Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

27ª SEDUTA

GIOVEDI 6 NOVEMBRE 1997

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

prima parte

seconda parte

Prima parte - Indice degli interventi

PRESIDENTE
COSSIGA
BONFIETTI, (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore
CORSINI (Sin.Dem.-l'Ulivo), deputato
DE LUCA Athos (Verdi-l'Ulivo), senatore
FRAGALA' (AN), deputato
GRIMALDI, (Rif.Com.-Progr.), deputato
GUALTIERI (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore
MANCA (Forza Italia), senatore
PALOMBO (AN), senatore
ZANI (Sin.Dem.-l'Ulivo), deputato

La seduta ha inizio alle ore 10,30.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito la senatrice Bonfietti a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

BONFIETTI, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del 22 luglio 1997.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione, che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.

Informo che, in data 16 settembre 1997, il Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Commissione il senatore Giovanni Lorenzo Forcieri in sostituzione del senatore Guido Calvi, dimissionario.

Comunico infine che il signor Stefano Delle Chiaie ha restituito, debitamente sottoscritti, ai sensi dell'articolo 18 del regolamento interno, i resoconti stenografici delle sue audizioni svoltesi il 16 ed il 22 luglio 1997, dopo avervi apportato correzioni di carattere meramente formale.

 

INCHIESTA SU STRAGI E DEPISTAGGI AUDIZIONE DEL SENATORE FRANCESCO COSSIGA

PRESIDENTE. Colleghi, l'ordine del giorno reca l'audizione del senatore a vita Francesco Cossiga, che è con noi e che ringrazio. E’ quella odierna una audizione che avevamo deliberato da tempo. In contatti avuti con lui, il presidente Cossiga mi aveva manifestato una sua perplessità che io, nei limiti in cui mi è stata espressa, condivido. Sugli oggetti di inchiesta della nostra Commissione il presidente Cossiga è stato già sentito diverse volte da Commissioni parlamentari, - fra l'altro la Commissione Moro e questa Commissione - ed è stato numerose volte - lui forse ci potrà dire quante - sentito dall'autorità giudiziaria.

COSSIGA. Sì posso dirvelo.

PRESIDENTE. Giustamente egli faceva presente che, a distanza di anni da singoli episodi, da singoli particolari, potrebbe anche venir fuori una qualche non piena corrispondenza fra una dichiarazione e l'altra.

COSSIGA. Mi sono portato tutto e quindi mi limiterò a leggere ciò che ho detto.

PRESIDENTE. In questa prospettiva ho voluto assicurare al presidente Cossiga che noi siamo in una fase finale dei nostri lavori e che quindi la sua audizione avrebbe avuto un carattere d'insieme, panoramico. Il senatore Cossiga è stato uno dei grandi protagonisti della storia recente del paese, nelle sue luci e nelle sue ombre. Io personalmente nell'altra legislatura mi assunsi la responsabilità, sia pure a titolo individuale, di esprimere il giudizio che le luci prevalgono sulle ombre. La nostra è la storia di una democrazia giovane, fragile, che è stata sottoposta a prove difficili e severe, ma, conclusivamente, è uscita rafforzata, compiuta da tutto questo percorso. Questa però è purtroppo una Commissione che deve indagare sulle ombre. I colleghi saranno liberi di regolarsi come vorranno, tuttavia io ritengo giusto che questa audizione abbia proprio il carattere d'insieme e di panoramica generale cui prima mi riferivo. Personalmente vorrei che, per quanto è possibile, seguissimo un ordine cronologico secondo la traccia dei quesiti che la Commissione ha sottoposto allo staff dei consulenti assegnando ad essi 60 giorni per dare le risposte. Noi ascolteremo il senatore Cossiga. Gli uffici e i consulenti hanno preparato una serie di domande che ho fatto distribuire ai colleghi e nell'intervenire potranno avvalersene. Da parte mia mi atterrò a quello schema generale che è nei quesiti che abbiamo fatto avere ai consulenti e che io ho trasmesso al senatore Cossiga. Do la parola al presidente Cossiga.

COSSIGA. Volevo iniziare leggendo il pezzo di un salmo, in cui il salmista invita me, perché sono io che l'ho letto questa mattina, a non adirarmi, a non avere l'ira. Direi che questo ha ridimensionato e dato un tono più pacifico allo spirito con cui stavo venendo qui, uno spirito che precisamente pacifico non era. Spero di riuscire nel mio proposito, mi tengo comunque davanti il libro dei Salmi e, qualora mi accorgessi di eccedere, chiederò al Presidente una pausa e me lo rileggerò in silenzio, perché sono rispettoso della libertà di religione e non posso costringervi ad ascoltare i salmi, anche se di solito li leggo in inglese dal rituale anglicano. Sono a disposizione della Commissione, come è mio dovere. Ho portato dietro tutte le cose che ho potuto trovare. Darò il mio contributo anche consegnando, non documenti, che non sono solito portare dietro, ma degli strumenti che credo possano essere utili al lavoro della Commissione: il primo è, di Zeffiro Ciufoletti, «Retorica del complotto», un libro molto utile perché parla della teoria del complotto, partendo dalla individuazione negli illuministi, nei massoni della causa della rivoluzione francese; poi ho portato un altro libro che può essere utile, «La cultura del Piagnisteo» di Robert Hughes, la saga del politicamente corretto, su ciò che è corretto e ciò che non lo è. Può servire. Poi leggerò una poesia di Cavasis Costantinos, ma questo lo farò alla fine. Poiché ho visto farlo da altri, ho bevuto anche io il caffè, perché i caffè offerti dalla Commissione d'inchiesta non hanno mai portato bene. ( Ilarità )

Intervengo a questa seduta della Commissione parlamentare sul terrorismo con un groviglio di incerti sentimenti, ma anche con un corredo di giudizi da tempo maturati e ben fermi su natura e limiti giuridici, politici e storico-culturali del vostro essere e del vostro operare. Chiariamo subito il mio pensiero: lo stragismo è il capitolo più vergognoso della storia d'Italia degli ultimi cinquant'anni. Mi sono applicato con onestà a comprendere le ragioni del terrorismo e, soprattutto, della sovversione di sinistra e mi rifiuto di considerare lo stragismo cosa diversa da criminale disumanità. In un paese normale per un ex Capo dello Stato sarebbe superfluo dir ciò, ma dopo aver letto alcuni singolari criteri di giudizio enunciati o fatti propri nella proposta di relazione del presidente Pellegrino, largamente basati non sull'enunciazione di fatti, ma sul calcolo delle possibilità e probabilità, sul valore dei silenzi, ho ritenuto, con l'aria che tira, prudente il farlo. Il senso e lo scopo di ciò che dirò a mo' di introduzione - e spero voi perdonerete questa civetteria oratoria, ma ormai sono abbastanza conosciuto: mi avete perdonato e sopportato per cinquant'anni, mi potete sopportare per mezz'ora - è di darvi, per quanto possibile, una chiave interpretativa, di fornirvi un certo qual orizzonte ideale ai giudizi che esprimerò, alle considerazioni che formulerò e in genere a quanto andrò dicendo in questo nostro colloquio. Intervengo con grande rispetto per un'istituzione prevista, anche se certo a mio avviso di giurista, con diverse funzioni e diversi fini, dalla Costituzione, voluta dal Parlamento, con quel rispetto che ad ogni forma di rappresentanza della sovranità popolare (e non vorrei qui essere accusato di deriva plebiscitaria) è dovuto, anche, e direi soprattutto, quando non si concordi con le linee politiche del suo operare. Intervengo come membro del Parlamento all'attività di un suo organo politico, il cui operare, ancorché assistito da poteri propri dell'autorità giudiziaria, è attività politica così come politico sarà di necessità il vostro giudizio. Voi non siete giudici, io non sono né mi sento teste, né indagato, né imputato, anche se, come dirò compiutamente più avanti, la proposta di relazione da me letta con cura e attenzione ha un taglio del tutto giudiziario, di un tipo di giudizio che la cortesia verso l'amico Giovanni Pellegrino mi fa definire solo inquisitoria per non usare il termine più appropriato di inquisitoriale. In questo periodo in cui il Papa chiede scusa per tutto, anche per l'inquisizione, forse è giusto quello che si crede: che c'è spazio per il perdono che chiede il Papa ma non per il perdono chiesto dai laici. Sono qui a collaborare liberamente con voi e a contribuire al vostro lavoro con le mie conoscenze colorite, pur nell'integralità del loro contenuto di autenticità e verità (esprimere giudizi politici, almeno per me, non significa mentire), col mio giudizio storico-politico sulle tragiche vicende che sono oggetto della vostra inchiesta e sull'origine e il significato di questa inchiesta stessa. E ancor maggiore è il rispetto verso questa Commissione per l'orizzonte del ricordo di lutti, dolori, tragedie personali e civili in cui voi operate. Sono qui con l'animo sgombro da pregiudizi ma anche da timori, ben fermo nel dialogare tra sentimenti e ragione, assolutamente insensibile - non dico a timori e a minacce che tra l'altro è lungi da questa Commissione voler incutere o solo incutere, voler formulare o solo formulare - e insensibile anche ai tanti amichevoli e in parte profetici avvertimenti che mi vengono in questo tempo elargiti, da quando, dopo una non lunga parentesi, non mi occupo più solo della filosofia religiosa di John Henry Newman, o del pensiero e della vita di san Tommaso Moro, ma sono tornato ad occuparmi di politica, con uno strano ripresentarsi di vecchi problemi o con l'improvviso irrompere di altri che per alcuni forse dovrebbero crearmi un certo imbarazzo, ma sbagliano. E vengo qui anche con non poca curiosità, atteso che dopo le ore e i giorni di interrogatori e audizioni da parte di Commissioni di inchiesta, tribunale dei ministri, giudici di ogni ordine e grado, pubblici ministeri di ogni rango, temo di annoiare chi ha doverosamente e con diligenza letto le carte e di non riuscire, come vorrei, a salvare da un qualche rimorso chi non le ha lette, né tanto meno indurlo a farlo.

Solo per rammentare a me e non a voi di cosa si tratta lo ricorderò brevemente. 23 maggio 1980: audizione presso la Commissione di inchiesta sul caso Moro; 11 ottobre 1982: deposizione al processo Moro I Corte di Assise di Roma; 15 marzo 1991: Comitato parlamentare servizi segreti su Gladio presso il Palazzo del Quirinale; 18 giugno 1992: procuratore della Repubblica di Roma, Giudiceandrea; 30 luglio 1992: dal giudice Priore per Ustica; 26 settembre 1992: dal giudice Priore per Ustica: 13 ottobre 1992: dal giudice Priore per Ustica; 26 gennaio 1993: dal presidente Vairo presso il Collegio per reati ministeriali per Gladio; 11 febbraio 1993: alla Commissione sempre per Gladio; 8 ottobre 1993: audizione da parte della Corte d'Assise per il processo P2: 30 novembre 1993: Procura della Repubblica Moro V, dottor Ionta e dottor Marini; 1 dicembre 1993: Procura Moro V, dottor Ionta e dottor Marini; 13 dicembre 1993: Procura Moro V, dottor Ionta e dottor Marini; 15 dicembre 1993: audizione Commissione stragi; 21 dicembre 1993: audizione Commissione stragi; 5 maggio 1994: dottor Priore Ustica; 9 maggio 1994: dal procuratore della Repubblica Mele per qualche cosa, non so quale (i magistrati hanno proposto di chiedere al Ministro di grazia e giustizia di darmi una stanza a piazzale Clodio); 25 maggio 1994: dal giudice Priore; 26 maggio 1994: dal giudice Vinci; 25 giugno 1994: di nuovo dal giudice Priore; 28 giugno 1994: dal procuratore della Repubblica Coiro; 14 luglio 1994: procuratore della Repubblica Coiro; 11 novembre 1994: dottor Ionta; 2 marzo 1995: giudice Priore; 2 novembre 1995: di nuovo dal giudice Priore, 12 gennaio 1996: di nuovo dal giudice Priore; 17 ottobre 1997: di nuovo dal dottor Ionta; 29 ottobre 1997: sostituto procuratore Pradella; 30 ottobre 1997: Tribunale dei ministri; 6 novembre 1997: audizione Commissione stragi. Tutto ciò con la politica, come voi capite, non ha assolutamente niente a che fare.

PRESIDENTE. Può dipendere dal ruolo che lei ha avuto nella storia del paese. Il paese si interroga su questo.

COSSIGA. Allora vorrei che lei, presidente Pellegrino, sul piano storico perché lei ha così impostato, mi portasse il numero di interrogatori di Mitterand che è stato il Ministro di grazia e giustizia che ha firmato le condanne a morte durante la guerra algerina, prima di fondare il Partito socialista; così mi spiegava il Presidente della Repubblica Pertini. Questa Commissione di inchiesta, che realizza una tipologia istituzionale strana, quella dell'inchiesta permanente, direi quasi a vocazione eterna, ha oggetti molteplici e spesso indefinibili e si pone storicamente nella fase estremamente delicata politicamente, civilmente, culturalmente e giuridicamente, del faticoso superamento della rottura politica e civile dell'unità nazionale, della contrapposizione delle due Italie e del sofferto tentativo in atto di una ricomposizione attorno a valori unitari. Due paesi sono stati colpiti in modo peculiare all'interno dalla spaccatura dell'Europa: la Germania inizialmente in senso territoriale ma, come poi si è visto nelle conseguenze, anche territoriale e civile, e l'Italia in cui una invisibile cortina di ferro, attraversando popolazioni, classi e coscienze, ha frantumato quel tanto di unità che, dopo la catastrofe morale dell'8 settembre 1943 e della guerra civile che ne seguì, si era raggiunta con l'unità antifascista e con il mito salvifico, l'unico possibile, dell'unità nella resistenza che si sperava animasse un nuovo patriottismo almeno nei termini ridotti di un patriottismo costituzionale.

Così, anche per il costituirsi, per emergenze internazionali ed interne, di un regime di democrazia incompiuta e bloccata e perciò limitata, incardinato in ciò che politologicamente si può definire un partito-Stato, si ebbero due realtà politiche, civili e morali, due comunità politiche, quasi due patrie e, nel dissolvimento del sistema di nazione, due sistemi di istituzioni e valori di riferimento opposti e collidenti: l'Alleanza atlantica, la Comunità europea, la cosiddetta civiltà europea, gli Stati Uniti, la Chiesa cattolica da un lato, la grande utopia di libertà e di liberazione rappresentata dal comunismo, il movimento mondiale socialista, il sistema degli Stati europei a socialismo reale, l'Unione sovietica dall'altro. Dare oggi giudizi etici sull'uno o l'altro sistema di riferimento è ingiusto, inutile e, sul piano sociale, civile e politico, dannoso: se ne occupi la storia. E non sembri che ricordando queste cose io mi allontani dal tema del vostro impegno o che cerchi scorciatoie giustificazioniste per gli uni o per gli altri.

PRESIDENTE. E’ l'impostazione data alla mia proposta di relazione. Quindi l'impostazione è condivisa.

COSSIGA. Assolutamente, altrimenti lo avrei detto. La sovversione di sinistra e l'eversione di destra si inquadrano in questo scenario interno ed internazionale come varianti estremistiche delle due opzioni e delle due realtà. La sovversione di sinistra ha le sue origini ideali e politiche in un sentimento di fedeltà estrema alla lotta di classe e al movimento rivoluzionario della Resistenza, ad un ideale comunista non calato nella storia e nella concretezza della realtà politica. La sua rabbia è la rabbia per la cosiddetta resistenza tradita o per lo svanire di quella scelta antagonista in cui si era creduto di combattere in un compromesso politico, sociale e civile che sembrava snaturarla del tutto. L'eversione di destra vaneggiava, partendo più che dalla condanna del compromesso di Governo, giunto molto più tardi, dal rifiuto del compromesso istituzionale del regime politico (l'asse De Gasperi-Togliatti su cui si è fondato quel tanto di democrazia che abbiamo avuto), da un tradimento consumato nella rifiutata tolleranza democratica dell'ideale nazionale e di quell'Europa romantica che aveva fatto parte del bagaglio culturale dei fascismi europei, che forse a ben vedere, nonostante la comunanza di nomi e le teorie di Erich Nolte, il fascismo italiano, un po' gentiliano, un po' sindacalista, un po' - anzi molto - clericale, neanche faceva parte.

Quanto degli eventi terroristici in qualche misura possa poi collocarsi nella guerra a bassa intensità che imperversò tra est e ovest, tra le due superpotenze e, specie nel blocco dell'Est, anche con la presenza attiva dei paesi satelliti, è argomento complesso, incerto e difficile che non aiuta a dipanare le scorribande superficiali e fantasiose. Ciò vale per l'Europa, ma vale soprattutto per l'Italia. Pensate, tra l'altro, che molto accadde, fu in gran parte scoperto e dopo la fine della guerra fredda svelato nel campo dello spionaggio, dell'informazione, della disinformazione, delle intossicazioni, del terrorismo all'Ovest: nel Regno Unito, in Francia, in Germania, in Spagna, nel Canada e negli Stati Uniti. Così come dello stretto e permanente collegamento tra opzioni ideologiche ed attività clandestine innescate e incoraggiate dai paesi a socialismo reale. Invece nel nostro paese sembra non essere accaduto nulla: ancor meno è stato scoperto, salvo a proposito del tentativo di assassinio del Papa e di qualche episodio marginale di spionaggio. Data l'elasticità del vostro compito, sarebbe forse interessante che vi chiedeste perché lo spionaggio in Inghilterra, in Germania il terrorismo, in Francia lo spionaggio, in Svezia e in Svizzera sono stati appurati, mentre da noi non vi è traccia di tutto questo: il nostro è un paese sereno, nel confronti del quale i paesi dell'Est non avevano interesse a fare alcunché e non c'era alcuna esigenza di difenderci, salvo - non penso di tradire alcun segreto e vale per chi ritiene che la minaccia sovietica fosse bassa - a proposito di quella rete di una quarantina di spie costituita in Italia durante il regime Gorbaciov, scoperta dagli americani ...

PRESIDENTE. Ce ne ha parlato il senatore Andreotti.

COSSIGA. …di cui non vi è più traccia perché una certa procura della Repubblica doveva occuparsi più attentamente dell'onorevole Tiziana Parenti.

Il sistema delle lealtà contrapposte e la loro conflittualità hanno prodotto, come sempre in casi di forti contrapposizioni politiche e soprattutto ideologiche, la cultura del complotto. Che è una forte, antica e robusta cultura, la cui sintassi consiste nello spiegare i fatti e gli avvenimenti non con la banale categoria del reale, specie se non corrisponde al proprio ideale e al proprio progetto politico, ma con le ipotesi e le tesi, anteponendo la scelta alla verifica e sostituendo all'essere fattuale il dover essere ideologico. E’ una filosofia forte; è una cultura antica con la quale già un oscuro abate settecentesco cercava di spiegare la rivoluzione francese con il complotto degli atei e degli illuministi. Acquistò forte robustezza ideologica con il pensiero giacobino durante il terrore, per diventare metodo normale di interpretazione storica e di agire concreto nel pensiero rivoluzionario, specie nel pensiero e nella prassi terzinternazionalista, e specificatamente stalinista. Ma la cultura del complotto e la sua figlia prediletta, la cultura del sospetto, è parte integrante di ogni cultura integralista, nella politica come nella giustizia: la sentenza prima del processo e il processo in vista di quella sentenza. Il giudizio non è effetto, ma matrice delle prove. Questo trova una robusta teorizzazione nel pensiero del cosiddetto giudizio alternativo, per cui il giudice non giudica secondo i valori propri dell'ordinamento giuridico, ma gli strumenti del diritto usa per raggiungere fini, pure nobilissimi, di carattere morale e di carattere politico. E’ una teoria che troviamo in centinaia di articoli sostenuta da eminenti giuristi, alcuni dei quali - per lo meno due; uno certamente - fanno parte della Corte costituzionale.

E quando parlo di cultura del complotto, non vorrei essere frainteso: non è cultura della menzogna e dell'inganno, ma una cultura che molte volte si coniuga con un fortissimo impegno etico e con una concezione politica della verità. Ho sempre sostenuto che il più grande teorico politico del ventesimo secolo fu Lenin, il quale è il teorico della verità politica: al di fuori delle scelte politiche non esiste verità. Vi è un bellissimo libro di Vishinskij, procuratore generale dell'Unione Sovietica, sui fondamenti del diritto sovietico che sono tutti basati su questo principio: non esiste la verità, esiste l'utile politico e la verità è il riflesso dell'utile politico. La verità come scelta a priori, che non segue i fatti ma li sostituisce; la verità come funzione del giusto politico. Sono cose serie. La cultura del complotto di solito si nutre della metodologia della ripetizione. Più una tesi o un'ipotesi viene ripetuta, più diventa verità. Vorrei fare un esempio e a tale scopo chiedo di passare in seduta segreta.

PRESIDENTE. Passiamo in seduta segreta.

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 11,13.

... Omissis ...

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 11,14.

PRESIDENTE. Riprendiamo i lavori in seduta pubblica.

COSSIGA. Non tutti i fatti, anche quelli dotati di uguale certezza fattuale, sono fatti veri, ma solo quelli funzionali alla scelta di verità operata sulla base di criteri di verità politica, nel senso più alto del termine. Faccio un altro esempio: si è ripetuto che io avrei sciolto l'Ispettorato generale antiterrorismo di Santillo, privando lo Stato di un prezioso strumento. Neanche per sogno! Lo ha imposto la legge che a quel giorno prevedeva lo scioglimento d'autorità dell'Ispettorato generale antiterrorismo. Era la legge sui servizi di informazione e solo un mio atto di fantasia impedì, come forse i servizi avrebbero voluto, di privare la polizia di uno strumento informativo. L'Ucigos, la Digos e tutti gli altri apparati che esistono furono frutto di una mia invenzione fatta il giorno prima dell'entrata in vigore della legge; altrimenti una interpretazione che temevo, che veniva non tanto dal Sisde, quanto dal Sismi, l'unico vero servizio segreto che l'Italia abbia mai avuto, avrebbe privato totalmente la polizia di organi informativi. Eppure questa notizia, affermata dall'onorevole Covatta, amico personale di Santillo, alla prima Commissione Moro, è stata ripetuta fino ad essere diventata ora verità.

PRESIDENTE. E’ una notizia che si trova nella prima relazione Moro, che giudica quella scelta «senza spiegazioni».

COSSIGA. Non vi è stata alcuna scelta e sarebbe bastata una semplice attenzione alle date, sarebbe bastato chiamare Santillo per sentirsi dire quello che avrebbe dovuto dire. Ma questo non interessava: la notizia era funzionale ad un'altra cosa. Perché si deve scegliere un vero oggettivo? Si sceglie quella parte di vero che può essere utile. Dove è detto che bisogna scegliere il vero oggettivo? Mica siamo in confessionale. C'è chi mente anche in confessione, ma qui non si tratta di mentire, si scelgono tra i vari fatti quelli funzionali. D'altronde lei, Presidente, è un avvocato e sa benissimo che un avvocato, non essendo il giudice, tra i vari fatti sceglie quelli che lei ritiene utili al suo cliente. Se l'altra parte non si accorge che la maggior parte dei fatti ... Lei non cerca i fatti veri, ma fatti parziali. E una delle metodologie naturali della tesi del complotto, quando decide di portare fatti, è quella di portare fatti parziali.

PRESIDENTE. Sul punto mi dà atto di aver ripetuto soltanto un giudizio contenuto nella relazione di maggioranza della prima Commissione Moro. Non c'era scelta politica. E il «colore» di quella Commissione era diverso.

COSSIGA. Non gliene sto facendo una colpa.

PRESIDENTE. Comunque noi la sentiamo proprio perché lei apporta fatti.

COSSIGA. Le critiche da me fatte non sono mai attribuzioni di colpa; io, essendo cresciuto alla scuola pascaliana, credo di poter dare colpe soltanto a me stesso, mi guardo bene dal dare colpe ad altri. Come poi per esempio, quando mi farete domande su Umberto Federico D'Amato, vi leggerò alcune gustose cose sulla figura di Umberto Federico D'Amato senza dirvi di chi sono; e non sono mie. E quando passeremo al discioglimento dei reparti di Carlo Alberto Dalla Chiesa, vi leggerò altre cose, su chi era contro Carlo Alberto Dalla Chiesa; e non sono mie. Cose scritte, peraltro egregiamente, minaccia alle libertà, da alcuni illustri giuristi che fanno parte della Corte costituzionale.

FRAGALA’. Anche quelli.

COSSIGA. Anche quelli della Corte costituzionale; citando libri che io mi sono portato, assolutamente non dubitabili come quelli di un vostro illustre consulente, che ha scritto un capitolo su ciò che è stato scritto contro i reparti di Carlo Alberto Dalla Chiesa. E poi, allora, vi parlerà dei veti posti alla nomina di Carlo Alberto Dalla Chiesa al direttore del Sisde, e poi della campagna di diffamazione - cui lei certamente involontariamente, ha dato mano - per indebolire la figura di Carlo Alberto Dalla Chiesa; perché tra Palermo e la Commissione stragi si sta demolendo la figura di Carlo Alberto Dalla Chiesa, credendo di demolire la figura del senatore Andreotti, ma demolendo la figura di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Dalla cultura del complotto nasce una peculiare...

PRESIDENTE. Vorrei fare una breve interruzione e risponderle su questo punto. Quando è nata questa polemica, io ho segnalato, con una lettera personale al figlio di Dalla Chiesa che non era giusto attaccare Andreotti per la demolizione della figura paterna.

COSSIGA. E perché?

PRESIDENTE. Perché in realtà quella demolizione veniva dalla tesi dell'accusa.

COSSIGA. Amico mio; siccome lei è impregnato di un certo tipo di filosofia realista come me, lei sempre crede al principio di non contraddizione, ma tale principio per la teoria del complotto non vale. Andreotti può aver ricevuto e può essere stato destinatario in modo fraudolento dei documenti trovati a via Monte Nevoso, anzi, i documenti trovati a via Monte Nevoso possono essere stati nascosti, ma per colpa di Andreotti, non per colpa di chi li aveva. Vi sarebbe una contraddizione, e chi dice che il nostro ragionare debba filare sul principio della non contraddizione? Il pensiero cinese non conosce il principio di non contraddizione; molte cose nel nostro paese viaggiano sul rifiuto del principio di non contraddizione.

Dalla cultura del complotto nasce una peculiare filosofia dell'interpretazione storica, comunente chiamata «dietrologia», per cui la verità non si fonda sul fatto storico come accertato, ma sull'interpretazione del fatto; non secondo il taglio della realtà ma di ciò che potrebbe essere, anzi di ciò che dovrebbe essere nel senso di congruità e proporzionalità del fatto ad un prescelto sistema di fini e di valori. Scusate, molte persone lo hanno scritto molto meglio di me, perché io non sono un filosofo di professione; qui entriamo nel campo della gnoseologia. Non si tratta, come potrebbe apparire ad un'osservazione superficiale, di una cialtronesca manipolazione dei fatti, ma di un raffinato pensiero filosofico, etico e politico; non è cioè la filosofia dell'è o dell'essere, ma la filosofia del come è opportuno, degno, doversi o doversi dato che sia; una filosofia della conoscenza e della prassi che ridisegnando il rapporto soggetto-oggetto, premia il valore sull'essere e riduce il fatto a mera apparenza, la cui sussistenza ontologica deriva dal valore che in esso e attraverso di esso si vuole affermare. Un fatto vale nella misura in cui è funzionale ad un valore; se non è funzionale a quel valore, il fatto è irrilevante. Prendiamo ad esempio quella cosa tremenda - ma che mi ha sempre portato a dire che Stalin è il più grande uomo di Stato degli ultimi due secoli - , le confessioni. Non è vero che le confessioni fossero estorte con la violenza: la confessione era l'interiorizzazione che bisognava ammettere un fatto non vero perché attraverso questo fatto si concorreva a riaffermare dei valori. Sono tutte balle. Non è vero che i grandi leaders fatti fuori da Stalin, comunisti che hanno confessato di essere spie inglesi e cose del genere, siano stati torturati, non era ammesso a quel livello la tortura. Era invece l'interiorizzazione del valore: il fatto non vale, che tu non sia una spia non serve. Tu sei un bolscevico militante? Allora in questo momento non serve che tu venga a dirci che non sei stato una spia, serve invece che tu dica che sei stato una spia. Ebbene, questa è un'etica grande, questi mica sono cialtroni, i cialtroni sono quelli che possono averli costretti a farlo, ma coloro che hanno fatto questo sono dei testimoni, dal loro punto di vista dei martiri. E non è che questa filosofia sia rimasta confinata all'Unione Sovietica, così come molte altre cose (io sono di quelli che dicono: putroppo non c'è più). Certo, se non sostenuta dal rigore etico e animata dall'impegno civile può essere la filosofia dell'imbroglione, del truffatore, del falsario; ma se avente questo spessore, è la filosofia dell'epopea tragica dei processi del terrore e dello stalinismo, che non furono entrambi solo dittature se ancor oggi, trovando il modo di coniugarsi con la democrazia formale, ispirano e affascinano politica e giustizia anche nella nostre aule politiche giudiziarie.

Noi non ci siamo ancora liberati da queste culture del complotto e del sospetto e forse solo la riunificazione dello Stato, la ricomposizione della comunità e la rifondazione del valore di nazione ce lo permetteranno, ma solo nella misura in cui e gli uni e gli altri ci siamo serviti strumentalmente, gli uni contro gli altri, della cultura del complotto e del sospetto. Non so se questo basti. Forse basterà ad impedire che questo venga usato dagli uni contro gli altri come strumento politico, ma non credo che venga meno come filosofia e come etica. Ad esempio, sono convinto che continuerà lungamente nella vita giudiziaria del nostro paese. Mi spiego: se un pentito fa una connessione mettendo nei pasticci Pellegrino, noto garantista, il pentito è credibile; se lo stesso pentito dice qualcosa contro un giustizialista non è credibile. Se è credibile in un caso lo è anche nell'altro: no perché la credibilità nei confronti di Pellegrino è funzionale ad un concetto di giustizia, la credibilità nei confronti del giustizialista, nella misura in cui colpisce un criterio di giustizia, non è verità.

PRESIDENTE. Lasciamo stare le cose su cui siamo d'accordo, vediamo le cose su cui non siamo d'accordo. Perché su questo siamo d'accordo.

COSSIGA. Lo so.

PRESIDENTE. Penso invece che siamo in condizione di poter arrivare ad una storia condivisa.

COSSIGA. In tutti i sistemi rappresentativi le Commissioni d'inchiesta sono istituite - io parlo schiettamente - contro qualcuno. In tutti i sistemi rappresentativi le Commissioni d'inchiesta sono istituite - lo dico schiettamente - per la volontà della maggioranza che le ha costituite contro qualcuno. I repubblicani istituiscono le Commissioni d'inchiesta contro Clinton non per accertare la verità su di lui, perché se al posto di Clinton a disturbare una ragazzetta ci fosse stato un repubblicano, ai repubblicani non sarebbe passato neanche per l'anticamera del cervello di nominare un procuratore generale speciale, che sarebbe poi la Commissione d'inchiesta contro Clinton; è chiaro. E’ una finzione pericolosa ritenere che gli organi politici possano essere organi giudiziari. Diceva Vittorio Emanuele Orlando che anche nell'effettuare la verifica dei poteri si vota a maggioranza. Io per non fare entrare - lo confesso - un membro del Movimento Sociale Italiano che era un fascista alla Camera dei deputati ho votato con tutta la sinistra, quando ero giovane deputato, sostenendo che mille è più di tremila; abbiamo votato tutti affermando che mille era più di tremila. Si scandalizzò una sola persona: l'attuale Capo dello Stato, che, debbo dirlo, nel corso della riunione della Giunta del regolamento disse che era una porcheria. Io risposi che no, non era una porcheria ma la sovranità popolare; se voleva un giudice diverso sull'eleggibilità, l'affidasse all'opera della giustizia. Io, sapendo che aveva ragione il fascista e aveva torto il comunista, ho votato per il comunista contro il fascista tranquillamente, in coscienza.

PRESIDENTE. Su questo per esempio mi permetto di non essere d'accordo. Ho presieduto una Giunta delle elezioni che annullò due elezioni, sostituendo due senatori. Funzionò come un tribunale. Le faccio rivedere gli atti di quei due processi e mi dirà se fu un giudizio politico o se non fu un giudizio oggettivo.

COSSIGA. Certo ma io sto dicendo come sono le cose, non come spera che siano lei. Lei è un animo candido, questo è noto.

PRESIDENTE. Questo può darsi.

COSSIGA. In tutti i sistemi rappresentativi le Commissioni d'inchiesta sono istituti che operano schiettamente contro qualcuno; quello che al massimo si può chiedere ad una Commissione d'inchiesta è che operi contro qualcuno ma nel rispetto dei fatti, cioè non inventando questi ultimi ma operando una scelta tra di essi.

PRESIDENTE. Noi abbiamo il vantaggio di occuparci di fatti di 40 anni fa!

COSSIGA. Sì, ma cosa c'entra, perché non sono finiti: s'immagini se sono finiti!

PRESIDENTE. Potrebbe chiederlo a noi se sono finiti, pure da quello che stiamo facendo questa mattina.

COSSIGA. Ma questo è il suo candore! Dicevo che la Commissione d'inchiesta dovrebbe limitarsi a presentare i fatti secondo il più utile angolo di lettura, inteso come angolo di lotta.

DE LUCA Athos. Senatore Cossiga, lei tornerà in questa Commissione?

PRESIDENTE. Non interrompiamo.

DE LUCA Athos. Perché con questo ritmo noi non finiremo mai.

COSSIGA. Non me ne vado mai (Ilarità).

DE LUCA Athos. Quindi, lei rimane ad oltranza.

PRESIDENTE. Sull'ordine dei lavori interverremo successivamente altrimenti allunghiamo i tempi.

COSSIGA. Sì, rimarrò ad oltranza. Due giovani procuratori della Repubblica che mi hanno interrogato, ad un certo punto dissero che erano trascorse già 7 ore; risposi loro: di oggi, perché poi ci sono le 7 ore di domani. E rimanemmo 14 ore! La verità non può essere interrotta. La mancata regolamentazione da me invocata durante il periodo che credo, con una espressione accettabile per tutti, si può storicamente appellare l'«infausto settennio», cioè la mia presidenza della Repubblica, ha determinato un profondo mutamento degli scopi e dei contenuti dell'attività delle Commissioni d'inchiesta, orientandole decisamente ad un tipo di indagine più propriamente giudiziaria, senza le garanzie che questa assistono, specie sul piano della tutela dei diritti dei cittadini, se leggessimo a tal proposito il giudizio delle Sezioni unite della Corte di cassazione su alcuni palesi abusi della Commissione P2 specie in materia di inammissibili forme di coercizione personale. A tal proposito, entra in gioco un'altra questione, perché dire questo è politically uncorrect, mentre citare la Commissione P2 è sempre politically correct. Quindi, io so di essere politically uncorrect.

PRESIDENTE. Di ciò però darà atto a questa Commissione. Infatti, sulla P2 ci muoviamo su un'ipotesi ricostruttiva che non è quella della Commissione Anselmi...

COSSIGA. E’ del senatore Petruccioli. Chiunque legga senza conoscere l'origine e la letterariamente splendida relazione dell'amico presidente Pellegrino pensa facilmente di trovarsi di fronte ad un documento giudiziario con un ampio dispositivo, ma non con la motivazione di una prospettata condanna. Deve riconoscersi parimenti - e ve n'è traccia nella stessa relazione - che ormai alcuni atti giudiziari (citati ma non fatti propri) hanno il contenuto di arbitrari saggi di storia e di teoria politica, con l'aggravante che in essi è contenuto spesso un dispositivo di effettiva condanna. L'impatto mediatico dei lavori e dei giudizi di una Commissione parlamentare d'inchiesta rischia spesso di interferire con l'attività dei giudici (da Capo dello Stato erano preoccupati di questo con me sia l'allora presidente del Senato, Giovanni Spadolini, sia l'allora presidente della Camera dei deputati, signora Iotti, poi non se ne fece più nulla), condizionandone iniziative e giudizi, delegittimandoli quando assumono decisioni in contrasto con gli indirizzi e il risultato di talune inchieste. Se una Commissione parla di complotto, che valore avrà davanti al tribunale democratico dell'opinione pubblica la pronunzia del giudice che dica «complotto»? Lo chiedo a voi, e io guardo con vera preoccupazione, in un caso doloroso come quello di Ustica, alla diversità di giudizio ormai imminente tra questa Commissione d'inchiesta e quello del giudice istruttore. Mi chiedo cosa avverrà se il giudizio sarà collidente.

PRESIDENTE. L'interrompo su questo, perché i membri della Commissione mi daranno atto che questo problema, che lei sollevò per primo in qualità di Capo dello Stato in un lungo messaggio, costantemente lo ricordo a tutti in questa sede. Vi sono molti paesi in cui non è possibile un parallelismo tra indagine giudiziaria e indagine parlamentare proprio per evitare la collisione; e nello stesso modo i colleghi sanno che io mi batto affinché questa Commissione concluda e termini la sua esperienza, perché sono d'accordo con lei che le Commissioni parlamentari che si istituzionalizzano costituiscono un'anomalia come Commissioni d'inchiesta.

COSSIGA. Signor Presidente, se lei mi permette, poiché noto che il giovane collega, con molta probabilità pensa tragicamente all'ora del pranzo e forse comincia già ad avere dei crampi allo stomaco...

DE LUCA Athos. No, senatore Cossiga.

COSSIGA. ... le posso dare del cioccolato fondente dei trappisti , che mi sono portato qui, oltre a biscotti, wafers e caffè (Ilarità). Del caffè a disposizione della Commissione mi fido, perché l'ho fatto bere prima di me al segretario della Commissione e nulla è accaduto.

PRESIDENTE. E’ ancora vivo.

COSSIGA. Credo che nessuno potrà pretendere che i vostri giudizi sulle responsabilità politiche non siano di carattere politico, funzionali alle scelte politiche di ciascuno di voi. Sono certo però che anche nel proclamarli, pur non potendo certo eliminare la suggestione o la congruità politica del primato della tesi e delle ipotesi, facciate un po' tutto per fondarli sulla modestia dei fatti. E questo è una garanzia che mi dà anche la presenza del presidente Pellegrino. Questa mia chiamiamola confessione ideale, anche modestissima, che spero non vi abbia né urtato, né infastidito, né appalesato la tragedia di un pranzo saltato, non sarebbe completa se io, con rispetto e schiettezza, entrambe dovute per l'ufficio che ricopre e per la stima profonda che nutro verso di lui e per l'amicizia che mi lega a Giovanni Pellegrino - ed è politically uncorrect per lui -, non esprimessi qualche valutazione generale e particolare sulla sua proposta di relazione. In questo modo anticiperò la risposta a talune domande. Certo, dopo la lettura della fluente prosa del vostro Presidente, mi accorgo che egli pone il lettore e me stesso davanti ad un dilemma: considerarlo un cretino o un malvagio, dopo aver pacificamente acquisito la prima parte della relazione. Ma il presidente Pellegrino è un uomo d'onore e certo, dovendo scegliere per l'affetto che mi porta, spero e anzi ne sono certo che opterà per il cretino. Ho già detto dello splendido taglio letterario della sua proposta di relazione. In essa si manifesta un sincero e sofferto impegno ad un'obiettività che per la parte che non riesce a realizzare non è certo a lui imputabile. Ma la cultura del complotto è la figlia filosofica della stessa dietrologia che ancora grava pesante sui sentimenti, i giudizi, le passioni, i timori della classe politica del nostro paese, o almeno di una parte significativa di essa. Ed egli riesce, almeno in parte, a non farsi sommergere dalla cultura del piagnisteo - come è chiamata negli Stati Uniti, la «saga del politicamente corretto» - che minaccia, ahimè, ormai linguaggio, abbigliamento, comportamenti e perfino sentimenti e che spero che, grazie alla sua opera, non travolgerà anche questa Commissione. Così è «politicamente corretto» prendere sul serio il golpe Borghese e sarebbe «politicamente scorretto» considerarlo, come fecero tutti i giudici, una buffonata.

PRESIDENTE. Non tutti.

COSSIGA. Così è «politicamente corretto» fare di De Lorenzo - le cui iniziative sono ben lungi dall'approvare, ma che non aveva in mente alcun colpo di Stato, salvo che non avesse come obiettivo le scuole elementari (perché quell'insieme di appunti ad altro tecnicamente non poteva servire) - un tristo figuro. Sarebbe politicamente scorrettissimo ricordare il suo passato di valoroso partigiano collegato alle brigate di sinistra (sarebbe interessante che voi chiamaste qui Arrigo Boldrini a chiedere la sua opinione sull'operato del generale De Lorenzo), di militare giunto ai più alti gradi per iniziativa e sostegno della sinistra e con l'opposizione del partito di maggioranza, di ufficiale che godeva la stima di persone di alta moralità democratica, tra cui Pietro Nenni, di generale vilipeso dalla destra militare dei neofascisti nel libretto «Mani rosse» (le sue sull'esercito), del quale si parla non dicendo però che era scritto contro De Lorenzo.

PRESIDENTE. Vi accenno a proposito della guerra tra i due generali.

COSSIGA. Va bene, Cossiga contro De Lorenzo. E sarebbe politicamente non corretto solo riportare in appendice la nobile commemorazione che ne fece alla sua morte con lucido coraggio la presidente della Camera Nilde Iotti, senza appunto preoccuparsi del politicamente corretto o del politicamente scorretto ma solo dell'onesta verità che rappresenta equanimemente il bene e il male. Tenete presente che il generale De Lorenzo aveva raccolto su di me sette notizie scandalistiche, ciò che mi colpì molto perché credevo di avere un posto più ampio nella sua stima perché pensavo ne avesse almeno altre 14 (e queste le ritroverà quando divento deputato). Per completare l'opera vedo che viene data mano, certo inconsapevolmente, alla demolizione morale della figura del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, non respingendo con sdegno l’idea che abbia potuto fare oggetto di traffico con gli uomini politici i memoriali di via Monte Nevoso, venendo meno ai suoi doveri di cittadino e di carabiniere, sempre che qui si tenga fermo - come, ahimè, si tiene fermo per uomini come il presidente Pellegrino più candido di me, io molto meno candido - il valore del principio di non contraddittorietà, per cui chi ha le carte...

PRESIDENTE. Presidente, ci ritorneremo, il problema è di fatti, non di opinioni né di giudizi.

COSSIGA. ... chi riceve le carte è un cialtrone e chi dà le carte è un eroe. Non credo che il senatore Pellegrino dovesse fare a meno di rappresentare - ahimè, io ho abbandonato da molto lo studio del diritto, altrimenti avrei scritto un saggio sulla tesi dell'illegittimità costituzionale progressiva - l'illegittimità costituzionale progressiva, basata sull'affievolirsi della minaccia sovietica che, se vera, ben più incisivamente e radicalmente avrebbe dovuto colpire quindi anche l'Alleanza Atlantica. Perché rimanere con un'Alleanza Atlantica che implica forti limitazioni alla libertà interna dei cittadini se non vi era più il nemico? Progressiva illegittimità costituzionale che, peraltro, non pare sia stata avvertita da paesi con un grado di legalità e di democraticità non credo inferiori all'Italia.

PRESIDENTE. Scusi, Presidente, vorrei precisare ai colleghi della Commissione che il presidente Cossiga si sta riferendo ad un giudizio che questa Commissione ha dato su Gladio in altra legislatura e che nella mia proposta di relazione riconoscevo non essere giuridicamente e formalmente corretto, ma dicevo che era espressione di un giudizio politico.

GUALTIERI. Dovrei essere colpito anch'io.

COSSIGA. Con questa questione della distinzione tra giudizio giuridico e giudizio politico si può dire che Cossiga è il mandante morale dell'uccisione di Moro, ma per carità, in senso politico. Cossiga ha dato mano a nascondere le prove sulla strage di Ustica, ma per carità, in senso politico. Cossiga ha concorso alle stragi di questo periodo, ma per carità, in senso politico, solo perché militava nella Democrazia cristiana, la quale Democrazia cristiana non voleva la vittoria del comunismo e allora ha fatto le stragi. Un giudizio politico, per carità. Non che voi dobbiate poi trasmettere queste cose al magistrato, per carità. Cossiga è un cialtrone ma, Dio mio, che nessuno pensi che lo sia in senso morale, intendo in senso soltanto politico. Forse perché la stramba teoria dell'affievolimento della minaccia farebbe sussultare ogni militare o diplomatico occidentale che non avesse il culto del politicamente corretto, secondo quella che sembra essere la vulgata del presidente Pellegrino e dei suoi consulenti, fermo restando il politicamente scorretto, il diverso avviso dei giudici. E fa sussultare anche me che da Presidente del Consiglio dei ministri nel 1979, in stretta comunanza di giudizi e identità con il cancelliere della Repubblica Federale di Germania Helmut Schmidt, quasi indiziato con un altro gruppo di statisti mondiali in altra parte della relazione quale almeno remoto mandante dell'assassinio di Aldo Moro (se vuole lo leggiamo), promossi il riarmo missilistico dell'Occidente contro il minaccioso e strategicamente gravissimo schieramento dei missili nucleari SS20 e degli aerei Backfire operato dal Patto di Varsavia (questo quando Gladio avrebbe dovuto essere già colpita da illegittimità costituzionale progressiva, nel 1978), con mossa forse risolutiva - quella compiuta dal paesi occidentali - per lo sfondamento militare ed economico del sistema degli Stati del socialismo reale. Non ho fatto parte del partito americano, cosa nobilissima. Mi pento di non averlo fatto.

PRESIDENTE. Però ha avuto il coraggio di parlarne.

COSSIGA. Certo. Non ho fatto parte della P2 e non faccio parte neanche della massoneria, contro tutta la tradizione della mia famiglia. Anzi, se qualcuno mi facesse questa domanda dovrei rispondere come Samuel Beckett, grande scrittore irlandese, anche in lingua francese, che a uno che gli chiedeva se era inglese, rispose: «Au contraire». «Au contraire» dovrei rispondere a chi mi chiedesse se sono massone. E non credo che la Cia e gli altri servizi americani, o britannici, o francesi, o canadesi abbiano seguito le regole del marchese De Coubertain nel loro operare, specie nell'attività di contrasto dei servizi di sicurezza comunisti, anch'essi certamente non composti da gentiluomini di campagna. Ma dedicare 200 pagine alle deviazioni occidentali - perché di questo si tratta - e dimenticare i colpi di Stato in Polonia, Cecoslovacchia, Bulgaria ed Ungheria dopo la guerra, innescati e supportati dalle forze armate sovietiche e dai servizi sovietici di sicurezza, colpi di Stato seguiti da processi, esecuzioni o voli dalla finestra di esponenti democratico-nazionali, socialisti e financo comunisti; coltivare ogni più tenace sospetto infame a carico degli alleati e dei loro servizi e non ricordare le repressioni di Postdam, di Budapest e di Praga, la minacciosa democrazia sovietica, di cui sono stato testimone ed oggetto; attardarsi sulla Osoppo non pensando che forse, senza la Osoppo, non avremmo avuto solo i capi partigiani fucilati a Portius e non solo i membri del CLN di Trieste informati a Bassovitza, ma molti altri fucilati, tutto questo, specie nell'euforia del 1996, mi sembra appartenere alla saga del politically correct ma, vivaddio, un po' troppo poco o niente attenere al drammatico capitolo delle stragi. La acuta pignoleria di quel valoroso avvocato amministrativista (cui io affiderei non solo cause amministrative, ma anche civili e penali) propria dell'amico Pellegrino avrebbe dovuto fargli evitare di scrivere che i reparti di Santillo furono sciolti da qualcuno. Furono soppressi dalla legge. E l'opposizione di allora, che sarebbe il Governo di oggi, incalzò per la rapida ed integrale attuazione della legge e solo la mia fantasia permise che non andasse disperso il patrimonio informativo. E la puntigliosità nel parlare dei contatti che Santovito, Grassini e Federico Umberto D'Amato avrebbero ed hanno avuto con elementi della destra, forse avrebbe dovuto avere una piccolissima nota per i contatti che questi signori tenevano regolarmente all'insaputa dei ministri con esponenti esattamente dell'altra parte politica. Uno spirito forse un po' più equanime avrebbe potuto indurlo a raccontare quanto negli anni precedenti al 1978, in condizioni difficilissime, si fece per inventarsi politiche ed istituzioni per la sicurezza tali da fronteggiare il terrorismo. Mi creda, non è che non sia stato fatto niente, ma forse ciò non sarebbe stato funzionale al disegno complessivo della relazione e al suo doloroso sforzo di essere all'altezza, inconsciamente, per carità, perché qui stiamo tra il politicamente e, per carità, non il moralmente e allora io sono tra il consciamente e l'inconsciamente delle raffinate tesi computistiche e della moda del politicamente corretto.

A proposito di Ustica, le insinuazioni malevole che, richiamando io, in qualità di Presidente del Consiglio, i Servizi a non trafficare direttamente con i magistrati...

PRESIDENTE. I Servizi non fanno politica.

COSSIGA. Non facevano politica, adesso fanno di tutto e non fanno niente, oscillano tra la cattiva squadra mobile e il cattivo ufficio politico. Ma che io avessi voluto coprire collusioni di destra (perché questo, caro presidente Pellegrino, lei dice nella relazione), il mio invito ai Servizi a riferire al Governo e a non trafficare con i magistrati. Tra l'altro i magistrati con cui dovevano trafficare vennero poi a Bologna...

PRESIDENTE. Questo non è vero, ma ne parleremo dopo.

COSSIGA. Vuole che glielo legga subito?

PRESIDENTE. Sulla strage di Bologna concludo che non ritengo affatto chiara la strategia complessiva. Ho avuto forti polemiche con i bolognesi, con il sindaco e con la città di Bologna.

COSSIGA. Presidente Pellegrino, le sto dicendo che lei nella relazione ha scritto che c'è il dubbio che io abbia fatto questo invito - peraltro corretto - per coprire la relazione dei Servizi con la destra. Se vuole posso leggerle subito questo passo, forse le sarà sfuggito perché magari non ha scritto tutta lei la relazione, l'avrà scritta qualche suo consulente.

PRESIDENTE. L'ho scritta tutta io e me ne assumo la responsabilità. E’ oggettivamente certo che i Servizi su Bologna depistarono.

COSSIGA. Depistarono me per primo dicendo che erano i tedeschi nazisti. Comunque quello che lei ha scritto, cioè accusarmi di aver fatto queste cose e di averlo fatto mettere a verbale per coprire le connessioni con la destra non è cosa leggera. Ma io non mi sdegnerò contro il mio amico Pellegrino, perché egli è già troppo indiziato di essere mio amico. Egli, è persona limpida e onesta, anche se tragicamente legata ancora al principio di non contraddizione, fin troppo sballottata tra voglie di processi sommari, di vendette storiche, di cultura di complotto e di sospetto (lei sa che è politicamente corretto) di frenesie orgiastiche di dietrologia. D'altronde, non ho di che lamentarmi: per il caso Moro vengo solo sfiorato dal venticello del sospetto che abbia dato mano a non salvarlo; in altri tempi, in altri contesti politici e culturali sarebbe questa una autentica mascalzonata, ma almeno non sono sfiorato dal sospetto di essere in compagnia di Kissinger e, alla lontana, Schmidt e Giscard D'Estaing da appaltatore del delitto Moro, una pura farneticazione che rischia di coprire di ridicolo una storia tragica. Per quanto mi riguarda, vi dirò francamente che ciò che ha detto Guerzoni a me non interessa niente e conoscendo lo stato o l'animo del dottor Guerzoni, autore della famosa teoria che Kissinger è il mandante dell'omicidio dell'onorevole Moro, io mi accontento di quello che di me ha scritto dalla prigionia l'onorevole Moro.

PRESIDENTE. Devo dire che l'ho riletto l'altro giorno e per la conoscenza che io ho di lei mi sembra un ritratto abbastanza realistico, nelle parti del memoriale che furono ritrovate nel 1990. Direi che è quasi affettuoso.

COSSIGA. Lei pensi che io fui quasi assoggettato ad una campagna di giornali importanti i quali scrissero che Moro disse che Cossiga è sotto il plagio...

PRESIDENTE. Di Berlinguer?

COSSIGA. No, di qualcuno. (Commenti del senatore De Luca Athos). E «l'Unità» scrisse che quel qualcuno era Gelli. Non è che i giornali avessero pubblicato il falso, ma avevano soltanto pubblicato una parte. Moro si chiedeva sotto il plagio di chi fosse Francesco Cossiga, se di tizio, o di caio, e poi rispondeva che si trattava di Berlinguer, perché egli, a differenza di me, credeva troppo al compromesso storico.

PRESIDENTE. Moro disse questo.

COSSIGA. Non si disse il falso, si pubblicò solo una piccola parte. Quante cose vengono fatte scrivendo solo la prima e non la seconda parte. Mi auguro che lei abbia capito la sciocchezza che ha detto, probabilmente dovuta al fatto che lei ha appetito. Quasi quasi le offro un po' di cioccolato. La sciocchezza è che sarei stato sotto l'influenza di...

DE LUCA Athos. E’ l'ora di leggere il salmo.

COSSIGA. Sto parlando così perché ho letto il salmo. Ieri ho letto la relazione e mi sono arrabbiato sul serio.

PRESIDENTE. Quella relazione l'ha letta tante volte, ci siamo parlati tante volte.

COSSIGA. Certo, non saremo stati tutti quanti all'altezza dei sofisticati sistemi investigativi, ma siamo stati tutti, dico tutti, nessuno escluso, leali servitori dello Stato. Allora io, siccome per quaranta anni ho servito lo Stato, tra i tutti metto Santovito, Grassini e Federico Umberto D'Amato, tra quelli che in quei giorni hanno servito lo Stato perché non sono di coloro i quali per utilità politica buttano a mare i collaboratori per salvarsi. Siccome io non aspiro più a niente, l'unica cosa a cui potrei aspirare sarebbe il papato ma non me lo posso permettere per vari motivi, non mi importa niente. Allora, non più mi indigno pensando a come egli deve pur barcamenarsi tra la verità e l'apparenza, la certezza e la probabilità in un miscuglio di sentimenti che io mi auguro per lui ne turberanno - ma spero di no - il sonno. Bene comprendo come egli ed alcuni suoi compagni (i miei compagni dell'ex partito, perché io non ho ex compagni di partito) trovino difficile ammettere che Moro sia stato ucciso da sovversivi di sinistra, che si consideravano e si considerano comunisti: che è stato ucciso per impedire - come essi pensavano - che il Partito comunista italiano consumasse, come si diceva, il tradimento della classe operaia dopo aver già tradito la Resistenza. Io sono con questo schierato, caro amico Pellegrino, con il vecchio Partito comunista, per la Resistenza, contro il terrorismo, senza alcuna condiscendenza. La sovversione di sinistra, però, è un capitolo tragico della lotta politica e sociale del nostro paese e del problema che essa tuttora costituisce non ci libereremo con favole da bambini ma solo con una coraggiosa revisione storica e con un atto di pacificazione nazionale. Comprendo che la tentazione di riscrivere la storia sia grande, soprattutto dopo che avete colto la vittoria attesa per cinquant'anni. Datemi retta, non esagerate! Almeno per rispetto di coloro che sono stati vilmente assassinati nelle stragi, che caddero sulla trincea della lotta al terrorismo, e anche per rispetto di quelle generazioni che furono «bruciate» per un'utopia che le portò ad abbracciare la lotta armata.

PRESIDENTE. Dall'una e dall'altra parte.

COSSIGA. Dall'una e dall'altra parte. Mi raccomando a lei, Presidente, che è uomo d'onore. Certo, abbiamo perduto tutti il vantaggio della semplificazione derivante dalla spaccatura del mondo, dell'Europa, dell'Italia in due e ci troviamo confusi. A questo proposito mi sovviene alla mente la domanda che Costantino Cavafis; - nessuno si senta turbato se non sa chi è, io sono andato a vedere sull'enciclopedia ed ho scoperto che è un grande poeta greco dell'800 - faceva più di ottant'anni fa: «Perché tutti sono nervosi? I volti intorno si fanno gravi? Perché piazze e strade si vuotano e ognuno torna a casa? E’ che fa buio e i barbari non vengono. E chi arriva di là dalla frontiera dice che non ce n'è più neppure l'ombra. E allora che faremo senza i barbari? Era una soluzione come un'altra, dopo tutto». Caro presidente Pellegrino, abituiamoci a vivere gli uni e gli altri senza i barbari.

PRESIDENTE. Bene, io la ringrazio per questa sua prolusione alla nostra audizione.

COSSIGA. Prolegomeni ad una futura metafisica.

PRESIDENTE. Volevo dire solo una cosa prima di passare alle domande. Io non ho dubbi che le persone da lei nominate abbiano servito lo Stato. Il problema è che noi abbiamo il dovere istituzionale di dare un giudizio sul come lo Stato lo si è servito.

COSSIGA. Male.

PRESIDENTE. No, ho detto all'inizio che le luci sono superiori alle ombre e non cambio opinione. E dobbiamo anche domandarci fino a che punto il modo di servire lo Stato si è rivelato compatibile con le regole della democrazia. Ci può anche essere stata un'utilità nel servigio dello Stato che non coincide con le regole democratiche. Per quello che mi riguarda io penso di presiedere questa Commissione adempiendo ad un dovere istituzionale e cerco, per quanto è possibile, di farlo non con spirito di parte. Voglio quindi leggerle il testo di una lettera che ho inviato il 10 giugno di quest'anno all'ammiraglio Battelli, direttore del Sismi di Roma: «Signor Ammiraglio, da notizie di stampa recenti - vedasi il settimanale "L'Espresso" numero 23 del 12 giugno 1997 - risulterebbe la scoperta di depositi clandestini di armi creati nel territorio austriaco, oltre che dagli Stati Uniti, anche dall'allora Unione Sovietica. Questi ultimi in periodi di tempo successivi alla fine dell'occupazione militare di quel paese e al riconoscimento della sua piena sovranità ed indipendenza. I fatti si collocherebbero, ovviamente, nel clima di tensione e di conflitto latente fra gli allora due blocchi contrapposti. E’ di interesse della Commissione che ho l'onore di presiedere conoscere quali informazioni siano in possesso del Servizio da lei diretto con riguardo a quanto riferito dalla stampa e se risulti che attività e operazioni analoghe a quella sopra descritte sono state eventualmente condotte dai paesi dell'allora blocco sovietico anche nel territorio italiano. La ringrazio per la cortese collaborazione ... ». Il Sismi, pregherò poi gli uffici di fargliene una copia, mi risponde con una paginetta contenente un appunto del 1950 e un altro dello stesso anno. Se io nella mia relazione non ho parlato dell'attività dei servizi segreti orientali nel nostro paese è perché...

COSSIGA. ...non se ne sa nulla.

PRESIDENTE. E’ perché non se ne sa nulla. E se non se ne sa nulla è perché forse alcuni di quei servitori dello Stato non facevano bene il loro mestiere. Nel momento in cui lei o altri mi dessero informazioni su questo, non potrei che registrarle e tenerne conto.

COSSIGA. Certo.

PRESIDENTE. Allo stato sto sulla base dei fatti. Vorrei adesso ritornare ai fatti appunto, evitare le teorie dei complotti, evitare le dietrologie e vedere però se vi è una serie di fatti certi che ci consentano di ancorare un giudizio storico-politico quanto più possibile sereno. Proprio al fine di giungere a quello che è il mio obiettivo. Ritengo che questo paese possa voltare pagina se giunge ad una storia condivisa. Se non c'è una condivisione sul passato è inutile parlare di prima o di seconda Repubblica perché continueremo a vivere nei veleni della prima. Il che è politicamente scorretto. Questo è, infatti, l'unico paese del mondo in cui, in ordine a fatti di trenta, quarant'anni fa, si continuano a fare giochi politici, ricatti, messaggi strani, eccetera. Tutta una cosa a cui io sono per storia individuale completamente estraneo ma che ritengo nuoccia a tutti, non giovi a nessuno. Soltanto se riusciremo a prendere una prospettiva distanziata e fredda rispetto a quei fatti riusciremo a dare un giudizio. Di molti degli aspetti da lei affrontati dal punto di vista politico dovrei ringraziarla, perché io sono stato accusato di aver assunto una prospettiva assolutoria. Mi fa piacere che lei abbia notato come nella mia proposta di relazione, che comunque la Commissione non ha approvato, che sta rivedendo e che in molti punti io stesso, a due anni di distanza, scriverei in maniera diversa, l'assoluzione perlomeno non è piena. La conseguenza che ne traevo però è che non avrebbe senso trarne motivo per condanne politiche. Le condanne politiche possono avere senso e riferimento con l'attualità, ma quando ci si misura con la storia esprimere condanne o sanzioni politiche è sostanzialmente improduttivo, inutile. Non si possono chiedere le dimissioni di un Ministro degli esteri morto, che oggi non è più in carica, non si possono chiedere scioglimenti o condanne di partiti politici che non esistono più. Il problema che io noto - e devo dire con la sincerità che caratterizza il nostro rapporto che la sua prelusione di oggi mi conferma in quest'idea - è che non riusciamo a prendere le distanze dal passato, probabilmente perché siamo uno dei paesi del mondo in cui il ceto dirigente si rinnova con maggior lentezza. Abbiamo quindi un ceto dirigente che, tuttora, in qualche modo, si sente coinvolto rispetto a vicende dalle quali sarebbe invece giusto assumere una prospettiva distanziata, proprio per giungere ad un giudizio il più possibile sereno e condiviso.

COSSIGA. Sono stato il primo a fare questa proposta.

PRESIDENTE. E’ vero, lei, infatti, è stato una delle persone che più coraggiosamente ha ammesso una serie di elementi che da altri venivano ipocritamente negati. Vorrei quindi partire dall'inizio. Lei fece ad un certo punto clamore, se non scandalo, perché riconobbe che, nell'approssimarsi delle elezioni politiche del 1948, la «parte Altantica» del paese, la parte occidentale del mondo politico di quel paese diviso in due di cui abbiamo parlato, non era disarmata, così come non era disarmata l'altra parte politica. Devo dire che allora molte persone la contraddissero, affermarono che si trattava, non voglio dire di suoi vaneggiamenti...

COSSIGA. No, parlarono proprio di vaneggiamenti.

PRESIDENTE. Dissero anche vaneggiamenti. E’ una questione che oggi lei può confermare con la Commissione,...

COSSIGA. Certamente.

PRESIDENTE. ... che ci è stata confermata dal senatore Taviani, il quale ci ha detto che le formazioni partigiane bianche sostanzialmente restarono in armi fino al 1948 e che in questo paese le formazioni partigiane rosse restarono in armi almeno fino a metà degli anni '50, perché la consegna di grossi quantitativi di armi alla polizia - Taviani ci ha anche spiegato come questa si verificava - avvenne attorno alla metà degli anni '50. Lei può confermare oggi questo?

COSSIGA. Io posso confermare per scienza diretta che in Sardegna noi eravamo armati. Eravamo armati con armi corte in parte fornite dalle Forze dell'ordine e in parte acquistate su libero mercato: la Sardegna aveva visto passare gli eserciti tedeschi e gli eserciti alleati. Personalmente io ero armato con uno Stein. Le bombe a mano ci furono fornite dall'Arma dei carabinieri. L'addestramento del gruppo, del commando di cui facevo parte venne seguito da un sottufficiale della San Marco del Sud, non di quella di Valerio Borghese, anche se poi la storia dovrà chiarire che differenza c'è. Passato il 18 aprile noi riconsegnammo le armi. Nulla posso dire per scienza diretta del fatto che la parte avversa fosse armata.

PRESIDENTE. Tutti gli omicidi del triangolo rosso.

COSSIGA. No, è un fatto diverso. Non confondiamo gli omicidi del triangolo rosso, che sono di iniziativa individuale di settori del Partito di quella zona, con il Partito comunista perché si tratta di due cose diverse. Comprendo benissimo, potei ammettere tutto ciò perché ero già Presidente della Repubblica e non era in vista o probabile una mia rielezione; altri lo dovettero negare perché potevano essere eletti al mio posto. Paolo Emilio Taviani conosceva tutto questo perché era uno dei capi delle formazioni partigiane bianche; uno di quelli più attivi in questo settore, come poi appresi, fu Enrico Mattei. A quanto so, dopo il 1948, almeno noi sardi, restituimmo le armi. Per quanto riguarda l'altra parte non so nulla di scienza diretta: so soltanto quello cui fui edotto quando, diventato sottosegretario alla difesa, mi fecero un briefing su una forza potenzialmente ostile quale era il Partito comunista che, così, veniva considerato all'interno dell'Alleanza atlantica, nel Comitato di sicurezza, che ancora nella Nato esiste. Bisogna che i miei colleghi ammettano che noi abbiamo pesantemente discriminato i comunisti per 50 anni: questo è vero. Gli inglesi lo ammettono se nel costituire legalmente il servizio di sicurezza britannico, chiamato M15, un'introduzione firmata dal Primo Ministro afferma che gli scopi del servizio di sicurezza britannico sono ormai ridimensionati perché non c'è più il dovere del controllo ed il contrasto con il Partito comunista britannico: questo è stato scritto e firmato dal Primo Ministro britannico. Non capisco perché i miei colleghi non lo vogliono ammettere. Io ho sempre ammesso che la nostra è stata una democrazia limitata.

PRESIDENTE. Di questo le do atto.

COSSIGA. Abbiamo pesantemente discriminato i comunisti, mi limito a dire discriminati, ma è vero che talvolta li abbiamo perseguitati: li abbiamo licenziati, li abbiamo controllati. Probabilmente se avessero vinto loro avrebbero fatto lo stesso, ma questo a me non interessa: a me interessa dire quello che abbiamo fatto noi. Questa è la tragedia del nostro Paese. Il fatto che gli altri fossero armati non lo so per scienza diretta, lo so per il bríefing che mi fecero quando divenni sottosegretario alla difesa e mi occupavo un po' di queste cose e poi per le conoscenze, sempre indirette e mai dirette, che avevo in qualità di Ministro dell'interno. In questa veste sapevo benissimo, come dissi apertamente e come ha scritto nel suo bel libro l'amico Cervetti, che arrivavano le valige di denari per il Partito comunista, come arrivavano per la Democrazia cristiana fino all'ultima segreteria Moro i denari della Cia, per essere chiari. Tanto è vero che la Procura della Repubblica di Roma ha detto che è tutto prescritto, ha chiuso tutto ed ha fatto bene. Quando mi dissero che cosa facciamo di questi messaggeri che portano i denari per il Partito comunista risposi di lasciarli andare per alcuni motivi. Innanzitutto perché mi volevo tener buono il Partito comunista nella lotta contro il terrorismo, in secondo luogo perché sapevo che noi prendevamo denari dall'altra parte ed inoltre perché avevamo tali rapporti economici con l'Unione sovietica che non volevo mettere in forse per la questione dei denari. Chiesi soltanto, come riporta Cervetti nel suo libro - non mi ha voluto dire chi gliel'abbia riferito - solo per far capire a chi mi faceva queste domande provocatorie, che tipo di valuta portano e mi risposero che si trattava di dollari americani, pertanto dissi benvenuti.

PRESIDENTE. Le do atto della chiarezza e della verità storica di questa sua risposta e le dico che, per ciò che riguarda il disarmo intorno alla metà degli anni '50, delle formazioni partigiane rosse, la Commissione ha acquisito obiettivi e elementi di conferma.

COSSIGA. Non ci trovo niente di scandaloso.

PRESIDENTE. Nemmeno io. In precedenza lei ha accennato all'Osoppo. Queste strutture paramilitari, che indubbiamente permangono anche dopo il 1948 nel Nord Est d'Italia, quali riferimenti istituzionali avevano? Le Forze armate o anche il Ministero dell'interno?

COSSIGA. Il Ministero dell'interno assolutamente no, almeno quando io ero Ministro. Anzi vorrei qui dire che il ruolo del Ministero dell'interno nella sicurezza interna del nostro paese è stato sempre molto limitato. Dovete pensare che è esistito nel paese un solo servizio segreto che è stato sempre e soltanto quello militare.

PRESIDENTE. Che viene costituito non ricordo quando da Pacciardi.

COSSIGA. Sì da Pacciardi quando era Ministro della difesa.

PRESIDENTE. E prima, l'intelligence a chi era affidata?

COSSIGA. Al servizio militare esclusivamente.

PRESIDENTE. Queste formazioni militari del Nord Est hanno svolto anche ruoli informativi?

COSSIGA. Quando sono stato Ministro dell'interno mai avemmo nulla a che vedere con formazioni tipo Osoppo, Gladio e così via. Erano ignorate al Ministero dell'interno: le conoscevo io in quanto ero stato sottosegretario alla difesa. Probabilmente lo avrà saputo Umberto Federico D'Amato perché andava alle riunioni del Comitato sicurezza della Nato. Una cosa deve essere ben chiara e cioè che la rete stay behind non era inserita nella Nato, ma nell'Alleanza atlantica, tanto è vero che vi faceva parte la Francia. Se volete vi racconterò, perché è divertente, quando il comandante della Nato smentì me e Andreotti attraverso il capitano di vascello Marcotte che fu perciò mandato a comandare piccole unità presso i laghi canadesi. Vi debbo dire, in modo tale che lei possa essere più tranquillo quando arriverà la scelta nel darmi del cretino, sempre politicamente inteso, che io della Osoppo ho saputo soltanto quando è stato pubblicato sui giornali: nessuno, a me Ministro dell'interno, mi aveva informato assolutamente di ciò. Paolo Emilio Taviani probabilmente conosceva questi fatti innanzitutto perché è stato Ministro dell'interno in momenti gravi in cui stava per scoppiare la guerra. Teniamo presente che la gente non lo sa ma il nostro paese, anzi il mondo, è stato almeno tre volte sull'orlo della guerra e dunque probabilmente il Ministro dell'interno lo sapeva anche perché forse la Nato lo aveva informato. Per quanto mi riguarda nessuno mi ha mai informato.

PRESIDENTE. Per la sua esperienza di Governo, che inizia nel 1966 come sottosegretario alla difesa e poi prosegue con l'assunzione del Dicastero dell'interno, su queste strutture clandestine del Pci che informazioni avevate?

COSSIGA. Secondo il briefing che sostenni quando divenni sottosegretario alla difesa (non mi chieda chi me lo fece perché onestamente non me lo ricordo che poi fu lo stesso che tenne anche, per incarico del ministro Tremelloni, il briefíng su stay behind) mi fu detto che a quell'epoca il Partito comunista italiano era strutturato ancora su tre livelli. La struttura del Partito comunista vera e propria entro cui, come poi ha dichiarato con molta onestà ed ha confermato Zagladin, esisteva la cosiddetta amministrazione speciale di cui erano al corrente in un secondo momento solo il segretario del Partito e il capo della segreteria (quindi prima Longo e Cossutta e poi Berlinguer e Cervetti). Esistevano due altre strutture. La struttura paramilitare, sia ben chiaro, nulla ha a che fare con il cosiddetto «Triangolo rosso». Tant'è vero che, come è noto, Togliatti, quando accaddero questi episodi, si precipitò a parlare in quelle federazioni. Sono amico di quel povero sindaco il quale, pur di tenere fuori il partito, si è fatto sbattere in galera per l'omicidio di don Pessina, mentre lui non c'entrava niente: gli dissero che era meglio se andava in galera lui piuttosto che far scoprire tutti gli altri e lui è rimasto in galera. Solo la grande onestà dei discendenti delle persone coinvolte ha portato ad una soluzione del caso, anche se credo che non abbiano neppure fatto la revisione del processo. L'altra struttura era quella di cui avete senz'altro letto perché se ne può trovare traccia in qualunque testo sulla storia del Partito comunista: si trattava di una struttura clandestina, un partito parallelo che veniva tenuto dormiente per il caso - e comprendo benissimo la prudenza - che il Partito comunista venisse dichiarato illegale, in modo che potesse essere subito sostituito da una struttura in grado di funzionare. E’ quella per la quale si è parlato di una cosiddetta «Gladio rossa» che non era tale, tanto è vero che è intervenuta la richiesta di archiviazione da parte dei magistrati, approvata dal Gip. Si trattava di una struttura difensiva del Partito comunista, organizzata certamente dal Comitato per la politica estera del Partito comunista dell'Unione Sovietica con l'aiuto del Kgb. Non è stata considerata illegale in quanto era una struttura puramente difensiva: una Gladio alla rovescia, dotata di stazioni trasmittenti. Mandarono in Unione Sovietica a fare dei corsi quindici o venti persone, come risulta dagli atti della procura della Repubblica, nell'eventualità che il Partito comunista legale fosse dichiarato illegale.

PRESIDENTE. Ed anche nell'ipotesi in cui potesse verificarsi una involuzione autoritaria della situazione italiana.

COSSIGA. Sì, certamente. Tant'è vero che, benché si trattasse di una struttura clandestina, l'autorità giudiziaria di Roma ha chiesto l'archiviazione anche dopo aver accertato che i fatti contestati erano veri: si trattava infatti di una attività non rivolta contro lo Stato italiano, perché prepararsi a far fuggire delle persone dall'aeroporto dell'Urbe, addestrarsi a truccarle o altre attività del genere non vedo in quale altro modo potevano essere giudicate. Se io fossi stato un dirigente del Partito comunista avrei fatto io stesso. Come lei capisce, signor Presidente, ho una grande simpatia nei confronti di queste organizzazioni clandestine del Partito comunista.

PRESIDENTE. Del resto lei lo ha detto, parlando di se stesso: spione una volta, spione per sempre. Ammiro questa sua sincerità e l'amicizia cui lei accennava prima nasce proprio dall'ammirazione per la sua sincerità.

COSSIGA. Sono cose vere, che però devono essere inquadrate.

PRESIDENTE. Storicizzate.

COSSIGA. Se noi cominciamo a dire che il Partito comunista mandava venti o trenta giovani nell'Unione Sovietica ad addestrarsi per far scappare la gente, a fare corsi di cifrario, sembra che stessero facendo attività di spionaggio. Invece il Partito comunista si trovava da una parte del mondo dove se fosse scoppiata la guerra i dirigenti comunisti sarebbero finiti tutti in galera: che il Partito comunista si preparasse a farli scappare mi sembra assolutamente logico e non tale da far scandalizzare nessuno.

PALOMBO. Anche dall'altra parte era vero e invece ci si continua a scandalizzare.

COSSIGA. Cervetti, con il quale siamo buoni amici da quando si occupava di queste cose, mi ha raccontato di come hanno fatto per mandarlo a studiare a Mosca. Era un brillante studioso di medicina, ma fu chiamato alla federazione comunista da personaggi che lui non conosceva i quali gli dissero che doveva smettere di studiare medicina e doveva andare a studiare economia a Mosca. Mi ha raccontato il giro ridicolo che gli hanno fatto fare: la Francia, la Svizzera, l'Austria, la Cecoslovacchia, con tanto di parole d'ordine e di giornali in tasca. Allora probabilmente avevano fatto bene perché noi l'avremmo seguito. Ma se continuiamo a non capire cosa accadeva in quegli anni non ne usciamo più. Ma questo con le stragi non ha nulla a che vedere. Le stragi non possono essere giustificate da nulla.

PRESIDENTE. Adesso arriveremo anche alle stragi, se il senatore De Luca ha ancora un po' di pazienza.

COSSIGA. Ah, è lei il senatore De Luca. Il famoso senatore De Luca. Non la conoscevo: dalle cose che diceva pensavo fosse una persona truce!

PRESIDENTE. Passo ad un'altra domanda. Nel 1956 nasce stay behind. Lei ritiene, come la Commissione ritiene ormai accertato, che in Gladio sia confluita parte di queste strutture paramilitari segrete, in modo particolare la Osoppo?

COSSIGA. Innanzitutto voglio ribadire che di stay behind per scienza diretta sapevo molto poco.

PRESIDENTE. Però se ne è coraggiosamente assunto la quasi paternità.

COSSIGA. La paternità mai: non avrei mai fatto questo torto all'onorevole Paolo Emilio Taviani, il mio maestro. Il fondatore fu lui ed il tardo cofondatore, anche se lui non lo sapeva e quando ho tentato di farglielo capire non ci credeva, è stato il senatore Giovanni Spadolini. La compartimentazione esistente su queste materie faceva sì che io fossi informato solo di ciò che era funzionale alla mia attività. Funzionale era il problema amministrativo degli arruolamenti, le forme giuridiche che l'arruolamento doveva avere. Certamente fui informato delle finalità e delle attività di Gladio, ma me ne occupai in un momento in cui la struttura era già consolidata. Nessuno me lo disse, ma ritengo altamente probabile che parte della Osoppo sia finita in Gladio. Ma, ripeto, non lo so.

PRESIDENTE. Vorrei porre una domanda alla sua coraggiosa intelligenza. Può la Commissione credere che in tutti gli anni di vita di Gladio i gladiatori siano stati soltanto 622?

COSSIGA. No. Penso siano stati 622 nel momento in cui sono andati a prendere le liste, in ordine alle quali sono stati compiuti molti pasticci, da tanti.

PRESIDENTE. Quindi c'era un livello ulteriore di Gladio, un numero ulteriore di gladiatori. Gladio era pensata in modo da poter attivare qualche altra struttura parallela?

COSSIGA. Dell'esistenza di altre strutture parallele non ho mai saputo. Ero a conoscenza della struttura di Gladio e quando poi dovetti deporre di fronte alla Commissione parlamentare, essendomi assunto la responsabilità, lessi tutto quello che c'era da leggere. Passai giornate col generale Inzerilli a leggere tutte le carte e mi feci indicare ciò che era coperto da segreto e ciò che non lo era. Quando andai davanti alla Commissione, erano coperti da segreto ancora due cose: quale sarebbe stato il quartier generale di Stay behind in caso di invasione e quale sarebbe stato il quartier generale alternativo di Stay-behind qualora anche il luogo dov'era il quartier generale di Stay-behind - che è in uno Stato estero - fosse stato individuato. Questi furono gli unici due segreti che mi dissero ancora validi, perché andavamo a implicare altre potenze.

PRESIDENTE. Sui nuclei per la difesa dello Stato; lei ha mai saputo?

COSSIGA. Non ne ho mai saputo.

PRESIDENTE. Perché il generale Maletti, sentito da questo Commissione ha detto che sono verosimili tutte e due le ipotesi, e cioè sia che vi fosse un livello della Gladio che è rimasto nascosto, sia che la Gladio potesse essere stata pensata in funzione dell'attivazione di strutture ulteriori.

COSSIGA. Per quanto riguarda Stay-behind, per poter essere ammessi al club internazionale di Stay-behind, ai famosi organi che esistevano, il comitato per la pianificazione clandestina e il comitato di contatto con i comandi Nato, doveva rispondere ad alcune caratteristiche; ciò che non rientrava in quelle caratteristiche non poteva, all'interno dell'Alleanza atlantica, essere considerato Stay-behind. Allora Stay-behind aveva un compito, piuttosto limitato, di esfiltrazione, e inoltre, non tanto di intelligence quanto di preparazione alle basi di intelligence, di preparazione - ecco perché erano pochi - ad attività di sabotaggio o attività di sabotaggio rinviate per quello che era necessario (tant'è vero che Stay behind era stata pensata sulla base dell'esperienza soprattutto degli ufficiali britannici allo special operation executive, che sono stati gli inventori di Stay-behind, cioè quell'organizzazione che fu inventata per supportare la guerra partigiana nell'Europa occidentale, con il famoso ordine di Churchill «andate e incendiate l'Europa») ed era sempre il collegamento, doveva operare il collegamento con le cosiddette forze speciali. Vi era una divisione: tutto quello che accadeva nella parte occupata era di competenza dei servizi di informazione. Il pasticcio nel nostro paese è accaduto in gran parte perché noi abbiamo avuto sempre un servizio informazioni militare; negli altri paesi Stay behind non dipendeva dai militari.

PRESIDENTE. Questo è vero.

COSSIGA. Quindi da noi c'è stata una grande confusione.

PRESIDENTE. Mi scusi, intervengo su un piano di colloquio cordiale. Tutto questo però crea la ragionevole probabilità, l'elevatissima probabilità che Gladio si sia potuta anche attivare per compiti di intelligence, soprattutto in quei livelli che non sono diventati noti per compiti informativi.

COSSIGA. Quello che so (questa fu cosa sbagliata, il grosso pasticcio, perché io conosco la struttura di Stay-behind negli altri paesi) è che Stay-behind non era una branca dei servizi informativi.

PRESIDENTE. Doveva essere una specie di apparato militare.

COSSIGA. Certo. I servizi informativi erano stati incaricati di costituire e di sovrintendere, ma non è che quelli che facevano parte di Stay-behind facessero parte dei servizi informativi. La complicazione in Italia, come altre complicazioni, deriva dal fatto che noi abbiamo avuto - cosa contro la quale mi sono sempre inutilmente battuto – un’espansione del potere militare nel campo della sicurezza interna totalmente indebita (ce n'è un ricordo anche adesso) e nel momento in cui si cerca di rendere autonoma l'Arma dei carabinieri con decisione saggia, le resistenze sono sempre di quella natura.

PRESIDENTE. Ne ho parlato oggi in un'intervista al Corriere della Sera e condivido quello che lei ha detto.

COSSIGA. Certo, sono sempre di quella natura.

PRESIDENTE. Preso atto di quello che mi sembra un quadro estremamente realistico...

COSSIGA. Posso raccontarvi una cosa che forse è utile e divertente. Quando il presidente Andreotti ritenne di dover rendere nota l'esistenza di Stay-behind e io la confermai - molti altri guardavano il soffitto, io non lo guardai...

PRESIDENTE. E’ vero.

COSSIGA. Una notte la televisione diede notizia della dichiarazione di un certo capitano di vascello della Marina Canadese, Marcotte, numero due e portavoce del comandante in capo della Nato, generale Galvin, il quale diceva che all'interno della Nato non esisteva alcuna organizzazione chiamata Gladio o Stay-behind. Tenga presente che Gladio è una parola che io non avevo mai sentito, ed era il soprannome dato in Belgio alla struttura Stay behind. Io dissi: ma come è possibile questa cosa? Telefonai e mi dissero che non dovevo aver capito bene, anche perché la sera prima, attraverso i circuiti Nato, a quanto ero stato informato, i governi alleati avevano detto: siccome il Governo italiano senza consultarci ha ritenuto di dover rendere nota la struttura di Stay behind, mettiamoci d'accordo su che cosa dire. Come? attraverso la struttura Nato vengono diramati messaggi di questo genere e questo ragazzino se ne va a dire certe cose? L'indomani il Corriere della Sera e la Repubblica chiesero giustamente le dimissioni; facemmo venire l'ambasciatore Fulci e lo attivammo. Il generale Galvin era a Lisbona; ritornò e lui si difese in maniera corretta, perché disse: un momento, io ho detto che non fanno parte della Nato (il che era vero), fanno parte dell'Alleanza atlantica. Egli usò questa espressione: io dipendo dagli Old Men; nel linguaggio comune gli Old Men sono i capi dei servizi di informazione. Tenga presente, signor presidente, che il giorno in cui Marcotte - che poi fu spedito a comandare nei Grandi laghi - fece questa affermazione a Bruxelles si riunivano i capi dei servizi di Gladio, presieduti dal belga. Tutto ciò però fa capire che da noi la confusione è massima, perché tutto deriva dal fatto che da noi Gladio dipendeva - mentre in tutti gli altri paesi dipendeva, ripettivamente, dall'intelligence Service che è un organismo civile, dal Bundesnachrichtendienst che è un organismo civile, dello Sdece, allora, che è un organismo all'interno del Ministero della difesa ma è un organismo civile, tanto che oggi è guidato da un prefetto - dai militari; confusione totale.

PRESIDENTE. Io rileggerò questa parte della sua audizione perché se dicessi che ho capito tutto direi una bugia.

COSSIGA. Allora me lo dica.

PRESIDENTE. Vorrei andare avanti per lasciare giustamente spazio ai colleghi. Quindi, data questa anomalia italiana...

GUALTIERI. Non era un'anomalia. In tutti i paesi dipendeva dai servizi e non dalla Nato. I servizi erano militari o civili, ma Gladio era dei servizi e il primo accordo fu fatto...

COSSIGA. Certo.

GUALTIERI. E il secondo accordo fu fatto, ma era una cosa internazionale.

COSSIGA. Certamente, non vi è dubbio alcuno; accordi bilaterali approvati dall'autorità politica, tanto che... Aldo Moro ha fatto una descrizione di Stay behind perfetta.

PRESIDENTE. E’ vero.

COSSIGA. Perfetta, perché ne sapeva tutto, e se fosse stato vivo lo avrebbe riconosciuto.

PRESIDENTE. Data questa particolarità italiana, lei che valutazione dà di quella, intorno alla metà degli anni '60, percepibile continuità, quasi un innervamento, fra persone della Destra radicale e i vertici militari italiani? Lei avrà visto nella proposta di relazione lo spazio che io dedico al convegno dell'istituto Pollio, che non è però una mia valutazione personale perché oggi l'importanza di quel convegno come possibile matrice della strategia della tensione sta avendo notevolissimi riscontri in sede giudiziaria: c'è un cittadino italiano che è stato privato della libertà sulla base di queste ipotesi ricostruttive.

COSSIGA. Tenga presente che nel 1960 mi occupavo di altre cose.

PRESIDENTE. Lei era sottosegretario alla difesa dal 1966: il convegno dell'istituto Pollio è del 1965.

COSSIGA. Nelle forze armate italiane, vi erano notoriamente due tendenze: una che potremmo definire destrorsa, ed era il generale Aloja, e una sinistrorsa che era il generale De Lorenzo. De Lorenzo è morto non sapendo che cosa gli fosse successo, è morto non sapendo cosa mai fosse successo. Quello è il periodo nel quale si cominciò a discutere fortemente della guerra non ortodossa, della insorgenza e della contro insorgenza, e cioè delle forme di conflitto più alte di quelle a bassa intensità, ma che non erano ancora guerre propriamente dette; possiamo dire quello che poi è accaduto in Afghanistan, ciò che è accaduto all'inverso in Ungheria e in Cecoslovacchia, cioè un livello più alto della guerra a bassa intensità, cioè della guerra clandestina dei servizi di spionaggio, anche sulla base di quanto era avvenuto nelle guerre scoppiate nella penisola indocinese e in Algeria. Infatti, la guerra algerina fu condotta dai patrioti di quel paese strettamente secondo lo schema che molti di loro, ufficiali dell'esercito francese, avevano imparato in Indocina.

PRESIDENTE. Non c'è dubbio, perché esistono atti ufficiali e convegni internazionali in materia.

COSSIGA. Esatto. Vi furono convegni internazionali su questo anche perché si riteneva che fosse un pericolo reale che l'Unione Sovietica non scatenando una guerra, che sarebbe stata certamente nucleare, e non si sapeva come sarebbe andata a finire, e profittando - e a tal proposito non vorrei essere frainteso - della forte simpatia ideologica esistente verso il sistema dei paesi a socialismo reale in altri paesi, potesse pensare a forme diverse di penetrazione.

PRESIDENTE. Anche culturale in università, radio, cinema, giornali, letteratura, eccetera.

COSS1GA. Vi è stata una delle confessioni di un capo del Kgb a Roma, nella quale egli ha raccontato come siano state largamente finanziate tutte le manifestazioni contro la base dei missili a Comiso ma non il Partito comunista italiano. Una delle massime dei Servizi segreti rispetto all'Italia è stata sempre certamente quella non tanto di mai mettere le mani all'interno del Pci - perché voi sareste stati infiltrati da agenti del Kgb Dio solo sa quanto! - ma mai di servirsi delle sue strutture per attività clandestina, a differenza di quanto è stato fatto in Inghilterra, dove il Partito comunista britannico era uno strumento diretto del servizio di informazioni sovietico. Quindi, in Italia, che vi potessero essere persone nell'ambiente militare che discorrendo di guerriglia e di antiguerriglia fossero genericamente di destra non ho alcuna difficoltà ad ammetterlo, anche se lo faccio deduttivamente e non induttivamente.

PRESIDENTE. Quindi, lei non ha mai letto gli atti dell'Istituto Pollio?

COSSIGA. No, mai; ho letto tante altre cose sulla guerriglia e sull'antiguerriglia.

PRESIDENTE. Tali atti costituiscono una lettura interessante, soprattutto per sapere chi partecipa: Rauti, Beltrametti, Giannettini, eccetera, tutti finanziati dallo Stato Maggiore...

COSSIGA. …della Difesa, probabilmente!

PRESIDENTE. Tengono convegni, quasi teorizzano lo scenario che accadrà 5 anni dopo. La domanda successiva che le vorrei rivolgere è la seguente. Nel 1968 l'Italia viene attraversata da quella che è una vera e propria fiammata: contestazione studentesca, contestazione operaia, nascente radicalismo di sinistra, richiamo sempre più forte a dottrine marxiste-leniniste. Lei ritiene che faccia parte della teoria del complotto - che ha criticato - …

COSSIGA. No.

PRESIDENTE. ... pensare che a quel punto l'ipotesi della guerra non ortodossa sembrasse verificarsi sul campo? Sembra nascere lo scenario che era stato previsto.

COSSIGA Lo scenario del '68 è diverso in Italia da quello esistente in altri paesi, assolutamente diverso. Il '68 è, come quello delle Brigate rosse, un fenomeno totalmente endogeno, la cui spiegazione può ritrovarsi interamente nella rigidità politica, culturale, civile e sociale del nostro paese e nel desiderio di contestazione del sistema del partito-stato. Noi eravamo in pieno partito-stato! E quando parlo di partito-stato parlo di un sistema di governo, cioè di conduzione delle cose politiche, in cui un partito, con altri partiti alleati, è incardinato nello Stato e confonde o mischia i suoi compiti, le sue funzioni e i suoi poteri con quelli dello Stato. Quando ero giovane segretario provinciale della Democrazia cristiana, il prefetto, il questore e il comandante dei carabinieri ritenevano del tutto normale avere contatti con me e tenermi informato.

PRESIDENTE. Sì, ma il problema è: la strategia della tensione, cioè le stragi partono allora, perché fino a quel momento non vi erano mai state.

COSSIGA. Se lei mi dice che lo stragismo può essere stata una reazione - con questo non voglio assolutamente giustificarlo -, direi che questa è a mio avviso la chiave di lettura più facile. Teniamo presente che mentre in altri paesi quella che è stata la ventata del '68 poco aveva a che vedere con la lettura ordinaria del marxismo-leninismo - ad esempio, negli Usa la lettura era Marcuse...

PRESIDENTE. I figli dei fiori!

COSSIGA. ...e quest'ultimo era notoriamente un anticomunista classico, Althusser era un anticomunista classico, Cohn Bendit e Dubcek non avevano nulla a che vedere con i comunisti...

PRESIDENTE. Mentre nel movimento italiano, per lo meno non inizialmente ma abbastanza presto ciò diviene prevalente.

COSSIGA. Nel '68 francese ce l'avevano tanto contro le strutture borghesi, quanto contro il Partito comunista e l'Unione Sovietica.

PRESIDENTE. Il '68 italiano nasce così ma molto presto si trasforma.

COSSIGA. Il '68 italiano nasce così ma necessariamente, per quella che era la società culturale, diventa un'altra cosa, e lì comincia ad assumere la forma del marxismo-leninismo astorico, cioè antistorico. Debbo dire che è molto probabile che lo stragismo è al di fuori di ogni vera idea terroristica. Noi abbiamo chiamato questi «terroristi»; in realtà, quelli della sinistra non erano terroristi. Ho sempre sostenuto che abbiamo fatto bene a chiamarli terroristi perché per motivi di lotta li abbiamo criminalizzati tutti e non se n'è parlato più. Però, il terrorismo della sovversione di sinistra non era fine a se stesso - questo è il vero terrorismo -, bensì era uno strumento perché loro credevano di innescare un grande movimento popolare, suscitando una reazione di massa dello Stato. Lo stragismo non entra in una teoria del terrorismo e della sovversione e neanche nell'eversione di destra: entra nell'idea di un qualche cosa che costringa lo Stato ad assumere atteggiamenti autoritari. Indubbiamente, lo stragismo aveva come fine - altrimenti era pura follia e quindi terrorismo puro -, se allo stragismo vogliamo dare un significato politico, quello di creare una situazione di destabilizzazione che rendesse possibili avventure autoritarie o dittatoriali, come ad esempio in Grecia. Questa la lettura che do dello stragismo.

PRESIDENTE. La ringrazio. La domanda che le rivolgo però è questa. Nel memoriale di via Monte Nevoso, Aldo Moro parla della strategia della tensione come di un fatto reale e parla addirittura di connivenze e compiacenze da parte del partito della Democrazia cristiana. A mio avviso, il riferimento esclusivo a quest'ultima è ingiusto; se c'era una parte della classe politica o dirigente dell'epoca che in quel momento ritenne che la risposta non potesse essere soltanto democratica a quello che stava avvenendo nel paese, il riferimento politico è molto più ampio della Democrazia cristiana. Comprende settori del Partito repubblicano, settori grossi del Partito socialdemocratico, se non l'intera socialdemocrazia, alcuni settori liberali. La domanda che faccio è la seguente: che ruolo svolge secondo lei in quel momento il partito americano di cui lei ha parlato in una recente intervista su «Limes»?

COSSIGA. Nessuno. Bisogna distinguere tra partito politico americano, e i nomi che ho detto sono di persone insospettabili da un punto di vista di lealtà...

PRESIDENTE. Infatti lei non fa i nomi a cui io avrei pensato.

COSSIGA. E no, perché Fenoaltea era del partito americano, Sforza era del partito americano, Paolo Emilio Taviani era del partito americano.

PRESIDENTE. E Matteo Lombardo?

COSSIGA. Non l'ho conosciuto, molto onestamente è persona che non ho conosciuto. Altro è invece il partito amerikano della P2. Questo è un altro discorso.

PRESIDENTE. Ci arriveremo.

COSSIGA. Teniamo presente che le cose che dice Aldo Moro nel suo memoriale sono esasperate. Sono tutte cose esasperate. Bisogna fare attenzione ai riferimenti di Aldo Moro perché, tanto per intenderci, egli era persona legata strettamente ai servizi di informazione, aveva un altissimo concetto di De Lorenzo ed era notoriamente protettore di Miceli. Quindi, non poteva assolutamente pensare che quelli fossero strumenti della strategia della tensione. Questo è un capitolo molto interessante.

PRESIDENTE. Per questo ne stiamo parlando.

COSSIGA. E’ molto interessante. Giulio Andreotti mi ha sempre considerato un eccentrico, infantile, che si occupava di cose che non avevano nessuna importanza. La differenza nel rapporto tra me e Aldo Moro (io Ministro dell'interno e Aldo Moro Presidente del Consiglio e poi Presidente del Consiglio nazionale della Democrazia cristiana) e me e Giulio Andreotti è che Giulio Andreotti a tutto questo affare dei servizi di informazione, delle forze antiterrorismo speciali guardava con il senso pratico di colui che governava da quarant'anni e che aveva sempre un pratico taglio di carattere curiale, mentre Aldo Moro, come si vede nel memoriale, era interessatissimo a tutto questo. Era interessatissimo a Gladio, era interessatissimo alle forze speciali, era interessatissimo ai servizi segreti. Forse è l'unico che abbia fatto una grande operazione (della quale nulla in realtà si è messo a punto), e cioè l'accordo con i terroristi arabi che ha messo l'Italia al riparo dal terrorismo per lunghi anni. Teniamo presente che nessuno di quelli dei quali si è probabilmente servito ha mai parlato.

PALOMBO. Sono morti tutti.

PRESIDENTE. Torniamo alla strategia della tensione. Questa avrà avuto dei riferimenti istituzionali, o no? O possiamo veramente pensare che alcuni gruppi della Destra radicale si siano autonomamente attivati?

COSSIGA. Riferimenti istituzionali politici specialmente nell'ambito dei partiti che lei ha indicato assolutamente no (poi torneremo a parlare anche del Piano Solo, perché io ho una mia interpretazione credo abbastanza autentica). Così come non credo che avessero un riferimento nelle gerarchie militari consolidate, salvo la leggerezza di quel pasticcione che era il generale Aloja, che era un ignorante pasticcione.

PRESIDENTE. Che interpretazione dà delle coperture istituzionali durante tutte le inchieste (quelle che, ad esempio, gli imputati della strage di piazza Fontana hanno avuto dal servizio segreto militare)? Sono un fatto oggettivo.

COSSIGA. Non conosco queste cose perché non ero in grado di occuparmene allora, lo può vedere nel mio curricu1um. Me lo può chiedere solo come amateur.

PRESIDENTE. Lo chiedo a Francesco Cossiga che indubbiamente è un autorevole interprete della storia del paese.

COSSIGA. No, un amateur. Non conosco le indagini di piazza Fontana, lo dico con estrema sincerità, anche perché come Ministro dell'interno non mi sono mai occupato delle cose che erano state fatte prima di me e anche perché al Ministero dell'interno...

PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo. Lei esclude che subito dopo la strage di piazza Fontana l'idea di dichiarare lo stato di emergenza sia stata esaminata in sede politica?

COSSIGA. Assolutamente.

PRESIDENTE. Quindi anche quello che racconta Moro sul suo ritorno da Parigi non sarebbe vero.

COSSIGA. No. Proclamare lo stadio di assedio o cose del genere? Assolutamente. Tra l'altro ho l'impressione che la gente non comprenda che la proclamazione dello stato di assedio avrebbe voluto dire lo scoppio della guerra civile in Italia. Quando mi sono chiesto per quale motivo il Partito comunista non si sia impadronito del potere con la forza, dato l'alto grado di penetrazione che aveva in tutti gli apparati dello Stato, la spiegazione è stata solo una: la scelta irrevocabilmente democratica e parlamentare fatta da Togliatti e la divisione del mondo in due. Lo Stato italiano non sarebbe stato assolutamente in grado di impedire una presa del potere per infiltrazione o per violenza da parte del Partito comunista. Di questo non ho dubbio alcuno. Ecco il motivo del mio giudizio di democraticità sul Partito comunista: perché il Partito comunista non ha fatto quello che avrebbe potuto facilmente fare. E non lo ha fatto per due motivi: perché Mosca non glielo avrebbe permesso, anzi li avrebbe mollati, e in secondo luogo perché la scelta democratica e parlamentare di Togliatti (la «via nuova») era irrevocabile. La «Bolognina» non è stata fatta da Occhetto, ma da Togliatti.

PRESIDENTE. Ritorno però a un problema relativo innanzitutto ad una versione diversa dei fatti.

COSSIGA. Questa idea filocomunista, come lei sa, è quella che mi ha tenuto per un anno e mezzo sotto il controllo dei servizi militari quando ero Ministro dell'interno.

PRESIDENTE. Ho capito. Lei mi ha attribuito di credere alla teoria dei complotti, ma oggi si fa una ricostruzione completamente diversa di tutte queste vicende. Si è fatta addirittura l'ipotesi che l'attentato a Rumor nel 1973 sia stato quasi una forma di punizione perché Rumor non avrebbe tenuto fede all'impegno di dichiarare lo stato di emergenza. Non è qualcosa che inventiamo noi: nasce da indagini giudiziarie fatte dal Ros e a cui diverse autorità giudiziarie stanno dando talmente credito, ripeto, che un cittadino italiano è privato della libertà personale per questo.

FRAGALA’. Con 200 milioni dei Servizi segreti pagati per ordine di un magistrato!

PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, interverrà dopo. C'è però un fatto storico e certo che deve essere spiegato: i depistaggi. Perché gli apparati di sicurezza coprono una serie di persone non appena le indagini giudiziarie si rivolgevano nei loro confronti? Pensiamo a Pozzan, pensiamo al ruolo di Giannettini in tutto questo. E’ un fatto e noi abbiamo il dovere di darne una spiegazione.

COSSIGA. Innanzitutto l'idea che Mariano Rumor potesse...

PRESIDENTE. Lo so, conoscendo il personaggio sembra balzana.

COSSIGA. ...potesse avere in mente di proclamare lo stato di emergenza non è credibile.

GUALTIERI. Per la verità era un altro che voleva proclamare lo stato di emergenza, era il Presidente della Repubblica, secondo le ricostruzioni del Ros.

PRESIDENTE. Sembra che fosse Saragat, il Presidente della Repubblica, ad essere favorevole ad una soluzione forte in quel momento.

COSSIGA. La soluzione forte sarebbe stata proclamare lo stato di emergenza? Proclamare lo stato d'assedio? Scatenare la guerra civile nel Paese? E un uomo accorto come Saragat avrebbe fatto una cosa del genere? Ma a me non importa nulla del Ros e neanche dei magistrati! E’ la stessa cosa che mi dicano che Cesare è stato ucciso da me e dal presidente Pellegrino. Non mi importa niente che domani un giudice scriva che io e lei abbiamo ucciso Cesare!

PRESIDENTE. In questa logica i depistaggi restano senza spiegazione. Dobbiamo trovare una spiegazione.

COSSIGA. Io do una interpretazione. Do un'interpretazione degli atteggiamenti del generale Maletti che, pur non avendo niente a che fare con me, ho sempre difeso. Egli era convinto di riuscire ad aver ragione del terrorismo nero e ha fatto scappare la gente per infiltrare il terrorismo nero. Questa gente è andata a giocare con il fuoco non sapendo che si sarebbe bruciata. Ho avuto sempre grande stima, pur non avendo mai avuto il generale Maletti alle mie dipendenze, perché con i servizi militari ho avuto sempre motivi di contrasto, tanto che poi mi hanno combinato i pasticci che lei ben sa e sono noti a questa Commissione. Certo, che vi potessero essere in quelle condizioni appartenenti ai nostri Servizi di sicurezza i quali simpatizzassero per la destra anche eversiva è cosa che non mi meraviglierebbe affatto. Che elementi di servizi di informazione o di sicurezza militare in quell'epoca potessero simpatizzare per la destra eversiva questo non mi meraviglierebbe affatto.

PRESIDENTE. Devo dire che il generale Maletti nella sua audizione - esprimo il sentimento di quelli che erano presenti - ha fatto un'impressione non negativa alla Commissione, è anche l'ufficiale dei Servizi che parla di cinque tentativi di colpo di Stato in Italia in quegli anni e ci ha detto che quello Borghese non era un golpe da operetta, bensì una cosa seria. Egli lo ritiene non il più grave tra i tentativi di colpo di Stato che ci sono stati in Italia, ma non era nemmeno ciò che divenne nella definitiva sentenza giudiziaria.

COSSIGA. Prima di tutto escludo assolutamente che, a livello di classe politica, si sia potuto pensare a cose di questo genere. Qui potremmo parlare, per esempio, del Piano Solo perché noi dobbiamo distinguere tra fronteggiare emergenze gravi di ordine pubblico e colpo di Stato, perché sono due cose assolutamente diverse. Quando sono diventato Ministro dell'interno ho trovato nei cassetti, sanzionati da tutti i precedenti Ministri dell'interno, i piani E1, E2 ed E3, cioè piani di emergenza in cui si prevedeva anche di mettere in galera la gente per misure amministrative. Mi preoccupai della cosa, consultai dei giuristi, andai dal professor Crisafulli.

PRESIDENTE. Questo le viene rimproverato da Moro nel suo memoriale: che lei si fidasse spesso di consulenti estranei all'apparato.

COSSIGA. L'avvocato dello Stato Salimei, il consigliere di Stato Squillante, cioè le persone che io avevo portato al Ministero dell'interno, al di fuori del personale del Ministero stesso. Moro era un rigido, rispettoso delle gerarchie burocratiche e mi rimproverò di aver portato queste persone. Allora andai da Crisafulli che mi guardò stupito e mi disse: «Ma come, tu non credi nella legittimità di questi piani? Ma perché, esiste una norma nell'ordinamento costituzionale che preveda il suicidio dello Stato?». Non mi fidai del parere del professor Crisafulli ed allora, sotto ogni piano misi: «II presente piano sarà applicato quando saranno state adottate le misure costituzionali previste dalla Costituzione». In quel tempo c'era il problema se fosse possibile proclamare lo stato di assedio. Esposito riteneva che la proclamazione della stato di assedio fosse implicita nella Costituzione.

PRESIDENTE. Lei ritiene che lo stragismo avesse il fine di determinare una situazione di tensione favorevole ad una involuzione autoritaria?

COSSIGA. Non vedo quale altro fine potesse avere lo stragismo.

PRESIDENTE. Però esclude che ci siano state responsabilità politiche ed istituzionali? Per esempio il ruolo dell'Arma dei carabinieri, della divisione Pastrengo.

COSSIGA. Quella è un'altra cosa che si collega alla predisposizione di misure per fronteggiare situazioni di emergenza. Lei sa l'origine del Piano Solo quale fu? Il viaggio di Segni a Parigi.

PRESIDENTE. Ce lo ha detto Taviani.

COSSIGA. Il viaggio di Segni a Parigi quando ebbe modo di vedere come, in quella città, avevano ripreso il controllo della piazza che sembrava travolgere le istituzioni. E lui, se i tentativi di Moro di costituire il Governo fossero falliti, nella necessità di dover costituire un Governo di emergenza era preoccupato di come potesse reagire la piazza ricordandosi di come la piazza avesse rovesciato il Governo Tambroni.

PRESIDENTE. Però il senatore Taviani ci disse che lui proprio in quel periodo prese le distanze da questa posizione politica del Capo dello Stato, perché la riteneva sbagliata e pericolosa.

COSSIGA. Non vi è dubbio alcuno, però ricordo che vi fu la riunione in casa Morlino in cui fu ascoltato il Capo della polizia e il generale De Lorenzo per sapere che consistenza potessero avere questi pericoli.

PRESIDENTE. Sembrerebbe quasi che sia stato allora Moro a forzare la mano a Nenni spaventandolo.

COSSIGA. No, Nenni si spaventò lui stesso, o fece finta di spaventarsi. Probabilmente Moro e Nenni riuscirono per cose belle, lasciamo stare, non colpi di Stato, perché domani non ci trovassimo in una situazione in cui i tentativi che facevamo per un centro-sinistra fossero del tutto vanificati. Il centro-sinistra è frutto del congresso di Napoli, dove fu fatto un accordo tra Moro e Segni. Segni diventa Presidente della Repubblica e garantisce l'ala moderata della Democrazia cristiana e Moro diventa Presidente del Consiglio. Non parlo di cose per sentito dire.

PRESIDENTE. Me ne rendo conto, la stiamo sentendo per questo. Secondo lei il ruolo dell'intelligence atlantica nella strategia della tensione quale può essere stato? Nessuno, scarso, probabile? Lei sa che in sede giudiziaria ormai sta diventando una ipotesi consolidata che dietro gli operatori della Destra radicale, molti dei quali giovani, ragazzi, in realtà ci fosse parte di apparati istituzionali italiani e sicuramente apparati istituzionali stranieri. Di questo che cosa pensa?

COSSIGA. Qui bisogna distinguere tra livelli di intelligence americana completamente diversi. La comunità di intelligence americana è una cosa estremamente complessa.

PRESIDENTE. Di questo le do atto. Io non penso al mondo degli USA come un mondo monolitico. E’ chiaro che allora c'erano tendenze anche politiche.

COSSIGA. Tenga presente, però, che a differenza del nostro paese in America è sacro il controllo del potere civile e politico sulle forze militari. Ogni volta che i militari hanno sgarrato hanno pagato. Pensi a Mac Arthur fatto fuori da quel piccoletto di Truman nel giro di ventiquattro ore. Allora, se parliamo di operazioni Cia, tenga presente che il centro-sinistra è stato notoriamente facilitato dalla Cia che si era formata il giudizio che il centro-sinistra fosse utile nel nostro paese. Che strumenti dell'intelligence militare possano aver cercato di infiltrare, di comprendere e di tenere per ogni possibile uso la destra eversiva questo io non posso escluderlo. Se domani mi dimostrassero che le Br erano infiltrate dal Kgb, questo non significa affatto che la colpa del terrorismo rosso sia dell'Unione Sovietica. I servizi di informazione quando vi sono movimenti eterodossi cercano subito di capire di che cosa si tratti.

PRESIDENTE. Noi abbiamo addirittura prove di una pianificazione in questo senso. Che ci sia stata una pianificazione americana di infiltrazione delle formazioni di sinistra per poterne innalzare il livello di offensività e di pericolosità, come l'operazione Chaos o Blue moon, questo è provato.

COSSIGA. Non credo sia difficile, con la trasparenza che ormai hanno le carte, andare a capire di cosa si trattasse. Tenga presente poi che costoro in Italia mica sempre agivano col nostro consenso e la nostra conoscenza. Come è noto.

PRESIDENTE. A questo proposito il generale Maletti, fra gli altri (e, in qualche modo, il senatore Andreotti, sia pure da una prospettiva diversa ce lo ha confermato) ci ha fatto capire che almeno fino al 1974, in realtà, è come se il potere politico italiano facesse un passo indietro rispetto al servizio militare e accentuasse quindi un suo vincolo di subordinazione rispetto alle centrali americane.

COSSIGA. Che il servizio informazioni militare italiano sia stato sempre molto legato ai servizi americani è indubbio. Ricordiamoci la grande centrale di intercettazione dell'Ambasciata dell'Est costituita a Roma dal Sid, ricordiamoci che la famosa centrale del colonnello Allavena fu un dono della Cia americana. Non dimentichiamoci che i denari per comprare i terreni e costituire Capo Marrargiu erano di origine americana. Non v'è dubbio che il nostro servizio militare era fortemente contiguo alla Cia e io ritengo che uno dei motivi per i quali il Ministero dell'interno è stato sempre tenuto in una posizione di subalternità perfino nel campo della tutela della sicurezza interna è che erano molto più forti, salvo che per alcuni personaggi, i legami e la possibilità di influenza dell'apparato americano nei confronti degli apparati militari e dei servizi segreti militari.

PRESIDENTE. La spiegazione dei depistaggi non potrebbe essere questa? Cioè che si coprono determinate persone perché si vuole evitare che emergano i legami che potevano avere con apparati istituzionali italiani o esteri. Che ci fosse la preoccupazione di una responsabilità politica che potesse emergere.

COSSIGA. Una responsabilità politica italiana?

PRESIDENTE. Italiana o estera.

COSSIGA. Italiana non credo. Se un sottosegretario alla difesa aveva sette notizie scandalistiche, nascita di figli o episodi di quella natura... Ho sempre considerato una fortuna avere due figli che rassomigliano a me. Non mi scandalizzo poi, la cosa è antica e se ne può parlare, che da Ministro dell'interno io sono stato sotto controllo del servizio di informazioni militari per un anno e mezzo, forse per due.

PRESIDENTE. Per disposizione di chi? Lei questo se lo è mai domandato?

COSSIGA. No. Quando ne fui informato dissi che erano cose ormai vecchie. Lasciamole stare. Tra l'altro si immagini che si trattava di un pedinamento fatto mentre mi recavo con Sergio Berlinguer a casa della moglie di Siglienti per cenare assieme ad Enrico Berlinguer e all'amministratore delegato della Banca Commerciale, Cingano.

PRESIDENTE. Il senatore Andreotti ci ha detto che quando, se non sbaglio nel 1956, va per la prima volta al Dicastero della difesa, su consiglio di esperti, decise di non occuparsi dei servizi segreti. Poi ci ha detto che nel 1974, invece, quando tornò al Ministero della difesa, c'era stata la vicenda del Piano Solo e di De Lorenzo, c'era stata la Commissione Alessi, cambiò completamente registro. In realtà, una serie di altri fatti oggettivi che fanno parte del patrimonio della Commissione...

COSSIGA. Cacciò via l'uomo di fiducia di Moro, il generale Miceli.

PRESIDENTE. Questo non ce lo ha detto.

COSSIGA. E’ una considerazione che faccio io.

PRESIDENTE. Quel che è percepibile è che dal 1973 cambia l'atmosfera in una serie di rapporti, nell'Arma dei carabinieri, ad esempio. Il senatore Mantica in una precedente audizione fece sul punto un intervento che io ho ritenuto rivelatore. L'atteggiamento dei carabinieri nei confronti della Destra radicale muta e così quello dei Servizi, diventa un atteggiamento di protezione, ma nello stesso tempo di recisione di una serie di rapporti. E’ qualcosa di estremamente percepibile. Ci è stato confermato da una serie di fonti. Quindi siamo obbligati a credere a questo, non per seguire una teoria del complotto, ma perché sono una serie di indicazioni.

COSSIGA. Io sono convinto, per quello che ho letto, perché immagini se gli americani vengono a dire a me e a noi italiani quali erano...

PRESIDENTE. Anche perché ho capito che la facevano sorvegliare.

COSSIGA. Non gli americani.

PRESIDENTE. Ma ha detto prima che il nostro servizio segreto era estremamente compenetrato con quelli degli Stati Uniti.

COSSIGA. Ma questo lo avranno fatto di loro iniziativa perché non si dimentichi che allora ero considerato elemento filo-sinistra.

PRESIDENTE. Forse proprio per questo la sorvegliavano.

COSSIGA. Non gli americani. Stia certo. E poi come tutti i Ministri dell'interno, salvo forse Taviani, ero considerato nemico del servizio militare. Il servizio militare considerava i Ministri dell'interno potenziali nemici. Le cose che il servizio militare si è inventato e diceva in giro nei confronti di Umberto Federico D'Amato sono cose che io non ripeterei in quest'aula.

PALOMBO. Hanno un referente politico i servizi militari. Lei la mentalità la conosce.

COSSIGA. C'è un referente che è quello di avere il potere e di tenerselo.

BONFIETTI. Lei sostiene allora che il referente politico per il Sismi non c’era.

PRESIDENTE. Sto quasi per finire, colleghi, poi farete voi le domande. Lei quindi non ha percepito questa svolta del 1973-74? Una svolta percepibilissima nel quadro italiano e inserita in un quadro internazionale.

COSSIGA. Questi apparati sono sensibilissimi al mutare di atmosfera politica. Nella misura in cui l'atmosfera politica era tale da non considerarsi più confrontantesi con la sinistra, ma iniziava un avvicinamento, le antenne, non solo degli apparati dei servizi di informazione, ma di tutta la burocrazia, cambiavano direzione. Vedo oggi persone, nella burocrazia, che si sarebbero inchinate di fronte all'ultimo portaborse di un segretario provinciale della Democrazia cristiana che, dopo il 1996, non dico vadano in giro con le opere di Lenin, ma poco ci manca.

CORSINI. Nel 1994 erano disponibili ad andare in giro anche con altre opere.

PRESIDENTE. Quindi per lei è casuale che Vinciguerra...

COSSIGA. In un regime democratico la burocrazia non deve avere una sua politica, bensì la politica della classe politica.

CORSINI. Si allinea.

COSSIGA. Si deve allineare.

CORSINI. C'è in più un atteggiamento tipico del nostro costume per cui tutti corrono in soccorso del vincitore.

COSSIGA. No, sono tutti vincitori!

PRESIDENTE. Quindi per lei è casuale che nel 1972, Vinciguerra faccia un attentato contro i carabinieri e che poi i carabinieri partecipino al depistaggio, alla copertura di Vinciguerra? Noi abbiamo saputo che è stato Vinciguerra perché lui stesso lo ha confessato.

COSSIGA. Innanzitutto non bisogna dire «i carabinieri». Sarebbe come dire i comunisti sono colpevoli dell'uccisione di 88 sacerdoti, cosa che io non faccio.

PRESIDENTE. E’ giusto.

COSSIGA. Sarebbe come dire, parlando della fucilazione brutale dei Capi della Osoppo, le Brigate Garibaldine. Io parlo di quella Brigata Garibaldina e di quella Federazione comunista. Altrettanto non dico «i carabinieri». Dire i carabinieri fa parte della teoria del complotto.

FRAGALA’. Che è dura a morire.

COSSIGA. Fa parte della saga del politically correct.

PRESIDENTE. Badi, onorevole Fragalà che il collega Mantica ha sostenuto che la Destra radicale aveva nei carabinieri un punto di riferimento, non l'ho inventato io.

FRAGALA’. Ma che c'entra con Vinciguerra.

COSSIGA. Allora il generale Santovito che vedeva nelle case segrete del Sismi il senatore Pecchioli e l'onorevole Boldrini accompagnati dal capitano Labruna aveva il suo fermo riferimento nel Partito comunista: questa è una sciocchezza! E li vedeva senza dir nulla ai ministri interessati!

PRESIDENTE. Su questo non c'è dubbio, la mia domanda è altra. E’ casuale che...

COSSIGA. Allora diciamo che il Sismi del generale Santovito aveva nel senatore Pecchioli il suo più forte referente. Vede come grava su di noi la teoria del complotto? Se lei mi dice "i carabinieri", allora io dico "i comunisti", "il Sismi", allora dico che mi veniva chiesto come stava Grassini e gli si mandavano i saluti perché non si aveva il coraggio di telefonargli direttamente. Allora si andava a questi pettegolezzi. Non dica "i carabinieri".

PRESIDENTE. Parlerò di carabinieri e non «dei» carabinieri perché certamente erano tali. E’ certo che carabinieri furono anche autori di depistaggi; secondo lei il fatto che vengano colpiti carabinieri è casuale o è il gesto di ribellione di chi si è sentito non più coperto, abbandonato e vuole quindi protestare.

COSSIGA. Le farò un caso molto più generale. Sono convinto che una parte delle strutture burocratiche militari nel nostro paese ad un avvento, anche in forma legittima, al potere da parte del Pci avrebbe preferito un regime autoritario e questo avrebbero preferito anche gli Stati Uniti d'America ed anche l'Alleanza atlantica tanto che fecero questo in Grecia mentre per quanto riguarda il Portogallo fecero un'altra cosa.

PRESIDENTE. Alzando il tono polemico di questo confronto non facciamo bene perché sono d'accordo con lei. Penso che quanto lei abbia testé affermato sia la verità e non per una teoria del complotto ma perché sono innumerevoli i dati che ci dimostrano questo. Quindi può darsi che Vinciguerra abbia scelto quel tipo di bersaglio, che poi colpiva dei poveri appuntati e così via.

COSSIGA. Non riesco a capire come abbia potuto avere la follia di scegliere un obiettivo di questo genere perché di fronte alla complicità di alcuni carabinieri avrebbe avuto, come poi è successo, la ribellione dell'intera Arma dei carabinieri.

PRESIDENTE. Sta pagando un prezzo altissimo. Si è autocondannato all'ergastolo. Ha ragione ancora una volta Mantica, sono ragazzi: quando compivano questi atti avevano poco più di vent'anni e alla fine stanno pagando un prezzo gravissimo quasi uguale a quello delle loro vittime. Il problema è capire se le responsabilità sono solo loro o sono anche di una parte del ceto dirigente, senza generalizzare. Lei ha ragione che dire la Democrazia cristiana è una generalizzazione e come tutte le generalizzazioni è ingiusta, così come parlare di carabinieri in generale è ingiusto perché è una generalizzazione. Il problema è capire chi, nomi, persone. Avrebbe poi ragione il senatore Gualtieri nel dire che dovremmo fare il conto di chi ha sbagliato e chi no.

COSSIGA. Mi perdoni, ma vuole che io vada dietro ad alcuni magistrati che pensano che Giuseppe Saragat volesse fare un colpo di Stato in Italia? Stiamo farneticando. Mi hanno detto che è stato fatto anche il nome di La Malfa come persona favorevole ad un colpo di Stato: stiamo farneticando. Non è possibile, salvo che non si voglia processare tutta la classe politica compreso Saragat e La Malfa.

PRESIDENTE. Io non voglio processare nessuno: il mio sforzo è quello di capire. Mi deve dare atto, così come anche i colleghi, che di questa ipotesi che nasce da un'indagine giudiziaria, e prima da un'indagine di polizia giudiziaria, nella relazione non dico quasi nulla perché era il 1995 e vedevo la magistratura divisa. Vedevo addirittura il giudice che portava avanti quell'ipotesi messo sotto processo da altri magistrati; vedevo la struttura del Ros che portava avanti quell'ipotesi messa sotto processo da altro giudice. Mi trovo però di fronte ad un fatto nuovo di cui istituzionalmente devo tener conto: una Procura della Repubblica che inizialmente, anche in questa Commissione, sembrò estremamente perplessa, anzi negativamente orientata rispetto a quella ipotesi, adesso l'ha fatta sua. Oggi un Gip ha emesso un provvedimento limitativo della libertà personale facendo sua quella ipotesi. A mio avviso ciò non basta a dire che quella è la verità ma è sicuramente qualcosa con cui dobbiamo fare i conti, altrimenti non faremmo bene il nostro dovere.

COSSIGA. Fortunatamente non faccio parte di questa Commissione e, sulla base del mio giudizio politico sulla classe politica della prima Repubblica, mi riservo il diritto di dire, se fate vostre queste tesi, il massimo male di quanto voi affermerete. In base alla mia conoscenza della classe politica e al pensiero di quello che la classe politica ha segnato nella lotta al fascismo, nell'instaurazione della democrazia, non mi importa nulla di quello che dice un giovane procuratore della Repubblica. Sia chiaro. Se voi prenderete le parti contro la storia del nostro paese vuol dire che voi avete l'intenzione di fare il processo senza saperlo a 50 anni di vita democratica del nostro paese.

PRESIDENTE. Ci stiamo interrogando. Lei ammetterà che sia nostro dovere.

COSSIGA. Non siamo mica in un'aula giudiziaria. Stiamo parlando tra politici. Non è possibile che la magistratura sia buona quando dice certe cose ed è cattiva quando ne dice altre.

FRAGALA’. Magari lo stesso magistrato.

PRESIDENTE. Ho più volte detto che anche rispetto ai giudicati non dobbiamo sentirci vincolati. Dobbiamo esprimere un giudizio politico che può anche prescindere dal risultato finale di vicende giudiziarie. Veniamo al problema del terrorismo di sinistra: noi non abbiamo affatto escluso che sia stato combattuto anche con momenti di estrema efficacia. L'ipotesi però che analizza la Commissione è se in questo contrasto al terrorismo di sinistra non ci siano stati momenti di caduta, di minore tensione, di forte disorganizzazione e debolezza spinti a tal punto da domandarci - e non abbiamo ancora trovato una risposta: stiamo lavorando per questo - se non ci sia stata una valutazione di convenienza politica...

COSSIGA. E’ un'autentica mascalzonata. E’ quello che ho definito un'autentica mascalzonata. Questa ipotesi che lei sta facendo è ciò che nel linguaggio comune io chiamo un'autentica mascalzonata! Non le sto dando del mascalzone in termini morali, bensì in senso politico e lei non si può offendere. Lei avanzando l'ipotesi che, essendo Ministro dell'interno a quell'epoca, avrei fatto questo, mi dà del mascalzone politicamente parlando. Quindi anche io le do del mascalzone, per carità non dal punto di vista morale, ma politico.

PRESIDENTE. Accetterà su questo mi auguro un confronto. Ad esempio: la facilità con cui la moglie di Curcio fa evadere lo stesso dal carcere di Casale secondo lei è soltanto l'esempio clamoroso della nostra disorganizzazione?

COSSIGA. Assolutamente sì. Non so cosa facesse lei all'epoca, ma io ero Ministro dell'interno e quando imposi Carlo Alberto Dalla Chiesa alla direzione delle carceri, lo feci proprio perché le carceri erano diventate un colabrodo.

PRESIDENTE. Il sequestro Moro si chiude con le sue dimissioni, atto raro nel panorama italiano.

COSSIGA. Non è vero: per dissensi con il Presidente del Consiglio Andreotti si era già dimesso da Ministro del tesoro Silvio Gava.

PRESIDENTE. Non ho detto che era un atto unico, ho detto che era raro. Non è una cosa facile avere delle dimissioni nel nostro paese.

BONFIETTI. Signor Presidente, chiedo scusa, ma vorrei avere un'idea di come pensa di organizzare i nostri lavori. Pensa di rinviare il seguito dell'audizione?

COSSIGA. Vorrei dire chiaramente: io sono una persona tollerante, ma ho anche una mia dignità personale alla quale non intendo venire meno. Se volete stare qui fino a domani, va bene. Altrimenti non mi farò più vedere, tanto per parlare chiaro. Se voi foste un giudice, verrei; siccome siete un organo politico e vi comportate da politici, la prossima volta che mi chiamate non ci vengo.

PRESIDENTE. Pregherei i colleghi di avere un po' di pazienza.

COSSIGA. Questa è una finzione. Signor Presidente, io la capisco benissimo, mi dispiace delle cose che le ho dovuto dire, ma l'ho fatto davanti a tutti e con i giornalisti che ci ascoltano: qui si fa politica...

PRESIDENTE. Per quanto mi riguarda non è così.

COSSIGA. Forse non se ne accorge ma è così: lei stesso è travolto dal fare politica. Speravo che una volta che i vinti del 1948 avessero vinto queste cose non sarebbero più accadute e invece mi accorgo che i vincitori del 1996 non sono molto diversi dai vincitori del 1948.

PRESIDENTE. Questa Commissione è stata istituita da Parlamenti della prima Repubblica. E’ stata presieduta dal senatore Gualtieri che, ritengo, abbia espresso nelle sue relazioni valutazioni molto più forti delle mie. Mi perdoni il senatore Gualtieri se mi domando: di quale campo faceva parte il senatore Gualtieri, dei vinti o dei vincitori? Allora, come vede, questa Commissione è stata fortemente voluta da lui e secondo me egregiamente presieduta.

COSSIGA. Gualtieri è un vinto. Del resto anche Cossiga è un vinto.

PRESIDENTE. Molti dei giudizi cui lei attribuisce valenza politica sono ereditati. Il giudizio sulla inefficienza, che lei ha definito un'autentica mascalzonata, è espresso in una parte della relazione conclusiva della prima Commissione Moro ed è stata espressa in relazioni approvate da questa Commissione quando non era da me presieduta. La invito a leggere la relazione di Colaianni approvata da questa Commissione quando non era da me presieduta.

COSSIGA. Lei non può dire che io le ho dato del mascalzone quando ha sostenuto che eravamo inefficienti. Ho parlato di mascalzonata politica quando ha dato una mano a far credere che vi sia stata una volontà politica di indebolire il contrasto con le forze di sinistra e le possibilità di salvare Moro.

PRESIDENTE. Lei crede che la P2 volesse salvare Moro?

COSSIGA. Se io penso che un esponente della P2 era stato imposto come segretario generale del Ministero degli esteri dallo stesso onorevole Moro; se penso che il capo di Stato maggiore della difesa, contro l'allora presidente del Consiglio Cossiga, fu imposto; se penso che il generale Grassini venne nominato per disperazione dopo che il Partito comunista aveva posto il veto alla nomina a direttore del Sisde del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; se penso che il generale Santovito fu imposto al presidente Andreotti - io stesso non sapevo chi fosse - dalle gerarchie militari...

PRESIDENTE. Ho mutuato da lei la definizione di oltranzismo atlantico...

COSSIGA. Ma secondo lei gli oltranzisti atlantici volevano la morte di Aldo Moro il quale in seduta alla Camera aveva detto: «Noi dobbiamo avere comprensione per l'intervento americano», facendo saltare in piedi la sinistra? Ma questa idea chi ve l'ha messa in testa? Guerzoni?

PRESIDENTE. Non appartiene al partito degli attuali vincitori.

COSSIGA. Guerzoni è vincitore tuttora: era vincitore nel 1948 e poi si è pentito di aver vinto così si è iscritto al partito dei nuovi vincitori. Ci sono vinti pentiti e vincitori pentiti. Aldo Moro sarebbe stato un vinto e basta.

PRESIDENTE. Vedo che su questo aspetto, a differenza di altri, permane un contrasto, una diversità di analisi.

COSSIGA. Al limite della mascalzonata morale. Me l'ha fatta lei la distinzione tra politica e morale.

PRESIDENTE. Vorrei continuare a svolgere questo lavoro, che non è facile. Anche perché penso che il contribuente italiano contribuisca a pagarmi perché io lo faccia. Le sue dimissioni possono essere considerate il riconoscimento di una situazione di disorganizzazione dello Stato? Ci dia la sua spiegazione.

COSSIGA. Mi sono dimesso affinché non venisse compromessa la politica di solidarietà nazionale. Se fossi rimasto a quel posto una parte della Democrazia cristiana l'avrebbe preso ad argomento per rompere con la politica della solidarietà nazionale. Mi sono dimesso non perché mi ritenessi colpevole: ero responsabile politicamente e bisognava dare il senso al paese che chi è politicamente responsabile paga. Ma mi sono dimesso perché, essendo stato fermo sostenitore - e non pentito come molti attuali uomini del Pds - della politica di solidarietà nazionale, non volevo si attivasse da parte della Democrazia cristiana una azione volta a far saltare quella politica.

PRESIDENTE. Un'ultima domanda e poi decideremo assieme cosa fare sul resto dell'audizione. Una cosa mi ha oggettivamente colpito, cioè l'estrema debolezza, la disorganizzazione dello Stato nel rintracciare la prigione dell'onorevole Moro. I segnali erano innumerevoli. Passiamo brevemente in seduta segreta.

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 13,35.

... omissis ...

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 13,36.

PRESIDENTE. Comunque una polizia aggiornata poteva pensare che il nome Gradoli corrispondesse ad una strada. Oggi Craxi dice che era arrivata una lettera al Quirinale con l'indicazione di via Montalcini. C'era tutto un traffico di lettere e controlettere, di messaggeri e contromessaggeri. E’ possibile che una polizia appena organizzata non riesca a sfruttarli?

COSSIGA. Perché i tedeschi l'hanno ritrovato Schleyer?

PRESIDENTE. Gli hanno cambiato prigione due volte poco prima che la polizia arrivasse a scoprirli.

COSSIGA. Ma questo chi gliel'ha detto?

PRESIDENTE. Poi lo dirà il senatore Gualtieri. Le carte di Aldo Moro sono state trovate poi con grande facilità.

COSSIGA. Non pensa che dopo lo sforzo fatto in quei cinquantacinque giorni, se non mi fossi dimesso, oggi sarei quello che avrebbe ritrovato le carte di Moro? Sarei quello che avrebbe liberato Dozier e così via? Non ci pensate a questo?

PRESIDENTE. Mi chiedo proprio perché dopo pochi giorni lo Stato riacquista così grande efficienza.

COSSIGA. Ma se i presupposti non fossero stati messi allora, i risultati non si sarebbero ottenuti. Ma lei lo sa chi ha istituito e quando è stato istituito il reparto che ha liberato Dozier?

PRESIDENTE. Sì, il problema è che i documenti vengono ritrovati il 1° ottobre 1978. I tempi della riorganizzazione sono stati brevissimi. Se la mancanza di risultati era frutto di disorganizzazione e poi le carte si trovano...

COSSIGA. Ma è dovuto al fatto che ho imposto la nomina a capo della Divisione di Dalla Chiesa dopo aver dovuto bisticciare con il comandante generale dell'Arma dei carabinieri, il quale mi disse: se me lo ordina lei, bene: se no io «quello lì» non lo nominerei mai!

FRAGALA’. Chi era il comandante generale?

COSSIGA. Era il generale Corsini. E perché dicesse «quello lì», si capisce bene.

PRESIDENTE. Ma durante i cinquantacinque giorni Dalla Chiesa è mai stato da lei consultato?

COSSIGA. Certo! Debbo ora ricordare un fatto per me doloroso che ho sempre taciuto. Il generale Dalla Chiesa era un uomo pratico e quando lo consultai perché premeva affinché si celebrasse comunque il processo Moro a Torino, dopo aver sfilato mezzo miliardo - non so dire come: comunque è un reato prescritto - per darlo al sindaco perché costruisse l'aula, gli chiesi se ci dovessimo aspettare da parte delle Brigate rosse delle azioni. Il generale Dalla Chiesa mi disse che non c'era da aspettarsi alcuna reazione. Non dico che il generale lo sapesse, ma siccome era un poliziotto ed io ero un politico, temeva che se lui mi avesse prospettato la possibilità di una qualche reazione io non avrei agito per far svolgere il processo a Torino.

PRESIDENTE. Ha mai visto gli atti, la spiegazione ufficiale di come viene rintracciato il covo di via Monte Nevoso? Circa il ritrovamento dei documenti a via Monte Nevoso abbiamo quattro versioni ufficiali, una diversa dall'altra. Il generale Dalla Chiesa aveva dato una versione alla Commissione Moro. Il generale Morelli ne fornisce una versione abbastanza diversa nel libro «Gli anni di piombo». Il rapporto dei carabinieri al dottor Pomarici reca una terza versione. La polizia dà al Ministero degli interni una quarta versione. Devo dirle sinceramente che, non perché credo alla teoria del complotto, ma per convinzione cui sono arrivato - e lei è libero di pensare il contrario - penso che il generale Dalla Chiesa avesse suoi informatori all'interno delle Br e che utilizzando questi informatori non solo sia riuscito a monitorare il covo di via Monte Nevoso, ma abbia deciso anche di ritardare l'irruzione fino al 1° ottobre, sapendo che solo qualche giorno prima Bonisoli aveva portato lì le carte di Moro. Questa è dietrologia?

COSSIGA. Assolutamente sì.

PRESIDENTE. Ma le quattro versioni non sono dietrologia, sono fatti.

COSSIGA. Se dovessimo accertare l'ipotesi che Dalla Chiesa aveva infiltrati nelle Brigate rosse e non li avesse messi durante i cinquantacinque giorni della prigionia Moro a disposizione del Ministro degli interni, che tra l'altro era un suo protettore ... Io ero notoriamente un protettore del generale Dalla Chiesa. Perché va ricordato che io quando ne proposi la nomina venni combattuto da tutta la sinistra. Andrebbe solo ricordato il chiasso che fecero a proposito dei reparti speciali del generale Dalla Chiesa: non ne parliamo proprio! I reparti speciali venivano visti come un pericolo per la democrazia e adesso vengo accusato di aver disciolto i reparti speciali! Per carità!

PRESIDENTE. Il rapporto di Pecchioli con lei era buono.

COSSIGA. Sì, come quelli che aveva con Dalla Chiesa, con Santovito. A Grassini dava del tu, cosa che io non ho mai fatto, e faceva bene perché era un galantuomo. E poi i rapporti con l'ammiraglio Torrisi. Per carità, tutti galantuomini: l'ho detto anche alla televisione, si immagini se mi spaventa il fatto che erano iscritti alla P2!

DE LUCA Athos. Ma insomma le bombe chi le ha messe?

COSSIGA. Lo vorrei sapere anch'io. Forse lei lo sa, perché lei sa tante cose sul piano Pater che, quando arriveremo a quel momento, ci divertiremo un sacco! Le posso dare un consiglio, che ho già anticipato all'amico Pellegrino? Del piano Pater non parli più, perché sono astretto da segreto istruttorio e non posso dire cos'è. In cambio, io la perdono e le assicuro che il giorno in cui viene fuori il piano Pater non renderò evidenti tutte le sciocchezze che lei ha detto. Però a condizione che lei non ne parli più. Le sto dando un consiglio. Non posso dire cos'è il piano Pater, ma lei non ne parli più. Mi dia retta.

DE LUCA Athos. E’ una minaccia o un invito?

PRESIDENTE. Se facciamo disordine l'audizione non sarà utile.

COSSIGA. Io mi impegno a questo; io non tengo conto di tutte le sciocchezze che lei ha detto rispetto al piano Pater... E’ lo stesso. Ho una rassegna stampa grossa così sulle cose che lei ha detto. Vuole che gliela tiri fuori? Facciamo questo patto: lei non ne parla più, ne parla solo dopo che esce, e non cerca di inventarsi le cose che si è inventato e io, quando esce il piano Pater, non le rinfaccio, come ho detto poc'anzi, le sciocchezze che lei ha detto. Questo è un patto; se lei poi il patto non lo vuole fare non lo facciamo.

PRESIDENTE. Indubbiamente è giusto che noi esaminiamo e leggiamo il piano Pater prima di fare qualsiasi valutazione. Lei noterà, infatti che non le ho fatto nessuna domanda su questo argomento.

COSSIGA. E io l'ho avvertita che avrei dovuto dire...

PRESIDENTE. Comunque il piano verrà fra poco acquisito dalla Commissione e potremo con la dovuta riservatezza esaminarlo. Io avrei finito. Sul piano personale le dico solo una cosa: che lei mi consenta di mandarle le quattro verità che ci sono sul ritrovamento di Via Monte Nevoso. Il giorno che lei riuscirà a darmi una spiegazione logica di quel contrasto, io potrò anche cambiare idea.

COSSIGA. Probabilmente gliela so dare.

PRESIDENTE. Quanto al fatto degli infiltrati nelle Brigate rosse, siccome lei ha detto che anch'io sono stato preda di un'orgia o di un orgasmo di dietrologia, il generale Romeo ha deposto in questa Commissione dicendo che le Brigate rosse erano profondamente infiltrate e che i nomi degli infiltrati non erano Pisetta o Girotto, che erano nomi noti, ma che lui non li poteva fare perché ne andava della vita di queste persone.

COSSIGA. Il generale Romeo, il bersagliere? Il noto bersagliere generale Romeo?

PRESIDENTE. Io rispetto tutte le istituzioni e quindi se un generale viene a dire in una Commissione parlamentare d'inchiesta una cosa di questo genere, in un paese serio viene preso sul serio; per lo meno ci si dialettizza rispetto a quest'ipotesi.

COSSIGA. Allora stabiliamo questo: se il generale Dalla Chiesa aveva infiltrati nelle Brigate rosse e non li ha messi a disposizione del Ministero dell'interno e dell'autorità giudiziaria durante i 55 giorni del sequestro Moro, bisogna togliere le medaglie al generale Dalla Chiesa, togliere l'intestazione dalla piazza e fare anche peggio.

PRESIDENTE. Guardi, che il generale Dalla Chiesa potesse avere suoi infiltrati adesso non mi ricordo se ce lo ha detto o Andreotti o Forlani: uno degli uomini politici che abbiamo audito recentemente quando gli ho posto questo problema della rapidità del successo di Dalla Chiesa nel ritrovare le carte di Moro ed egli mi ha detto: probabilmente aveva suoi canali... Ci sono quattro versioni: una parla di una vespa rossa, un'altra di un motociclo Garelli, un'altra di un mazzo di chiavi, e un'altra di un borsello ritrovato a Firenze; e un'altra ancora di un borsello che stava sulle spalle di Azzolini e che siccome gli faceva un segno sulla giacca dimostrava che dentro c'era una pistola; io le darò queste versioni; lei è una delle persone più intelligenti che in questi sette anni di attività parlamentare ho avuto il piacere di conoscere, se lei mi darà una spiegazione logica della diversità di queste quattro verità, io le chiederò pubblicamente scusa; ma finché questo non avviene io ho il dovere di domandarmi perché c'è questa diversità.

COSSIGA. Non a me, perché io non ero più Ministro dell'interno. Chiami il ministro Rognoni e lo chieda a lui. Perché non chiama il ministro Rognoni?

PRESIDENTE. Noi diamo molta importanza anche a tutti quelli che non vogliono venire.

COSSIGA. Perché non sembra che esista un solo Ministro dell'interno in questo Paese.

PRESIDENTE. Ma io non le do nessuna responsabilità di questo fatto a via Monte Nevoso...

COSSIGA. No, ma per carità!

PRESIDENTE. ...soprattutto da quando lei ha lasciato il Ministero dell'interno.

COSSIGA. Lei mi chiederà scusa, invece io, guardi, di tutte le cose che ho detto qui io, da sardo, scusa non gli ne chiederò mai.

PRESIDENTE. E io nemmeno per quello che ho detto fino adesso, anche se i salentini sono molto diversi dai sardi. Vorrei fare una proposta sull'ordine dei lavori: possiamo interrompere dieci minuti e poi proseguiamo.

GUALTIERI. Vorrei rivolgere una preghiera al presidente Cossiga affinché non tenga fede a quanto ha detto adesso, e cioè che finita la riunione odierna non viene più.

COSSIGA. Lei può starne certo.

GUALTIERI. Io volevo rivolgerle una preghiera...

COSSIGA. Io sono con Moro, non ci processerete. Lei può esserne certo!

GUALT1ERI. Io le rivolgevo una preghiera.

COSSIGA. Io sono con Moro: non ci processerete né nelle strade, né nelle Commissioni parlamentari!

GUALTIERI. Non ne ho alcuna intenzione.

COSSIGA. Non ci processerete né nelle strade, né nelle Commissioni parlamentari. Carissimo, non mi processerete! Lei ha fatto in tempo a passare dall'altra parte, io no!

GUALTIERI. Presidente, io non sono passato da nessuna parte.

COSSIGA. Lecitissimo: non c'è cosa peggiore della coerenza.

GUALTIERI. Mi lascia dire qualcosa? All'inizio di questa seduta lei ha detto che possiamo continuare fino a domani, fino a dopodomani ed oltre.

COSSIGA. Di seguito.

GUALTIERI. Allora, le rivolgo la seguente preghiera: vorrei poter parlare e vedere se mi riconosco nei mascalzoni o no, nei coerenti o negli incoerenti.

COSSIGA. Ci mancherebbe; la coerenza è la virtù degli imbecilli!

GUALTIERI. Sì, anche su questo, e sono aperto, Presidente, a qualsiasi soluzione.

COSSIGA. Sono aperto anch'io!

GUALTIERI. Però ciascuno di noi ha anche degli obblighi assunti rispetto alla vita parlamentare che abbiamo. Ad esempio, alle ore 14,30 debbo presiedere la Commissione difesa per esprimere un parere insieme ad altri colleghi qui presenti. Mi risulta che i colleghi della Camera dei deputati debbono partecipare ai lavori dell'Aula alle ore 17 perché vi è una votazione di fiducia.

COSSIGA. La cosa non riguarda me.

GUALTIERI. Se lei ritiene di non dover tornare sulla sua decisione e di dedicare un'altra seduta alle domande che dopo questa sua lunga esposizione dovessero esserle rivolte, perché credo che una decina di noi vorrebbero rivolgerle...

COSSIGA. Andiamo avanti.

GUALTIERI. Se però lei dice che siamo qui per processarla, cosa che non ho alcuna intenzione di fare, rinuncio...

COSSIGA. Se lei rinuncia, non posso costringerla a continuare.

PRESIDENTE. Sono le ore 13,50; possiamo interrompere 10 minuti, dopo di che dalle ore 14 alle ore 17 abbiamo tre ore per continuare i nostri lavori.

GUALTIERI. Signor Presidente, alle ore 14,30 abbiamo una riunione di Commissione. Presidente Cossiga, ho avuto il privilegio di ascoltarla tre volte in questa Commissione quando la presiedevo io: la prima volta ci ha dedicato otto ore, la seconda sei ore e la terza cinque ore.

COSSIGA. Certo, l'ho detto.

GUALTIERI. Le rivolgevo all'inizio quella preghiera perché parlare con lei su quanto accaduto in tanti anni non può ridursi ad un riassunto tipo Bignami. Quindi, nell'interesse delle parti che stanno qui dialogando, la pregavo di valutare se vi fosse la possibilità di avere un dialogo con lei. Però, mi pare che un dialogo lei non lo voglia avere.

COSS1GA. No, non è che io non voglia avere un dialogo, e ciò è dimostrato da tutte le volte che sono stato ascoltato; di queste ne ho fatto un elenco. Le chiedo qual è l'uomo politico, che abbia ricoperto le cariche di Capo dello Stato, di Presidente del Consiglio e di Presidente del Senato, che sia stato chiamato tante volte, quasi fosse l'unico uomo politico, di fronte all'autorità giudiziaria e di fronte alle Commissioni parlamentari d'inchiesta. E non mi dica che questo non è un atto politico.

GUALTIERI. E’ un atto politico.

COSSIGA. E come definisce lei questo atto politico?

GUALTIERI. E’ un atto politico che avremmo reciprocamente il dovere di concludere.

COSSIGA. E come chiama lei questo atto politico? Io lo chiamo una vergogna, e non mi faccio processare né qui, né altrove, se lo metta bene in testa.

GUALTIERI. Presidente, se lei non voleva farsi processare doveva rifiutare all'inizio l'invito del presidente Pellegrino e non interrompere a metà un'audizione, dicendo che finora lei è stato processato.

COSSIGA. Io sto qui due giorni, ma non sto alle sue comodità.

GUALTIERI. Va bene.

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Zani.

ZANI. Presidente Pellegrino, le chiedo semplicemente se è il caso di proseguire. Questa mattina ho ascoltato con grandissimo interesse il presidente Cossiga, ma credo che potremmo anche chiudere qui per una semplice ragione. Il presidente Cossiga ha fatto un discorso sul complotto, sulla dietrologia - ed io sono assolutamente d'accordo -; ci ha spiegato la psicologia dello stalinismo - siamo d'accordo anche su quello -. Inoltre, siamo d'accordo sul fatto che a questo punto occorrerebbe un atto di pacificazione nazionale, perché esso rappresenta «la condizione» per la seconda Repubblica. Faccio autocritica, perché sono d'accordo anche con il discorso fatto a Dublino dal presidente Cossiga: si tratta di un'autocritica.

COSSIGA. Lei sbaglia a dire «autocritica».

ZANI. Certo che lo è.

COSSIGA. No.

PRESIDENTE. Va bene, presidente Cossiga, non lo interrompa.

ZANI. Dal momento che ero in un partito che ha chiesto il suo impeachment, è evidente l'autocritica.

COSSIGA. No, lei fa generosamente un'autocritica, perché sono venuto a sapere dai suoi compagni di partito che in quel momento lei era di una diversa opinione.

ZANI. Questo è un altro paio di maniche; non ci addentriamo su questo terreno perché sarebbe tra l'altro una discussione molto complicata e sofisticata. Allora si facevano delle discussioni molto sofisticate nel Partito comunista, così come all'inizio della costituzione del Pds.

COSSIGA. A me è stato riferito da che parte lei stesse.

ZANI. In ogni caso, è abbastanza evidente lo stato d'animo del presidente Cossiga. Ci ha letto la cartella della via crucis - bisognerà prenderne atto -, dopo di che egli ha fatto un fuoco di sbarramento, naturalmente in senso tecnico, con una certa abilità, che funziona più o meno in un certo modo. Come lei sa, presidente Cossiga, il fuoco di sbarramento serve ad impedire alle truppe avversarie di procedere allo scoperto; quindi, o si gioca a rimpiattino...

COSSIGA. No, non gioco a rimpiattino!

ZANI. …oppure il problema è molto semplice: se caso mai avessi l'intenzione, anche solo remota di dirle che forse c'è stata inefficienza...

COSSIGA. Io le dico che vi è stata inefficienza.

ZANI. ...mi risponderebbe che probabilmente faccio parte della categoria dei mascalzoni; naturalmente in senso politico!

COSSIGA. No, se lei mi dice: «Per caso, lei ha fatto parte del complotto per uccidere Moro?» allora sì che le darei del mascalzone.

ZANI. Ma sa benissimo che nessuno di noi le direbbe ciò in questa sede; lo sa benissimo.

COSSIGA. E come no!

ZANI. Certo che lo sa; lei sa benissimo questo.

COSSIGA. Lei lo dovrebbe sapere, perché sa che non ho mica combattuto quei 55 giorni a contatto di gomito con il Movimento sociale italiano.

ZANI. Tutto questo mi è perfettamente noto.

PRESIDENTE. Personalmente mi è indifferente.

COSSIGA. Io non faccio alcun fuoco di sbarramento, bensì dico le cose che so, le dico come le so, se le cose non le so non dico di saperle: quindi non faccio alcun fuoco di sbarramento.

PRESIDENTE. Ma non può essere che dopo tanti anni ognuno non riveda criticamente la propria esperienza; quello che lei sapeva allora è una cosa, quello su cui può ragionare oggi potrebbe essere diverso.

COSSIGA. Se lei, ad esempio, mi chiede un giudizio sulle lettere di Moro, le do un giudizio totalmente diverso da quello che diedi nel 1978.

ZANI. Certo, ma ora stavo facendo una considerazione sul proseguimento dei nostri lavori. Onestamente, ritengo che al punto in cui ci troviamo sarebbe forse bene concludere qui tale audizione.

PRESIDENTE. Non è una decisione che posso prendere io, perché vi sono colleghi che sono interessati a questa audizione.

ZANI. Io le dico quello che penso.

COSSIGA. Vuol dire che rimarrà da solo in quest'Aula.

ZANI. Anche perché concludere a questo punto tale audizione è chiaro che ha un significato. Io anticipo un giudizio politico, nel senso che se dobbiamo fare un'operazione per questa seconda Repubblica, ci vogliono i protagonisti della prima che ci diano una mano a farla. Se ciò non avviene, tanto vale concludere qui; dopo di che scriveremo quella benedetta relazione. Questa è la mia conclusione.

COSSIGA. Caro amico, sa benissimo che io ho dato una, due e tre mani.

ZANI. Gliel'ho già detto parlando del discorso di Dublino, però ora qui stiamo parlando di un'altra mano.

COSSIGA. Ma non le posso dire cose che non conosco, anche perché non sono l'unico Ministro dell'interno esistente nel nostro paese.

ZANI. Questo è vero.

COSSIGA. Quando, ad esempio, ho detto apertamente - e lei lo sa -che se mi viene prospettata l'idea che l'Amministrazione americana tra il vostro avvento legittimo al potere e l'instaurazione di un Governo autoritario avrebbe scelto il secondo, ho risposto «certamente, perché l'ha fatto in Grecia».

PRESIDENTE. E questo mi sembra un riconoscimento importante.

COSSIGA. Non ho alcuna difficoltà ad ammettere tali cose.

GRIMALDI. Signor Presidente, ritengo che a questo punto sarebbe opportuno chiudere l'audizione del senatore Cossiga. Per parte mia rinuncio alle domande che gli avrei voluto fare e lo ringrazio per la sua disponibilità. Vorrei poi ricordare al senatore Cossiga che il fatto che egli sia stato più volte chiamato dipende anche dalle numerose cariche che ha ricoperto nel paese.

COSSIGA. Soprattutto la funzione pubblica.

GR1MALDI. Certo, le cariche pubbliche che lei ha ricoperto. Ritengo anche che le affermazioni da lui fatte in questa sede, che mi sembrano molto interessanti, siano sufficienti alla Commissione per avere un quadro più completo di quello sul quale ci stiamo già muovendo. Vorrei aggiungere infine che questa Commissione non sta processando nessuno, ma sta ricavando dalle dichiarazioni e dalle ammissioni che vengono fatte una valutazione che certamente è politica. Questo al di là delle teorie dei complotti. Non possiamo parlare di teorie dei complotti quando ci sono state numerose inchieste e sentenze dell'autorità giudiziaria che non tendevano a dimostrare un complotto, ma ad accertare i fatti.

COSSIGA. Mi scusi, ma io non ho mai parlato di teoria del complotto rispetto ai giudici. Certamente quando vedo sentenze dell'autorità giudiziaria che condannano due persone perché i loro movimenti hanno compiuto altre stragi, mi consenta di dire che spero di non andare mai davanti a quella Corte di cassazione. Equivarrebbe a dire che, siccome è noto che il Partito comunista britannico, il Partito comunista tedesco e il Partito comunista francese erano la longa manus del Kgb, tutti i comunisti italiani sono delle spie. Ma questa è una sciocchezza! E’ una autentica sciocchezza anche perché il mio conterraneo Gramsci aveva teorizzato la non liceità dello spionaggio, neanche a favore dell'Unione Sovietica.

MANCA. Rispetto a quanto detto da alcuni colleghi, le cui opinioni rispetto, esprimo un altro parere. Per me l'occasione è unica, forse perché sono un neoparlamentare, e quindi sono del parere di continuare l'audizione del senatore Cossiga.

PRESIDENTE. Se non c'è unanimità l'audizione prosegue. Interrompiamo per 10 minuti ma l'audizione prosegue. Chi vuole proseguire resta: non posso impedire ai colleghi che sono intervenuti di rivolgere al senatore Cossiga le domande che hanno preparato.

Se non ci sono osservazioni, sospendo pertanto la seduta per 10 minuti.

I lavori, sospesi alle ore 14.00, riprendono alle ore 14.18

Fine prima parte

prima parte

seconda parte

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