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CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA

COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA

SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITA'

ILLECITE AD ESSO CONNESSE

22.

SEDUTA DI MERCOLEDI' 3 DICEMBRE 1997

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FRANCO GERARDINI

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori. *

Audizione del presidente della sezione EMAS-Italia, ingegner Giuseppe Bianchi, e del direttore generale del Ministero dell'ambiente, dottor Gianfranco Mascazzini. *

 

La seduta comincia alle 12.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

 

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità della seduta sia assicurata anche attraverso gli impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

 

Audizione del presidente della sezione EMAS-Italia, ingegner Giuseppe Bianchi, e del direttore generale del Ministero dell'ambiente, dottor Gianfranco Mascazzini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente della sezione EMAS-Italia, ingegner Giuseppe Bianchi, e del direttore generale del Ministero dell'ambiente, dottor Gianfranco Mascazzini.

La Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, in base alla legge istitutiva, ha ritenuto di istituire al suo interno gruppi di lavoro che dovranno interessarsi di specifiche problematiche, tra cui quelle inerenti all'attuazione del decreto legislativo n. 22 del 1997. Uno di questi comitati, presieduto da me, deve occuparsi dell'impatto delle nuove norme sulle imprese del sistema produttivo del nostro paese. Abbiamo perciò deciso di avviare una serie di audizioni per affrontare alcuni problemi specifici: tra questi, abbiamo dato la priorità alla problematica relativa alle bonifiche, previste nel testo del decreto, e a quella riguardante il CDR, cioè il combustibile derivante dai rifiuti, che costituisce una novità oggetto di esame da parte dei Ministeri dell'ambiente e dell'industria. Su questi due aspetti abbiamo deciso di ascoltare il dottor Mascazzini, in rappresentanza del Ministero dell'ambiente, e l'ingegner Bianchi, presidente della sezione EMAS-Italia, per quanto riguarda la problematica inerente alla certificazione ambientale, anche per fare il punto su come le imprese nazionali affrontino la sfida di qualità imposta dai regolamenti comunitari.

Do la parola all'ingegner Bianchi.

GIUSEPPE BIANCHI, Presidente della sezione EMAS-Italia. Signor presidente, presiedo la sezione EMAS-Italia del comitato Ecolabel-Ecoaudit ed ho preparato una breve relazione scritta che ho consegnato alla segreteria della Commissione. Mi limiterò pertanto ad un'esposizione orale più sintetica.

Prima di passare alle attività dell'organismo da me presieduto, vorrei fare una premessa di carattere generale sulla materia dei rifiuti. Una nuova e più corretta strategia in tale materia rappresenta uno dei punti cruciali di una seria politica dell'ambiente. Essa deve essere basata su due pilastri fondamentali: la riduzione a monte della produzione dei rifiuti ed un intervento a valle di massimo recupero dai rifiuti di materie prime riutilizzabili e di energia. Se tale politica sarà attuata completamente e avrà successo, avrà come conseguenza la riduzione dell'apporto di rifiuti in discarica e quindi consentirà di tagliare alla base le attività illecite connesse prevalentemente con la realizzazione e la gestione delle discariche.

Tuttavia, questa politica è facile da enunciare ma difficile da realizzare, in quanto richiede un cambiamento profondo dell'atteggiamento non solo del legislatore e delle autorità preposte al controllo delle leggi, ma anche e soprattutto di tutti soggetti del sistema nazionale di produzione e di consumo. Si tratta, in sostanza, di cambiare profondamente, e in un certo senso di capovolgere, il modo stesso con cui è stata finora impostata la politica ambientale nel nostro paese. All'attenzione verso il rispetto dell'ambiente, che negli ultimi anni è molto cresciuta da parte dei cittadini, il legislatore ha finora risposto con l'emanazione di una normativa sempre più fitta e complicata, basata sulla regolamentazione dei singoli aspetti della protezione dell'ambiente: emissione nell'atmosfera di sostanze inquinanti, scarichi idrici, rifiuti, eccetera. Questo tipo di legislazione finora non ha dato risultati molto soddisfacenti. Essa, infatti, comporta da una parte, per le imprese, l'incapacità di soddisfare requisiti sempre più numerosi e complessi e dall'altra, per le autorità preposte al controllo, l'effettuazione di verifiche che nella maggior parte dei casi possono essere eseguite solo in maniera episodica e incompleta.

Questa situazione generale, forse più acuta nel nostro paese, ma comune agli altri paesi europei, ha portato l'Unione europea a varare, all'inizio degli anni novanta, nell'ambito del quinto programma di azione comunitario in materia ambientale, una nuova politica ambientale che, più che contare sulla repressione del mancato rispetto dei limiti imposti dalle leggi, affida un ruolo importante all'azione di prevenzione, sollecitando a tal fine un comportamento volontario responsabile di tutti gli operatori e dei cittadini. Si punta, in altri termini, su di un ciclo virtuoso in cui siano coinvolti spontaneamente tutti gli operatori i quali, come cittadini, sono consapevoli del rischio e chiedono azioni per fronteggiare il degrado ambientale e per assicurare una maggiore protezione dell'ambiente.

Il regolamento EMAS emanato dall'Unione europea nel 1993 con il n. 1836 è forse l'espressione più evidente di questo indirizzo. Esso si propone di favorire la riorganizzazione, la razionalizzazione della gestione ambientale delle aziende basata non solo sull'aspetto dei limiti imposti dalle leggi, che rimane comunque un obbligo dovuto, ma anche su un rapporto nuovo tra le imprese, le istituzioni e il pubblico, che abbia come elementi di riferimento l'adesione volontaria delle imprese, la cooperazione con l'amministrazione, il supporto reciproco e la trasparenza.

Le imprese che decidono di aderire al regolamento EMAS devono svolgere essenzialmente cinque compiti, che illustrerò brevemente nell'ordine. Il primo è costituito dall'analisi ambientale iniziale: si tratta di definire le condizioni dell'ambiente in cui opera l'impresa, definendone lo status quo di partenza. Sulla base di questa situazione iniziale, l'azienda deve fare un programma, il programma ambientale, che definisca gli obiettivi generali e i principi di azione che l'impresa si dà riguardo all'ambiente e che rappresenta la politica ambientale aziendale. Per attuare questo programma, l'azienda si deve dotare di un sistema di gestione degli obiettivi che sia funzionale a questi ultimi. Questo sistema di gestione deve includere la struttura organizzativa, le responsabilità, le prassi, le procedure, nonché i processi e le risorse per attuare il programma ambientale. Dopo aver istituito il sistema di gestione ambientale, l'azienda deve procedere ad un'attività di auditing, utilizzando propri consulenti di fiducia per verificare se il sistema di gestione ambientale adottato sia stato reso operativo in maniera corretta. Superata questa fase, cioè quando l'azienda è convinta che il sistema di gestione di cui si è dotata funziona, l'azienda stessa deve compiere l'ultimo passo, il più impegnativo, cioè quello della dichiarazione ambientale. Questa è destinata ad un pubblico molto vasto, che va dai cittadini che vivono intorno al sito alle autorità pubbliche di controllo e alle istituzioni in senso lato, e deve includere la descrizione delle attività produttive, le incidenze che esse hanno sull'ambiente, i risultati ottenuti dall'imprese per un minore impatto ambientale e, infine, l'enunciazione degli obiettivi di miglioramento conseguibili con i programmi futuri. Il regolamento prevede che la dichiarazione ambientale resa dall'azienda sia sottoposta ad esame e convalidata da un verificatore ambientale accreditato da un sistema riconosciuto dall'Unione europea che sia indipendente dall'impresa.

Questi sono i cinque compiti che l'azienda deve adempiere per aderire all'EMAS. Vi sono poi due altri punti che sono a carico dell'organismo che, nei vari paesi, è incaricato di controllare il rispetto del regolamento. Si tratta dell'accreditamento e controllo dei verificatori ambientali - che hanno, ripeto, il compito di convalidare la dichiarazione ambientale fornita dall'impresa - e il successivo procedimento per la registrazione dei siti.

A fronte di questo programma, che l'Unione europea ha reso operativo nel 1995, si è avuto un notevole sviluppo: in particolare, attualmente i siti registrati sono più di mille (circa 1.050) e l'80 per cento di questi si trova in Germania. In Italia, com'è noto, vi è stato un ritardo nell'insediamento dell'organismo nazionale competente per l'attuazione del regolamento comunitario. E' stato insediato nel febbraio del corrente anno mentre il Parlamento soltanto da poco ha approvato la legge che stanzia risorse economiche per il suo funzionamento.

Nonostante questo ritardo, in Italia si registra un interesse vivo e spiccato da parte delle imprese non solo per motivazioni ambientali ma anche per ragioni di mercato e di concorrenza. Infatti, molte imprese multinazionali che hanno deciso di aderire all'EMAS insistono affinché la registrazione dei loro siti italiani avvenga nel più breve tempo possibile. Queste imprese multinazionali hanno anche espresso un orientamento favorevole ad inserire come motivo di selezione dei loro fornitori l'iscrizione all'EMAS. Quindi, vi è un effetto a cascata, perché se le multinazionali si iscrivono, chiedono che lo facciano anche i loro fornitori. Si deve anche aggiungere che alcuni governi del nord Europa stanno seriamente pensando di includere tra i criteri di accesso alle gare di appalto promosse da organismi governativi la certificazione ambientale secondo la normativa ISO 14001 o la partecipazione all'EMAS. Quindi, si stanno creando condizioni di mercato che spingono verso lo sviluppo del sistema EMAS.

Dopo il suo insediamento nel febbraio di quest'anno, l'organismo si è dato un proprio regolamento interno che, secondo la legge, è stato approvato dal ministro dell'ambiente. Ha quindi definito e adottato le procedure per i criteri di accreditamento dei verificatori e per la registrazione dei siti. In sostanza, perciò, il nostro paese è ora nelle condizioni normative per consentire alle imprese di accreditarsi. In Italia le funzioni di accreditamento dei verificatori e di registrazione dei siti sono affidati allo stesso organismo. Il primo obiettivo, che poi condiziona lo sviluppo successivo dell'attività, è quello di disporre dei verificatori, perché se mancano questi manca anche la convalida, e quindi non vi può essere la registrazione. Si tratta di un aspetto molto delicato di tutto il processo, e l'organismo che deve accreditare ha una responsabilità notevole, perché l'accreditamento ottenuto in uno Stato membro dell'UE consente al verificatore di operare anche negli altri paesi dell'Unione. Esiste perciò una responsabilità oggettiva nei confronti degli altri paesi che potrebbero eventualmente utilizzare i nostri verificatori ambientali così come noi potremmo utilizzare quelli di altri paesi.

Per questo accreditamento, l'organismo ha deciso di affidare l'esame istruttorio delle domande all'ANPA, cioè l'Agenzia nazionale per l'ambiente, e al SINCERT, cioè l'organismo che ha analogo compito per l'accreditamento dei certificatori secondo la normativa internazionale ISO 14000, che è similare a quella dell'EMAS anche se ha qualche sostanziale differenza. L'esame istruttorio comporta diverse fasi, a cominciare dalla verifica della documentazione: bisogna dimostrare di avere competenza, indipendenza, una struttura organizzativa adatta a garantire l'effettiva capacità del verificatore di rispondere ai requisiti del regolamento; vi è poi una visita presso l'organizzazione, per vedere come è strutturata; infine, l'ultimo passo consiste nell'accompagnare il verificatore per vedere sul campo come opera quando convalida una dichiarazione ambientale.

Sulla base della relazione fatta dall'ANPA e dal SINCERT, la sezione EMAS-Italia decide di concedere o negare l'accreditamento. Successivamente, quando il verificatore ha proceduto alla convalida dei siti, la sezione EMAS procede alla registrazione dei siti e li comunica all'Unione europea per la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee. La sezione può anche cancellare il sito ogni qualvolta concluda che non soddisfa più tutte le condizioni richieste, e in particolare rifiuta o sospende la registrazione se è informata dall'autorità competente in materia di controllo di una violazione delle pertinenti disposizioni regolamentari. Il rifiuto o la sospensione sono revocati se la sezione è informata dall'autorità competente che è stato posto rimedio alla violazione e che esistono accordi soddisfacenti atti a garantire che questa non si ripeterà.

Allo stato attuale, sono state presentate due domande di accreditamento da parte di organizzazioni che si propongono come verificatori ambientali, e l'istruttoria è attualmente in corso. Inoltre, l'organismo sta svolgendo anche la funzione di sorveglianza che il regolamento gli affida su verificatori ambientali che sono stati accreditati all'estero. In particolare, sta effettuando la sua sorveglianza su un verificatore ambientale accreditato in Gran Bretagna che ha proceduto alla convalida della dichiarazione ambientale di tre siti italiani. Questa operazione di sorveglianza si dovrebbe concludere verso la metà di dicembre. Se il verificatore britannico sarà giudicato idoneo e se l'analisi della convalida dei tre siti sarà positiva, entro l'anno avremo la registrazione dei primi tre siti in Italia.

Darò alcune brevi indicazioni su quanto l'organismo intende fare nei prossimi anni. E' evidente quanto sia importante che il sistema EMAS si diffonda, non dico come in Germania, ma almeno come negli altri paesi comunitari. Per fare questo abbiamo individuato sei obiettivi specifici: una consultazione delle associazioni industriali, delle associazioni ambientaliste, dei consultori, delle piccole e medie imprese e dell'artigianato per un'analisi delle problematiche legate all'applicazione del sistema EMAS; una collaborazione con l'Unioncamere per concordare i servizi reali che possono essere messi a disposizione delle imprese per la diffusione dell'EMAS; una serie di incontri con le autorità ambientali locali per una valutazione delle azioni che possano essere attuate per favorire l'applicazione delle metodologie di gestione ambientale dalle varie strutture produttive e di servizio; un esame della possibilità di applicazione dell'EMAS a distretti industriali caratterizzati da uniformità di tecnologie produttive (in Italia abbiamo concentrazioni di industrie che fanno le stesse cose con le stesse tecnologie in vari campi, per cui vorremmo studiare come facilitare una registrazione dell'intero distretto, definendo cioè un'area ecologicamente attrezzata, anche allo scopo di favorire nuovi insediamenti industriali in quelle aree); il lancio di alcuni programmi sperimentali di applicazione del sistema EMAS ai servizi municipalizzati, con particolare attenzione alle aziende di gestione dei rifiuti o dei trasporti (il regolamento attuale consente a titolo sperimentale di uscire dal campo strettamente industriale per andare verso i servizi, e quindi vogliamo tentare di far applicare il sistema EMAS alle due aziende romane di gestione dei rifiuti e dei trasporti in vista del Giubileo, perché sarebbe un fatto di grande importanza non solo nazionale ma internazionale, che potrebbe determinare benefici nella gestione del sistema dei rifiuti e di quello dei trasporti); infine, l'organizzazione di incontri con una rappresentanza pluralistica dei settori di interesse per seguire le linee di evoluzione delle modifiche del regolamento da parte delle strutture dell'Unione europea.

Mi soffermerò su alcuni punti di queste modifiche successivamente. Vogliamo organizzare una sorta di forum per ascoltare tutte le parti interessate in modo che, rappresentando il punto di vista italiano nelle varie riunioni che si svolgono presso l'Unione europea, si possa veramente portare il contributo e gli interessi delle proprie parti.

Tornando al problema dei rifiuti, è evidente che un'impresa che segua il regolamento EMAS deve dotarsi di un sistema di gestione aziendale che consideri come prioritaria la soluzione di tutti i problemi ambientali. Questo è il requisito fondamentale. La gestione del ciclo dei rifiuti, evidentemente, rappresenta uno degli aspetti che l'impresa deve ottimizzare puntando sia sulla riduzione a monte della produzione dei rifiuti sia sul loro recupero a valle. Quindi, in un certo senso è automatico che un'impresa che registri su base volontaria il proprio sito secondo l'EMAS, abbia una gestione ottimale anche del ciclo dei rifiuti. In aggiunta, la dichiarazione ambientale convalidata, che per sua definizione deve essere resa pubblica dall'impresa nei confronti delle autorità di controllo e dei cittadini, garantisce il suo impegno per un'assoluta trasparenza di un comportamento virtuoso nei confronti dell'ambiente. Se la registrazione EMAS garantisce che anche la gestione dei rifiuti risponde a requisiti ottimali e che è di fatto escluso qualsiasi illecito, perché c'è assoluta trasparenza di comportamento e vi è pubblicità della politica ambientale che l'impresa volontariamente si dà, è più che evidente che, se ottenessimo un'applicazione assai diffusa del sistema EMAS, forse attueremmo la mossa vincente per avere un effetto significativo sulla gestione dei rifiuti in Italia.

Tuttavia, non bisogna dimenticare che, ai fini di una sua diffusione, si pone il problema della volontarietà dell'adesione: si può agire per promuovere il sistema ma non lo si può rendere obbligatorio. Pertanto, è importante il dibattito attualmente in atto presso i vari paesi comunitari e presso la stessa Commissione europea sulla creazione di specifici benefici regolamentari per le imprese aderenti, benefici regolamentari che devono essere in un certo senso collegati sia alle autorizzazioni ambientali richieste sia ai controlli che le imprese devono subire. Il problema di rendere certe e più semplici le procedure e le regolamentazioni ambientali si pone in realtà per tutte le imprese; ma è indubbio che, se il sistema EMAS acquisterà considerazione da parte delle autorità locali di controllo, sarà automatico per le imprese ricevere questi benefici regolamentari.

PRESIDENTE. Secondo lei quali potrebbero essere alcuni benefici regolamentari per le imprese che aderiscono a questo sistema volontario di qualità?

GIUSEPPE BIANCHI, Presidente della sezione EMAS-Italia. Voglio fare un esempio minimale e un esempio massimale. Se l'impresa, nella sua dichiarazione ambientale, si è impegnata a migliorare in maniera continua le prestazioni dei propri impianti al fine di ottenere un miglioramento ambientale, nel momento in cui attua queste modifiche dovrebbe essere favorita nel ciclo di autorizzazioni. Si dovrebbe arrivare a considerare in un certo senso automatica l'autorizzazione successiva, per esempio, ad una comunicazione: l'azienda, cioè, comunica all'autorità di controllo che sta attuando una modifica all'impianto per migliorare il proprio rapporto con l'ambiente e se l'autorità di controllo, entro 90 giorni, non si esprime, l'autorizzazione si intende concessa. Questo è il minimo che si può immaginare in relazione degli impegni già assunti dall'impresa. Ma più in generale bisogna studiare quali possano essere i vantaggi e le agevolazioni che possano essere concessi ad un'impresa che è inserita in un registro europeo di aziende che hanno un buon comportamento ambientale: dovrebbe essere agevolata nei tempi e nello svolgimento delle procedure amministrative. E' un argomento da approfondire soprattutto a livello legislativo, perché questo aspetto concernente i vantaggi deve fungere un po' da contrappeso rispetto agli oneri che l'impresa sopporta, e non sono pochi, per dotarsi di un sistema di gestione ambientale.

Attualmente il Parlamento sta per deliberare una delega al Governo per il recepimento delle direttive sull'IPPC (integrated pollution and prevention control) e per la valutazione di impatto ambientale. Vi sono molti aspetti comuni tra il sistema EMAS e quello dell'autorizzazione integrata. Nel dare queste indicazioni al Governo per il recepimento di queste direttive, il Parlamento può inserire degli elementi che includano questi benefici regolamentari per le imprese che seguono il regolamento EMAS. Questo sarebbe di grande aiuto per la diffusione del sistema.

PRESIDENTE. Se non sbaglio, lei fa riferimento alla legge comunitaria 1996-1997.

GIUSEPPE BIANCHI, Presidente della sezione EMAS-Italia. Esatto: è un'occasione che può essere molto utile. L'IPPC, infatti, è obbligatorio, perché prevede una serie di indicazioni che le imprese devono seguire: si potrebbe prevedere che chi aderisce all'EMAS abbia già seguito tali indicazioni, in modo da non far ripetere il ciclo di autorizzazioni alle imprese.

Un discorso a parte deve essere fatto per le piccole imprese e anche per l'artigianato. E' evidente che queste imprese non hanno al loro interno la cultura e la competenza per attuare e seguire le procedure previste dal regolamento EMAS. Inoltre, non dispongono delle risorse economiche per fare gli accertamenti strumentali necessari per la valutazione iniziale della situazione ambientale del sito. Non hanno neanche la possibilità o la capacità di un facile accesso alle nuove tecnologie che consentono un miglior rapporto con l'ambiente. Quindi, sembra necessario organizzare in modo sistematico un supporto per queste aziende per la fornitura di servizi reali di consulenza a costi agevolati. In Italia esistono strutture pubbliche e private che hanno la competenza adeguata per fornire questo supporto. Si tratta di organizzarlo per far sì che le imprese piccole, che in Italia sono la parte preponderante del sistema produttivo, possano inserirsi. Se così non sarà, infatti, fatalmente l'EMAS rimarrà un sistema adottato dalle grandi imprese, ma la limitatezza della diffusione non comporterà i benefici generali cui ho fatto riferimento.

Un'altra modifica allo studio presso la Commissione europea è quella relativa all'estensione del campo di attività dell'EMAS. Attualmente il sistema si applica ai settori industriali. E' opinione ormai condivisa da tutti i paesi comunitari che è opportuno estenderlo a tutti gli altri settori, cioè il commercio, i trasporti, il turismo, le attività terziarie e finanziarie, le scuole, gli ospedali, le agenzie e le istituzioni pubbliche. Una diffusione di tale portata, che investirebbe tutta la vita della nostra società, dei principi di comportamento virtuoso e volontario nei confronti dell'ambiente non potrà non determinare un effetto di grande valenza sul modo stesso di vivere della nostra società. E' quindi comprensibile l'interesse con cui in particolare i governi dei paesi del nord Europa guardano allo sviluppo del regolamento EMAS. In particolare, la Germania sta già operando in questo senso e altri paesi stanno sperimentando l'applicazione dell'EMAS ad altri settori.

In conclusione, si è sempre detto che il problema dei rifiuti è una materia orizzontale che tocca tutti gli aspetti della vita delle società avanzate e organizzate. Si è anche affermato che tale problema, per avere una prospettiva di soluzione, deve poter contare sulla collaborazione attiva di tutti i cittadini, indipendentemente dal ruolo e dall'attività che svolgono. Occorre quindi puntare con grande decisione verso i sistemi che si basano sulla volontarietà degli operatori: bisogna allargare la massa delle persone che operano nel senso richiesto, perché solo attraverso questo allargamento, questo cambio di cultura, si può ottenere il cambiamento necessario per superare il problema dei rifiuti e quello dell'ambiente in senso più lato.

PRESIDENTE. Ingegner Bianchi, è chiaro che il sistema volontario sarà tanto più ampio quanto più potrà avvalersi di benefici regolamentari. Lei ha richiamato l'occasione del recepimento, tramite la legge comunitaria, di alcune importanti direttive sull'IPPC e la valutazione di impatto ambientale. Lei sa che questa è una Commissione di inchiesta in un settore molto delicato come quello dei rifiuti. Forse sarà una domanda banale, ma penso di doverla rivolgere: ritiene che un'applicazione sempre più diffusa di un sistema di qualità nella gestione dei rifiuti da parte delle imprese possa essere un deterrente? Può essere uno strumento anche preventivo per sconfiggere le attività malavitose che si sono inserite nella gestione dei rifiuti in questi anni, anche per l'arretratezza del sistema gestionale e tecnologico del settore?

Prima di darle la parola per le risposte, invito i colleghi che desiderino intervenire a rivolgere i loro quesiti.

ROBERTO LASAGNA. Innanzitutto ringrazio l'ingegner Bianchi per la sua esposizione analitica e completa. Sembrerebbe che il sistema EMAS per le imprese rappresenti un conto senza però implicare dei vantaggi commerciali. Sembrerebbe, cioè, che si tratti di un'aggiunta di costi per l'azienda che decide di aderire. Secondo lei, quale dovrebbe essere la contropartita, oltre a quella che ha citato prima, che mi sembra poco praticabile per le tantissime piccole imprese? Qual è il vantaggio dato alla struttura industriale tedesca, visto che il sistema è nato in Germania?

GIUSEPPE SPECCHIA. Anch'io desidero ringraziare l'ingegner Bianchi per la sua relazione, che fornisce una panoramica completa del sistema EMAS e anche apprezzabili suggerimenti. Per quanto riguarda l'applicazione del sistema in Italia, vorrei sapere se si stiano riscontrando difficoltà applicative e quali siano.

GIUSEPPE BIANCHI, Presidente della sezione EMAS-Italia. Il presidente Gerardini mi ha chiesto se sia possibile attribuire al sistema EMAS una funzione di deterrenza nei confronti del comportamento illecito delle imprese nel settore dei rifiuti. La mia risposta è senz'altro positiva. Premetto che considero necessario mantenere e rafforzare il sistema dei controlli, perché non dobbiamo puntare in maniera acritica su questo strumento volontario: i controlli devono rimanere, devono essere organizzati meglio e potenziati. Ma poiché, per definizione, non possono essere estesi alla totalità delle imprese che operano in Italia, per ottenere un risultato globale a livello nazionale, l'adozione del sistema EMAS deve essere perseguita in maniera specifica.

E' evidente, poi, che se, per dare all'azienda l'iscrizione a questo registro europeo, l'obblighiamo a fare una dichiarazione pubblica sulle condizioni in cui opera, sui suoi impianti e sulle sue emissioni, su come attua il ciclo dei rifiuti e su come intende migliorare l'impatto sull'ambiente, questo rappresenta un deterrente. Non credo che un'impresa che abbia seguito questo sistema cada nella commissione di illeciti. Da questo punto di vista, perciò, se il sistema si diffondesse, si avrebbe un rapporto ottimale con le istituzioni, e quindi l'impresa meriterebbe un atteggiamento più benevolo da parte di chi è tenuto ad effettuare i controlli.

Il senatore Lasagna ha giustamente osservato che l'adesione al sistema comporta delle spese, perché l'azienda deve disporre indagini strumentali sul sito. Si è parlato di bonifiche: l'azienda deve verificare se il suolo su cui è collocata è contaminato, tramite analisi come le trivellazioni, che sono piuttosto costose. Dovendosi dotare di una gestione ambientale di tipo nuovo, deve avvalersi di consulenti che indichino cosa deve essere cambiato. Quindi, è un'attività che comporta certamente dei costi. Il senatore Lasagna ha chiesto: a fronte di questi costi, quali sono i vantaggi per l'impresa? Bisogna fare una serie di considerazioni. La prima è che, dall'applicazione di questi sistemi razionalizzati di gestione dell'ambiente l'azienda trae dei vantaggi economici, perché organizzando meglio la propria produzione e tenendo conto in partenza dei problemi ambientali che comunque incontrerebbe se non vi pensasse prima, migliora anche il suo conto economico. Questo, almeno, è stato il convincimento espresso nelle dichiarazioni di una dozzina di imprese italiane, che a titolo sperimentale e con il supporto economico dell'Unione europea, hanno applicato il sistema: hanno concluso che, alla fine, ne hanno un beneficio economico.

Faccio una piccola digressione. Dopo gli anni ottanta si è fortemente diffuso nelle imprese il sistema di gestione di qualità, con l'adozione di un sistema che consentisse all'azienda di avere garantita la qualità dei prodotti non attraverso una verifica su quelli che escono dalla fabbrica, ma attraverso un controllo di tutte le varie fasi di produzione. Ciò da un punto di vista puramente commerciale, nel senso che un'impresa che si dota di un sistema di garanzia della qualità ne ha dei vantaggi economici e, soprattutto, un'immagine positiva nei confronti dei clienti, che possono essere sicuri che i prodotti di quell'azienda hanno la qualità richiesta. Il sistema di garanzia della qualità si è diffuso moltissimo, anche se in linea di principio non determinerebbe alcun riscontro economico. Lo stesso avverrà, secondo me, in maniera diffusa sul sistema ambientale.

Un altro aspetto probabilmente determinante è connesso alle regole di mercato. Non dobbiamo dimenticare che gli strumenti attraverso cui si penetra nei mercati non sono rappresentati soltanto dal prezzo della merce venduta, ma anche da una serie di altre considerazioni tra cui il rispetto dell'ambiente. Questo aspetto oggi ha una forte presa sull'opinione pubblica: quindi, non è un caso che la Germania si sia lanciata così massicciamente in questo settore, perché intende utilizzare lo strumento ambientale per penetrare sui mercati. Penso che tra non molto non si potranno esportare in Germania prodotti provenienti da imprese che non abbiano la certificazione ambientale. Questo non è ancora avvenuto, ma è possibile che avvenga. Allora, sotto questo punto di vista, più che essere un vantaggio diventa una necessità, per le imprese.

Certo, come ho già avuto modo di osservare, per le piccole imprese il discorso è diverso, perché le spese e le competenze necessarie sono tali da non essere per loro disponibili. Poiché il sistema produttivo italiano è basato essenzialmente proprio sulle piccole imprese, è qui che si deve intervenire. Bisogna intervenire con strutture pubbliche in modo da dare non denaro, ma assistenza tecnica a costi contenuti.

Il senatore Specchia mi ha posto una domanda sulle difficoltà di applicazione in Italia.

GIUSEPPE SPECCHIA. Visto che siamo partiti a febbraio, evidentemente qualcosa non ha funzionato.

GIUSEPPE BIANCHI, Presidente della sezione EMAS-Italia. Sì, ho capito. Difficoltà ne abbiamo avute, perché l'organismo si è insediato nel febbraio di quest'anno su invito del ministro dell'ambiente ad operare in maniera volontaria, dato che ancora non esisteva la legge che avrebbe concesso le risorse per il suo funzionamento. Abbiamo avuto il sostegno dell'ANPA, però questo sostegno, in mancanza di un impegno economico, è stato molto faticoso da ottenere.

PRESIDENTE. Ma oggi esiste anche un "volontariato ministeriale"...

GIUSEPPE BIANCHI, Presidente della sezione EMAS-Italia. Sì, io non ho preso una lira! Ma questo passi...

PRESIDENTE. Però adesso la legge c'è.

GIUSEPPE BIANCHI, Presidente della sezione EMAS-Italia. Sì, ma non è stata ancora resa operativa. Vorrei aggiungere che della sezione EMAS fanno parte due componenti non di Roma, uno di Padova e l'altro di Bari: finora hanno sostenuto da sé le spese, esponendosi nei confronti dell'amministrazione per decine di milioni. Sono difficoltà che abbiamo avuto, perché non è facile operare in queste condizioni. Ma il nostro entusiasmo ha in parte sopperito. Il tempo che abbiamo impiegato, da febbraio ad oggi, a darci un regolamento, scrivere le procedure e attivarci nell'opera di diffusione, partecipando a convegni e anche ad incontri dell'Unione europea, è stato davvero molto. Ma forse - dico forse perché ancora non è sicuro - riusciremo a vedere i primi siti registrati in Italia entro l'anno, e questo rappresenta un fatto quasi eccezionale, perché gli altri paesi, che sono partiti prima di noi, hanno impiegato molto più tempo per la fase di avvio. Adesso vedo meno difficoltà, perché la legge di finanziamento esiste e, prima o poi, questi soldi ce li daranno. L'ANPA dovrebbe essere autorizzata a darci il supporto funzionale, oltre che tecnico, e quindi mi auguro che, dal punto di vista dell'organismo, non ci siano difficoltà per lo sviluppo del sistema: si tratterà di promuoverlo e di farlo diffondere nel paese.

GIUSEPPE SPECCHIA. Vorrei capire fino in fondo come il sistema Italia possa applicare questi strumenti. Essendo passati circa dieci mesi, disponete di tutte le strutture necessarie a procedere o esistono ancora problemi?

GIUSEPPE BIANCHI, Presidente della sezione EMAS-Italia. La sezione dispone di due locali presso l'ANPA dotati di un computer, due telefoni e una sala per le riunioni. Inoltre, possiamo muoverci in Italia a spese dell'ANPA, anche se la formalizzazione dei capitoli di bilancio ancora non c'è stata, nel senso che il capitolo di bilancio non è stato ancora aperto e i fondi all'ANPA non sono ancora stati trasferiti. Al momento, quindi, ancora non abbiamo la piena disponibilità delle risorse. Tuttavia, come ho detto prima, le prospettive sono oggettivamente positive. Poiché la legge esiste, penso che il Ministero del tesoro prima o poi aprirà questo capitolo e che quindi i soldi siano effettivamente disponibili.

ORESTE ROSSI. Presidente, purtroppo devo allontanarmi per altri impegni parlamentari. Sarebbe opportuno che, nei giorni precedenti le audizioni, fossero diffuse le memorie scritte predisposte dagli auditi, in modo che ce le possiamo studiare preventivamente, le relazioni introduttive siano più brevi e si possa dedicare più tempo alle domande e alle risposte.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi, l'esigenza che pone è giusta: nei limiti del possibile cercheremo di soddisfarla.

ROBERTO LASAGNA. Ingegner Bianchi, dato che l'EMAS rientra a pieno titolo negli accordi paneuropei, immagino che lei abbia avuto un certo successo presso i gruppi nazionali come l'IRI, l'AGIP e l'ENEL. Vorrei sapere a quale punto siano questi gruppi nell'adesione a questo meccanismo.

GIUSEPPE BIANCHI, Presidente della sezione EMAS-Italia. Come ho accennato, negli ultimi dieci mesi ho partecipato a moltissimi incontri organizzati da vari istituti come associazioni di industriali, associazioni ambientaliste, autorità locali e regioni. Ho girato il paese in lungo e in largo. Lei mi ha chiesto specificamente a che punto siano i grandi gruppi industriali nei confronti dell'EMAS. Ho posto questa specifica domanda al dottor Berbabé in occasione della presentazione della relazione ambientale che l'ENI predispone ogni anno. Ho chiesto quale fosse il loro atteggiamento nei confronti dell'EMAS e quali imprese intendessero far aderire. La risposta è questa: l'indirizzo che Bernabé ha dato alle imprese del gruppo è di aderire all'EMAS senza esitazioni. Mi ha detto che stanno già lavorando in questo campo, e che la prima azienda sarà l'Enichem di Brindisi, che è un grosso complesso industriale.

Per quanto riguarda l'ENEL, il presidente Testa ha assicurato che stanno lavorando attivamente e hanno già dieci consulenti per impostare l'EMAS per le centrali elettriche.

ROBERTO LASAGNA. In particolare nel golfo di La Spezia?

GIUSEPPE BIANCHI, Presidente della sezione EMAS-Italia. Mi sembra di sì. Ha detto che il 50 per cento delle centrali seguirà il regolamento EMAS.

Dall'IRI non ho avuto indicazioni, ma l'interesse con cui questo argomento è seguito è molto forte, come ho potuto verificare partecipando a questi incontri. Se la parte pubblica sarà attenta e vigile, penso che il sistema si svilupperà.

PRESIDENTE. Le rivolgo un'ultima domanda, ingegnere. Qual è il rapporto tra l'EMAS e le autorità di controllo nel nostro paese? Gli altri paesi come vivono questo rapporto?

GIUSEPPE BIANCHI, Presidente della sezione EMAS-Italia. Questa è una domanda molto pertinente e si collega in parte al discorso dei benefici regolamentari. Negli altri paesi, e in particolare in Germania (che essendo il paese più sviluppato da questo punto di vista deve fare un po' scuola), esiste una prassi, non so se consolidata dalla legge, in base alla quale le autorità di controllo, quando vanno a compiere un'ispezione presso un sito e riscontrano alcune non conformità rispetto alla legge, si comportano in maniera negoziale: trattano cioè con l'azienda i tempi e i modi per l'eliminazione di queste non conformità. Questo è un dato molto importante, che nel nostro paese è stato recepito nella legislazione sulla sicurezza (anche se non ricordo quale sia la legge che l'ha recentemente introdotta). Mi riferisco alla possibilità di consentire alle aziende che hanno queste non conformità di impegnarsi a risolverle entro certi tempi e in certi modi, impedendo quindi che scatti subito la penalizzazione. Se scatta la penalizzazione sia pecuniaria sia penale, infatti, la tendenza dell'operatore sarà quella di nascondere la non conformità; se invece si cerca di stabilire un rapporto franco e aperto, si favorisce la dichiarazione spontanea, volontaria da parte dell'operatore che dirà: su questo punto non sono a posto, ma sto agendo per risolvere la situazione ed entro determinati tempi rimedierò.

Penso che il compito dell'EMAS sia quello di favorire questo rapporto anche in Italia. Meglio se sarà regolamentato per legge, cioè che quanto è stato deciso per la sicurezza sia esteso a tutti gli aspetti ambientali. Questo ci fornirà uno strumento in più per venire incontro a chi si trova in difficoltà dal punto di vista della regolamentazione ambientale.

PRESIDENTE. La ringrazio, ingegner Bianchi. La sua audizione è così conclusa.

Procediamo ora all'audizione del dottor Mascazzini, direttore generale del Ministero dell'ambiente.

Dottor Mascazzini, la Commissione ha affrontato i temi delle bonifiche e dell'attività di recupero dei rifiuti, in particolare in relazione al CDR. La Commissione è inoltre interessata all'individuazione dei numerosissimi siti inquinati presenti nel nostro paese. Le chiediamo, perciò, di riferirci sui temi cui ho accennato e di illustrarci gli interventi del Ministero dell'ambiente su tali questioni. Ricordo che l'articolo 17 del decreto legislativo n. 22 è stato di recente modificato.

GIANFRANCO MASCAZZINI, Direttore generale del Ministero dell'ambiente. Signor presidente, dirigo il servizio che, presso il Ministero, si occupa della tutela delle acque e della gestione dei rifiuti. Mi scuso con la Commissione per non aver predisposto una relazione scritta, ma non ne ho avuto il tempo. Mi si chiede di riferire su un'attività normativa tecnica in divenire, di conseguenza posso esporre il mio pensiero personale parlando a braccio e in risposta a domande, ma con la precisazione che al momento si tratta delle opinioni del direttore generale, e non certo di testi normativi.

PRESIDENTE. Si tratta di opinioni molto autorevoli: lei è qui anche per questo.

GIANFRANCO MASCAZZINI, Direttore generale del Ministero dell'ambiente. Grazie, presidente, il mio rispetto per il Parlamento è massimo: sono certo che dal dibattito odierno emergeranno orientamenti dei quali faremo tesoro.

Per quanto riguarda il recupero, come gli onorevoli parlamentari sanno, esiste un testo che è stato presentato a Bruxelles ormai da molto tempo, per la precisione dalla fine di agosto. A Bruxelles hanno già cominciato ad esprimere una serie di indicazioni. La massiccia applicazione della procedura semplificata in materia di recupero operata dal legislatore italiano e contenuta nella normativa tecnica di attuazione sta sollevando preoccupazioni a livello comunitario. Alcune di queste sono preoccupazioni formali perfettamente comprensibili, altre sono ipotetiche preoccupazioni ambientali; ma temo che dietro le preoccupazioni ambientali così come ci vengono o meno illustrate vi siano preoccupazioni di ordine economico. In altri termini, ho il timore che a livello comunitario gli altri paesi, pur esprimendo censure di tipo tecnico sulle nostre proposte, in realtà stiano cercando di evitare che, attraverso una puntuale applicazione delle direttive comunitarie, nel nostro paese si giunga ad avere una normativa ambientalmente qualificata ma economicamente vantaggiosa per il sistema delle imprese che si accinge ad applicarla.

Credo che molte delle obiezioni poste dalle delegazioni degli altri paesi per esempio in materia di rifiuti pericolosi possono avere questa vera radice. In altri termini, si pensa, e in alcuni casi in via del tutto informale si dice, che l'industria italiana si trova a poter applicare, per il combinato disposto della direttiva comunitaria e del suo recepimento da parte del legislatore nazionale, un meccanismo meno oneroso, più semplice e più vantaggioso rispetto a quelli di autorizzazione nominativa che colpiscono le imprese degli altri paesi. Credo che quello che l'Italia ha utilizzato sia un modello molto originale. Ricordo che la possibilità di varare norme di semplificazione procedurale in materia di rifiuti non pericolosi e, soprattutto, di rifiuti pericolosi è stata introdotta durante la Presidenza italiana: le direttive risalgono al 1991 e la Presidenza del Consiglio dei ministri dell'ambiente europei, alla data dell'approvazione definitiva della direttiva medesima, era affidata al nostro ministro Ruffolo. Da questi aspetti economici che non vengono chiaramente evidenziati si possono anche desumere il tenore e la legittimità di certe critiche.

In materia di rifiuti non pericolosi il meccanismo è più semplice. Da Bruxelles ci hanno fatto avere una serie di osservazioni per le vie informali. In sede di ridefinizione del testo che abbiamo predisposto tenendo conto delle variazioni avvenute nel decreto legislativo e delle osservazioni stesse - oltre a quelle presentate dalle regioni - abbiamo ridefinito la materia dei rifiuti non pericolosi. Siamo in attesa che i Ministeri dell'industria, della sanità e delle risorse agricole ci aiutino a definire le procedure semplificate per i rifiuti destinati ad uso mangimistico e destinati alla produzione di fertilizzanti. In sede di decreto legislativo si è dovuta recepire un'osservazione puntuale della Commissione, e di conseguenza è probabile che sia opportuno introdurre nella procedura semplificata anche le attività di produzione dei mangimi e dei fertilizzanti; altrimenti, avverrebbe che tali attività siano sottoposte alle procedure ordinarie di cui agli articoli 27 e 28. Noi abbiamo fatto presente questo rischio e siamo in attesa delle osservazioni dei colleghi dei ministeri per poter chiudere questa vicenda.

PRESIDENTE. Poiché sta parlando di procedure, ricordo la famosa stand still europea, cioè il periodo di 90 giorni entro cui la Commissione deve pronunciarsi per l'autorizzazione definitiva a queste norme. Lei ha parlato di ridefinizione del testo. Questo comporterà una rinotifica delle norme tecniche?

GIANFRANCO MASCAZZINI, Direttore generale del Ministero dell'ambiente. E' uno dei problemi. Non vorremmo che questi aspetti di tecnicismo di applicazione delle direttive fossero utilizzati nei confronti del nostro paese per scoraggiare l'applicazione. Ma io ritengo che dividere il decreto, operare approvando definitivamente il testo relativo a tutti i recuperi in energia di rifiuti non pericolosi ci consenta di portarlo in attuazione. Esistono tecniche che alcuni paesi hanno seguito con l'avallo dell'Unione europea anche in materia di rifiuti pericolosi che potremmo utilizzare: si tratterebbe di introdurle nell'ordinamento con un decreto, di aspettare la scadenza e di riadottare il decreto allo scadere dei 90 giorni. E' una serie di alternative di carattere anche formale sulle quali non mi sento di dare alla Commissione una risposta. Stiamo valutando tutta questa serie di aspetti che possono consentirci di accelerare l'applicazione, perché riteniamo che la semplificazione sia contemporaneamente un beneficio per la tutela dell'ambiente e un beneficio economico. Le procedure complicate non tutelano l'ambiente e generano costi extra per le imprese, come credo questa Commissione abbia già avuto modo di vedere.

Le osservazioni comunitarie in materia di rifiuti non pericolosi ci stanno punendo. Mi riferisco, per esempio, al fatto che loro non considerano un'operazione di recupero quella compiuta sulla selezione. Noi rispondiamo dicendo che se non è soltanto quella un'operazione di recupero, certamente anche quella è un'operazione di recupero: sarebbe il colmo dover mandare la selezione all'autorizzazione nominativa per poi avere l'utilizzazione finale con la semplice comunicazione. Al massimo, si potrebbe superare con la doppia comunicazione da parte di colui che esercisce l'impianto di selezione e da parte di colui che esercisce l'impianto di recupero finale. Queste sono nostre opinioni, nostre proposte, che dovremo confrontare con i colleghi degli altri ministeri. I ministri dovranno poi concertare come assumere la posizione definitiva.

Ci è stata rivolta una serie di osservazioni su alcuni codici. Abbiamo rimediato alle osservazioni fatte e stiamo cercando di eliminare dal recupero energetico con procedura semplificata tra i rifiuti non pericolosi, il tar, il petcoke e la pollina. Stiamo cercando di ridefinire puntualmente la procedura di rilevazione delle emissioni, per evitare un problema che avrebbe determinato una difficoltà inutile. Stiamo modificando i test di cessione, rendendoli maggiormente garantisti, introducendo nei nuovi test anche ulteriori parametri analitici, ad esempio sul selenio e sul carbonio. Stiamo allargando i test di cessione ai manufatti, perché ci è stato detto che, se si utilizzano determinati fanghi nella realizzazione di determinati manufatti, e questi manufatti vengono a contatto con sostanze alimentari, si possono creare degli inconvenienti. Stiamo migliorando, così come ci è stato richiesto, la formulazione relativa al discorso della percentuale. Pare che uno Stato membro abbia osservato che la legislazione italiana non rispecchia la normativa comunitaria perché non reca il parametro della quantità, e cioè non fissa i quantitativi che possono essere recuperati. Noi, invece, sosteniamo di averli fissati con un meccanismo unico. E' impossibile fare diversamente: non possiamo dire che si possono recuperare 50 chili o 500 tonnellate di carta, ma che si può effettuare il recupero in relazione al potenziale dell'impianto che lo effettua. Queste sono norme tecniche generali che coprono procedure automatiche. Possiamo dire che la carta straccia può raggiungere la quota del 100 per cento della materia prima che va a sostituire, ma non possiamo certamente dire in una norma generale che vi sia un valore assoluto di recupero. Pur avendolo spiegato in tutti i modi possibili e immaginabili, ci hanno chiesto una riformulazione di questa espressione perché, anche se non sanno cosa obiettarci, la ritengono comunque insufficiente. Del resto, è così interessante gestire questa procedura che riteniamo che qualsiasi sforzo debba essere fatto.

Per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi, la mia sensazione è che riusciremo a fare il miracolo di metterci d'accordo fra ministeri e che riusciremo a portare a casa il risultato da Bruxelles senza ulteriori informazioni. Parlo di miracolo perché ciascun ministero difende posizioni assolutamente legittime, ma che sono evidentemente diversificate e il testo deve rappresentare una sintesi: ma le sintesi non sono mai le attività più semplici da parte della pubblica amministrazione. Una sintesi estremamente qualificata è già stata fatta con l'approvazione del testo che è stato trasmesso a Bruxelles. Sono sicuro che arriverà una nuova sintesi su queste modifiche e su queste integrazioni.

Perché il discorso del recupero è importante? Indubbiamente perché offre al sistema delle imprese uno strumento estremamente agevole per gestire i propri rifiuti di produzione. Sono moltissime le voci che sono state contemplate nella procedura semplificata, ma si è tolta quella che le imprese temevano maggiormente, cioè un'intromissione pesante di aspetti burocratici come le autorizzazioni nominative, cioè l'obbligo, in molti casi, di giungere a conferenze di servizi, che sono particolarmente complesse ed onerose.

Il sistema delle imprese agisce sui suoi rifiuti di produzione con estrema rapidità. La sensazione che tutti abbiamo è che i rifiuti industriali stiano riducendosi quantitativamente, perché l'industria, avendo colto l'aspetto della produzione dei suoi rifiuti come un costo industriale, sta tagliando questo costo esattamente come gli altri costi industriali. Utilizza perciò lo strumento del recupero come un modo per tagliare costi industriali.

Condivido pienamente le osservazioni sulla portata degli strumenti moderni, cioè il discorso della qualità ambientale come un palese stimolo per l'impresa ad accelerare i tempi. Il tradizionale beneficio economico che l'impresa ha riducendo i costi di produzione agisce assieme ai benefici più attuali - potersi presentare con un'immagine pulita perché si è adottata una politica ambientale - e questo contribuisce a comprimere i rifiuti.

Consideriamo strategico il problema del recupero soprattutto per la gestione della tipologia di rifiuti a fine consumo. Mi riferisco ai rifiuti domestici e urbani, ma anche ad altri rifiuti legati al consumo del cittadino, come i pneumatici, gli imballaggi e molte altre cose che vengono gettate regolarmente nei cassonetti. Basterebbe aprirne uno per capire quanto sia vasto il problema. Non parliamo soltanto di rifiuti domestici, bensì di una serie di rifiuti molto più variegata.

L'applicazione della normativa tecnica, delle misure comunitarie e del meccanismo del recupero attraverso la comunicazione credo possa dare un risultato estremamente positivo anche a questo proposito. Perché? Innanzitutto perché, nel momento in cui si fa la raccolta differenziata, per una quota del 35 per cento, dobbiamo massimizzare la facilitazione di reimpiego delle materie raccolte separatamente, cioè la carta, la plastica, il vetro, il metallo, il legno e anche il materiale organico se, come è obbligatorio, anche questo viene raccolto separatamente. Ma se raccogliamo separatamente la frazione umida - quella nobile, per intenderci - e poi sottoponiamo la sua trasformazione ad autorizzazioni nominative e alla realizzazione di impianti con procedure di pianificazione, non risolveremo tanto presto questo problema: in discarica troveremo ciò che avremo raccolto separatamente, perché sarà ben difficile attuare una trasformazione facile ed economica. Il meccanismo delle procedure di comunicazione sicuramente incide in maniera assolutamente positiva - già le norme attualmente esistenti consentono il recupero semplificato - sulla produzione di compost. Le norme tecniche riguardano infatti anche la produzione di compost.

A questo proposito, è stato approvato e sottoscritto dai quattro ministri competenti (cioè quelli della sanità, dell'ambiente, dell'industria e delle risorse agricole) anche il decreto per l'utilizzazione del compost: un compost fatto anche con la parte organica dei rifiuti urbani, che può essere utilizzato in libera commercializzazione, quindi un vero prodotto. Questa è una dimostrazione di come la norma possa funzionare. Ma, a nostro avviso, la norma delle procedure semplificate può funzionare anche nella gestione del restante 65 per cento (ciò che rimane dal 100 per cento dopo aver sottratto il 35 per cento di raccolta differenziata).

Come può risultare agevolativa la procedura che abbiamo avviato con gli organismi competenti di Bruxelles, e che mi auguro possa comparire presto sulla Gazzetta Ufficiale, a questo fine? Nella produzione e nell'utilizzazione del combustibile alternativo derivato dai rifiuti solidi urbani, o meglio dai rifiuti a fine consumo. Il legislatore ha facilitato questa via, perché l'articolo 22, al comma 11, consente che questi impianti, naturalmente a particolari condizioni, siano esclusi dai piani regionali: questo consente un intervento diretto del sistema delle imprese nella gestione di tali rifiuti. Se pensiamo all'utilizzazione energetica, alla combustione, apriamo immediatamente ad un sistema di imprese che già esistono, ad investimenti industriali già compiuti: pensiamo ai cementifici, alle centrali termiche o comunque agli utilizzatori di carbone. Questo sistema di imprese già esiste e ha già sopportato i propri costi di investimento: se riusciamo a dargli un combustibile alternativo in condizioni qualitative accettabili sono nella perfetta condizione di impiegarlo in termini sostitutivi del combustibile di importazione, che nel caso specifico è il carbone. Credo che questa sia una dimostrazione dell'integrazione tra il sistema industriale e la gestione dei rifiuti prodotti nel territorio.

Cito poi l'articolo 31, comma 3, sulle procedure semplificate: addirittura gli impianti si possono realizzare in siti industriali esistenti, a condizione che l'inquinamento atmosferico sia ridotto complessivamente e che, anche con l'introduzione del nuovo apparato, si possano realizzare i combustori in termini estremamente più semplificati. Si può immaginare il vantaggio che ne deriva nei rapporti con l'opinione pubblica, perché si può dire agli abitanti nel territorio che gli si risolve un problema gravissimo, che magari si portano dietro da anni. Penso, per esempio, ad alcune regioni che versano in condizioni di emergenza, nella gestione dei rifiuti, da due o tre anni, o ad altre che in tale situazione sono appena entrate, come la Calabria, la Puglia e la Campania. Poter dire agli abitanti di quelle zone che, riducendo complessivamente l'emissione nella bolla, si può anche realizzare un intervento di gestione termica, di combustione del rifiuto, credo sia un importante argomento di comunicazione anche per la conclusione di un accordo sostanziale senza il quale la realizzazione di questi impianti sarebbe particolarmente difficile.

L'articolo 33, comma 9, concerne l'applicazione dei benefici economici, quello che io definisco il CIP-7, perché il legislatore prevede che vi sia una particolare agevolazione relativamente all'energia prodotta con l'impiego di combustibili alternativi derivati dai rifiuti, e in particolare da quelli domestici. Il cittadino che oggi paga la corrente elettrica ad un prezzo maggiorato perché una quota, piccola ma comunque significativa, delle tariffe va a vantaggio dell'energia elettrica prodotta mediante turbogas, può sentirsi più tranquillizzato se questa quota va a vantaggio della gestione dei rifiuti che lo riguarda direttamente. Se riusciamo a pagare il CIP-6 e ad avere la gestione dei rifiuti solidi urbani (il 65 per cento residuale) a costo zero, si può evidentemente immaginare di aver compiuto un grosso passo avanti. Poiché questo, di fatto, in alcune aree del paese si sta già facendo, se riusciamo ad allargare questa situazione ad altre zone - dove oggi si paga di più la corrente senza avere il beneficio della gestione dei propri rifiuti - otterremo un risultato non secondario.

Qualcuno ha detto che i cittadini di Brescia sono avvantaggiati perché accendono la luce e pagano, ma quando smaltiscono i rifiuti pagano un po' meno; i cittadini di Napoli, invece, accendono la luce e pagano, ma quando gestiscono i loro rifiuti non sono avvantaggiati (tanto per essere chiari). Credo che anche i cittadini di Napoli abbiano il diritto di essere avvantaggiati. Allora, un vantaggio economico, una migliore situazione ambientale e la definitiva soluzione del problema dei rifiuti costituiscono evidentemente un risultato assai importante. Questo è ciò che il legislatore ci ha messo davanti con grande sensibilità e intelligenza: non possiamo uscire dalle discariche di cui all'articolo 12 prima e all'articolo 13 adesso se non immaginando una reale alternativa industriale a questo problema. L'alternativa deve essere quella reale e industriale che vede impegnate le migliori forze del paese. Altrimenti, credo che il lavoro della Commissione potrà protrarsi per molti anni ed essa si vedrà subissata da situazioni e casi diversi tra loro ma tutti riconducibili alla medesima fattispecie. Se non interviene il grande comparto industriale - non faccio questioni di pubblico o privato, perché ormai credo che queste differenze siano superate -, con trasparenza nell'investimento, nella determinazione dei costi di gestione e nella gestione ambientale, oltre che sottoposto a tutte le cautele accessorie necessarie e aggiuntive al formale rispetto dei limiti, sottoposto quindi a veri controlli, ad autocontrolli tramite certificazioni, dal problema dei rifiuti urbani avremo difficoltà ad uscire. Si tratta, infatti, di 26 milioni di tonnellate, un quantitativo talmente grande che il problema può essere risolto solo con un grande sforzo industriale.

Se questo sarà possibile, lo vedremo realizzato innanzitutto nelle realtà in cui vi è una gestione più centralizzata, dove cioè la questione è nelle mani di un prefetto o di un presidente di giunta regionale. Penso al prefetto di Napoli, che gestisce le discariche-ponte, e al presidente della regione Campania, che sta cercando di realizzare l'altra sponda del ponte, cioè l'uscita definitiva dal sistema attraverso la realizzazione di impianti per l'utilizzazione definitiva dei rifiuti.

A questo punto si comincia a capire la portata della norma in tutta la sua compiutezza. Con il recupero, con le procedure semplificate, con le procedure accessorie introdotte dal legislatore collegate al recupero, si introduce una semplificazione riguardo ai flussi della carta, ai flussi della plastica, a quelli del vetro, dell'alluminio e del materiale organico, ma si introduce una semplificazione anche sulla parte rimanente, che in un primo tempo si può trasformare in combustibile e in un secondo tempo in vapore o comunque in energia.

PRESIDENTE. Dottor Mascazzini, può darci i dati quantitativi e qualitativi su questo combustibile?

GIANFRANCO MASCAZZINI, Direttore generale del Ministero dell'ambiente. Il dato quantitativo è del 50 per cento dell'attuale quantitativo complessivo, calcolato equivalente al 65 per cento del totale (perché va detratta la quota del 35 per cento di materiale recuperato); se il rifiuto così ottenuto è equiparato a 100, 50 può diventare combustibile, perché comunque bisogna calcolare gli sfridi e una buona percentuale di rifiuti che sarebbe dannoso inviare a combustione.

Gli impianti di combustibile RDF non sono stati immaginati ora, perché nel nostro paese sono stati avviati molti anni fa. Si tratta, perciò, di integrarli e di qualificarne la funzione, per poi semplificare la fase della combustione, perché altrimenti finiscono con il produrre qualcosa che non trova disponibilità di mercato.

Se i quantitativi sono quelli che ho detto, possiamo immaginare di avere a disposizione del paese, in linea del tutto teorica, tra i 10 ed i 13 milioni di tonnellate all'anno di combustibile alternativo. Certo, non si tratta di un combustibile pregiatissimo, non stiamo parlando di metano né di olio. Ma parliamo di un carbone, che se, come è stato ipotizzato e poi tradotto nel testo del decreto attualmente in esame a Bruxelles, deriverà dalla miscela di ciò che usualmente si trova nei rifiuti domestici più (fino ad un massimo del 50 per cento del peso totale) altri rifiuti di fine uso, come le gomme d'auto piuttosto che i rifiuti di plastica, ha un potere calorifico buono ed una maggiore stabilità...

PRESIDENTE. Si riferisce ai pneumatici?

GIANFRANCO MASCAZZINI, Direttore generale del Ministero dell'ambiente. Sì, alle gomme d'auto a fine uso che vanno a distruzione. Questo migliora notevolmente il potere calorifico, lo stabilizza e consente, attraverso la miscela, di omogeneizzare le partite. L'utilizzatore industriale chiede un combustibile omogeneo, non accetta un combustibile che abbia continui alti e bassi nel potere calorifico: vuole un combustibile per uso industriale. Del resto, è chiaro che un cementificio deve avere un combustibile omogeneo, perché se gli si dà un altro tipo di prodotto, anche gratuitamente, non potrà recepirlo, in quanto influirebbe negativamente sulla complicata gestione dell'attrezzatura industriale.

Direi che può considerarsi superato il periodo di frizione sul problema concernente il mancato uso delle gomme d'auto tali e quali, perché coloro che le utilizzavano ci rimproveravano di vietarne l'uso, mentre noi rispondevamo che pensavamo soltanto a migliorarne la valorizzazione attraverso la miscelazione in produzione di CDR, e non ritenevamo che chi produce il CDR deve trattare obbligatoriamente anche le gomme: noi prevediamo un combustibile che, miscelando i vari ingredienti, dia una risposta positiva al mondo dell'industria. Quest'ultimo, infatti, è sempre più tecnologico e quindi accetta gli scostamenti con dispiacere: gli scostamenti della qualità in ingresso si riflettono inevitabilmente sulla qualità in coda, sulla qualità del prodotto, diventano scostamenti anche nelle emissioni. Se il forno per la produzione di cemento funziona male, il cementiere non vuole quel combustibile.

PRESIDENTE. Questo come incide sul sistema impiantistico? Siamo in grado di recepire le novità riguardanti l'ex RDF o sono necessari sostanziosi investimenti da parte del sistema industriale?

GIANFRANCO MASCAZZINI, Direttore generale del Ministero dell'ambiente. Sia dal sistema industriale esistente, e penso prevalentemente ai cementifici, sia dall'ENEL, con le sue centrali a carbone (l'ente è di gran lunga il maggior utilizzatore di questo tipo di centrale nel nostro paese), abbiamo ricevuto manifestazioni di interesse positive: naturalmente, previa una sperimentazione, perché è necessario essere sicuri che il nuovo combustibile, con il cloro, non corroda manufatti industriali del valore di centinaia di miliardi. Ma tutti coloro che hanno effettuato la sperimentazione, come ad esempio i cementieri, sono riusciti a trovare forme di compensazione attraverso le quali un combustibile stabilizzato, omogeneizzato, con caratteristiche uniformi e costanti, può essere correttamente impiegato, nel rispetto rigoroso delle emissioni che è stato introdotto.

So che sulle emissioni vi è una polemica. Io non sono mai stato accusato di essere filoindustriale, ma debbo dire onestamente che in questo ultimo periodo vi è stata una riflessione estremamente positiva dell'industria interessata alla possibilità di impiegare questo combustibile. Certo, si tratta di un combustibile che ha un costo inferiore, di un combustibile del quale si immagina che comporti un beneficio (il famoso CIP-7 o il vecchio CIP-6): ma in ogni caso stiamo assistendo a manifestazioni di interesse che non sono più formali, generiche, ma concrete. E' chiaro che il sistema potrà stabilizzarsi in futuro, e vedremo quale teoria prevarrà quando andremo alla realizzazione concreta caso per caso. Io ritengo che, nel lungo periodo, date le quantità esistenti, il sistema industriale esistente non potrà essere sufficiente. Se immaginiamo di sostituire il 10-15 per cento del carbone dell'ENEL o il 10, massimo 20 per cento del combustibile dei cementifici (i cementieri utilizzano poco più di 3 milioni di tonnellate di carbone all'anno), arriviamo ad una quota di circa 600 mila tonnellate. Di conseguenza, il problema non è risolto per intero, ma si può avere il tempo di avviare a realizzazione, con le dovute sperimentazioni, impianti dedicati.

PRESIDENTE. Quindi, lei ritiene che la realizzazione del programma di utilizzo di questo nuovo combustibile possa essere uno strumento utile a superare l'emergenza rifiuti nel nostro paese?

GIANFRANCO MASCAZZINI, Direttore generale del Ministero dell'ambiente. Sicuramente, presidente. In Campania, dove vi è un vasto spiegamento di forze (prefetto, regione, province, comuni, Ministeri dell'industria e dell'ambiente), è probabile che si trovi una soluzione a due tempi: in un primo tempo, con la produzione di questo combustibile e l'utilizzo del medesimo nel sistema industriale esistente che attualmente funziona a carbone al 100 per cento; poi, o contemporaneamente, con la realizzazione di impianti definitivi, che richiedono tempi di realizzazione decisamente più lunghi. Possiamo essere sicuri, in 12 mesi, di mandare in esercizio un impianto per produrre combustibile, ma dobbiamo immaginarne 36 per mandare in esercizio un impianto che faceva combustione dello stesso combustibile.

Queste sono, pertanto, le ricadute che dovrebbero derivare dall'applicazione di questa logica. La gestione dell'emergenza nelle regioni in cui essa è documentata e formalizzata tramite una dichiarazione del Consiglio dei ministri e l'applicazione delle ordinanze ci può portare ad una veloce sperimentazione di queste teorie, da cui potrà derivare un risultato che tutti ci auguriamo sia positivo.

Il presidente mi ha invitato a riferire anche sul complicatissimo problema delle bonifiche. In tutti i paesi che hanno una lunga tradizione industriale la gestione dei siti inquinati dai rifiuti industriali ha comportato dei problemi. Nel nostro paese si sono aggiunti ritardi nell'utilizzo di sistemi di depurazione. In provincia di Napoli, per esempio, vi sono piccoli laghi vulcanici che si sono tramutati in sedimentatori, essendo praticamente la destinazione finale di scarichi non depurati. Nel momento in cui si comincia a pensare di intervenire su un sito come quello di Porto Marghera - tanto per citare un esempio, che la Commissione conosce sicuramente benissimo -, con i canali della laguna più vicini all'area industriale dove le industrie lavorano da 70 anni, ci si può immaginare quale tipo di problemi si possono incontrare. Come la Commissione sa, il Ministero dell'ambiente, assieme alla Presidenza del Consiglio, si è costituito parte civile nel processo riguardante questa situazione. Forse, quello di Venezia è il caso più clamoroso per dimensioni e per problemi provocati nel nostro paese, ma vi sono anche altri siti, come i vecchi siti di industrializzazione siderurgica, chimica o petrolchimica - per esempio l'ACNA - che denotano gravissimi problemi. Definire gigantesco il problema delle bonifiche credo sia un eufemismo.

Se il problema dei rifiuti domestici, infatti, può essere in parte risolto tramite la base finanziaria che si crea con il prelievo presso i cittadini, il problema dei siti industriali del passato da bonificare non può valersi di una base finanziaria costituita allo scopo, perché nessuna industria italiana ha accantonato fondi specifici per affrontare passività ambientali di queste dimensioni. Del resto, non lo ha fatto neanche la pubblica amministrazione, e di conseguenza ci troviamo ad affrontare quotidianamente, anno per anno, le conseguenze di errori del passato.

La recentissima modifica delle disposizioni dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 22 credo sia di grande interesse, perché estende in modo puntuale il censimento delle aree da bonificare, prevedendo che l'amministrazione centrale si colleghi con le regioni e che il censimento sia esteso alle aree di produzione, di raccolta, di smaltimento e di recupero dei rifiuti. Mi riferisco, in particolare, ai sistemi industriali con impianti a rischio rilevante. Dobbiamo immaginare che vi sia una puntuale identificazione delle aree che sono servite o servono al sistema industriale, e in particolare a quello della gestione dei rifiuti, in modo da sapere quali debbano essere bonificate.

Su questo è in corso nel nostro paese un dibattito culturale. Credo che il legislatore abbia perfezionato l'articolo 17 introducendo una mitigazione del principio secondo cui chi inquina paga: la formulazione originaria, infatti, si limitava a prevedere che l'intervento era sempre e comunque a carico del soggetto responsabile o comunque del proprietario dell'area. Di conseguenza, l'intervento pubblico sarebbe avvenuto soltanto in danno, con il recupero e la rivalsa; la nuova formulazione aggiunge la possibilità di un intervento finanziario pubblico addirittura fino alla misura del 50 per cento, compiendo così un salto di qualità nell'affrontare il problema. Questi problemi, altrimenti, sarebbero rimasti in parte occultati, perché credo che di fronte al rischio di affrontare una pesantissima passività, probabilmente l'azienda o il proprietario del terreno avrebbero mirato ad occultare queste situazioni. Ora, invece, con un intervento pubblico fino ad una misura del 50 per cento, questo discorso può venir meno. E' chiaro che bisogna valutare anche di quale cifra sia la quota del 50 per cento, e questo è un problema che il Parlamento dovrà affrontare anche sulla base delle indicazioni che gli arriveranno dai censimenti e dall'applicazione ai primi casi concreti.

Dicevo che è in corso nel paese un dibattito culturale molto intenso circa la logica che deve informare questo provvedimento tecnico. Cosa deve essere la bonifica? Alcuni dicono che si tratta di ridurre il rischio ad una condizione di sopportabilità. Altri dicono che questa realtà non è una bonifica, perché la bonifica non è altro che il ripristino delle condizioni quo ante. Altri ancora sostengono una soluzione diversa. Per esempio, a proposito di Bagnoli il Parlamento italiano ha deciso che si deve bonificare fino a tornare alla situazione preesistente all'insediamento industriale. Questo è un concetto molto rigoroso di bonifica, cioè il ritorno alla condizione del suolo com'era originariamente, addirittura prima dell'antropizzazione industriale. Questa è la teoria più radicale e puntuale, certamente interessante e forse obbligata in determinati casi. La soluzione intermedia è quella di accontentarsi di tornare ad una situazione senza alcun pericolo, stabile, mentre l'altra è la soluzione del breve periodo, secondo cui, quindi, bisogna accontentarsi di eliminare il pericolo immediato. In sostanza il quesito equivale a questo: ristrutturiamo la casa con un grande restauro storico e conservativo, ripristinandola com'era all'epoca della sua costruzione, facciamo soltanto gli interventi di manutenzione straordinaria o puntelliamo, limitandoci ad eliminare il rischio di cedimenti? Sono tre atteggiamenti tutti legittimi, assolutamente legittimi. E' evidente che fra i tre vi sono differenze qualitative e di costi; inoltre, bisogna considerare le possibilità tecnologiche esistenti.

PRESIDENTE. Su questi aspetti si dovrà intervenire con un provvedimento attuativo concertato tra i vari ministeri.

GIANFRANCO MASCAZZINI, Direttore generale del Ministero dell'ambiente. Noi stiamo pensando esattamente in questi termini. Immaginiamo che in determinati ed eccezionali casi si stabilirà che si deve ritornare alle situazioni originarie dei siti. Forse questo è un discorso di scuola, ma questa previsione esiste nella legislazione italiana: l'esigenza di tornare alla situazione preesistente si può porre, per esempio, in un parco pubblico o in un asilo nido, in vista di un determinato riutilizzo del suolo. Poi vi sono le due situazioni che rappresentano i casi più frequenti, diciamo usuali. In questo caso è necessario stabilire un livello di protezione igienico-sanitaria ed ambientale standardizzato: la riduzione del livello di inquinamento deve ricondurre il sito entro valori accettabili sotto il profilo del rischio igienico-sanitario ed ambientale. Questo è il concetto di bonifica, mentre quello che ho citato prima è il concetto di ripristino. Il terzo, infine, è quello della messa in sicurezza. Rientriamo nelle disposizioni del comma 6: in tutti i casi in cui, per ragioni di costi e a causa della mancanza della tecnologia adatta, per motivi complessi che non consentono di giungere immediatamente alla bonifica, è possibile operare un intervento immediato transitorio, fermo restando che si effettui una verifica periodica e che, se le tecnologie nel frattempo si siano evolute, l'intervento sarà più incisivo, lo si fa. Questo in alcuni casi è avvenuto, perché negli ultimi 10-15 anni vi sono stati grandi "strappi" tecnologici. Mi sono occupato della mia prima bonifica nel 1976, a Seveso. Ci trovammo di fronte ad una realtà che nessuno conosceva, riguardo alla bonifica: nessuno conosceva neanche l'inquinante e i suoi effetti. Ebbene, dal 1976 ad oggi sono passati ventuno anni e sono stati compiuti dei prodigiosi passi avanti. Allora, è possibile immaginare che la messa in sicurezza sia transitoria e rivedibile periodicamente.

Questi tre passaggi, del resto, trovano precedenti numerosissimi nei sistemi che altri paesi si sono dati. Esistono precedenti in tal senso anche a livello regionale. Riteniamo che le esperienze di chi ritiene la valutazione del rischio un procedimento idoneo siano interessanti e le applichiamo alla determinazione dei livelli di sicurezza minimali, quelli attraverso i quali, cioè, si può accertare lo stato di messa in sicurezza. Una fissazione di limiti più rigorosi, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche soprattutto di carattere tossicologico, ci porta però a dire che è preferibile utilizzare il termine bonifica soltanto quando si sia realizzato un rientro al di sotto di dimensioni che, allo stato delle conoscenze attuali, consentano una sicurezza di comportamento.

Credo che questo possa essere un punto fermo del dibattito ancora in corso. L'ANPA sta compiendo una serie di verifiche per nostro conto con le varie ARPA, nelle regioni che hanno già applicato legislazioni di questo tipo. Pertanto, potremmo avere al più presto una visione unitaria sufficiente a portarci alla formalizzazione di questa norma tecnica, che evidentemente non avrà solo questi contenuti, cioè la fissazione dei limiti, la fissazione dei meccanismi di sicurezza, ma dovrà anche immaginare quali siano le migliori tecnologie disponibili a costi economicamente accettabili. Vi sono precedenti illustri. L'EPA, per esempio, dispone di un manuale molto ben fatto sulle tecnologie applicabili all'ambiente. E' evidente che oltre i livelli che queste tecnologie riescono a dare non possiamo pretendere di andare: se il miglioramento non sarà considerato sufficiente a consentire la definitiva bonifica, si considererà la messa in sicurezza. Fra dieci anni riesamineremo la questione e magari il soggetto interessato avanzerà una proposta di intervento più avanzata perché nel frattempo le tecnologie saranno migliorate.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Mascazzini, per l'interessante illustrazione delle problematiche che il Ministero dell'ambiente, di concerto con gli altri dicasteri interessati, sta affrontando per mettere "a norma" queste problematiche.

Prima di dare la parola ai colleghi che desiderano porle alcuni quesiti, vorrei rivolgerle personalmente qualche domanda.

Può farci delle previsioni sui tempi necessari all'emanazione dei provvedimenti richiamati, e specialmente del decreto sulla fissazione dei limiti e la valutazione dei rischi?

Vorrei poi che ci desse in giudizio sull'uso di impianti mobili nelle operazioni di bonifica. Lei sa che questo tipo di impianti è particolarmente utilizzato soprattutto negli Stati Uniti e che sono stati omologati anche dall'EPA. Sarebbe opportuno, secondo lei, che gli operatori italiani seguissero questa strada?

Lei ha parlato del censimento previsto nelle modifiche introdotte. Attualmente, il Ministero dell'ambiente dispone di dati complessivi e quindi anche di una valutazione sulle somme che potrebbero essere necessarie per affrontare la prima fase delle bonifiche del nostro territorio? Avete già studi e previsioni in materia? Credo che questo sia molto importante, in quanto un po' tutti oggi parlano di bonifiche come di una sorta di un nuovo business, da parte delle industrie, nel settore degli interventi ambientali. Il Ministero dell'ambiente ha sue valutazioni su queste problematiche?

GIUSEPPE SPECCHIA. Dottor Mascazzini, è chiaro che per poter bonificare è necessario conoscere l'esatta ubicazione dei siti inquinati. Durante i sopralluoghi effettuati dalla Commissione in diverse regioni d'Italia abbiamo potuto notare che si pongono degli interrogativi: da una parte vi sono i cittadini e le associazioni ambientaliste che sostengono che in una certa area sono stati interrati migliaia di fusti di rifiuti tossici o altri materiali inquinanti, dall'altra mancano dati certi. Ciò determina una situazione di incertezza, provoca allarme nelle popolazioni e, se i fatti sono veri, crea danni all'ambiente.

Vorrei sapere se il Ministero dell'ambiente abbia un'idea - anche grazie ai contatti con le regioni o con gli altri organismi del settore, come le ARPA - di come si possa effettuare un accertamento sistematico delle località in cui si segnalano i siti inquinati, per poi procedere alle relative bonifiche. Rivolgo questa domanda perché l'Italia dispone di mezzi tecnici all'avanguardia riguardo ai rilevamenti. Mi riferisco ai sistemi di rilevamento satellitare ed aereo e soprattutto al progetto LARA del CNR. Cosa intende fare il ministero per utilizzare sistematicamente questi strumenti nell'effettuazione di tali controlli?

ADRIANO COLLA. Ho trovato davvero interessante l'audizione del dottor Mascazzini. Sarà molto interessante leggere il resoconto stenografico di questa seduta.

Mi ha interessato particolarmente il passaggio sull'uso del nuovo combustibile derivato dalle gomme d'auto. Vorrei qualche notizia in più a tale proposito. Sono previste sovvenzioni per chi si doti di impianti di questo tipo? Sono state stabilite date per l'avvio di questi impianti, vista l'importanza dell'utilizzo di questo nuovo combustibile?

Termino con la battuta sul cittadino di Brescia e su quello di Napoli, richiamati dal dottor Mascazzini. Si potrebbe dire che sì, a Napoli ci sono il sole e il mare mentre a Brescia probabilmente non ci sono, ma a Napoli hanno fognature colabrodo e una rete idrica con una dispersione del 35 per cento, e il buon Bassolino non fa neanche pagare le tasse sulle fogne. E' una battuta, ma comunque è vero.

ROBERTO LASAGNA. Per quanto riguarda l'uso del CDR, credo sarebbe essenziale sapere come questa idea abbia avuto sviluppo in altri paesi. Sembra infatti l'uovo di Colombo, ma non vorrei che fosse un uovo con dentro un pulcino già grande. Sarebbe infatti importantissimo se il 50 per cento dei 26 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti all'anno finisse in combustione. Vorrei quindi sapere se in altri paesi siano stati sviluppati concetti simili e se noi stiamo utilizzando una tecnica già sperimentata in altri paesi o meno.

Passo alla questione del recupero dei siti inquinati. Credo che per la Commissione sia essenziale disporre di una mappa dettagliata sulla locazione di tali siti. Probabilmente per mia colpa o disattenzione, infatti, non sono ancora riuscito ad avere una cartina geografica che indichi i siti in funzione, quelli bloccati dalla magistratura e quelli che devono essere bonificati. Immagino che il Ministero dell'ambiente abbia bisogno di un po' di tempo per contattare le regioni, ma credo che questo dato, visti i compiti di questa Commissione, sarebbe fondamentale.

Infine, un breve commento. Trovo estremamente interessante il concetto di recupero dei siti nei vari livelli. E' chiaro che da un lato c'è una visione assai pratica, molto empirica delle possibilità di ripristino; dall'altro, però, mi viene il dubbio che questa potrebbe essere una strada molto facile per non fare molto, o al limite per non dare garanzie riguardo a siti come quello di Pitelli, a La Spezia, del quale non sappiamo precisamente cosa contenga. Chiedo pertanto quali siano le valutazioni ministeriali sulla normativa da emanare in futuro, perché la Commissione ha bisogno di maggiori informazioni, dovendo aprire un vaso di Pandora che, come quello della mitologia, quando sarà aperto potrà dare molte sorprese.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Mascazzini affinché risponda ai quesiti rivolti, magari specificando i tempi di realizzazione del programma sull'utilizzo del combustibile e quelli di chiusura degli impianti di discarica previsti dal decreto Ronchi. Vorremo sapere quali problematiche si aprano di fronte ad una tempistica che rischia di non essere compatibile con il regolare svolgimento dell'attività di gestione dei rifiuti.

GIANFRANCO MASCAZZINI, Direttore generale del Ministero dell'ambiente. Contiamo di avere un primo elaborato tecnico interno a metà gennaio. I quesiti posti dai signori commissari, e in particolare dal senatore Specchia, contengono aspetti tecnici delicati, come l'utilizzazione di tecniche moderne e l'uso massiccio di strumentazioni di riprocessamento delle immagini. Di conseguenza, incontriamo qualche difficoltà nel mettere a punto gli strumenti. E' chiaro che vogliamo che questo decreto sia concretamente applicabile, ma non su procedure troppo consolidate, passate e di fatto limitative. Il 16 maggio 1989 fu varato un decreto ministeriale che citava in modo assai puntuale, all'interno di un allegato tecnico, tutte le tipologie di insediamenti industriali che avrebbero potuto portare ad un'alta probabilità di inquinamento.

PRESIDENTE. Censimenti un po' teorici, se vogliamo, anche perché mi sembra che fossero compiuti senza le necessarie ricerche, come i carotaggi.

GIANFRANCO MASCAZZINI, Direttore generale del Ministero dell'ambiente. Indubbiamente. C'è chi si cautela al massimo, inserendo nell'elenco tutti i siti nei quali può essere stato svolto un certo tipo di attività; c'è chi invece lo fa di meno, anche tenendo conto che non c'erano dati precisi. Di conseguenza, alcune regioni hanno eccessivamente semplificato questo meccanismo. Si tratta, perciò, di rifare una cosa che già era stata fatta con logiche ben differenti. Inoltre, si dovrebbe prevedere che, se dovesse emergere qualcosa in base ad un'autodenuncia, non vi sia sanzione penale. Questa è una grande novità che il legislatore ha introdotto, perché l'articolo 17 vuol dire proprio questo: a chi comunica di essere fuori norma si garantisce di non essere sanzionato e, in base alle modifiche a tale articolo, gli si consente anche di chiedere un intervento. Certo, esistono temi legislativi di cui il Parlamento si dovrà occupare. Cito, per esempio, una "legge Tremonti" ambientale legata alle bonifiche. E' ovvio che il Parlamento deve essere messo in condizioni di sapere quali siano, almeno a grandi linee, i costi previsti, per non creare gravi problemi alla finanza pubblica.

Sono sicuramente favorevole all'uso di impianti mobili. La bonifica non dovrebbe lasciare alcuna traccia. Il fatto che la modifica dell'articolo 17 prevede che, se si realizzano impianti all'interno delle discariche, questi non sono assoggettati a valutazioni di impatto ambientale, ma rientrano in una procedura di approvazione nazionale, ovviamente con le stesse garanzie di fatto, è eccezionale: l'ideale sarebbe poter giungere alla bonifica dei siti attraverso l'impiego di tecnologie tali da non lasciare traccia di inquinanti e da non appesantire enormemente le discariche. Poiché, dopo l'effettuazione delle bonifiche, non dovrebbero neanche rimanere sul posto gli impianti, gli impianti mobili costituiscono senz'altro un'ottima scelta: l'80-90 per cento delle bonifiche nel nostro paese dovrebbero avvenire senza lasciare tracce definitive del posizionamento impiantistico, e quindi dovrebbero essere compiute con impianti che non solo si possano facilmente rimuovere, ma che, addirittura, siano pensati in modo da poter essere trasferiti da sito a sito. Questo, tra l'altro, potrebbe provocare una fortissima riduzione dei costi di bonifica, perché consentirebbe l'ammortamento delle spese per l'impianto. Già oggi gli impianti di ventilazione sono portati in posizione, mantenuti in posizione e poi portati ed usati da un'altra parte.

Il presidente mi ha chiesto se l'attività di bonifica costituisca un business. Certamente sì: si tratta di una notevole ricerca scientifica e tecnologica. Mi pare che un emendamento ad un progetto di legge all'esame del Parlamento si occupi delle precauzioni da utilizzare nell'impiego dei batteri anche geneticamente modificati: per cui, voi stessi avete inserito in una norma il segnale di un nuovo e diverso mestiere che si deve fare. Leggo sempre con attenzione i trafiletti pubblicati il venerdì sul Sole-24 Ore a proposito delle novità tecnologiche: diverse volte appaiono notizie su un soggetto industriale che promuove una novità nel campo delle bonifiche. Credo che vi sarà pane per i denti di tutti i nostri istituti scientifici, pane per i denti del nostro sistema di imprese; il sistema delle piccole e medie imprese, paradossalmente, in questo campo è avvantaggiato perché può entrare a costi bassi in situazioni spesso diverse fra loro per localizzazione e per fattori inquinanti, e che di conseguenza richiedono prestazioni diverse. Credo che vi saranno grosse possibilità. Quali saranno le limitazioni? Evidentemente, quelle connesse alle risorse che potremo a questo scopo destinare. I costi possono essere stimati con molta larghezza. Una volta ipotizzai di calcolare cinquant'anni di industrializzazione e 50 milioni di rifiuti tossici nocivi; ipotizzai di calcolare i rifiuti del passato e dissi che, se dovessimo gestirli come se fossero rifiuti nuovi, ci farebbero pensare a cifre da capogiro. Per fortuna, in parte ha agito madre natura, ma in piccola parte: ciò che è stato interrato nello stabilimento dell'ACNA è sempre lì, e quello che non c'è più è stato portato da qualche altra parte dal fiume: certo, avremmo qualche difficoltà a trovarlo nei sedimenti del mare Adriatico, ma la maggior parte è ancora lì.

Pertanto, la dimensione del business è correlata alla propensione che il sistema Italia avrà al recupero del suo patrimonio territoriale, un recupero che sia in condizioni almeno di sicurezza, se non di ripristino ambientale (che può riguardare solo determinati fatti significativi avvenuti sul territorio).

Il Ministero dell'ambiente, in questi anni, ha provato anche ad intervenire sperimentalmente. Avevamo messo a disposizione dei soggetti che hanno collaborato anche con la Commissione, come la Guardia di finanza, i risultati delle ricerche che avevamo commesso all'esterno, sull'interpretazione delle immagini applicate all'individuazione nel suolo di determinate situazioni. E' chiaro che da qualche anno a questa parte ci si offrono eccezionali prospettive aggiuntive. Il venir meno, in molti casi, dei motivi del segreto militare consente oggi di applicare tecniche di investigazione con estrema efficienza, e di conseguenza a bassi costi su vaste superfici. E' chiaro che non vi sarà un solo sistema esaustivo per individuare i siti e fare la mappatura. Vi sono le segnalazioni delle associazioni ambientaliste o quelle del cittadino che ha visto camion in movimento, magari di notte. Voi sapete che in molti casi, quando i camion si muovono di notte, come è accaduto a Pitelli, la segnalazione risponde a verità. Per passare da quella segnalazione all'impiego di sistemi e di strumentazioni molto sofisticati e ad alta tecnologia credo sia necessario usare tutti questi strumenti.

I risultati dipenderanno anche dalla capacità del sistema Italia di dedicare persone a questi interventi. Cinque o sei anni fa ho incontrato un avvocato italo-americano che faceva parte di un'équipe dello Stato della California che si occupava di questi argomenti: era composta da 700 persone, e si occupava dei problemi connessi all'inquinamento pregresso, e in particolare di recuperare i costi, alla maniera americana. Mi ha raccontato che i modi di ricerca usati riguardavano addirittura gli annuari delle fiere di molti anni fa, nei quali compariva un determinato produttore di quella determinata sostanza che aveva provocato determinati effetti sotto il profilo della qualità ambientale, nella gestione dei rifiuti e degli scarichi in acqua o nell'aria. E' chiaro che la velocità con cui emergeranno tali fatti dipenderà anche dall'intensità di energie e di persone che si dedicheranno a questa attività. Mi auguro che le agenzie regionali per l'ambiente - che dove esistono stanno lavorando molto bene - ci aiutino a fare emergere le situazioni. Far emergere non vuol dire fare esplodere i casi, ma poter affrontare con cognizione per prima cosa la messa in sicurezza.

Rispondo, infine, al senatore Colla a proposito del nuovo combustibile. Noi riteniamo che chi fa recupero, chi usa combustibili alternativi con l'impiego di gomme d'auto debba avere una facilitazione economica. Il combustibile misto gomme d'auto-rifiuti urbani ha 5.500 calorie: dà un vantaggio, bisogna privilegiarlo.

Il senatore Lasagna ha chiesto se il recupero del CDR ha avuto prospettive in altri paesi. Senatore, le rispondo come ho fatto con i cementieri. Ho visto un libro dell'Italcementi in cui si diceva che il modello preso in considerazione è quello di un cementificio tedesco - mi pare nei pressi di Stoccarda - che, se non ricordo male, aveva superato la quota del 50 per cento di sostituzione del combustibile tradizionale con combustibile alternativo. Quando ho parlato con i cementieri ho mostrato il volume, perché mi sembrava che la fonte fosse molto autorevole e il modello di facile attuazione. Ho saputo che anche la soluzione adottata a Chicago è molto interessante. Ormai si è capito che più roba si butta in un combustore e più fumo esce, perché bisogna sparare dentro più aria. Se si buttano sostanze dannose per la combustione, sarà necessaria ancora più aria, ed uscirà tanto fumo. I migliori sistemi di abbattimento non fanno altro che ridurre proporzionalmente l'inquinante che fuoriesce. Se raddoppiamo la quantità di aria in entrata perché buttiamo cose inutili e dannose per la combustione, raddoppiamo la quantità dei fumi in uscita, raddoppiamo l'inquinamento. Questo è un discorso assai brutale, ma è sempre meglio dimezzare, se è possibile, la quantità di fumo in uscita, perché così si dimezza l'inquinamento: è meglio farlo prima che dopo.

Poiché questo discorso è emerso negli ultimi tempi, l'Italia ha il vantaggio - come è avvenuto un po' per il nucleare, da cui siamo usciti per tempo, quindi con costi inferiori a quelli che hanno dovuto sopportare altri paesi (ho questa opinione pur avendo votato in modo diverso all'epoca del referendum) - di non aver costruito forni in modo massiccio: questo ci consente di attivarci su questa via saltando una tecnologia che all'epoca era idonea, ma che oggi è improponibile.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Mascazzini.

Avverto che la Commissione tornerà a riunirsi martedì prossimo, 9 dicembre, alle 13,30, per ascoltare il ministro della sanità.

La seduta termina alle 14,20.

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