di bonifica. Notoriamente le bonifiche - a meno che il Parlamento o il Governo non individuino altri strumenti - passano attraverso i piani triennali e, sostanzialmente, attraverso una indicazione da parte delle regioni delle varie priorità. Siccome il decreto legislativo n. 389, nelle sue ultime modifiche, presenta un articolo tutto dedicato alle bonifiche, mi preme sottolineare e sollecitare le regioni a considerare che si tratta di un argomento non più rinviabile, per cui si deve senz'altro procedere, anche se l'area contaminata è dismessa. Bisogna farlo avendo una particolare attenzione e con una strumentazione adeguata a questo tipo di problemi.

Questi sono i motivi sui quali volevo richiamare l'attenzione, oltre al fatto che la regione può - non deve, ma può - essere un elemento centralizzante di formazione, non tanto per esigenze di carattere amministrativo di tipo "rifiutologico", quanto per esigenze di carattere sanitario. Mi aspetterei (ed in questo senso sollecito i presidenti delle regioni) che venga realizzata la costituzione di un centro di informazioni capace di contabilizzare la produzione di rifiuti pericolosi nonché la loro tipologia. In altri termini la regione può essere (dico ancora "può", poiché la legge non lo prevede espressamente) un centro di raccolta di informazioni. Oggi, che viviamo nel mondo di Internet, non mi sembra che quanto ho esposto sia di difficile realizzazione.

Ovviamente, l'appello che lei faceva - e che ci riguarda non tanto come Commissione, ma come Parlamento - per una enucleazione di somme adeguate dal fondo sanitario nazionale da destinare alla attivazione o al sostentamento delle ARPA, mi trova sicuramente consenziente. Per quanto riguarda me ed i miei colleghi che, qui alla Camera, dovremo affrontare la prossima sessione di bilancio, questa possibilità verrà senz'altro presa in considerazione.

UGO CAVALLERA, Assessore all'ambiente della regione Piemonte. E' chiaro che tutti gli accertamenti che vengono fatti non sono finalizzati alla mera riproduzione di tabelle di dati, ma per preoccuparci delle conseguenze di ciò che va fuori circuito e viene sparso in modo indiscriminato nell'ambiente. Purtroppo molto è già andato, nel senso che emergono situazioni che presuppongono spese per le bonifiche veramente colossali. Tra l'altro, non sempre è possibile risalire ai responsabili. E' necessario, comunque, stabilire delle priorità: a questo proposito desidero comunicare alla Commissione che le regioni sono molto sensibili a questi problemi sia nel redigere gli elenchi delle bonifiche dei siti inquinati (come prevede la legge Ronchi e come prevedono anche norme precedenti), cercando di finalizzare a questo scopo anche fondi dell'Unione europea. Questo naturalmente può riguardare soltanto determinate aree poiché quelle disposizioni prevedono precisi limiti territoriali.

Per citare una nostra esperienza (ma so che comportamenti analoghi sono stati posti in essere anche da altre regioni), il recupero dei siti industriali è espressione di grande ampiezza. Oltre a cercare di rimettere in sesto attività produttive di tipo diverso, siano esse artigianali, moderne o competitive, solamente con una grossa concentrazione di risorse per un certo numero di anni (con le modalità previste dalla legge Ronchi) si potrà pervenire ad un qualche risultato in questo senso. Tutto questo, naturalmente, senza cessare una opportuna opera di controllo sul territorio che ci ha manifestato situazioni di vario tipo. Direi che vi sono situazioni particolari da monitorare, come la ex Cave, creando - se necessario - percorsi di verifica. Da quanto mi risulta, posso dire che il corpo forestale dello Stato e, spesso, gli agenti della vigilanza provinciale o i NAS segnalano situazioni anomale. Comunque, anche le situazioni già note (almeno per quanto riguarda la nostra regione) comportano cifre che, ogni anno, sulla base delle poche risorse disponibili, ci obbligano ad operare scelte di priorità. Recentemente è stata individuata la zona di Galliate, in provincia di Novara: si tratta di un sito da bonificare per il quale occorrono cifre a nove zeri. Pur potendo stanziare ogni anno soltanto qualche miliardo, si comincerà con la caratterizzazione del sito, eliminando le melme superficiali e procedendo successivamente a carotaggio per valutare meglio lo stato del suolo. Il problema prioritario, ovviamente, è quello della messa in sicurezza del sito (ricordiamo il caso emblematico dell'ACNA), per evitare che si vadano ad interessare le falde. Non sempre si può partire dal presupposto che si deve bonificare tutto. A volte il monitoraggio, il confinamento o altri interventi operati con le tecniche più recenti possono garantire una sicurezza sufficiente. Sicuramente, tuttavia, il monitoraggio si rende necessario: sotto questo profilo, nella regione Piemonte ci stiamo orientando verso l'individuazione nell'ambito delle stesse amministrazioni provinciali (che già hanno notevoli funzioni di controllo) un soggetto al quale affidare il controllo dei siti bonificati o di quelli messi in sicurezza. Infatti, quando non si può ritornare al "prato verde", si procede nella maggioranza dei casi ad una messa in sicurezza che presuppone un continuo controllo.

GIOVANNI LUBRANO DI RICCO. Richiamandomi a quanto detto poco fa dal presidente a proposito della Sicilia e della Sardegna, desidererei sapere se le regioni sono a conoscenza di chi siano i soggetti produttori di rifiuti tossici nocivi. Oppure noi dobbiamo sempre limitarci ad intervenire nella fase finale, quella dello smaltimento di questi rifiuti? In altri termini, non vi è alcun controllo alla fonte su chi li produce? Le regioni sono a conoscenza di chi siano questi soggetti?

UGO CAVALLERA, Assessore all'ambiente della regione Piemonte. Diciamo che dovrebbero esserne a conoscenza. Non per rispondere con un giro di parole, ma perché la situazione è proprio questa, quando io facevo riferimento ai dati del catasto ho detto che emergono soltanto quelle operazioni che vengono fatte con trasparenza e in base alle regole. Ora noi ci troviamo di fronte due situazioni, come avviene in moltissimi altri settori della nostra vita civile: vi sono quelli che rispettano le regole per i quali l'ordinamento prevede un catasto nonché la possibilità per l'ente programmatore di accedere ai dati di cui esso dispone. Noi stessi abbiamo consegnato il piano relativo alla gestione dei rifiuti nel corso del nostro precedente incontro: le stime che noi abbiamo compiuto sono basate tendenzialmente proprio su quei dati, unitamente ad altre valutazioni che i nostri enti consulenti ci hanno fornito. In altre parole, si sa dove prelevare i dati e su quella base, nel momento in cui gli esperti fanno le stime, si può cominciare a capire se ci si trovi in una situazione di regolarità o in una situazione nella quale siano necessari dei controlli. Pertanto, non siamo certamente all'anno zero dal punto di vista delle conoscenze, ma - se si vuole avere una valutazione di tipo globale - è importante analizzare i dati forniti dall'Unioncamere (cioè dall'Ecocerved) perché da essi si possono trarre elementi importanti, almeno per quanto riguarda la produzione che potremmo definire "trasparente". Questo è il punto di partenza, al di là del quale deve estrinsecarsi tutta la capacità di programmazione e di stimolo degli organismi che si occupano di questo settore. Infatti, ci troviamo in una situazione di mercato nella quale abbiamo interesse a far progredire gli operatori corretti ed a reprimere quelli scorretti.

PRESIDENTE. Sì, poiché altrimenti, se non si reprimono i comportamenti scorretti, non ci può nemmeno essere mercato!

UGO CAVALLERA, Assessore all'ambiente della regione Piemonte. Esattamente, presidente. Nel momento in cui è disponibile una alternativa più economica, molti preferiscono seguire questa strada. Ovviamente confrontando i dati forniti dal catasto, le autorizzazioni allo smaltimento e quanto è stato riscosso con l'ecotassa, si possono ottenere utili indicatori che possono guidare in una direzione piuttosto che nell'altra. In base a questi indicatori è possibile valutare se la regione in oggetto è in equilibrio, se è sovradimensionata o, al contrario, se è sottodimensionata. Ne consegue che solamente il sorgere di opportune iniziative su tutto il territorio e la repressione dei comportamenti contrari alle norme rappresentano il miglior stimolo per la creazione di un mercato sano in questo settore.

PRESIDENTE. Il collega Lubrano, purtroppo, potrà osservare che da questo incontro è emerso che il 60 per cento circa di rifiuti pericolosi sono trattati in maniera scorretta e probabilmente anche illegittimo, degli stessi.

GIOVANNI LUBRANO DI RICCO. Direi anzi che, se sono esatti i dati che il presidente poco fa ha fornito in merito a quanto accade in Sicilia e Sardegna, la stragrande maggioranza dei rifiuti prodotti in queste regioni provengono da fonti sconosciute alle istituzioni. Altrimenti non ci sarebbe bisogno di smaltirli nel modo nel quale attualmente essi vengono smaltiti.

PRESIDENTE. La fonte può anche essere nota, ma il problema di fondo è quello di capire dove tali rifiuti vadano a finire. La nostra Commissione, attraverso i suoi consulenti, sta cercando di disegnare un quadro chiaro di chi produca questo tipo di rifiuti, ma il problema di fondo - lo ripeto - riguarda la loro destinazione finale.

GIOVANNI LUBRANO DI RICCO. Questo è vero, ma non basta identificare una determinata fonte: bisognerebbe altresì sapere se essa produce un grammo dei rifiuti tossici o una tonnellata. Questo è il punto. In altre parole, sarebbe importante capire perché si registrano quelle differenze macroscopiche che prima il presidente ha ricordato. Allora debbo pensare che, anche conoscendo le fonti produttrici, non si sia in grado di controllare quali e quanti rifiuti producano.

AGATA MILONE, Coordinatrice della conferenza Stato-regioni. La situazione è questa: da qualche anno abbiamo perso la conoscenza dei dati, ossia da quando la normativa ha attribuito la competenza all'Unioncamere e poi all'ANPA. In sostanza, c'è un accordo di programma tra ANPA e Unioncamere per la registrazione dei dati del catasto e per la loro convalida, ma le regioni non sono in possesso di tali dati. L'Ecocerved sta prendendo contatti con le varie amministrazioni per vendere il software, allora noi dobbiamo cercare di coordinare il tutto, perché da quando è stata attribuita la competenza all'Unioncamere non siamo più in grado di avere i dati di produzione.

PRESIDENTE. Mi scusi, ma i dati sono pubblici, quindi basta chiederli. Non a caso, prima alludevo alla possibilità per le regioni di centralizzare i dati che possono ottenere attraverso l'Unioncamere ed altre fonti.

AGATA MILONE, Coordinatrice della Conferenza Stato-regioni. Ci sono difficoltà in proposito.

PRESIDENTE. Sono convinto che siano difficoltà superabili.

AGATA MILONE, Coordinatrice della Conferenza Stato-regioni. Sicuramente, però le regioni lamentano la mancanza di questi dati e le indagini condotte, ad esempio, per la realizzazione del piano, sono state effettuate dalle regioni motu proprio, tramite censimenti presso le ditte con un certo numero di addetti e così via, quindi su base statistica, mentre il sistema da seguire è quello di un controllo incrociato sui dati del catasto, perché lì abbiamo i dati di produzione e...

PRESIDENTE. Mi scusi, è esattamente a questo che mi riferivo. Credo - e in caso contrario vorrei essere smentito - che la regione abbia la possibilità di effettuare questo lavoro incrociato, nel senso che si deve dotare della strumentazione - minima, peraltro - necessaria per creare, tramite i suoi uffici tecnici, una "stanza", per così dire, in cui centralizzare i dati di cui lei sta parlando. Credo che ciò sia non solo possibile, ma anche facilmente realizzabile. Penso di interpretare il pensiero di tutti i colleghi commissari nel dire che ciò sarebbe anche doveroso, considerata la gravità del problema su cui verte questo incontro.

AGATA MILONE, Coordinatrice della Conferenza Stato-regioni. Nessuna regione attualmente è in grado di farlo, ma lavoreremo per questo.

PRESIDENTE. Me ne rendo conto, ma questa è una delle sollecitazioni cui facevo riferimento. La ringrazio.

Desidero richiamare all'attenzione dell'assessore Cavallera due aspetti, nell'ambito del coordinamento autonomo delle regioni. Credo che la nostra Commissione nel corso della sua vita avrà anche il ruolo di attirare l'attenzione del Parlamento e del Governo su di un tema che è di grandissima rilevanza e che impegna moltissime risorse, in una situazione estremamente negativa dal punto di vista economico, perché bonificare e ripristinare significa investire risorse sostanzialmente senza ritorni. Ciò inevitabilmente configura un gravoso impegno per lo Stato, perché esistono, sì, alcuni margini di ricavo, ma quello che colpisce, come dicevano poc'anzi anche i nostri ospiti, è l'enorme mole di risorse che devono essere investite se si vuole che ampie aree del nostro paese tornino ad essere salubri per la popolazione.

Comunque, la premessa per poter svolgere questo lavoro è la conoscenza approfondita del territorio. Da questo punto di vista, voglio sottoporre all'attenzione dei presidenti delle regioni due aspetti che sono noti alla Commissione e che ci hanno particolarmente colpito. In virtù di un'indagine disposta a suo tempo dalla procura della Repubblica di Matera, il Corpo forestale ha redatto una mappa risultante dall'incrocio di tre tipi di rilevazione: la satellitare, quella tradizionale aereofotogrammetrica e la rilevazione con sorvoli ad hoc su siti su cui si voleva avere un maggior potere risolutivo. L'utilizzazione incrociata di queste tre metodiche di rilevazione - i cui risultati ci verranno inviati tra poco - ha prodotto una conoscenza estremamente precisa del territorio, evidenziando tutti i punti a maggiore rischio, come cave, zone in cui sono possibili accumuli, e così via. Credo che tale rilevazione non sia stata neppure molto dispendiosa, per cui basterebbe, per così dire, "socializzare" questa conoscenza: è un po' ciò che stiamo cercando di fare noi. Credo, insomma, che questo tipo di monitoraggio del territorio rientri nelle possibilità di una regione.

L'altro aspetto che ha colpito molto la Commissione è rappresentato da un progetto del CNR, il più grande organismo pubblico di ricerca del nostro paese; mi riferisco al progetto Lara, tecnologicamente molto avanzato, che a quanto abbiamo compreso può suscitare l'orgoglio tecnologico del paese, per i suoi caratteri di innovazione e di competitività con altri sistemi. Alcune azioni dimostrative hanno illustrato le possibilità di questo progetto nella rilevazione: in questo caso si è utilizzata una tecnologia molto sofisticata, rappresentata da una piattaforma posta su di un aereo, che ha consentito, proprio per quanto riguarda i rifiuti, di avere una visione precisa della situazione, traducendo le centodue frequenze di cui dispone in segnali cromatici. E' stato cioè possibile visualizzare, tramite i colori, le situazioni esistenti nel sottosuolo, oppure individuare i tetti di amianto della città di Roma. Si tratta, insomma, di cose che hanno un elevato potere risolutivo. La Commissione può pertanto senz'altro suggerire e probabilmente anche fornire un aiuto concreto per la realizzazione di accordi di programma tra regioni e Ministero dell'ambiente finalizzati allo svolgimento di un monitoraggio di questa natura e di questo elevato potere risolutivo, monitoraggio che rappresenta - sembra banale dirlo - il prerequisito per ogni serio tentativo di bonifica.

UGO CAVALLERA, Assessore all'ambiente della regione Piemonte. Mi sembra quanto mai necessario arrivare ad un coordinamento anche nell'ambito dei cosiddetti servizi tecnici nazionali che, come sappiamo, fanno capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri, anche se recentemente mi sembra siano stati affidati al ministro dei lavori pubblici. Anche in conseguenza dei notevoli dissesti idrogeologici e della necessità di un approfondito monitoraggio meteo-idrografico, a quanto mi risulta negli ultimi anni le regioni hanno concentrato la loro attenzione su queste tematiche, anche su sollecitazione del Dipartimento della protezione civile. Sono stati pertanto installati, d'intesa con i servizi tecnici nazionali, ma sostanzialmente a carico delle regioni, che hanno affrontato spese di una certa rilevanza, radar meteorologici, stazioni in automatico o non in automatico, a seconda dei casi, con opportuni ponti-radio, ovviamente funzionanti anche in caso di mancanza di energia elettrica e del verificarsi di calamità naturali. Credo, però, che si possa sempre migliorare: l'importante è, a mio avviso, che vi sia uno stimolo che riguardi tutto il territorio nazionale o comunque vaste porzioni di esso, perché ritengo sia possibile raggiungere il massimo della sinergia ed anche un certo contenimento dei costi. Stiamo ovviamente indicando la soluzione ottimale, sulla quale non si può che essere d'accordo, ma naturalmente occorre procedere ad un'analisi di fattibilità, che mi auguro possa anche prevedere la sperimentazione in qualche regione. Per quanto mi riguarda, quindi, la sollecitazione è senz'altro da accogliere, ma ritengo opportuno, proprio per non creare smagliature sul territorio, che vi sia una forte iniziativa riguardo ad un progetto non solo tecnologico, o comunque scientifico, di messa a punto della possibilità di individuare, ad esempio, i tetti di amianto, ma che coinvolga anche un organismo centrale, come potrebbe essere l'ANPA. Sappiamo, tuttavia, che è necessario effettuare il famoso riordino dei servizi tecnici di livello nazionale, perché la legge di istituzione dell'ANPA prevedeva, in un momento successivo, un raccordo tra l'ANPA stessa, il CNR, l'ENEA, l'ISPESL e così via. I compiti, insomma, sono al momento frammentati tra una serie di istituti, il che non consente una concentrazione delle iniziative. Per quanto riguarda la gestione, già da due anni, da quando la delega dei servizi tecnici nazionali era stata affidata al professor Barberi, abbiamo concluso un accordo di programma con tali servizi, per cui abbiamo messo insieme tutte le centraline presenti sul territorio regionale e siamo prevalentemente noi ad occuparci, appunto, della gestione e della manutenzione - fermo restando che sia in rete - a beneficio dei servizi tecnici, della protezione civile, del magistrato per il Po e così via, specie dopo lo shock dell'alluvione del 1994 (con il tipico sistema "nostrano", secondo cui si chiude la stalla dopo che i buoi sono scappati). Comunque, ritengo che almeno per il futuro qualcosa sia stato fatto. Ben venga, allora, un'iniziativa in questo senso.

Abbiamo preso numerosi appunti e riferiremo tutto ciò che è emerso all'assemblea plenaria dei presidenti, che presumo il presidente D'Ambrosio abbia fissato per la settimana prossima: se, però, si potrà contare su di una "sponda" a livello nazionale, sono convinto che tutto potrà marciare più speditamente.

PRESIDENTE. Certo, ed in questo senso la nostra Commissione cercherà di essere qualcosa di più di uno stimolo.

Ringraziamo nuovamente i nostri ospiti per la loro presenza.

La seduta termina alle 10,25.

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