Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

61a SEDUTA

MARTEDI' 8 FEBBRAIO 2000

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

Indice degli interventi

PRESIDENTE
BIANCO
BIELLI (Dem. di Sinistra-l’Ulivo), deputato
DE LUCA Athos (Verdi-l'Ulivo), senatore
FRAGALA' (AN), deputato
MANCA (Forza Italia), senatore
MANTICA (AN), senatore
MAROTTA (Forza Italia), deputato
PARDINI (Dem. di Sin.–L’Ulivo), senatore
STANISCIA (Dem. di Sin.-l’Ulivo), senatore

 

La seduta ha inizio alle ore 20,08.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito il senatore Athos De Luca, segretario f.f., a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

DE LUCA Athos, segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta del 21 gennaio 2000.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende appr ovato. E' approvato.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti il cui elenco è in distribuzione e che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.

Comunico inoltre che il signor Germano Maccari ha provveduto a restituire, debitamente sottoscritto ai sensi dell'articolo 18 del regolamento interno, il resoconto stenografico della sua audizione svoltasi il 21 gennaio 2000, dopo avervi apportato correzioni di carattere meramente formale.

Informo altresì che il dottor Libero Mancuso ed il dottor Silvio Bonfigli hanno fatto pervenire loro elaborati concernenti un aspetto specifico del caso Moro, rispettivamente: "Elfino Mortati: l'omicidio Spighi, la latitanza, il processo, la condanna, i suoi collegamenti con l'eversione brigatista e con la vicenda Moro" e "Relazione sul ritrovamento di un borsello a Firenze in data 27 luglio 1978 e sulla successiva scoperta del covo brigatista a Milano in via Monte Nevoso n. 8".

MANTICA. Signor Presidente, per ragioni di tempo mi riservo di esprimere in seguito una pregiudiziale su alcuni documenti pervenuti in Commissione.

 

AUDIZIONE DEL MINISTRO DELL'INTERNO ENZO BIANCO, SU FATTI RECENTI COLLEGATI AL FENOMENO TERRORISTA E SULLE MISURE DI PREVENZIONE E DI CONTRASTO.

Viene introdotto il ministro Enzo Bianco, accompagnato dal prefetto Ansoino Andreassi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del ministro dell'interno Enzo Bianco, che desidero ringraziare per la sollecitudine con cui ha risposto all'invito alla presente audizione che era stata deliberata nel corso dell'ultimo Ufficio di Presidenza. Il Ministro mi ha preavvertito che alle 21,30 dovrà allontanarsi, è quindi opportuno che l'audizione si svolga con ritmi serrati, per quanto mi riguarda do il buon esempio non ponendo alcuna domanda al Ministro e dandogli subito la parola. D'altra parte il Ministro è stato informato sui motivi per cui è stata deliberata la presente audizione, mi riferisco cioè al fatto che la Commissione dopo l'omicidio del dottor D'Antona ha ritenuto suo dovere istituzionale tenere un faro acceso sulla ripresa dei fenomeni terroristici e, in particolare, sulla rinascita del terrorismo delle BR.

Pertanto dopo aver ascoltato il prefetto Andreassi, qui presente e che colgo l'occasione di salutare, abbiamo creduto importante invitare il nuovo Ministro dell'interno anche a seguito dell'allarme nato dal ritrovamento del volantino, succinto ma di contenuto allarmante, che le Brigate rosse hanno inviato alle agenzie di stampa.

Do senz'altro la parola al Ministro; al termine del suo intervento, se i colleghi lo riterranno opportuno potranno porre le domande con la preghiera di farlo con i ritmi di una question time, e cioè rivolgendogli quesiti molto circoscritti onde consentire alla maggior parte dei presenti di prendere la parola prima che il Ministro vada via, considerato anche che abbiamo affrontato questo argomento di recente e quindi le posizioni e le valutazioni politiche di ciascuno di voi sono già acquisite agli atti della Commissione.

BIANCO. Signor Presidente, le sono grato per i suoi ringraziamenti, tuttavia, considerato l'argomento sul quale mi è stato richiesto di intervenire che desta da parte mia preoccupazione, ho ritenuto che fosse mio preciso dovere riferire alla Commissione con immediatezza. Purtroppo proprio per oggi già da tempo era stato programmato un impegno politico e questa è la ragione per la quale mi scuso se la mia disponibilità di tempo non sarà forse adeguata alla materia in discussione. In ogni caso, qualora lo si ritenesse opportuno, assumo sin da adesso l'impegno di tornare in questa sede.

PRESIDENTE. Non possiamo che accogliere con piacere la sua ulteriore disponibilità.

BIANCO. Sin da prima dell'arrivo dell'ultimo documento delle Brigate rosse - che come sapete è stato inviato per posta a due agenzie di stampa qui a Roma - avevo avuto modo di esprimere sull'argomento in esame alcune ragioni di preoccupazione dovute ad analisi che naturalmente mi erano state fornite, che questa Commissione peraltro conosce avendo ascoltato, recentemente, il primo dicembre scorso, il prefetto Andreassi. Tali preoccupazioni riguardano la situazione in cui attualmente si trova il nostro paese e che concernono l'operatività del terrorismo e quella che definirei una certa - mi scuso per il mio linguaggio "atecnico", ma sono solo 45 giorni che svolgo questo mestiere e per apprendere il linguaggio ne occorrono perlomeno 60 - "ebollizione" (nell'area probabilmente del tutto distinta dell'antagonismo) e nell'area politica a cui faccio riferimento.

L'aggiornamento di questa sera prende ovviamente in considerazione gli eventi successivi all'audizione del prefetto Andreassi e nella mia introduzione rispetterò la tradizionale ripartizione tra il terrorismo interno cosiddetto "di sinistra" e "di destra", anzi, cercherò di estenderla anche a quei gruppi che, pur non potendosi qualificare con linguaggio tecnico come terroristico-eversivi, si pongono comunque come una minaccia alla sicurezza e all'ordine pubblico per il radicalismo e l'estremismo che li animano, ma anche naturalmente per la pericolosità sociale di cui hanno dato dimostrazione. Analogamente, formerà oggetto della disamina anche la minaccia del terrorismo internazionale per le incidenze o i riflessi che il fenomeno ovviamente può avere nel nostro paese.

Il periodo in esame - che riguarda sostanzialmente due mesi, dicembre 1999 e gennaio 2000 - è contrassegnato dalla persistenza della minaccia posta dalle Brigate rosse e dalla parallela formazione dei Nuclei territoriali antimperialistici nuovamente evidenziatasi attraverso la diffusione di due documenti eversivi. Il primo, quello dei Nuclei territoriali antimperialistici, che per comodità chiameremo NTA, alla fine dello scorso novembre fu trovato nella tradizionale area in cui opera l'NTA e cioè nel Nord-Est e precisamente a Mestre, il secondo, molto più recente, costituito dal breve volantino a firma della Brigate rosse per la costruzione del Partito comunista combattente (PCC). In questo stesso arco temporale le forze di polizia ed in particolare in questo caso la polizia di Stato, ha portato a compimento la prima fase di una complessa operazione avviata nell'aprile dello scorso anno, dopo gli attentati anti-USA ed effettuati contro alcune sedi dei Democratici di sinistra a Verona ed a Roma, identificando e arrestando i componenti di una cellula estromessa dagli NTA che aveva assunto il nome in sigla di GPS (Gruppi partigiani per il sabotaggio). Quando si passerà più in dettaglio ad esaminare questi argomenti si farà qualche valutazione anche sulle negative ricadute che alcune manifestazioni hanno avuto sull'ordine pubblico ad opera di talune componenti dei cosiddetti centri sociali e dell'area anarco-insurrezionalista.

Sul fronte opposto, il terrorismo cosiddetto "di destra", pur non profilandosi l'esistenza di organizzazioni armate clandestine, non poca preoccupazione ha destato la persistenza di fenomeni di stampo neonazista, sia in connessione con il fenomeno della violenza negli stadi, sia con altre espressioni di razzismo e di antisemitismo che però hanno una dimensione ed una pericolosità al momento molto diversa.

Scendendo più nel dettaglio per quanto riguarda il terrorismo di sinistra, il documento degli NTA, al quale si è accennato, consiste in un elaborato di una certa complessità della direzione strategica, così come è stato riportato nella stessa intitolazione del documento.

Diverse sono state le analisi e i commenti che anche gli organi di informazione hanno riportato sul documento in parola e ci si limita pertanto a sintetizzare gli aspetti più salienti dando per scontato che esso è la manifestazione di un gruppo che, pur silente dallo scorso maggio, ritorna ora alla ribalta con un progetto che in qualche modo si avvicina a quello delle Brigate rosse-PCC, anzi con un evidente sforzo di emulazione anche nel linguaggio, nella comunicazione e nella stessa impostazione di carattere concettuale.

Va detto però che, mentre sotto il profilo delle strategie di attacco sulla linea classe-Stato, cioè contro le politiche di governo, gli NTA non aggiungono niente di diverso rispetto a quanto espresso dalle Brigate Rosse-PCC nel volantino di rivendicazione dell’omicidio D’Antona (in qualche modo vi è una volontà di seguire quasi pedissequamente l’impostazione di quel volantino, di quella risoluzione strategica in sostanza), appaiono invece particolarmente aggressivi con riguardo al tema del cosiddetto antimperialismo, con riferimenti minacciosi, oltre che agli USA e alla NATO, anche alla Gran Bretagna e, più in generale, alle politiche dell’Unione europea.

Innovativo appare anche il riferimento ad Osama Bin Laden, considerato come il leader carismatico di ogni forma di integralismo islamico in funzione antioccidentale; riferimento che sembra doversi interpretare come l’apprezzamento che una organizzazione, pur di origine e spessore del tutto diversa, come gli NTA, sente di dover tributare all’uomo che impersona le forme di lotta più estreme contro l’imperialismo USA. Non si ritiene, invece, così come ipotizzato da alcuni (questa è la valutazione complessiva nel nostro sistema di sicurezza, sia quindi dell’ordine pubblico sia dei servizi) che il richiamo ad Osama Bin Laden sottenda rapporti o contatti tra gruppi marxisti-leninisti, come gli NTA o le Brigate rosse, con formazioni integraliste islamiche.

Altra connotazione di rilievo del volantino è l’annuncio che alle due cellule che costituivano finora i Nuclei terroristi armati se ne aggiungono ora altre due, così da far ritenere che gli NTA abbiano ampliato le loro file di alcune unità, anche se gli investigatori ritengono che la struttura si mantenga su livelli modesti sia sotto il profilo quantitativo – se dovessimo fare una stima oggi diremmo che sono nell’ordine tra i dieci e i venti, una cifra intermedia intorno alla quindicina di militanti – sia sotto quello del potenziale di attacco, che non esclude però la capacità di aggressione a persone o obiettivi senza particolare difesa, cioè una capacità offensiva che può riguardare obiettivi più facilmente vulnerabili.

Il documento fin qui commentato ne preannuncia, come è noto, uno più cospicuo, cioè una vera e propria risoluzione strategica che, secondo le intenzione espresse dagli NTA, avrebbe dovuto essere diffusa entro lo scorso gennaio. Ciò ha indotto ad elevare il livello di guardia sulla base di pregresse esperienze secondo cui le risoluzioni strategiche si sono spesso accompagnate ad azioni terroristiche. Del resto, il silenzio degli NTA, dopo aver preannunciato poco prima dell’omicidio D’Antona una campagna di più diretto attacco al cuore dello Stato e la ricomparsa di loro documenti improntati ad una adesione alle strategie delle BR, non può che accentuare i motivi di allarme, anche perché il trascorrere del tempo dall’azione D’Antona fa temere una ricomparsa delle stesse BR-PCC.

Peraltro, l’accresciuto livello di pericolosità degli NTA è desumibile dalla espulsione, di cui si fa menzione nel documento, di una cellula definita "capitolazionista" evidentemente perché non disposta a intraprendere azioni di maggiore spessore. Il riferimento è ai GPS, citati precedentemente, i cui componenti, come anticipato, sono stati individuati e arrestati (cinque persone) o comunque deferiti all’autorità giudiziaria. La speranza degli investigatori di penetrare attraverso questa breccia nel nucleo duro degli NTA non è stata al momento coronata da successo, ma le indagini proseguono soprattutto in direzione di quelle schegge del movimento antagonista di cui è stata colta in più occasioni la disponibilità a proiettarsi sul terreno della clandestinità.

Il volantino a firma delle BR, spedito il 27 gennaio a due agenzie di stampa romane e recapitato il 31 gennaio, non può che accentuare il timore di rinnovate velleità d’attacco, forse finora frustrate dalla pressione investigativa. Sulla autenticità e pericolosità del volantino non vi è da parte nostra un assoluto ed univoco orientamento, ma ovviamente, lo riteniamo comunque grave e preoccupante. Nel volantino si riscontrano alcune evidenti anomalie e differenze rispetto alle regole, degne di un ulteriore approfondimento. Sulla terminologia è lecito esprimere qualche riserva di carattere formale. Il documento si sostanzia in una sorta di ultimatum agli organismi investigativi e giudiziari antiterrorismo – l’espressione usata è apparato repressivo – con l’evidente coinvolgimento di quanti, anche a livello di Governo, concorrono nell’azione di prevenzione e repressione. Ma vi è un altro aspetto del documento che appare importante comunque sottolineare: il significato che la minaccia contro l’apparato di contrasto dello Stato assume agli occhi di quei rivoluzionari raggiunti dalle iniziative investigative e giudiziarie, così da indurre ad un compattamento di diverse istanze eversive intorno alle cosiddette avanguardie combattenti.

E’ noto che in qualche misura l’apparato "repressivo" dello Stato, da tempo, non formava oggetto di una particolare e diretta attenzione da parte delle Brigate rosse tradizionali. Anche questo è un elemento di valutazione al quale stiamo guardando con particolare attenzione, di qui l’apprensione con cui sono da riguardare talune illegalità. Sto parlando di un argomento del tutto diverso e distinto, ma è del tutto evidente che l’accentuarsi di aree di frizione o di particolare pericolosità può costituire, anche soltanto oggettivamente, un terreno di coltura in cui chi porta avanti un disegno eversivo di tipo militare, come è quello nella logica delle Brigate rosse, può più facilmente attingere nella ricerca di singole personalità che possono entrare a far parte in un’azione di coscrizione. C’è da parte nostra in questo momento un’attenzione particolare verso quanto sta avvenendo relativamente ad alcune aree di gratuite aggressioni nei confronti di chi ha il dovere di difendere la legalità.

Come è già evidenziato in precedenti audizioni e in contributi forniti alla Presidenza della Commissione da parte del Dipartimento della pubblica sicurezza, vi è da menzionare il pericolo costituito da una frangia estrema e fortemente caratterizzata del movimento antagonista, quella anarco-insurrezionalista. La sua aggressività è ricomparsa in quest’ultimo scorcio di tempo in seguito alla condanna a Torino di un militante coinvolto insieme ad altri due compagni, suicidatisi in carcere, in alcuni attentati contro il progetto TAV di Val Susa. La sentenza di condanna è stata accompagnata da azione di protesta molto accentuata. La manifestazione, però, che si è svolta a Torino sabato scorso – ho il dovere di dirlo – si è realizzata, anche per l’efficace azione posta in essere dal Prefetto e dalle forze dell’ordine, in una condizione di legalità tale da sopire le nostre preoccupazioni, riguardo a possibili incidenti in quella città; quindi, c’è stata una disponibilità – per così dire – anche nella scelta del percorso e delle modalità di svolgimento della manifestazione.

Il problema maggiormente incombente e di più complessa portata è naturalmente quello delle BR–PCC e da molte parti si è chiesto, in questi giorni, quale sia lo stato delle indagini sull’omicidio D’Antona. Seppure non vi siano ancora risultati visibili, si può affermare, con cognizione di causa e con quel senso di responsabilità che una vicenda così tragica comporta, che gli investigatori non brancolano nel buio e che le indagini, particolarmente complesse, in ragione di regole di compartimentazione rigidissime che la ristretta cellula delle nuove BR si è imposta, hanno consentito di focalizzare l’attenzione su alcuni soggetti di interesse.

Evidenti ragioni di riservatezza e di segreto di indagine impediscono di dire di più, se non fare stato dell’impegno incessante con cui le forze dell’ordine, in stretto coordinamento tra di loro e con l’autorità giudiziaria, lavorano anche contro il tempo, per evitare che vengano compiuti altri attentati e per raccogliere le prove a carico sia di quanti hanno responsabilità individuali nell’omicidio D’Antona, sia di quanti altri partecipano comunque alla banda armata e siano disponibili ad altre azioni.

Il momento particolarmente delicato deve indurre alla massima solidarietà verso gli inquirenti anche da parte degli organi di informazione, per evitare che improvvide diffusioni di notizie possano vanificarne gli sforzi.

Delle iniziative di ordine programmatico e organizzativo per rafforzare l’azione di contrasto a questa e ad altre forme di terrorismo parlerò più avanti.

Per quanto riguarda l’area del terrorismo cosiddetto di destra e i movimenti dell’estrema destra radicale, vorrei fare alcune brevi considerazioni. Perdurano su questo fronte segnali di intolleranza razziale in chiave neonazista, che si manifestano sia tra le tifoserie sportive sia con gesti emblematici, quali scritte murarie o slogan comparsi soprattutto nella capitale. E’ nota l’individuazione del responsabile dell’azione contro il cinema Nuovo Olimpia di Roma, rivendicata dalla stessa sigla "Movimento antisionista" usata per l’attentato al Museo storico della liberazione. Si tratta di un giovane militante del movimento politico Forza Nuova, personalmente legato ad uno dei suoi fondatori ed acceso animatore di gruppi ultrà in seno alle tifoserie della capitale. Quest’ultima circostanza sta a sottolineare come la comparsa di simboli e bandiere neonaziste in occasione di manifestazioni sportive costituisca una spia dei legami che intercorrono tra ambienti ultrà e Forza Nuova. Peraltro, a proposito dell’ultimo striscione dispiegato allo stadio Olimpico in onore della tigre Arkan, si osserva che durante il conflitto nei Balcani una delegazione di Forza Nuova si recò nella ex Jugoslavia per esprimere solidarietà al popolo serbo, a fronte della cosiddetta e pretesa aggressione da parte della NATO.

Ho fatto questa affermazione non per dire che abbiano la esclusività, dal momento che ci andarono molte altre persone.

Ciò che inoltre desta preoccupazione è la circostanza che in Forza Nuova confluiscano istanze non solo della destra radicale, ma anche di tipo neonazista e la contiguità con ambienti criminali, atteso che i militanti di detta formazione sono stati identificati più volte tra le tifoserie che inneggiavano o alla discriminazione razziale o che estendevano la loro solidarietà a detenuti anche per gravi reati comuni.

Nel gennaio scorso alcuni militanti di Forza Nuova hanno sottoscritto una richiesta di referendum per l’abrogazione dell’articolo 41-bis, ma naturalmente questo ha un rilievo particolare.

Il patrimonio informativo degli organismi investigativi ed il costante monitoraggio delle multiformi espressioni che connotano l’estrema destra consentiranno di dare risposte adeguate a spinte eversive che dovessero pervenire da tale area.

Per quanto riguarda il terrorismo internazionale, la preminente importanza della minaccia costituita dall’organizzazione di Osama Bin Laden è stata confermata da eventi e da indagini in territorio USA, in coincidenza – come detto – con il periodo natalizio e con il Ramadan. In particolare, a seguito di una prima indagine, è stato arrestato a Seattle, a metà del dicembre scorso, un cittadino algerino proveniente dal Canada, trovato in possesso di un ingente quantitativo di sostanze esplodenti. Gli ulteriori sviluppi investigativi hanno portato all’arresto di altri due algerini collegati al primo che, stante le informazioni acquisite da fonte statunitense, avrebbero due cugini dimoranti in territorio italiano, entrambi irreperibili ed attivamente ricercati. A distanza di pochi giorni, nello Stato del Vermont, al confine tra gli Stati Uniti e il Canada, è stata tratta in arresto una cittadina canadese di origine italiana insieme ad un altro individuo di nazionalità algerina, ritenuti collegati al GIA. La donna, residente a Montreal, è coniugata con un algerino dimorante a Napoli in attesa di raggiungerla negli Stati Uniti. Quest’ultimo, lo scorso 14 gennaio, è stato rintracciato nella città partenopea, nei pressi della locale moschea dove aveva un recapito provvisorio e, siccome colpito da un provvedimento di espulsione dal territorio Schengen, emesso dalla Germania per reati contro il patrimonio e falsificazione della propria identità personale, in data 15 gennaio, cioè il giorno successivo, al termine di accertamenti e di approfondito interrogatorio, è stato espulso dal territorio nazionale verso il paese di origine.

Sono stati smentiti ufficialmente i progetti, in un primo tempo segnalati, di attaccare obiettivi in territorio Vaticano, che avrebbero maturato alcuni terroristi aderenti anch’essi ad una organizzazione di Osama Bin Laden, arrestati in Giordania nello stesso periodo. Si era poi fatto cenno, nel corso dell’audizione del primo dicembre scorso, al rinvenimento di un ordigno inesploso di notevole potenza nei pressi della moschea turca di Como e alla successiva rivendicazione a nome di un sedicente gruppo di lotta antifascista turco. Le indagini hanno avuto successo e lo scorso 16 dicembre è stato arrestato un cittadino turco di etnia curda, ritenuto autore delle telefonate di rivendicazione del fallito attentato.

In un ambito europeo preoccupa la recentissima interruzione della tregua da parte dell’Eta, confermata da un recente e gravissimo attentato consumato in Spagna, tenuto conto della solidarietà che detta banda armata ha annoverato e annovera tuttora negli ambienti della sinistra rivoluzionaria italiana e degli attentati dinamitardi che nel ‘91-‘92 furono commessi a Roma, a Milano e a Firenze contro gli obiettivi spagnoli.

Più remoto sembra il pericolo proveniente dal PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, attese le segnalate conflittualità all’interno dell’organizzazione. Comunque, sulla minaccia complessiva rappresentata dal terrorismo internazionale è intensa e continua l’attività di prevenzione svolta sia dalle forze dell’ordine, ma anche dai servizi di informazione in stretto contatto con gli omologhi organismi degli altri paesi occidentali.

Vorrei concludere questo mio ragionamento con un ultimo argomento che riguarda il potenziamento dell’azione di prevenzione e di contrasto sul versante terrorismo. La fase attuale è dunque contrassegnata – come dicevo qualche attimo fa – da diversi segnali di una riemersione di un estremismo e di un radicalismo molto forte e molto accentuato, naturalmente anche di opposti segni, anche se in questa fase naturalmente il maggior pericolo viene dal fronte delle Brigate rosse e dal fronte delle NTA. Tutto ciò fa temere che la ricomparsa del terrorismo nel nostro paese, per quanto possa apparire assurda e immotivata, non sia un fatto di breve durata destinato ad essere immediatamente riassorbito, ma abbia invece la forza perversa di protrarsi nel tempo, se non si dispiegherà un’azione assidua e altamente professionale per interrompere i circuiti dell’intossicazione che porta poi al terrorismo.

Sotto un primo profilo, non si tralascerà nulla per incentivare meccanismi di interazione tra il dipartimento della pubblica sicurezza, l’amministrazione penitenziaria e gli uffici di sorveglianza, così da ridurre al minimo il rischio che i terroristi irriducibili detenuti possano propugnare, attraverso l’elaborazione di documenti di natura ideologica e contatti con il mondo esterno, ipotesi di rilancio della lotta armata, magari fruendo di permessi premio accordati con una larghezza che non è più consentita soprattutto nella fase attuale.

Quanto al ricorso a pratiche di illegalità di massa, forte sarà il richiamo che le autorità locali di pubblica sicurezza dovranno rivolgere a quell'area dei centri sociali affinché si astengano dal ricorrere a pratiche illegali con il pretesto di motivazioni di ordine sociale. Tutto ciò non può che indurre il Ministro dell’interno a garantire la massima efficienza degli organismi preposti all’analisi delle situazioni a rischio e al contrasto del terrorismo destinandovi le risorse migliori e prevedendo nuovi moduli organizzativi che sono già allo studio.

Altrettanto impellente è l’esigenza di restare vigili a fronte delle complesse minacce del terrorismo internazionale incentivando ancora di più la collaborazione e lo scambio con gli organismi degli altri Paesi.

In conclusione, signor Presidente, l’efficacia degli interventi va inseguita, però, anche attraverso la rivisitazione di alcune norme che hanno riversato sul fronte del contrasto della criminalità organizzata strumenti creati per la lotta al terrorismo sicché gli organismi investigativi preposti a questo settore non possono più usufruirne come nel caso delle cosiddette intercettazioni preventive.

Utile appare, infine, conferire periodicità e sistematicità alle sedute del Comitato nazionale dell’organo per la sicurezza pubblica così da farne un momento sia di reciproco aggiornamento tra i vertici delle forze dell’ordine e dei servizi, sia di individuazione e di pianificazione di comuni strategie curando, se del caso, un’adeguata informazione dell’opinione pubblica su tematiche che vertono sulla sicurezza della collettività.

Ribadisco, tra l’altro, oltre all’impegno che ho assunto poc’anzi, l’immediata disponibilità, qualora dovessero emergere elementi di particolare rilievo, di venire a riferire in Commissione in modo tale che essa sia tempestivamente informata anche dell’ulteriore evoluzione del quadro che ho fin qui presentato.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor Ministro, per questa sua relazione. Prima di dare la parola ai colleghi commissari, non riesco ad esimermi da un brevissimo commento in quanto le cose da lei riferite da un lato mi confortano e dall’altro, però, aumentano la mia preoccupazione. Quello che colpisce è che in questa fase non si stanno commettendo, come avvenne anni fa, alcuni errori di sottovalutazione o anche di rimozione culturale. Mi sembra che per quanto riguarda il nuovo terrorismo di sinistra il fenomeno sia stato immediatamente individuato per quello che era, nella sua vera natura e non abbiamo commesso l’errore di dire ancora una volta "farneticanti proclami delle sedicenti Brigate rosse" quando invece si trattava di programmi di azione che si sarebbero dovuti analizzare per quello che erano.

La Commissione già apprezzò, non appena cominciò ad occuparsi della vicenda di D’Antona, la grande convergenza di analisi della polizia e dei ROS. Noi le abbiamo utilizzate in una relazione che abbiamo consegnato al Parlamento.

Su quanto lei ci ha detto questa sera, mi permetterei di dissentire sulla sua stima secondo cui gli NTA sarebbero composti soltanto da una quindicina di persone. Lo faccio per pura deduzione logica, di analisi. Se il gruppo dei GPS, come mi è sembrato di capire, tendeva ad inserirsi negli NTA, posto che il gruppo GPS sia stato interamente individuato in cinque persone, la loro aspirazione ad entrare in un gruppo di quindici risulterebbe un po’ sproporzionata. Ciò mi farebbe pensare ad una composizione più spessa degli NTA.

Aggiungo che anche nel documento di rivendicazione dell’omicidio D’Antona, le BR-PCC sembrano dialettizzarsi con gli NTA, ma ancora una volta sembra un’avanguardia che si dialettizza con un movimento più ampio. Quindi, se posso credere che il gruppo che ha ucciso D’Antona sia composto da dieci o quindici persone, mi risulterebbe oltremodo difficile pensare che gli NTA non siano almeno un po’ più numerosi della stima che abbiamo sentito.

A questa considerazione aggiungerei che, a mio avviso, nei CARC, che rappresentano un fenomeno molto più ampio e comunque nel movimento antagonista, sembra cominciare ad evidenziarsi una frangia, un livello che tende a militarizzarsi e che a mio avviso rappresenta già una fenomenologia criminale. In quel caso non avrei dubbi a pensare che abbiamo a che fare con qualche centinaio di persone.

Comunque, non è questo il problema. Il problema che fa colpo su di me, ma che credo colpisca anche alcuni colleghi della Commissione che probabilmente riprenderanno questo tema, è che questo corredo informativo così spesso poi, traducendosi in attività successiva di polizia giudiziaria, ancora non sta dando risultati. Mi auguro che tutto questo possa essere smentito e che i risultati possano essere solleciti, ma se questo non dovesse avvenire comincio a domandarmi se alcune mie idee personali, che la Commissione non condivise, non dovrebbero oggi essere riprese.

La relazione che la Commissione ha approvato nasceva da una mia proposta che la Commissione parzialmente emendò. Vorrei ricordare due profili relativi agli emendamenti. Il primo relativo ad una mia idea secondo la quale oggi è difficile distinguere il terrorismo mafioso da quello politico e che quindi probabilmente una struttura come quella della Procura nazionale antimafia, che fungesse da coordinamento e monitoraggio complessivo dell’inchiesta, potrebbe tornare utile. L’altro profilo è che a mio avviso sarebbe necessario un maggiore rigore applicativo in norme che fanno parte dell’ordinamento e che sono soprattutto i reati associativi. La possibilità di utilizzare di più i reati associativi per poter giungere a risultati più concreti nell’azione finale di contrasto da parte della polizia giudiziaria, nell’attività di prosecution. Spero che i fatti mi smentiscano altrimenti penso che con i colleghi della Commissione dovremo ritornare su una riflessione in merito a questi punti.

DE LUCA Athos. Federico Umberto D’Amato già nel 1975 prima del sequestro Moro ebbe a dire che si conoscevano questi brigatisti in quanto erano stati individuati attraverso degli infiltrati. Purtroppo, abbiamo visto come è andata a finire quella vicenda. Oggi, come del resto anche nell’audizione di Andreassi, c’è stato detto che in realtà alcuni di questi personaggi sono stati individuati.

Signor Ministro, lei ritiene che oggi, siccome a suo tempo fu avanzata una tesi politica secondo la quale la teoria degli opposti estremismi era politicamente funzionale alla situazione dell’epoca, siamo di fronte ad uno scenario diverso? Non vorremmo che questa conoscenza dei fatti, questa semplice organizzazione, in quanto è stato riconosciuto che per il delitto D’Antona non ci si trovava di fronte ad una grande organizzazione, si scontrasse con una difficoltà ad avviare delle azioni giudiziarie ben specifiche e ad individuare persone. Perché ciò avviene?

Lei ritiene inoltre che l'intelligence, i servizi siano oggi all’altezza delle nuove sfide che il Paese si trova davanti, nel quadrante in cui ci troviamo e con le nuove situazioni, con le nuove tensioni esistenti, le nuove aggregazioni, la diversità di fenomeni di terrorismo oggi esistenti?

Spesso si è parlato di rinnovare i servizi, di renderli più efficienti. Non pretendo che il signor Ministro ci spieghi tutto, però mi chiedo se si sia fatta un’idea sul fatto che sia necessario mettere le mani su tale questione. Lei ritiene che un maggiore raccordo, una sinergia, questo scambio di notizie tra le Procure del nostro Paese sia sufficiente, alla luce delle informazioni a sua disposizione.

Infine, vorrei ricordare l’esito di molti procedimenti avviati in merito a fatti singoli di terrorismo, attentati o vicende simili. Proprio in Commissione il Presidente fece riferimento ad un elenco ancora deludente nei risultati per cui ritengo che su questo fronte ci sia la necessità di un potenziamento e di venire a capo di queste situazioni. Davvero lei ritiene utile la strategia della riservatezza, del silenzio rispetto alle indagini, del lasciar lavorare senza pubblicizzare oppure non dobbiamo forse rendere maggiormente noto all’opinione pubblica quanto si sta facendo? Non sarebbe il caso che le nostre preoccupazioni fossero più diffuse e oggetto di riflessione da parte dell’intera opinione pubblica?

BIANCO. Per quanto riguarda la prima questione, quella relativa alla possibile attualizzazione di un ripetersi del fenomeno della teoria degli opposti estremismi, la mia sensazione, senatore De Luca, è proprio che oggi non esistano obiettivamente, né da una parte né dall’altra, condizioni che possano far pensare di utilizzare il terrorismo a fini di politica interna. Quindi non legherei la lettura dei fatti che ci capitano a strategie di politica interna, almeno della stragrande maggioranza delle forze politiche, di quelle rappresentative, anche le più varie.

Viceversa, la direttiva che io ho impartito nei primi contatti che ho avuto anche in sede di Comitato riguardo il quesito che mi è stato posto è che le indagini in corso, che naturalmente seguono delle piste investigative ritenute dagli investigatori attendibili e credibili, che però non sono compiute e determinate, devono portare – questo è un passaggio molto importante – non solo all’individuazione del responsabile materiale, ma a darci pure un contributo forte affinché, anche in un’azione di "compartimentazione" delle strutture terroristiche, si possa assestare un colpo molto forte al terrorismo. Quindi l’azione investigativa ha come duplice obiettivo, naturalmente, l’individuazione dei responsabili materiali ma anche un colpo forte all’organizzazione. Quindi dobbiamo dare il tempo all’indagine investigativa.

PRESIDENTE. Penso che su questo anche il senatore De Luca sia d’accordo. E’ chiaro che le indagini devono essere segrete, però il problema è che forse una sordina politica può non giovare alla vicenda. Penso che questo fosse il senso della domanda.

BIANCO. Mi stavo riferendo a un altro pezzo della domanda. Interverrò in seguito sulla riservatezza. Mi riferivo al fatto se per caso non stiamo procedendo con lentezza.

Per quanto riguarda la parte relativa alla cosiddetta riservatezza, è chiaro che le indagini – del resto la precisazione del Presidente mi facilita il compito – non possono che essere riservate. Da che mondo è mondo, la nostra azione non può che indirizzarsi in questo senso.

Credo invece che sul pericolo o sui pericoli, senza fare allarmismo, abbiamo assolutamente il dovere di prospettare una condizione che è reale, senza sottacere nulla. Naturalmente la riservatezza non deve significare una sordina riguardo questo argomento.

Per quanto riguarda la domanda se l’attività di intelligence sia all’altezza, ho già detto che occorre destinare a questo comparto alcune tra le risorse migliori che noi abbiamo nel potenziale, anche molto alto, di qualificazione. Credo che alcune modifiche organizzative si rendano necessarie, del resto il Parlamento ne sta discutendo in sede di riordino dell’attività dei Servizi, per rendere sempre più adeguato questo strumento, che è fondamentale rispetto ad un rischio che - noi sappiamo – non va sottovalutato ma che certamente è forte e consistente.

FRAGALA’. Ministro, la ringrazio per la sua disponibilità a venire a riferire in Commissione.

Dico subito che vi è un grandissimo allarme nell’opinione pubblica e una grande preoccupazione nella parte politica che io rappresento che gli strumenti e i mezzi di indagine e di prevenzione messi in campo dal precedente e dall’attuale Governo siano assolutamente insufficienti. Anzitutto perché vi è il problema, ormai, della paralisi del sistema giudiziario italiano a seguito, intanto, dell’affidamento nel 1989 della direzione delle indagini alle procure della Repubblica e alla pratica sterilizzazione delle forze di polizia per quanto riguarda la capacità di iniziativa di indagine e, poi, perché la sciagurata riforma del giudice unico ha praticamente paralizzato in questo momento tutti gli apparati giudiziari italiani.

La prima domanda. Lei non ritiene di tornare indietro rispetto ad un’altra iniziativa, certamente negativa e destabilizzante dal punto di vista della prevenzione e dell’investigazione, che adottò il suo predecessore non immediato, il ministro Napolitano, azzerando le strutture centralizzate di investigazione e di indagine della Guardia di finanza (SCICO e GICO), dei Carabinieri (ROS) e della Polizia (SCO)? Lei non ritiene che in questo momento di particolare allarme per l’esplosione del terrorismo di sinistra e anche della criminalità comune invece di piangere sul latte versato dei permessi facili, che poi magari vengono concessi ai collaboratori di giustizia e non secondo la legge Gozzini, come si è mistificato a Milano, non sia il caso di potenziare strutture di prevenzione e di indagine che riescano ad individuare le responsabilità e a non lasciare impuniti i reati? Questa è la prima domanda. La seconda la formulerò subito dopo la risposta del Ministro.

PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, abbiamo deciso un solo intervento a testa. Ci sono altri colleghi che devono intervenire. Se ci sarà tempo, potrà formulare la sua domanda in seguito o porla adesso.

FRAGALA’. L’altra domanda. Durante l’audizione del 1° dicembre 1999 il prefetto Andreassi, che oggi l’accompagna, come capo della polizia di prevenzione, ci ha detto che le indagini sull’omicidio D’Antona sono molte complesse: "Non si tratta soltanto di scoprire gli esecutori materiali dell’omicidio, ma di disarticolare una organizzazione; sono stati seguiti, monitorati, potremmo anche prenderli ma mancano ancora le prove".

Signor Ministro, a che punto è quella raccolta di prove necessaria per arrestare gli esecutori materiali dell’omicidio? Non crede che a quest’ora, visto che la notizia è apparsa su tutti i quotidiani, gli assassini abbiano avuto il tempo di sottrarsi ad un’eventuale operazione di polizia? Dico questo anche perché abbiamo saputo che nello stesso momento in cui sono stati individuati alcuni centri di lotta antagonista o addirittura di terrorismo di sinistra i capi di questi centri, immediatamente dopo l’omicidio D’Antona, si sono dati alla clandestinità.

PRESIDENTE. Il verbale dell’audizione del prefetto Andreassi ci è stato chiesto anche dalla procura di Roma. Quindi va detto che quella frase del prefetto Andreassi era espressa al condizionale all’origine. Rispondendo alla nostra domanda ha detto: "Potremmo pure averli individuati, però ancora non abbiamo le prove". Non è che abbia detto che li avevano individuati e non avevano le prove. E’ bene chiarire ed è bene che anche questo resti a verbale.

BIANCO. Per quanto riguarda la prima questione, naturalmente condivido e apprezzo l’allarme anche della forza politica e del Gruppo parlamentare a cui l’onorevole Fragalà appartiene riguardo la condizione che non va assolutamente sottovalutata. Trovo molto importante che su tali questioni, al di là delle differenti appartenenze, in realtà poi ci sia ogni possibile convergenza nel guardare naturalmente al fenomeno con la dovuta attenzione e nell’adottare, anche in sede parlamentare ove fossero necessari, comportamenti coerenti. Quindi la ringrazio anche del tono particolarmente costruttivo con cui ella ha voluto porgermi la domanda.

Trovo francamente non condivisibili i suoi giudizi sulla paralisi del sistema giudiziario. Naturalmente ci sono complessità, delicatezze, questioni da affrontare.

Rispondo invece alla questione che ella ha posto sulla cosiddetta direttiva Napolitano. Ho già sostenuto che quella direttiva è pienamente legittima (anche relativamente alle polemiche che ci sono state) e trovo che il modello organizzativo seguito sia particolarmente utile e opportuno.

Dico peraltro, onorevole Fragalà, che dopo un periodo di circa un anno e mezzo, a due anni dal varo di un nuovo modello organizzativo sia normale e naturale che si faccia un punto della situazione e si veda se è possibile arricchire ulteriormente l’esperienza e consentire un ulteriore e più efficace sviluppo di un’azione e di uno strumento prezioso. Ho già allo studio questo problema e ho messo l’argomento all’ordine del giorno di un’ultima riunione del Comitato nazionale; ne tratterò ancora nei prossimi giorni e, quando avrò formato un convincimento, naturalmente riferirò anche al Parlamento. Fra l’altro, mi pare, anzi sono sicuro che anche la Commissione antimafia ha chiesto di avere un confronto su questo argomento. Lo farò nelle sedi e nei modi opportuni.

Per quanto riguarda l’audizione precedente, come ha già fatto il Presidente, sottolineo che il prefetto Andreassi ha fatto un ragionamento di metodo; tanto è vero che in quella sua espressione, i verbi erano coniugati al condizionale, quindi non era un riferimento concreto ed operativo. Ribadisco che l’obiettivo che gli investigatori stanno seguendo è duplice: individuare i responsabili, ottenere le prove – questo è il compito di un investigatore, qualunque cosa si faccia – e, ove possibile, vista la particolare pericolosità, avere ogni utile elemento per allargare l’individuazione all’organizzazione, oltre che ai responsabili materiali, per evitare che, troncando un aspetto del fenomeno, questo possa proseguire pericolosamente con la continuazione dell’attività criminale. Posso dire che da parte di tutte le forze di polizia, Polizia di Stato e Arma dei carabinieri, l’impegno è altissimo e c’è una buona collaborazione. Ancora di recente abbiamo dedicato a questo argomento alcune riunioni a cui ho partecipato personalmente, anche allo scopo di rendere visivamente la percezione di quanto intensi siano l’attenzione e l’interesse del Governo affinché sia fatta piena luce sia sull’episodio sia sulla pericolosità che le Brigate Rosse–PCC rappresentano in questo momento per il Paese.

MANCA. Signor Ministro, la ringrazio di essere qui con noi per aggiornarci su questo argomento. Credo che lei abbia battuto il record tra nomina a Ministro e ospitalità presso questa Commissione.

Prima di rivolgerle la domanda, vorrei soffermarmi su un’appendice a quanto ha detto l’onorevole Fragalà in riferimento alle dichiarazioni del prefetto Andreassi di circa due mesi or sono. Ascoltando quelle dichiarazioni sono rimasto perplesso e adesso, vista la totale mancanza dei risultati e addirittura l’affacciarsi della minaccia brigatista, le perplessità sono aumentate. In appendice a quanto è stato detto, domando: ci si attende forse di cogliere in flagrante qualche brigatista – il che è veramente assai difficile – o la verità è proprio che gli inquirenti ancora brancolano nel buio?

Vengo ora alla domanda. Signor Ministro, mi consenta di chiederle di riferirci, ancor meglio di quanto ha fatto nella sua introduzione, in merito alla recrudescenza del fenomeno brigatista. Da buona parte del centro-sinistra si continua ad affermare che il terreno di coltura della recrudescenza brigatista sarebbero le aree di marginalità sociale, le periferie, i centri sociali e via dicendo. Le chiedo se non si stia prendendo un abbaglio. La mancanza, finora, di risultati investigativi, d’altra parte, potrebbe confermare il mio pensiero. Per un’organizzazione che si basa su una clandestinità ferrea - come sembra quella attuale - e che quindi richiede grande disciplina e autocontrollo, pensa che giovani disadattati e marginali possano dare affidamento? Perché non ammettere che l’attuale brigatismo, al pari di quello degli anni ’70, è fatto di personaggi per così dire "strutturali", che hanno un lavoro, che sono inseriti socialmente? Allora, non bisognerebbe andare a cercare prima di tutto nelle strutture politico-sindacali, nelle strutture ministeriali e via dicendo?

BIANCO. La ringrazio, senatore Manca, anche della cortesia con cui ha espresso apprezzamento per la mia disponibilità immediata; del resto non poteva che essere così: la questione di cui discutiamo è talmente importante che volevo dare al Parlamento e a questa Commissione il senso della volontà della collaborazione, ma anche dell’attenzione con cui vogliamo seguire l’argomento. Con grande franchezza non so a chi fa riferimento quando dice che nel centro-sinistra è prevalente una chiave di lettura…

PRESIDENTE. Per la verità fa riferimento alla relazione della Commissione, che poi abbiamo approvato tutti, centro-sinistra e centro-destra. Lì si faceva questa analisi.

MANCA. Comunque, al di là del centro-sinistra e del centro-destra…

BIANCO. Ecco, lasciamo perdere la parte politica. Io trovo che oggi una lettura che individuasse nel disagio sociale l’area esclusiva o prevalente in cui vengono arruolati nuovi appartenenti sarebbe riduttiva e sbagliata. Nel senso che c’è anche quell’area, e naturalmente ci preoccupa, ma non c’è dubbio alcuno che, soprattutto per quanto riguarda le BR – il resto sono anche cose molto diverse –, quell’esperienza storica è fortemente legata a una capacità di coscrizione di ben altro segno e di ben altra qualità, sia intellettuale sia di conoscenza, di capacità di lettura di "fatti" politici e sociali; molto più pericolosa, assurda quanto si vuole, ma con una logica e una coerenza interna fortissime. La nostra capacità di indagine si sviluppa, ovviamente, tenendo conto dell’esperienza passata. Lo Stato in questo momento non è colto di sorpresa come lo fu nel passato, non bisogna sottovalutare e soprattutto occorre guardare con attenzione anche a questo aspetto.

Chiedo scusa al Presidente, ma nel rispondere agli onorevoli commissari non ho risposto invece alla sua sollecitazione. Quando vuole sono pronto a farlo.

PRESIDENTE. Non si preoccupi, non c’è problema. Sono d’accordo - d’altra parte basterebbe leggere il documento rivendicativo dell’omicidio D’Antona - che ci sia una complessità di analisi notevole. Però, vede senatore Manca, si sa chi sono i CARC. E non c’è dubbio che quelle strutture si alimentino nelle aree di dissenso sociale. Io continuo a trovare singolare che mentre i vertici dei CARC sono in clandestinità non vi siano provvedimenti restrittivi della loro libertà personale. Per cui se il prefetto Andreassi li incontra in mezzo alla strada può prendere soltanto un appunto e non li può nemmeno fermare per chiedere loro informazioni. Il problema è che leggendo i documenti provenienti dai CARC si nota come essi siano documenti che non differiscono molto - anche se sono molto più semplici - da quelli della rivendicazione dell'omicidio D’Antona. Per cui le due cose stanno insieme, come giustamente ha rilevato il Ministro.

MAROTTA. Innanzitutto vorrei dire benevolmente al collega Fragalà che in effetti non è che le procure abbiano soppiantato la polizia. L’articolo 348 del codice di procedura penale afferma che, anche dopo la comunicazione al pubblico ministero della notizia di reato, la polizia continua ad eseguire, anche nell’ambito delle direttive impartite dal pubblico ministero, le indagini di cui all’articolo 55 del codice (che significa ricerca dei colpevoli, delle prove e tutti gli accertamenti propri della polizia). Questo per la verità, non per difendere la nostra categoria di magistrati.

Per quanto riguarda il giudice unico, esso è stato istituito da poco e l’impatto è sempre difficile. La questione è un’altra: la delinquenza diffusa – purtroppo - non è addebitabile ai giudici. Il 95 per cento dei reati cosiddetti della criminalità diffusa rimane ad opera di ignoti; su questo le statistiche sono precise e non è certamente dovere dei giudici contenere i reati; si tratta di un’azione della polizia. Senza dare la colpa a nessuno, dico solo che i nostri organici, sia quelli dei magistrati che quelli della polizia, sono assolutamente inadeguati. Infatti, se il 95 per cento dei reati cosiddetti di criminalità diffusa rimane ad opera di ignoti ciò significa che qualcosa non va e che il controllo del territorio non esiste.

Veniamo ora alle domande. Per la verità sono stato spiazzato dalla grande perspicacia del Presidente. La verità è questa: c’è una riemersione del fenomeno brigatista, su questo sembra non vi siano dubbi. Per quanto si possa dire che vi sia un movimento eversivo di destra, lei signor Ministro non è andato al di là del fatto degli striscioni nei campi sportivi, la "bomba carta"; per contro ha citato sette-otto sigle tutte dell’area di sinistra. Ma questa è solo una premessa. Ora io dico che tanti anni fa abbiamo sottovalutato il fenomeno delle Brigate rosse; lo sottolineava poc’anzi il Presidente e oggi per la verità questa sottovalutazione non la commettiamo; però si può correre il rischio di cadere in un altro errore di sottovalutazione che mi sembra sia quello nel quale stiamo cadendo, che riguarda proprio l’entità di queste associazioni. Il fatto di dire dieci – quindici persone per la verità non sta né in cielo né in terra; tra l’altro questo giudizio è smentito dal fatto che queste persone sono state capaci di uccidere un uomo, e non basta : questo giudizio, che ritengo superficiale, è smentito anche dal fatto che a distanza di quasi un anno ancora non si hanno i risultati. Se è vero che si tratta di dieci-quindici persone dovrebbe essere facile ottenere dei risultati. Se, infatti, parlate di dieci-quindici persone vuol dire che qualche elemento di giudizio lo avete, altrimenti come fate a dire che sono dieci o quindici persone?

Allora, queste persone stanno tenendo in scacco i nostri servizi; eppure si è detto che sono capaci di aggregazioni, che hanno una velleità di attacco, che sono collegati con il movimento che non ricordo bene come sia stato nominato dal Presidente, che parlano lo stesso linguaggio. Allora parliamoci chiaro, i fiancheggiatori sono responsabili così come i cosiddetti operatori. Pertanto, le chiedo, signor Ministro, se non le sembra superficiale il giudizio che si tratta di dieci-quindici persone.

PRESIDENTE. La domanda è chiara. Però il Ministro parlava di dieci – quindici persone con riferimento agli NTA, cioè a uno dei nuclei di questa galassia.

MAROTTA. Io dico le Brigate rosse responsabili dell’omicidio D’Antona perché allora di quello si parlò. Io gli NTA non li conosco neanche come sigla; ripeto, mi riferisco alle cosiddette Brigate rosse-PCC.

BIANCO. A parte le considerazioni di carattere generale sulle quali ovviamente non mi soffermo, in merito agli argomenti specifici devo far presente che è proprio il probabile numero ridotto che rende più difficile l’attività di investigazione perché se si trattasse di centinaia di persone da un certo punto di vista, per un’ovvia considerazione, sarebbe più facile venirne a capo.

PRESIDENTE. Per esempio è più facile che facciano sciocchezze.

BIANCO. Se si tratta di un numero ristretto o molto ristretto e fortemente compartimentato naturalmente la condizione è profondamente diversa.

Perché le forze di polizia, signor Presidente, onorevole Marotta, ci dicono che per esempio gli NTA sono probabilmente stimati intorno a quindici persone? Perché quindici è proprio il numero di coloro i quali sono stati cacciati via.

Signor Presidente, lei ricorderà che ho usato proprio questa espressione: i GPS che sono stati espulsi perché ritenuti probabilmente capitolazionisti – chiedo scusa per il termine, ma bisogna entrare in questo gergo – sono cinque ed erano un’ala di questa organizzazione. Questo è un dato da tenere presente.

Anche per quanto riguarda il resto - le Brigate Rosse - non pensiamo a grandi numeri. Questo conferma paradossalmente una certa difficoltà ad agire perché è stato compiuto un gravissimo attentato, sono passati molti mesi e se si trattasse di una organizzazione molto numerosa e molto diffusa sul territorio la capacità "di fuoco" sarebbe di gran lunga maggiore. Ma anche dal punto di vista della produzione dei documenti, non voglio entrare in analisi che in questo momento risulterebbero affrettate, ma non c’è dubbio che l’ultimo volantino ritrovato rispetto all’annuncio di risoluzioni strategiche entro la fine di gennaio è onestamente, dal punto di vista della complessità e della lunghezza, una cosa abbastanza ridotta e "modesta" - consentitemi di dire - come capacità.

Quindi, non c’è dubbio che esiste una certa difficoltà a tenere una presenza qualitativa e quantitativa forte; ciò ci fa pensare a un ridotto numero di persone. Il che ovviamente non vuol dire che bisogna sottovalutare il fenomeno; non vorrei assolutamente che si intendesse questo, anzi, l'ho detto con grande chiarezza, si tratta di un fenomeno grave e pericoloso…

PRESIDENTE. In qualche modo il fatto che si tratti di un ridotto numero di persone rende il fenomeno ancora più pericoloso.

BIANCO. Signor Presidente, paradossalmente questo è vero.

BIELLI. Signor Ministro, rispetto al fenomeno della ripresa del terrorismo, ho l'impressione che esista una questione che in questi anni è stata sottovalutata e di cui lei non porta alcuna responsabilità; mi riferisco al delitto Ruffilli rispetto al quale molti hanno ritenuto che fossero stati individuati i responsabili ed inoltre che in qualche modo fosse stata posta fine ad un certo tipo di esperienza. Ebbene, sono convinto al contrario che su tale delitto ci sia ancora molto da indagare e da scoprire; quello che intendo dire è che forse abbiamo preso qualche manovratore, qualche sicario, ma in ogni caso ho la sensazione che sin da allora, dall'epoca dei fatti, qualcosa delle menti delle Brigate rosse e del terrorismo rosso fosse rimasto in piedi.

La mia impressione è che per quanto riguarda il delitto D'Antona si possa scoprire che ci sono due dati comuni rispetto al delitto Ruffilli. Il primo è costituito dall'obiettivo: Ruffilli stava riflettendo sul nuovo sistema istituzionale-elettorale, D'Antona era l'uomo del nuovo sistema delle relazioni sociali; due personaggi, inoltre, che non erano di primissimo piano. Sullo stesso piano c'è il secondo elemento e cioè che non si può dire che coloro che hanno compiuto il delitto D'Antona fossero dei disperati e dopo un anno le indagini, che pur sono andate avanti, evidenziano che esisteva comunque sia capacità di fuoco sia una organizzazione molto segretata.

Esiste quindi un problema e cioè quello di una riflessione più attenta sui delitti del passato per capire quali possano essere i personaggi che in qualche modo stanno dietro a questi sicari e da questo punto di vista si gioca una partita che riguarda l'attività giudiziaria e le procure. Rispetto a queste ultime sono convinto che sia importante prendere in considerazione il problema del coordinamento anche per quanto riguarda i vari livelli della sicurezza. Non ritengo che sia opportuno dare vita a nuove strutture o nuove organizzazioni, tuttavia sono convinto che in questo caso si stia giocando una partita e quindi che oggi il problema del coordinamento debba essere realmente affrontato e credo che da questo punto di vista il Ministro debba essere colui che in qualche modo deve esercitare questo ruolo.

Seconda ed ultima questione. Se le cose sono in questi termini, credo che la pericolosità di questo fenomeno sia forte e stia nel fatto che alcune menti che stanno dietro il terrorismo stiano cercando di rimettere insieme pezzi che fino all'altro giorno potrebbero essere stati cocci ma che, rimessi assieme, possono ricostruire un mosaico ed un vaso forse di valore più grande rispetto ai singoli cocci presi in quanto tali.

Pertanto, assistiamo in qualche modo a questo tentativo, portato avanti dai vari gruppi, di rimettersi insieme e la pericolosità quindi sta nella circostanza per cui per raggiungere questo scopo hanno bisogno del fatto emblematico, nel senso che l'omicidio compiuto ha evidenziato che esiste un problema di leadership e quindi ci si ritrova per discutere sulle prospettive.

Da questo punto di vista abbiamo due fenomeni: un dato internazionale riguardo al quale, signor Ministro, mi permetta di dirle che sarei più preoccupato nel senso che è chiaro che non siamo di fronte alla teoria degli opposti estremismi, ma comunque bisogna tenere presente che c'è un’Europa che sta andando in una certa direzione e c'è anche chi si oppone ad essa. Al riguardo ritengo che la vicenda che sta interessando l'Austria vada vista in una dimensione tutta politica e da questo punto di vista a livello europeo tutto il terrorismo si sta rimettendo in moto; c'è stato l'incontro di Berlino, ma anche quello a Giano dell'Umbria in cui quelli che ho definito "cocci", pezzi del terrorismo nostrano e quelli vicini ai terroristi hanno discusso sul come rimettere in piedi una strategia…

TARADASH. La maggior parte dei governi d'Europa è di centro-sinistra!

BIELLI. Capisco bene che per il collega Taradash sia difficile capire che cosa succede a sinistra, ma non è un problema! Allora, rispetto a questa situazione, il quesito che pongo è quale sia lo stato della riflessione anche in riferimento a questo tentativo di riorganizzazione. Infatti, dopo un anno in cui abbiamo dichiarato di aver capito il fenomeno, credo che se dovesse trascorrerne un altro senza che venga individuata una qualche responsabilità è possibile che si realizzi quella riaggregazione cui facevo prima riferimento. E allora la riservatezza, il tentativo di andare a colpire in alto è necessario, ma in alcune occasioni si può colpire a mezza via per evidenziare che in qualche modo qualche risultato lo si sta ottenendo.

PRESIDENTE. Signor Ministro, la prima parte della domanda posta dall'onorevole Bielli corrisponde un po' alla riflessione a cui la Commissione era collettivamente pervenuta, che andava nel senso di vedere un qualche legame di continuità fra l'ultima fase del brigatismo toscano (omicidio Ruffilli) e la riemersione del fenomeno delle BR-PCC. Debbo dire che trovo molto interessanti anche gli altri quesiti avanzati dal collega in quanto uno dei fenomeni che mi sta sorprendendo - anche perché precedentemente non avevo avuto modo di pensarci - è il fatto che si sia quasi in presenza ad una forma di mondializzazione del dissenso. Intendo dire che il dissenso che nasceva per aree, un po' ghettizzato in una serie di sacche, tende invece oggi, anche utilizzando Internet a mettersi in rete, a collegarsi. Come fenomeno sociale non lo vedrei come un fatto negativo, perlomeno dal punto di vista di chi non si rassegna all'idea che la storia sia finita e che il mondo di domani debba essere identico a quello di oggi; tuttavia tutto ciò crea una serie di problemi sul piano dell'ordine pubblico che mi sembrano indiscutibili.

BIANCO. Signor Presidente, debbo dire che l'analisi che l'onorevole Bielli ha prospettato e che lei opportunamente ricollega ad una più compiuta analisi a cui è pervenuta la Commissione nel suo complesso, è da me condivisa. Ripeto, non c'è dubbio alcuno - ed è evidente e molto importante - che vi sia una qualche forma di collegamento con quella esperienza storica dell'ultima fase cui si faceva riferimento e quindi, naturalmente, esistono delle affinità tra questi aspetti. L'onorevole Bielli, a proposito dei delitti di D'Antona e Ruffilli, ha parlato di personaggi di non primissimo piano ma che tuttavia erano molto importanti, persone chiave perché interpreti di una particolare capacità di innovare e di avere un atteggiamento tra virgolette "riformatore".

Mi consenta, onorevole Bielli, non credo che la sua preoccupazione sia maggiore di quella che ho avuto modo di esprimere nel corso del mio intervento. Precedentemente ho semplicemente sostenuto che non individuo il rischio di una strumentalizzazione a fini politici interni di qualcosa di quello che rappresentò la teoria degli opposti estremismi, anche se il paese utilizza tanti argomenti per esprimere, a volte inopportunamente, ragioni di litigio e di tensione eccessiva. Intendo dire che non individuo oggi, né in una parte né nell'altra, una strumentalizzazione del terrorismo a meri fini di politica interna e credo che questo rappresenti un fatto da rilevare positivamente. Altra cosa, onorevole Bielli, è la preoccupazione che lei ha manifestato giustamente ed opportunamente circa il rischio di collegamenti anche internazionali, aspetto che, tra l'altro, non rappresenta una novità. A tale proposito, precedentemente, ho fatto riferimento all'ETA e persino ad una novità…

PRESIDENTE. A Osama Bin Laden.

BIANCO. Esattamente, signor Presidente. E' la prima volta che viene espresso in qualche misura un apprezzamento di qualcosa che è completamente diverso, quale è appunto l'islamismo integralista estremo. Ebbene, stiamo guardando a questi aspetti con molta attenzione perché sappiamo che l'eventuale congiunzione anche dal punto di vista tattico di pezzi di terrorismo nazionale con quello internazionale sarebbero fonte di ulteriore preoccupazione. Mi riferisco anche a quello a cui l'onorevole Bielli ha fatto riferimento in conclusione a proposito di presenze internazionali anche in aree non di tipo brigatistico ma comunque di forte e durissimo antagonismo, elementi che anch'essi guardiamo con la massima attenzione possibile.

PRESIDENTE. Sembra quasi una nemesi della storia perché alla fine degli anni '60 e agli inizi degli anni '70 una frangia della destra radicale in nome dell'anticomunismo fece cadere la pregiudiziale antioccidentale; oggi, invece, la pregiudiziale antislamica cade di fronte al comune obiettivo dell'antiamericanismo.

PARDINI. Signor Ministro, vorrei porle una domanda e rivolgerle quasi una preghiera. Come Commissione, stiamo lavorando molto sul delitto Moro che ancora oggi ha numerosi punti oscuri. Poiché ritengo che sia difficile leggere i fenomeni di oggi se non si ha una chiara conoscenza di ciò che è avvenuto nel passato, tra i tanti buchi neri del delitto Moro ve ne sono alcuni che lei potrebbe aiutarci a risolvere. Mi riferisco a tutto ciò che è avvenuto intorno ai vari comitati di crisi istituiti presso il Ministero dell’interno nei cinquantacinque giorni del rapimento Moro. Su tale aspetto abbiamo avuto brandelli di verità, pezzi di carta con riassunti mai resi chiaramente: le chiedo uno sforzo di chiarezza e di ricerca di verità su un episodio della storia del nostro Paese ancora avvolto nel mistero, che riguarda il ruolo del Ministero dell’interno in quei cinquantacinque giorni. Da chi erano composti i comitati di crisi e i verbali di quei comitati; questa Commissione non li ha, credo che sia indispensabile per poter fare chiarezza su quella vicenda.

BIANCO. Le rispondo con grande schiettezza e spero che lei apprezzi anche l’umiltà con cui parlo: nei quarantasei giorni in cui ho ricoperto la carica di Ministro, dovendo dare priorità ai fatti di cui occuparmi, non ho ancora neanche mentalmente provveduto ad una ricerca storica pur importantissima come quella alla quale ha fatto riferimento. Mi sono tuffato con passione ed entusiasmo ad affrontare le mille emergenze che ho avuto di fronte (dalla protezione civile al terrorismo, alle questioni di ordine pubblico e così via) per cui non ho ancora avuto modo di porre mano alla questione. Conto di colmare una lacuna e di cercare di capire qualcosa: dichiaro fin da adesso la mia piena disponibilità a fornire tutti quegli elementi che possono essere utili alla migliore comprensione anche da parte della Commissione di questa fase delicatissima della vita del Paese, che è ancora molto oscura.

PRESIDENTE. Signor Ministro, debbo ringraziarla perché è molto importante quanto da lei affermato. Un suo predecessore, in questa legislatura, ci ha fatto invece un discorso diverso affermando di avere tanti problemi nell’attualità da non potersi occupare del passato e della storia. Registro questo suo diverso atteggiamento: c’è una disponibilità da parte del Ministero dell’interno di rendere accessibili gli archivi ai nostri consulenti, anche un problema residuo è stato poi risolto attraverso una corrispondenza tra me ed il prefetto Ferrante. Il senatore Pardini vuole invitare ad una collaborazione più attiva, non soltanto aprire le porte ma anche fornire una guida più illuminata nel camminare oltre la porta giusta.

BIANCO. Signor Presidente, ritengo che la comprensione di quei cinquantacinque giorni e di quell’evento sia utile per il Paese nel suo complesso e per il Parlamento. Se mi è permesso, vorrei capire qualcosa anche io e mettere in condizione, nei limiti di quanto consentito, anche il Parlamento di accedere.

PRESIDENTE. Con il consenso della Commissione, mi consentirà allora di fornirle qualche documento di aggiornamento che faccia il punto su quanto ci interessa.

DE LUCA Athos. Un promemoria su quanto ci interessa chiarire.

STANISCIA. Rivolgo anche io una domanda al Ministro e non pretendo una risposta questa sera. I cittadini si chiedono: un commissario, Calabresi, viene assassinato ormai quasi trent’anni fa, per anni gli autori rimangono sconosciuti, ad un certo punto un cittadino ha una crisi di coscienza e confessa di essere uno degli autori, chiama in causa altri cittadini, Sofri ed altri vengono condannati, assolti e ricondannati, alcuni testimoni sono creduti, altri no. Tutta questa vicenda non è ben comprensibile, tanto è vero che c’è un dibattito nella società e sui giornali su quest’argomento.

La mia domanda è la seguente: è possibile che i servizi non seguissero gli uomini di Lotta continua in quegli anni che erano di ferro e fuoco da questo punto di vista? Ci sono fonti, rapporti da cui è possibile sapere qualcosa in più intorno a questa vicenda? I servizi sono completamente estranei? In nessuna occasione, in nessun momento hanno avuto un ruolo in questa vicenda? Sembra proprio abbastanza strano.

BIANCO. Chiedo scusa, ma la domanda è complessa, non posso che chiedere la sua comprensione perché non ho ancora modo di dare sufficiente risposta. Nella prossima seduta, alla quale mi impegno, anche in presenza di nuovi elementi che spero di fornire presto alla Commissione, mi auguro di poter continuare e fornire anche su questi due ultimi argomenti qualche elemento più serio di quello che potrei dare adesso.

Signor Presidente, la ringrazio di cuore. Buon lavoro.

PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro e lo salutiamo. Ringrazio i Commissari per collaborazione che hanno prestato dando modo al Ministro di allontanarsi all’orario stabilito.

Il ministro Enzo Bianco viene congedato.

 

SULLA RICHIESTA DI UNA AUDIZIONE PER ROGATORIA DEL SIGNOR ILICH RAMIREZ SANCHEZ alias CARLOS

PRESIDENTE. Proseguiamo la seduta sul problema sollevato dal senatore Mantica in apertura di seduta.

MANTICA. Signor Presidente faccio riferimento a due episodi recenti. La informo – ma risulta anche agli atti – che è stata depositata la richiesta di archiviazione fatta, a suo tempo, nel 1990, dal pubblico ministero per fatti riguardanti il signor Ciavardini, mi riferisco alla strage di Bologna. Abbiamo depositato questa richiesta di archiviazione perché, a nostro avviso, era importante che si sapesse che già nel 1990, non nel 2000, un pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione nei confronti di Ciavardini.

La informo anche che, insieme a questa richiesta di archiviazione, è stata depositata in allegato una intervista rilasciata da Marco Affatigato ad uno dei nostri consulenti. La cosa poteva anche fermarsi qui, non c’era bisogno che intervenissi, ma i problemi si sommano, nel senso che è recente l’assoluzione del signor Ciavardini.

L’assoluzione di Ciavardini, a nostro giudizio, riapre un problema (mi riferisco ad un giudizio politico, non ovviamente giudiziario) perché Ciavardini conferma, come tutti sanno, credo, l’alibi di Francesca Mambro e di Giusva Fioravanti in merito alla strage di Bologna. Ma la questione più importante, di cui volevo informare il Presidente e la Commissione, è che Marco Affatigato, nella sua deposizione, afferma che il famoso terrorista Carlos era presente a Bologna in quei giorni, il che non vuol dire assolutamente nulla: affermo un dato di fatto.

Ci siamo permessi di contattare l’avvocato Sandro Clementi, che rappresenta il signor Ilich Ramirez Sanchez, meglio noto come Carlos. Attraverso l’avvocato Clementi la informo che il signor Ilich Ramirez Sanchez è disponibile ad essere interrogato dalla Commissione; per lo meno, è la Commissione che ovviamente deve farsi parte diligente per la rogatoria, perché – come voi sapete – tale signore è attualmente detenuto nel carcere di La Santé.

Le darò, signor Presidente, le copie dei documenti e vorrei che restasse a verbale, senza ironia, la lettera del signor Ilich Ramirez Sanchez in risposta all’avvocato Clementi, mediatore in questa trattativa. Il signor Ilich Ramirez Sanchez scrive in tale lettera: "Caro signore, grazie per la sua lettera raccomandata del 31 gennaio, recapitatami in tempi record. Sono pronto a collaborare con la Commissione parlamentare sul terrorismo e le stragi, impegnata ad appurare e ad identificare le responsabilità politiche nell’ambito della lotta armata in Italia. Sono pronto, dunque, ad assumermi le mie responsabilità nel difendere i miei compagni di lotta, i quali hanno sacrificato la loro vita e la loro libertà per nobili cause. Esprimo un ringraziamento al consulente Gian Paolo Pelizzaro, che ha gestito questa corrispondenza. Tuttavia, mi domando perché il Parlamento italiano debba essere interessato a molte delle risposte alle cinquantasei domande" – ci siamo permessi di fargli avere l’elenco delle domande, perché volevamo che la risposta non fosse di carattere generico; volevamo che sapesse, grosso modo, di che cosa volevamo parlare - "preferirei, quindi, un approccio ufficiale della Commissione, iniziativa questa che può essere assunta tramite lei" (tramite cioè l’avvocato Clementi).

La lettera è indirizzata a me e all’onorevole Fragalà e indirettamente al senatore Pellegrino, presidente della Commissione. La lettera continua: "Pertanto confermo in via formale il suo incarico a rappresentarmi nei contatti ufficiali preliminari con detta Commissione. Vostro nella rivoluzione Carlos".

Credo che sia corretto che in Commissione stragi si prenda atto di questa novità della sentenza Ciavardini. Più volte, infatti, è stato posto il problema che la strage di Bologna è chiusa perché c’è una sentenza definitiva, ma lei sa – signor Presidente - che questo non è il parere di chi – per esempio – ha scritto la relazione su Ustica, ritenendo che altre indagini dovevano essere fatte perché probabilmente vi erano collegamenti tra la strage di Ustica e la strage di Bologna. Si è aperto questo spiraglio e non so onestamente a che cosa possa portare. Credo che si possa senz’altro, se l’Ufficio di Presidenza e il Presidente saranno d’accordo, procedere, perché non è facile avere disponibilità di questo genere.

Devo dire che avevamo chiesto all’avvocato Clementi di sapere anche quali procedimenti penali del signor Ilich Ramirez Sanchez erano in corso perché ovviamente, se ne avesse avuti anche in Italia, la situazione si sarebbe potuta complicare. Dall’elenco risulta che tutti problemi riguardano la Francia e per questo motivo è detenuto; ciò per evitare che possa complicarsi la posizione processuale di questo signore. Pertanto, signor Presidente, le chiedo formalmente a nome mio e dell’onorevole Fragalà di procedere alla rogatoria ufficiale del signor Ilich Ramirez Sanchez. La ringrazio.

PRESIDENTE. Senatore Mantica, porterò tutto il profilo riguardante l’audizione del signor Ilich Ramirez Sanchez, noto come Carlos, al prossimo Ufficio di Presidenza non appena avrò esaminato i documenti affinché l’Ufficio di Presidenza e i vari membri possano affrontare il problema recognita. Dico sin da adesso che si tratta di una rogatoria per la quale dovremmo particolarmente attrezzarci al fine di renderla veramente utile. A parte questo, non sottovaluto affatto il rilievo che può avere l’assoluzione di Ciavardini. Oggi ne conosciamo solo il dispositivo; sappiamo che è stato pronunciato secondo quella che era la vecchia formula dell’assoluzione per insufficienza di prove. Leggere la motivazione potrebbe essere un ulteriore elemento. Valuteremo, allora, se in questa assoluzione vi siano ragioni che pongano davvero in dubbio il giudicato di condanna di Mambro e Fioravanti. Tuttavia, non voglio nascondermi dietro un dito. Ad oggi, per quel che riguarda la strage di Bologna, la condanna di Mambro e Fioravanti è in qualche modo appesa nel vuoto di una poco approfondita analisi del periodo da parte nostra. Quella che era l’impostazione originaria dell’accusa ha perduto via via molti pezzi, fino all’ultimo quello di Ciavardini. Resta la condanna passata in giudicato di Mambro e Fioravanti. Ritengo che la Commissione debba affrontare gli anni ‘80 proprio nella logica di una nuova ed approfondita indagine.

Sugli anni ‘80 sappiamo poco. Non abbiamo ancora finito di indagare sulla questione Moro; non possiamo sapere a che cosa ci porterà questa ulteriore indagine. Se alla fine ci dovremo arrendere di fronte ad una inconoscibilità, sarebbe grave per le considerazioni svolte oggi dal senatore Pardini e per la risposta fornitaci dal Ministro dell’interno. Tuttavia, è certo che gli anni ‘80 rappresentano una questione sulla quale le nostre conoscenze complessive come Commissione sono molto più arretrate rispetto a tutto il resto. Mi auguro che in questa legislatura riusciremo ad affrontare bene tale problema. Se chiudessimo, come ci siamo ripromessi, tutto il problema del periodo 1969-1974 con un dibattito entro il prossimo mese di aprile, potremo veramente utilizzare la parte finale della legislatura concentrandoci sia sulla vicenda Moro sia su questa ulteriore che pure rientra nei nostri compiti istituzionali. Rispetto alla prima parte del nostro lavoro, c’è il problema di arrivare alla fine ad una valutazione più o meno condivisa, ma abbiamo già un bagaglio di conoscenze molto ricco. Quando invece ci muoviamo verso gli anni ‘80, il bagaglio di conoscenze diventa molto più povero, per lo meno per quelle che sono le mie personali valutazioni, che ovviamente non impegnano la Commissione.

In ogni caso, porterò all’esame del prossimo Ufficio di Presidenza la richiesta dell’audizione di Ilich Ramirez Sanchez, noto come Carlos. Tuttavia, ripeto che dovremo attrezzarci particolarmente bene per tutto l’aspetto che non riguarda solo Ilich Ramirez Sanchez ma anche l’estero, perché a tal riguardo abbiamo ancora qualche debolezza.

MANTICA. Presidente, debbo precisare – è l’ipotesi avanzata ovviamente da me e dall’onorevole Fragalà – che non vorrei che lei allargasse il discorso a tutti gli anni ‘80. Ho collocato questa richiesta nell’ambito di un fenomeno, di un evento che noi riteniamo collegato alla strage di Ustica. Le ricordo che su Ustica esiste una relazione che prima o poi mi auguro …

PRESIDENTE. Mi è sembrata una decisione condivisa quella di non discuterla, anche per l’imminenza del dibattimento che …

MANTICA. Non le ho chiesto di discutere Ustica …

PRESIDENTE. Per quanto riguarda il signor Ilich Ramirez Sanchez, ho capito anche l’urgenza dell’atto istruttorio, perché la situazione si potrebbe complicare e potrebbe farlo diventare impossibile. Si tratta di un problema che singolarmente porterò all’esame del prossimo Ufficio di Presidenza. Tutto il resto del discorso è di carattere generale, che spero la troverà d’accordo.

MANTICA. Io lo limito ad Ustica.

PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l’audizione.

La seduta termina alle ore 21,46.

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