Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

31ª SEDUTA

MERCOLEDI 11 FEBBRAIO 1998

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

Indice degli interventi

PRESIDENTE
FARANDA
DE LUCA Athos (Verdi-l'Ulivo), senatore
FRAGALA' (AN), deputato
GUALTIERI (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore
MANTICA (AN), senatore
SARACENI (Sin.Dem.-l'Ulivo), deputato
STANISCIA (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore

La seduta ha inizio alle ore 20,25.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito il senatore Athos De Luca a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

DE LUCA Athos, segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta del giorno precedente.

GUALTIERI. Signor Presidente, come risulta dal verbale, la seduta ieri sera era una seduta segreta. Devo anche ricordare che lei, Presidente, non ha considerato ammissibili domande e valutazioni di tipo generale e politico nel corso della seduta. La seduta segreta ha delle regole che devono essere rispettate. Ora, leggo su una nota Ansa di circa un'ora fa che il Vice presidente di questa Commissione, senatore Manca (che mi dispiace non sia presente ma devo fare questa dichiarazione perché rimanga a verbale e ho solo questa occasione), ha espresso - leggo testualmente - "vivissima soddisfazione per l'esito dell'incontro, in quanto l'illustrazione dei periti non ha fornito prova della presenza di un aereo militare nella rotta del DC9 ad una quota inferiore, ovvero sotto la pancia dell'aereo Itavia, secondo un'ipotesi che aveva dato luogo ad ampie speculazioni giornalistiche relative a scenari di guerra o bersagli aerei". Manca sostiene inoltre che "i periti hanno fornito spiegazioni ragionevoli e non allarmistiche" - vorrei sapere cosa significa "non allarmistiche" - "delle tracce corrispondenti a velivoli militari come pure delle battute radar prossime al luogo di caduta dell'aereo. Quindi si ricostruisce un quadro dell'accaduto che esclude l'ipotesi di una manovra di attacco attorno al DC9". Siccome tutto questo non è vero e la seduta di ieri sera non autorizza nessuna di tali affermazioni, che oltre tutto rompono quello che era il patto di seduta segreta, ritengo che questo fatto sia molto grave e che lei, signor Presidente, debba fare una dichiarazione per correggere quanto detto dal senatore Manca. Infatti la seduta di ieri sera non può avere interpretazioni finché non si riunisce la Commissione per interpretare quello che vorrà interpretare. Oggi non si può dire niente e quanto detto non è vero: nessuno di noi che era presente ieri sera può dire che quelli sono i risultati della seduta di ieri.

PRESIDENTE. Grazie, collega Gualtieri. Effettivamente penso che lei abbia ragione. Ieri all'inizio della seduta richiamai l'attenzione di tutti i membri della Commissione non solo sulla segretazione, ma sulle ragioni della segretazione e sulla estrema delicatezza delle ragioni della segretazione. Il dottor Priore ha fatto un lunghissimo lavoro e adesso è nella fase conclusiva. Spetterà a lui valutare nella sua autonomia i vari apporti istruttori, tra cui non soltanto le consulenze. Ciò avrebbe dovuto spingere tutti noi - mi dispiace e recrimino che il vice presidente Manca si sia comportato diversamente - a non fare valutazioni sull'oggetto della riunione, anche perché probabilmente esse sarebbero state discordanti. Le mie valutazioni, ad esempio, non coincidono con quelle del senatore Manca; non dico quali sono perché altrimenti commetterci una violazione della regola a cui, invece, mi voglio assolutamente attenere. Sto facendo queste affermazioni in seduta pubblica, i giornalisti mi stanno ascoltando e penso che ciò possa bastare. Rilevo comunque che le sue, senatore Gualtieri, non erano osservazioni sul contenuto del processo verbale che, quindi, se non vi sono altre osservazioni, si intende approvato.

 

INCHIESTA SUGLI SVILUPPI DEL CASO MORO: AUDIZIONE DELLA SIGNORA ADRIANA FARANDA

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della signora Adriana Faranda nell'ambito dell'inchiesta sugli sviluppi del caso Moro. Rilevo che noi continuiamo a ragionare nella logica delle inchieste superate per impostare il nostro verbale. In realtà stiamo indagando sul caso Moro ma stiamo anche facendo un'indagine complessiva sul terrorismo, cercando di inquadrare l'una e l'altra vicenda nell'insieme di un contesto che abbraccia molteplici aspetti della vita di questo paese durante gli anni 70. Alla signora Faranda dico soltanto questo. Nella scorsa legislatura ritenemmo che ormai fosse possibile giungere a una fase conclusiva dei lavori della Commissione; pertanto, su mandato della stessa, personalmente redassi una proposta di relazione conclusiva. Poi la fine della legislatura non consentì alla Commissione di misurarsi con tale proposta. All'inizio della nuova legislatura i Presidenti di Camera e Senato, nel confermarmi alla presidenza della Commissione, mi hanno dato mandato di provare a chiudere i lavori sulla scorta di quella proposta di relazione. La Commissione è stata di idea diversa: ha ritenuto che fossero ancora necessari approfondimenti istruttori e quindi tutte le forze parlamentari hanno prorogato il termine finale di lavoro della Commissione alla fine dell'attuale legislatura. Pertanto quello che dirò esprime soltanto un mio punto di vista personale e non impegna la Commissione.

In quella proposta di relazione mi era sembrato possibile affermare che la storia delle Brigate Rosse sia stata una parte della storia della sinistra italiana. Le Brigate Rosse non furono sostanzialmente nulla di diverso da ciò che dichiaravano di essere e, semmai, ci fu una colpevole rimozione nel momento in cui furono invece viste e studiate come se fossero qualche cosa di diverso da ciò che dichiaravano. Escludevo quindi l'ipotesi di una eterodirezione delle Brigate Rosse, però rilevavo in quella relazione che nell'azione di contrasto dello Stato si erano alternati a momenti di estrema durezza anche momenti di più intensa sottovalutazione del fenomeno. Parlavo, anche sulla scorta di consulenze di esperti che avevamo acquisito, quasi di una logica di stop and go nell'azione repressiva dello Stato e mi interrogavo sulla possibilità che in qualche modo questo sia stato un fenomeno voluto, che in qualche modo, quindi, non in maniera uguale ma non in maniera totalmente diversa, sia il terrorismo di sinistra che il terrorismo di destra siano stati usati nella logica di un disegno tutto sommato stabilizzante. Questo porta al centro della riflessione della Commissione soprattutto quello che è potuto essere il rapporto tra le Brigate Rosse e gli apparati di sicurezza, quindi tra Stato e antistato. Citavo in quella proposta di relazione una frase di Curcio che, al di là della sua letteralità, mi sembrava però estremamente indicativa, una frase in cui Curcio parlava addirittura di una "indicibilità" di questo tipo di rapporto, cioè di una incapacità di trovare le parole che potessero descrivere il rapporto tra Brigate Rosse e potere e quindi affidare a quella descrizione non solo la vera storia di alcune esperienze esistenziali ma la vera storia degli anni 70.

Stiamo continuando ad interrogarci su questa ipotesi anche perché nel corso dell'audizione di un esponente politico dell'epoca, il senatore Andreotti, questi ha ripetuto una valutazione che io avevo fatto nella relazione, e cioè che non è credibile che il nome di Gradoli sia emerso in Emilia Romagna durante una seduta spiritica. Era possibile che si trattasse di una informazione filtrata attraverso gli ambienti dell'autonomia universitaria, che poi era giunta in qualche modo distorta e che quindi veniva per questo affidata al "piattino" per farla giungere alle orecchie degli apparati di sicurezza. Ciò ha portato l'Ufficio di Presidenza a deliberare alcune audizioni. Alcuni degli ex brigatisti non hanno accettato di venire in Commissione, o in maniera decisa o in una logica di sostanziale rinvio; altri, come Morucci, hanno accettato e vi è stata una lunga audizione. Devo dire che l'utilità dei risultati di quella audizione mi sembra relativa; in realtà una parte di ex brigatisti si ripete ormai da moltissimo tempo e dice: perché vi affannate a vedere misteri, la nostra storia è chiara. Semmai dall'altra parte del fronte ci sono aspetti e vicende che meriterebbero di essere chiariti, ma noi non li conosciamo e quindi è inutile che ce li domandiate. Voi chiedete a noi risposte che non siamo in condizione di darvi. Devo dire che anche ieri sera, in quella trasmissione di Zavoli, che penso i colleghi avranno visto, questo è stato ripetuto da Maccari, Moretti, Gallinari e Braghetti con toni di sincerità. Vi è però una questione che le sottopongo. Queste stesse affermazioni sono state fatte in momenti in cui molte cose che oggi conosciamo allora non erano note. Quindi, se ci fossimo fermati allora, molte cose che oggi conosciamo non le avremmo sapute. Un esempio per tutti: il nome del quarto uomo di via Montalcini, quando fu lei, dopo molto tempo, a dichiarare l'identità dell'ingegner Altobelli. Devo dire che nella mia proposta di relazione manifestavo una qualche perplessità sull'identificazione in Germano Maccari dell'ingegner Altobelli; bene, devo dire che ho avuto torto. Il fatto che si sia ritrovato nell'archivio di questa Commissione un contratto di utenza che non vi era più nell'incarto processuale ha determinato poi Maccari alla confessione. Le rivolgerò solo poche domande, e poi l'affiderò alle domande dei colleghi, riservandomi di intervenire successivamente, così come ho fatto con Morucci.

Ci sono altre cose di cui lei è a conoscenza che non ha mai dichiarato né nella pubblicistica né in sede giudiziaria, che potrebbero tornare utili al lavoro della Commissione?

FARANDA. No, non c'è nient'altro che sia di mia conoscenza e che io ritengo possa tornare utile alla Commissione. I miei ritardi nel confermare l'identità del quarto uomo sono stati soltanto relativi alle remore umane rispetto al coinvolgimento di una persona in accuse così gravi. Viceversa, il mio silenzio rispetto al quarto uomo non mi sembrava lesivo di una verità che potesse stravolgere quello che già si conosceva, cioè che Maccari era una persona militante nelle Brigate rosse esattamente come noi e non si trattava quindi di null'altro. In questo senso mi sembrava che il suo nome e il suo cognome nulla potessero aggiungere alla verità storica di ciò che era accaduto, ma potessero semplicemente portare all'individuazione in termini giudiziari di un altro colpevole. Tutto qui.

PRESIDENTE. Sì, però per un certo periodo veniva addirittura negata la presenza di un quarto uomo in via Montalcini; questo rendeva meno credibile la ricostruzione del sequestro e quindi attivava poi attese sulla personalità dell'ingegner Altobelli.

FARANDA. Questo è senz'altro vero ed è stato sicuramente un grosso errore da parte nostra, dovuto al timore che ammettere che vi fosse un quarto uomo e non svelarne l'identità fosse ancora peggio. Purtroppo, eravamo dentro una tenaglia in cui qualunque dichiarazione avrebbe potuto tornare utile a chi voleva sollevare dei polveroni.

PRESIDENTE. Insomma, non è che ce n'era un quinto?

FARANDA. Assolutamente no.

PRESIDENTE. Di questo possiamo essere sicuri?

FARANDA. Assolutamente.

PRESIDENTE. Quindi, l'interrogatorio di Moro viene condotto personalmente da Moretti?

FARANDA. Sì, per quello che ne so io.

PRESIDENTE. Per quanto ne sa lei, viene registrato?

FARANDA. Inizialmente si parlò di registrazioni, che poi vennero abbandonate e successivamente distrutte per evitare che, nel caso di un loro ritrovamento, venisse individuata la voce dell'intervistatore - che parola brutta "intervistatore" -, cioè di chi portava avanti l'interrogatorio.

PRESIDENTE. Capisco che le pesi parlare di queste cose ma fanno parte della verità storica e in qualche modo le sottoponevate al processo. Quindi, vi è stato un interrogatorio più che un'intervista!

FARANDA. Sì, un interrogatorio; mi sono corretta.

PRESIDENTE. Difatti, la pubblicistica che se ne è occupata, l'intellettuale, che nella scorsa legislatura era consulente della Commissione stragi e che ha fatto di quel memoriale uno studio molto approfondito anche sotto il profilo filologico, è riuscito addirittura a ricostruire le possibili domande a cui Moro rispondeva. Da quello che sappiamo, però, Moro rispondeva scrivendo. Ecco, lei ha una qualche idea di che fine abbiano potuto fare i manoscritti del memoriale?

FARANDA. Io non li ho mai visti; mi fu detto che erano stati distrutti, però non posso averne la certezza perché non ho materialmente assistito alla loro distruzione.

PRESIDENTE. Questo ci riporta alla frase di Curcio che ricordavo prima: lei esclude che qualcuno di voi potesse usarli come una specie di ultima chance, di carta di trattativa con il potere dato che, ricostruito filologicamente anche nella versione più completa che nasce dal ritrovamento successivo delle carte in via Monte Nevoso, vi sono rimandi che non trovano corrispondenza, per cui sembrerebbe che il dattiloscritto non sia completo? Lei cosa ne pensa, non solo per ciò che sa, ma anche per effetto di successive riflessioni che lei ha potuto fare su tutta questa vicenda?

FARANDA. In coscienza non posso escludere una simile ipotesi per quanto mi appaia abbastanza peregrina e strana, perché poi i protagonisti di quella vicenda sono stati individuati, sono tutti indistintamente finiti in carcere e hanno pagato; quindi, non vedo a tal proposito quale forma di contrattazione possa essere avvenuta negli anni.

PRESIDENTE. Lei dice che non c'è nessuno che poi alla fine l'abbia fatta franca. Si, però la storia del mondo è anche fatta di tante trattative che poi non vanno a buon fine e che ad un certo punto diviene poi pericoloso affermare che le trattative ci siano state. (L'onorevole Saraceni acconsente con un cenno del capo).

FARANDA. Certamente.

PRESIDENTE. Noto che l'onorevole Saraceni concorda, data la esperienza.

SARACENI. Però, non mi sono mai capitate contrattazioni di questo genere.

PRESIDENTE, Ho avuto questa impressione, dato che lei è un "vecchio" magistrato.

FARANDA. Diciamo che non ho mai avuto motivo di sospettare un'ipotesi del genere, però non possa escluderlo, come - credo - nessuno di noi.

PRESIDENTE. Sì, però questo ci lascia al punto di partenza. Le rivolgo un'altra domanda. Alcuni uomini politici, anche di rilievo che noi abbiamo ascoltato, pur riconoscendo anche loro che l'ipotesi di un'eterodirezione delle Brigate rosse non fosse credibile, cioè che non vi fosse un "grande vecchio", ci hanno detto: secondo noi le Brigate rosse erano una cosa, le Brigate rosse più Moretti erano una cosa diversa. Sia per le cose che ha potuto percepire sia per le riflessioni che a distanza di tempo ha potuto fare su ciò che ha percepito, lei ritiene che questa sia una valutazione giusta? Uno degli auditi ci ha detto che era anche la valutazione del generale Dalla Chiesa che, preso Morettí, la capacità offensiva delle Brigate rosse sarebbe immediatamente diminuita, perché Moretti non era soltanto le Brigate rosse.

FARANDA. Non capisco cosa significhi questa affermazione: Brigate rosse senza Moretti. Moretti è stato da sempre nelle Brigate rosse quindi è difficile immaginarle senza di lui. Non credo assolutamente alle tesi secondo le quali Moretti potesse essere un brigatista e contemporaneamente qualcos'altro. Forse è vero che le Brigate rosse non sarebbero state più le stesse senza Moretti, ma non per quel motivo; più semplicemente perché egli era, forse, tra gli altri, quanto meno tra i componenti dell'esecutivo, quello che politicamente era più attivo e più capace di portare avanti ragionamenti politici che avessero presa sugli altri. Però, per la mia esperienza di conoscenza e di contatti con Mario Moretti, non ho mai avuto assolutamente il benché minimo sospetto che egli potesse essere anche qualcos'altro.

PRESIDENTE. Le do atto che anche questa risposta coincide con quelle che ci ha dato Morucci.

FARANDA. Non dimentichiamo che durante il sequestro Moro fu proprio Moretti, su sua responsabilità, a bloccare l'esecuzione della sentenza decisa dall'esecutivo. Lo fece proprio perché aveva delle forti remore a portare avanti l'azione.

PRESIDENTE. Ci ha detto Morucci che Micaletto, Azzolini e Bonisoli erano molto più determinati, avevano una minore duttilità politica per poter pensare ad un esito diverso.

FARANDA. Come anche la maggioranza dei dirigenti delle altre colonne, che pesavano.

PRESIDENTE. Quindi per lei Moretti era soltanto il leader politico-militare che aggiungeva qualcosa in questo senso.

FARANDA. .

PRESIDENTE. Era il centravanti forte della squadra senza il quale la squadra stessa diventa più debole. Quindi lei conferma pure che pensare ad un rapporto stabile tra Moretti e l'Hyperion è sbagliato.

FARANDA. Di questo argomento non so niente e comunque ritengo sia sbagliato perché sarebbe trapelato qualcosa - ne sono abbastanza convinta - quantomeno tra le righe, con una allusione, con una frase sbagliata o di troppo. Tra l'altro Moretti all'estero praticamente non ci andava mai. Ha cominciato ad andarci soltanto nell'ultima fase prima che io uscissi dalle Brigate rosse.

PRESIDENTE. Do atto che quel che lei ci dice coincide con quanto ci ha detto Morucci. Morucci però ad un certo punto è sembrato farci un'apertura, darci un suggerimento, offrirci una possibile traccia: ci ha detto che se Moretti o Azzolini o Bonisoli ci dicessero dov'è che l'esecutivo delle Brigate rosse si riuniva a Firenze, forse in qualche modo alcune cose diventerebbero più chiare. Dove sì riuniva l'esecutivo a Firenze? Chi era l'ospite attivo?

FARANDA. A queste domande non posso rispondere. Non so cosa potrebbero chiarire in più. E non ho idea di cosa intendesse dire Morucci. Non gli ho mai sentito dire questa frase.

SARACENI. Non può rispondere perché non sa o perché ritiene di non rispondere?

FARANDA. Non lo so. Non sapevo neppure che Morucci avesse la convinzione che questo potesse aggiungere qualcosa.

PRESIDENTE. Sa dove si riunivano?

FARANDA. No, perché non era un’informazione che doveva pervenire fino a me, per motivi di sicurezza.

PRESIDENTE. A Firenze ci potrebbe essere un luogo o una persona, un brigatista rimasto ignoto fino adesso?

FARANDA. E’ possibile che se un prestanome si occupava semplicemente di attrezzare dal punto di vista logistico un luogo nel quale far svolgere le riunioni, costui sia rimasto oscuro agli inquirenti.

PRESIDENTE. Non sarebbe un capo.

FARANDA. Sicuramente no.

PRESIDENTE. Nemmeno un consigliere importante?

FARANDA. Ritengo di no.

PRESIDENTE. Un intellettuale, per esempio?

FARANDA. Un intellettuale è possibile, però sono congetture senza alcuna base, senza alcun elemento che ci possa spingere a ritenerle dotate di qualche fondamento.

PRESIDENTE. Do la parola ai commissari. Vorrei introdurre una modalità diversa per la posizione delle domande: vorrei che nessuno di voi parlasse per più di dieci minuti, salvo, se necessario, fare un secondo ciclo di domande, così da evitare che la riunione venga di fatto occupata dalle domande di un solo commissario.

FRAGALA’. Signora Faranda, mi riallaccio subito alla domanda che le ha rivolto il Presidente circa le riunioni che il comitato esecutivo teneva a Firenze. Siamo rimasti incuriositi dalla frase che Morucci - che lei conosce bene - ha tenuto a dirci spontaneamente: "Domandate a Moretti, che è una sfinge, dove si riuniva il comitato esecutivo a Firenze e chi era l’anfitrione". Evidentemente ci ha dato di sua volontà una indicazione particolarmente significativa. Ha definito Moretti una "sfinge", come a dire che secondo lui Moretti tace moltissimo di quello che sa. Ha dato poi l'indicazione relativa a Firenze. A tale proposito, vorrei dire che a rigor di logica non ha senso che, mentre a Roma era in corso il sequestro Moro, Moretti si recasse al comitato esecutivo a Firenze in treno o in automobile, esponendosi ad un lungo viaggio per relazionare e prendere decisioni in ordine al sequestro. Quindi l'indicazione di Morucci evidentemente ha un significato particolare che però lei ci ha detto di non sapere assolutamente spiegare. Ma le chiedo: si è mai chiesta per quale motivo durante il sequestro Moro, che si svolgeva a Roma, una città stretta in una morsa, circondata da posti di blocco delle forze dell'ordine, l'interrogante di Moro si recasse in un'altra città alle riunioni del comitato esecutivo, esponendosi ad un viaggio così lungo e pericoloso? Lei si è mai posta questa domanda?

FARANDA. Non in questi termini come la sta ponendo lei, cioè lasciando intendere che a Firenze poteva esserci qualcuno che appunto contribuisse allo sviluppo del dibattito politico sul sequestro stesso. No, dal punto di vista della sicurezza posso dire soltanto una cosa: è vero che Roma era stretta in un assedio, c'erano moltissimi controlli; basta semplicemente porsi la domanda se era più insicuro che una persona attraversasse lo sbarramento o che lo attraversassero altre tre persone; e a Roma quale poteva essere la base adatta per nascondere con sicurezza tutto l'esecutivo delle Brigate rosse? Io le ribalto la domanda: dal punto di vista della sicurezza, era molto più ovvio che una sola persona attraversasse questo filtro di controlli, anziché che tre persone, che erano gli altri tre componenti dell'esecutivo, entrassero e poi uscissero di nuovo, perché il rischio sarebbe stato moltiplicato; inoltre la permanenza di tutto l'esecutivo all'interno di Roma esponeva sicuramente a molti più rischi.

FRAGALA’. Ed allora, sempre su questo argomento voglio far fare un'altra riflessione. I servizi civili fecero una famosa intercettazione ambientale, dopo il sequestro Moro, nel carcere dell'Asinara, nel famoso padiglione in cui si incontravano i detenuti delle Brigate rosse, all'interno del carcere di massima sicurezza, che non si vedevano da tempo. Era evidentemente fatto apposta perché qualcuno cadesse nella trappola, tanto è vero che è stata ripresa una lunghissima intercettazione ambientale di due brigatisti che, alla fine del '78, si raccontavano tra loro del sequestro Moro, di come erano state preparate prima le domande, degli studi che erano stati fatti sulle correnti della DC, sulla storia della DC, sulla personalità di Moro, di come veniva trattato Moro, di quante docce si faceva, di chi e come lo interrogava, eccetera. Le voglio allora intanto chiedere: di questa famosa intercettazione ambientale depositata tra gli atti processuali del processo Moro lei sa qualcosa? E se lo sa, sa chi erano - adesso si può dire, dopo tanti anni; tra l'altro hanno già scontato la pena - i due brigatisti che sono stati intercettati quella volta all'Asinara?

FARANDA. Io vorrei chiedere venia, ma non ho letto tutti gli atti processo.

FRAGALA’. Quindi lei non ha mai sentito parlare di questa intercettazione?

FARANDA. No.

FRAGALA’. Comunque questa intercettazione risponde alla sua controriflessìone; cioè la preparazione dell'interrogatorio, secondo questi due brigatisti, doveva svolgersi con dei consulenti, esperti della personalità di Moro e della storia delle correnti DC, del famoso Stato imperialista delle multinazionali, che a quanto pare stavano a Firenze.

FARANDA. Ma questa intercettazione a quando risale?

FRAGALA’. Alla fine del 1978, cioè 6-8 mesi dopo il sequestro e la morte di Moro; al novembre-dicembre di quell'anno.

FARANDA. Quindi dopo che erano stati arrestati Azzolini e Bonisoli?

FRAGALA’. Sì. E’ possibile che si tratti di loro? Se lei lo sa, perché non ce lo dovrebbe dire?

FARANDA. Non lo so, sto cercando di arrivarci per deduzione, perché per parlare di simili argomenti doveva essere qualcuno che aveva vissuto quella esperienza, o quanto meno ne aveva sentito parlare da loro o aveva interpretato, in maniera più o meno corretta, delle cose dette da loro; comunque la fonte originaria, che poi poteva essere stata travisata o alterata nel corso del tempo, doveva necessariamente essere uno di loro. Solo da questo nasceva la mia domanda, cioè operavo per deduzione logica, non per conoscenza.

FRAGALA’. Quindi la sua deduzione è che potevano essere o due del comitato esecutivo, o due vicini al comitato esecutivo?

FARANDA. , credo proprio di sì.

FRAGALA’. Ma il contenuto dell'interrogatorio che conduceva Moretti non era a conoscenza, per esempio, sua o di Morucci, ma soltanto dei componenti del comitato esecutivo?

FARANDA. Noi venivamo aggiornati a grandi linee, non ci veniva riportato l'interrogatorio nel suo dettaglio.

FRAGALA’. Quindi non conoscevate quei particolari di come veniva proprio tenuto Moro durante gli interrogatori, di che tipo di reazione aveva? Nelle intercettazioni i due descrivono le reazioni anche psicologiche e fisiche di Moro…

FARANDA. No, a questo livello di dettaglio no.

FRAGALA’. ... che addirittura aspettava ore ed ore per rispondere ad una sola domanda. Lei queste cose non le ha mai ... ?

FARANDA. No, anche perché quando noi incontravamo Moretti, almeno quando lo incontravo io, gli incontri erano sempre molto rapidi, concitati, perché si trattava poi di fare delle cose concrete. Quindi non ci si soffermava molto su questi risvolti, su questi particolari che non erano in quel momento essenziali a mandare avanti la colonna e le operazioni da fare, la consegna delle lettere, bensì sulle valutazioni di altre cose; non tanto sugli atteggiamenti psicologici, sulle reazioni fisiche di Moro, quanto proprio sulle reazioni delle forze politiche.

FRAGALA’. E' plausibile l'opinione che i brigatisti che tennero prigioniero e interrogarono Moro e poi lo misero a morte in effetti lo fecero perché si resero conto, una volta che lo avevano catturato e che lo interrogarono, che Moro era una persona assai diversa da quella che l'ideologia aveva loro rappresentato, che non era il terminale di quel "SIM", cioè non era il terminale di quel potere delle multinazionali, che era un soggetto che non rispondeva, secondo gli schemi del marxismo-leninismo, come un nemico di classe e quindi credettero che Moro li prendesse in giro, che in realtà era una persona diversa? C'è stato questo tipo di impatto?

FARANDA. , diciamo che, quando io udii Moretti parlare di questo argomento, egli era abbastanza deluso e spazientito, e ricordo che ripeteva spesso: "Ci sta portando in giro, ci sta dicendo delle cose che non interessano proprio per depistarci, per confonderci, con il suo stile, il suo modo di fare politica". Però non so, perché Moretti non lo ammise mai, fino a che punto loro si accorsero che le nostre teorie sullo Stato imperialista delle multinazionali non avevano granché fondamento. Sicuramente un elemento di confusione aggiuntivo fu invece il fatto che loro scoprirono comunque uno spessore umano in Moro che neutralizzava abbastanza il simbolo, o quanto meno lo integrava in maniera per loro poco adatta a proseguire nell'azione con la stessa determinazione di prima.

FRAGALA’. E secondo lei fu questo a determinare la messa a morte di Moro?

FARANDA. No, assolutamente no.

FRAGALA’. E cosa determinò la messa a morte di Moro?

FARANDA. La convinzione delle BR che non avevano alcuna possibilità di ottenere neanche una allusione a quello che avevano chiesto. Si è verificata in quel periodo una escalation simmetrica; più per le istituzioni e per i partiti, per il Governo, il problema del riconoscimento politico diventava una questione di sopravvivenza o meno della Repubblica, più da parte delle BR saliva l'aspettativa, come se questa cosa fosse diventata veramente una ragione di vita o di morte dell'organizzazione stessa e del futuro della lotta armata. Era una cosa simmetrica veramente impressionante.

FRAGALA’. Su questo aspetto c'è infatti una cosa che non riusciamo a capire. Nel momento in cui Moro, che aveva sicuramente un canale segreto con la famiglia...

FARANDA. "Sicuramente" lo afferma lei!

FRAGALA’. Le spiego perché dico "sicuramente": Moro era riuscito ad attivare, attraverso Misasi, presidente del Consiglio Nazionale, la famosa riunione del 9 maggio 1978 in cui Fanfani avrebbe annunciato il superamento della fermezza e l'apertura della trattativa con le BR per salvare Moro. Ecco, proprio quel giorno Moretti...

PRESIDENTE. Mi scusi, senatore Fragalà, se la interrompo ma direi che segreto non è più. Nel corso della trasmissione di ieri il rapporto delle Brigate Rosse con Don Minniti, con Rana e forse anche con Guerzoni è stato riconosciuto dai brigatisti.

FARANDA. C'era anche un ritorno? Potenza di Zavoli: lo abbiamo saputo anche noi finalmente.

PRESIDENTE. Che ci sia stato un ritorno non è stato detto.

FARANDA. Allora non è cambiato nulla.

PRESIDENTE. Ma del fatto che ci sia stato un ritorno c'è una prova documentale nel senso che Moro in alcune delle sue lettere sa che cosa Misasi ha detto in una riunione segreta della Democrazia Cristiana.

FRAGALA’. Esatto, questo è sicuro.

PRESIDENTE. Ce lo hanno detto i democristiani. Ci hanno detto che si sono sempre domandati come faceva Moro a sapere che Misasi nelle riunioni tra loro aveva preso una certa posizione: traspare chiaramente da alcune lettere di Moro in cui egli lo ringrazia per aver preso questa posizione.

FRAGALA’. I brigatìsti non lo potevano sapere.

FARANDA. In questo momento vorrei una memoria più precisa.

PRESIDENTE. Aggiungo che Don Mennini ha rifiutato di venire in questa Commissione trincerandosi dietro uno stato di ministro del Vaticano che ci impedisce di farlo venire contro la sua volontà.

FARANDA. Come dicevo vorrei avere una memoria più precisa e ricca di quella che posseggo perché in questo rnomento non riesco a ricordare. Noi, tramite i nostri incontri con Pace, eravamo a conoscenza di molte cose che avvenivano a livello istituzionale tra i partiti e quindi eravamo immediatamente informati di tutti gli sviluppi che potevano portare ad aperture e dunque progetti di riunioni, convocazioni e così via.

PRESIDENTE. Quindi potreste essere stati voi

FARANDA. Potremmo essere stati noi tramite una notizia arrivata dai socialisti. Moro ovviamente ne veniva informato immediatamente anche lui per poter poi decidere, in base a queste notizie, i propri comportamenti, le proprie sollecitazioni e mosse.

PRESIDENTE. Direi che questa è una spiegazione intelligente.

FRAGALA’. Infatti, a partire da questa spiegazione vorrei chiederle se a lei non sembra strano che una riunione del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana che contava decine, forse centinaia, di membri, ufficialmente convocata, con Cossiga ministro dell'interno, in cui Fanfani quella mattina avrebbe dichiarato di aprire le trattative (ci ha riferito Cossiga in questa Commissione di essere uscito di casa con la lettera di dimissioni in tasca perché quel giorno la DC per salvare Moro apriva le trattative con le Brigate rosse ed egli, garante del partito della fermezza, si sarebbe dimesso immediatamente ed aveva già scritto la lettera)....

PRESIDENTE. Non ha detto proprio così, ma più o meno....

FRAGALA’. ...con tutto questo ufficialmente preventivato e stabilito, come mai le Brigate Rosse non hanno saputo o non hanno colto nel senso del loro progetto questa apertura anzi addirittura questa soluzione secondo il proprio progetto di sequestro?

FARANDA. Personalmente avevo ancora molta fiducia che potesse avvenire qualcosa. Non mi aspettavo nulla di particolarmente eclatante ma speravo che ci potesse essere un segnale sia pure minimo. Invece la valutazione di Moretti fu che l'intervento di Bartolomei - non so se ricordo bene - del giorno prima non avesse lasciato intendere che ciò potesse avvenire. C'era pertanto un grandissimo scoramento ed una forte rabbia che percepivo a pelle rispetto a tutti questi rinvii dovuti alle nostre insistenze, alle notizie che arrivavano dal PSI e così via, che a loro sembravano solamente manovre per prendere tempo. Credo che ad un certo punto ebbero paura che potessero essere vicini all'individuazione; si cominciarono a sentire fragili non solo dal punto di vista organizzativo ma anche da quello politico perché ebbero l'impressione crescente, giorno dopo giorno, che fosse una specie di manovra orchestrata per costringerli all'immobilismo.

FRAGALA’. Quindi il comitato esecutivo non seppe che quella mattina il Ministro dell'interno Cossiga si sarebbe dimesso.

FARANDA. No, notizie di questo tipo non ci erano assolutamente pervenute. L'unica notizia che ci era giunta era che in quella sede probabilmente Fanfani avrebbe rotto il fronte della fermezza. Ma non avevamo queste notizie così eclatanti e certe che erano tasselli di un mosaico che poteva far pensare corrispondesse al vero. Il giorno prima Bartolomei forse - mi scuso se la mia memoria non mi aiuta, credo si trattasse di un fanfaniano - in ogni caso ci fu una sortita di un esponente democristiano della stessa corrente di Fanfani che non diede assolutamente alcuna avvisaglia che questa speranza potesse essere reale. Ne derivò quindi una reazione di chiusura da parte degli altri brigatisti: non credevano più alle notizie. Erano giorni e giorni, settimane che i socialisti ci dicevano "sta per avvenire" e non avveniva nulla. Dovete cercare di capire anche la psicologia vicina alla psicosi di chi sta in una situazione del genere e si sente con l'acqua alla gola.

PRESIDENTE. Quanto ci sta dicendo non coincide con quanto ci ha detto Morucci. Secondo lei questa trattativa tra Pace, Morucci e Faranda sembra una vera e propria trattativa con una comunicazione costante di quanto avveniva. Mi sembra invece che Morucci l'avesse un po' minimizzata. Lei ci conferma che attraverso Pace sapevate tutto quello che avveniva?

FARANDA. No, assolutamente non tutto. E’ dimostrato che tante cose io non le avevo sapute.

PRESIDENTE. Ci dirà poi se quelle cose che abbiamo saputo sono vere e sono enfatizzazioni.

FARANDA. Può darsi che siano enfatizzazioni del dopo. Quello che voglio dire è che non eravamo puntualmente informati di tutto quanto avveniva: eravamo puntualmente informati di ciò che il PSI pensava che noi potessimo sapere, probabilmente. Cominciamo a dare ad ognuno la sua parte.

FRAGALA’. Ma di Fanfani lo avevate saputo.

GUALTIERI. Credo che si possa dire che il caso Moro è tuttora aperto. Infatti non è affatto chiuso sul piano giudiziario e penale: ci sono stati quattro processi con quattro monumentali istruttorie (Moro 1, 2, 3, quater, adesso siamo al quinquies, poi c'è il sesto in elaborazione, cioè c'è un'istruttoria sul sesto). Recentemente nella prima trasmissione di Zavoli Marini ha dichiarato che non si sa ancora tutto. Il giudice Marini ha dichiarato che ci sono ancora molte cose che non quadrano dal punto di vista di un'inchiesta giudiziaria che possa essere considerata soddisfacente. Non tornano i conti sul numero dei partecipanti. Non tornano i conti del modo in cui si è sparato; non tornano i conti di domande che credo siano state rivolte anche a lei più volte. Ho letto molte delle domande che i Presidenti delle varie Corti d'Assise, a cominciare da Santiapichi, hanno rivolto; per esempio, quella che ha appassionato tre Presidenti di Corte d'Assise, nei processi Moro due, tre e quattro, riguardava il perché i soli due che sapevano, della squadra dei nove, dieci o dodici che ha attaccato Moro, dove doveva essere portato Moro, erano Moretti e - se non sbaglio - forse Bonisoli o Gallinari.

FARANDA. Suppongo Gallinarí.

GUALTIERI. I Presidenti hanno domandato più volte - credo anche a lei e senz'altro a Morucci - se nella sparatoria con la scorta si doveva mettere in conto che si attaccava una scorta composta da cinque uomini armati e che ci sarebbe stata una sparatoria. Se per caso venivano uccisi o feriti Moretti e Gallinari, cosa avreste fatto con Moro? Tutti avete risposto che non sapevate dove portarlo. Questo risulta dagli atti che ho letto.

FARANDA. Io volevo collocare nel tempo questa domanda e la risposta. Se non sbaglio, e almeno adesso ripensandoci, posso risalire ai motivi per i quali non abbiamo potuto dire nulla di più; non perché conoscessi il covo di via Montalcini, ma c'erano altre due persone, che erano Morucci e Seghetti se non erro, che dovevano arrivare fino all'ultimo appuntamento dove si trovava Germano Maccari. Noi a quei tempi non potevamo dire che c'era un quarto uomo che non partecipava a via Fani e che però conosceva benissimo la prigione di Moro.

GUALTIERI. Interrogate oggi altre due persone, avrebbero potuto dire che sapevano dove era il covo?

FARANDA. Non dove era il covo, ma conoscevano l'ultimo appuntamento ai Colli Portuensi, dove c'era Maccari; cioè, erano quattro le persone che potevano comunque portare Moro non alla prigione per conoscenza diretta, ma due sicuramente fino all'ultimo appuntamento con Maccari.

GUALTIERI. Dai tre processi principali risulta che solo due persone sapevano.

FARANDA. Certo, perché ancora non era stata ammessa l'esistenza del quarto uomo.

GUALTIERI. Poi sono scomparse delle fotografie scattate e la motocicletta; non è stato fatto mai alcun tentativo di recuperare uno dei componenti che era latitante all'estero. A me interessa...

PRESIDENTE. Mi scusi, senatore Gualtieri, se la interrompo in questo momento.

Lei effettivamente alla mia domanda se ci potesse essere qualcuno dei brigatisti che ha potuto utilizzare rapporti con il potere come ultima carta di salvezza, ha dato una risposta che ha una sua logica; ha detto che resta il fatto che alla fine tutti hanno pagato. Ora il senatore Gualtieri sta dicendo che c'è almeno una persona che non ha pagato, cioè Casimirri, che è uno dei nomi del commando di via Fani, che emerge con maggiore difficoltà dalla vostra memoria. Se non sbaglio, Lojacono e Casimirri sono i due nomi che inizialmente non sono emersi.

GUALTIERI. Uno stava in Svizzera.

PRESIDENTE. Vorrei sapere che ruolo aveva Casimirri nelle BR.

FARANDA. Casimirri era un irregolare e credo che non abbia mai avuto la possibilità di mettere le mani sul memoriale di Moro. E’ per questo motivo che non ci viene in mente rispetto ad una ipotesi del genere.

PRESIDENTE. Non avete mai riflettuto sul suo destino, che è diverso dal vostro? Dai nostri atti ci viene il sospetto che non sia stato ricercato con grande impegno.

FARANDA. E’ possibile, ma anche queste sono illazioni che lasciano il tempo che trovano finché non ho degli elementi per poter pensare ad altro.

PRESIDENTE. Per quale motivo vi rivolgevate ad un irregolare nel fare il commando? Come veniva selezionato il commando? Con persone dure, militari? Perché si utilizza Casimirri?

FARANDA. Diciamo che, nel progetto dell'azione di via Fani, la colonna romana doveva sopportare il maggior peso dal punto di vista organizzativo e da quello militare dei partecipanti all'azione. Se la colonna romana fosse stata in grado soltanto con forze regolari - se lei calcola che sono stati impiegati tutti i regolari di colonna, tranne me, proprio per garantire una continuità nel caso fosse avvenuta una catastrofe - di contribuire e, quindi, di risolvere tutti i problemi militari organizzativi, non sarebbero stati chiamati a partecipare i militanti di altre colonne. Però, l'esperienza complessiva, dal punto di vista militare, della colonna romana non era abbastanza alta da trovare un sufficiente numero di persone per coprire tutti i ruoli. Casimirri e Lojacono erano quelli che avevano maggiore esperienza tra gli irregolari della colonna romana, perché le azioni che erano state fatte erano ancora poche ed erano pochissime le persone che avevano avuto la possibilità di cimentarsi direttamente in azione con l'uso delle armi. Quindi, la scelta è stata anche di questo tipo: sicuramente è stata di capacità operativa già sperimentata.

PRESIDENTE. Da quale ambiente provenivano Casimirri e Lojacono? Dallo stesso o era diverso?

FARANDA. Provenivano da ambienti diversi. Lojacono aveva fatto parte di un gruppo armato, di un'organizzazione armata precedente, insieme a me e a Morucci, ed era stato in seguito reclutato direttamente da Valerio Morucci. Casimirri, invece, arrivava dall'ex brigata Primavalle, faceva parte di comitati autonomi - non ricordo esattamente quali -e successivamente era entrato a far parte della brigata del fronte della Contro; quindi, aveva già avuto un primo salto qualitativo dopo un'azione di ferimento ai danni di un democristiano che si chiamava Perlini, che era stata organizzata quasi interamente dalla brigata cui apparteneva Casimirri.

GUALTIERI. Mi fa piacere che il Presidente abbia introdotto questo, perché della prima parte dell'inchiesta giudiziaria m’interesso poco, innanzitutto perché non abbiamo le possibilità proprie dei magistrati o degli inquirenti di approfondire ulteriormente le parti mancanti e, in secondo luogo, perché personalmente condivido quello che ha detto all'inizio il Presidente. Sono uno di quelli che ritiene che le Brigate rosse non siano state eterodirette e che l'attacco a Moro sia stata un'operazione nata all'interno delle Brigate rosse; non credo assolutamente alle teorie del complotto su questa materia. Invece, credo che il problema che rimane a noi membri del Parlamento sia quello delle responsabilità storiche e politiche. Il problema è il seguente. Non capisco il motivo per il quale uno Stato come il nostro, inserito nel centro dell'Europa, per quindici anni si è tenuto un terrorismo così forte e così devastante, che oggi guardiamo con una certa ottica, e ha avuto dei momenti di reale pericolo, perché come tale veniva avvertito. I due terrorismi, sia il nero che il rosso, che non è vero che si annullavano l'un l'altro, che uno serviva a combattere I' altro; in realtà si sommavano, la pericolosità dei due era un pericolo doppio, non dimezzato. Dunque, ci siamo tenuti questo terrorismo per almeno 15 anni, con centinaia di morti, migliaia di feriti e molti attentati. Ciò che vogliamo sapere è come lo Stato abbia fronteggiato il terrorismo.

Le voglio fare alcune domande relativamente all'attacco a Moro. Moretti giunse a Roma nel 1975, l'anno successivo giunsero anche la Brioschi e Bonisoli, mentre la Balzerani, lei e Morucci vi trovavate già in questa città. E’ dunque dal 1975-76 che si forma il gruppo delle BR di Roma. Insisto su questo argomento perché recentemente un generale dei Carabinieri, addetto al terrorismo, ci è venuto a dire che nel momento più basso della pressione terroristica sul Nord, quando il terrorismo nel Nord era ridotto a 15 irregolari, a seguito degli arresti, si era perduta l'occasione di colpirlo definitivamente; poi gli è stato dato una specie di stop and go. C'è stato lo stop ed il terrorismo è sceso a Roma. Sempre lo stesso generale dei Carabinieri ci ha detto che il terrorismo rosso a Roma non interessava molto e che quando il suo gruppo segnalò la possibilità di un attentato ad una alta personalità dello Stato al centro di Roma, gli venne detto di tornarsene al Nord, perché era lì che si trovava il terrorismo. Lei ha fatto parte di quella struttura che a Roma ha cominciato a formarsi nel 1975-76. Esisteva la brigata Università, quella di Primavalle e quella di Centocelle. Che struttura aveva nell'anno precedente al rapimento di Moro il sistema delle BR a Roma? Ce lo può dire? Non eravate solo 10 regolari, c'era una struttura molto complessa che commetteva e aveva commesso un numero alto di attentanti, che non risultano tutti dai libri. Ripeto, ci può dire come era strutturata e che consistenza aveva la colonna romana?

FARANDA. All'inizio esisteva un grosso gruppo abbastanza informe del quale faceva parte anche la Balzerani. Con il mio ingresso e con quello di Valerio Morucci si decise che si poteva strutturare con maggiore discernimento il gruppo e che lo si poteva dividere per settori. Vennero quindi create le brigate di Torre Spaccata e quella dei servizi (così denominata non perché attinente ai servizi segreti, ma semplicemente perché si occupava di ATAC, Ferrovie ed Aeroporti). Da un altro troncone, legato soprattutto ad ex appartenenti a Potere Operaio, tra i quali Seghetti, vennero create la brigata Università, la brigata Primavalle e la brigata Centocelle. Il lavoro delle brigate portò all'arrivo di nuovi simpatizzanti che vennero inizialmente provati in lavori di volantinaggio, di distribuzione di materiale e indottrinati all'uopo. Dovevano poi superare un esame.

GUALTIERI. Signora Faranda, è in grado di dirci il numero dei componenti della colonna romana?

FARANDA. E’ difficile ricordare con esattezza il numero, comunque saremo stati complessivamente una cinquantina, anzi eravamo decisamente di meno. Esisteva poi ovviamente una fascia di simpatizzanti.

GUALTIERI. Signora Faranda, perché Moretti, Brioschi e Bonisoli vennero a Roma?

FARANDA. Vennero a Roma perché si erano resi conto che senza un intervento nel luogo della politica, nel luogo privilegiato del potere, sarebbe rimasta abbastanza monca la loro iniziativa politica nelle grandi fabbriche del Nord, la quale non poteva prescindere dalla centralità del potere rappresentata dalla città Roma.

GUALTIERI. Ci può dire qualcosa sul perché l'appartamento di Via Gradoli venne affittato mentre quello di Via Montalcini venne acquistato?

FARANDA. Si riteneva molto più sicura una casa di proprietà rispetto ad una in affitto, nella quale potevano esserci visite e controlli da parte del padrone di casa. In una casa di proprietà si potevano invece effettuare lavori senza che nessuno dicesse nulla, si poteva essere padroni della situazione.

GUALTIERI. Signora Faranda, alla vigilia del rapimento di Moro erano almeno 40 i componenti della colonna romana, dico bene?

FARANDA. No, ripensandoci bene, non arrivavamo a quel numero.

GUALTIERI. Si decise poi un intervento e si cominciò a spiare Andreotti, non è vero?

FARANDA. Sì, le prime ipotesi prendevano in considerazione sia Andreotti, sia Moro, sia Fanfani.

GUALTIERI. Signora Faranda, gli uomini politici da lei nominati vennero seguiti?

FARANDA. In realtà vennero rintracciate e poi messe sotto controllo solo le loro abitazioni. Un pedinamento di Andreotti vero e proprio, almeno mi pare, non fu mai fatto.

GUALTIERI. Chi decise di abbandonare gli obiettivi Andreotti e Fanfani e di concentrarsi invece su quello Moro? Ed in quale periodo?

FARANDA. La nostra attenzione si concentrò su Moro prima dell'estate del 1977, nel mese di giugno o di luglio, non ricordo esattamente. La scelta su Moro cadde per una serie di valutazioni.

GUALTIERI. Signora Faranda, l'affare Moro, ha coinvolto tutta la colonna?

FARANDA. No, assolutamente.

GUALTIERI. E quanti dei suoi componenti?

FARANDA. Coinvolge semplicemente i regolari della colonna più la brigata della Contro, formata da Casimirri, Algranati, Lojacono ed Etro. Spero di non essermi sbagliata, comunque dovrebbero essere solo loro.

GUALTIERI. Comunque non hanno pagato tutti.

FARANDA. .

GUALTIERI. La colonna in qualche modo è complice.

FARANDA. Lei si riferisce a Casimirri?

GUALTIERI. I 40, insomma, non sono stati tutti individuati.

FARANDA. Penso proprio di sì. Per quanto mi risulta sono stati tutti individuati e, tranne Casimirri e Algranati, sono stati anche tutti arrestati.

GUALTIERI. Sono stati individuati i 10 o i 12 dell'attacco ma tutta la colonna non è stata individuata.

FARANDA. Io ritengo proprio di sì, invece.

GUALTIERI. Dalle carte giudiziarie risulta di no.

FARANDA. La colonna non venne coinvolta nella sua globalità nell'inchiesta su Moro.

GUALTIERI. Avete fatto prima una ricognizione e poi avete proceduto ad un insediamento a Roma per fare un attacco importante. A Roma contemporaneamente facevate anche altri attentati e svolgevate altre attività; c'era uno scontro molto duro, soprattutto a livello universitario, con la parte nera. In quel momento c'era molta tensione a Roma. Quando le Brigate rosse stavano a Torino, a Genova, a Milano avevano una conoscenza quasi esatta della controparte, della polizia o dell'antiterrorismo che li braccava, tanto che chi faceva parte dell'antiterrorismo con Dalla Chiesa dormiva addirittura fuori casa con un nome falso per non farsi riconoscere, perché sapevano di essere a loro volta spiati. Che conoscenza avevate dell'antiterrorismo a Roma nel momento in cui preparavate l'attacco a Moro? Sapevate che c'era una struttura dell'antiterrorismo seria? Sapevate di dover incontrare delle resistenze? Oppure questo vi ha interessato poco? Avete preso precauzioni per conoscere l'antiterrorismo a Roma?

FARANDA. Il problema non è prendere precauzioni, il problema è la possibilità di avere notizie e informazioni sulle strutture dell'antiterrorismo. Noi non avevamo nessuna possibilità.

PRESIDENTE. Il senatore Gualtieri vuole sapere come valutavate la forza dell'avversario.

FARANDA. Noi pensavamo che fossero molto forti.

GUALTIERI. Sapevate chi comandava i reparti dell'antiterrorismo?

FARANDA. No, noi avevamo seguito dalle notizie sui giornali quale era stata la ristrutturazione dei servizi e tutta l'evoluzione quindi dell'apparato.

GUALTIERI. Nei 55 giorni del rapimento aveste la sensazione di avere il fiato di qualcuno sul collo oppure no?

FARANDA. Noi avevamo sempre l'impressione di avere il fiato sul collo e prendevamo sempre delle incredibili precauzioni. Prima di recarci ad un appuntamento facevamo degli assurdi percorsi antipedinamento, controllavamo le persone che dovevano incontrarsi con noi; si erano praticamente paralizzati i contatti con le brigate che erano filtrati da intermediari. In altre parole, si era messa in atto una serie di precauzioni dovute proprio alla nostra convinzione che in quel momento muoversi era estremamente pericoloso e che avevamo il fiato sul collo.

PRESIDENTE. Sulla base della sua ultima risposta, che cosa vi faceva sicuri e tranquilli che i socialisti non avessero un soprassalto istituzionale e informassero la magistratura o la polizia che tramite il canale Piperno-Pace erano riusciti ad entrare in contatto diretto con le Brigate rosse e che quindi, per esempio, ci potesse essere un pedinamento di Pace?

FARANDA. Assolutamente nulla ci dava questa sicurezza e infatti era una sicurezza che non avevamo. Ogni volta noi controllavamo Lanfranco Pace: quando arrivava agli appuntamenti Lanfranco era costretto a fare dei percorsi in cui osservavamo se per caso era pedinato. Potevamo sbagliarci, ma era la nostra unica possibilità di salvaguardarci. Noi mettevamo sempre in conto che Lanfranco potesse essere seguito, non potevamo avere alcuna certezza. Questa cosa ci esponeva a un gran rischio ma l'importanza di quello che c'era in ballo dava sicuramente una buona motivazione per correre questo rischio.

GUALTIERI. Lei dice noi. Era lei e …

FARANDA. Mi riferisco a Morucci perché io e lui insieme incontravamo…

GUALTIERI. Perché Moretti non partecipava?

FARANDA. No.

PRESIDENTE. Però sapeva che vi erano questi incontri. Moretti era informato di questo rapporto con Pace.

FARANDA. Moretti era informato. Io e Morucci facevamo questi controlli, le prime volte aiutati da altri. Nei primi incontri, se non sbaglio, nei controlli da fare a Lanfranco Pace quanto meno, eravamo stati coadiuvati da Seghetti, non mi ricordo bene, dalla Balzerani. Eravamo state in più persone ad effettuare questo tipo di indagine su Pace.

SARACENI. Vi fidavate di Pace?

FARANDA. Noi non ci fidavamo di nessuno.

SARACENI. Avevate ragioni specifiche per non fidarvi?

FARANDA. No, assolutamente. Però pensavamo che era più che plausibile che questa notizia degli incontri di Pace con noi potesse essere riferita a qualcuno che avrebbe disposto dei controlli.

SARACENI. Lei ha detto una cosa molto puntuale che costituisce, sembra, una novità. Lei ha detto: "Sapevamo che il famoso 9 maggio al Consiglio nazionale della DC Fanfani avrebbe rotto il fronte della fermezza".

FARANDA. Forse ho enfatizzato un poco, però avrebbe fatto delle dichiarazioni che avrebbero incrinato quanto meno le sue posizioni precedenti.

SARACENI. E’ certa del fatto che lo sapevate o sovrappone i ricordi? Finora infatti è stato sempre detto che, invece, non sapevate affatto che il 9 maggio Fanfani avrebbe preso la parola o dato un segnale. E’ certa di non sovrapporre i ricordi o che non si tratti di una acquisizione successiva che lei retrodata nella memoria?

FARANDA. E’ possibile, a volte ci sono questi scherzi.

SARACENI. Perché questo cambierebbe molto lo scenario. Voi cercavate una via d'uscita; qui abbiamo sentito che c'era una gran voglia di non ammazzare Moro alla fine, anche per quelle ragioni umane che lei ha detto. Quello sarebbe stato uno spiraglio che avrebbe riaperto abbastanza il quadro. La puntuale notizia che Fanfani avrebbe rotto il fronte della fermezza sarebbe stata, credo, una ragione più che sufficiente per rinviare la conclusione di un giorno.

FARANDA. Io non sono assolutamente certa di non sovrapporre i ricordi, come dice lei, perché questi scherzi a volte possono avvenire. Ricordo però che si fece il nome di Fanfani come l'esponente democristiano che probabilmente aveva l'intenzione di fare dei passi di apertura nei nostri confronti, o lui direttamente o tramite gli esponenti della sua corrente, i suoi uomini più vicini. Questo lo ricordo con certezza.

SARACENI. In quello che si diceva, si scriveva, si sapeva si puntava eventualmente su Fanfani, l'unica persona sulla quale si riteneva di poter contare. Questo non lo sapevate pure voi?

FARANDA. Più che una deduzione dalla lettura degli articoli di giornale questa era una cosa che ci era stata detta da Lanfranco Pace, per i colloqui avuti con gli esponenti del Partito socialista, che a loro volta riferivano a loro: che comunque era Fanfani quello che nella DC avrebbe potuto effettuare questa operazione, portare a questa svolta, a questa possibilità di apertura.

SARACENI. Mi pare di ricordare, anche se non saprei indicare la fonte, che invece Pace sostiene di averne addirittura parlato con Gallinari in carcere, ma Gallinari afferma che non lo aveva mai saputo.

FARANDA. Gallinari si trovava a via Montalcini. Io non posso sapere quanto Moretti riportava a tutti gli altri dei colloqui che aveva con noi.

SARACENI. Quindi, è possibile che l'abbiate saputo lei e Morucci e non Gallinari e Moretti.

FARANDA. Moretti sicuramente sì, perché nessuna cosa che ci veniva riferita da Pace gli è stata taciuta. Assolutamente. Però, io non vedevo Gallinari dai giorni precedenti al rapimento.

SARACENI. Mi scusi, sicuramente mi rendo conto di queste difficoltà, ma in quel contesto se aveste saputo che il giorno 9 maggio Fanfani avrebbe rotto il fronte della fermezza, questa era una notizia da portare con urgenza ai carcerieri di Moro.

FARANDA. Nel momento in cui era stata riferita a Moretti, era già arrivata alla prigione di Moro.

SARACENI. Forse ho detto Moretti ma intendevo riferirmi a Morucci. Salvo il fatto che non sovrapponga i ricordi...

FARANDA. E’ sempre possibile!

SARACENI. ...lei dice: mi pare che avevamo saputo che Fanfani avrebbe rotto il fronte la mattina del 9 maggio nel Consiglio nazionale della Dc.

FARANDA. Le ripeto che l'espressione "avrebbe rotto il fronte" è stata enfatizzata e forse è troppo drastica; però, sapevamo che avrebbe dato cenni di apertura.

SARACENI. Che era quello che cercavate!

FARANDA. Questa cosa l'avevamo saputa almeno un paio di giorni prima ed era stata immediatamente riferita a Moretti. Il giorno precedente il 9 maggio vi furono degli interventi di esponenti democristiani vicini a Fanfani che non diedero assolutamente l'impressione che questa cosa sarebbe realmente avvenuta, e questo ci scoraggiò. Affermo "ci scoraggiò" anche se avevo una posizione del tutto particolare, ma parlo dell'insieme dei compagni che comunque ruotavano intorno a me.

PRESIDENTE. Questo determinò in Moretti...

FARANDA. Uno scoramento, la convinzione che ancora una volta si trattava di una presa in giro, un prendere tempo, e non ci fu da parte loro nessuna possibilità di dare ancora fiducia.

SARACENI. Questo ci consente di introdurre il tema della famosa questione della trattativa. Secondo lei, anche con il senno del poi - perché quando si ricostruiscono i fatti ci si avvale naturalmente anche di quest'ultimo - la trattativa nel modo in cui ebbe un abbozzo avrebbe potuto salvare Moro?

FARANDA. Credo proprio di sì, anzi ne ho l'assoluta certezza.

SARACENI. E avrebbe consentito alle Brigate rosse di consolidarsi di molto, di continuare nella loro attività omicida? Sarebbero stati maggiori i lutti?

FARANDA. E’ così difficile rispondere a questa domanda.

SARACENI. Mi rendo conto.

FARANDA. Ho una mia personale convinzione, che però può essere anche assurda.

SARACENI. Non può darci che la sua opinione.

FARANDA. Credo che i lutti non sarebbero stati assolutamente superiori in caso di un'apertura della trattativa e del rilascio dell'onorevole Moro vivo, perché credo che le Brigate rosse ebbero anzi un incattivimento dopo il tragico esito di quella vicenda.

PRESIDENTE. E’ la stessa valutazione che ci ha dato Morucci.

SARACENI. Sì. A voi bastava questo famoso riconoscimento? Cosa vi sarebbe stato sufficiente per non uccidere Moro?

FARANDA. Ritengo che una dichiarazione che anche semplicemente prendesse in esame un'ipotesi di scambio, magari senza poi materialmente arrivarci, avrebbe implicitamente significato un riconoscimento politico e quindi non un'identificazione delle BR in criminali comuni ma in una forza politica comunque rappresentativa di una frangia che ritenevamo ampia e che poteva essere estremamente esigua, comunque di disagio e di contraddizione sociale.

SARACENI. Anch'io sono convinto come il senatore Gualtieri che le Brigate rosse furono un autentico fenomeno che nacque a sinistra e non ebbe eterodirezioni; credo anche che sia abbastanza chiaro ciò che è accaduto. Forse resterà qualche zona d'ombra, ma già quando si ricostruisce un fatto specifico a volte restano degli aspetti non chiarissimi; immaginiamoci quando ricostruiamo un fenomeno intero! Questa è la mia personale convinzione. Tuttavia, mi riesce difficile comprendere un fatto. Un fenomeno come le Brigate rosse o come il terrorismo rappresenta un terreno elementare per le infiltrazioni da parte di apparati di polizia che si rispettino. Il gruppo di Valpreda nel 69, che erano quattro ragazzi di un circolo anarchico, aveva come infiltrato un uomo dei Servizi: il famoso studente Andrea. Si trattava di un gruppo di ragazzi che la sera avevano difficoltà a mettere insieme i soldi per la pizza. Vi sono stati dei tentativi, a suo giudizio, almeno di infiltrazione? Vi sono state effettive infiltrazioni? E se non vi sono state, a cosa è attribuibile la non sperimentazione di un metodo tradizionale da una parte e doveroso per gli apparati di polizia dall'altra?

FARANDA. A parte i vecchi episodi del gruppo di Franceschini, Curcio...

SARACENI. E di Frate mitra!

FARANDA. ...e di Frate mitra (Girotto), eccetera non ho toccato con mano e non ho potuto verificare questo che lei dice.

SARACENI. Ve lo ponevate il problema?

FARANDA. Certamente, perché ritenevamo inevitabile un tentativo di infiltrazione. Lo credevamo ovvio, per cui le nostre misure tendenti ad arginare perlomeno questo pericolo erano la massima compartimentazione, in modo che, comunque, nel caso si fosse verificata un'infiltrazione essa non avrebbe potuto ricondurre altro che ad un "luogo" periferico, e un accuratissimo controllo sulle persone che entravano, anche soltanto come "irregolari", nelle Br: quindi, un controllo sulla loro vita, sul loro passato, sulla loro esperienza e sulla loro affidabilità politica.

SARACENI. Quindi, lei è convinta che siete rimasti indenni da infiltrazioni?

FARANDA. Non ho prove contrarie, ma non posso essere convinta al cento per cento di essere rimasti immuni.

SARACENI. Non ci sono state scoperte in questo senso né durante né dopo?

FARANDA. No.

SARACENI. Un'ultimissima domanda. Secondo lei, quale parte della legislazione d'emergenza, che a mio avviso ha fornito certamente un contributo sotto l'aspetto repressivo, ha contribuito a sconfiggere il terrorismo e le Brigate rosse? Quale avrebbe potuto essere omessa o addirittura è stata controproducente? Questo sul piano strettamente repressivo. Non so se questa è una riflessione che le è capitato di fare.

PRESIDENTE. La domanda mi sembra un po' singolare.

FARANDA. Potreste assumermi come consulente futura? (Ridendo). E’ imbarazzante.

SARACENI. Comprendo, però a volte le esperienze di vita rappresentano la base migliore per il futuro.

FARANDA. Sicuramente. Diciamo che lì per lì la legislazione d'emergenza ci ha creato dei grandi disagi, contemporaneamente però - faccio il primo esempio che mi viene in mente - la denuncia degli affitti ci fornì invece paradossalmente la possibilità di farci un'altra cerchia di simpatizzanti, che erano i cosiddetti "prestanome". Sono meccanismi strani, per cui da una parte ci mettevano con le spalle al muro, dall'altra ci consentivano - se vogliamo - di radicarci in modo diverso dentro il sociale. C'è sempre un doppio risvolto nelle cose.

SARACENI. A suo avviso, sul piano strettamente politico tra i vari fattori di quel contesto quali hanno agevolato, consolidato, fatto crescere e invece quali hanno ostacolato la famosa questione del compromesso storico come chiusura del quadro politico? Questa è una delle tesi.

FARANDA. Mi perdoni, ma non sono più abituata allo stress delle domande prolungate. E quindi ad un certo punto vado in tilt.

SARACENI. E’ ovvio che il terrorismo delle Brigate rosse sia stato un fenomeno politico.

FARANDA. Non sono ancora abituata a sentirmelo dire; mi scusi la battuta.

SARACENI. Naturalmente dandogli questa qualificazione non intendo assolutamente nobilitarlo, anzi. Personalmente mi colloco a sinistra e lo ero anche in quegli anni: ritengo che il terrorismo sia stato uno dei più grossi danni per la Sinistra. Credo che, a parte le persone offese fisicamente, la parte politica maggiormente offesa, quella che ha subito più danni dal terrorismo sia stata la Sinistra. A parte queste valutazioni, il quadro politico di allora nasce in un determinato contesto. Nelle vostre analisi (non nei deliri, nelle analisi)...

FARANDA. Che erano comunque deliranti. E’ difficile fare una distinzione.

SARACENI. …qual era l'addebito che si faceva alla Sinistra per cui non appariva più praticabile la via del rapporto con le masse, con le lotte sociali? Quando c'è stato il salto? Qual era la matrice di questa scelta politica? Anzi, se ce lo vuol dire, come è venuto in mente a lei di impugnare le armi? Glielo chiedo per capire come mai una persona come lei e come tanti altri abbia potuto pensare che quella era la via politica per la soluzione del caso italiano.

FARANDA. Per rispondere a quest'ultima domanda si deve tener conto di tanti fattori, tra i quali l'età, che porta inevitabilmente ad una superficialità nell'analisi, ad una irruenza, all'impazienza di vedere mutamenti concreti. C'era invece la sensazione forte che il Partito comunista italiano avesse abdicato a questo suo ruolo di trasformazione. Sicuramente, anche se - ripeto - non fu il compromesso storico in sé e quindi la strategia promossa da Moro il motivo primo della scelta dello stesso Moro come obiettivo del sequestro, si trattava di una politica che spingeva secondo noi la Sinistra, il partito operaio, da noi sempre riconosciuto come tale, dentro un cul de sac, come ci insegnava l'esperienza del Centro-Sinistra che non aveva portato alcun significativo mutamento ed aveva invece paralizzato il Partito socialista in una morsa. Come dimostrava la composizione del Governo che si presentava alle Camere il 16 marzo, la lista dei Ministri proposta al Partito comunista. Vedevamo in tutto ciò una manovra di assorbimento dell'antagonismo operaio ed in genere sociale, come lo spegnimento delle tensioni, di tutti gli stimoli di trasformazione e di mutamento. E rimproveravamo al Partito comunista di lasciarsi intrappolare in questo gioco perverso nel quale loro non avrebbero avuto effettivamente voce in capitolo e sarebbero rimasti succubi di questa sorta di, essa sì, tela di ragno.

DE LUCA Athos. Perché ha accettato di partecipare all'invito che le abbiamo rivolto per questa audizione? Pensava di dirci delle cose nuove? No, perché ha sostenuto di aver già detto tutto. Lo ha fatto per un dovere istituzionale? Di cittadino? Per un momento di protagonismo? O per quale altra ragione?

FARANDA. Escluderei subito l'ultima ipotesi, visto che le manie di protagonismo hanno senso in quanto poi si conti di finire sulle prime pagine dei giornali. Poiché non ho delle rivelazioni da fare, il mio intervento qui stasera rimarrà del tutto inosservato. Sono venuta per una mia disponibilità comunque a rispondere alle domande che, se non portano elementi nuovi, mi auguro possano far comprendere un po’ meglio la dinamica di quanto è successo, la mentalità ed il pensiero che ci caratterizzavano. Pensavo che, comunque, visto che era stato chiesto il mio intervento, non avevo alcun motivo di sottrarmi a questo tipo di richiesta di confronto.

DE LUCA Athos. Sente ancora di avere appartenenza a quella storia, a quei compagni a quella situazione oppure no?

FARANDA. Chiaramente no. Ho creduto di non avere più appartenenza nel momento in cui ho rotto i miei rapporti con le Brigate rosse. Ciò non significa che tutto quello non faccia parte della mia storia, del mio vissuto e che comunque faccia parte della mia vita.

DE LUCA Athos. Recentemente da più parti è stata avanzata l'ipotesi che i tempi fossero maturi per un indulto, per chiudere un capitolo di storia, quello degli anni di piombo, per una riconciliazione generazionale. Si è parlato di un indulto soprattutto per i reati di banda armata e per gli altri reati associativi coniati in quegli anni. Da alcune parti ci si è opposti a questa ipotesi con l'argomento che da parte delle Brigate rosse vi fosse ancora a tutt'oggi reticenza. In altre parole, alcuni sono convinti che voi non abbiate detto tutto quel che sapete. Poco fa il senatore Gualtieri accennava ad alcune forti contraddizioni. La logica di questa tesi è: perché dobbiamo premiare in qualche modo chi non ha collaborato con lo Stato per ricostruire tutta la verità, chi non ha contribuito in pieno alla ricerca della verità? Cosa ne pensa lei di questa tesi? E’ fondata o falsa?

FARANDA. Credo che ci siano due piani di riflessione. Il primo probabilmente non mi compete e quindi lo enuncio soltanto: ritengo che l'indulto sia una soluzione politica e che dipenda quindi più da una riflessione sul periodo storico che non da un riconoscimento accurato dei singoli avvenimenti. Per quanto riguarda invece la ricostruzione dei fatti credo che, al di là di alcuni particolari che sinceramente non so quanto possano essere essenziali ad una ricostruzione storica, si sappia già tutto. L'ultimo grande buco nero era quello relativo al quarto uomo: era un aspetto che poteva dare adito effettivamente ad illazioni, a congetture, ad ipotesi preoccupanti nella ricostruzione dei fatti, ma è stato chiarito.

DE LUCA Athos. Comunque io mi riferivo al fatto che, al di là della quantità delle informazioni e dei particolari che si possono dare (poi non spetta a chi fornisce le informazioni dire se quel particolare è rilevante o meno), il principio della posizione che le ho descritto nasce da un giudizio morale, etico; cioè - si dice - noi riteniamo meritevoli di questo indulto coloro che, con animo sgombro e con piena fiducia nello Stato, dicono tutto, senza alcuna reticenza. Comunque lei mi ha risposto. C'è un'altra cosa che volevo dirle. Noi abbiamo ascoltato nel corso delle nostre audizioni - credo che anche i colleghi siano convinti di questo - una serie di persone che operativamente sono state chiamate dallo Stato a contribuire a sgominare le Brigate rosse. Da alcuni autorevoli personaggi di questa organizzazione che doveva fronteggiare le Brigate rosse ci sono stati forniti alcuni elementi che ci hanno posto degli interrogativi. E' sorto cioè il dubbio che in effetti questa organizzazione che doveva sconfiggere le Brigate rosse, specialmente nella vicenda romana, in particolare nel caso Moro, era non dico una sorta di "armata Brancaleone", ma comunque una struttura molto disorganizzata. Mi riferisco al comitato che era stato costituito e a tutte le vicende che sono state all'attenzione della cronaca. Pertanto alcuni in questo ravvisano l'ipotesi che in realtà, con le infiltrazioni dei Servizi ed altre interferenze, questa disorganizzazione non fosse casuale, ma che vi fosse qualcuno che aveva interesse a lasciarvi operare, perché in qualche modo poi il vostro disegno era funzionale ad altre cose. Voi avete mai avuto la sensazione, magari alla fine di qualche operazione, che, al di là di tutte le precauzioni che voi prendevate, e che lei ci ha confermato, che quelli che avevate davanti non fossero poi così tanto organizzati? Avete avuto questa sensazione, per esempio, durante la fase cruciale della vicenda romana?

FARANDA. Sì, a volte avevamo questa sensazione, perché in realtà ci aspettavamo delle misure più incisive, un funzionamento più incisivo dell'antiterrorismo; però è lo stesso stupore, se vogliamo, che abbiamo avuto quando abbiamo saputo che gli agenti di scorta dell'onorevole Moro non avevano il mitra in mano, cioè la stessa sensazione. Abbiamo provato un po’ di sbigottimento, però calcolavamo anche la possibilità che lo Stato non si aspettasse un'operazione di questa portata e che quindi fosse oggettivamente impreparato. Questo però non ci tranquillizzava, nel senso che noi continuavamo in ogni caso a comportarci come se di fronte ci fosse un apparato di antiterrorismo perfettamente efficiente. Poi magari ci rendevamo conto che era possibile attraversare Roma senza incontrare un blocco, se solo si conosceva un po’ il territorio, se si evitavano alcune strade scontate per i blocchi; si poteva capire perfettamente cioè come si poteva evitare qualunque intoppo, conoscendo - ripeto - il territorio ed evitando alcuni luoghi sottoposti abbastanza naturalmente ai blocchi.

PRESIDENTE. Però, per esperienza diretta, posso dire che si entrava ed usciva da Roma con una grande facilità. Personalmente in quei 55 giorni sarò venuto a Roma almeno due volte in macchina e non mi ha mai fermato nessuno.

FARANDA. Sarebbe stato però anche impensabile un filtro che non lasciasse passare nulla; si sarebbe paralizzata l'Italia; questa cosa era inattuabile, proprio da un punto di vista pratico, pena una paralisi di tutto, dalle attività produttive agli spostamenti...

PRESIDENTE. A questo proposito un uomo politico intelligente parlò di "interventi di parata": proprio perché non si potevano fare fino in fondo, non valeva proprio la pena farli. Si potevano fare altre attività.

FARANDA. Però ci si poteva incappare casualmente, e quindi occorreva comunque una buona conoscenza del territorio ed una intuizione su dove i blocchi sarebbero stati attuati.

DE LUCA Athos. Voglio tornare su un argomento già sfiorato da altri colleghi. Al di là ora della sovrapposizione dei ricordi, per cui lei potrebbe attribuire informazioni sulle intercessioni di Fanfani anche a fatti posteriori, sembra comunque di capire, anche da quello che lei ci dice questa sera, che una aspettativa intorno a Fanfani rispetto ad un qualche avvenimento che doveva verificarsi c'era. Lei però ha anche detto che eravate disillusi perché le cose andavano avanti da molto tempo, che avevate anche un certo disappunto, la sensazione che vi prendessero in giro (ha ripetuto più di una volta questo concetto), per cui questo ha portato fatalmente alla decisione di uccidere Moro, laddove - secondo la sua interpretazione - si era instaurata una spirale infernale per cui voi volevate un cenno di legittimazione dallo Stato, lo Stato non lo forniva e voi vi eravate persuasi che, se non ci fosse stata questa legittimazione, sareste usciti sconfitti da questa vicenda, senza alcun risultato. Se questo è il contesto, appare singolare - almeno dal mio osservatorio - che, avendo atteso tanto tempo, di fronte ad una prospettiva, anche se non concreta, ma che comunque aveva una scadenza, non si fosse avuta la lucidità, o comunque l'intelligenza, di attendere ancora. Da qui deriva un'altra domanda di natura più politica: voi, o meglio lei - dato che appunto non presupponiamo che possa interpretare anche il pensiero degli altri a distanza di tanto tempo - pensa che questa ostinazione o comunque questa decisione dello Stato a non darvi alcun cenno di legittimazione in quel momento fosse rappresentata dal Partito comunista di allora, che aveva ingaggiato una inconfessabile, o comunque inconfessata, competizione storica con voi, in quanto vi vedeva - come dire - come i traditori, per cui vi era un braccio di ferro con voi, e questa era la chiave che poi ha portato lo Stato a quel comportamento, o altresì che questo scontro era con la DC, con i partiti in generale e che quindi questo atteggiamento era condiviso da tutti?

FARANDA. Rispetto alla prima parte della domanda, vorrei ricordare che questa decisione di uccidere l'onorevole Moro era già stata presa dall'esecutivo ed era una decisione vincolante. Questo non lo possiamo dimenticare, anche analizzando poi l'atteggiamento di Moretti che era incaricato di portare a termine l'esecuzione di questa decisione. Moretti ha tergiversato fino a quando ha potuto, però anche lui doveva rispondere agli altri del suo operato; si era già assunto la responsabilità di aspettare; e probabilmente, se nel discorso di Bartolomei ci fosse stata qualche avvisaglia di apertura, Moretti avrebbe ancora aspettato. Però le Brigate rosse non erano Moretti, ma l'esecutivo e le altre colonne che aspettavano di vedere attuato quello che era stato deciso; e quindi Moretti più di tanto non poteva assumersi da solo questa responsabilità. Mi è poi anche difficile parlare in questi termini di questo problema, perché appunto io avevo un'opinione del tutto differente su come si sarebbe dovuto concludere il sequestro Moro. Quindi mi riesce anche faticoso ricorrere al plurale quando si parla di queste cose. Io ero delusa dalla mancata apertura per il semplice motivo che sapevo che quindi non si sarebbe più potuto aspettare; ed avevo verificato con mano che qualunque altra ipotesi per quanto riguardava le BR ed il loro atteggiamento era ormai impraticabile, cioè la scelta di liberare comunque Moro. Per quanto riguarda la fermezza sono sicuramente convinta che l'atteggiamento del PCI abbia influito non poco. Non so quali fossero le esatte motivazioni: dovrebbero dirle loro; non posso io interpretare il pensiero degli esponenti del PCI. Sicuramente avevano degli enormi problemi ad ammettere che potesse esistere alla loro sinistra una forza che diceva di avere le loro matrici ideologiche e che praticava la lotta con le armi: ciò mi pare banale. Quanto la Dc avesse bisogno dell'appoggio del PCI e quanto in quella circostanza fosse così essenziale, non lo so dire. Anche perché quell'ipotesi di sostegno al governo era comunque una cosa provvisoria, intesa e prevista come provvisoria. Il potere si era sempre mosso a tappe successive, anche tattiche. Non credo che fosse essenziale in quel momento e non credo neanche che forse il PCI avrebbe creato una crisi in quel momento. Si tratta di valutazioni che non sono in grado di dare. Ritengo però che a livello istituzionale un margine di apertura ci potesse essere senza troppi danni per il paese. Inoltre sono convinta che non sia stata la fermezza a salvare la Repubblica bensì la tragica conclusione del processo Moro da parte delle Brigate Rosse: cioè l'esecuzione dell'onorevole Moro. Questo è stato il fatto che paradossalmente ha potuto tenere insieme ed in piedi tutto quello che c'era a livello istituzionale.

PRESIDENTE. Vorrei che rimanesse agli atti la mia valutazione. Ero e sono tuttora convinto che la fermezza era l'unico atteggiamento istituzionalmente corretto. In via Fani c'era stata una strage: uno stato democratico non tratta con gli stragisti, a nessun costo. Probabilmente condivido quello che lei afferma sulla seconda parte: se aveste unilateralmente liberato Moro l'effetto sarebbe stato devastante per il quadro politico. Ma è anche vero quello che dice Moretti e cioè che sarebbe stato insieme devastante anche per le Brigate Rosse. Sarebbe stata una soluzione incongrua per quelli che erano i presupposti politici delle Brigate rosse le quali avevano una loro ideologia, un loro codice. La conseguenza, quasi meccanicisticamente dovuta, era la condanna e l'esecuzione dell'ostaggio.

FARANDA. Sì, è vero dal punto di vista meccanico. Su ciò mi permetto di dissentire perché sono convinta che comunque questa specularietà con il potere, con questi meccanismi quasi automatici, fosse il limite maggiore della proposta che veniva fatta da chi si diceva rivoluzionario come noi. Credo che era proprio nella diversità, nel sovvertimento di questo meccanicismo, che poteva esserci una proposta innovativa da parte nostra. Era nell'affermazione che comunque, davanti ad uno Stato che aveva detto tra salvare la Repubblica od una vita è meglio salvare la Repubblica, dovevamo essere differenti. Forse questo non avrebbe fatto vincere la lotta armata, anzi ne sono convinta: la lotta armata sarebbe finita comunque perché era improponibile in una società come quella italiana ma forse si sarebbe salvata una vita e le Brigate rosse ne sarebbero uscite in maniera diversa quanto meno come immagine.

PRESIDENTE. Però come Brigate rosse sarebbero finite lo stesso. Sarebbero emersi altri leader, altri movimenti.

FARANDA. Sì, sarebbero finite lo stesso. Sono perfettamente convinta che la lotta armata in Italia era fallimentare fin dall'inizio ma non per questo motivo.

STANISCIA. Volevo rivolgere una domanda alla signora Faranda. I brigatisti che parteciparono all'operazione Moro come si addestrarono all'uso delle armi, alla logistica, al vivere in clandestinità? Ritengo infatti che per fare un'operazione di quel tipo - se ammettiamo che i brigatisti hanno agito da soli - ci vuole un addestramento militare. Dove lo avevano fatto?

FARANDA. Lo abbiamo già detto e risulta in tutti gli atti dei processi nelle nostre deposizioni. Il nostro addestramento era sempre stato estremamente avventuroso, molto poco scientifico, abbastanza approssimativo, portato avanti da ciascuna delle colonne nei luoghi che si trovavano nelle vicinanze della diverse città. Erano stati episodici, non continuativi, anche perché era convinzione delle Brigate rosse che la capacità di usare un'arma non era tanto un presupposto tecnico ma piuttosto di volontà soggettiva, di determinazione, di convinzione che si metteva nel proprio operato, nelle proprie azioni. Ciò avrebbe supplito, secondo l'organizzazione, alle carenze tecniche.

STANISCIA. Lei spesso ripete "per quello che so". Pensa di non sapere tutto, che altri brigatisti non abbiano ancora detto tutto o che lei non lo sa oppure è solo un modo di dire?

FARANDA. Non credo che qualcuno non abbia ancora detto cose di vitale importanza. Però ci sono particolari che non sono di mia conoscenza rispetto alla vicenda Moro. Per esempio, quanto prima si diceva rispetto agli atteggiamenti di Moro, al fatto che ci metteva delle ore a dare delle risposte: sono particolari assolutamente inediti per me. Non posso dire di sapere tutto quanto si è svolto in Via Montalcini o tutto quello che è stato discusso all'interno dell'esecutivo o la posizione dei singoli componenti delle altre colonne. Mi rimane l'interrogativo su quanti effettivamente nella consultazione sull'opportunità o meno di uccidere Moro si sono dichiarati a favore: non ho mai saputo quanti nelle singole colonne. Non mi è stato mai detto da nessuno: ho saputo che a maggioranza era passata questa decisione ma non so quanti nelle singole colonne si sono espressi in tal senso. Sono particolari che non sono a mia conoscenza e proprio per ciò dico sempre "per quello che so". Questo vale come mille altri: non so dove è stato bruciato l'originale del memoriale di Moro, non so dove è stato tenuto, non so dove si riuniva l'esecutivo a Firenze: sono tante le cose che non so. Come è ovvio, perché esisteva appunto la compartimentazione che evitava che un solo militante potesse poi essere a conoscenza di tutto.

PRESIDENTE. Secondo lei, perché non le dicono queste cose? Indubbiamente c'è chi sa.

FARANDA. Non è che non dicono queste cose, ma sono persone che non hanno accettato di parlare; parlano praticamente di nulla, tranne che di politica. Quindi, non è che si rifiutano di dire una singola cosa od un’altra; non hanno mai deposto nei processi e non sono venuti in questa Commissione a rispondere.

PRESIDENTE. Però, vanno in televisione a parlare di sentimenti e, quindi, non solo di politica, se mi è consentito un commento alla trasmissione di ieri.

FARANDA. Sì, però - se ci fa caso - non rispondono a domande dirette e soprattutto a quelle che possono coinvolgere altre persone, e questo come costume che è stato anche nostro. Infatti, per anni tutte le lacune, che voi vedevate come grosse lacune intese a nascondere qualcosa, erano per noi solo remore all'idea di provocare una condanna nei confronti di persone non ancora accusate di determinati fatti, come Lojacono e Casimirri.

PRESIDENTE. Quindi, è solo la preoccupazione di poter coinvolgere altre persone?

FARANDA. Credo proprio di sì, se questa cosa ancora esiste, perché non so se c'è ancora qualcuno che non è stato individuato.

PRESIDENTE. Lei ha fatto una serie di domande che danno ragione al senatore Gualtieri. Ha detto una serie di cose che non sa - il problema è che non le sappiamo neanche noi - e che non fanno parte della verità ufficiale né processuale, né parlamentare, né storiografica, né memorialistica. Ha numerato una serie di punti che restano tutti oscuri. Capisco che qualcuno dice che con i giudici non parla o non crede nella democrazia parlamentare - pertanto, non parla nelle Commissioni d'inchiesta - però, per scrivere un memoriale, una certa cosa la spiega. Si può leggere il suo libro, quello di Moretti, un po' tutta la bibliografia ormai sterminata su questo fenomeno e sono passati vent'anni, ma dove si riuniva a Firenze il comitato esecutivo delle Brigate rosse non ce lo dice né Moretti, né Bonisoli, né Azzolini e nemmeno gli altri, che indubbiamente non si incontravano alla stazione.

STANISCIA. Questo intervento del Presidente, in effetti, mi risparmia di rivolgere una domanda. Tuttavia, vorrei fame un'altra. Ho avuto modo di combattere contro il terrorismo di altro tipo in Alto Adige per cinque-sei anni e in quell'occasione sono arrivato alla conclusione - mi sembra poi che sia storia - che i terroristi possono vincere se hanno la collaborazione dei cittadini - lì l'avevano - e di forze esterne, che lì c'erano. Lei pensa proprio che i quattordici o venti - come si diceva prima con il senatore Gualtieri - brigatisti di Roma possono aver fatto l'operazione, per sequestrare Moro, senza addestramento militare? Io so quanto sia difficile colpire alcuni e non altri, senza...

FARANDA. A quella distanza e con il fatto che due persone stavano sul sedile anteriore ed una sul sedile posteriore, non è così difficile. Pur avendo usato pochissimo le armi, sono stata incaricata di ferimenti e sono riuscita a ferire una persona alle gambe senza mandare i colpi accanto. Era la stessa distanza.

STANISCIA. Quando ho appreso l'uso delle armi e combattevo contro il terrorismo, più o meno all'età vostra, a quell'epoca, era per me molto, ma molto difficile usare il mitra, la pistola, il mitragliatore, soprattutto quando si faceva addestramento. Che si possa fare un'operazione militare del tipo di quella di via Fani, con un addestramento così improvvisato, perché c'è la volontà e la determinazione, mi rimane difficile da capire. Questo può essere, ma - ripeto - in base alla mia esperienza mi rimane parecchio difficile da capire. Comunque, dicevo che con questo addestramento si è fatta quell'operazione militare così precisa; si è sequestrato un uomo della statura di Aldo Moro e la vicenda si è conclusa come tutti sappiamo; è convinta e ci dice che questa è opera dei venti brigatisti della colonna romana? E’ una domanda che hanno fatto anche gli altri colleghi, ma volevo riportarla alla stessa domanda.

FARANDA. Sono perfettamente convinta che è stata compiuta soltanto dai militanti delle Brigate rosse. Ci sono state delle imperfezioni nell'azione; non c'è stato quel quadro di perfetta efficienza come si è probabilmente mitizzato. Forse posso essere provocatoria, ma all'epoca probabilmente si è anche enfatizzata questa potenza militare delle Brigate rosse per nascondere le pecche e le carenze da parte istituzionale. Potrebbe anche essere. In realtà, la cosa è stata certamente clamorosa, ma dal punto di vista militare assolutamente non impossibile e, stante quello che oggi sento in questa sede (cioè, l'assoluta permeabilità del territorio romano e delle condizioni dell'apparato dell'antiterrorismo), non ritengo neppure che fosse così impossibile, lunare e incredibile riuscire a tenere Moro cinquantacinque giorni. Non credo che questa possa essere una prova di collaborazioni esterne all'organizzazione Brigate rosse, quanto forse la presa d'atto di una inefficienza oggettiva o voluta - non so bene cosa - da parte di alcune forze dello Stato che dovevano neutralizzarci. Non lo so.

STANISCIA. Ho un concetto diverso.

FARANDA. Non credo che fossimo così esperti, così bravi...

STANISCIA. Questo non lo credo neanch'io!

FARANDA. ...o appoggiati da qualcuno esterno.

STANISCIA. Questo non lo so.

FARANDA. Credo proprio di no.

PRESIDENTE. Sul problema dell'efficacia militare dell'azione, quando abbiamo sentito Morucci, una delle contestazioni che abbiamo fatto è che secondo la perizia balistica il mitra FNA 43 spara 49 colpi in un'azione comunque contratta nel tempo e, quindi, con la necessità di utilizzare almeno due caricatori. Moruccì, per la verità, ha smontato questa ricostruzione, perché ci ha detto che i mitra FNA 43 nell'azione erano due: uno suo che sparava sulla prima macchina e un altro che sparava sulla seconda macchina. Oggi, però, ho riletto la deposizione di Morucci e ho rilevato che ha spiegato poco, perché ha detto che il suo mitra si inceppò dopo pochissimi colpi e che non fu più in condizione di sparare; pertanto, se non 49, diciamo che 43-44 colpi li sparava l'altro mitra. Allora, contraddico in un certo senso. E' vero che, sparando a distanza ravvicinata, non è difficile colpire una persona che sta sul sedile anteriore e non quella che sta dietro, ma, se si sparano una quarantina di colpi, mantenere un mitra sempre in mira non è facile; ci vuole un addestramento specifico. Sullo svolgimento dell'azione, vorrei sapere che cosa Morucci le ha raccontato.

FARANDA. Noi, nei pochi addestramenti che abbiamo fatto, non sparavamo mai una raffica senza interruzione, ma delle prime raffiche. Voglio dire che questa è la prima cosa che si apprende, anche se si va a sparare una sola volta. Non è che non avevamo mai toccato le armi; un conto è dire che non eravamo stati nei campi di addestramento libanesi o in quelli della Cecoslovacchia, e un conto è dire che ho provato a sparare con lo Sten e con armi più moderne. Ho cominciato dallo Sten, che sicuramente era un'altra storia.

STANISCIA. Quindi, è semplice?

FARANDA. E’ più impreciso.

PRESIDENTE. Non sono un grande esperto di armi militari, ma solo di quelle da caccia, però il mitra FNA 43 - se non sbaglio – è vecchio.

FARANDA. Sì, però ripeto - adesso non ricordo se l'ho usato; è probabile, se era nella colonna romana - che a quella distanza è quasi impossibile sbagliare; ritengo che è proprio il contrario. Continuo ad insistere che, incaricata di alcuni ferimenti, ho dovuto mirare alle gambe di una persona e queste sono sicuramente un bersaglio più piccolo di un busto, di un torace. Ho sparato con lo Skorpion, con il quale non si mira, esattamente così come non si mira con il mitra, perché lo si porta al fianco.

STANISCIA. Signora Faranda, ritengo sia necessaria però una grande esperienza!

FARANDA. Io non lo credo, ma non so nemmeno se sia trattato di una dose di fortuna ed una di minima esperienza.

PRESIDENTE. Signora Faranda, sul fatto che si sia sparato dai due lati della strada, così come ha dimostrato la perizia, oppure che si sia sparato, in base alla vostra ricostruzione, da un lato solo della strada, cosa ci può dire? Ovviamente, se il fuoco doveva essere incrociato l'addestramento sarebbe dovuto essere ancora maggiore, così da evitare di farvi fuori a vicenda. Tutti insistono nel dire che si è sparato da un lato solo della strada, quando c'è una perizia che dimostra che almeno alcuni colpi, pochi, sono stati sparati dall'altro lato. Ripeto, cosa ci può dire in proposito?

FARANDA. Ciò che posso dire, sempre tenendo presente che non mi trovavo nel luogo dello scontro, è che nel progetto dell'azione non era assolutamente previsto un fuoco incrociato, perché sarebbe stato assolutamente folle farlo. Si sarebbe corso il rischio di colpire gli stessi componenti del commando che si trovavano dall'altra parte. Che dopo la fine della prima fase della sparatoria qualcuno, per paura che Leonardi, che si trovava dall'altra parte, potesse ancora essere in grado di reagire e di sparare a sua volta contro i militanti in allontanamento, sia potuto passare dall'altra parte, è un'ipotesi che posso fare soltanto a livello logico, a livello di congettura, ma non essendo stata presente non posso dire nulla di più. Non ho mai sentito dire che ciò fosse avvenuto, quindi mi sembra l'unica spiegazione plausibile.

PRESIDENTE. Colleghi, avevo distribuito un questionario ma ho notato che la maggior parte delle mie domande non sono state poste. Mi riserverò di farlo io più tardi, dopo l'intervento dell'onorevole Mantica.

MANTICA. Signor Presidente, chiedo innanzitutto scusa per essere arrivato in ritardo, e quindi per non aver potuto essere presente a tutta l'audizione, ma gli impegni parlamentari mi hanno costretto a parlare prima di società di intermediazione immobiliare. Vorrei fare un'altra premessa: avendo combattuto ferocemente dall'altra parte rispetto a voi, anche senza ricorrere a fenomeni di lotta armata, devo dire che apprezzo la sua presenza questa sera, però vorrei essere molto onesto in questo apprezzamento, perché tutto questo non ha senso (non le farò domande su quanto ha sparato, non sono un avvocato e non amo questi particolari) se non contribuiamo seriamente a ricostruire una verità di quegli anni (verità dolorosa per chi vi ha partecipato anche perché qualcuno ha cambiato opinione o ha riflettuto sulle scelte fatte) senza edulcorare, senza ricostruirla come una favola. In un contesto come quello italiano, dopo Yalta, dopo la divisione in due schieramenti, dopo l'episodio degli anni '50 e '60 (oggi escono rinvii a giudizio per cui la magistratura ritiene che il terrorismo nero sia stato guidato dalla CIA, dal Mossad, che agenti CIA abbiano governato il terrorismo nero qualche anno prima del fenomeno delle Brigate rosse), voi vi trovavate dall'altra parte: maturate all'inizio degli anni '70, scegliete la lotta armata, in presenza di un contesto preciso anche di carattere politico, e lei grosso modo ci viene a dire che le BR rappresentavano un fenomeno autonomo, senza collegamenti internazionali, che non erano eterodirette e che il PCI ne era il più grande antagonista! La domanda, che sembra banale, ma non lo è, è questa: l'acqua che vi faceva vivere, per utilizzare una espressione al Mao Tse Tung, dove era? E’ possibile che questo vostro fenomeno, estremamente elitario, con venti esponenti a Roma, dieci a Genova, venti a Milano, più o meno attrezzati a sparare, con una grande capacità di analisi e di approfondimento politico (della quale non condivido nulla, ma certamente i documenti delle BR non sono scritti da bambini della prima elementare) fosse realmente autonomo? Tutto questo, secondo lei, può essere credibile? Non esisteva acqua, non esisteva un contesto, non esisteva un contorno, non esistevano strutture che vi aiutassero? Essere latitanti è molto difficile, ogni cosa che si fa costa il doppio, il triplo, il quadruplo. Prima ha utilizzato un'espressione che condivido, dicendo che la volontà di fare una cosa supera le carenze tecniche (ossia che tale volontà fa superare una serie di difficoltà enormi che comporta la clandestinità), ma tutto questo non è una favoletta avulsa dalla realtà specifica di quel tempo. Lei ci è passata in mezzo, è ancora oggi convinta che le BR rappresentassero un fenomeno elitario ridotto a poche persone senza collegamenti con il PCI antagonista (che era una cosa seria così come lo è oggi, non come struttura, ma come capacità almeno di condizionamento dell'opinione pubblica)? Quando lei dice che non esistevano collegamenti, ricordo che alcune delle più illuminate penne del giornalismo italiano dicevano che le BR erano nere, cosa che ci offendeva molto, se non altro per invidia, anche perché erano più bravi di noi. Ora, tutto questo fa parte della sua storia, delle sue riflessioni; se oggi viene qui a parlare, vorrei capire se tutto questo le sembra credibile. Devo pensare che venti persone a Roma fossero in grado di organizzare e realizzare il rapimento di Moro, di mantenerlo 55 giorni prigioniero, e che avessero una capacità di interrogatorio non indifferente (in quanto non gli hanno chiesto se tifasse per la Juventus o per il Bari, ma gli hanno posto una serie di domande importanti su quella che era la struttura politica, anche dell'antistato all'interno di questo paese)? Tutto questo, secondo lei, è stato opera di venti ragazzini, come diceva prima il collega, che non avevano nemmeno i soldi per andare a prendere la pizza, con una espressione che mi è piaciuta molto? Dove era l'acqua nella quale voi piccoli pesci riuscivate a navigare?

FARANDA. L'acqua è quella che per tanto tempo si è preferito dimenticare, rappresentata dalle lotte che c'erano state in quegli anni, dal tessuto operaio in disaccordo con le politiche sindacali, da quei quartieri in rivolta per i problemi della casa e delle bollette troppo care, da quelle università ancora in subbuglio, da quel movimento del 77 che aveva sparato nelle piazze. Quest'acqua, molto spesso, conviene dimenticarla perché per anni si è cercato di mostrare le BR proprio come questo fenomeno completamente avulso da qualsiasi conflitto sociale già avvenuto. Quella era la nostra acqua, eravamo venti ragazzini che avevano forse anche i soldi per comprare la pizza, visto che c'era stato il sequestro Costa che ci aveva permesso di acquistare anche delle basi logistiche che potevano essere attrezzate come prigioni. Non eravamo del tutto analfabeti, ma non c'era alcun "grande vecchio". Credo che le cose vadano riportate nella loro giusta dimensione. Non arrivavamo a 50 militanti organici delle BR, forse neanche a 40, ma esisteva una vasta area di simpatizzanti e di consenso che permetteva di far sì, come ho detto prima, che nel momento in cui una legge di emergenza ci metteva alle corde, perché non potevamo più affittare dei covi, spuntassero dei prestanome che potevano svolgere questo ruolo. L'acqua c'era, ma non era rappresentata dai servizi segreti.

MANTICA. Non intendevo certo dire questo. Eravate sostanzialmente la punta di un iceberg di disagio sociale, di un fenomeno che certamente era nato e aveva radici antiche?

FARANDA. Credo proprio di sì.

MANTICA. Adesso la domanda viene perché, avendo militato a destra, vorrei capire se lo stesso dubbio non è venuto a sinistra: questa impotenza dello Stato, questi falsi blocchi stradali, questo lasciar fare è a mio giudizio - ma è negli atti - una delle tecniche dello Stato. In altre parole, serve che qualcuno si agiti in un certo modo, necessita che ci sia un pericolo a sinistra o un pericolo a destra; nessuno lo guida, nessuno dà istruzioni, si lascia fare, si costruiscono delle sicurezze. Lei diceva prima che stavate molto attenti, che guardavate se qualcuno veniva pedinato.

PRESIDENTE. Scusi Mantica, si costruiscono dei bisogni di sicurezza.

MANTICA. Aggiunga quello che vuole. C'era la convinzione di essere bravi, organizzati bene, di avere fatto il meglio. Non vi è mai venuto il dubbio che l'incapacità dello Stato di aggredirvi, di ridurvi all'impotenza, di bloccare la vostra attività non fosse in realtà anche una scelta voluta? Da qui il dramma Moro e quel discorso che lei ha fatto prima: nessuno - ne sono convinto - vi ha ordinato di rapire Moro. Le scelte che avete fatto sono state certamente scelte autonome, interne alle vostre gerarchie, però il dubbio, per esempio, che la morte di Moro servisse a qualcuno oggettivamente preoccupa chi non ha creduto che quello del delitto politico fosse un sistema di confronto democratico. Il compromesso storico può essere anche vissuto come un tentativo delle più grandi forze politiche del paese di creare o di recuperare un minimo di stabilità. In Italia, guarda caso, tutte le volte che si cerca una stabilità nascono delle occasioni - non si sa come, sempre casuali - di instabilità. Non vi è mai venuto il dubbio di essere oggetto di un gioco e non soggetti e protagonisti di una battaglia politica?

PRESIDENTE. O comunque di lavorare per il re di Prussia?

FARANDA. Sì, sicuramente un dubbio a me personalmente è venuto, dopo. E’ venuto a posteriori perché durante il sequestro Moro c'era una tale concitazione che l'unica sensazione forte che io provavo era che non c'era da parte delle istituzioni, e soprattutto della stessa Democrazia cristiana, una volontà, un interesse così forte a salvare la vita di Moro da portare a comportamenti conseguenti. Questa è l'unica cosa che mi saltava agli occhi. Non era tanto il problema dell'apparato repressivo, perché ci trovavano o non ci trovavano, se eravamo abbastanza bravi, se eravamo noi più furbi di loro, se era impossibile controllare tutta la città: queste erano domande che non si faceva in tempo a fare. Si pensava semplicemente a tentare di evitare di farsi arrestare. Le riflessioni sono venute dopo. Ho pensato sicuramente che in molti momenti forse ci avevano lasciato fare, però se il compromesso storico già era una garanzia di stabilità loro non potevano neppure sapere se noi avremmo deciso di uccidere o meno l'onorevole Moro. Era comunque un rischio. Non mi sono mai data una risposta; dubbi e interrogativi ne ho avuti moltissimi, ma una risposta non posso darmela.

MANTICA. Io non gliela voglio dare con l'ultima domanda, ma questa Commissione le audizioni servono anche a ricostruire gli scenari, il clima, perché in fondo la Commissione ha l'obiettivo sì, come dice Pannella, di trovare i mandanti politici ma forse anche di capire con quale logica sono accaduti i fatti. Io dico che le Brigate rosse sono la punta di un iceberg, certamente, ma forse molto più grosso di quanto le stesse Brigate rosse immaginassero perché potrebbe corrispondere a gran parte della sinistra. La logica può anche essere un'altra. Se è vero che le Brigate rosse uccidono Moro o che, quanto meno, nella decisione di uccidere Moro vi è il tentativo di far saltare il compromesso storico, vi è comunque la convinzione profonda - lo ha ripetuto anche lei - che il mutamento dell'assetto sociale non può avvenire con l'accordo con la parte nemica ma occorre coerentemente portare fino in fondo la propria posizione politica. In questo senso - ed è una mia valutazione strettamente personale - sono convinto che le Brigate rosse hanno vinto perché la logica per cui il nemico va abbattuto e non si fa un accordo col nemico tramite un compromesso, se si vuole vincere sul serio, se si vuole procedere a un cambiamento (questa è la logica per cui le Brigate rosse hanno vinto), prevale dopo. Infatti nel 1989, quando cade il muro di Berlino, in Italia la sinistra, invece di subire questa sconfitta indubbia che era agli occhi di tutti, contrattacca e distrugge con altri sistemi, non certo con il terrorismo o con FFNA 43, il suo nemico attraverso un processo che si chiama oggi Tangentopoli, che vede solo una parte vittima, quella avversa. Caro Pellegrino, è un'ipotesi però vedo che anche nell'area della sinistra ci si comincia a domandare come mai il Partito comunista viene sempre assolto.

FARANDA. Sono convinta che con gli errori che abbiamo fatto e soprattutto con la tragedia Moro noi abbiamo tenuto in piedi il regime che c'era prima per molti anni ancora. Quindi chi è stato paralizzato dalla nostra iniziativa è stata proprio la sinistra, non mi azzarderei a fare un'ipotesi differente.

MANTICA. Non lo chiedevo a lei, era solo per arrivare a una mia convinzione.

PRESIDENTE. Senatore Mantica, io ho stima di lei, gliel'ho detto tante volte, ma alla fine vince il CAF. Agli anni '70 seguono gli anni ‘80. Che ci potesse essere una lungimiranza di previsioni per il 1989 nel 1978 mi sembra proprio difficile. Vince il CAF e devo dire che c'era una persona che aveva esattamente previsto quanto avverrà negli anni 80, ed era proprio il capo del partito della trattativa. E' quasi una contraddizione rispetto a quanto dicevo prima, ossia che secondo me la scelta della fermezza era la scelta istituzionalmente corretta. Però politicamente Moro intuisce ed è il vero capo della trattativa perché usa le Brigate rosse, usa i socialisti, usa il secondo canale, usa don Mennini, usa la famiglia. Il vero capo della trattativa è Moro. Chi gestisce fino in fondo la trattativa, e poi viene sconfitto, è Moro. Dal memoriale di Moro risulta che egli aveva esattamente previsto che cosa succederà nel paese negli anni 80, compresa Tangentopoli e compresa una perdita di capacità di contrasto sociale del PCI. E’ Moro che prevede tutto. Ogni tanto rileggo il memoriale di Moro e giuro che provo i brividi, pur essendoci una logica totalmente diversa dalla mia: la mancanza del senso laico dello Stato, il fatto che quando si ricoprono responsabilità politiche si può rischiare anche la vita, che non bisogna sempre trattare fino in fondo tutto. Anche la logica della morte: si muore perché si difende la democrazia se si è incarnato un valore democratico. Tutto questo nel memoriale di Moro non c'è, però c'è una impressionante capacità profetica di previsione di quello che sarebbero stati gli anni '80. Forse dovremmo fare qualche seminario e rileggere quel memoriale. Sono previsti gli anni ‘80 compresa Tangentopoli e Mafiopoli. Moro prevede tutto. Ecco perché quel documento avrebbe avuto una capacità di rottura enorme se fosse stato pubblicizzato e se fosse stato accompagnato dalla liberazione dell'ostaggio. Penso che la storia del paese sarebbe stata diversa se Moro fosse stato salvato o se fosse stato spontaneamente liberato dalle Brigate rosse. Forse le conseguenze del crollo del muro di Berlino potevano anche essere diverse: non lo so, è una previsione che non riesco a fare.

GUALTIERI. Se Mantica me lo consente, perché è rivolta anche a lui, vorrei fare un'ultima domanda alla signora Faranda. Come ho detto all'inizio, sono convinto che le Brigate Rosse non erano eterodirette nel momento in cui hanno rapito Moro. Che poi, una volta compiuto 1’attacco, ci possano essere state delle strutture che avevano anche interesse a non cercare Moro con particolare accanimento,è tutto un altro discorso. Però, se vogliamo portare il problema in una dimensione vera, tutto il terrorismo nato 15 anni prima e che aveva procurato dei danni enormi - come ho detto poc'anzi - poteva anche essere eterodiretto. Allora, ci dobbiamo domandare perché se non è suo, lo Stato si deve tenere un terrorismo per 15 anni, quasi alimentandolo. Il vero problema è che l'importanza e, vorrei dire, anche la grandezza di Moro stanno nel fatto che colpendolo hanno attaccato un personaggio 10.000 volte più importante che se avessero colpito Andreotti o Fanfani.

FRAGALA’. O Berlinguer!

GUALTIERI. Chiunque altro! Infatti Moro riteneva - e nei due anni precedenti il suo rapimento lavorava a questo - che lo Stato italiano si trovava in una decadenza di ordine sociale ed economico sotto l'attacco di tutti i terrorismi e di tutte le eversioni e che stava per cedere. Moro aveva iniziato l'operazione che tendeva ad introdurre il Pci dentro lo Stato e dentro l'alleanza, e questo lo portò ad entrare in conflitto con gli americani. Si trattò di un'intuizione che soltanto un grande uomo politico poteva avere. Ripeto che Moro aveva capito che lo Stato non reggeva e non che lo Stato, servendosene, alimentava il terrorismo. Ricordo che allora Moro era il massimo dirigente dello Stato e capiva che quest'ultimo stava per essere "divorato" dai terroristi. Di conseguenza, aveva messo in piedi un'operazione di grande respiro politico, che era quello di introdurre il Pci - mi rivolgo a persone che già sanno tutto questo -nell'area di governo. Quando le Brigate rosse colpiscono Moro si scagliano contro la più grande operazione di ricomposizione di un equilibrio sociale dello Stato: colpiscono veramente il cuore di quest'ultimo. Questo è il dramma che abbiamo vissuto. L'atto di responsabilità quasi delinquenziale è che lo Stato non è riuscito a trovare Moro prigioniero - questo è il problema -, è come lo Stato ha gestito tali ricerche e la lotta al terrorismo: questa è la responsabilità dello Stato e in parte di uomini...

DE LUCA Athos. Non lo volevano trovare!

GUALTIERI. Questo non lo metto in discussione: sono convinto che l'hanno cercato male. Quindi, è l'intero terrorismo che, da quando è nato, rappresenta un danno per lo Stato. Non è che lo Stato se ne sia servito; infatti, dobbiamo smetterla con questa storia che lo Stato adoperava il terrorismo per destabilizzare. Cosa voleva destabilizzare? Voleva destabilizzarsi? Questa cantilena che si sente, e cioè che lo Stato si serviva del terrorismo, è un'altra enorme sciocchezza che magari dei magistrati sprovveduti di Milano stanno alimentando in questo momento.

PRESIDENTE. Su questo argomento potremmo fare dei lunghi dibattiti tra di noi. Io vorrei rivolgere alla signora Faranda quelle domande sul memoriale che avevo distribuito ai colleghi. Vorrei soltanto fare un'ultima battuta. Le elezioni politiche del 1996 sono andate come sono andate anche per una casualità, tanto è vero che quelle del 1994 erano andate diversamente.

MANTICA. Quelle del 1994 erano più programmate!

PRESIDENTE. Farò adesso delle domande molto brevi. Signora Faranda, lei conferma che il furgone con il quale viene trasportato Moro e messo nella cassa era rimasto incustodito?

FARANDA. Nel progetto doveva rimanere fermo e parcheggiato lì; non vi era nessuno a bordo.

PRESIDENTE. Ma una testimone afferma che vi era una persona giovane che lo guidava; una certa signora Elsa Maria Stocco.

FARANDA. Non era mai stato programmato nulla del genere, né ho mai sentito dire che fosse stato modificato il progetto.

PRESIDENTE. Questo è però uno degli aspetti più deboli del progetto. Se avessero forato o avessero rubato una gomma?

FARANDA. Si sarebbe trasportato su un'altra macchina o avrebbe proseguito con la stessa.

PRESIDENTE. Comunque, lei conferma che il furgone era íncustodito.

FARANDA. Sì.

PRESIDENTE. Lei conferma - per quello che ne sa - che per tutti i 55 giorni del rapimento Moro sia rimasto sempre in via Montalcini?

FARANDA. Sì.

PRESIDENTE. Non è stato mai spostato in una prigione diversa?

FARANDA. No.

PRESIDENTE. Se non sbaglio, durante l'azione di via Fani lei è in via Gradoli.

FARANDA. No, non sono in via Gradoli ma in via Chiabrera.

PRESIDENTE. Lei ha mai abitato insieme a Morucci nell'appartamento di via Gradoli?

FARANDA. Sì, vi ho abitato per qualche mese.

PRESIDENTE. Prima o dopo di Moretti?

FARANDA. Prima e dopo di Moretti, nel senso che Moretti ci ha abitato prima di me e poi tornò ad abitarci dopo di me con la Balzerani.

PRESIDENTE. Fu abitato da terze persone?

FARANDA. Sì, credo che sia stato abitato anche da Bonisoli per un breve periodo appena arrivato a Roma e, per quello che avevo sentito dire, episodicamente anche da qualcun altro che vi era stato ospitato; però, non ne conosco i nomi.

PRESIDENTE. Militanti di Potere Operaio?

FARANDA. No, militanti delle Br per quello che ne so io.

PRESIDENTE. Come fu reperito l'appartamento di via Gradoli?

FARANDA. Non so dire se fu trovato attraverso un annuncio o in altro modo.

PRESIDENTE. Lei sa se la proprietaria, Luciana Bossi, fosse amica di Giuliano Conforto, che poi vi ospitò dopo la vostra uscita dalle Brigate rosse?

FARANDA. Assolutamente no.

PRESIDENTE. Lei ha mai conosciuto Elfino Mortati?

FARANDA. No; il nome mi giunge vagamente familiare ma non so assolutamente perché.

PRESIDENTE. Era un terrorista che a Prato aveva ucciso il notaio Gianfranco Spighi. Lei sa se Morucci lo ha mai protetto o ospitato mentre era in latitanza? E dove?

FARANDA. No, perché Morucci ha abitato praticamente sempre con me durante la nostra militanza nelle Br.

PRESIDENTE. Ma potrebbe avergli procurato un appartamento a Roma dove rifugiarsi.

FARANDA. E’ possibile, ma questo non posso saperlo.

PRESIDENTE. Mi sembrava che tra lei e Morucci la comunicazione fosse piena?

FARANDA. No, assolutamente no. Era piena a livello personale ma non a livello politico-organizzativo.

PRESIDENTE. Quindi, vi erano cose che Morucci poteva sapere e non le diceva, e viceversa?

FARANDA. Certamente, era ovvio, perché tutti e due rispettavamo la compartimentazione dei nostri ruoli.

PRESIDENTE. E non eravate nello stesso compartimento?

FARANDA. No, perché lui apparteneva al Fronte logistico e io al Fronte della controrivoluzione.

PRESIDENTE. Perché inizialmente lei e Morucci negavate che esistesse una versione più ampia del memoriale poi ritrovato in via Monte Nevoso nella seconda versione? Infatti, all'inizio questo fu affermato solo da Azzolini, da Bonisoli e dal senatore Flamigni, che però ogni tanto ci azzecca.

FRAGALA’. Per caso.

FARANDA. Personalmente non avevo mai letto il memoriale, perché non mi era mai stato messo a disposizione; quindi, supponevo che fosse stato ritrovato tutto. Forse è stato un errore far passare questa mia convinzione per una certezza.

PRESIDENTE. Anche ieri nella trasmissione di Zavoli, la Braghetti ha ricordato che i vestiti di Moro, prima di farglieli indossare e quindi prima dell'esecuzione, furono bagnati di acqua marina e sporcati di sabbia per creare un depistaggio e far pensare che era stato tenuto prigioniero in un luogo del litorale laziale.

FARANDA. Sì, è vero.

PRESIDENTE. vero che lei e la Balzerani andaste a prendere la sabbia?

FARANDA. Sì, a Ostia.

PRESIDENTE. E non era particolarmente pericoloso?

FARANDA. Siamo andate in metropolitana e con il treno. Non abbiamo incontrato alcun ostacolo.

PRESIDENTE. Ieri, nel programma di Zavoli la Braghetti parlava dell'acqua di mare sparsa sui vestiti di Moro. Mi è venuta una curiosità: come l'avete portata a Roma l'acqua di mare?

FARANDA. Non ricordo, sarà stata una bottiglietta o qualcosa del genere.

PRESIDENTE. Questo stesso depistaggio fu fatto sulla R4 rossa, sulle gomme e sulla scocca inferiore della quale venne trovata sabbia.

FARANDA. Non ricordo questo particolare. Non so se sia stata portata appositamente sulla sabbia nella zona del litorale romano. Ne dubito perché sarebbe stato troppo pericoloso.

PRESIDENTE. Comunque non è un'operazione facile spargere sabbia sulla parte inferiore di una macchina.

FARANDA. Forse si è trattato di una casualità come tante che avvengono nella vita. Non credo sia stata portata sulla sabbia perché sarebbe stato troppo pericoloso: un conto è andare a piedi e con il trenino sino ad Ostia, un conto è percorrere le strade che portano ad Ostia su una macchina rubata, sia pure con la targa contraffatta.

PRESIDENTE. Nel libro della Mazzocchi viene ricostruito con una certa precisione il vostro percorso di progressiva dissociazione, questa necessità di fare sempre maggiore chiarezza. Avete mai avuto l'impressione di essere guidati, condizionati, di essere tutto sommato spinti a dare una ricostruzione che potesse tornare utile, comoda e che qualche verità che potevate dire potesse sembrare sgradita e che in qualche modo siate stati indotti a rimuoverla?

FARANDA. No. Se abbiamo commesso degli errori di valutazione sono stati esclusivamente nostri.

PRESIDENTE. Siete mai stati guidati?

FARANDA. No.

PRESIDENTE. E’ strano il percorso del vostro memoriale: la suora, Barillà, Cavedon. Tutta una serie di complicazioni. Non sarebbe stato più facile farlo avere direttamente ai magistrati?

FARANDA. Purtroppo mi devo assumere anche la paternità di fatti che non mi appartengono. Non è stata una decisione presa da me e comunque la valutazione era diversa perché in quel memoriale erano contenuti dei nomi che fare davanti all'autorità giudiziaria era completamente diverso rispetto al farli ad un esponente politico. Se non vado errata, c'era l'esatta ricostruzione, con nomi e cognomi, dei componenti del commando, ricostruzione che non era stata fatta davanti ai magistrati, sempre per i motivi che le dicevo prima.

PRESIDENTE. Quando avvennero queste tragiche vicende ero isolato, facevo l'avvocato in provincia. Quindi le ho conosciute più dall'interno soltanto attraverso le carte. L'impressione che ho tratto è che quel riconoscimento politico che voi ricercavate in qualche modo era già nelle cose. In realtà, nella politica reale del paese voi foste una componente del gioco politico. C'era anche quella continuità tipica della politica: i rapporti con Pace e Piperno e i rapporti di questi con ambienti del Psi. Ho l'impressione che anche in seguito, anche oggi durante questa audizione voi continuiate a fare politica e che quindi l'atteggiamento che assumete sconta in qualche modo la previsione di un esito politico.

FARANDA. Che qualunque atteggiamento abbia come risvolto un esito politico è una realtà. Che questo sia preordinato è un'altra cosa. Personalmente non ho alcun fine politico da perseguire.

PRESIDENTE. Qual è stato il vostro rapporto con Piccoli?

FARANDA. Mai avuto rapporti con Piccoli.

PRESIDENTE. Quelli tramite Cavedon. Avete mai avuto l'impressione che l'atteggiamento di alcune forze politiche, che per esempio l'atteggiamento di Cossiga, possa essere stato un modo per coinvolgervi nel gioco politico?

FARANDA. No.

PRESIDENTE. E le domande che le stiamo facendo questa sera le danno questa impressione?

FARANDA. Non sono presuntuosa fino a questo punto.

FRAGALA’. Ho avuto la sensazione, fondata su alcuni indizi che le dirò, che all'interno delle Brigate rosse vi fosse prima del sequestro Moro un gruppo o un partito contrario al sequestro stesso. Addirittura penso che questo gruppo abbia fatto in modo di pubblicizzare la premonizione del sequestro attraverso quelle dichiarazioni dei due professori non vedenti che lo profetizzarono due o tre giorni prima ed attraverso il famoso comunicato di Radio Città futura di Rossellini il giorno prima.

PRESIDENTE. Nella stessa giornata del sequestro.

FRAGALA’. Vi era qualcuno che all'interno delle Brigate rosse riteneva talmente sbagliata l'operazione in progetto da tentare di farla fallire avvertendo in anticipo le forze istituzionali. Credo poi che all'interno delle Brigate rosse vi fosse un partito della trattativa che mirava alla salvezza della vita di Moro e che questo gruppo, oltre a discutere per tentare di far maggioranza sulla propria opinione, avesse messo addirittura lo Stato sulle tracce, per esempio, del covo di via Gradoli. Infatti, scoprire quel covo avrebbe significato arrivare subito a Moretti. Ed a via Gradoli fu mandata per ben tre volte la Polizia ed addirittura fu fatta arrivare a Prodi ed a Clò l'indicazione "Gradoli 92", che poi fu mistificata con la famosa seduta spiritica di cui tutti sappiamo. E' vero che vi era questo partito della trattativa all'interno delle Brigate rosse il quale, ritenendo politicamente disastrosa l'uccisione di Moro, tentò in tutti i modi di far scoprire il covo di via Gradoli, alla fine addirittura col telefono della doccia in cima ad un manico di scopa messo contro il muro per far allagare l'appartamento di modo che, visto che non se ne poteva più di uno Stato che non riusciva a scoprire il covo, fossero almeno i pompieri ad arrivarvi, trovando sul muro steso il drappo delle Brigate rosse e sul tavolo tutte le armi affinché fosse chiarissima l'indicazione che si trattava proprio di un covo dei terroristi? Ci vuol dire qualcosa su questo partito della trattativa? Gli indizi che le ho indicato costituiscono una ricostruzione attendibile?

FARANDA. Tengo intanto a precisare che le Brigate rosse non erano assimilabili tout court ad un partito classico, quindi non c'era una corrente organizzata pro-trattativa o pro-liberazione di Moro. C'erano dei militanti isolati che portavano la loro voce. In questo senso posso abbastanza escludere che sia avvenuta una cosa nei termini appena esposti, perché non credo che altre persone che erano così convinte che l'uccisione di Moro fosse un disastro, una tragedia da evitare, potessero assolutamente avere accesso a Via Gradoli. Gli stessi Morucci ed io, che eravamo a conoscenza di quel covo per averlo abitato ed eravamo contrari all'uccisione di Moro, non avevamo più le chiavi per entrare nell'appartamento, e quindi ci sarebbe stato un po’ difficile orchestrare la scenografia per il ritrovamento del covo. Allo stesso modo ritengo molto più probabile un'altra ipotesi. Non so se in quella cosa detta a Radio città futura fosse stato fatto il nome di Moro.....

PRESIDENTE. No.

FARANDA. ..appunto, veniva fatta soltanto l'ipotesi di un atto ai danni di un grosso esponente politico, ed io ritengo molto più probabile, piuttosto che questa ipotesi abbastanza macchinosa, semplicemente una fuga di notizie; infatti, se è vero ad esempio che i militanti della brigata universitaria, che potevano avere contatti con gli autonomi e con Radio città futura, non erano mai stati messi al corrente del fatto che l'obiettivo del rapimento era l'onorevole Moro, però sapevano che qualcosa si stava preparando, perché avevano anche rubato le macchine per l'azione di Via Fani; quindi era abbastanza ovvio che a qualcuno potesse sfuggire una frase di troppo che lasciasse capire che era in progetto qualcosa del genere. Non credo però assolutamente che il tutto sia stato fatto per evitarlo.

FRAGALA’. E sulla seduta spiritica qual è il suo interrogativo?

FARANDA. Sulla seduta vale altrettanto; l'unica ipotesi che posso azzardare, perché da laica non credo alle sedute spiritiche...

FRAGALA’. Neanche i cattolici, anzi soprattutto, tranne Prodi e Clò.

FARANDA. Posso solo ipotizzare che, siccome in passato il covo di Via Gradoli era stato abitato anche da esponenti di altre colonne o da persone che transitavano per Roma, forse qualcuno (e forse in quel caso volutamente) abbia fatto arrivare una indiscrezione negli ambienti universitari. Questo è quanto posso immaginare, però non mi è dato saperlo con certezza. E’ l'unica ipotesi che posso azzardare.

FRAGALA’. Proprio su questo le voglio porre un'altra domanda. Come mai un covo come quello di Via Gradoli, locato nel 1975, quindi un covo che veniva utilizzato da tre anni, e utilizzato talmente tanto da esponenti dell'area di Autonomia e di Potere operaio che l'Ucigos, il servizio di antiterrorismo, aveva più volte segnalato che vi si recavano degli esponenti calabresi di Potere operaio, e situato in una strada in cui addirittura - come siamo venuti a sapere dopo lo scandalo del Sisde - le società immobiliari di copertura dei Servizi segreti avevano di proprietà numerosi appartamenti, viene ritenuto un covo sicuro durante il sequestro Moro addirittura tanto da ospitarvi quello che era il leader del sequestro, cioè l'ingegner Borghi, alias Mario Moretti?

FARANDA. Innanzitutto l'ingegner Borghi era colui che lo aveva affittato, quindi quello che comunque era stato visto sin dall'inizio in quella casa; semmai insicuro era perché in situazioni di emergenza era stato permesso che altri lo abitassero, ma l'opinione che c'era rispetto a Via Gradoli era che non fosse un covo pericoloso proprio perché, essendo stato affittato molto tempo prima, era già stato sperimentato. Non c'erano mai stati problemi con i vicini o con la padrona di casa. Quando io ad esempio ho acquistato l'appartamento di Via Albornoz, non l'ho mai abitato perché abbiamo saputo che nell'appartamento di fronte vi era - mi sembra di ricordare - un appartenente alle forze di polizia. Non ricordo bene chi fosse con precisione, comunque il padrone di casa, non so bene se per terrorizzarci o per saggiare le nostre reazioni, ci disse che gli inquilini precedenti erano stati assaliti da questa persona con la pistola in mano perché questi era convinto che fossero degli intrusi: aveva sentito dei rumori e si era introdotto nell'appartamento all'improvviso. Noi, alla sola idea che potesse essere vero, abbiamo deciso concordemente, in una riunione di direzione di colonna, di lasciare l'appartamento vuoto, nonostante avessimo bisogno di appartamenti, cioè di non abitarlo mai. Quindi per Via Gradoli, se avessimo saputo ad esempio, che il nostro dirimpettaio si comportava nella stessa maniera, avremmo ovviamente abbandonato la base.

FRAGALA’. Lei ha dichiarato che controllava con una radio ricetrasmittente...

FARANDA. No, con una ricevente: trasmittente non lo ho mai detto.

FRAGALA’. ... le comunicazioni della polizia. Come faceva poi a comunicarle ai suoi compagni?

FARANDA. Non le comunicavo!

FRAGALA’. Allora a che serviva?

FARANDA. A rendermi conto di cosa stava succedendo, a calcolare i tempi del rientro di queste persone, perché comunque, nell'ipotesi che Morucci non fosse arrivato e che le notizie fossero che era stato catturato, io dovevo comunque quanto meno andarmene dall'appartamento di cui Morucci poteva svelare l'ubicazione, se sottoposto a particolari pressioni. Si teneva sempre in considerazione tutto il possibile.

FRAGALA’. Mi sembra di aver capito che ieri ha visto la trasmissione di Zavoli sul sequestro Moro.

FARANDA. Soltanto la parte finale, purtroppo.

FRAGALA’. Che impressione ha avuto, specialmente nella parte in cui ha parlato la Braghetti, della ideologia e della mentalità delle BR e dei militanti delle BR in quel periodo?

FARANDA. Credo che fosse una ricostruzione abbastanza esatta.

FRAGALA’. E cioè?

PRESIDENTE. Non è che ci può ripetere tutta la trasmissione!

FARANDA. Credo che tutte le persone che hanno parlato ieri sera abbiano avuto dei forti accenti di verità. Io ho riconosciuto le persone che non vedo ormai da quasi 20 anni, e ci ho veramente ritrovato anche i motivi dei comportamenti che avevano avuto allora.

FRAGALA’. Ma la mentalità secondo lei era quella dei normali militanti marxisti-leninisti o della sinistra...?

FARANDA .... in una organizzazione clandestina! Ovviamente che si ispiravano a principi marxisti-leninisti.

DE LUCA Athos. Tengo a dire, per il verbale, che io sono convinto che allora i partiti, per come erano composti ed organizzati, non potevano sopportare Moro vivo, perché sarebbe stato il vero fatto rivoluzionario, che avrebbe fatto - in questo condivido quello che lei ha detto - la diversità. Paradossalmente vi è stata questa simmetria, quasi che due culture uguali che si confrontavano avevano le stesse reazioni; in quella occasione invece un movimento rivoluzionario avrebbe dovuto avere la forza, la lungimiranza, l'intelligenza di poter fare diversamente. Però lì le Brigate rosse sarebbero cambiate, sarebbero diventate forse un partito, perché avrebbero fatto un gesto di riconciliazione che forse le avrebbe tolte dalla clandestinità.

PRESIDENTE. C'erano i morti di Via Fani!

DE LUCA Athos. Certo, ma io non mi riferisco alle singole persone.

FARANDA. Il retroterra quanto meno...

DE LUCA Athos. Certo.

FARANDA.avrebbe riconsiderato forse la necessità della lotta armata. Può essere.

DE LUCA Athos. Voglio dire al Presidente che noi stiamo svolgendo delle audizioni con personaggi di quegli anni che sono in libertà, e quindi avrebbero potuto essere la classe dirigente di un partito. Comunque, quella morte, a mio avviso, ricompattò tutti, dette un motivo e così via. Questo è il mio giudizio sulla vicenda. Volevo rivolgerle un'ultima rapidissima domanda. Subito dopo la strage di Brescia emergevano contatti tra il brigatista Lintrami e l'estremista di destra Buzzi. Il primo li giustificò dicendo di essersi infiltrato per raccogliere informazioni per conto delle Brigate rosse. Volevo sapere se lei è a conoscenza di questa vicenda, se sa nulla del personaggio e di questa infiltrazione.

FARANDA. No, non so nulla.

GUALTIERI. Vorrei tornare sul problema della trattativa, sulla vicenda Pace-Piperno, in quanto ritengo sia uno degli aspetti che più ci interessano. Innanzitutto sono totalmente d'accordo con il Presidente sul fatto che politica della fermezza nel corso del sequestro Moro era obbligata e necessaria per la salvezza dello Stato. Un anno prima del rapimento Moro si riunirono in Germania, mi pare, i responsabili degli interni della Germania, Olanda, Francia e Italia e fu deciso che, in caso di rapimento di personalità, gli Stati non avrebbero mai dovuto cedere qualunque cosa fosse successa. Tanto è vero che alcuni dei personaggi firmavano carte liberatorie. Quando il famoso Terry Waite fu preso prigioniero in Libano e poi ucciso, aveva firmato affinché non tentassero neanche di liberarlo. Anche Schleyer, ucciso dalla RAF, aveva firmato una carta in tal senso.

FARANDA. Questo era avvenuto dopo il rapimento Lorenz?

GUALTIERI. No, prima. Ciò non voleva dire che gli Stati non dovessero fare tutto quello che era necessario per liberare gli ostaggi. Non si tratta di un problema ideologico: quello della fermezza o della trattativa non è un problema di tale natura. La politica della fermezza serve per liberare l'ostaggio e non per farlo uccidere. La prima cosa che disse a Cossiga l'esperto americano Pieczenik, che fu mandato dopo tre giorni dal rapimento, fu per quale motivo lo Stato aveva dichiarato subito di non trattare. Uno Stato non dovrebbe fare la dichiarazione di non trattare: uno Stato decide di tener fermo e di non mollare, non fa dichiarazioni in tal senso. Con Schleyer lo Stato consentì che la famiglia trattasse: lo Stato deve fare in modo che il rapito torni a casa. Non riesco a capire come si possa dire che se Moro fosse stato liberato con un blitz delle forze di polizia dopo pochi giorni dal rapimento lo Stato sarebbe caduto.

PRESIDENTE. Il senatore De Luca si riferiva all'eventualità che le Brigate rosse avessero liberato Moro.

GUALTIERI. Se lo Stato avesse liberato Moro sarebbe stato un trionfo per lo Stato qualunque cosa avesse scritto. Soffiantini dopo la liberazione ha detto che gli hanno fatto scrivere quello che hanno voluto perché era sotto dettatura: Moro avrebbe potuto dire di aver scritto certe cose perché gliele avevano fatte scrivere. Il problema era quello di guadagnare tempo. La trattativa serve a guadagnare tempo ma dietro c'è la politica della fermezza. Con chi abbiamo fatto una trattativa? Signora Faranda, mi permetto di dire che Pace e Piperno non erano neanche soggetti decenti per una trattativa, non rappresentavano niente come non rappresentava niente l'avvocato Guiso che trattava con Curcio in carcere per conto del PSI. Il primo che lo riconosce è Craxi che dichiara più volte in direzione che sia da Guiso che da Pace e Piperno non ha avuto alcun elemento per portare avanti la trattativa. Va detto inoltre che i socialisti avevano rotto il fronte della fermezza per ragioni di politica interna e non per interesse dell'ostaggio. Dobbiamo dunque chiederci che cosa ha fatto lo Stato nei giorni del sequestro Moro per guadagnare veramente tempo. Sono uscite almeno trenta-quaranta lettere dalla prigione di Moro e dunque ci sono stati postini che andavano e venivano. Siete stati abili a smistare tutto ciò, ma crede che una polizia normale non debba essere in grado di intercettare in 55 giorni il via vai di lettere che è avvenuto? La domanda riguarda il fatto che oggi si parla di una trattativa che in realtà non c'è stata. Lei stessa dice che avevate preso tante precauzioni ma sappiamo che lei e Morucci vi siete incontrati con Pace per caso in un ristorante.

FARANDA. No, volutamente.

GUALTIERI. Ma in un ristorante. La prima volta che avete allacciato rapporti vi siete incontrati in un ristorante.

FARANDA. Sì, può essere che fosse un ristorante. Successivamente sono stati bar e altri luoghi pubblici.

GUALTIERI. Nelle carte del processo Moro-ter mi sembra di aver letto che vi siete incontrati con Pace in un ristorante la prima volta.

DE LUCA Athos. Quante volte vi siete incontrati?

FARANDA. Non ricordo, ma numerose volte, soprattutto nell'ultimo periodo. Almeno sette-otto.

GUALTIERI. Vorrei sapere quale era il contenuto di questi incontri, per conto di chi trattavate.

FARANDA. Ha ragione a non definirla una trattativa vera e propria perché la trattativa viene condotta da due parti che possono poi decidere un diverso esito, hanno in mano il controllo totale della situazione. In quel caso c'era una forza politica che alle Brigate rosse non interessava, nel senso che volevano che si muovesse la Democrazia Cristiana e non il PSI. Il PSI ha proposto la sua opera di mediazione, di intervento, di sollecitazione, non so come definirla, di ricerca di brecce all'interno del partito della DC. Le Brigate rosse, dall'altra parte, tenevano i contatti con questi intermediari, questi portavoce perché non c'è mai stato un incontro diretto tra militanti delle Brigate rosse ed esponenti del PSI. Quindi, questo già la dice lunga sulla farraginosità del meccanismo. I militanti Br (io e Morucci) erano due persone che non potevano decidere; avevano un mandato vincolante di riportare le decisioni dell'organizzazione a Pace e non potevano, in sede di discussione con Pace stesso, esprimere altro che questo: riportavano le cose dette da Pace a Moretti e queste venivano ridiscusse collegialmente, e poi si ricominciava da capo. Quindi, non era una vera e propria trattativa, perché non erano Moretti e Craxi che si incontravano, per dirla breve.

GUALTIERI. Il fatto importante è che uno Stato o un Governo che vuole liberare un ostaggio e tenerlo vivo, impianta una trattativa, anche se fasulla e coperta, per poter guadagnare tempo, in modo credibile. Quelli che stavano trattando, trattavano con voi e con il Partito Socialista, ma non sapevano niente né il Governo, né la Democrazia Cristiana e tanto meno le Brigate rosse. Quindi, era una trattativa che non portava a niente e per questo motivo dico che ciò deve essere addebitato alla tragedia di quei giorni: dire che c'era una trattativa e che qualcuno era del partito della trattativa, quando era fasulla, e non diceva niente. Lo Stato non ha neanche provato, né lasciando libera la famiglia di compiere delle mosse...

FARANDA. Su questo sono d'accordo; non ha lasciato libero neanche il Pontefice di scrivere.

GUALTIERI. In Germania hanno lasciato libere le famiglie e gli ambasciatori di dire che in Libano avrebbero accolto i terroristi liberati dalle carceri; facevano dei passi. Nel nostro paese non è stato fatto niente.

FARANDA. Sono perfettamente d'accordo. Questo demoralizzava sempre di più le BR, dall'appello del Pontefice fino a Valdan, tutti furono condizionati, tutti portavano al nulla.

GUALTIERI. Curcio ha riso in faccia a Guiso quando questi gli è andato a chiedere se le Brigate rosse intendevano mollare Moro.

PRESIDENTE. Più che domande, sono commenti!

GUALTIERI. Sono chiarimenti su cos'era la trattativa.

PRESIDENTE. Il suo punto di vista è che si sarebbe dovuta intavolare una trattativa istituzionale per prendere tempo e, nello stesso tempo, organizzare una sana azione di polizia per individuare il covo e liberare l'ostaggio. Questo è il senso del suo pensiero.

FRAGALA’. Comunque, lasciare libera la famiglia.

FARANDA. Anche se non era una vera e propria trattativa, abbiamo avuto la stessa sensazione che si volesse prendere tempo per catturarci. Quindi, come vede, non siamo molto distanti.

STANISCIA. Quando si scelse Moro, e non Andreotti, Fanfani o un altro, fu perché si capì che Moro era quello che era, quello di cui parlava il senatore Gualtieri, o perché era più semplice il suo sequestro invece di quello di Andreotti?

FARANDA. Diciamo che le due cose coincidevano. Sicuramente Moro era individuato come la mente più lungimirante - così veniva definita - quello che aveva in realtà orchestrato tutte le operazioni politiche più rilevanti degli ultimi anni, dalla nascita del centro-sinistra fino al compromesso storico. Era sicuramente la persona che poteva garantire, per quella che era la nostra idea di ristrutturazione dello Stato, un rinnovamento delle forze politiche e, quindi, una maggiore funzionalità ed efficienza.

STANISCIA. Ma è un ragionamento che fu fatto allora?

FARANDA. Fu fatto allora e fu anche scritto che lo Stato doveva assolutamente procedere ad un rinnovamento del ceto politico, ad un taglio dei rami secchi, ad una eliminazione della corruzione e del clientelismo per rendere il ceto politico efficiente, legato alle nuove esigenze e così via. Sono state cose scritte, riscritte e riragionate miliardi di volte. Pertanto, ovviamente, Moro veniva individuato come l'uomo capace di portare avanti questo progetto, mentre Andreotti veniva considerato un uomo di potere, legato agli americani, alla vecchia concezione del potere, alla vecchia Democrazia Cristiana fatta di collusioni, a nostro avviso. C'era stato lo scandalo Rimi e tutta una serie di cose che facevano pensare che Moro si muoveva in maniera molto diversa da Andreotti, il quale - lo ripeto - era legato ancora a modi vecchi del potere stesso che occorreva mutare. Quindi, coincideva una valutazione sull'uomo e sulle capacità politiche di Moro con una maggiore facilità di procedere ad un'azione, anche perché Andreotti abitava in una zona molto centrale e più sottoposta a controlli, anche casuali, delle forze dell'ordine, con una maggiore concentrazione di forze di polizia e, pertanto, era anche casualmente più difficoltoso procedere a un sequestro, ad una azione contro di lui che non fosse immediatamente omicidiaria.

STANISCIA. Qualche senatore accenna spesso che la vostra ispirazione era il pensiero di Marx. Mi potrebbe allora dire in quale pagina Marx afferma che un gruppo di terroristi sequestra uomini politici e li ammazza per combattere il capitalismo?

FARANDA. Probabilmente in nessuna pagina. Non lo so.

STANISCIA. Lei però acconsente quando qualcuno parla di marxismo. C'entra qualche cosa?

FARANDA. C'entra il progetto di rivoluzione sociale e dell'ideale di società comunista.

STANISCIA. No, sto parlando dei mezzi per combattere il capitalismo.

FARANDA. Probabilmente neanche Lenin aveva detto espressamente che si doveva fondare il partito bolscevico per prendere il potere e portare la rivoluzione in quella che poi sarebbe stata l'Unione Sovietica. Ciò non toglie che tutti quanti si sono sempre rifatti all'ispirazione marxista, perché credo fosse una interpretazione della realtà riferita ...

STANISCIA. Io ho fatto una domanda: in quale testo di Marx si leggono queste cose?

FARANDA. ...riferita ai rapporti produttivi, alle lotte. C'è una teoria di Marx sulla dittatura del proletariato, quindi sulla presa del potere; non voglio dire che in qualche pagina Marx ha detto che possono essere legittimate delle organizzazioni ...

STANISCIA. Il proletariato di Marx è una cosa, quindici persone che prendono i mitra e sparano sono un'altra cosa.

PRESIDENTE. Senatore Staniscia, descrivevano tutte queste cose: si sentivano avanguardia della classe operaia e la lotta armata era la punta avanzata della lotta di classe.

Signora Faranda, io le voglio rivolgere quest'altra domanda e poi terminiamo con questa seduta. Il memoriale di Moro è chiaramente la risposta ad un interrogatorio. Dal tipo delle sue risposte, per esempio, per venire alla competenza propria della Commissione, è chiaro che gli fate una domanda sulla strategia della tensione, sulle responsabilità della classe politica e di Governo, in particolare della Democrazia Cristiana, nella strategia della tensione. La risposta di Moro è sostanzialmente confessoria. Parla di connivenze e indulgenze di settori del suo partito rispetto a un fenomeno che aveva insanguinato il paese attraverso le stragi e che aveva avuto complicità istituzionali italiane. Chiaramente, altre domande riguardano la corruzione il malaffare e qualcuna il S.I.M., lo Stato imperilista delle multinazionali. Perché le confessioni di Moro non furono ritenute importanti dalle Brigate rosse, che non pubblicizzarono nemmeno gli atti del processo?

FARANDA. Non è che non furono considerate importanti, ma furono considerate deludenti per le aspettative che avevano le Brigate Rosse. Queste cercavano, nelle risposte di Moro, una conferma all'idea che si erano fatte sull'esistenza di strutture sovranazionali, come poteva essere la Trilateral o altre strutture ancora più nascoste, più occulte che poi condizionavano, dirigevano le scelte politiche delle singole nazioni in un progetto che noi individuavamo come progetto di questo Stato imperialista.

PRESIDENTE. Signora Faranda, ma allora non si capisce il perché gli poneste alcune domande. Se l'ammissione di Moro dell'esistenza di una "strategia della tensione" di connivenza e compiacenza di settori del suo partito e di settori istituzionali, forse anche estere, con tale strategia, non vi sembrava importante, perché gli faceste anche tale domanda? Cosa doveva dirvi di più?

FARANDA. L'operazione Moro era divisa sostanzialmente in due fasi. Una doveva portare all'individuazione di responsabilità della Democrazia Cristiana, e quindi dell'onorevole Moro, nella storia italiana degli ultimi trent'anni. Da questa individuazione sarebbe scaturita la formale condanna a morte (oggi, con il senno di poi si può vedere quanto disgustoso potesse essere quel meccanismo, ma comunque quello era a quei tempi), perché soltanto dalla riconosciuta colpevolezza di Moro si poteva arrivare mimando l'esistenza di un tribunale del popolo, ad una sorta di situazione paritaria con lo Stato e quindi chiedere lo scambio dei prigionieri. L'onorevole Moro doveva risultare un prigioniero politico con precise responsabilità. Da ciò poteva nascere una richiesta di scambio, alla quale le Brigate rosse miravano.

PRESIDENTE. Signora Faranda, mi scusi se la interrompo, ma penso di aver cominciato a capire. In pratica, gli poneste quelle domande che facevano parte di una cultura diffusa, erano gli slogan che si gridavano nei cortei, è cosi?

FARANDA. Sì, è esatto. Si trattava di una conferma di ciò che a livello popolare si diceva da anni per formalizzare quel giudizio. Una volta formalizzato si sarebbe arrivati alla richiesta di scambio e lì sarebbe iniziata la fase vera, più pregnante del sequestro Moro. Questo significa che le Brigate rosse non avevano alcun intento giustizialista, nel momento in cui decidevano di uccidere l'onorevole Moro; la condanna a morte rispondeva più a una necessità formale che non ad una intenzione sostanziale. L'uccisione di Moro rispondeva alla volontà di bloccare questo processo di ristrutturazione dello Stato, che è tutta altra cosa. Pubblicare immediatamente un memoriale dal quale non uscisse fuori con forza questo ruolo propulsivo rispetto a questo fantomatico Sim da parte di Moro, per le Brigate rosse era inessenziale, perché si rischiava esclusivamente di rendere note e di confermare cose che, ripeto, a livello popolare si mormoravano da anni. Quindi, si sarebbe svuotato l'interesse, si sarebbe svuotata la conferma a quella che era l'analisi politica che le BR facevano, non tanto quella delle responsabilità passate.

PRESIDENTE. Colleghi, siamo giunti alla fine di questa audizione. Ringrazio la signora Faranda per la sua presenza.

La seduta termina alle ore 23,50.

Home page Commissione stragi