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CAMERA DEI DEPUTATI-SENATO DELLA REPUBBLICA

COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA

SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITA'

ILLECITE AD ESSO CONNESSE

54.

SEDUTA DI MARTEDI' 28 LUGLIO 1998

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO SCALIA

INDI DEL VICEPRESIDENTE FRANCO GERARDINI

 

La seduta comincia alle 13,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità della seduta sia assicurata anche attraverso gli impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Avverto che verrà redatto e pubblicato il resoconto stenografico della seduta.

Audizione dei rappresentanti della Confindustria, della CNA, della Confapi, della Lega delle cooperative, delle associazioni dei consumatori, di Legambiente, WWF, Ambiente e/è vita, Amici della terra.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti della Confindustria, della CNA, della Confapi, della Lega delle cooperative, delle associazioni dei consumatori, di Legambiente, WWF, Ambiente e/è vita, Amici della terra.

I numerosi soggetti che ascoltiamo oggi sono tutti interessati all'impatto legislativo del decreto legislativo n. 22 del 1997, meglio noto come decreto Ronchi, sulla cui attuazione la Commissione d'inchiesta ha svolto, fin dalla sua costituzione, riflessioni ed approfondimenti. Il gruppo di lavoro coordinato dal collega Gerardini, oltre ad esaminare sotto vari aspetti tale normativa, si è anche occupato del suo impatto sui diversi operatori, dalla pubblica amministrazione agli enti locali, e sulle imprese; da ciò nasce l'elaborazione della proposta di articolato che abbiamo sottoposto alla vostra attenzione e che si occupa di definire un quadro certo e innovativo in ordine agli incentivi alle imprese per lo sviluppo sostenibile.

Do subito la parola al dottor Michele Boato, che ha chiesto di poter intervenire per primo.

MICHELE BOATO, Rappresentante delle associazioni dei consumatori. Rappresento le associazioni dei consumatori organizzate nella Consulta presso il ministero dell'industria e nel Consiglio nazionale degli imballaggi.

Il nostro parere su questo testo è sostanzialmente positivo per quanto riguarda le finalità e l'impianto generale; si potrebbe anzi pensare ad un suo rafforzamento, in modo da renderlo una sorta di legge quadro, e prevedere altri finanziamenti o altri elementi incentivanti senza dover tornare in Parlamento.

Entrando nel dettaglio, riteniamo che il comma 1 dell'articolo 3 sia del tutto inutile perché la legge già prevede che le piccole e medie imprese possano rivolgersi a consulenti. In ordine al paragrafo 2 sottolineiamo il pericolo che, essendo coinvolti nella formazione della lista dei revisori regionali vari soggetti (ANPA, ENEA, regioni, camere di commercio), il percorso potrebbe divenire troppo complesso. Pongo un problema, ma non ho la soluzione: mi limito a richiamare l'attenzione sulla necessità di non "ingrippare" un meccanismo che si presenta molto interessante ma che potrebbe rischiare di non riuscire a decollare. Le competenze dell'ANPA e dell'ENEA sullo stesso tema, per esempio, potrebbero essere contraddittorie.

Quanto al comma 3, la questione dello stanziamento dei fondi da parte delle regioni potrebbe essere definita in maniera più stringente, anche se per la verità non saprei dire in che termini; avendo fatto il consigliere regionale so bene quanto le regioni tendano a non rispondere a questi inviti se non con molta calma, quindi potrebbe essere inserito qualche vincolo più preciso almeno di tipo temporale.

C'è poi il problema del decollo, ho infatti la sensazione che prima che ci siano le liste dei consulenti regionali possano passare almeno due anni; si potrebbe allora prevedere una norma transitoria - che potrebbe anche non essere solo transitoria - con cui si stabilisce che questo tipo di consulenza può essere fornita anche da strutture accreditate per l'auditing ambientale. Forse questi due binari potrebbero convivere per sempre, a questo scopo propongo di aggiungere, alla fine del quarto comma, "le somme corrisposte alle imprese di verificatori ambientali accreditati".

Per quanto riguarda l'articolo 4, concernente le semplificazioni amministrative, bisogna evitare di trasformare questa legge in un boomerang, nel senso che tutta la documentazione tecnica richiesta potrebbe diventare un elemento frenante. Anche a questo proposito propongo un piccolo emendamento: è l'azienda che può utilizzare per le singole materie tutti i materiali della sua certificazione e tutto ciò che riguarda i singoli procedimenti può essere richiesto. Questo per evitare che si freni l'entusiasmo delle ditte e che vengano acquisiti di diritto tutti i materiali che la ditta mette in campo anche se non è previsto dalla legge.

Al comma 3 dello stesso articolo invito a fare attenzione ad eventuali contraddizioni con le competenze dei vigili del fuoco, delle ARPA e del Ministero dell'interno; è opportuno enucleare questi aspetti e definire standard, concordati con gli enti competenti, corrispondenti sia all'EMAS sia alle leggi vigenti, altrimenti si rischia un blocco invece che una normativa di semplificazione.

Per quanto riguarda l'articolo 5, si potrebbe estendere la possibilità di concordare queste modalità di superamento della non conformità anche nel caso di quelle emerse durante l'auditing interno e non solo durante l'analisi ambientale iniziale. C'è comunque il problema di cosa succede quando emerge l'esistenza di un reato che mi pare non venga risolto con questa proposta di articolato; questo è anche il motivo per il quale certi regolamenti europei non sono ancora applicati in Italia, appunto per la paura di dover sottostare a procedimenti penali ope legis. Suggerisco di verificare come sia stato superato questo problema con il decreto legislativo n. 758 del 1994 in materia di sicurezza del lavoro.

LUCIO SCIALPI, Responsabile della Confindustria. Vi ringrazio per averci dato l'occasione di esprimere il nostro punto di vista su questo schema di provvedimento che apprezziamo. In particolare riteniamo condivisibile lo spirito che lo anima. Nel mio intervento tratterò in particolare quattro punti: il campo di applicazione, i revisori ambientali, le semplificazioni amministrative, il superamento delle cosiddette non conformità.

Siamo naturalmente favorevoli al principio dell'adesione volontaria e alle facilitazioni di ordine amministrativo, oltre che di natura finanziaria, che dovrebbero favorire l'accesso al sistema da parte delle imprese soprattutto piccole e medie. Ci chiediamo peraltro se non sia il caso di estendere queste facilitazioni anche alle imprese che intendono aderire alle ISO 14000 che riguardano i sistemi di gestione ambientale. L'applicazione delle procedure ISO, infatti, da molte imprese viene vissuta come una fase intermedia, un passaggio naturale verso il più complesso sistema EMAS.

La nostra proposta trova fondamento nel fatto che questa linea è stata fatta propria dal Governo. Infatti, nella legge n. 448 del 1992, che prevede agevolazioni per le attività produttive nelle aree depresse del paese, si tiene in uguale considerazione l'adesione ad ISO e ad EMAS.

Circa i revisori ambientali riscontriamo una diversità d'impostazione abbastanza profonda tra lo schema di provvedimento e il regolamento comunitario che ha istituito il sistema EMAS. Il regolamento comunitario stabilisce in maniera esplicita che il revisore è un individuo o un gruppo di lavoro interno o esterno all'impresa, che opera per conto della direzione generale e il regolamento non prevede la costituzione di albi di professionisti accreditati. Quindi, vi è una sfera di autonomia dell'impresa che è libera di orientarsi al proprio interno o sul mercato per individuare un revisore di fiducia. Invece, l'articolo 3, commi 1 e 2, del testo prevede il coinvolgimento della parte pubblica nella formazione e nell'accreditamento dei revisori ambientali attraverso le strutture ricordate dal rappresentante dei consumatori (ENEA, ANPA, camere di commercio).

La Confindustria non condivide questa impostazione, perché gli interventi di verifica interna all'impresa costituiscono una fase che non può o non dovrebbe poter subire condizionamenti o interferenze esterne, con una commistione di ruoli tra funzione pubblica di vigilanza e attività di automonitoraggio dell'impresa. Questa situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che si fa riferimento all'intervento delle regioni a copertura dei costi sostenuti dalle imprese che si rivolgeranno a revisori riconosciuti (il collega dicevache il comma 1 dell'articolo 3 può essere considerato superfluo). Il concetto del riconoscimento è abbastanza nuovo rispetto alla norma comunitaria.

Auspichiamo, quindi, che il testo - che riteniamo utile e importante - si limiti a prevedere forme di sostegno alle imprese per la formazione ambientale dei propri quadri, nel caso in cui ci si voglia rivolgere a revisori interni, o per un servizio di consulenza ambientale affidato a terzi, nel caso in cui si faccia riferimento a risorse esterne.

Sulle semplificazioni amministrative previste all'articolo 4, siamo assolutamente d'accordo e la norma ci piace. Attualmente esiste una pluralità di tavoli in cui si trattano questi problemi: i PPCC, i rischi di incidenti rilevanti, la valutazione di impatto ambientale. Riteniamo che lo schema di proposta sia opportuno e valido perché potrebbe costituire lo stimolo per un raccordo di tutte le iniziative in corso.

Infine, sul superamento delle non conformità, vogliamo esprimere in maniera non formale ma molto convinta il nostro apprezzamento per la sensibilità mostrata e per la soluzione prospettata, anche se le osservazioni del collega che mi ha preceduto meritano di essere prese nella massima considerazione.

Il riordino del sistema sanzionatorio in campo ambientale viene considerato da Confindustria come centrale. Se fosse possibile, al di là di questa occasione di confronto, auspicheremmo un approfondimento con la Commissione sulla materia, con un orizzonte più vasto rispetto alle questioni specifiche delle quali ci occupiamo oggi.

La Confindustria ha presentato nei giorni scorsi un rapporto - messo a punto, anche per conto delle camere di commercio, dall'Istituto dell'ambiente - in cui si propone un nuovo approccio al problema ambientale, sottolineando le opportunità che esso può creare in termini di sviluppo industriale, di occupazione, di ricchezza prodotta per il paese.

Consegneremo alla Commissione il rapporto "Ambiente e competitività" che l'Istituto per l'ambiente ha appena elaborato e che è stato recentemente presentato al ministro Ronchi. Siamo comunque a disposizione della Commissione, insieme con il pool di esperti che hanno redatto il rapporto dopo aver compiuto un'accurata analisi della situazione che si riscontra nei principali paesi industriali comunitari e non (penso, ad esempio, al Giappone, oltreché alla Francia, alla Germania, all'Inghilterra, alla Spagna).

Ci farebbe piacere se in una prossima occasione ci fosse data la possibilità di verificare i rispettivi punti di vista sulla materia.

PRESIDENTE. La ringrazio anche per il testo che ci farà avere.

Come già ha fatto il consigliere Boato, anche lei ha sottolineato la questione sanzionatoria e ha auspicato ulteriori confronti sul tema.

Per quello che riguarda l'aspetto centrale del problema, la Commissione ha già licenziato un documento con una proposta di legge attualmente affidata ai due rami del Parlamento, della quale deputati e senatori della Commissione hanno promosso l'iter. Può essere di conforto il fatto che, avendo la Commissione sottolineato in modo particolare questi aspetti, è stata superata una certa resistenza - esplicita anche nel convegno organizzato il 9 e il 10 marzo - e il Governo è ormai in grado di presentare un disegno di legge. L'interlocuzione, quindi, si sposta a livello delle Camere e del Governo, anch'esso proponente un disegno di legge rimasto per un po' latente, e che poi, a seguito di una serie di prese di posizione (non ultimo il documento approvato da questa Commissione), è tornato all'attenzione.

LUCIO SCIALPI, Responsabile della Confindustria. Volutamente abbiamo coinvolto il Parlamento nella persona del presidente della Commissione ambiente del Senato nella presentazione del nostro progetto al ministro Ronchi.

PRESIDENTE. Il dialogo continua.

ALDO IACOMELLI, Rappresentante del WWF. Accogliamo favorevolmente la proposta di legge anche perché riteniamo che sia un valido strumento per completare il recepimento del regolamento 1836, poiché analizza il capitolo delle non conformità e aggiusta il tiro su alcuni articoli del regolamento, per cui, in linea generale, va considerato come un passo in avanti. Però, secondo noi, sono necessari alcuni distinguo per evitare il rischio che, in materia ambientale, si arrivi al punto in cui si paga e tutto è sistemato.

Non molto tempo fa abbiamo pienamente appoggiato il lavoro del senatore Lubrano e continuiamo a chiedere, insieme con altre associazioni, l'inserimento del reato ambientale nel codice penale, come avviene in Germania, in Spagna e negli Stati Uniti, che hanno vinto la famosa battaglia.

PRESIDENTE. In proposito abbiamo già detto qual è stato il ruolo della Commissione.

ALDO IACOMELLI, Rappresentante del WWF. Sottolineo, però, come in Italia le non conformità risolte con una semplice fideiussione non ci tutelino comunque, per un problema che non possiamo affrontare in questa sede e che, però, ci sentiamo in dovere di segnalare.

Entrando nel merito della proposta di articolato, chiediamo che nella premessa della stessa vi sia un richiamo al protocollo di Kioto, affinché le piccole e medie imprese tendano, proprio nel rispetto del protocollo suddetto, sottoscritto dall'Italia, ad un continuo miglioramento delle performance ambientali, avviando così una discesa costante delle emissioni di CO2 a partire dal valore attribuitoci in sede europea, che dovremo rispettare nel primo periodo di riferimento (dal 2008 al 2012). Ciò come premessa per confermare, anche in questa legge, l'impegno a rispettare, come trend costante dei prossimi anni, la riduzione dell'emissione di CO2.

Nella proposta di articolato deve essere chiarita meglio, a nostro avviso, la dicotomia tra verificatori e revisori - peraltro non risolta dal regolamento EMAS - perché non vorremmo trovarci con persone con più giacche, per così dire; bisogna quindi attuare una separazione deontologica netta, di modo che sia chiaro che chi svolge l'attività di consulente, o comunque prepara l'azienda alla verifica, non può avere legami di nessun tipo con chi poi attua la verifica ispettiva; devono essere chiari a tutti, in modo palese, gli attori della partita.

Per quanto riguarda l'articolo 3 toglieremmo il riferimento all'ENEA, attribuendo i compiti in questione solo all'ANPA. Ciò non per avversità all'ENEA, che consideriamo un ente pregevole, ma perché sappiamo che un doppio riferimento potrebbe aumentare la confusione, la frammentazione, la parcellizzazione della gestione del processo di adesione volontaria al regolamento. Preferiamo l'ANPA anche per una vocazione istituzionale: consentiamo all'agenzia di decollare con l'espletamento di questo compito, che senz'altro saprà assolvere.

In merito all'articolo 4, credo che nei regolamenti attuativi debba essere meglio chiarita la parola "sito". Vorremmo che si facessero prima la dichiarazione ambientale e la ISO 14.000 rispetto all'EMAS, che contraddistingue l'Europa dal resto del mondo e che, quindi, deve essere il nostro strumento principale. Bisogna però chiarire, come ho detto, il significato del termine "sito". Che senso ha, per esempio, riferito a Marghera? Saremmo contenti se qui si applicasse solo l'EMAS 1? Mentre nella ISO si parla di impresa, per cui si fa una valutazione corporate di tutti i siti del gruppo, in questo caso va chiarito ciò che si intende per sito.

MAURO ALBRIZIO, Rappresentante di Legambiente. Il regolamento in proposito è chiaro: il sito è il singolo impianto.

ALDO IACOMELLI, Rappresentante del WWF. E' chiaro in termini di linguaggio, ma non lo è tecnicamente. Da questo punto di vista Marghera ne è un esempio. Credo, quindi, che in una normativa quadro come questa sia abbastanza semplice rispondere all'esigenza che ho sottolineato. Nel comma 3, per esempio, si parla di stabilimenti, che possono essere considerati ugualmente dei siti. Una delle due parole, dunque, è ridondante.

Siamo d'accordo a che non vi siano troppi lacci e lacciuoli, ma rispetto agli articoli 31 e 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997, per cui tutte le autorizzazioni semplificate spettano alle province, va detto che nessuna, nemmeno quella efficentissima di Milano, riesce soltanto a leggere le richieste di autorizzazione per impianti di vario genere (tra queste, come saprete tutti, le 173 depositate al SIAR per adeguamenti, ampliamenti o costruzioni ex novo di termovalorizzatori). Va data sì la possibilità di operare, di ristrutturare e di modificare, ma deve esservi l'impegno a che qualcuno vada poi a verificare la certificazione dell'azienda. Proponiamo quindi un comma 6 all'articolo 4, per fa sì che entro l'anno di realizzazione o di modificazione dell'impianto o di parte di esso l'ANPA esamini la registrazione EMAS e predisponga una serie di verifiche sul campo, magari a campione, per monitorare l'efficacia dell'istituto del silenzio-assenso. E' vero infatti che esiste anche in Germania come ampliamento dell'EMAS, ma è anche vero che in questo paese se si commettono reati contro l'ambiente vi sono sanzioni di tipo penale. Sottolineo, peraltro, che sanzioni di questo tipo vi sono anche in Spagna.

Siamo d'accordo con quanto previsto all'articolo 5 a proposito del superamento delle non conformità ambientali. Ma poiché bisogna salvaguardare il principio "chi inquina paga", vorremmo che al comma 1 dell'articolo in questione si stabilissero dei tempi; suggeriamo pertanto un emendamento al fine di specificare che la non conformità deve essere comunque sanata entro un tempo ragionevole (sei mesi o un anno, per esempio).

Per quanto riguarda il comma 2 dell'articolo 5, siamo d'accordo con quanto ivi previsto, ma vorremmo, altresì, che la fideiussione sia adeguata alla bonifica da realizzare. Ricordo, in proposito, che a Dresano un'azienda con meno di venti addetti ha causato un danno ambientale ben superiore al valore economico dell'azienda stessa. Nessuno vuol creare capestri per le aziende, però bisogna essere sicuri che vengano eliminati gli effetti dei danni causati. Ciò lo sottolineiamo perché sappiamo tutti che il decreto Ronchi verrà in aiuto al privato, perché mentre in una prima stesura avrebbero pagato il proprietario del territorio danneggiato e chi aveva causato il danno, adesso si prevede comunque un aiuto da parte dello Stato. E' necessario contabilizzare bene il danno ambientale (dopo il disastro della Haven, uno dei problemi è stato proprio quello di non riuscire a quantificare il danno ambientale).

PRESIDENTE. Nel caso di Dresano il danno è quantificabile nei 17 miliardi che la giunta regionale lombarda ha erogato per poter procedere alla messa in sicurezza dei rifiuti, anziché dei prodotti combustibili che la ex azienda vantava di poter produrre con un miracoloso reattore.

GIOVANNI MASTINO, Rappresentante degli Amici della terra. Considerato iltitolo della proposta, che a noi è piaciuto molto, vorremmo che anche nella sostanza dell'articolato vi fossero elementi più complessi, in grado di legare le convenienze economiche delle imprese e quelle sociali ed economiche dello Stato con le problematiche ambientali. Non dimentichiamo, infatti, che il malgoverno dell'ambiente ed i consequenti danni allo stesso, cronici o acuti che siano, introducono tutta una serie di cosiddetti costi esterni che rispetto al 1993, quando venivano valutati dalla Banca mondiale nell'ordine del 5 per cento del PIL di un paese sviluppato, in realtà stanno risultando ben più consistenti: i costi esterni della mobilità in Italia, valutati con più accuratezza, ma lungi dall'essere esaustivi, ammontano, secondo una nostra stima dell'anno scorso, a 166 mila miliardi l'anno; rappresentano il 9 per cento del PIL, per una attività che non ha lo stesso valore economico.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FRANCO GERARDINI.

GIOVANNI MASTINO, Rappresentante degli Amici della terra. Ogni riduzione di impatto ambientale significa un vantaggio economico, che può essere realizzato dallo Stato o dalle imprese con la logica della riduzione dei loro flussi di materiale. In questo modo, infatti, le imprese riducono i costi di acquisto, di smaltimento e di trattamento. E' dunque questo il vero obiettivo, che nel titolo della proposta di articolato è ben sottolineato, visto che si parla di incentivi alle imprese per lo sviluppo sostenibile. Se è questa l'occasione per cercare di raggiungere, tramite la facilitazione delle imprese ad aderire ad un sistema EMAS, obiettivi di questo genere, a mio avviso si consegue un risultato importante. Perderla sarebbe quindi un peccato.

Nella nota scritta che ho consegnato alla Commissione sono contenuti suggerimenti e riferimenti che possono essere tenuti in considerazione, in quanto esiste un problema di politica economica e di competitività ormai evidente, in quanto molti paesi europei (Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia e, in parte, anche l'Inghilterra) stanno orientando la loro politica in questo senso e stanno già indicando, ai loro Parlamenti e Governi, precisi obiettivi numerici di riduzione (non cito le campagne che abbiamo condotto a livello europeo e internazionale, a proposito dei nostri obiettivi, ma potrei citare quelli già individuati dai vari Governi nei loro documenti ufficiali). Ritengo, senza entrare nei dettagli specifici che sono stati trattati prima e che in larga parte condivido, che sarebbe essenziale introdurre nell'articolato un punto in cui sia detto che questo tipo di agevolazione viene riservato alle imprese che nel loro documento di politica ambientale si impegnano, nell'arco di dieci anni, cioè dal 2000 al 2010, a ridurre l'uso delle risorse in genere (quindi emissione rifiuti, CO2 prodotta, eccetera) del 25 per cento. E' questo l'obiettivo dei governi della Danimarca e della Germania, per esempio.

Esiste una notevole letteratura scientifica e tecnica che dimostra la disponibilità sul mercato di tecnologie adatte a ridurre l'uso delle risorse del 75 per cento. Dunque, chiedere una riduzione del 25 per cento non è fantascienza. La legge n. 448 del 1994 tra i parametri di ingresso ambientale chiede una riduzione del 10 per cento in tre anni, quindi il 25 per cento in 10 anni non mi sembra eccessivo ed è particolarmente istruttivo per coloro che dovranno redigere questi documenti di politica ambientale. Se non esiste un riferimento quantitativo posto a livello normativo, cioè da Governo o Parlamento, finisce che l'EMAS e le ISO 14000 saranno documenti nei quali si mettono tante buone intenzioni senza obiettivi precisi: saranno pezzi di carta che serviranno per poco tempo a rendere le nostre imprese un po' competitive rispetto agli altri. In Germania le imprese registrate con EMAS sono più di 500...

PRESIDENTE. Sono circa 1500, mentre in Italia sono registrati 6 siti.

GIOVANNI MASTINO, Rappresentante degli Amici della terra. Sono rimasto a qualche mese fa. La concorrenza quindi è grande e l'obiettivo sono i mercati del terzo mondo, i quali naturalmente si orienteranno verso le soluzioni tecnologiche che avranno minori costi diretti ed esterni.

Vorrei fare solo un'ultima osservazione numerica. L'Italia è un paese trasformatore e come tale fa grande uso di materiali, pertanto una maggiore efficienza in questo settore significherebbe un risparmio particolarmente sensibile e consentirebbe di arrivare all'obiettivo indicato nel titolo dell'articolato.

TOMMASO CAMPANILE, Rappresentante della CNA. Abbiamo apprezzato questa iniziativa ed abbiamo constatato che lo schema sottoposto alla nostra attenzione ha recepito molti suggerimenti scaturiti dai dibattiti presso l'ANPA e il Ministero dell'ambiente ed in convegni pubblici e privati intorno al regolamento EMAS ed alla sua introduzione nel nostro paese. Dobbiamo dare atto agli estensori di questa proposta di aver colto alcuni aspetti particolari e di aver tentato di costruire una strada per la diffusione di un sistema volontario per le piccole imprese.

Gli esempi relativi agli altri paesi sono pertinenti per la letteratura e per i confronti, ma noi abbiamo un sistema che si basa su alcuni milioni di piccole e piccolissime imprese ; quindi, se vogliamo attrezzare una politica di tutela ambientale, dobbiamo alimentare la cultura ambientale attraverso l'utilizzo di questi strumenti nelle piccole imprese. Molti suggerimenti, che ritrovo nella proposta di provvedimento, sono venuti anche da rappresentanti di altri paesi in occasione di confronti a livello comunitario.

Nel merito di quanto è stato detto vorrei fare solo due considerazioni; non voglio aggiungere proposte di modifica, perché, lo ripeto, ritengo che il provvedimento, ancorché perfettibile, abbia già accolto i suggerimenti scaturiti dalle discussioni precedenti. Una legge di promozione di un regolamento europeo come l'EMAS non può comportare interpretazioni né modifiche del regolamento stesso, deve recepirlo ed adattarsi ad esso. In secondo luogo si deve tener presente come si sta evolvendo il sistema legislativo nel nostro paese soprattutto per quanto riguarda le procedure; in questi giorni si sta definendo la normativa della nota legge Bassanini che prevede una semplificazione procedurale e non possiamo attuare un'inversione di tendenza con un provvedimento che vuole stimolare le imprese ad utilizzare EMAS.

Colgo l'occasione di questa convocazione per invitare la Commissione ad un approfondimento sulla gestione del decreto Ronchi, magari nell'ambito di una riflessione più ampia sull'applicazione delle normative in campo ambientale. Abbiamo sempre detto che il sistema EMAS potrà funzionare in Italia se le imprese avranno qualche certezza in più dal punto di vista normativo; ci sono infatti molte norme di settore che non sono affatto chiare e questo può comportare notevoli impedimenti nell'applicazione di EMAS soprattutto per le piccole imprese. Mi riferisco alla legislazione sulle emissioni, sul rumore, sulla gestione delle acque: abbiamo registrato problemi enormi nell'applicazione di leggi di recente o meno recente emanazione e abbiamo riscontrato notevoli problemi in fase di applicazione del decreto Ronchi. Se un'impresa non sa se sta producendo un rifiuto o un prodotto, non potrà mai decidere quale azione deve fare per migliorare la sua capacità produttiva.

Il problema non di è utilizzare meno risorse primarie e se poniamo delle percentuali, a mio avviso falliamo; dobbiamo stimolare l'impresa a fare sempre meglio rispetto alle proprie capacità e alle proprie possibilità. Nelle piccole imprese il trasferimento di nuova tecnologia è estremamente difficile perché anche l'innovazione tecnologica è pensata per certe dimensioni e non è sempre disponibile per il mondo complessivo dell'impresa. Bisogna avere maggiori certezze dal punto di vista normativo anche per quanto riguarda la gestione del decreto Ronchi; per esempio ancora non riusciamo ad avere chiarezza sulla definizione di rifiuto: le nostre imprese ancora ci chiedono se la segatura sia un rifiuto o un prodotto o se quando producono l'oro stanno producendo un bene commerciale. Anche queste cose sono fondamentali per lo sviluppo di EMAS.

MAURO ALBRIZIO, Rappresentante di Legambiente. Vorrei entrare nel merito della proposta di articolato con una piccola premessa generale, collegandomi a quanto diceva Iacomelli. Ho saputo che il Governo in questi giorni sta prendendo la decisione di introdurre la carbon tax, che - almeno secondo il Sole-24 ore di venerdì - verrà tradotta nel prossimo provvedimento collegato alla finanziaria e che unpezzo del mondo industriale - penso a Bernabè, amministratore delegato dell'ENI, la sesta compagnia petrolifera mondiale per profitto - sostiene con forza questa proposta.

A nostro parere, sebbene quella che ci è stata sottoposta sia una proposta specifica, nella premessa va sottolineato con forza il principio del doppio dividendo, ossia l'utilizzazione degli incentivi economici e fiscali per promuovere l'innovazione del sistema industriale italiano per fare in modo che sia competitivo e al tempo stesso crei occupazione con un graduale shift del carico fiscale dal costo del lavoro al costo delle risorse naturali. Se c'è la proposta della carbon tax con l'impegno del Presidente del Consiglio per una riduzione dello 0,7 per cento del costo del lavoro, perché non utilizzare come premio non solo un incentivo all'assistenza tecnica ma anche una riduzione del costo del lavoro per le imprese che aderiscono al sistema EMAS?

Alla fine, se è vero che è il mercato che comanda, se è vero che il sistema delle imprese italiane vuole fare riferimento al mercato nazionale, internazionale e globale, sono queste le regole che dobbiamo fissare.

I primi due articoli della proposta mi sembra che vadano bene, i successivi sono per così dire da maneggiare con cura. Innanzitutto è meglio sostituire il termine "revisore" con quello di "consulente". Capisco che il problema non si ponga perché in Italia oggi sono registrati solo 6 verificatori su 300 in Europa quindi, tranne in qualche caso, il controllore ed il controllato non hanno possibilità di confondersi; però deve essere chiaro che i verificatori riconosciuti e che svolgono questo ruolo non possono prestare assistenza tecnica alle aziende. Questo deve essere sottolineato con forza nell'articolato perché adesso non emerge a sufficienza.

Non credo che ci sia bisogno di un albo dei consulenti riconosciuti, che rappresenterebbe una complicazione, mentre uno degli obiettivi dell'articolato è quello di semplificare. L'importante è dare un sostegno economico per l'assistenza tecnica alle piccole e medie imprese che intendono aderire al sistema EMAS, come accade negli altri paesi (mi dispiace che alcuni rappresentanti del mondo delle imprese, e in particolare delle piccole e medie imprese, non lo abbiano chiesto). Penso in particolare all'esperienza tedesca e al nord europeo, dove il programma per le piccole e medie imprese è finanziato dall'Unione europea. In Germania, e in particolare nell'area di Berlino, è stato finanziato un consorzio che forniva assistenza tecnica alle piccole e medie imprese per la gestione del processo di ecoauditing per l'adesione al sistema EMAS.

Le piccole e medie imprese, che hanno bisogno di fare massa, devono essere aiutate in questo senso, in modo che possano situarsi a livello dei grandi competitori. La nostra fortuna è costituita sì dalle piccole e medie imprese ma anche dai distretti produttivi, per settore e per filiera. E' importantissimo un sistema di incentivi che guardi al mercato e alla globalizzazione dell'economia: questi sono gli incentivi che vanno previsti, oltre a quelli fiscali di cui ho parlato prima.

In altri paesi europei vi sono programmi finanziati con fondi strutturali che hanno prodotto grandissimi risultati.

Un altro aspetto importante è l'introduzione - non so come dal punto di vista giuridico - del ruolo degli enti parco, che si stanno muovendo da soli in questa direzione. Addirittura il servizio conservazione della natura del Ministero dell'Ambiente, con una circolare del 19 giugno scorso, ha dato delle indicazioni agli enti parco per adottare la certificazione ISO 14001 e per incentivare le imprese all'interno del parco a ricorrere all'EMAS. Tra l'altro, onorevole Gerardini, in un'area a lei vicina, grazie al contributo dell'agenzia regionale per il servizio di sviluppo agricolo e dell'ENEA, si sta svolgendo un progetto pilota molto interessante per quanto riguarda l'EMAS e le imprese agroalimentari insediate nel Parco nazionale della Maiella.

Alcuni presidenti e direttori hanno chiesto come istituzionalmente possano svolgere questo ruolo, senza dover ricorrere ad altre forme di incentivi generali, come quelli che si danno agli agricoltori per i danni provocati dai cinghiali.

Se è vero che l'articolato punta a dare incentivi alle imprese per lo sviluppo sostenibile è anche vero che il dieci per cento del territorio italiano è un laboratorio in cui si può avviare questo processo, anche perché si opera in condizioni privilegiate.

A nostro avviso l'articolo 4 va riformulato, partendo da un assunto che ci viene fornito dall'esperienza nord-europea e, in particolare, tedesca. La dichiarazione ambientale ha valore verso l'esterno, svolge un'azione di promozione e di marketing forte solo se "è certificata dall'organo di controllo", altrimenti non serve a niente (non lo sto proponendo).

Condividiamo la semplificazione amministrativa (l'obiettivo è giusto), però deve essere chiaro che è necessario un giusto bilanciamento tra prevenzione e repressione, nel senso che la documentazione necessaria per l'applicazione del principio del silenzio-assenso e per le varie autorizzazioni va redatta in maniera tale che i controlli si possano fare seriamente e non in maniera vessatoria nei confronti delle imprese. Al tempo stesso, il soggetto che svolge il controllo deve essere posto nelle condizioni di farlo fino in fondo, nell'interesse di tutti.

D'altro canto, trattandosi di uno strumento volontario, vi sono i free riders, cioè coloro che non aderiscono, oltre al problema enorme consistente nel fatto che chi deve fare i controlli non è in grado di farli e quando li fa a volte sono vessatori. Allora, utilizziamo questa proposta di legge per semplificare il sistema.

Non capisco perché negli Stati Uniti con una dichiarazione delle tasse di quattro pagine si fanno controlli a tappeto, mentre in questo paese con il modello unico e tonnellate di pagine l'evasione e l'elusione sono enormi. Non credo, quindi, che la complessità delle procedure porti ad un maggiore controllo.

La proposta che mi sento di fare è che attraverso l'ANPA, sistema ARPA, si definisca un articolato che consenta di produrre una documentazione per l'EMAS che faciliti il controllo. Si tratta di un elemento di concorrenza leale nel sistema delle imprese.

Rispetto all'articolo 5, va evidenziato con forza che il superamento della non conformità ambientale fa riferimento solo ai reati che prevedono sanzioni amministrative. Così noi speriamo di vincere la nostra battaglia, di andare avanti e paragonarci almeno alla Spagna e di fare in modo che non si renda necessaria una modifica della legge. Tra l'altro, la copertura che si chiede è amministrativa: una fidejussione. In questo modo, con una semplicità estrema, si sa di che morte si muore e, nello stesso tempo, si facilita il rapporto con le imprese.

Poiché sono convinto che la variabile ambientale sarà il fattore di vantaggio competitivo nell'economia globale, questo deve essere un principio di selezione all'interno del sistema industriale italiano, utilizzando tutti gli strumenti e gli incentivi necessari.

Considerato l'impatto sul prossimo provvedimento collegato alla finanziaria, il meccanismo dell'incentivo può essere interessante anche dal punto di vista del costo del lavoro, perché, tra l'altro, il lavoro nero, per ovvi motivi, è maggiore nel sistema delle piccole e medie imprese. Anche da questo punto di vista si possono ottenere risultati importanti. Secondo me questo è un ritorno immediato dell'interessante testo che ci è stato sottoposto e che Legambiente ritiene rappresenti un ottimo passo in avanti.

PRESIDENTE. La ringrazio per le sue proposte emendative all'articolato.

FERNANDO FERRARA, Rappresentante di Ambiente e/è vita. Annuncio che l'associazione ha predisposto un documento che consegnerò alla Commissione.

Mi limiterò a fare una serie di considerazioni generali, anche stimolato dai precedenti interventi.

Come ha fatto il dottor Mastino, inizio dal titolo del documento che stiamo esaminando: "Incentivi alle imprese per lo sviluppo sostenibile", un titolo importante che indica la sfida per il futuro. Cosa significa "sviluppo sostenibile?" Continuare a produrre consumando, inquinando e impattando di meno sull'ambiente naturale. Ciò è fattibile: la tecnologia ci mette a disposizione i mezzi per realizzare questo obiettivo. Però il sistema economico e la società hanno una certa inerzia, per cui è necessario creare degli incentivi e determinare, anche attraverso essi, la nuova cultura che tutti auspicano. I tre soggetti coinvolti sono i consumatori, che dovrebbero cambiare il loro approccio al consumo, eliminando l'usa e getta esasperato; i produttori, che dovrebbero riuscire ad applicare nuove tecnologie più ecocompatibili; lo Stato, che deve avere funzioni di raccordo e di stimolo ed incentivazione della nascita del nuovo processo, anche - come sottolineato nella proposta che ci è stata presentata - creando un nuovo rapporto di fiducia tra controllori e controllati. Mi sembra che l'esperienza della Commissione d'inchiesta - che seguo da vicino leggendone gli atti - sia proprio questa: la complessità e la poca chiarezza della normativa rendono facile il compito dei disonesti e difficile quello di chi deve controllare e reprimere. Quindi la prima necessità, di cui si fa un gran parlare a livello generale, è quella di semplificare la normativa per facilitare questo tipo di rapporti. Ciò anche perché, pur facendo parte di una associazione ambientalista o ambientale, ritengo, volendo essere ottimista, che il mondo dell'impresa in generale, dalla grande impresa a quella piccola e all'artigianato, abbia una notevole coscienza ambientale. Credo che a livello generale vi sia la consapevolezza, oggi come oggi, che spendere per migliorare l'ambiente nell'ambito della propria produzione non sia un costo ma una sorta di investimento.

E' questo il punto su cui bisogna battere, su cui lo Stato ed il Parlamento devono incidere profondamente. Ma in che modo? La mia associazione ed io non siamo mai stati d'accordo sugli incentivi economici dati direttamente alle imprese; meglio sarebbe creare le condizioni per la realizzazione di un antitrust negativo, facendo in modo che le imprese che volontariamente migliorano i propri cicli produttivi, dimostrando chiaramente di impattare di meno sull'ambiente, abbiano la possibilità di avvantaggiarsi rispetto ai propri concorrenti. Ciò deve avvenire, tramite i processi di informazione presenti nell'articolato al nostro esame, sia dal versante delle imprese, che non conoscono molti strumenti, tra cui questo dell'EMAS, sia da quello dei cittadini, dei consumatori. Se un'impresa nel produrre un bene è più ecologica di un'altra deve avere la possibilità di rubare a quest'ultima quote di mercato. Solo così è possibile creare un meccanismo di concorrenzialità, che rappresenta la giusta interpretazione del principio comunitario "chi inquina paga".

Ho sentito dire che vi è la possibilità di introdurre la carbontax nella prossima finanziaria. Ritengo che questo sia un errore gravissimo, come è stato grave introdurre la tassa sulle emissioni di SO2 NOx in quella precedente. Infatti, delle due l'una: se lo Stato fissa dei limiti per le emissioni di alcune sostanze inquinanti, deve ritenere che al momento sono i migliori dati dalla tecnologia, dal sistema economico, dalla socialità del Paese; se non è così, significa che è tempo di abbassare, di ridurre quei limiti. Ma una volta fissati, chiunque li rispetti si attiene alla legge, per cui non deve essere costretto a pagare nulla. Chi si impegna a scendere al di sotto delle emissioni dei suoi concorrenti, perché rinnova i suoi impianti e le sue tecnologie, deve essere premiato, in modo da essere più concorrenziale sul mercato stesso. E' in questo senso che chi resta fuori da un simile sistema può essere catalogato tra chi inquina e quindi paga. Credo che in uno stato di diritto non si possa costringere a pagare qualcuno perché rispetta i limiti fissati dalla legge.

E' di questi giorni il problema dell'inquinamento atmosferico nei grandi centri urbani, Roma compresa. Ebbene, ieri ho letto sul giornale che il presidente dell'ATAC, che ha trascorsi ambientalisti, è insorto contro la proposta del ministro di bloccare la circolazione, in condizioni di emergenza, anche dei motorini, perché l'azienda dei trasporti andrebbe al collasso. Ma un salto in avanti dobbiamo farlo, le contraddizioni dobbiamo evidenziarle per non ripetere gli errori del passato. Vi è stato senz'altro chi ha agevolato, per la posizione che rappresentava, l'uso del motorino, facendolo diventare uno status symbol, tant'è che ormai oggi è usato da persone in giacca e cravatta, da pensionati e manager che sembrano subire una strana sindrome: quando sono a terra sono persone tranquille e sensate, ma quando salgono su un motorino diventano tutti dei mister Jekyll per i quali non esistono più le regole del codice della strada. Né vanno dimenticati, a mio avviso, i costi sociali connessi all'aumento degli incidenti in città dovuti ai motorini; di ciò nessuno si preoccupa, ma quando verrà compiuta qualche indagine al riguardo, ci accorgeremo che si tratta di un grosso problema.

L'onorevole Gerardini ricorderà bene che un anno fa, quando si discusse del disegno di legge sulla qualità dei carburanti e delle benzine, vi era una proposta di legge che prevedeva una qualità di benzine a bassissimo tenore di benzene e di aromatici riservata, unicamente, ai centri urbani. Mi sembra che i fatti odierni stiano riportando d'attualità quella proposta.

Concordiamo con quanto previsto all'articolo 5 della proposta al nostro esame, ovverosia con la possibilità che l'azienda possa autodenunciarsi nel momento in cui si renda conto di una sua non conformità alla normativa vigente in materia ambientale. Credo che debba essere incentivata questa nuova cultura delle imprese affinché siano esse stesse a migliorare il rendimento ambientale.

Non mi è chiaro, invece, il discorso della fideiussione, che per me comporterebbe un ulteriore carico a danno delle piccole imprese, degli artigiani e dei commercianti. Considerato che la norma è già riportata in altri provvedimenti all'ordine del giorno, come la proposta di legge sui siti contaminati in discussione alla Camera, e ferma restando la possibilità di autodenuncia nei casi di cui sopra, si dovrebbero fissare delle "pene" oppure prevedere la chiusura di certe attività qualora la legge non sia rispettata; naturalmente, si potrebbe specificare che certe misure valgono una sola volta.

ROBERTO FINESI, Rappresentante della CONFAPI. Premesso che ci fa piacere constatare che nella proposta di legge si è tenuto conto di alcune nostre osservazioni, vorrei dire, anzitutto, che uno dei momenti qualificanti dell'articolato al nostro esame è senz'altro l'istituzione dei corsi regionali per il revisore ambientale, visto che a volte quest'ultimo viene confuso con il valutatore. L'istituzione di questi corsi è un momento qualificante perché come piccole industrie abbiamo a volte vissuto momenti drammatici a causa di una serie di soggetti che, dall'oggi al domani, si sono inventati il lavoro carpendo la buona fede degli industriali; il risultato è stato che certe aziende hanno dovuto pagare 40 o 60 milioni di multa.

A nostro avviso è necessario, riallacciandomi al comma 2 dell'articolo 3, prevedere per l'ANPA un momento di coordinamento delle varie linee guida, perché al momento essa è l'organo tecnico della sezione EMAS del comitato; è dunque il vero soggetto che conosce, momento per momento, la realtà dell'applicazione dell'EMAS. Proponiamo, quindi, che sia istituito un comitato dove l'ANPAcoordini le proposte e le linee guida per i corsi avvalendosi del supporto di ENEA, delle associazioni di categoria degli industriali, nonché degli artigiani e degli altri soggetti. Sarebbe altresì opportuno che le regioni inviassero i propri programmi per la tenuta dei corsi a questo comitato, che dovrebbe esprimere un parere formale, non vincolante, di modo che certi corsi siano indirizzati nel modo più adeguato.

In merito al comma 1 dell'articolo 5, non abbiamo nulla da dire sulla fideiussione e non entro nel merito delle questioni sanzionatorie delle non conformità ambientali. Devo però sottolineare come spesso e volentieri la non conformità non dipenda dall'azienda. Normalmente le aziende rispettano la legge, ma può capitare che per mancanza di conoscenza o per errata interpretazione dell'organo di controllo, un'azienda sia dichiarata fuori legge o non conforme alla normativa vigente. A noi va bene che per essa sia previsto un congruo tempo affinché possa mettersi in regola e che paghi fideiussioni, però chiediamo anche che per l'azienda venga concesso un ulteriore margine di tempo, qualora quello previsto non sia sufficiente per consentirle di mettersi in regola.

A proposito, invece, del comma 2 dell'articolo 5, riteniamo che il numero dei dipendenti debba essere innalzato da 20 a 50.

PRESIDENTE. Rispetto in maniera religiosa le sue osservazioni, ma faccio notare come sia abbastanza complesso individuare la volontà o meno di un'impresa di adempiere agli obblighi legislativi. Si tratta di un aspetto abbastanza complesso, non facilmente districabile. Comunque, accoglieremo senz'altro alcune delle proposte e osservazioni da lei avanzate.

ANGELO ALGIERI, Rappresentante della Lega delle cooperative. Mi dichiaro perfettamente d'accordo con l'intervento del collega Campanile, per cui non ho nulla da aggiungere.

PRESIDENTE. Ringrazio sentitamente gli intervenuti per il contributo offerto ai lavori della Commissione e preannunzio che le loro osservazioni saranno trasfuse nel documento riguardante gli incentivi alle imprese per lo sviluppo sostenibile, che sarà poi inviato nella nuova formulazione ai presenti.

Comunicazioni del presidente.

PRESIDENTE. Avverto che la Commissione tornerà a riunirsi mercoledì 9 settembre 1998, alle ore 14, per ascoltare il presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e per il gas, professor Pippo Ranci.

La seduta termina alle 15.15.

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