Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

56a SEDUTA

MERCOLEDI' 10 NOVEMBRE 1999

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

indi del vice presidente MANCA

Indice degli interventi

PRESIDENTE
PRIORE
FRAGALA' (AN), deputato
MANCA (Forza Italia), senatore
MANTICA (AN), senatore
MIGNONE (Dem. di Sin.-L'Ulivo),senatore
PARDINI (Dem. di Sin.-L'Ulivo), senatore
TARADASH (Misto-P.Segni-RLD), deputato

 

La seduta ha inizio alle ore 20, 55.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta. Invito il senatore Pardini a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

PARDINI, segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta del 27 ottobre 1999.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni il processo verbale si intende approvato. E’ approvato.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE.

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l’ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti il cui elenco è in distribuzione e che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell’inchiesta.

Informo inoltre che l’onorevole Sergio Mattarella ha provveduto a restituire, debitamente sottoscritto ai sensi dell’articolo 18 del regolamento interno, il resoconto stenografico della sua audizione svoltasi il 27 ottobre scorso, dopo avervi apportato correzioni di carattere meramente formale.

MANTICA. Signor Presidente, intervengo perché lei durante l'audizione dell'onorevole Mattarella, parlando di una lista che non so più come chiamare, se quella degli enucleandi o quella della Rubrica "E" citò i nomi di alcuni parlamentari comunisti e disse che nella lista vi erano anche i nomi di parlamentari del Movimento sociale italiano. Lo ricordo perché risposi che la cosa non mi preoccupava perché ciò dimostrava che il Piano Solo era la bozza di un atto a difesa dello Stato democratico di cui evidentemente anche i missini erano considerati fuori dal gioco. Le voglio dire però che avendo consultato i documenti lasciati alla Commissione dall'onorevole Mattarella, non ho trovato nomi di parlamentari missini; pertanto vorrei sapere se lei possiede qualche documento che non ho trovato tra gli atti depositati dal Vicepresidente del Consiglio oppure se la sua affermazione si riferisce a qualcosa di diverso rispetto a quei documenti. Perché le ricordo che in quei documenti depositati dall'onorevole Mattarella, a parte la lettera o bozza di lettera di Rognoni, non c'è nulla di nuovo se non il riferimento ai 731 indicati nella famosa Rubrica "E" che tutti conoscevamo, che nulla ha a che fare con la lista degli enucleandi; non ho trovato di questi nomi per cui vorrei una sua precisazione in merito anche per sapere a quale documento lei fa riferimento.

PRESIDENTE. La ringrazio senatore Mantica, le risponderò subito. Lei ha ragione nel dire che in quegli stralci della Rubrica "E" non ci sono nomi di parlamentari missini. Però ci è stato trasmesso sempre dall'onorevole Mattarella un appunto del CESIS in cui si ragiona sul come e il perché non si trovano le liste degli enucleandi e sulla finalità della Rubrica "E"; in quell'appunto si parla anche del fatto che in tale Rubrica vi fossero questi parlamentari. Però in una delle due versioni della bozza di lettera di Rognoni si dice che con ogni probabilità la lista degli enucleandi è la trascrizione della Rubrica "E". Quindi il mio riferimento è a questo appunto del CESIS.

 

AUDIZIONE DEL DOTTOR ROSARIO PRIORE SUGLI SVILUPPI DEL CASO MORO E SU RECENTI NOTIZIE CONCERNENTI ATTIVITA’ SPIONISTICHE COLLEGATE A FENOMENI EVERSIVI.

(Viene introdotto il dottor Rosario Priore, accompagnato dall’ispettore di Polizia Michele Cacioppo).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione del dottore Rosario Priore, che ringrazio per essere intervenuto. L’audizione concerne gli sviluppi del caso Moro e le recenti notizie riguardanti attività spionistiche collegate a fenomeni eversivi. Resta pertanto fuori dall’oggetto dell’audizione l’inchiesta sulla quale tante volte abbiamo ascoltato il dottor Priore, vale a dire il caso Ustica. Ciò non perché il dottor Priore non abbia dato la sua disponibilità ad essere sentito sulla vicenda Ustica ma, data la delicatezza del ruolo che ha svolto in qualità di giudice istruttore e fra poco inizierà un dibattimento, abbiamo ritenuto opportuno organizzare l’audizione su Ustica previa preparazione di un capitolato di domande da sottoporre preventivamente al dottor Priore.

Il dottor Priore ha avuto un ruolo importante, in qualità di giudice istruttore, nelle vicende giudiziarie del caso Moro.

PRIORE. Ho iniziato ad interessarmi del caso Moro, con l’inchiesta numero uno, il 13 maggio 1978, pochi giorni dopo la morte dell’onorevole Moro. All’epoca fu nominato un pool a capo del quale c’erano il consigliere Gallucci, io stesso, Imposimato, Amato ed anche il collega D’Angelo. Eravamo tutti giudici istruttori. Pubblici ministeri erano altri colleghi. Successivamente, sempre in pool, ho seguito le istruttorie della "Moro 2" con il collega Imposimato e come consigliere istruttore il giudice Cudillo. In seguito, da solo, ho seguito le istruttorie "Moro ter" e "Moro quater" sino all’agosto del 1990.

PRESIDENTE. Poiché siamo ormai al "Moro sexties", credo che lei partecipi del sentimento e della valutazione che questa Commissione ha più volte espresso circa il carattere incompleto e insoddisfacente della verità giudiziaria per come è stata accertata. Questo lei l’ha affermato pubblicamente e in due riprese; anzitutto nella scorsa primavera, quando in sede giornalistica venne fuori la notizia di un possibile ruolo del musicista Igor Markevitch nella vicenda Moro. In quella occasione sia lei che il dottore Imposimato sottolineaste una serie di episodi che riguardavano in particolare indagini da voi svolte per individuare l’esistenza di altre basi delle brigate rosse vicine a Palazzo Caetani; mi riferisco in particolare alle indagini che portarono ad un’iniziale collaborazione di Elfino Mortati. Dalle vostre dichiarazioni l’impressione che ho avuto è che voi siate convinti di essere arrivati molto vicini ad un nervo scoperto, mancando poco alla verifica di ulteriori elementi importanti per un accertamento compiuto della verità. Lei, in altri interventi più recenti, successivi alla pubblicazione dell’archivio Mitrokhin, ha dichiarato pubblicamente che la lettura delle carte dell’archivio avrebbe probabilmente consentito una rivisitazione ab imis dell’intera vicenda Moro. Come lei sa sono del parere che forse la linea che si sta seguendo in sede giudiziaria, vale a dire investigare sugli aspetti più strettamente criminali della vicenda (il numero dei brigatisti che spararono in via Fani, il nome dei due che sopraggiunsero sulla Honda e altri particolari importanti nella dinamica del sequestro), forse dovrebbe cedere il passo ad un’indagine che si appunti maggiormente – come lo stesso Valerio Morucci ci ha fatto osservare – su ciò che avvenne dall’altra parte della barricata, in una "zona grigia" in cui le due parti della barricata potevano in qualche modo confondersi.

Durante questa legislatura abbiamo posto allo staff dei nostri consulenti due domande. La prima per sapere se nel contrasto generale al terrorismo di sinistra vi fossero stati errori o omissioni voluti. La risposta che i consulenti ci hanno dato è stata di carattere negativo. Le Brigate rosse furono contrastate e se vi furono errori, carenze e cadute di tensione si trattò di fatti colposi dovuti ad una situazione di endemica disorganizzazione dello Stato. È stato però riconosciuto che nel caso Moro queste carenze nell’azione investigativa furono tali e tante da lasciare almeno spazio ad un margine di dubbio e pertanto stiamo indagando in questa direzione.

Mi dispiace che non sia presente il senatore Palombo perché a volte nel nostro modo di operare affiorano convincimenti che sembrano contrastanti con quelli espressi precedentemente. Palombo più volte si era detto d’accordo con la conclusione che tende ad escludere che nel contrasto generale alle BR ci possano essere stati momenti di voluta sottovalutazione, inerzia o omissione. Nel corso dell’ultima riunione dell’Ufficio di Presidenza sembrava invece aver assunto una posizione completamente opposta. Per quel che mi riguarda sono convinto che, almento da un certo momento in poi, diventava importante non soltanto individuare la prigione di Moro e salvare la vita dello statista, ma anche riuscire a capire cosa egli avesse detto alle Brigate rosse. Probabilmente le stesse BR, da un certo momento in poi, tentarono di piegare lo Stato ad una trattativa sia attraverso l’utilizzazione dell’ostaggio Moro, che nel frattempo era stato condannato a morte, sia attraverso il possesso di una serie di informazioni ottenute dallo stesso Moro. Le indicazioni che ci pervengono dalle recenti acquisizioni ci fanno pensare che si tratti di una pista che merita di essere investigata fino in fondo.

Non le porrò alcuna domanda, perché penso che i colleghi gliene rivolgeranno parecchie. So che lei come intellettuale più che come magistrato continua a meditare sulle vicende che hanno impegnato una parte consistente della sua attività professionale, quindi le do la parola pregandola però di dividere il suo intervento in due fasi. La prima, con riferimento a quanto almeno a me sembra di aver capito nelle dichiarazioni che lei rese nella primavera scorsa e poi le ultime dopo il ritrovamento del cosiddetto archivio Mitrokhin.

Do senz’altro la parola al consigliere Priore, ringraziandolo per la sua disponibilità. Spero che i colleghi apprezzeranno che questa volta sto lasciando la maggior parte del tempo all’audiendo e ai membri di questa Commissione. Però seguiremo il criterio che abbiamo seguito l’ultima volta e che mi è sembrato efficace; cioè ognuno di voi, nell’ordine in cui l’avete chiesto, potrà avere il campo per dieci minuti, comprese le risposte del dottor Priore. Naturalmente alla fine chi non avesse esaurito le domande potrà nuovamente intervenire.

PRIORE. Ringrazio il Presidente per avermi dato la parola e anche per la fiducia che ella mi accorda ancora, così come me l’accorda questa Commissione.

Giustamente il Presidente ha detto che è diverso tempo che io non tratto più la questione Moro e quindi mi interesso ad essa soltanto attraverso libri, letture e vari media. Debbo dire che di fatto io, come tutti gli altri colleghi che si sono interessati al caso Moro, sono stretto tra due fronti, che impersono in due persone particolari. Una è il senatore Flamigni, che da una parte critica le nostre inchieste e le nostre sentenze (premetto che il senatore Flamigni a mio parere è il più profondo conoscitore del caso Moro) quando in un certo senso noi tentiamo di chiudere e affermiamo che non c’è più nulla da scoprire sulla meccanica del sequestro e della detenzione dell’onorevole Moro, su quanto è successo fino all’ultimo giorno di questa tragedia, cioè il 9 maggio. Sull’altro fronte ci sono persone, tra cui molti opinion makers e intellettuali, che ci criticano quando, di tanto in tanto, ritorniamo sul problema. Non ho timore di citare anche chi, tra gli altri, è su questa linea, cioè il giornalista Bocca, che ci critica di sovente perché noi in un certo senso formeremmo una sorta di gruppo e vivremmo, come si dice abbiano vissuto alcuni nostri colleghi dell’antimafia, sull’antiterrorismo. Quindi vivremmo affermando di tanto in tanto che c’è tutto da scoprire.

PRESIDENTE. Se mi consente, anche il presidente di questa Commissione è unito a voi in questa critica a Giorgio Bocca.

PRIORE. Capita spessissimo di essere stretti tra questi due fronti. Ripeto quanto ho detto nel corso del "Moro-quater" e cioè (questo discorso mi trova d’accordo col Presidente) che noi abbiamo accertato quasi tutto, dopo che è venuto fuori il famoso memoriale Morucci-Faranda, sulle modalità del sequestro e dell’assassinio dell’onorevole Moro. E’ difficilissimo andare oltre e, lungi da me qualsiasi critica a coloro che stanno compiendo le indagini, è inutile indugiare sulle moto Honda, su chi ci fosse, un qualsiasi personaggio dell’Autonomia o di altri ambienti. Adesso dovremmo fare qualcosa di diverso, e l’ho sempre detto. Quel che ci interessa e che dovrebbe interessare tutti gli inquirenti in questo momento, sia in sede giudiziaria sia in sede parlamentare, è tentare di capire (questa, lo ripeto, è una sorta di mia fissazione) come si sono mosse le forze politiche durante il sequestro Moro e cosa è successo in questo paese, nonché di capire quali fossero i rapporti che l’organizzazione delle BR aveva con altre similari organizzazioni in sede internazionale, ovviamente, oltre che nazionale e quali fossero le relazioni tra queste organizzazioni e alcuni Stati e quindi i loro Servizi.

E’ per questo che io, subito dopo la pubblicazione dell’archivio Mitrokhin ho in un certo senso ribadito l’interesse che si andasse di nuovo a fondo cercando di scoprire cosa fosse successo in quel periodo. Di qui il mio interesse particolare, come lettore, come persona che legge libri e riviste, ascolta la radio e la televisione, di cercare di capire cosa ci fosse scritto esattamente nell’archivio Mitrokhin. Anche in questo caso ci sono ovviamente, lo si riscontra tutti i giorni, più partiti. C’è il partito di coloro che credono nell’autenticità assoluta del dossier e quello contrario che, senza aver compiuto alcuna verifica, gli attribuisce una totale falsità. Credo che su questo versante si debba lavorare moltissimo.

Avevo chiesto al Presidente la cortesia di passare a questo punto in seduta segreta, perché negli ultimi giorni ho creduto di poter collegare nella mia opinione l’archivio Mitrokhin con il caso Moro.

PRESIDENTE. Prima che il consigliere cominci, vorrei dire ai colleghi che egli mi aveva preannunciato questa sua intenzione di passare in seduta segreta. Penso che le cose che dirà ci obbligheranno a trasmettere alla Procura di Roma questo verbale, che però deve restare segreto. Se noi ci assumessimo la responsabilità di non mantenerlo tale, quanto ci dirà il dottor Priore potrà non avere sviluppi indagativi utili per effetto della pubblicità che noi avremo dato a queste dichiarazioni. Richiamo i colleghi a questa attenzione e sono contento che questo resti a verbale.

Non conosco il contenuto di quanto ci esporrà il dottor Priore, ma poco fa mi ha accennato che sono di una certa importanza. Quel che ci dirà lo dovremo trasmettere alla Procura di Roma, ma è bene che questa abbia una notizia vergine e non sia in alcun modo indebolita, come traccia indagativa, da propalazioni, anticipazioni o pubblicità.

Quindi richiamo tutti voi a questa responsabilità.

FRAGALA’. Signor Presidente, naturalmente non sapendo quello che dovrà riferire il dottor Priore non posso oppormi alla seduta segreta, anche se sono dell’opinione che qualunque attività del Parlamento e quindi di una Commissione parlamentare deve essere assolutamente trasparente e deve avere immediatamente come interlocutore l’opinione pubblica. Però ritengo che il suo richiamo in ogni caso, a prescindere da quello che dirà il dottor Priore, non sia assonante con le funzioni di questa Commissione. Infatti, non c’è dubbio che il dottor Priore questa sera non viene audito come magistrato del Tribunale di Roma, tant’è vero che non lo ascoltiamo su inchieste da lui condotte recentemente ma proprio come intellettuale e come conoscitore, per la sua attività pregressa, del caso Moro, che noi questa sera vogliamo analizzare da punto di vista storico e politico. Quindi, non credo che quanto dirà il dottor Priore possa essere (non lo credo affatto, altrimenti egli si sarebbe presentato al Procuratore capo della Repubblica o di Perugia o di Roma e non certamente alla Commissione stragi) uno spunto investigativo per aprire un’indagine preliminare su questioni che possano essere doverosamente poste all’attenzione dell’autorità giudiziaria.

Dunque accetto, naturalmente perché lo chiede il nostro ospite, che si passi in seduta segreta, ma non accetto che qualcuno dica che l’eventuale divulgazione di quanto si dirà possa essere un elemento di inquinamento di un futuro quadro probatorio rispetto ad un intervento che, venendo da un magistrato così qualificato e così noto, certamente non potrà che essere oggetto di una attività investigativa o di indagine. Questo lo ritengo a lume di logica; se poi ci sono logiche che, non conosco, evidentemente sono pronto a cambiare parere.

PRESIDENTE. Mi rimetto al parere del dottor Priore: se ciò che sta per dirci è irrilevante ai fini degli sviluppi dell’indagine giudiziaria lei avrebbe ragione, non ci sarebbe motivo di sentirlo in seduta segreta. Se, invece, potesse avere rilievo, penso che la mia osservazione sia di irrefragabile esattezza.

PARDINI. Vorrei dire che eccezionalmente mi trovo d’accordo con quanto detto dall’onorevole Fragalà, in questo senso: se il dottor Priore ha qualcosa da dire che può essere utile all’indagine lo pregherei di non dirla e di parlarne alla Procura; se, invece, ha qualcosa da dire che può essere ascoltato da questa Commissione, può anche essere sentito in seduta segreta, però deve essere chiaro che quanto egli dice oggi non ha attinenza con le indagini in corso. Non credo che una Commissione parlamentare sia il luogo adatto per dire cose che possano interessare le indagini in corso; le indagini le fanno i magistrati. Pertanto pregherei il dottor Priore di dirci quanto è a sua conoscenza e, se ritiene, di rispondere alle nostre domande, ma di astenersi assolutamente dal riferire quanto possa essere utile a delle indagini anche se fossero solo suoi spunti investigativi. Credo che questo – ma non glielo devo certo dire io - sarà meglio che lo racconti ai magistrati romani.

PRESIDENTE. Senatore Pardini, la legge ci assegna i poteri dell’autorità giudiziaria e prevede, proprio per questo, che possiamo anche non avere momenti di pubblicità tipici dell’attività parlamentare. Non so se il dottor Priore ha già informato l’autorità giudiziaria di quanto ci dirà, dal momento che non so che cosa ci deve dire. Potrebbe averlo fatto e potrebbe voler informare anche noi ma questo; tutto sommato, rientrerebbe nelle informazioni che per noi sarebbero utili, ma che ci imporrebbero di mantenere la segretezza. Potrebbe non averlo ancora fatto e farlo prima con noi e poi con il pubblico ministero, chiedendo di essere ascoltato come persona informata dei fatti.

PARDINI. In questo caso va detto al dottor Priore, per doverosa informazione, che questa Commissione non è in grado oggi, come non lo è stata in passato, di garantire la segretezza.

PRESIDENTE. Questa Commissione è stata a lungo in grado di mantenere il segreto. Negli ultimi mesi, purtroppo, ci sono state situazioni diverse.

PARDINI. Sta al dottor Priore trarre le conseguenti decisioni.

PRIORE. Il documento che mi è pervenuto è stato già trasmesso alla Procura della Repubblica. Credo che ci siano degli elementi utili per determinare le generalità della persona che in esso viene indicata. Il problema è un altro: prima di prendere questa decisione, io avevo già l’intendimento di omettere – con il consenso del Presidente – alcuni dati che potrebbero essere utili alle indagini. Quindi, in un certo senso, tutto questo lo avevo già preventivato. C’è un contenuto che potrebbe essere utile alle inchieste che la Commissione parlamentare svolge in un certo senso come vera e propria autorità inquirente. Per quanto concerne il segreto, che deve attenere o meno a questa seduta, non compete certo a me determinarlo ma al Presidente e alla Commissione stessa.

PRESIDENTE. Dottor Priore, se lei mi chiede di parlare in seduta segreta passo in seduta segreta, altrimenti preferirei proseguire in seduta pubblica. Proseguiamo quindi i nostri lavori in seduta pubblica.

PRIORE. Nei giorni scorsi, alla fine della settimana appena passata, ho ricevuto una nota da una persona sicuramente conosciuta da voi tutti, proprio per il fatto che era persona vicinissima all’onorevole Aldo Moro; questa persona, di cui dico immediatamente il nome perché non c’è nessun problema di segretezza sul mittente di questa lettera personalmente indirizzata a me, cioè il professor Tritto, ricevette la notizia della morte dell’onorevole Moro e l’indicazione del luogo ove si trovava la salma, cioè in via Caetani.

Il professor Tritto scrive a me e motiva anche le ragioni per cui presceglie me come destinatario di questa lettera. Egli narra quanto ha ricordato in seguito alla pubblicazione dell’archivio Mitrokhin e io posso benissimo darne notizia perché il professor Tritto, mi ha autorizzato a usare questa lettera. Se ci sono dei contenuti che attengono alle indagini, questo lo vedrà ovviamente la Procura della Repubblica cui ho già trasmesso questo atto.

Se volete, passo alla lettura, perché è una lettera piuttosto complessa. Nei primi due capoversi che sono di carattere personale, il professore motiva la sua decisione circa l’invio di questa lettera; poi c’è un terzo capoverso in cui parla della figura dell’onorevole Aldo Moro e un quarto in cui afferma di non saper giudicare quale possa essere il valore dei fatti che riferisce in questa nota datata 5 novembre 1999.

Ecco i fatti. Siamo al sesto capoverso: "A seguito delle notizie portate a conoscenza dell’opinione pubblica relative a un dossier dei Servizi di sicurezza dell’Unione Sovietica contenente, tra l’altro, un elenco di nominativi di persone legate al suddetto Servizio di sicurezza, ritengo doveroso riferire alcuni fatti e circostanze verificatisi nel 1978, anno in cui fu rapito e ucciso l’onorevole professor Aldo Moro. Come lei sa, il sottoscritto ebbe l’onore di essere stato prima allievo e poi assistente universitario ed amico personale del professor Moro. Per detta circostanza intratteneva con lui rapporti quotidiani e quanto qui riferisco ebbe a verificarsi nel periodo immediatamente precedente al rapimento e nei giorni seguenti. Era consuetudine del professor Moro intrattenersi con alcuni studenti, spesso per oltre un’ora dopo la lezione, nei corridoi della facoltà di scienze politiche dove insegnava istituzioni di diritto e procedura penale. Io ero solitamente presente sia alle lezioni che ai colloqui che il professore intratteneva con i suoi allievi. Tra gennaio e febbraio del 1978" – è da notare che in questo periodo parte la realizzazione, la messa in cantiere del progetto del sequestro di Moro – "in una delle suddette circostanze, mentre ero a colloquio con il professore un giovane" – e qui ne dà la descrizione fisica che per il momento vorrei omettere – "si è avvicinato al professor Moro domandandogli in italiano corretto ma con accento evidentemente straniero ‘Lei è l’onorevole Moro?’. A seguito della risposta affermativa il giovane si intrattenne per svariati minuti discorrendo sempre in italiano sia con il professore che con me, informandoci che proveniva da Mosca ed era in Italia per aver vinto una borsa di studio; con tutta probabilità la disciplina afferente alla borsa di studio era storia del Risorgimento. Come solitamente accadeva per la sua particolare dedizione ed attenzione al mondo giovanile, l’onorevole Moro rivolse alcune domande al giovane al fine di conoscerne le attitudini, le aspirazioni e, nondimeno, per cogliere gli aspetti umani e caratteriali della sua personalità. Tra le prime domande che il professor Moro rivolse al giovane ve ne fu una che, ad avviso del sottoscritto, rivestiva particolare significato in quel contesto: ‘Tu hai già fatto il servizio militare?’. La risposta fu affermativa. ‘A che età?’. Il colloquio proseguì e l’onorevole Moro disse al giovane che lo avremmo invitato alle conferenze che eravamo soliti organizzare al di fuori dell’Università. Si trattava di cicli di conferenze sui temi più attuali dell’epoca, organizzate dal sottoscritto" – cioè dal professor Tritto – "che dirigeva un centro culturale sorto per desiderio del professor Moro. Dopo che il giovane ebbe a congedarsi lasciando un recapito dove avremmo potuto inviare gli eventuali inviti alle conferenze" – ometto il recapito – "rimasi a colloquio ancora per alcuni minuti con il professore, mostrando un certo stupore per la circostanza verificatasi, dovuto soprattutto alla considerazione che in quell’epoca non era facile incontrare studenti dell’Unione Sovietica nei corridoi della nostra Università. In tal contesto ebbi a rivolgere al professor Moro una domanda: "Non possiamo fare qualche cosa per avere informazioni su questo giovane? Non potremmo avere notizie tramite ambasciata?". Il professor Moro risposte testualmente: "Anche se volessimo lì sono tutte spie; se lui ti pone qualche domanda cerca di essere vago e generico". Peraltro, non mancai di far presente al professore il mio stupore relativamente al fatto che il giovane parlasse così bene la lingua italiana e la risposta di Moro fu: "di solito usano le cuffie; li tengono lì per molte ore e alla fine o impazziscono o imparano bene la lingua". Nei giorni successivi il giovane tornò a salutare l’onorevole Moro, cosa che accadde più volte. In una di quelle occasioni, rivolgendosi a me, ebbe a chiedermi inopinatamente se il sottoscritto era solito viaggiare in auto con l’onorevole Moro. La risposta fu ovviamente evasiva. Altrettanto strano apparve la domanda che il giovane rivolse ad altre persone nel corso di una conferenza tenutasi nel mese di febbraio o probabilmente agli inizi del mese di marzo 1978 – qui indica il luogo ove si tenne questa conferenza, che ometto allo stato – in Roma alla quale il giovane era stato invitato. Al tavolo della Presidenza sedevano il professor Moro, l’onorevole Carlo Russo ed io stesso. Da quella posizione mi fu facile riconoscere il giovane borsista tra le prime file mentre chiacchierava con le persone che gli erano accanto. Fu proprio ad una di queste persone che fu rivolta la domanda: "Chi sono quei signori?" Si trattava degli uomini addetti alla sicurezza dell’onorevole Moro. Qualche giorno prima del rapimento l’onorevole Moro era riuscito ad ottenere alcuni inviti per i suoi allievi per assistere al discorso programmatico in occasione della presentazione del nuovo Governo alle Camere. Incontrando il giovane borsista disse che avrebbe cercato di ottenere l’invito anche per lui, sebbene il numero dei suddetti inviti fosse limitato a causa delle particolare occasione. Il giorno 15 marzo 1978, giorno prima del rapimento, il professor Moro mi disse che era riuscito a trovare il suddetto invito anche per "Sergio". Così l’onorevole Moro chiamava il giovane che aveva detto di chiamarsi Sergey Sokolov. Poiché il suddetto giovane non si era visto nel corridoio della facoltà quella mattina ci rivolgemmo al maresciallo responsabile della P.S. all’Università, che solitamente veniva a salutare l’onorevole Moro ed il maresciallo Leonardi, per sapere se aveva avuto occasione di incontrare il giovane e se poteva rintracciarlo. Dopo alcuni minuti, il maresciallo giunse in compagnia di Sergio che probabilmente era in qualche aula e il professor Moro ebbe a dire testualmente: "Hai visto? Ti abbiamo rintracciato tramite la polizia. Volevo dirti che sono riuscito ad ottenere l’invito alla Camera anche per te. Vai a ritirarlo presso il mio studio in via Savoia". Ciò detto si congedò dal giovane. Accompagnai alla vettura il professor Moro, il quale durante il tragitto ebbe a riferirmi la seguente frase: "Caro Franco – è il nome di battesimo del professor Tritto – vedrai che quest’anno avremo molta più violenza dello scorso anno" ed io in risposta: "Speriamo di no, Presidente". Ci congedammo; fu il mio ultimo incontro con il professor Moro. Il giovane sovietico, a quanto risulta, non si è mai recato in via Savoia per ritirare l’invito né è stato visto all’università nei giorni successivi al rapimento dell’onorevole Moro. Il giorno 16 marzo 1978, immediatamente dopo il sequestro dell’onorevole Moro nelle prime ore pomeridiane, insieme ad altri amici ed allievi dell’onorevole Moro, mi recai al Ministero dell’interno, presso l’ufficio del sottosegretario all’epoca, onorevole Nicola Lettieri, per raccontare quanto accaduto a proposito del giovane sovietico. L’onorevole Lettieri ci rassicurò, informandoci che della cosa avrebbe interessato una persona di sua fiducia. Dopo qualche giorno fui raggiunto telefonicamente da persona che si qualificò con un determinato nome e che disse di chiamare da parte del sottosegretario per chidermi un incontro. Concordammo di incontrarci presso la sede della Democrazia Cristiana in piazza del Gesù, cosa che avvenne di lì a poco. Nel corso dell’incontro questo dottore, persona compita e gentile, ebbe a comunicarmi che il suo nome in codice era il nome di battesimo con l’aggiunta di un "de". Esposi dettagliatamente quanto avvenuto all’università, dopodiché ci congedammo e questa persona ebbe a rassicurarmi che avrebbe effettuato le indagini del caso. Dopo alcuni giorni fui ricontattato dal suddetto ufficiale e nel corso di un nuovo incontro, sempre presso Piazza del Gesù, questo dottore mi comunicò che dalle indagini effettuate non era emerso nulla di particolare a carico del signor Sergey Sokolov, il quale risultava essere effettivamente un borsista dell’Unione Sovietica in Italia per motivi di studio. Ci congedammo con l’intesa che ci saremmo risentiti in caso di novità - segue l’indicazione del recapito telefonico di questo dottore che si incarica delle indagini, l’indicazione della sua vettura, della targa. Poi si passa all’altro capoverso - "fui ricontattato dal suddetto ufficiale il 7 aprile 1978, il giorno dopo aver ricevuto la prima telefonata delle Brigate rosse, con la quale mi si richiedeva – è sempre Tritto a parlare – a nome del Presidente Moro di recapitare una lettera alla signora Moro. L’incontro ebbe luogo questa volta presso il bar Canova, in piazza del Popolo, l’8 aprile 1978, intorno alle ore 11 o 12. Questo dottore mi chiese se avessi qualcosa di nuovo da comunicargli ed io risposti di non aver nulla da riferire, nel timore di interrompere il filo di speranza che mi sembrava si andasse edificando ai fini della salvezza del professor Moro. Nel pomeriggio dell’8 aprile 1978 fui ricontattato nuovamente dalle Brigate rosse che mi chiesero di andare a ritirare un altro messaggio del Presidente a piazza Augusto Imperatore. "Il Presidente ha deciso di abusare della sua cortesia" dissero così le Brigate rosse. Lì era giunta per prima la polizia che aveva intercettato la telefonata. Il giorno dopo una nuova telefonata delle Brigate rosse mi annunciava che non mi avrebbero potuto più utilizzare in quanto ero controllato dagli Interni". Seguono poi frasi finali di carattere personale nei miei confronti. Quando mi ha consegnato questa lettera, il professor Tritto che adesso ha ereditato la cattedra del professor Moro, era nello stesso stato di commozione – mi è sembrato – di quando ricevette la notizia della esistenza del cadavere di Moro a via Caetani. Lì abbiamo sentito mille volte la telefonata registrata e lo abbiamo sentito piangere. Quando mi ha consegnato questa lettera era nello stesso stato. Guardando il dossier Mitrokhin, ho trovato una scheda: il report 83 alle pagine 152 e 153 che ha come date of emission il 23 agosto 1995, in cui si parla di un certo Sergey Fedorovich Sokolov – coloro che hanno trascritto questa scheda, sia gli inglesi che gli italiani, hanno scritto male il nome perché hanno dimenticato l’umlaut sulla "e" di Fedorovic, che si legge "Fiodorovic" – ufficiale del Kgb, nato il 5 giugno 1953, venuto in Italia come corrispondente della Tass a Roma dal 1981 al 1985, (scheda di pag. 152) il quale fu costretto a tornare in Unione Sovietica perché la persona con la quale aveva studiato, il suo collega, cioè Vladimir Kuzichkin aveva defezionato in favore degli inglesi nel 1982. Quindi Sergey Fëdorovich Sokolov è stato in un certo senso fatto rientrare in Unione Sovietica prima del tempo.

PRESIDENTE. Se però si fosse trattato della stessa persona indicata dal professor Tritto, credo sarebbe arrivato prima in Italia.

PRIORE. Sokolov sarebbe arrivato in Italia per studiare storia, ovviamente sempre ammesso che si tratti della stessa persona, questo bisognerà accertarlo. Il fatto che mi sembra strano è questo ritorno in Italia; infatti avrebbe soggiornato nel nostro paese nel 1978, per poi scomparire il 14 – 15 marzo dello stesso anno, cioè uno o due giorni prima del sequestro Moro. Ripeto, comunque, che bisogna verificare se si tratti della stessa persona. Successivamente, a distanza di quattro anni, sarebbe rientrato in Italia - ove sarebbe rimasto dal 1981 al 1985 come corrispondente della TASS - poi come ho già detto sarebbe stato fatto rientrare prima. Questi sono i dati contenuti nel report n. 83 dell’archivio Mitrokhin.

MANCA. Quando sarebbe stato fatto rientrare?

PRIORE. Nel 1982. Era stato mandato credo in Siria; comunque Sergey Fëdorovich Sokolov – secondo quanto si evince dalla pagina successiva dell’archivio – era ufficiale del V Dipartimento del I Direttorato principale del KGB, competente per l’Italia; egli fu richiamato prima della fine della sua missione perché aveva studiato insieme a Vladimir Kuzichkin che scomparve dall’Iran in circostanze misteriose; successivamente fu accertato che era scomparso perché aveva defezionato in favore degli inglesi. Questo è quanto si è potuto accertare fino a questo momento. Certamente – ne ho parlato già diverse volte con il Presidente – ritengo che l’archivio Mitrokhin rappresenti una grande miniera di informazioni. Infatti, leggendo le diverse carte ho riscontrato molti altri fatti – che ovviamente vanno verificati sia dalla Commissione che dall’Autorità giudiziaria – che mi sembrano piuttosto interessanti.

Il problema che al riguardo mi ponevo è il seguente: nel caso si trattasse della stessa persona sarebbe interessante sapere se il KGB fosse a conoscenza del sequestro Moro prima che questo si verificasse; infatti, più si va avanti nella inchiesta, più si scoprono persone che erano a conoscenza del fatto, che si sarebbe dovuto verificare questo sequestro; era diventato quasi un fatto notorio, ne parlavano tutti, ripeto tutti sapevano che si sarebbe verificato un sequestro ai danni di una grande figura della Democrazia Cristiana. Se il KGB era a conoscenza di questo fatto, a mio avviso ci dobbiamo porre il problema di come avesse potuto venirne a conoscenza in anticipo ed altresì quali fossero le ragioni per cui aveva destinato questa persona proprio in quella università. Quello che ci si chiede, inoltre, è quale potesse essere il tramite delle notizie e questo è un problema che riguarda un po’ tutto l’archivio Mitrokhin. Al di là del fatto che tutti questi dati andranno verificati, se noi diamo un certo contenuto di autenticità a tale archivio credo che il problema principale per la Commissione e per l’Autorità Giudiziaria sia quello di stabilire quali siano stati i tramiti; infatti, riguardo a questo aspetto ancora non si può fare alcuna luce.

PRESIDENTE. Dottor Priore, c’è tutta la parte iniziale sulla quale l’avevo pregata di soffermarsi per primo, proprio per dare una scadenza alle nuove acquisizioni rispetto ai vecchi sospetti. Mi riferisco alla vicenda di Elfino Mortati e al covo delle Brigate rosse. Personalmente conosco la questione, tuttavia la pregherei di esporla alla Commissione.

PRIORE. Elfino Mortati è un personaggio del comitato regionale toscano, ossia una struttura in embrione di brigata; infatti i comitati regionali – lo dico per chi è così giovane da non aver seguito la vicenda delle Brigate rosse – erano gli embrioni delle cosiddette colonne brigatiste. In Toscana non esisteva una colonna, ma si intendeva formare questa struttura anche in tale regione e quindi si procedette organizzando un certo numero di giovani. Tra questi vi era anche Elfino Mortati che con altri suoi compagni uccise un notaio di Prato. Ad un certo punto venne arrestato e decise di dissociarsi. Fu sentito in primo luogo da alcuni colleghi della magistratura fiorentina, successivamente – dato che nel corso dei primi interrogatori aveva dichiarato di essere stato a Roma durante il sequestro Moro e di essere stato ospitato in un appartamento del Ghetto, il quartiere ebraico di Roma – fu sentito da noi più volte. Insieme al collega Imposimato tentammo – i primi interrogatori li aveva condotti il collega Amato - di individuare tale appartamento. Effettuammo diversi sopralluoghi nella zona sopra citata, ma l’impresa non sortì alcun effetto. Ricordo che Mortati indicava un angolo di via dei Funari che in un primo momento si ritenne fosse via Caetani (dove fu poi trovato il cadavere dell’onorevole Moro) e successivamente una strada parallela che mi sembra si chiami via di Santa Elena, una via molto breve che si affaccia su Largo Argentina. Al riguardo le indicazioni erano molto precise e conducemmo ricerche approfondite, ma in effetti non riuscimmo a raggiungere alcun risultato. In merito a questa vicenda è venuta fuori la storia della foto che ci fu scattata da qualche servizio segreto mentre ci trovavamo in quei luoghi con il Mortati. Sono stato il destinatario della foto e posso dire che le cose non sono andate assolutamente così: si tratta di una fotografia che è sicuramente tra le mille carte che conservo in ufficio e che mi è stata inviata a titolo esclusivamente privato. In essa appariamo io ed il collega Imposimato mentre siamo alla ricerca dell’appartamento in questione. L’immagine sicuramente si riferisce a via dei Funari, almeno dai palazzi che si vedono sullo sfondo. Sul retro di questa foto è stata scritta anche la seguente battuta: "il gatto e la volpe". So benissimo chi inviò tale foto, ma non so se un esemplare fu fatto pervenire anche al collega Imposimato. Ad inviarmi tale foto fu il prefetto Domenico Spinella che all’epoca era capo dell’Ufficio politico – non so se questa struttura avesse già assunto il nome di Digos – ed era stata scattata da una postazione collocata su un campanile nella zona, forse quello della chiesa di Santa Caterina ai Funari. Si tratta di un campanile di un’antica chiesa che si affaccia proprio su via Caetani e via dei Funari all’altezza di palazzo Mattei; mi riferisco cioè ai luoghi dei quali si è parlato tanto ossia di palazzo Mattei, di palazzo Caetani…

PRESIDENTE. Quale era il palazzo con i leoni?

PRIORE. E’ difficile dire quale fosse il palazzo con i leoni; si è sempre pensato che si trattasse di palazzo Caetani. Personalmente non sono mai entrato all’interno di questo edificio; tuttavia passando per via delle Botteghe Oscure, attraverso il portone aperto ho potuto scorgere un emblema araldico, ma non sono riuscito a riconoscere l’animale rappresentatovi. Posso soltanto dirvi che vi è un galero cardinalizio che sormonta lo stemma araldico, ma non riesco a confermare se si tratti di leoni perché bisognerebbe avvicinarsi maggiormente allo stemma che è situato in fondo al cortile.

PRESIDENTE. Dottor Priore, ricordo che durante alcune nostre conversazioni lei affermò che vicino all’isola Tiberina c’era un palazzo che corrispondeva alla descrizione fornita dal veggente olandese che fu ascoltato in quel frangente.

PRIORE. Il veggente olandese aveva parlato di un palazzo nel cui androne si poteva osservare un emblema in cui si vedevano due leoni rampanti che si affrontavano e questa immagine potrebbe essere un qualcosa che corrisponde allo stemma dei Caetani. Vi era comunque anche un altro palazzo che poteva corrispondere a tale descrizione; mi riferisco al vecchio palazzo Orsini, ossia la parte costruita nel Medio Evo situata all’interno del teatro di Marcello, che ha un ingresso su via Monte Savello, nel quale si può osservare un orso rampante. Quello che intendo dire è che ci sono diversi palazzi che potrebbero corrispondere alla descrizione fornita dal veggente.

PRESIDENTE. Dottor Priore, perché nell’inchiesta sul caso Moro attribuivate questa importanza all’individuazione della base brigatista vicino a via Caetani? Forse perchè nel corso di un’intervista - riportata sul settimanale L’Espresso il 2 dicembre 1984 - Moretti dichiarò che il rischio di spostare il cadavere di Moro da via Montalcini a via Caetani era calcolato in relazione "al breve tempo, al breve spazio e per i pochi minuti necessari."? Era questo che vi faceva pensare alla possibilità che Moro non fosse stato ucciso a via Montalcini, ma in un luogo la cui vicinanza a via Caetani attenuava il rischio del trasporto del cadavere?

PRIORE. Queste dichiarazioni di Moretti, se sono del 1984, sono successive alla nostra ipotesi.

PRESIDENTE. Perché allora davate importanza all’esistenza di una base vicina a via Caetani?

PRIORE. Perché pensavamo che la distanza tra via Montalcini e via Caetani fosse estremamente pericolosa, specialmente in quel periodo e che quindi dovesse o potesse esserci una qualche base più vicina, senza scartare l’altra contraddizione che anche trasporta il sequestrato da via Montalcini a questa base finale avrebbe comportato un rischio piuttosto forte. Girare per Roma con il sequestrato, sia vivo che morto era pur sempre un forte rischio. C’è da dire che le dichiarazioni di Moretti ci hanno confermato in questa ipotesi, perché Moretti parla di pochi minuti, di una breve distanza, di qualcosa che potesse prendere un tempo breve e questo in un certo senso contraddice con il fatto che Moro potesse essere ancora a via Montalcini che si trova molto lontano, soprattutto in un orario di traffico intenso: via Montalcini si trova al lembo estremo della Magliana, un quartiere già all’estremità sud-ovest della città.

PRESIDENTE. Volevo solo avere questa conferma. Ad un certo momento Elfino Mortati cessò questa sua collaborazione. Vuol dirci perché?

PRIORE. E’ stata una sorgente che si è estinta. Non so quali possano essere stati i motivi.

PRESIDENTE. Fu forse per un articolo di Guido Paglia sulla "Nazione" di Firenze in cui si parlava di questa collaborazione di Mortati?

PRIORE. Non ricordo questo articolo di Paglia. Per quanto possa ritenere adesso, stimo che Mortati ad un certo punto abbia avuto timori, abbia perso quel senso di fiducia che il dissociato deve avere nei confronti del giudice. Mortati era molto preparato e molto deciso e in un certo senso spesso mostrava il desiderio di intrattenere con il giudice discussioni di carattere ideologico. Forse sperava di avere interlocutori con una preparazione superiore. Ricordo che ogni volta che tentavamo di fare con lui discorsi concreti, o di farci riferire delle circostanze di fatto, spostava sempre il discorso trasferendolo sul piano ideologico; in un certo senso sperava di poter convincere l’interlocutore della giustezza del suo operato. Era dunque una persona fortemente ideologizzata, non era un giovane da poco quanto a preparazione ideologica.

PRESIDENTE. Faceva parte di un ambito delle BR rispetto al quale, secondo la nostra riflessione, non si è investigato sufficientemente. Anche i nuovi sviluppi dell’inchiesta sull’omicidio D’Antona sembrano confermare che sono rimasti ambiti di impunità nel mondo toscano delle BR. L’abbiamo scritto in una relazione che abbiamo approvato e mi sembra che gli sviluppi dell’inchiesta D’Antona stiano andando in questa direzione. Probabilmente la filiazione di queste nuove BR è una filiazione toscana, un collegamento al vecchio BR-PCCI autore di altri omicidi (Conti, Ruffilli, Tarantelli). Io ritengo sia estremamente verosimile che agenti russi potessero essere informati di qualcosa che nell’autonomia era filtrato, cioè l’idea del rapimento di Moro. Quando la ascoltammo nell’altra legislatura, lei ci disse che anche in Francia le risultava che nel febbraio 1978 già si parlava di un possibile rapimento di Moro. Lei ci disse allora che in Francia, a Parigi, nel febbraio 1978, si sapeva dell’organizzazione del sequestro Moro.

PRIORE. Nel corso delle commissioni rogatorie che esperimmo in Francia, fu detto a me e ad Imposimato, che voci di un sequestro – non ricordo con esattezza se dell’onorevole Moro o di altro uomo politico italiano – erano pervenute - e questo ci fu detto in una sede di polizia - prima che si realizzasse l’esecuzione del sequestro, cioè nell’inverno del 1978.

PRESIDENTE. Se questo fosse vero, è possibile che i nostri apparati non abbiano avuto informazioni dai servizi alleati? Mi sorprende che non ce lo abbiano detto i francesi.

PRIORE. Per dare una risposta esatta alla sua domanda, bisognerebbe capire quale fosse il valore di possibilità, di ipoteticità della notizia francese, cioè se fossero sicuri, se avessero fatto delle verifiche o dei riscontri, perché la voce che un personaggio della DC o comunque che un uomo politico sarebbe stato sequestrato era in quel periodo diffusissima, tanto che Renzo rossellini lo disse quarantacinque minuti prima.

PRESIDENTE. Un’ultima domanda: il professor Tritto, che avrete certamente ascoltato durante le indagini, di questo episodio vi ha mai raccontato nulla?

PRIORE. No. Mai.

PRESIDENTE. Eppure era un episodio molto strutturato: i ripetuti contatti all’università forse avrebbe potuto rimuoverli, ma non la vicenda successiva e cioè questo funzionario degli apparati, che incontra due volte e al quale fornisce delle notizie. E’ strano che di questo non abbia parlato. Lei che spiegazione si è data?

PRIORE. Penso che la memoria di Tritto sia riemersa dopo la pubblicazione del memoriale Mitrokhin, perché al tempo si trattava solo di un contatto con un ragazzo.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda il contatto con il ragazzo non vi è dubbio, ma rispetto alle indagini ulteriori che sarebbero state fatte..

PRIORE. Quali?

PRESIDENTE. Se ho capito bene la lettera che lei ci ha letto, il colloquio con Lettieri, il funzionario di polizia che disse di aver fatto delle indagini… Questo avveniva durante lo sviluppo della vostra inchiesta, ma a voi non è stato riferito e dall’inchiesta non risulta.

PRIORE. La persona che fa le indagini è un personaggio dei servizi, non è un funzionario di polizia giudiziaria. Tritto in un certo senso fu rassicurato; gli fu detto che si trattava di un bravo ragazzo, cioè di un borsista che era all’università. I collegamenti sono venuti successivamente.

PRESIDENTE. Anche Tritto ha letto quel nome nell’archivio Mitrokhin?

PRIORE. Credo di no, avrà letto le notizie sui giornali, non credo sia in possesso dell’archivio.

PRESIDENTE. Ogni tanto vi sono degli strani ritorni di memoria. Sono rimasto colpito ad esempio da una dichiarazione rilasciata ieri da Galloni all’agenzia ADN Kronos. La Commissione ha ascoltato Galloni in un’audizione sul caso Moro, ma queste cose da noi non le ha dette. Galloni riferisce all’agenzia parlando di Moro "Mi disse di aver avuto la precisa sensazione che la CIA e il Mossad avessero informazioni ed elementi (sulle BR) ma che non le volessero fornire di proposito. Del KGB non parlammo". Qui però Galloni accenna di non potere escludere che anche il KGB fosse interessato alla fine di Moro e che vi fosse un accordo tra settori del KGB e settori della CIA. Questa è un’ipotesi che io per la verità ritengo sempre al limite estremo della verosimiglianza; non lo supera forse questo limite solo perché qualcuno ogni tanto ce ne parla; ne ha parlato Arcai, ne ha parlato Delfino, Bozzo ne ha parlato come di un’ipotesi di Dalla Chiesa...

Io resto colpito perché fatti importanti come questo e cioè che Moro abbia detto che la CIA e il Mossad avevano notizie sulle BR… Galloni a voi lo ha detto mai? Non credo.

PRIORE. No. A me personalmente no.

PRESIDENTE. A noi in Commissione non lo ha detto però poi apprendiamo che lo ha detto ai giornalisti.

PRIORE. Però, signor Presidente, devo precisare che da questi fatti di cui abbiamo parlato non emerge una responsabilità del KGB. Il KGB sa o potrebbe sapere del fatto, ma non emerge che abbia fatto qualcosa nel sequestro Moro. Questo è il punto.

PRESIDENTE. Il vero problema ritorna dopo. Penso che i servizi dell'una e dell'altra parte, nei limiti in cui funzionassero bene, potevano essere informati e forse hanno dato notizie ai nostri servizi che sono state sottovalutate. Il problema è che cosa succede durante il sequestro, qual è l'attivazione dei servizi dell'una e dell'altra parte, che cosa fanno per cercare di carpire gli uni i segreti che Moro aveva potuto confidare alle Brigate rosse e gli altri per coprire questi segreti. Poi restano tutti quei problemi di cui abbiamo parlato tante volte e cioè chi è che faceva le domande, chi erano gli intellettuali che collaboravano con le Brigate rosse per cui vedo il problema non solo dei contatti tra forze politiche e BR, ma tra forze politiche e settori dell'intellettualità e del mondo politico italiano.

PRIORE. E' probabile.

MANCA. Avevo preparato una serie di domande con un certo ordine ma dopo che il dottor Priore ci ha letto la lettera del prof. Tritto porrei al primo posto una domanda riguardante una lettera che è pervenuta alla Commissione di inchiesta sulla strage di via Fani nel 1983 nella quale si parla di un collegamento diretto tra le Brigate rosse e persone che conoscono la lingua russa.

Questa lettera viene indirizzata all'onorevole avvocato Franco Franchi e a tutti i componenti della Commissione Moro da un certo Renzo Rota che sappiamo, da come si presenta, essere il Ministro plenipontenziario, già Primo Consigliere dell'Ambasciata a Mosca dal 1965 al 1972. Questa lettera recita: " Onorevole avvocato, sono il Ministro plenipontenziario Renzo Rota, già Primo Consigliere dell'Ambasciata a Mosca dal 1965 al 1972, con l'incarico di seguire la politica interna sovietica. Invio a Lei, come a tutti i componenti la Commissione Moro, i documenti allegati. Essi dimostrano che la parte centrale - quella ideologica - del primo messaggio delle B.R. (la parte iniziale e quella finale sono a carattere puramente descrittivo) e tutto il secondo messaggio, sono stati scritti da un comunista sovietico, e più precisamente, da un "ideologo" del Partito Comunista sovietico. L'analisi relativa (all. n. 19) è stata da me compilata nei tre giorni successivi alla pubblicazione del secondo messaggio sui giornali italiani (26 marzo 1978) e subito recapitata a chi di dovere. I messaggi successivi, dal terzo al nono, sono stati tutti scritti da un italiano, che ha cercato anzi di correggere, per quanto possibile, gli errori commessi dall'estensore sovietico dei primi due (all. n. 3). Nell'analisi del secondo messaggio prima menzionata (all. n. 1) io avevo spesso impiegato la dizione; "frase stereotipata della propaganda sovietica". Allora il tempo urgeva, e inoltre ero pronto a dare tutti gli elementi complementari che vi fossero desiderati. Davanti a una Commissione giudiziaria - come quella cui Ella appartiene - quella dizione ovviamente non è più sufficiente: per questo ho espressamente predisposto l'allegato n. 2: "Stereotipi del linguaggio comunista sovietico". Esso contiene degli esempi, tratti dalla letteratura sovietica, comprovanti che frasi e parole impiegate nel secondo messaggio delle B.R. sono espressioni classiche dello stile "ufficiale" degli ideologi del partito comunista sovietico. Tali frasi e parole sono 27; per ogni relativo richiamo numerico che ho apposto a inchiostro rosso sul testo del messaggio, il fascicolo degli "stereotipi" porta le esemplificazioni necessarie. Il materiale di questo fascicolo l'ho raccolto in una settimana, e l'ho considerato sufficiente per una dimostrazione giudiziaria. Ma le citazioni si possono aumentare a volontà. L'allegato n. 4 contiene la mia interpretazione dei motivi del sequestro Moro, per buona parte compresa nella lettera con la quale accompagnavo a fine marzo 1978 la trasmissione della mia analisi del secondo messaggio. Essa è un'interpretazione; gli altri tre allegati sono "fatti". L'operazione Moro condotta dal KGB non ha comportato soltanto l'uccisione di un uomo, ma è stata un insulto alla dignità della nazione. Per questo - e specificamente nella mia qualità di diplomatico - ho ora il dovere di difendere questa dignità, e con essa, ogni esigenza di verità e di giustizia".

Alla luce di quanto da lei affermato credo che questa lettera diventi ancora più importante di quanto non si possa pensare e ovviamente il tutto è avvenuto a seguito dei barlumi emersi dal dossier Mitrokhin, altrimenti neanche a me sarebbe venuto in mente. Dottor Priore, lei conosceva l'esitenza di questa lettera?

PRIORE. Sì, conosco l'esistenza di questa lettera proprio perché ho letto molte volte la relazione Valiante. Devo essere sincero però: in questo momento non ne ricordavo il contenuto. Ricordavo che c'era stato un diplomatico, Rota è un diplomatico, che aveva fatto un esame dei messaggi delle Brigate rosse su cui però non posso dare un giudizio.

MANCA. Ma non le sembra che vi sia contiguità tra tutto quello che ha detto Mitrokhin, quello che ha detto lei stasera con la lettura della lettera del prof. Tritto e quello di cui io ho parlato?

PRIORE. In questo caso però, come si dice in termini giuridici, ci sarebbe un vero e proprio concorso, mentre con riferimento a questo personaggio, allo stato attuale, possiamo dire che potrebbe al massimo essere un osservatore, una persona il cui servizio conosce già quello che sta per accadere in Italia. Questo mi ricorda moltissimo quello che è stato appurato in un'altra inchiesta che il Presidente conosce a menadito, cioè quella dell'ufficio istruzione di Milano, dalla quale emerge che i servizi statunitensi conoscevano per filo e per segno quello che stava per accadere in Italia. Il Presidente ricorda che si parlava di stragi e di un teste o di un imputato (non ricordo che veste avesse)…

PRESIDENTE. Si riferiva all'indagine Salvini?

PRIORE. Questo personaggio è Digilio. Anche in quel caso erano dei servizi stranieri che sapevano moltissimo delle nostre vicende e le seguivano passo passo.

MANCA. Mi scusi, dottor Priore, il professor Tritto che ha inviato a lei la lettera in pratica ha il sospetto adesso che il sequestro Moro fosse avvenuto anche mercè l'azione, l'interessamento e l'attività di questo ragazzo. Egli ha avuto questo sospetto.

PRIORE. No. Quest'ulteriore passaggio non lo colgo.

MANCA. Supponiamo che non sappiamo nulla. Lei ci legge quella lettera e ci parla di uno studente sovietico, funzionario del KGB. Io le leggo una lettera in cui si dice che addirittura per i primi due messaggi vi sono delle prove. Diventa logico pensare all'ipotesi che questo ragazzo potesse aver preso parte direttamente, se non altro dietro le quinte, al sequestro e addirittura fosse stato l'estensore dei primi due messaggi. Vedo una logica anche da semplice persona.

PRESIDENTE. Scusi senatore Manca. Dottor Priore, voi avete avuto l’impressione che i comunicati delle BR non siano stati scritti da Moretti?

PRIORE. Mi scusi Presidente, volevo rispondere prima alla domanda del senatore Manca. I documenti di cui siamo in possesso con ci permettono di compiere questo ulteriore salto. Allo stato non mi sembra che logicamente sia sostenibile l’esistenza del cosiddetto concorso. Tuttavia mi sembra fisiologico che un servizio segreto di primo rango, come il Kgb, debba seguire tutto quello che succede negli altri paesi. Non mi meraviglia che i servizi statunitensi o quelli sovietici seguissero da vicino le vicende del nostro terrorismo, come abbiamo letto nell’inchiesta di Milano e come potrebbe emergere dalle note in nostro possesso.

MANCA. Concordo con lei. Comunque rimane sempre valido il mio passaggio logico, che è poi quello del professor Tritto, che altrimenti non si sarebbe rivolto a lei adesso, dopo la pubblicazione dell’archivio Mitrokhin. Allo stato degli atti non possiamo dire che esiste questo concorso, ma certamente è una pietra del mosaico.

PRIORE. Devo ricordarvi che personalmente non sono più titolare di alcuna inchiesta e quindi non mi è dato di esprimere giudizi su questi atti.

PRESIDENTE. Ho letto tutti i comunicati delle Brigate rosse e l’idea che siano stati scritti in un italiano tradotto dal russo, ipotesi avanzata anche da Delfino nel suo libro di memorie, per la verità mi è sempre sembrata una grossa sciocchezza. Conoscendo infatti le pubblicazioni delle Brigate rosse so che esse si esprimono nel loro linguaggio.

MANCA. Mi scusi Presidente, ma Delfino è un ufficiale dei Carabinieri e per quanto brillante non può avere le conoscenze di questo signore.

PRESIDENTE. Il problema è che una analisi testuale dovrebbe dimostrare quali e quante frasi del primo o del secondo comunicato delle Brigate rosse non appartengono al linguaggio delle stesse. Non si specificano le frasi.

MANCA. In allegato viene specificato. Io ho riassunto il tutto per brevità, perché sono schiavo dei cinque minuti da lei concessi.

PRESIDENTE. Tuttavia dire che "smascheramento del nemico imperialista" è una frase che Moretti non poteva scrivere, a me sembra una piccola forzatura. Dal momento che sono state poste delle domande sui comunicati, volevo rivolgere al dottor Priore la seguente domanda. Come valuta il fatto che nel comunicato numero 6 le parole "clamorose rivelazioni" siano scritte tra virgolette?

PRIORE. All’epoca demmo un significato di questo genere: forse le Brigate rosse si attendevano qualcosa di più dal sequestrato.

PRESIDENTE. Quello che mi ha colpito è il virgolettato. Sembrerebbe quasi un messaggio per dire che in realtà le clamorose rivelazioni c’erano ma che sarebbero state fornite solo a chi era disposto a pagare di più. Sembra quasi che volessero aprire una trattativa sulle rivelazioni, che dal resto del comunicato sembrano esserci. Sembrerebbe quasi – cosa non vera per quel che sappiamo del memoriale – che Moro avesse fatto i nomi e i cognomi dei responsabili delle stragi, quando in realtà indicò solo gli ambiti delle stragi senza fare nomi.

MANCA. Signor Presidente, non vorrei chiudere il discorso precedente. Agli atti della Commissione esiste questa documentazione che ha la sua importanza. Pregherei pertanto la Presidenza di accertarsi che la procura riesamini tale documentazione, perché tutto assume un contesto diverso.

PRIORE. Credo che questo sia già agli atti delle precedenti istruttorie del caso Moro. Io posso riferire solo fino all’istruttoria "Moro quater". Le relazioni delle Commissioni c’erano.

MANCA. Fino ad un’ora fa per me la relazione aveva un significato; dopo quello che lei ha detto ne ha assunto uno completamente diverso.Galloni, vice segretario della Dc durante il sequestro Moro, in un’intervista a "Famiglia Cristiana", rammentando il famoso episodio della seduta spiritica alla quale partecipò anche Romano Prodi e dalla quale trapelò il nome Gradoli come possibile prigione di Moro affermò "vidi Romano Prodi salire verso l’ufficio di Zaccagnini per riferire questa storia. È chiaro che fu adoperato l’artificio della seduta spiritica per coprire la fonte della soffiata che in quel caso doveva rivelarsi giusta. È evidente che sulla vicenda di via Gradoli, e in particolare sulla questione della seduta spiritica permangono troppi misteri". Il senatore Giulio Andreotti, in occasione della sua deposizione davanti a questa Commissione, l’11 aprile 1997, ha dichiarato che la rivelazione del nome Gradoli scaturì da ambienti dell’autonomia operaia bolognese. Dottor Priore, a suo avviso, chi dei partecipanti poteva aver ricevuto una soffiata? Quale opinione si è fatto della seduta spiritica e di ciò che ne è seguito? Tra l’altro non abbiamo avuto ancora l’onore di ascoltare l’onorevole Prodi, nonostante le reiterate richieste di una sua audizione.

PRIORE. Sulla seduta spiritica ho sempre sostenuto la tesi che essa fosse servita a nascondere la realtà. Ho anche scritto che la notizia doveva essere pervenuta in un determinato ambiente dall’autonomia di Bologna. Ho sempre creduto che questa fosse la strada. Forse alla luce delle novità emerse questa strada potrebbe cambiare. Occorre leggere e studiare molto. Non è un problema risolvibile in un giorno. Le persone presenti quel giorno erano dodici e quindi la Commissione può percorrere altre strade e audire tante altre persone. Noi lo abbiamo già fatto, anche se non ricordo in quale delle istruttorie Moro. Questo ovviamente è il mio parere, non si tratta di un giudizio. Oggi potrebbe esserci qualche altro tramite. Esaminando vecchie carte ci accorgiamo che molte delle vicende venute alla luce possono aver seguito il tramite del gruppo di Morucci e Faranda, vale a dire il gruppo del movimento comunista rivoluzionario che essi formarono all’uscita dalle Brigate rosse. Dovremmo forse rileggere gli atti relativi al contrasto tra il vecchio gruppo militarista delle Brigate rosse e i movimentisti, ossia il gruppo di quelle sette persone che furono costrette a uscire dalle BR. Se rileggiamo i reperti nella loro principale base, quella di viale Giulio Cesare, forse possiamo capire molte cose. In questa Aula sono presenti persone molto giovani che probabilmente non ricordano che all’interno delle BR in quel periodo ci fu un contrasto fortissimo. I vecchi, i cosiddetti proto brigatisti, ebbero una reazione fortissima nei confronti del gruppo Morucci e Faranda, perché ritenevano che da lì provenisse lo sgretolamento del monolito delle Brigate rosse. Scrivono lettere di fuoco che venivano dall’Asinara, perché il nucleo dei proto-brigatisti si trovava in quella sede; li chiamavano "I signorini" e cercavano chi ne fossero i manovratori, che i proto-brigatisti individuarono nel gruppo di Piperno, Pace e Scalzone, cioè quelli del progetto Metropoli.

Quindi lo scontro fu feroce. Morucci e Faranda furono costretti addirittura ad abbandonare la loro base, perché fu loro imposto di raggiungere un luogo di confino, una prigione del popolo, di abbandonare le armi, di consegnare il danaro e di sottoporsi ad un vero e proprio procedimento, molto duro, che venne istruito da Gallinari, Seghetti e altri personaggi che adesso non ricordo con esattezza. Essi si rifugiarono nell’appartamento di Viale Giulio Cesare. Riguardando con il senno di poi degli appunti sui reperti di Viale Giulio Cesare si scoprono tantissime cose interessanti.

PRESIDENTE. Non c’è dubbio che la falla viene da lì. Si possono formulare due ipotesi: o che gli uomini dell’Autonomia avessero frequentato l’abitazione di Morucci e della Faranda di Via Gradoli quando ancora non era un covo delle BR o che addirittura Morucci e Faranda abbiano fatto conoscere la notizia, forse tramite Conforto, che in qualche modo arriva ai professori bolognesi. Non è certo, ma è probabile che la falla sia stata questa, così come è probabile che provenga da quegli ambienti l’episodio della doccia, che era un modo per mettere in crisi Moretti e per far assumere a Morucci la leadership delle BR nella logica trattativista.

MANCA. La mia insistenza, che lei conosce, sulla seduta spiritica non deriva tanto da queste ragioni.

PRESIDENTE. Lei ha ragione, perché quel che non quadra nella seduta spiritica non è il fatto che ognuno dichiari di non aver spinto il piattino ma che ognuno giuri che non l’abbia spinto nessuno degli altri. Quello è l’aspetto che non torna.

MIGNONE. Dottor Priore, non le nascondo che ascoltandola sono sorte in me parecchie perplessità ed alcuni quesiti sulla lettera che lei ci ha letto poco fa. La prima perplessità. Il professor Tritto non è un uomo qualunque, ma un uomo di legge che conosce benissimo la procedura. Questa lettera l’ha inviata a lei soltanto o contestualmente anche alla Procura, prima che lo facesse lei?

L’altro quesito. Il professor Tritto ha dimostrato di avere un’ottima memoria. Nello scrivere tutti questi particolari è stato molto preciso e dettagliato. Da questa lettera è emersa anche una certa sospettosità sul ruolo di questo "borsista" in Italia. Come mai questi dubbi, queste perplessità e questi sospetti non li ha rivelati nel momento cruciale dell’indagine sul caso Moro? Il professor Tritto, proprio perché dimostra questa conoscenza dettagliata, credo avesse il dovere di comunicarlo molto tempo prima della conoscenza del dossier Mitrokhin. Quindi c’è un garbuglio che si aggiunge a tanti altri.

Non parlo del caso Ustica, come è stato concordato, però mi voglio ricollegare ad alcune sue affermazioni. Il 5 febbraio, a proposito delle dichiarazioni del prefetto Parisi, ha detto testualmente: "Emergono degli elementi, allo stato indiziali, di una verità che circola, cioè di una conoscenza che esiste e che circola a determinati livelli, ma non viene mai pubblicizzata, determinando quello che definisco il segreto di fatto". Probabilmente, allora, alcuni suoi colleghi potrebbero rendere affermazioni analoghe in merito alle inchieste di cui sono titolari, cioè che esiste una verità, che qualcuno sa qualcosa, ma che per motivi sconosciuti non è possibile rendere nota, ovviamente neppure a noi che siamo i rappresentanti eletti dal popolo. Detto questo, vorrei chiederle se ritiene possibile un’ipotesi del genere anche per il caso Moro, proprio per l’abbondante presenza di garbugli, di episodi poco chiari che hanno costellato tutta la vicenda. Lei crede che ci possa essere qualcuno, magari ancora in vita, a conoscenza di episodi che potrebbero consentire alla magistratura, a questa Commissione e al popolo italiano di concludere davvero in maniera definitiva questo trentennio di eventi tragici e ancora misteriosi; ancor più misteriosi questa sera, dottor Priore.

PRIORE. Le domande sono talmente tante che forse qualcuna dovrà scusarmi se chiederò di ripetermela. La lettera mi è stata trasmessa a mano ed io ho provveduto a trasmetterla alla Procura.

MIGNONE. Questo suscita una certa perplessità in un uomo di legge.

PRIORE. Se volete, posso leggervi anche le ragioni di questa scelta.

PRESIDENTE. Probabilmente avrà visto, fra gli indagatori, un suo impegno particolare.

PRIORE. Il prof. Tritto parla di pluriennale conoscenza. Questa persona è comparsa dinanzi a noi, non a me personalmente perché eravamo un pool di magistrati, diverse volte per dirci come erano andate le cose. Egli è stato il destinatario di una serie di telefonate delle BR, ha ricevuto i primi messaggi delle BR, è stato il destinatario della telefonata finale di Morucci che comunicava che il cadavere di Moro si trovava in Via Caetani. Quindi, in un certo senso c’è stata una consuetudine pluriennale con i magistrati del caso Moro. Io in effetti, come vi dicevo prima, nel momento stesso in cui il procedimento venne formalizzato, cioè il 13 maggio 1978, iniziai a lavorare su questo caso, e ne sono stato istruttore fino a quando non è entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale, per effetto del quale cessava la funzione di giudice istruttore. Fui in un certo senso costretto anche ad accelerare i tempi della chiusura del procedimento, perché - come ben ricordate – il codice Vassalli entrò in vigore nell’ottobre del 1989 e io chiusi con i vari depositi e la sentenza finale nell’agosto del 1990. Ho avuto dei tempi strettissimi e non ho quindi potuto concludere l’esame di una serie di filoni, ma ho rimesso immediatamente gli atti ai pubblici ministeri, che sono persone validissime, che conoscono il loro mestiere e hanno portato avanti l’istruttoria del Moro quinquies, del Moro sexies e credo – come diceva il Presidente – che siano attualmente alle prese con il Moro septies.

In un certo senso lei può vederci qualcosa di strano. Concordo con lei che c’è qualcosa di strano in tutto quello che è successo, cioè la sospettosità di Tritto. Egli la manifestò fin dal primo pomeriggio del sequestro di Moro e la riferì nelle sedi più altolocate. Mise la questione nelle mani del Sottosegretario delegato alle indagini, alle ricerche, a tutto quello che avesse una ragione di polizia nel Ministero dell’interno. Viene destinato a risolvere queste sue perplessità un funzionario di un Servizio che noi possiamo in questa sede supporre che fosse quello militare, perché si parla di un ufficiale, ma poteva trattarsi anche del Servizio civile; si tratta di cose che andranno appurate. Una persona che prende i dati, li esamina e, a distanza di qualche giorno, rassicura il Tritto sul giovane russo. Quindi, in un certo senso, il professore si è sentito rassicurato della non pericolosità del personaggio.

PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo. Secondo me la lettera di Tritto è importante e aggiungo che offre una pista facilmente percorribile. Se il giovane nel 1978 era già una spia del Servizio russo, probabilmente avrà fatto una serie di rapporti. La circostanza che non facciano parte dell’archivio Mitrokhin può significare poco, perché sicuramente Mitrokhin non aveva un accesso generale agli atti degli archivi. Siccome quello è diventato un mondo trasparente, quindi penetrabile, penso che la magistratura potrà fare delle inchieste per vedere se ci sono rapporti di questa spia al Servizio e che cosa avesse riferito al Servizio russo sulle abitudini di Moro. La prima cosa che emergerebbe è che il KGB, tramite questa spia, cercava una serie di informazioni, il che mi sembra un’attività spionistica normale. Mi sorprenderei se il KGB non avesse fatto almeno questo, in Italia, in quel periodo. Poi però bisogna vedere se esistono dei rapporti in cui l’agente dice che, secondo lui, Aldo Moro era un soggetto a rischio, motivando questa affermazione con una serie di informazioni sul fatto che un gruppo terroristico stava preparando un attentato nei confronti di Moro. Questo è un passaggio ulteriore. L’unica cosa che lo fa pensare è la domanda che rivolge sugli uomini della polizia, per sapere se fosse scortato o meno, ma chissà quanti ragazzi della Autonomia romana erano in grado di dare benissimo quelle informazioni alle Brigate rosse.

MANCA. Era tutta una strategia studiata insieme al KGB, quindi non doveva passare notizie al Servizio russo.

PRESIDENTE. Come ha già detto il dottor Priore, questo sarebbe un salto ulteriore.

PRIORE. La terza domanda, poi, riguardava le verità di fatto che esistono e il segreto di fatto che ci sfugge. Oggi l’audizione non è dedicata al caso Ustica, ma ciò che dicevo a quel proposito può valere anche al riguardo del caso Moro. Ho l’opinione che sul caso Moro ci siano tante persone che sanno o che hanno saputo (anche perché naturalmente forse son già morte e quindi non possono più parlare); il problema è che queste persone si sono guardate bene dal riferire alla magistratura. Ci sono dei segreti di fatto, ci sono delle persone che conoscono molto ma molto di più di quanto perviene alla magistratura.

PRESIDENTE. Le faccio un’ulteriore domanda: lei ritiene che ci fosse un canale di ritorno?

PRIORE. C’era sicuramente.

PRESIDENTE. Anche la famiglia Moro non ha detto tutto ciò che può sulle trattative, se c’era il canale di ritorno.

PRIORE. Posso dire di più: guardando questo benedetto archivio Mitrokhin si scopre che tantissime persone sapevano tantissime cose che non sono mai emerse. Se leggiamo queste schede, ci accorgiamo che la maggior parte dei partiti era penetrata o che c’erano tentativi di penetrazione nei vari partiti che sedevano nel Parlamento nazionale. Basta scorrere le schede, non è un mistero, ma ce ne sono tantissimi. Queste persone che erano venute in contatto con la residentura sicuramente avevano saputo qualcosa di più. Per esempio, si legge su una scheda - non so quale sia - che un certo personaggio riceve una nota della residentura in cui per la prima volta si parla di matrice americana. Ho già detto che la matrice americana nel caso Moro nasce nel giugno del 1978 quando in un documento (che viene dato non so con quali tramiti alla Democrazia cristiana) viene per la prima volta sostenuta la tesi della matrice americana. Quella nota ha avuto una forza tale – l’ho già detto al Presidente – che se noi interpellassimo coloro che seguono questi fatti il 90-95 per cento di costoro risponderebbe che è ancora convinto, giustamente o ingiustamente, non mi permetto di esprimere dei giudizi, che il sequestro Moro sia stato voluto dagli Stati Uniti. L’effetto di quella disinformazione dura tuttora. Poi leggiamo che altri uomini, eminenti politici, sapevano dell’esistenza della frattura tra KGB e STB, sapevano dei rapporti che c’erano stati. Tutto questo, è ovvio, non è stato versato nelle carte processuali. Per questo dico che esistono dei segreti di fatto che si aggirano, al di là delle carte processuali.

MIGNONE. Se l’uomo del Sismi informa Tritto su Sokolov, perché quest’ultimo non compare nel rapporto del 1980 sull’attività svolta dal Sismi su Moro?

PRIORE. Credo che questo si debba chiedere al Servizio, alle persone che c’erano allora. Di Sokolov lo abbiamo appreso soltanto adesso, negli ultimi giorni, quando ne abbiamo letto. Non credo di essere io la persona competente a dare una risposta su questo.

PARDINI. Mi colpisce, magari favorevolmente, la sicurezza con cui il dottor Priore interpreta ed accredita di autorevolezza e di fondatezza – l’ha definita una miniera – un dossier come quello Mitrokhin sul quale credo che, al di là di qualunque schieramento, sia ancora lecito porsi qualche domanda su chi e su come l’abbia scritto, quanto meno perché non disponiamo degli originali. A me sembra degna di ammirazione la grande sicurezza nell’attribuire ad una fonte come questa, tutta da dimostrare e verificare, la funzione di corroborare tesi, in particolare avvenimenti estremamente complessi che peraltro il dottor Priore conosce da tutt’altra fonte molto più autorevole ed accreditata, cioè in riferimento al caso Moro.

A tale proposito, vorrei porre alcune domande, in merito a Gradoli, non tanto al modo in cui questa notizia è giunta. L’interpretazione data dal dottor Priore e dal Presidente Pellegrino mi convince su chi in realtà sia stata la fonte e mi interessa relativamente capire ulteriormente cosa è successo nella seduta spiritica. Mi interessa sapere invece come valuta l’indagine su Gradoli, tenuto conto che ormai è accertato che il questore De Francesco era al corrente di una prima perquisizione compiuta in via Gradoli, e come mai, quando giunge la notizia di Gradoli, invece ci si reca al paese Gradoli e non in via Gradoli. Prima ancora della seduta spiritica, credo sia dato importante il come le indagini si sono orientate in tutt’altra direzione, tenuto conto che vi era stata già un’informativa e addirittura una perquisizione in via Gradoli. La seconda domanda concerne la supposta presenza, nel caso il dottor Priore avesse delle risultanze nel merito, del colonnello Guglielmi in via Fani al momento del sequestro Moro e di che ruolo avesse, da dove provenisse e se è vero che questi facesse parte della struttura Gladio; quale indagini erano state comunque compiute per accertare la presenza del colonnello Guglielmi, della sua provenienza e del ruolo svolto da questi.

Vorrei chiedere inoltre al dottor Priore una sua valutazione su due problemi che mi hanno sempre colpito: come spiega il dottor Priore che i cinque appartenenti al comitato esecutivo delle BR, per certi versi violando qualunque norma di sicurezza e di compartimentazione dell’organizzazione, decidono di stabilire un riferimento stabile a Firenze anche durante le fasi del sequestro Moro. Come valuta le riunioni a Firenze, con tutto ciò che hanno comportato, cosa ci può dire sulle riunioni dei brigatisti a Firenze? Come abbiamo già ripetutamente richiesto alle varie personalità audite in commissione, avrà anche lei saputo senz’altro che Franceschini, audito in commissione, parlò di una offerta del Mossad di collaborazione, di sostegno all’organizzazione delle Brigate rosse, rifiutata dal nucleo storico. Lui ci disse: "eravamo giovani idealisti; credevamo di dover camminare con le nostre gambe". Non è escluso però che successivamente questa offerta fosse stata accolta. Il Mossad non chiedeva niente in cambio; pare che a questo fosse sufficiente la destabilizzazione del paese che l’azione delle Brigate rosse poteva fare. Cosa pensa il dottor Priore di questo? Connessa ancora all’audizione di Franceschini, quale ipotesi si sente di avanzare il dottor Priore in merito alla figura ed al ruolo di Moretti e ai sospetti che Franceschini e Morucci avevano sulla reale figura di Moretti stesso?

PRIORE. Forse ho dato una impressione di sicurezza. Ma anch’io ho premesso che ho tante perplessità e che tutto va verificato. Sono trentacinque anni che faccio il giudice e so che tutto deve essere riscontrato. Non posso procedere per ipotesi. Tante volte abbiamo discusso con il presidente Pellegrino, che lo ha riconosciuto, che mentre noi magistrati dobbiamo stare con i piedi per terra, i politici possono anche avere colpi d’ala e ragionare per ipotesi. Per me il dossier Mitrokhin deve essere esaminato e riscontrato a fondo. E’ una miniera e in quanto tale ha sicuramente dei filoni degni di ogni fede ma potrebbero esserci delle scorie. Questa è la premessa essenziale. I miei colleghi, come la Commissione, dovranno studiare per mesi e mesi se non per anni queste nuove carte, considerato anche che mi sembra ne esistano delle altre.

Quanto a via Gradoli non posso altro che confermare quanto ho scritto nelle varie inchieste: cioè che le indagini furono carenti sotto ogni profilo; fu una sorta di disastro. Ciò che noi non siamo mai riusciti ad appurare è se questa carenza, e serie di errori impressionanti, fu qualcosa di colposo perché la confusione era tale e tanta e potesse anche addebitarsi a colpa delle persone; oppure se si trattasse di una scelta dolosa.

PRESIDENTE. Ho personalmente ipotizzato che non si spingesse troppo l’individuazione della prigione di Moro perché si poteva avere paura che nel frattempo non si trovassero le carte; che cioè si liberasse un ostaggio e non si liberasse l’altro, visto che il presidente Cossiga mi disse che era una "mascalzonata politica" pensare che non si fosse voluto salvare Moro.

PRIORE. Queste sono ipotesi che il giudice non può confermare né in un senso né nell’altro. L’impressione è che il caso di via Gradoli fu trattato malissimo; non credo che nessuno tra i miei colleghi, neanche il più giovane, una volta ricevuta quella indicazione si sarebbe diretto su Gradoli e non su via Gradoli; cosa molto, molto più semplice sempre che non vi siano stati intenti di ostacolare le indagini e che cioè sia stata omessa volutamente l’indicazione data di "via" e che qualcuno l’abbia tagliata. Comunque a me sembra che nel momento stesso in cui non si riusciva a trovare alcunché a Gradoli paese, forse correva l’obbligo di approfondire l’ipotesi di via Gradoli. Tuttavia, questo aspetto a livello giudiziario non è stato accertato.

Per quanto riguarda Guglielmi, so che è stata verificata la sua presenza in quel luogo e in quel giorno ed è stato interrogato proprio per conoscerne la ragione. Al riguardo credo anche che abbia fornito una sua – sicuramente non credibile - risposta. In ogni caso tale episodio non fa altro che confermare in me la convinzione che diverse entità sapessero che quel giorno dovesse avvenire quel sequestro. Infatti, a via Fani troviamo tantissime persone: si è ad esempio accennato al fatto che fossero presenti anche dei soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, si è parlato della "‘ndrangheta" e della scomparsa di fotografie in cui veniva ritratto un personaggio facente parte di questa organizzazione criminale.

PRESIDENTE. Mi perdoni, dottor Priore, ritengo che si tratti di un’ipotesi di una gravità enorme. Sarebbe infatti gravissimo se il servizio segreto italiano sapendo di un attacco a Moro in via Fani, avesse deciso comunque di tacere per poi andare a verificare gli eventi. Ripeto, si tratterebbe di un’ipotesi estrema. L’ipotesi invece che i servizi segreti si siano precipitati in via Fani per recuperare le borse di Moro mi sembra più credibile.

PRIORE. Dipende dall’orario in cui era presente Guglielmi. E’ questo il punto. Guglielmi non si reca sul posto dopo il rapimento, ma è già presente prima che questo si verifichi, di questo bisogna tenerne conto.

In particolare, riguardo a questo aspetto, vorrei aggiungere che non è detto che i nostri servizi in quel periodo fossero poco efficienti. Esaminando le vecchie carte che riuscii a sequestrare al colonnello Cogliandro ho trovato una infinità di fascicoli che dimostrano una certa attività del raggruppamento Centri di controspionaggio. Non li cito tutti perché sono moltissimi. Noi siamo in possesso addirittura del registro. Ad esempio vi era un fascicolo "Piperno", un altro che si occupava di "Onda rossa". Vi era inoltre un fascicolo sul CNR, ossia dell’obiettivo primario dei cecoslovacchi. Faccio inoltre presente che al CNR lavorano moltissime delle persone implicate nel caso "Moro"; mi riferisco ad una serie di professori tra cui la dottoressa Conforto. Inoltre, siamo in possesso di un fascicolo su Scricciolo Luigi ed uno sulle attività del KGB e del GRU in Italia; c’è un fascicolo su Blunt, il quarto dei magnifici cinque di Cambridge; abbiamo un fascicolo su Sejna, il generale cecoslovacco che per primo ha fornito un elenco - del quale siamo riusciti a trovare una copia in originale – relativo ai fuoriusciti che lavoravano a Praga. Vi è una documentazione che tratta dei contatti dei funzionari del Ministero dell’interno con il KGB; un fascicolo "servizio informativo bulgaro", un altro dedicato alle attività delle ambasciate sovietica e cecoslovacca, uno su Metropoli ed uno sui giornalisti sospettati di collusione con il KGB ed il GRU. Vi è infine un fascicolo stranissimo sull’Istituto degli affari internazionali struttura che interessò Morucci e la Faranda e di cui troviamo tantissime tracce all’interno dell’appartamento di Viale Giulio Cesare. Tali fascicoli, che sarebbero stati di un interesse altissimo, sono stati tutti distrutti.

PRESIDENTE. Per una maggiore chiarezza, dottor Priore, questi di cui ci ha parlato sarebbero i fascicoli del Sismi…

PRIORE. Precisamente del raggruppamento Centri, cioè di un organo del Sismi.

PRESIDENTE. Sarebbero i fascicoli che Cogliandro avrebbe portato via con sé nel lasciare il Sismi, quindi non farebbero parte di quella attività informativa da lui successivamente svolta quasi a titolo privato?

PRIORE. Questo non riusciamo a saperlo con esattezza.

PARDINI. Quando li avete cercati?

PRESIDENTE. Dopo la scoperta dell’archivio Cogliandro. Il dottor Priore se ne è occupato per le connessioni con la tragedia di Ustica. In tale archivio sono contenute una serie di ipotesi sul duello aereo che si sarebbe verificato.

PARDINI. Quando fu distrutto tale archivio?

FRAGALA’. Nel 1988.

PRIORE. Sì, mi risulta che la distruzione dell’archivio sia avvenuta tra il 1989 ed il 1990; si tratta di un archivio parallelo che il colonnello Cogliandro che era una persona …

PRESIDENTE. Nel Sismi lo chiamavano "archivio Demetrio" e per esso veniva utilizzata una classificazione a parte.

FRAGALA’. Desidero precisare che nel 1981 il colonnello Cogliandro andò via dal Sismi, mentre questa attività informativa venne da lui svolta nel 1988.

PRESIDENTE. Il problema è capire quanta parte di quei documenti che mancano facesse parte dell’archivio "Demetrio" del Sismi, e quanta invece fosse il frutto di un’attività informativa che il colonnello Cogliandro ha continuato a svolgere dopo aver lasciato il servizio.

PRIORE. Sì, dopo essere andato in pensione. Comunque tali fascicoli sono stati tutti distrutti. Si tratta di un archivio parallelo che il colonnello Cogliandro aveva nella sede del raggruppamento Centri. Il colonnello era una persona dal punto di vista dei servizi segreti dotatissima e quindi riusciva a seguire tutti questi fenomeni. Tuttavia, non si riesce a capire per quale ragione questo materiale interessantissimo sia stato distrutto, al riguardo bisognerebbe accertare con esattezza l’anno in cui ciò si è verificato ed altresì quali circolari fossero state emanate. Ricordo che ci fu la "circolare Goria" per effetto della quale venne distrutta una enorme quantità di materiale prezioso e questo debbo dire è un fatto che non si verifica in alcun servizio segreto, tanto è vero che i servizi segreti russi conservano tutto, così pure come quelli americani, la CIA.

PRESIDENTE. Questa Commissione ha preso opportunamente partito affinché non si verifichino nuove distruzioni.

PRIORE. Per non parlare poi di tutti gli altri dossier che sono stati distrutti e che riguardavano partiti e uomini politici, ma a questo non intendo riferirmi perché usciremmo fuori dal tema oggetto della presente seduta.

Vorrei invece rispondere alla domanda riguardante il motivo per cui i cinque del comitato si riunissero a Firenze. Al riguardo potrebbe essere data una risposta banalissima e cioè che si trattava della città posta al centro rispetto ai luoghi in cui vivevano gli appartenenti delle colonne delle Brigate rosse, alcuni dei quali risiedevano a Milano ed altri a Roma, e quindi si trattava di una ragione di comodità.

PRESIDENTE. Questa è la spiegazione che fornisce Moretti alla Rossanda e a Mosca nel libro-intervista.

PRIORE. Non ricordavo questo aspetto. Potrebbe forse esistere anche un’altra spiegazione, dal mio punto di vista molto più fondata, e cioè che in quella città esistesse una qualche base, un appartamento, un rifugio molto più sicuro rispetto a quelli delle altre città.

PARDINI. Che cosa ci dice di Markevitch?

PRESIDENTE. Desidero precisare al riguardo che siamo in attesa da parte delle procura di Roma dell’invio del fascicolo del Sismi su Markevitch.

PRIORE. Si trattava del fascicolo degli Affari riservati?

PRESIDENTE. Certamente. Penso che la Procura l’abbia acquisito e non appena concluse le indagini ci farà pervenire la documentazione. Su questo aspetto credo che dovremo ascoltare a breve il capitano Giraudo.

PRIORE. Tuttavia, proprio in virtù di quel principio cui facciamo riferimento nelle nostre indagini, ossia quello di stare sempre con i piedi per terra, ritengo che farne discendere (dal fatto che il comitato esecutivo delle BR si riuniva a Firenze) un rapporto con Markevitch mi sembra intempestivo. Markevitch è sicuramente una figura da prendere in considerazione proprio al fine di capire tanti fatti che si sono verificati negli anni ’40; infatti sarebbe interessante avere in proposito ulteriori informazioni – come ho avuto più volte modo di ripetere al Presidente – proprio per la nostra storia, tuttavia – ripeto – collegare questo personaggio con le Brigate rosse mi sembra piuttosto intempestivo dal momento che non ci sono ancora elementi.

PRESIDENTE. Bisognerebbe capire perché il Sismi lo pone all’interno di questa storia, anche se poi sostiene che tutto sommato la pista non ha dato sviluppi.

PRIORE. Tuttavia, a prescindere da quelle basi che si troveranno in momenti successivi proprio a Firenze, non bisogna dimenticare che questa era la città in cui viveva nel periodo delle Brigate rosse Senzani che, ricordo, abitava ad Ognissanti. Volendo poi andare oltre, potremmo collegare il tutto con la famosa base del Sismi che si trovava al di là del ponte, a Santagostino, dove furono rinvenute tantissime armi; si tratta però di collegamenti che a me non competono e rispetto ai quali non mi imbarcherei in ipotesi proprio perché non vedo sostanza probatoria al riguardo.

PRESIDENTE. Vi è poi la questione dei numeri di telefono delle banche svizzere che furono trovati in possesso di Bombaci e degli altri; anche questa mi sembra che sia una pista che non è mai stata sviluppata.

PRIORE. Si tratta di una pista che non è stata assolutamente battuta anche se il giudice istruttore dell’epoca – mi pare fosse il dottor Campo – credo abbia riferito di aver interessato il Ministero dell’interno o il Sismi affinché venissero effettuati degli accertamenti in Svizzera; certo, mi sembra che si trattasse di 13 conti e quindi credo che ci sarebbe stata materia per indagini molto più approfondite

Per quanto riguarda il Mossad, so che ci sono stati – almeno così è emerso nelle indagini – dei tentativi di agganciare le BR, ma anche di questo si possono dare diversi giudizi: quello giudiziario, quello morale, quello di Realpolitik. Israele vedeva come fumo negli occhi la politica dei paesi filoarabi; quindi poteva benissimo tentare un aggancio con le BR che sicuramente destabilizzavano il nostro paese. Risulta addirittura che Rabin rilasciò interviste in cui si sottolineava l’instabilità dell’Italia. Tutto questo poteva essere fatto per guadagnare meriti anche agli occhi del maggior partner, cioè gli Usa. C’è quasi una gara tra chi protegge o cura meglio gli interessi degli Usa nel Mediterraneo. Noi non abbiamo mai fatto qualcosa di male verso un altro paese, ma nella Realpolitik di un servizio segreto una ipotesi del genere non credo possa essere totalmente esclusa. Anche se vi sono stati errori e molte delle circostanze che sono state dedotte nei vari processi poi non hanno trovato riscontro, come ad esempio l’abitazione di Pisetta o l’avvocato di Milano. Però, un tentativo del genere non mi sembra incredibile.

Mi è stato poi chiesto un giudizio su Franceschini e Moretti. Moretti è un personaggio di tutto rilievo; ho avuto modo di parlare con lui, è preparatissimo dal punto di vista politico, conosce la questione palestinese in modo brillantissimo e nei dettagli. Però, ritengo che, almeno nel 1978, non fosse all’altezza di interrogare Moro: per interrogare Moro ci voleva forse un politico suo coetaneo; è difficile interrogare una persona del livello di Moro senza le conoscenze e le esperienze tipiche di un coetaneo o di qualcuno più anziano e Moretti a quel tempo era piuttosto giovane. Che le domande venissero da fuori l’ho dedotto dal fatto che erano numerate e che a Moro venivano dati testi scritti ai quali rispondeva in forma scritta. Ci sono anche dei rinvii a risposte precedenti in varie lettere di Moro. Tutto ciò confermerebbe l’ipotesi che Moretti non fosse all’altezza di interrogare Moro, pur essendo brillante e intelligente.

In generale Moretti, Franceschini e Curcio sono i personaggi chiave del terrorismo, ma nessuno ancora parla. Ritengo che anche Franceschini sappia delle cose che ancora non ha detto. Franceschini è uno di coloro che compaiono nella lista del generale Sejna. Risulta che abbia frequentato Praga e su questo punto mi sembra che neanche il presidente Pellegrino sia stato così abile da indurlo a testimoniare.

PRESIDENTE. Ha negato di essere stato a Praga, però oggi lo sappiamo da due fonti convergenti: dalle carte cecoslovacche e dall’archivio Mitrokhin; sappiamo che vi erano rapporti di alcuni brigatisti con il servizio segreto cecoslovacco.

FRAGALA’. Lo sappiamo proprio a proposito di Franceschini.

PRIORE. In un sequestro che purtroppo sono stato costretto a fare dopo la morte del perquisito, ho trovato una lista originale. Si tratta di una lettera tra due americani - uno è Ledeen e l’altra è una donna, Claire Sterling - in cui, con una scrittura che non appartiene a queste due persone, si fa un elenco e si parla di dodici italiani che sarebbero stati in Cecoslovacchia.

TARADASH. Viene quasi da dire che, a riprova del fatto che i servizi fossero efficienti all’epoca del sequestro Moro, sta il fatto che Moro non fu trovato perché quasi vi era una volontà politica abbastanza unanime che voleva che le cose andassero così. Devo anche dire che mi stupisce continuare a sentire dai colleghi della sinistra tutta questa serie di dubbi sul dossier Mitrokhin. Mi pare sia evidente che questo dossier è autentico e che questo Mitrokhin abbia avuto a disposizione quei documenti nel momento in cui li ha ricopiati, bisogna dimostrare che sia veridico, ma sono due cose completamente diverse. Man mano che analizziamo il dossier Mitrokhin scopriamo che alcune cose sono sicuramente veridiche nel senso che troviamo dei riscontri rispetto ad altri documenti che abbiamo a disposizione. Lo stesso vale per i richiami a Franceschini. Si fa riferimento ai rapporti con il Mossad, ma ci si dimentica il rapporto che le BR avevano con l’OLP, in termini di scambio di armi e di strumenti di organizzazione. Si va sempre a cercare il pelo nell’uovo o nell’occhio dei servizi occidentali, ma si dimentica quello che abbiamo davanti agli occhi in termini di documenti, cioè il ruolo effettivamente svolto nell’attività delle BR da organizzazioni che in un modo o nell’altro facevano capo all’Unione Sovietica.

La lettera che ci ha letto questa sera il dottor Priore è di una importanza sconvolgente, nel senso che non so come è venuta fuori, ma mi sembra strano che il professor Tritto non abbia letto il dossier Mitrokhin e non abbia trovato il nome di questo Sergey. La lettera è costruita in modo tale da portare direttamente al dossier Mitrokhin e a questo nominativo. C’è da riflettere sul perché il professor Tritto sia stato convinto a rimuovere dalla sua memoria questo episodio e chi nel 1978 lo abbia indotto a questa rimozione. Se effettivamente questo giovane è l’uomo che agisce in Italia come corrispondente del KGB, quei comportamenti non sono soltanto da persona alla ricerca di informazioni generiche; lui sta vicino a Moro nei giorni precedenti il sequestro, segue i suoi spostamenti, sa come si sposta, sa chi lo accompagna, si informa sulle sue guardie del corpo. Insomma, è qualcuno che annusa qualcosa di preciso. Non dico che il KGB sia implicato per questo motivo nel sequestro Moro; sono convinto che il sequestro è un affare delle BR, è un affare italiano, ma certamente è un affare italiano che interessa diversi servizi stranieri e in particolare quei servizi che avevano mano dentro le BR.

Allora vorrei chiederle: il dossier Improta che abbiamo scoperto nei giorni scorsi, che fa delle ipotesi abbastanza precise e che richiama la figura di Giuliana Conforto mi sembra di aver letto che non fosse a sua conoscenza mentre era a conoscenza dei servizi; questi ultimi sapevano della storia del padre della professoressa Conforto, Giorgio Conforto, avevano un fascicolo su Giuliana Conforto già in epoca precedente al caso Moro, avevano ricevuto notizia dai servizi francesi di un'attività di Giuliana Conforto in correlazione con alcuni gruppi terroristici sudamericani nei mesi immediatamente antecedenti al sequestro Moro, sapevano che la zia di Giuliana Conforto (immagino sorella di Giorgio Conforto), era la proprietaria di una mansarda e sullo stesso piano di questa mansarda era stato trovato un deposito di armi dei terroristi di sinistra. Insomma, la famiglia Conforto era molto attiva; da una parte aveva legami con l'Unione sovietica dagli anni 30, e dall'altra la figlia di Giorgio Conforto era una persona che aveva legami con il terrorismo internazionale e con quello delle Brigate rosse. Tutto questo scompare, cioè i servizi segreti italiani ne sono a conoscenza ma lo rimuovono, non danno importanza al dossier che prepara il questore di Roma e tutto viene dimenticato fino a quando Mitrokhin ci fa ricordare….

PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo, ma perché dice solo i servizi segreti italiani? L'ultima cosa che ci ha detto il giudice Priore farebbe pensare a tutto il complesso dei servizi occidentali perché Ledeen non è certamente un uomo dei servizi occidentali e c'è l'indicazione dei brigatisti compreso Franceschini che andavano e venivano da Praga.

TARADASH. Penso che i servizi italiani abbiano una responsabilità più diretta sui fatti che accadono in Italia; immagino che essi ne rispondano al Governo, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa e al Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. Ledeen fu utilizzato da Cossiga in quel periodo.

TARADASH. Evidentemente fu utilizzato male perché se le notizie che egli forniva non venivano messe a frutto vuol dire che egli fu utilizzato male così come accadde per il professor Silvestri. Lo utilizzarono meglio le Brigate rosse che pubblicarono i suoi documenti che vengono ritrovati a viale Giulio Cesare dal Governo italiano. Evidentemente c'era una difficoltà ad utilizzare i servizi o gli uomini che studiavano l'attività dei servizi; poi si vedrà se il professor Silvestri è quello che descrive il dossier Mitrokhin o meno. Comunque si tratta sicuramente di una persona di grande esperienza rispetto a queste vicende. I servizi segreti italiani che avevano compiti molto precisi non li svolgono.

Renzo rossellini sapeva, immaginava, che Moro poteva essere rapito. Addirittura lo preannuncia 45 minuti prima del sequestro e, inoltre, pochi giorni dopo rilascia un'intervista al giornale "Le Matin" in cui afferma che le Brigate rosse sono all'interno della rete del KGB.

PRESIDENTE. Dice pure che un leader socialista gli avrebbe dato l'informazione.

FRAGALA'. Rossellini la dà ad un leader socialista.

TARADASH. Ma di leader socialisti ne abbiamo visti parecchi anche nel dossier Mitrokhin e anche in quel caso qualche riflessione in più andrebbe fatta. Rossellini, comunque, dichiara che le Brigate rosse agiscono all'interno della rete del KGB nel nostro paese. Si tratta, insomma, di eventi che non è possibile che i servizi segreti e gli uomini politici che allora ricoprivano incarichi di grande responsabilità in questo paese non conoscessero; e se qualcuno ha convinto il prof. Tritto a rimuovere questi fatti è perché vi era evidentemente un interesse comune a non coinvolgere la responsabilità dell'Unione sovietica nelle vicende di questo paese perché era meglio giungere a compromessi ad altro livello. In quegli anni i compromessi venivano fatti a livello governativo e sarebbero stati fatti evidentemente anche negli anni successivi con una grande operazione di copertura che è continuata fino ad oggi. Quando il leader del Polo Berlusconi "fa i suoi mattoncini" con la funzione del comunismo in questo paese dimentica che quella non è stata la funzione del Partito comunista, ma che almeno la metà (o qualcosa di più) di quei mattoncini erano funzione della Democrazia Cristiana in connivenza con il Partito comunista e la Democrazia Cristiana era, bene o male, al Governo di questo paese e il Partito comunista, bene o male, era all'opposizione.

In questo paese c'è stato un grande compromesso tra la Democrazia Cristiana, i suoi uomini e gli uomini del Partito comunista che ha spento la possibilità di andare a vedere oltre la responsabilità di coloro che sono stati giustamente indagati e incriminati in quanto molto probabilmente gli ideatori e gli esecutori del sequestro Moro; ma essi hanno agito anche godendo di appoggi e svolgendo una funzione di tramite con servizi segreti dell'Est che però al nostro paese non conveniva affatto toccare. Come nel caso di Ustica, non si potevano toccare relazioni internazionali del nostro paese spesso in concorrenza o in antagonismo con altri paesi della NATO, compresi per certi versi gli Stati Uniti, Israele che non è nella NATO ma nell'area occidentale e altri paesi. Questo compromesso è durato fino a quando la Democrazia Cristiana ha retto al Governo e fino a quando il Partito comunista e i post comunisti non si sono trovati di fronte alla pubblicazione di questi documenti. Oggi forse possiamo cominciare a capire qualcosa. Lo stesso vale per Gradoli. Anche in questo caso ritengo che chi ha tirato fuori in quel modo della seduta spiritica il nome di Gradoli si è assunto una responsabilità spaventosa perché non dicendo tutta la verità in realtà ha dirottato le indagini o ha consentito che le indagini venissero dirottate - che è la stessa cosa - e ha dato tempo e modo alle Brigate rosse di riorganizzarsi per superare l'incidente Gradoli. Questa è una responsabilità molto forte e precisa di qualcuno di coloro che erano presenti a quella seduta spiritica.

PRESIDENTE. Non credo alla seduta spiritica e l'ho anche scritto. Ma perché lei ha la certezza che sapessero tutta la verità? Non potevano saperne solo una parte?

TARADASH. No, perché se si fosse trattato di uno spirito, avrebbe detto tutta la verità; se invece non era uno spirito certamente non poteva dire Gradoli e non via Gradoli. E' assurdo pensare che un informatore che è a conoscenza di qualcosa sappia soltanto un nome, Gradoli, e non anche via Gradoli.

PRESIDENTE. Quand'eravamo giovani, facevamo un gioco di società: ognuno ripeteva una frase a quello che gli stava vicino e quando il giro finiva la frase si era modificata.

TARADASH. E' vero, però non si organizza una messa in scena come quella della seduta spiritica per coprire una pseudo informazione di questo genere. Se si organizza la messa in scena è perché si vuole dare un'informazione. Purtroppo essa è stata organizzata in modo tale che l'informazione è arrivata distorta. Se avessero detto la verità si sarebbe potuto risalire all'informatore e quest'ultimo sicuramente qualcosa di più preciso avrebbe potuto dire.

Quindi, vorrei sapere se Rossellini confermò quest'intervista che rilasciò a "Le Matin", e se il dottor Priore era a conoscenza del documento Improta e del ruolo della famiglia Conforto che emerge oggi, ma che già allora poteva essere conosciuto. E anche in merito alla vicenda di via Gradoli vorrei sapere in maniera più precisa la sua opinione.

PRIORE. Per quanto riguarda Rossellini, egli è stato ascoltato in istruttorie che risalgono a diversi anni fa. Ha confermato il contenuto di quell'intervista e ha dichiarato che si trattava di una notizia che circolava in tutti gli ambienti dell'Autonomia; cioè il fatto che si sarebbe dovuto eseguire un sequestro di una grande figura della Democrazia Cristiana e che pertanto si ipotizzava che potesse essere Moro. Quindi, Rossellini ne era già a conoscenza prima che il sequestro avvenisse. Praticamente nelle sue dichiarazioni vi è un'ammissione.

TARADASH. E della rete del KGB di cui parla nell'intervista al giornale "Le Matin" se ne è parlato nell'interrogatorio?

PRESIDENTE. Cioè dell'idea che le Brigate rosse nascessero addirittura da gruppi della resistenza italiana che erano stati praticamente inglobati nell'Armata Rossa e fossero diretti dal KGB?

PRIORE. No, per quel che ricordo di questo non parlò dinanzi al giudice italiano. Nell’intervista però c’era qualcosa di più. Ripeto, era una notizia di cui molti erano a conoscenza. Per quanto concerne il documento Improta, esso per la verità non è mai pervenuto agli atti dell’inchiesta, anche perché si trattava di un appunto di amministrazione del Ministero dell’interno rivolto al capo della polizia. Vi sono contenuti degli elementi interessanti, ma anche alcuni salti. L’estensore del documento utilizza una serie di nostri interrogatori, principalmente quelli di Scricciolo Loris, di Scricciolo Luigino e di Buzzatti, un’altra grande figura da noi più volte interrogata. Sinceramente devo constatare che c’è qualche salto in questo documento e che in effetti una sua utilizzazione giudiziaria forse appare difficile. Ci sono notizie interessanti, relative ai contatti con il servizio bulgaro, che acquisimmo da Loris e Luigi Scricciolo, oltre agli interrogatori di Buzzatti Roberto, che è la persona che per prima ci parlò estesamente dei rapporti internazionali delle Brigate rosse con l’OLP e con le figure provenienti dalla rete di Parigi. Egli ci dice qualcosa che forse abbiamo dimenticato. Afferma, ad esempio, che il collegamento delle B.R. con la RAF è un chiaro sintomo dell’influenza dell’URSS nell’operazione; sostiene inoltre che accompagnò Senzani alla stazione di Ancona dove avrebbero dovuto incontrare un personaggio del nostro servizio collegato con il Kgb e a conoscenza di tutti gli elementi concernenti la strage di Bologna. È una persona che somiglia al generale Musumeci, ma che tuttavia è di un’altezza inferiore, anche se è stato descritto quasi come fosse Musumeci. Senzani dice a Buzzatti che questa persona era un Generale dei nostri servizi collegato con il Kgb e profondo conoscitore della strage di Bologna. Purtroppo però le notizie relative all’altezza di questo personaggio nel documento vengono tagliate, cioè l’altezza è tagliata di 20 centimetri, per cui è diventato impossibile individuarlo.

TARADASH. Vorrei sapere in particolare del filone Conforto.

PRIORE. Conforto è un personaggio di cui all’epoca ci sfuggì l’importanza.

PRESIDENTE. Vorrei chiarire la domanda di Taradash. Nel momento in cui emerse che la Conforto era un’ospite attiva di Morucci e Faranda, i servizi vi informarono del copioso fascicolo che avevano sul padre?

PRIORE. Assolutamente no. È un fascicolo che nasce ai tempi dell’OVRA.

PRESIDENTE. In tutto ciò c’è una stranezza: la parte antica si trova già negli archivi di Stato, quella recente è rimasta al Viminale.

PRIORE. Quindi c’è.

PRESIDENTE. Vorrei sapere se questa è una anomalia.

PRIORE. Forse i fascicoli dell’Ovra sono già passati tutti all’archivio di Stato. Non credo che siano ancora tenuti dal Ministero dell’interno. Si tratta di un archivio "morto", acquisito poi dagli archivi di Stato. Comunque anche nella parte ancora in vita esso è molto interessante. Vi si parla di questa persona, del fatto che avesse lavorato in una società petrolifera sospettata già nel 1932 di attività di spionaggio a favore dell’Unione Sovietica.

PRESIDENTE. Si tratta anche di un personaggio vicino ai circoli massonici, perlomeno dalle carte che ho visionato.

PRIORE. Sicuramente potrebbe essere. La figlia lo descrive come una persona fortemente ideologizzata e in buona fede, ma tutto potrebbe essere. Lo stesso partito comunista credo lo abbia sospettato di fascismo, dal momento che si era iscritto al partito nazionale fascista e aveva addirittura creato un centro anticomunista da lui diretto presso il Ministero degli esteri. Era un personaggio di tutto rilievo che ebbe addirittura la medaglia all’ordine di Lenin. Un personaggio, quindi, di notevole statura della quale però all’epoca della perquisizione a casa della figlia nulla era emerso. La stessa importanza della figlia in un certo senso appare ridimensionata. Ella invece era al centro di una serie di relazioni piuttosto importanti. Suo marito era il famoso Corbò, anch’egli proveniente da Potere operaio, che svolgeva militanza attiva in Sud America. Credo anche che sia rimasto coinvolto in alcuni disordini in Venezuela e che di questo paese conservi ancora una multa ritrovata nelle carte di Viale Giulio Cesare. Costui assunse anche un incarico presso il Governo del Mozambico, quindi dopo la vittoria del Frelimo, che era stato aiutato dal gruppo. La zia è colei che detiene l’appartamento sullo stesso pianerottolo della grande base di via di Porta Tiburtina, 36 (interno 16 o 20, non ricordo esattamente) appartenente alla sedicente Tarquini Lucia che non è stata mai scoperta. In quella base si trovavano armi preziosissime e una documentazione importantissima che ci ha ricondotto a Rosati. In quel processo fu imputato Rosati Luigi, che non è altri che il marito della Faranda. Di fronte c’era l’appartamento della zia della Conforto, anch’essa professoressa universitaria, che lo usava per il riposo pomeridiano perché si trovava vicino l’università diversamente dalla sua casa che era piuttosto distante. Comunque era un appartamento a disposizione di chiunque avesse voluto recarvisi. Bastava comunicare al portiere che stava per arrivare una determinata persona perché quest’ultima ricevesse le chiavi per accedere all’appartamento. Di fronte a questo appartamento c’era quello della sedicente Tarquini Lucia, che non era altro che un’enorme base. Si tratta di una rete di basi che non abbiamo mai studiato a fondo e che fu installata subito dopo la percezione del riscatto del sequestro Costa. Le donne delle Brigate rosse comprarono tre appartamenti di cui abbiamo perso memoria. C’era una base a via Cardinal Albornoz, una a via suor Celestina Donati, quello di via di Porta Tiburtina e ce ne era un’altra non molto importante che ora mi sfugge. Abbiamo poi perso memoria della collega della Conforto, la signora Buzzi, che è colei che affitta la casa di Via Gradoli, ma non a Moretti e Balzerani bensì a Morucci e Faranda che furono i primi inquilini di quella base. Teniamo presente che in ciascuna di queste basi troviamo tantissime chiavi.

PRESIDENTE. È un momento in cui Morucci e Faranda non fanno ancora parte delle BR ma di Potere operaio.

PRIORE. Credo sia il momento in cui fanno parte delle Fac (formazioni armate comuniste). Credo che accedano alle BR agli inizi del 1977 quando si costituisce la colonna romana BR3, tentativo, che alla fine avrà successo, preceduto da diversi vani tentativi di insediamento a Roma.

FRAGALA’. L’affitto risale al 1975.

PRIORE. Allora risale a un periodo riferito ad una militanza diversa, quando Morucci e Faranda erano vicini alle BR ma non ne facevano ancora parte ufficialmente.

FRAGALA’. All’epoca Morucci era il capo del servizio d’ordine di potere operaio.

PRIORE. Questo nel 1970-1971, successivamente però passò a diverse formazioni, ultime delle quali le Fac che operavano a Roma.

PRESIDENTE. Stava parlando delle chiavi.

PRIORE. Le chiavi ci sono sempre a mazzi; in ogni base se ne trovano tantissime. Le troviamo persino nelle figure minori, come Spadaccini, che disse addirittura di averne trovato un mazzo per strada e non sa darne altre giustificazioni.

PRESIDENTE. Sono state mai compiute indagini per capire quali porte aprissero?

PRIORE. Sarebbe come cercare un ago in un pagliaio.

PRESIDENTE. Però i carabinieri dalle chiavi del borsello di Azzolini riescono a trovare la porta di Via Monte Nevoso in pochissimo tempo.

PRIORE. Il verbale di sequestro della base di Viale Giulio Cesare è impressionante quanto a numero di chiavi, che sono quasi pari al numero delle armi. Poi c’erano altri personaggi che ruotavano intorno alla Conforto, cioè la Buzzi, suo marito, di cui si trova una lettera a Via Gradoli, cioè Ferrero, anche lui collega di lavoro sia di Conforto sia di Piperno sia di un altro personaggio che ora mi sfugge. Era un mondo a parte.

Non vorrei qui richiamare - infatti non ha alcuna responsabilità penale - la persona che spesso frequentava la Conforto, una figura di alto livello del giornalismo italiano, Saverio Tutino, che conosceva a fondo i problemi del Sud America e che si recava spessissimo a Cuba. Questi, come la Conforto, ha sostenuto di non conoscere Morucci e Faranda, che vivono nel mondo dell’eversione dagli anni di Potere Operaio, sono conosciuti da tutti e sfuggivano soltanto a questi personaggi. Della Conforto si è avuto addirittura il coraggio di dire che fosse militante di Potere Operaio di Pomezia, come se quella sede fosse in grado di generare una formazione armata eversiva a sé. Queste persone erano conoscibili da tutti e giravano tranquillamente. In un certo senso non temevano le ricerche delle istituzioni ma quelle delle BR, che li stavano cercando, eccome!

Infatti, essi non solo non aveva restituito le armi, ma si erano impadroniti della mitraglietta Scorpion, che secondo la loro previsione doveva finire nel museo della rivoluzione, e anche di una forte somma di denaro e sostenevano che non dovevano restituirla. Moretti e gli altri dicevano che tale somma doveva essere restituita perché si trattava di soldi di spettanza del popolo, mentre gli altri ribattevano che occorreva stabilire chi rappresentava il popolo. Questi sono elementi di cui ci dimentichiamo troppo facilmente.

PARDINI. Quello di chi rappresenta il popolo è un eterno problema.

PRESIDENTE. Mi auguro che Taradash abbia cambiato idea sul fatto che quel mio documento fosse un romanzo giallo, perché le mie ipotesi sono molto minori rispetto alle sue.

MANTICA. Due domande. La prima si riferisce ad un documento che lei sta già manovrando: quello dei dodici nomi addestrati dal GRU in Cecoslovacchia. Lei trova questo documento nel settembre 1995, nell’ambito della terza istruttoria sull’attentato al Papa, in casa della giornalista americana Claire Sterling. Il documento in inglese, rinvenuto in una cartellina, porta la data del 20 ottobre 1984 ed è firmato da Michael Ledeen. E’ una lettera che questi indirizza alla Sterling, con allegati documenti riguardanti il generale Jan Sejna; si accenna ad una lista di persone che secondo il generale sarebbero state addestrate dal GRU, quindi parliamo del servizio segreto militare sovietico e non del KGB, in Cecoslovacchia per attività di terrorismo. Questo documento sarebbe poi stato consegnato in copia all’allora primo ministro Francesco Cossiga. Lei lo ha già accennato, ma vorrei che definisse meglio di quale lista si tratta. Chiedo alla sua cortesia di far acquisire agli atti di questa Commissione tale lista. Inoltre, chiedo che esito abbia avuto tale consegna a Cossiga, cioè se questo documento resti nelle carte dell’archivio privato di Cossiga, dato che gli fu consegnato come primo ministro e non credo per la sua memoria storica. Ci può dire esattamente i nomi dei dodici terroristi italiani indicati in questa lista? A suo giudizio e a sua conoscenza, su questa lista è mai stato compiuto alcun accertamento di natura giudiziaria?

Ricordo ai colleghi che il generale Jan Sejna, dei servizi di sicurezza militare cecoslovacchi, è riparato in Occidente ed è stato affidato alla CIA, anche perché era meglio non fidarsi dei Servizi segreti italiani. Sul rapporto tra il generale Jan Sejna e il terrorismo italiano, peraltro, Michael Ledeen – altra cosa stranissima – scrive un libro edito da Sugarco intitolato "Lo zio Sam e l’elefante rosso". Mi interessa avere notizie su questo filone che va verso il primo ministro Cossiga (a parte i Servizi segreti pare che anche i nostri politici abbiano l’abitudine di perdere documenti e non trovarli mai) e vorrei sapere se le risulta che su questa lista di dodici nomi, ripeto addestrati dal GRU e non dal Servizio segreto cecoslovacco, siano state compiute delle indagini.

PRESIDENTE. Dunque il senatore Mantica chiede di fornire alla Commissione questa lista dei dodici nomi.

PRIORE. Non ci sono problemi.

MANTICA. Un altro aspetto riguarda più specificamente le sue indagini sull’affare Moro. Tutti noi siamo abbastanza colpiti dal fatto che il Ministero dell’interno all’epoca del sequestro Moro è un posto dove Via Gradoli non è una via, qualcuno fornisce notizie che provengono da un tavolino e tutti ci credono, comunque è un luogo da cui potrebbero arrivare notizie alle BR. Vorrei sapere se lei ha mai interrogato una certa signora Lucidi Tiziana, che prestava servizio al Ministero dell’interno come coadiutrice dattilografa presso la segreteria di Lettieri, dal 1976 al 1978. Questo risulta da una nota del Ministero dell’interno agli atti della Commissione, non è un documento segreto o riservato. Vorrei sapere se Lucidi Tiziana che, peraltro, siccome i Servizi segreti sono molto attenti, dal Ministero dell’interno passa addirittura alla prefettura di Roma, poi si ammala per tre anni e va a San Francisco fino al 1982 a studiare inglese con il marito (un dipendente della RAI, un altro mantenuto dal popolo italiano); poi vince un concorso e pare lavori all’INPS dal 1982. La signora frequentava un appartamento che era notoriamente frequentato anche da Paolo Sebregondi ed era nota per essere una attivista dell’estrema sinistra rivoluzionaria (il marito condivideva le sue posizioni). Lavorava tranquillamente al Ministero dell’interno durante il sequestro Moro. Vorrei sapere se voi l’avete mai incontrata nelle vostre indagini e cosa è risultato.

Poi vorrei conoscere il giudizio dell’uomo di cultura Priore. Il 1990 è un anno tragico per l’affare Moro, perché lei consegna il 20 agosto la sua sentenza, poi arriva questo misterioso Havel in Italia, poi c’è la scoperta del covo di Via Monte Nevoso, poi il documento Improta. Nella sua sentenza del 1990, quindi ovviamente non essendo a conoscenza dei documenti ritrovati a Via Monte Nevoso, cerca di smantellare anche la tesi di Flamigni sulla tela di ragno e tutti i dubbi che Flamigni aveva.

Oggi, alla luce delle nuove conoscenze (quindi non è una critica alla sentenza del 20 agosto 1990) crede che ci siano delle novità rilevanti, in rapporto soprattutto alle valutazioni di Flamigni che lei, nella sentenza, cerca anche di mutare profondamente. Flamigni sostiene la teoria che c’è una certa direzione d’orchestra sulla vicenda Moro, una specie di complotto, una manovra comunque e invece nella sentenza laddove Flamigni vedeva delle ombre, lei cerca di chiarire che questo complotto non lo vede. La domanda è la seguente: oggi la sua sensazione è mutata profondamente? La riscriverebbe in altra maniera? Farebbe ulteriori indagini?

PRIORE. Rispondo immediatamente a questa domanda: in effetti, con il senno di poi, si scriverebbero delle cose diverse, ma non bisogna fermarsi a quella che è la prima parte della sentenza, dove io dico che, per effetto del memoriale Morucci-Faranda che ci fu consegnato in quel lasso di tempo noi eravamo riusciti a ricostruire come fosse andato il sequestro, come fosse andata l’operazione di via Fani e tutta la gestione successiva. Scrivo però, nelle ultime pagine, che c’è una serie di relazioni internazionali emerse nell’ultima parte dell’istruttoria che sarebbe interessantissimo approfondire. Certo, in quel processo mi interessavo solo del sequestro Moro e non di ciò che è avvenuto dopo. La grande fioritura di relazioni internazionali con le Brigate rosse nasce quando queste ultime assumono il valore di organizzazione combattente di grande peso nel nostro paese, quindi nel momento in cui vengono riconosciute sul piano internazionale da tantissime altre organizzazioni. In effetti quello è il periodo in cui, come è già scritto, le Brigate rosse si sprovincializzano, sono costrette ad aprirsi alle relazioni internazionali e quindi vanno a Parigi, costituiscono lì una piccola base, un piccolo appartamento dotato di armi che veniva frequentato all’epoca dal titolare delle relazioni internazionali (se ne sono succeduti diversi in questo breve periodo di anni). Posso elencare quali erano le organizzazioni e le relazioni internazionali intraprese; non approfondisco sia perché c’era il termine della vigenza del codice, sia perché queste relazioni internazionali nascono dopo Moro, quindi non erano oggetto di quell’inchiesta.

MANTICA. Secondo lei le relazioni internazionali nascono dopo. Voi non ne avevate la percezione.

PRIORE. Le relazioni internazionali con le altre organizzazioni, con quella rete che veniva definita dei "compagni" o il foro internazionale di cui parla Senzani sono successive al 1978. C’è una serie di rapporti che porta fino a Senzani che organizza attentati addirittura con missili. Fortunatamente li progetta e non li realizza.

PRESIDENTE. Ce ne era uno indirizzato sulla sede della DC.

PRIORE. Sulla sede della DC e anche sullo studio del Guardasigilli perché egli aveva previsto una rampa di lancio in via S. Bartolomeo dei Vaccinari, di fronte allo studio principale del Guardasigilli, che però non vengono realizzati. Diciamo che il grosso delle relazioni con le organizzazioni combattenti nasce dopo il 1978. Con il senno di allora si poteva affermare solo quello.

Presidenza del vice presidente MANCA

MANTICA. Flamigni avanza l’ipotesi del complotto, eccetera. Voi, dagli atti della magistratura, questa percezione fino al 1990 non l’avevate avuta.

PRIORE. L’abbiamo intravista, però non abbiamo trovato le prove. Teniamo presente che moltissimi, in tutte le sedi, a cominciare da quelle politiche, e seguiti anche da noi, ovviamente, hanno sostenuto che le Brigate rosse fossero un fenomeno da cortile; lo hanno sostenuto gli stessi brigatisti, cioè che fosse un fenomeno totalmente autoctono.

MANTICA. Non avevano i soldi per andare in pizzeria. Era un gruppo di ragazzi non addestrato alle armi e, sparando in via Fani, casualmente hanno ucciso i cinque uomini della scorta e non Moro. Fu un caso. Più o meno questo è stato raccontato da Adriana Faranda durante l’audizione in Commissione.

PRIORE. Siamo stati anche noi che abbiamo creduto, per tanto tempo, che si trattasse di un fenomeno puramente di cortile, ma su questo forse siamo stati indirizzati anche dagli stessi brigatisti i quali per anni hanno sostenuto di non aver mai avuto alcun rapporto internazionale. Su questo devo in un certo senso precisare il mio pensiero: rapporti c’erano addirittura con la Baader Meinhof, la Rote Armèe Fraktion anche prima del sequestro Moro; soltanto che con il sequestro Moro l’organizzazione si pone a modello delle altre: tutti la guardano con ammirazione per questa operazione militare di altissimo livello. Comunque rapporti ven’erano anche prima; basterebbe ricordare un’organizzazione che è riemersa adesso, l’Anarkische Kampf Organization, che addirittura sottrasse ad un deposito militare dell’esercito svizzero quelle famose bombe che noi poi troviamo a Robbiano di Mediglia e in basi della RAF. Quindi i rapporti c’erano. Le bombe furono sottratte nel Canton Ticino nei primi anni ’70. Le relazioni c’erano, ci sono sempre state. La famosa libreria Ekos di Zurigo, dove si riunivano in tanti. Ma nel 1978, dopo la grande operazione, fioriscono e tutti guardano con ammirazione alle nostre Brigate rosse che si impongono a tutte le organizzazioni combattenti proprio come esempio di altissima efficienza militare.

Presidenza del presidente PELLEGRINO

MANTICA. E su Tiziana Lucidi?

PRIORE. E’ un nome che io ho letto. Ho il timore di averlo letto solo nelle carte della Commissione, perché se ne parla in qualche relazione. Però è un personaggio che io personalmente non ho interrogato. C’è da tener presente che la persona che risulta in contatto con lei, cioè Ceriani Sebregondi apparteneva ad un’altra organizzazione e a quel tempo non tutti seguivamo tutti i processi. Credo che quello fosse un processo a carico di un’organizzazione che aveva un nome strano, che mi sembra fosse Unione comunisti italiani ML, che pubblicava il famoso giornale – grazie al quale fu conosciuta più che per se stessa e per le sue operazioni – "Servire il popolo". Si tratta dell’organizzazione "Servire il popolo" di Ceriani Sebregondi che poi però si avvicina alle Brigate rosse e credo anche che vi entri. Di questo non sono sicuro.

PRESIDENTE. Abbiamo addirittura a riprova un appunto della Questura di Roma del 19 agosto 1978, uno dei documenti che abbiamo avuto dal Ministero dell’interno.

MANTICA. Non ho detto che è sconosciuta alla Commissione.

PRESIDENTE. E’ però singolare che facciano un appunto per spiegare che è una dipendente di Lettieri, cosa che il Ministero dovrebbe sapere.

MANTICA. La domanda era rivolta al dottor Priore. Un’altra domanda si riferiva alle carte che credo il nostro ospite abbia davanti a sé. In queste carte si dice che sono state consegnate al primo ministro Francesco Cossiga. Se Michael Ledeen è un agente della CIA, facciamo questa ipotesi, siccome qualcuno dice che la CIA non collaborava, se è vero che le hanno consegnate al primo ministro Francesco Cossiga in qualche modo significa che hanno cercato di collaborare. La cosa curiosa sarebbe cercare di scoprire dove siano finite queste carte, visto che lei le trova facendo l’indagine sull’attentato al Papa, in casa di un giornalista americano, mentre ai nostri atti o per saputo da qualcuno, per il Sismi, l’ammiraglio Battelli o il primo ministro Cossiga nessuno ha mai parlato di questa lista di 12 nomi addestrati dal GRU. Lui li trova nel 1995, la cartellina riporta questa lettera del 20 ottobre del 1984, però non c’è scritto quando le consegnano a Cossiga. Ma nella cartella c’è scritto che gli sono state consegnate, si presuppone, prima del 1984.

PRIORE. C’è da tener presente quale fosse l’obiettivo della mia indagine, che concerneva l’attentato al Papa. Quindi questo era un argomento collaterale. Ho tentato di interrogare Ledeen ma questi si è avvalso della facoltà di non rispondere.

PRESIDENTE. Quindi, sia pure come fatto collaterale in quell’indagine, non le risulta che Cossiga avesse, nel 1990, ordinato ad una serie di uomini degli apparati di sicurezza di rapportarlo su tutto il ruolo che i Servizi orientali avevano potuto avere in Italia nei rapporti con le Brigate rosse?

PRIORE. No, questo non risulta.

PRESIDENTE. Il ‘90 è anche l’anno di Gladio.

MANTICA. Può comunque consegnarci questo elenco?

PRIORE. Si, facendo parte di un processo già depositato.

PRESIDENTE. Allora lo acquisiamo.

PRIORE. In esso vi è pure una sorta di intervista del generale nella quale parla degli addestramenti.

MANTICA. Vi era Franceschini nell’elenco?

PRIORE. Si, vi erano inoltre Viel e Spazzali ed altre persone che quando sono state nominate hanno presentato delle querele. In questa intervista molto interessante si parla anche di Feltrinellli.

PRESIDENTE. Ciò che emerge in modo impressionante è che – forse qualche collega della scorsa legislatura lo ricorderà – quando cominciammo ad occuparci di tale questione il mito che ancora circolava era quello che le BR fossero un cubo impermeabile. Io, che disponevo allora di un decimo delle informazioni attuali, nella relazione del 1995 dissi che questa era una delle cose che non poteva reggere. Mi sembra del resto che ciò che ci disse Signorile, sia pure senza entrare in maniera specifica, risulta confermato pienamente.

PRIORE. Le perdite furono impressionanti durante il sequestro Moro, quando addirittura emerse su articoli di Scialoja l’entità dello stipendio che percepivano; e tutta una serie di particolari che non potevano non venire dall’interno delle BR; allora, cominciò il sospetto.

PRESIDENTE. Dell’inchiesta che poi riguardò Scialoja, addirittura arrestato, si è occupato?

PRIORE. Non direttamente.

PRESIDENTE. Lo ha mai interrogato?

PRIORE. Si, perché in quel momento costituivamo un pool; quindi facevamo spesso interrogatori in comune.

PRESIDENTE. Non disse nulla circa le fonti delle sue informazioni?

PRIORE. Fu interrogato principalmente su quello che scrisse a proposito dell’intervista a Senzani. Siamo in un periodo diverso; a fine ’80. Mentre gli articoli risalivano al 1978.

PRESIDENTE. Non gli poneste alcuna domanda sugli articoli del ’78?

PRIORE. No.

PRESIDENTE. Mi consenta di dire che questo è proprio singolare; era forse il caso di farle qualche domanda. Personalmente non ho letto tutti gli articoli ma sono rimasto colpito dalla precisione di alcune delle cose da questi scritte.

PRIORE. Non ricordo se fu interrogato anche su questi particolari; però in effetti quello che dicevano quelli dell’Asinara e le varie risposte che davano nei loro documenti confermava che la fonte non poteva essere che questo gruppo.

PRESIDENTE. Sempre il gruppo di Morucci e Faranda?.

PRIORE. Il gruppo sospettò fin dall’inizio che la perdita avvenisse in quel settore; cioè nel settore collegato con i vecchi di Potere operaio, i professori, i manovratori.

PRESIDENTE. Dalla ricostruzione che avete fatto, Morucci e Faranda conoscevano le carte del processo a Moro? Sembrerebbe di no; sembrerebbe qualcosa rispetto a cui restavano fuori come se il processo fosse gestito più da Moretti, Azzollini, e così via.

PRIORE. Che ci fosse una certa compartimentazione anche nei loro confronti è possibile; teniamo però presente che Morucci era il corriere; la persona che portava le lettere, i messaggi, che distribuiva i comunicati. Quindi era una persona a diretto contatto con la struttura del comitato esecutivo.

PRESIDENTE. Rinvio il seguito della audizione a domani alle ore 13.30.

I lavori terminano alle ore 24.00.