Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

64a SEDUTA

MERCOLEDI 1° MARZO 2000

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

indi del Vice Presidente MANCA

prima parte

seconda parte

Prima parte

Indice degli interventi

PRESIDENTE
POMARICI

SPATARO 1 - 2 - 3 - 4

BIELLI (Dem. di Sin.-L’Ulivo), deputato 1
GIORGIANNI (PPI), senatore 1 - 2 - 3
FRAGALA' (AN), deputato 1 - 2
MANCA (Forza Italia), senatore 1
PARDINI (Dem. di Sin.-L'Ulivo), senatore 1 - 2

 

La seduta ha inizio alle ore 19,40.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito il senatore Pardini, segretario f.f., a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

PARDINI, segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta del 23 febbraio 2000.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti il cui elenco è in distribuzione e che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.

Informo altresì che il ministro Enzo Bianco ha provveduto a restituire, debitamente sottoscritto ai sensi dell'articolo 18 del regolamento interno, il resoconto stenografico della sua audizione dell' 8 febbraio 2000, dopo avervi apportato correzioni di carattere meramente formale.

 

INCHIESTA SUGLI SVILUPPI DEL CASO MORO: AUDIZIONE DEI DOTTORI ARMANDO SPATARO E FERDINANDO POMARICI.

Vengono introdotti i dottori Armando Spataro e Ferdinando Pomarici

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'inchiesta sugli sviluppi del caso Moro, l'audizione dei dottori Armando Spataro, membro del Consiglio superiore della magistratura e Ferdinando Pomarici della Procura della Repubblica di Milano che ringrazio per la loro presenza.

I colleghi conoscono come si è generata l'esigenza della presente audizione. A seguito del deposito della relazione di un nostro consulente, il dottor Bonfigli - i cui contenuti sarebbero dovuti restare riservati perché gli atti dei consulenti non impegnano la Commissione, ma dovrebbero essere soltanto un contributo offerto alla nostra riflessione, ed invece, come spesso avviene almeno in parte furono resi pubblici - registrammo una presa di posizione del dottor Spataro che, pur con tutto il rispetto dovuto alle attività e alla valutazione della nostra Commissione, ci suggerì un'audizione diretta degli inquirenti dell'epoca, e cioè dei carabinieri e dei magistrati che direttamente seguirono le indagini su via Monte Nevoso, per evitare che la Commissione finisse per dar corpo a ipotesi fantasiose.

Dal momento che non abbiamo delle idee precostituite ma adempiamo, pur fra non poche difficoltà, ad un compito istituzionale, mi è sembrato giusto prendere contatto prima con il dottor Spataro e poi con il dottor Pomarici per manifestare il nostro interesse ad audirli, anche perché altro interesse non abbiamo se non quello di fare chiarezza. Se noi potessimo giungere alla fine a fare chiarezza su tutte le vicende comunque collegate al rapimento e all'omicidio dell’onorevole Moro o più in generale sull'intera vicenda del terrorismo di sinistra, saremmo ben lieti e chiuderemmo questo tema specifico di indagine dando al paese l’assicurazione che tutto è stato chiarito o, ancor meglio, che tutto era già chiaro. Il problema, però, è che una serie di elementi oggettivi ci spingono a dubitare che le cose siano in questi termini ed a pensare che invece ci sono aspetti, sia pure non decisivi ma comunque importanti, che meritano di essere ancora indagati, scrutati e chiariti.

Introducendo l'audizione osservo che su questo problema del modo con cui i carabinieri e la magistratura milanese individuarono il covo di via Monte Nevoso, effettuarono il noto blitz, e rinvennero importante documentazione relativa alla vicenda Moro, la nostra Commissione si è già attivata da tempo proprio per il fatto che rispetto al modo con cui tutto questo si è verificato ci siamo trovati di fronte ad una pluralità di versioni tra loro non corrispondenti. Mi riferisco innanzitutto al rapporto con cui il reparto operativo dei carabinieri riferì alla magistratura milanese sulle modalità con cui il covo era stato individuato (rapporto giudiziario del 13 ottobre 1978, firmato dal Comandante maggiore Valentino Formato); personalmente avevo trovato una versione abbastanza diversa dei fatti in un libro di memorie del generale Morelli "Gli anni di piombo"; un'altra versione fu quella data dal generale Dalla Chiesa quando fu audito dalla Commissione Moro; un'ulteriore versione risultava da informative della polizia inviate al Ministero dell'interno.

Nell'incertezza dedicammo buona parte dell'audizione del generale Bozzo - che era stato uno dei maggiori collaboratori del generale Dalla Chiesa - a questo problema. Il generale Bozzo ci offrì una quinta versione che, per la verità, si avvicinava molto a quella fornita dal generale Dalla Chiesa e ci diede anche una spiegazione del perché c'era questo scarto di versione. Andando un po’ a memoria e quindi forse rischiando qualche inesattezza, ci disse che i carabinieri autori del rapporto giudiziario facevano parte del reparto operativo dei carabinieri di Milano, non si trattava quindi dei carabinieri dei nuclei di Dalla Chiesa. Aggiunse anche che loro non facevano rapporti di polizia giudiziaria e che in realtà si appoggiavano ad un determinato reparto che era al corrente delle cose che gli dicevano e che non sempre informavano di tutto. Inoltre il generale Bozzo sottolineò in particolare che fra i nuclei di Dalla Chiesa ed il reparto operativo dei carabinieri di Milano intorno alla vicenda di via Monte Nevoso c'erano stati forti contrasti per cui Bozzo attribuì ai suddetti contrasti anche il modo non efficace, non efficiente con il quale fu eseguita la perquisizione in tale covo. Il generale Bozzo ci disse che il generale Morelli aveva voluto scrivere un libro di memorie, ma senza nessuna ambizione di precisione documentale e che la polizia non sapeva niente e aveva attribuito a informative riservate, di cui i carabinieri erano in possesso, il successo dell'operazione di via Monte Nevoso al fine di sminuirne l'importanza. Aggiunse altresì che il generale Dalla Chiesa aveva il difetto di voler parlare sempre a braccio per cui, convocato dalla Commissione di inchiesta, vi si era recato sulla base soltanto di un briefing organizzato dai suoi più stretti collaboratori ed anche per questo motivo era incorso in qualche inesattezza.

Poiché noi continuavamo a trovarci di fronte ad una pluralità di versioni e quelle che ci sembravano più attendibili, mi riferisco a quella fornita dal generale Dalla Chiesa, come integrata dal generale Bozzo, rimandavano alla nota scoperta a Firenze di un borsello in un autobus, al suo contenuto, e alle relative indagini che avevano consentito l'individuazione del covo di via Monte Nevoso ed anche l'attribuzione ad Azzolini della proprietà del suddetto borsello e dal momento che questa era una vicenda che aveva origine a Firenze, ci è sembrato giusto, anzi doveroso, puntare la nostra attenzione nell'ambito giudiziario fiorentino. Da ciò iniziò una lunga corrispondenza tra me e la pocura di Firenze nell’ambito della quale chiedevo di acquisire le carte relative all’incarto processuale relativo al borsello. Ci furono non poche difficoltà perché il fascicolo relativo all’incarto penale si trovava in una località fiorentina piuttosto "sgarrupata", se posso usare questo neologismo, cosa che rendeva difficile l’accesso a tale fascicolo. Naturalmente ciò ha implicato del tempo, ma non ci ha scoraggiati e quindi, quando abbiamo acquisito la collaborazione a tempo pieno di un magistrato proveniente dalla procura di Brescia, il dottor Bonfigli, lo abbiamo incaricato di effettuare una serie di accessi, sia a Firenze che a Milano, da cui è nata poi quella relazione.

Questa premessa l’ho voluta fare, e spero che i dottori Spataro e Pomarici ne prenderanno atto, per rendere noto che ci siamo trovati di fronte a discordanze di carattere oggettivo che ci hanno indotto ad accentrare il fuoco della nostra indagine sulla vicenda relativa alla scoperta del covo di via Monte Nevoso. I punti su cui vorrei richiamare l’attenzione degli audiendi, dando inizio all’audizione di questa sera, sono due. Innanzi tutto, vorrei avere la conferma se la nostra convinzione sulla falsità del rapporto del 13 ottobre 1978, firmato dal maggiore Valentino Formato, sia fondata o no. Questo è un primo punto che va chiarito. Era un rapporto veridico, e quindi la storia è quella che racconta questo rapporto, vale a dire che fu individuato a Milano un giovane alto, che aveva sulla spalla un borsello, che sembrava particolarmente pesante e, quindi, che faceva nascere il sospetto che nascondesse un’arma, per cui i pedinamenti e le ricognizioni fotografiche portarono ad individuare nel portatore del borsello il brigatista Azzolini e i pedinamenti di quest’ultimo condussero al covo di via Monte Nevoso; oppure è vera invece tutta un’altra versione che Dalla Chiesa ha riferito alla Commissione Moro, Bozzo ha riferito a noi, una versione che alcuni carabinieri, sentiti in altre sedi giudiziarie, hanno asseverato. In questo caso la storia risulterebbe completamente diversa. Si ritrova un borsello a Firenze, questo borsello per il suo contenuto genera una serie di indagini e queste ultime portano a via Monte Nevoso. Questo è il primo punto che va accertato e oggi il dottor Pomarici, sulla base delle conoscenze attuali, potrà sicuramente confermare o no la falsità di quel rapporto.

L’altro è il punto di arrivo. Mentre il primo può essere considerato l’alfa, questo può essere considerato l’omega, nel senso che sembra esistere, sulla base delle nostre acquisizioni, un diaframma tra polizia giudiziaria e uffici giudiziari di Milano e polizia giudiziaria e uffici giudiziari di Firenze. In effetti, l’altro dato sicuro è che l’intera vicenda si conclude con una archiviazione del processo, se non sbaglio, per furto. L’oggetto del furto era rappresentato dal contenuto del borsello, quindi documenti d’identità e una pistola con la matricola abrasa; non si trattava quindi di un furto di poca entità e quel fascicolo e quel processo sono stati archiviati perché sono rimasti ignoti gli autori del fatto. Infatti, la magistratura fiorentina non è mai stata informata, con la precisione con la quale oggi noi saremmo in grado di informarla, del fatto che l’autore del furto non poteva che essere, almeno con grande probabilità, il proprietario del borsello individuato nella persona di Lauro Azzolini.

I dottori Spataro e Pomarici potranno chiedersi il perché di queste domande. E’ chiaro che nella nostra prospettiva non ci interessa il fatto che un falso sia stato commesso e non sia stato perseguito, né che un furto sia stato commesso e il colpevole non sia stato ugualmente perseguito, bensì ci interessa il perché ciò sia avvenuto. Parlo a titolo personale, ma credo di esprimere un’opinione condivisa anche dagli altri colleghi: penso che tutto ciò sia stato determinato dalla necessità di tenere coperto il nome di un informatore. Anche se non si tratta di una valutazione giuridico-formale ma politica, penso che all’epoca ci potessero essere delle ragioni per tenere coperto il nome di questo informatore. Quello che non riusciamo ad accettare, visto che c’è un organismo parlamentare che per legge si deve occupare di tali faccende, è perché permanga ancora oggi questa resistenza ad ammettere verità che facevano parte di una sfera di indicibilità nel momento in cui tali fatti avvenivano, ma che oggi a tanta distanza di anni potrebbero essere ammesse e conosciute, soprattutto nel momento in cui la vicenda nazionale continua ad attribuire ancora tanta importanza a questi aspetti meno conosciuti del caso Moro. Questo discorso ci porta ad allargare lo spettro dell’indagine che non ha soltanto a che fare con il discorso del ritrovamento del borsello e del covo di via Monte Nevoso. In realtà giorni fa abbiamo avuto modo di sentire Silvano Girotto e anche in merito al problema della collaborazione di Girotto credo siano sorti dei dubbi, sia per quanto mi riguarda che per quanto riguarda altri colleghi, su come fu utilizzata quella collaborazione, sul perché ad esempio nei fascicoli che abbiamo acquisito dalla magistratura di Torino sia stato fotografato Girotto che incontra Curcio, che incontra Levati, che incontra Curcio e Franceschini e, infine, che incontra nuovamente Levati, mentre non troviamo mai foto di Girotto che incontra Moretti, benché sia certo, per stessa ammissione di Girotto, di Moretti e di Franceschini, che questo incontro sia avvenuto. Perché Moretti vive una situazione di impunità per così lungo tempo? Da accertamenti che stiamo svolgendo risulta che perfino durante il sequestro Moro l’ordine di custodia cautelare, che a quel tempo si chiamava mandato di cattura, di Moretti interviene ad una certa distanza di tempo rispetto ad ordini di custodia cautelare che invece furono emessi immediatamente. Naturalmente non riusciamo a dare risposte a tutti questi interrogativi, ma riteniamo che nel porceli adempiamo ad un dovere istituzionale e non rincorriamo ipotesi fantasiose. Cerchiamo soltanto di trovare una spiegazione razionale che oggi ci dia conto del perché una serie di cose siano avvenute.

Dottor Pomarici, nel darle la parola le chiederei di partire da questi due problemi, vale a dire se quel rapporto è vero o falso e per quale motivo i magistrati di Firenze non hanno mai potuto sapere che quel borsello lo aveva perduto Azzolini.

POMARICI. Signor Presidente, non voglio entrare assolutamente nel merito delle problematiche concernenti il sequestro Moro perché derivano da un procedimento penale al quale io sono rimasto estraneo, essendo stato seguito dalla procura della Repubblica di Roma. Pertanto, non mi intrometto nelle valutazioni, né tanto meno nelle esposizioni di dati relativi a procedimenti penali a me estranei; altrettanto posso dire per quanto riguarda "frate mitra" e per quanto è avvenuto a Torino.

Posso riferire con ampia dovizia di particolari per quanto è successo invece a Milano, e non solo in quell’occasione, perché poi sono successi altri fatti simili che daranno un certo tipo di spiegazione.

Pertanto, se la prima domanda è: "Il rapporto del 13 ottobre 1978 è vero o falso?", dovrei rispondere che è vero ma è falso. Se voi vi volete attestare su un dato puramente formale, è sicuramente un rapporto falso per omissione. L’unico dato falso, per affermazione, è quello relativo all’occasionale individuazione di Azzolini nella zona di Lambrate come giovane che aveva attirato sospetti per la sua andatura. E’ l’unico dato oggettivamente falso. Per il resto non c’è notizia falsa, ma si omettono solamente alcuni dati precedenti l’inizio dei pedinamenti di Azzolini. Questa è la risposta formale.

Innanzi tutto sgombro immediatamente il campo da un dato relativo ai rapporti tra sezioni anticrimine dei carabinieri di Milano e reparto operativo dei carabinieri. Era un dato pacifico, comune, costante che i rapporti giudiziari e tutti gli atti, come i verbali di sequestro, i verbali di perquisizione e i verbali di arresto, non portassero mai la firma di personale delle sezioni anticrimine. Questo per un motivo molto semplice: il personale della sezione anticrimine era innanzitutto numericamente ridotto, altamente qualificato, esposto a rischi di incolumità e che doveva rimanere assolutamente segreto perché doveva continuare ad operare nell’ombra. Poiché il personale che redige e sottoscrive i processi verbali viene poi citato in dibattimento per confermare quei verbali, una volta sottoscritto un rapporto, un verbale di sequestro, un verbale di arresto, quell’ufficiale di polizia giudiziaria sarebbe stato bruciato definitivamente. Se si considera che allora, come adesso, uno dei principali strumenti di investigazione era il pedinamento, lasciar vedere una persona che poi avrebbe dovuto continuare tale attività di pedinamento con modalità (che poi, se vi interessa, sinteticamente descriverò) di difficoltà estrema significava rendere impossibile ulteriori accertamenti di quel genere. Ecco il motivo per cui il 13 ottobre del 1978 il rapporto viene firmato dal maggiore comandante il reparto operativo e non dal maggiore comandante la sezione anticrimine, Umberto Bonaventura.

Altri due rapporti che ho qui, davanti a me, concernenti analoghe operazioni di polizia giudiziaria compiute sempre dalla sezione anticrimine di Milano, uno nel 1982, che ha consentito l’individuazione di altri covi delle Brigate rosse, colonna Walter Alasia a Milano, e l’arresto di numerosi personaggi, e quello del 1988 che ha consentito l’ultimo definitivo colpo alla Walter Alasia a Milano, tra l’altro anche gli arresti degli autori dell’omicidio del senatore Ruffilli che erano nascosti nel covo di via Dogali che abbiamo scoperto, ripeto, nel 1988, egualmente portano la firma di personale del nucleo operativo (non più reparto operativo) e non della sezione anticrimine.

Perché succede che il rapporto del 13 ottobre 1978 nasconde tutto quello che è successo, che è effettivamente corrispondente alla versione fornita dal generale Bozzo, salvo un piccolo particolare dei pretesi contrasti tra la sezione anticrimine di Milano ed il reparto operativo dei carabinieri di Milano di cui poi dirò? Il motivo è molto semplice, e cioè effettivamente viene trovato questo borsello. Attenzione, io parlo per conoscenza diretta personale alla data del 1° ottobre 1978, data in cui intervengo come pubblico ministero in più posti contemporanei, cioè in via Monte Nevoso e, successivamente, in via Pallanza, dove c’era l’altro covo e dove vi fu il ferimento ed il conflitto a fuoco tra Savino ed il vice brigadiere Crisafulli che fu ferito e poi, successivamente, il 2 ottobre in via Buschi ove era la tipografia. Immediatamente vengo informato dell’accadimento reale delle cose.

Il tutto nasce dal rinvenimento di quel borsello. Il contenuto di quel borsello è univoco: Beretta 7,65, matricola abrasa; documentazione sicuramente risalente ad esponente delle Brigate rosse; certificato di un ciclomotore e tessera sanitaria di uno studio dentistico di Milano che fa ritenere che quindi quella persona viva o comunque abbia frequentato la città di Milano. È l’unico dato, oltre a quello del ciclomotore che dovrà poi essere sviluppato, che induca immediatamente l’attenzione sulla città di Milano. Viene fatto il primo accertamento presso questo studio dentistico.

PRESIDENTE. Tutto questo le viene raccontato fuori dal rapporto?

POMARICI. Fuori dal rapporto. La collaboratrice dello studio dentistico conferma che loro cliente era questo certo signor Gatelli, che si scopre essere un nome falso, di fantasia, ne dà una descrizione fisica: lo descrive come un giovane sui trent’anni, atletico, alto 1,85 metri circa, bruno, capelli scuri, barba e baffi, viso dal colorito scuro.

Mi sembra che non sia qui presente il dottor Bonfigli e mi dispiace molto perché avrò da dire alcune cose nei confronti della sua relazione, per cui mi dispiace parlare non in presenza dell’interessato.

A quel punto, non per quella che il dottor Bonfigli definisce una "fortunata intuizione investigativa" che porta i carabinieri ad esibire alla dottoressa Montebello e alla signora Marisa Oppici della Medicaldent la fotografia di Azzolini, ma per una banale attività di indagine che mi stupisce che il dottor Bonfigli non abbia preso in considerazione trattandosi di un pubblico ministero, a queste persone vengono esibite alcune fotografie ed è falsa anche, perché contraddetta da se stesso, la suggestiva domanda che il dottor Bonfigli si pone nello stesso passaggio a pagina 11 dove dice che "non si sa se tale foto sia stata esibita da sola o congiuntamente ad altre fotografie di persone all’epoca ricercate dalle forze dell’ordine", posto che nella pagina precedente, in cui si parla del maresciallo dei carabinieri di Firenze, si afferma testualmente che vengono esibite più fotografie delle varie persone ricercate da quel maresciallo che lavora con i colleghi di Milano; si tratta di pagina 10: "Lo scritto si conclude con l’importante precisazione che …al Crea Antonio (proprietario dell’officina Moto Crea) ed al meccanico sono state mostrate delle fotografie fra cui riconoscevano senza ombra di dubbio quella riproducente Azzolini Lauro… ".

PRESIDENTE. Cerchiamo di capire che cosa le hanno raccontato i carabinieri perché lei tutto questo lo sa perché glielo raccontano; quindi i carabinieri non lo scrivono nel rapporto.

POMARICI. Non lo scrivono e le spiego il perché. I latitanti delle Brigate rosse all’epoca noti, conosciuti erano non oltre dieci. Presidente, secondo lei, quando io ritengo che un borsello sia attribuibile ad un latitante, mi viene fatta una descrizione di questo latitante, ho dieci fotografie di latitanti delle Brigate rosse, cosa esibisco a chi me lo può riconoscere? Quelle dieci fotografie.

PRESIDENTE. Il problema è che dovevano avere una fotografia recente di Azzolini perché somigliasse a quello che era andato a farsi curare i denti.

POMARICI. La fotografia risaliva a pochi anni prima, tre o quattro anni.

PRESIDENTE. Ci sono dichiarazioni giudiziarie di altri carabinieri che invece affermano che non c’erano fotografie recenti di Azzolini e Bonisoli.

POMARICI. Non sono assolutamente vere. Certamente non erano fotografie del mese prima, ma erano foto nelle quali viene riconosciuto sicuramente Azzolini. D’altro canto, Presidente, voi avete i nominativi di queste persone, che oggi vengono disvelati, alle quali persone, se di vostro interesse, potete andare a chiedere se è vera o non è vera la circostanza che tra la fine di luglio ed il 1° agosto 1978 furono loro esibite delle fotografie e riconobbero in tali fotografie Lauro Azzolini. Così, se avete ancora un dubbio, potete sgombrarlo.

Il problema è un altro: forse qui si dimentica che cosa erano le Brigate rosse a quell’epoca. Forse qui si dimentica che Guido Rossa è stato ucciso solamente perché andava a dire agli operai in fabbrica che non dovevano stare dalla parte delle Brigate rosse. Qui si tende forse a non pensare che c’era l’esigenza di salvaguardare l’incolumità di Oppici Marisa, della dottoressa Montebello e del Crea, proprietario dell’officina, che anch’egli riconosceva l’Azzolini, e del suo collaboratore perché costoro sono persone fortemente a rischio. Nell’ottica delle Brigate rosse di quei tempi uccidere chi aveva reso dichiarazioni tali da portare gli inquirenti sulle tracce di un loro appartenente sarebbe stato normalissimo. Allora i carabinieri si pongono e mi pongono il dubbio: possiamo utilizzare queste notizie a livello di fonte confidenziale? Io rispondo a norma di codice. Fonte confidenziale non significa infiltrato, ma semplicemente che l’ufficiale di polizia giudiziaria che riceve una notizia può indicarne l’autore, e questa persona verrà poi sentita dall’autorità giudiziaria e portata a dibattimento, oppure può non indicarlo, perché intende coprirlo per qualche motivo.

A mio avviso correttamente, i carabinieri hanno giustamente, e avallerei ancora oggi quella scelta, taciuto tutta questa attività precedente, che non interessava, non serviva. Certo visto oggi nel 2000 è un fatto completamente diverso, mentre nel 1978 non interessava spiegare perché e per come si fosse giunti alla materiale identificazione di Azzolini e alla sua individuazione in via Monte Nevoso: bastava dire che avevano trovato Azzolini, che avevano cominciato a pedinarlo e avevano poi trovato i vari covi.

PRESIDENTE Perché nel rapporto che le viene fatto si costruisce una storia? Non sarebbe bastato dire che fonti confidenziali suggerivano di pedinare un giovanotto? Invece il borsello ritorna nel rapporto del capitano Roberto Arlati. Questo darebbe ragione al generale Bozzo; è come se al maggiore Formato avessero raccontato una storia un poco alterata. Lui fornisce una serie di particolari che tutto sommato era un rischio rendere noti.

POMARICI. Sicuramente il maggiore Formato riferisce quello che gli dice la sezione anticrimine, ma che sia stato perso un borsello a Firenze è un dato pacifico; il signor Guidi ha reso dichiarazioni a verbale davanti ai carabinieri di Firenze e dice che una passeggera dell’autobus trova un borsello e lo consegna. Abbiamo nome e cognome della persona che trova questo borsello e lo consegna, sicché non è immaginabile che i carabinieri di Firenze inventino una persona che consegna materialmente questo borsello.

PRESIDENTE. Conosce tutte queste persone, come la dottoressa dello studio medico…

POMARICI. Non ho mai voluto sapere i nomi, perché io ho il dovere di ignorare.

PRESIDENTE. Perché ci crede?

POMARICI. Non c’era alcun motivo perché il 1° ottobre mi raccontassero una storia per un’altra.

PRESIDENTE. Non potevano voler coprire qualcosa d’altro? Vorrei che fosse chiaro che se lei mi dice che in quel momento c’era una serie di problemi per cui i carabinieri facevano bene a non raccontare esattamente come erano arrivati a via Monte Nevoso, io sono d’accordo con lei. Il problema è: perché dobbiamo pensare che la storia che le raccontano è invece vera?

POMARICI. Quando i carabinieri o la polizia giudiziaria hanno avuto un infiltrato lo hanno sempre detto, senza dire il nome. Noi certamente non lo chiediamo, per cui non vi sarebbe stato motivo di nascondere questa circostanza, ma soprattutto oggi vengono indicati i nomi di più persone fisiche che possono confermare o smentire quella ricostruzione, cioè abbiamo una dottoressa e un’impiegata dello studio Medicaldent, abbiamo il proprietario di un’officina e il suo impiegato, i quali tutti sono stati indicati come persone alle quali sono state esibite più fotografie, tra le quali hanno riconosciuto quella di Azzolini come cliente dello studio medico e acquirente del ciclomotore. L’ipotesi dell’infiltrato diventa evidentemente incompatibile con questa attività.

Ma le dico di più. Porto materialmente a lei e alla Commissione le prove di quello che sto dicendo. Nel 1978 mi furono fatte vedere queste fotografie, di cui vi fornirò delle riproduzioni, perché questi sono gli originali. Sono le fotografie relative ai personaggi che venivano, volta per volta, individuati per effetto del pedinamento di Azzolini, sono indicate le vie, le date. Queste sono le relazioni relative a quei pedinamenti. Questa è la fotografia di Azzolini; questa è la fotografia della finestra di via Monte Nevoso n. 8 che veniva osservata da una finestra dello stabile di fronte. Mi dicono anche il proprietario di quell’appartamento, al quale potete chiedere se è vero o no, che, avvicinato dai carabinieri per permettere che l’appartamento fosse adibito a punto di osservazione, consentì questo tipo di attività, per cui furono fatte delle fotografie. Questa persona che intravedete appena è Nadia Mantovani, che compare insieme a Bonisoli in quest’altra fotografia. Se ci fosse un infiltrato qualcuno mi dovrebbe spiegare che motivo c’era di compiere tutte queste attività di fotografia, di pedinamento, di individuazione degli altri covi per effetto di queste attività. L’infiltrato avrebbe detto tutto tranquillamente, avrebbe parlato di Tizio, di Caio e di Sempronio, dei vari covi. Quando i carabinieri invece cominciano queste attività di pedinamento…

PRESIDENTE. Se il problema fosse stato soltanto quello di scoprire il covo e di arrestare una parte dei vertici delle Brigate rosse, non ancora Moretti; ma se il problema fosse stato invece di quello di far scattare il blitz quando le carte di Moro arrivavano da Firenze a Roma, allora sarebbe stato diverso. Per noi via Monte Nevoso non è soltanto un covo delle Brigate rosse, ma il posto dove una buona parte del vertice militare delle Brigate rosse viene catturato e dove vengono rintracciate le carte di Moro. Lo Stato in 55 giorni, di fronte alla forte possibilità che la prigione di Moro fosse a Roma, sbaglia tutte le mosse, trascura tutte le tracce, come in via Gradoli; non pedina Pace, Morucci e Faranda; poi improvvisamente lo Stato diventa efficientissimo quando Moro era ormai morto e il problema era ritrovare le carte che potevano essere in qualsiasi parte d’Italia. Se lei pensa al momento in cui il generale Dalla Chiesa assume il comando dell’operazione e a quello in cui si ritrovano le carte, noterà che i tempi sono brevissimi. Lo Stato assume un livello di efficienza che in 55 giorni non si era manifestato.

POMARICI. Lei non può attribuire ai carabinieri di Milano eventuali inefficienze che forse, se ci sono state, andrebbero attribuite ad altri.

PRESIDENTE. Il problema non è Milano… volevo arrivare a Firenze.

SPATARO. Due piccole considerazioni, scusandomi per l’intromissione.

La domanda del Presidente permette a noi di spiegare anche il senso dei nostri interventi pubblici e anche di una richiesta indiretta di essere qui sentiti, quindi di spiegare l’onore che ci fate ascoltandoci. Noi siamo sempre intervenuti pubblicamente per difendere l’onore e la professionalità dei carabinieri che hanno operato e per difendere l’onore e la professionalità di chi non può più difendersi: mi riferisco al generale Dalla Chiesa. Noi siamo intervenuti per difendere la correttezza e l’operato degli organi di polizia giudiziaria, che hanno onorato le istituzioni.

Detto questo, se vi sono state deficienze e lacune che avete accertato, ci consenta di dire che noi non possiamo interloquire, non abbiamo diretto noi le indagini e non sappiamo neppure se vi siano state o meno, però mi permetta di definire ancora, con il totale indiscusso rispetto per le vostre attività, anche del collega Bonfigli, un caro amico che stimo e apprezzo, fantasiose le ipotesi formulate in relazione. Perché la stessa relazione si fonda, da un lato, sull’effettivo ritrovamento del borsello per dire che si è arrivati in una certa maniera al covo, agli arresti e che i carabinieri avevano omesso tutta quella parte della storia e poi ci viene chiesto, dall’altro, se non siamo proprio sicuri che non ci sia un informatore e la storia del borsello ci sia stata messa davanti come fumo negli occhi. Forse qui emerge una contraddizione evidente. Vorremmo capire se credete o meno alla storia del borsello. Le indagini sono andate nella maniera che il collega Pomarici ha appena descritto. Dire che il momento in cui il covo viene scoperto è legato all’arrivo di materiale documentale, è qualcosa che non ha riscontri nella realtà. Aggiungo…

PRESIDENTE. Scusi se la interrompo. Bonisoli nel processo di Metropolis ha detto che le carte le aveva portate da due giorni. Morelli racconta che litigò con Dalla Chiesa perché voleva anticipare il blitz e Dalla Chiesa non era d’accordo...

SPATARO. Un’ultima cosa signor Presidente. L’indagine dei carabinieri, che nasce dall’individuazione di Azzolini, viene portata avanti con lo scopo preciso di allargarsi il più possibile per cercare di individuare un numero ampio di brigatisti e non solo a Milano. Se si interviene il 1° ottobre è perché viene individuata e fotografata Nadia Mantovani. Bisognerebbe leggere i giornali dell’epoca per ricordarsi il can-can dovuto al fatto che si era allontanata dal soggiorno obbligato a Sustinente. Quindi si interviene quando l’indagine a Milano potenzialmente si è estesa al massimo possibile. Si poteva intervenire prima? Sarebbe stato sbagliato. Forse si sarebbero arrestati Azzolini e altri ma non sarebbe stata smantellata un’intera rete. Si poteva intervenire dopo? Può darsi, ma non si può dire se i risultati sarebbero stati migliori, perché magari qualcuno che invece è stato preso a via Monte Nevoso sarebbe scappato. Con il senno di poi oggi possiamo dire che l’operazione di infiltrazione di Silvano Girotto fu gestita troppo rapidamente. Se avessero arrestato solo Azzolini, oggi nella relazione non leggeremmo che è strano che Azzolini sia stato lasciato in ballo tanto tempo, ma probabilmente leggeremmo che i carabinieri avevano agito precipitosamente e chissà per quale motivo.

POMARICI. Riprendendo la sua domanda sul famoso discorso delle carte, vorrei smitizzare questo argomento. In via Monte Nevoso, che era la più importante base della Walter Alasia, vi erano solo copie, così come in tutte le altre basi delle colonne italiane delle Brigate rosse dell’epoca. Il materiale Moro, infatti, costituiva materiale di studio per tutti i brigatisti clandestini, cioè per i regolari. Si trattava di copie dattiloscritte, per cui la presenza, l’assenza o l’eventuale sparizione di alcune di quelle carte non avrebbe garantito nulla a nessuno. Non si trattava di esemplari unici, di originali, per cui una volta sottratti si sarebbe avuta la certezza che non ne sarebbe stata trovata mai più alcuna traccia. Erano battiture fatte con carta carbone.

PRESIDENTE. E di quelle trovate dentro il muro?

POMARICI. Quelle trovate dentro il muro rappresentano un altro discorso che se volete posso farvi ampiamente. Anche quelle erano copie o meglio fotocopie. Non c’era nessun originale. Non vedo che utilità possa avere sottrarre la copia di un originale che non si sa dove sia, ma si sa che è nelle mani di persone dichiaratamente nemiche dello Stato.

FRAGALA’. Sarebbe un boomerang.

PRESIDENTE. Perché sarebbe un boomerang? Dovrei ritenere credibile la versione dei brigatisti che sostengono che avevano distrutto gli originali perché temevano che questi li avrebbero potuti incriminare, ma poi nascondono dietro un tramezzo le fotocopie degli originali? Questa è una versione credibile?

POMARICI. Questa versione è relativa al rinvenimento di via Monte Nevoso?

PRESIDENTE. E’ la versione dei brigatisti.

POMARICI. Non so dove l’abbia letta.

PRESIDENTE. I brigatisti, in particolare Morucci, in sede giudiziaria hanno detto questo.

POMARICI. Morucci con Milano non c’entra nulla. Morucci non ha mai messo piede in via Monte Nevoso. Ho io i verbali dei brigatisti, signor Presidente, e li ho portati con me. Dopo il rinvenimento dell’altro materiale del 1990 ho interrogato nuovamente Mantovani, Azzolini e Bonisoli, i quali non dicono assolutamente nulla di tutto ciò.

PRESIDENTE. Cosa dicono degli originali?

POMARICI. Degli originali affermano che erano in mano alla direzione strategica e che queste copie venivano distribuite a tutte le basi. La Mantovani dice esplicitamente "Ero da poco arrivata a Milano e mi era stato dato il compito di studiarmi quegli atti, così come facevano tutti gli altri nelle varie basi".

PRESIDENTE. Che spiegazione davano del fatto che le fotocopie degli originali le avevano murate insieme ad armi e denaro?

POMARICI. Forse ho fatto male a non portare con me le fotografie del posto, scattate nel momento in cui facemmo il sopralluogo. Si trattava di un bilocale pieno di materiale, tanto che non c’era la possibilità di collocarne altro. Quando i carabinieri entrarono rimasero stupefatti perché sul tavolo, in bella vista, c’era la documentazione di Moro, le armi e alcune risoluzioni strategiche. Per quanto riguarda il denaro, lo nascosero per utilizzarlo in seguito. Le armi per lo stesso motivo, il resto del materiale fu nascosto perché in quel momento non era oggetto di studio da parte della Mantovani, che era l’unica che stava studiando in quanto appena arrivata. Il resto della documentazione Moro non interessava gli altri brigatisti, perché solo la Mantovani aveva quella funzione. Se volete posso leggervi il brano specifico relativo alle dichiarazioni rese dalla Mantovani nell’interrogatorio del 1990.

Torniamo al discorso sul perché i carabinieri non arrestano immediatamente Azzolini.

BIELLI. Mi scusi, lei fa affermazioni sulle quali sembra non si possa intervenire. In un’intervista all’Espresso lei aveva negato che ci potessero essere infiltrati, poi abbiamo scoperto che Girotto era un infiltrato.

POMARICI. Ma Girotto risale al 1972-1973.

BIELLI. Su Monte Nevoso le sue affermazioni non hanno ancora trovato riscontro, vorrei che lei non facesse semplici affermazioni, ma spiegasse anche la problematicità che lei ha incontrato. Non è lei che ci sottopone a delle domande, siamo noi che le facciamo.

PRESIDENTE. Colleghi, desidero fare ordine. I dottori Pomarici e Spataro ci hanno chiesto di essere auditi e noi li stiamo ascoltando. Vorrei che da parte nostra non ci fosse un aprioristico innalzamento al sospetto. Da parte vostra, però, vorrei che non ci fosse un’aprioristica chiusura sulla nostra legittima possibilità di nutrire dubbi su vicende che di dubbi grondano. Non mi dica che lei crede al fatto che di notte andavano girando con le chiavi per vedere…

POMARICI. Sì, ci credo, è la verità.

PRESIDENTE. Come fate a saperlo? Ve l’hanno raccontato?

GIORGIANNI. Dovete considerare che il magistrato per forma mentis deve riferire fatti non opinioni.

PRESIDENTE. Ebbene, ci dicano quello che gli hanno raccontato.

POMARICI. Non ho assolutamente intenzione di invitarvi a non nutrire dubbi. Vi racconto quello che mi risulta. Non a caso vi parlo di queste altre due operazioni del 1982 e del 1988. Nel 1982 si conclude un’indagine iniziata il 12 marzo 1981, un anno prima. Ad Arese viene gambizzato un capo reparto, Valenzasca. Nell’immediato pomeriggio vengono individuati i presumibili autori di quel fatto nelle persone di due operai, Toraldo e Di Gennaro. Volevano fermare immediatamente i due responsabili per poter dare una risposta immediata di fronte all’opinione pubblica relativamente a questo grave episodio. Io mi opposi e con me era d’accordo la sezione anticrimine, in particolare il maggiore Bonaventura. Sono andati avanti per un anno con pedinamenti e alla fine hanno scoperto altri tre covi e arrestato altre dieci persone.

Nel 1988 a via Dogali si ha l’epilogo di un’indagine iniziata nel 1985, nella quale vengono date indicazioni su due possibili appartenenti alle Brigate rosse, Benna Ernesto e Antinori Cinzia, dei quali vengono date semplicemente queste indicazioni: lavorano da Fenzi. "Avevo cominciato a reclutare una coppia di persone, marito e moglie, che mi aveva regalato un libro e che lavora in una libreria" ed indica la libreria. Dall’attività di indagine degli stessi carabinieri viene individuata questa coppia nelle persone di Benna Ernesto ed Antinori Cinzia e siamo andati avanti per due anni e mezzo con pedinamenti, intercettazioni telefoniche. Abbiamo trovato tre covi e arrestato una quindicina di persone; abbiamo trovato il famoso Skorpion usato per l’omicidio Tartaglione ed arrestato gli autori dell’omicidio del senatore Ruffilli. Queste sono le tecniche investigative usate all’epoca dai carabinieri. Quindi, Azzolini viene individuato come il responsabile. Se poi la Commissione vuole conoscere come si è arrivati alla scoperta del covo posso dirvelo.

PRESIDENTE. Prendiamo atto che i carabinieri le riferirono, al di fuori del rapporto una versione abbastanza corrispondente a quella del generale Bozzo.

PARDINI. Quando viene a sapere di questo?

POMARICI. La mattina del 1° ottobre.

PARDINI. Non tornano le date; queste cose erano note dal 31 luglio.

PRESIDENTE. Evidentemente non gliele avevano riferite; lo informano al momento del blitz.

POMARICI. Senatore Pardini, manca un particolare; stiamo parlando del 1978 quando era in vigore il vecchio codice. La polizia giudiziaria faceva le sue indagini che duravano mesi e poi riferiva all’autorità giudiziaria; non era in vigore il nuovo codice, in base al quale entro 48 ore si deve informare. Il particolare in cui il generale Bozzo sbaglia è quando attribuisce a pretesi contrasti tra l’arma territoriale di Milano e la Sezione anticrimine la mancata individuazione del famoso nascondiglio.

PRESIDENTE. C’erano o no questi contrasti?

POMARICI. I contrasti esistevano tra Bozzo personalmente ed il generale Palombi perché quest’ultimo era stato iscritto alla P2. Bozzo aveva fatto una vigorosa campagna contro la P2 all’epoca ed era stato emarginato e subìto forti ritardi di carriera. Vi era quindi un rapporto teso a livello personale tra Bozzo e la divisione carabinieri di Milano ma tutto questo non aveva alcun rapporto tra i militari operanti. Oltretutto la perquisizione in via Monte Nevoso viene effettuata materialmente dai militari della sezione anticrimine. Il verbale di sequestro, per i motivi che le dicevo prima, viene poi sottoscritto dal maresciallo Di Castro e da un altro maresciallo, di cui non ricordo il nome, del reparto operativo.

PRESIDENTE. Bozzo ci ha voluto far capire proprio che se lo avesse fatto lui avrebbe fatto meglio la perquisizione.

POMARICI. Non vedo un generale a fare perquisizioni.

PRESIDENTE. All’epoca non era generale.

POMARICI. Era colonnello; comunque non era più ufficiale di polizia giudiziaria.

PRESIDENTE. Allora, gli uomini del suo gruppo.

POMARICI. Gli uomini del suo gruppo hanno fatto la perquisizione; proprio loro della sezione anticrimine. Il verbale viene sottoscritto come è sempre successo anche in questi altri rapporti dove vi sono sequestri, ed una sottoscrizione da parte del personale del nucleo operativo, ma la perquisizione viene materialmente effettuata dalla sezione anticrimine dei carabinieri di Milano ed ho le dichiarazioni rese sul punto specifico nel 1990 da tutto il personale.

PRESIDENTE. Il 1° ottobre le raccontano questa versione dell’attività investigativa, che, salvo per il profilo di questo contrasto, di cui lei ci ha riferito ridimensionandolo, ma che da quanto ho capito era con Bozzo ispirato da motivi personali, tutto sommato nobili, considerati i motivi del contrasto; anche a noi Bozzo ha riferito a lungo sulla filiera esistente tra i carabinieri aderenti alla P2…

POMARICI. Le dirò di più: vi era il nostro totale appoggio, ovviamente per quello che poteva valere, all’allora colonnello Bozzo.

PRESIDENTE. Di questa narrazione degli eventi fa pure parte il fatto della ricerca e dell’utilizzazione delle chiavi?

POMARICI. Signor Presidente, concludo il mio ragionamento: la vera traccia che ha portato alla scoperta del covo di via Monte Nevoso furono le dichiarazioni del meccanico dell’officina Crea che disse di ricordarsi della persona che aveva comprato quel ciclomotore e di averlo visto a bordo del ciclomotore in zona Lambrate, dalle parti di via Monte Nevoso. A quel punto l’attenzione fu attirata su via Monte Nevoso e si fecero una serie di accertamenti. Cominciarono a camminare lungo la via; videro parcheggiato il ciclomotore – questo, per esempio, non è riferito, ma me lo ricordo perché me lo spiegarono – su un marciapiede e, trattandosi di un ciclomotore di facile parcheggio, pensarono che ovviamente lo stabile fosse davanti al ciclomotore; provarono le chiavi di notte e non trovarono assolutamente corrispondenza. A quel punto fu suggerito di provare con quelli di fronte.

PRESIDENTE. Così diventa lievemente più credibile di come lo stesso Bozzo ha raccontato a noi e cioè che si fecero tutta la strada provando porta a porta, finché ci fu la porta che la chiave apriva.

POMARICI. L’allora colonnello Bozzo non aveva neanche contezza di tutti questi particolari.

PRESIDENTE. Noi non abbiamo però ancora trovato un documento che attesti la trasmissione delle chiavi da Firenze a Milano. E’ possibile che un corpo di reato sia passato da Firenze a Milano senza che vi sia un documento che lo attesti?

POMARICI. A Milano è addirittura arrivato il fascicolo processuale di Firenze; non all’autorità giudiziaria di Milano ma ai carabinieri di Milano; ed ho con me il verbale; se non l’avete ve lo posso produrre.

PRESIDENTE. Per un certo periodo quindi questo fascicolo è stato a Milano?

POMARICI. Certamente, presso i carabinieri. Successivamente parleremo del rapporto tra Milano e Firenze. E’ chiaro comunque che tutta l’attività di indagine riguardava Milano perché la persona, per lo studio medico dentistico, aveva vissuto a Milano; era di passaggio a Firenze; comunque a Firenze non vi era alcuna possibile pista investigativa perché non vi era nulla tra quegli oggetti che potesse ricondurre ad alcunché di Firenze. Tra quegli oggetti invece vi erano due cose: una che portava direttamente a Bologna, la fabbrica del ciclomotore da cui poi risulta venduto a Milano; l’altra direttamente allo studio medico dentistico a Milano. E’ chiaro quindi che le indagini vengono fatte a Milano ed è il motivo per cui il sottufficiale di Firenze viene a Milano.

PRESIDENTE. Vi è un’altra cosa che porta a Firenze; vorrei che lei abbandonasse per un momento la prospettiva di chi ha indagato con i carabinieri e assumesse la nostra: ciò che ci porta a Firenze è ciò che Morucci è venuto a dirci: quell’attività di dattilografia che generava quei documenti su cui la Mantovani doveva studiare si faceva a Firenze. Ci ha detto: fatevi dire da Moretti chi era l’irregolare che a Firenze dattiloscriveva…

POMARICI. E’ possibile; il fatto che a Firenze vi fosse una base operativa delle Brigate rosse lo sappiamo per certo. D’altro canto la riprova è la presenza di Azzolini a Firenze.

PRESIDENTE. I dattiloscritti, però, si originano a Firenze e finiscono a via Monte Nevoso.

POMARICI. Non finiscono solo a via Monte Nevoso.

PRESIDENTE. A Firenze si perde un borsello che porta a via Monte Nevoso.

POMARICI. Il borsello non è relativo a Firenze, ma ad Azzolini.

PRESIDENTE. Si perde però a Firenze.

POMARICI. Azzolini era andato a Firenze proprio per i rapporti con i clandestini di Firenze.

PRESIDENTE. Lei ha mai interrogato Azzolini sul punto specifico del borsello?

POMARICI. No.

PRESIDENTE. Nessuno quindi ha mai domandato ad Azzolini come ha perduto questo borsello. Le sembra una cosa di cui noi possiamo essere soddisfatti?

POMARICI. Azzolini dopo ha dichiarato di averlo perso.

PRESIDENTE. Quando?

POMARICI. Nel 1978 riuscivo si e no ad ottenere nome e cognome da Azzolini perché la dichiarazione abituale era la seguente: sono prigioniero politico. Ricordo che a mezzanotte interrogai Mantovani Nadia e quando le chiesi quale fosse il suo domicilio rispose: latitante, facendo la battuta di spirito. Al che le risposi che, visto che era mezzanotte, che tutti e due eravamo stufi e lei forse più di me perché arrestata, credevo che queste battute di spirito potevamo risparmiarcele. La Mantovani, donna molto intelligente, mi guardò in faccia e disse: ha ragione, mi scusi; non intendo dire altro; mi dichiaro prigioniera politica, appartenente alle Brigate rosse.

SPATARO. Vorrei intervenire su questo punto, signor Presidente.

PRESIDENTE. Sì; il punto infatti è Firenze. Perché l’autorità giudiziaria di Firenze non viene mai messa in condizione di contestare ad Azzolini il furto?

SPATARO. Ci deve consentire di articolare il discorso; altrimenti la risposta alla sua prima domanda relativa al 13 ottobre 1978 sarebbe stata, come ha detto il collega Pomarici, "falso per soppressione" mentre noi diciamo che non si tratta di un falso o, meglio, che si tratta di omissione per ragioni di protezione.

PRESIDENTE. Per la verità, il questore di Milano due anni fa è stato arrestato perché in un rapporto di polizia giudiziaria avevano inserito una pistola tra quello che era stato trovato in un motoscafo.

SPATARO. Non certo per proteggere qualcuno, forse per accusare calunniosamente. Mi consenta su Firenze…

PRESIDENTE. Non è un fatto da trascurare, anche se ho detto all’inizio che capisco ci possano essere state molte ragioni ad aver portato ad una certa deformazione del vero in quel rapporto, in cui si racconta una storia; non c’è soltanto un’omissione, si racconta di un giovanotto alto che camminava con un borsello pesante e così via. Si copre anche la vicenda del borsello in qualche modo.

PARDINI. Prima ci sono degli ulteriori passaggi di comunicazione dei carabinieri di Milano a Firenze secondo i quali tutti questi procedimenti di riconoscimento non sono avvenuti. Il problema non è solo perché non vengono detti, ma perché non vengono comunicati a Firenze e perché viene comunicato il contrario.

SPATARO. Un passo indietro. E’ stato già detto che i carabinieri agiscono utilizzando quelle dichiarazioni come provenienti da fonti confidenziali, rispetto alle quali non hanno neppure l’obbligo di riferire. Quando le riferiscono all’autorità giudiziaria questa concorda non sull’opportunità ma sulla necessità di tenere coperte quelle identità, anche perché lo sviluppo successivo delle indagini lo rende inutile. Il fatto che sono stati beccati nel covo con le armi rende superfluo andare a dire questo.

PRESIDENTE. Ma in quanti rapporti abbiamo letto il riferimento esplicito a fonti confidenziali!

SPATARO. Ma la fonte confidenziale, come viene qui ipotizzata, non c’era. Partono da un fatto vero: hanno visto Azzolini in quella piazza, lo cercavano lì perché glielo aveva detto il meccanico.

Per quanto riguarda Firenze volevo dire che conosco molto bene il dottor Chelazzi che si è occupato di terrorismo di sinistra prima di occuparsi di mafia, al quale ho parlato di questa audizione. Egli mi ha detto di essere pronto a riferire in qualsiasi momento, se necessario, che venne avvertito del ritrovamento del borsello quando le indagini partirono e quando i carabinieri di Firenze andarono a Milano. Viene dunque avvertito prima di noi per la semplice ragione che noi non lo sappiamo.

In secondo luogo, che Azzolini stesse a Firenze è pacifico. Ricordo che all’autorità giudiziaria di Firenze un brigatista pentito, che si chiamava Cianci, rivelò, portando la polizia giudiziaria di fronte a ciascuno di essi, l’ubicazione di tutti i covi delle Brigate rosse e fu accertato con sicurezza che esisteva un covo durante il sequestro Moro. Che poi qualcuno voglia creare un collegamento tra Firenze ed un ipotetico ed improbabile, per quanto mi riguarda, grande vecchio musicista che operava a Firenze, è un’ipotesi che non ha alcun riscontro: nelle Brigate rosse abbiamo avuto collaboratori di tutti i livelli, i manovali, quelli che portavano i documenti, quelli che li scrivevano, quelli che sparavano…

PRESIDENTE. Mi scusi, non glielo posso consentire. Le sto dicendo di Firenze: è venuto in questa sede Morucci e, in un’audizione completamente chiusa, in cui non ha concesso nulla, non ha detto mezza parola, ad un certo punto ha detto queste parole: ma perché non vi fate dire da Moretti, la sfinge, chi era l’anfitrione che ospitava il comitato esecutivo in una casa di Firenze, chi era l’irregolare che a Firenze dattiloscriveva gli originali di Moro...

SPATARO. Cianci era un irregolare.

PRESIDENTE. Mi faccia terminare. Non per mia scienza, ma perché me lo hanno insegnato una serie di vostri colleghi che sono stati seduti dove siete voi adesso, sappiamo di dover cercare di leggere in filigrana questa dichiarazione, per capire che Morucci non ha voluto dire niente a noi, ma ha voluto lanciare due messaggi. Perché evidentemente c’è qualcuno in qualche parte del paese, che può allarmarsi per il fatto che si sappia chi era l’irregolare che batteva a macchina le carte di Moro e chi era il proprietario, l’ospite attivo, della casa in cui si riuniva il comitato esecutivo delle Brigate rosse. Queste cose ci riportano a Firenze.

SPATARO. Signor Presidente, sarò telegrafico: ascoltate il pubblico ministero di Firenze per tutte le informazioni sulla colonna fiorentina.

PRESIDENTE. Vorrei chiarire, perché altrimenti non ci capiamo. Il fatto che occorre dubitare di ciò che appare, è una lezione che ci è stata impartita da vostri colleghi, per cui o nella magistratura italiana ci sono persone che credono a ciò che appare e poi c’è una stirpe di dietrologi che invece crea fumo, fa indagini sbagliate e così via, oppure dovete fare una scelta. Trovo strano questo: ci state dicendo che una narrazione dei carabinieri è vera, perché ve l’hanno raccontata i carabinieri. Per gente come noi che indaga, per esempio, su Peteano e sa quale fu il lavoro dei carabinieri in quella vicenda (creazione della pista gialla e così via) per ammissione dell’autore confesso del reato, tal Vinciguerra, questo fatto ci sorprende. Per quale motivo i carabinieri avrebbero dovuto dire la verità a voi? E’ certo che in altre occasioni ciò che i carabinieri hanno raccontato non è stato così fedele alla verità, tenendo presente che io penso che la miglior fortuna per l’Italia sarebbe che fosse vivo Dalla Chiesa perché probabilmente quelli che hanno ammazzato D’Antona sarebbero già in galera, se avessimo una persona con la capacità indagativa di Dalla Chiesa; che, però, come tutti gli indagatori sapeva che ci sono cose che si dicono e altre che non si possono dire (e la vostra vicenda lo sta confermando), verbali che possono essere non corrispondenti al vero. Ma non capisco perché dobbiamo credere per verità di fede ad una versione dei carabinieri.

GIORGIANNI. Presidente, il magistrato ha indicato una fonte attendibile e individuata, ma non comunicata, questo gli basta, il magistrato non può avere informatori, ha il dovere di non sapere.

PRESIDENTE. Su questo sono d’accordo con lei. Quello che non capisco è lo sforzo che si fa per convincerci che, al di là di quella versione non possiamo andare. Per riprendere, vorrei capire perché l’autorità di Firenze non può sapere che Azzolini ha perduto quel borsello.

POMARICI. Signor Presidente, le dico questo: non intendo convincere nessuno, racconto solamente i fatti che sono a mia conoscenza, i fatti oggettivi che conosco dal primo ottobre 1978, ripeto, comprese quelle fotografie che sono la riprova di un servizio chiamato O.C.P. (osservazione, controllo e pedinamento), fatto bene, ma che non avrebbe motivo di essere svolto se ci fosse qualcuno all’interno che raccontasse quello che si doveva sapere, così come non c’era bisogno di conoscere, di trovare il signore…

PRESIDENTE. E’ vero fino ad un certo punto perché anche di quello che ha fatto Girotto abbiamo le fotografie.

POMARICI. Abbiamo il nominativo: società Fulgor Cavi, il cui titolare è il proprietario dell’appartamento di via Monte Nevoso 13 nel quale si misero i carabinieri, su loro richiesta e su autorizzazione di questo signore, per fare quest’attività di osservazione. Mi chiedo che necessità ci fosse di fare un’attività di osservazione se all’interno Monte Nevoso c’era qualcuno che dava le notizie. Vado oltre: il discorso di Firenze. Mi perdoni se correggo una sua piccola imprecisione; a Firenze non è avvenuto alcun furto, forse è avvenuto solamente un furto di denaro perché all’interno di quel borsello vengono trovate solo poche monete e non anche denaro in contante in banconote che presumibilmente Azzolini si doveva portare.

PRESIDENTE. …ci ha detto che c’era un fascicolo…

POMARICI. Nel borsello vi era un documento che era stato rubato in precedenza e in altra città, per cui Firenze non era competente: era una patente di guida rubata ad una persona di cui vi posso dire il nome. Il reato che è stato commesso a Firenze era un reato di porto e detenzione di armi, anzi di porto perché la detenzione come omessa denunzia, si ha nel luogo in cui Azzolini abitualmente stava, Milano. Reato che è stato poi ampiamente compreso in tutti i reati di porto e detenzione di armi, esplosivi, armi da guerra, nei confronti di Azzolini, a Milano, sicché l’informativa all’autorità giudiziaria di Firenze perché procedesse per quel reato assolutamente minore, compreso in tutti gli altri già contestati all’epoca ad Azzolini, era assolutamente superflua perché comunque quel procedimento sarebbe avvenuto a Milano per connessione e per competenza posto che il reato molto più grave di associazione a banda armata, di detenzione di armi da guerra, di esplosivi e così via, risultava commesso a Milano. Per informare l’autorità giudiziaria di Firenze della responsabilità di Azzolini si sarebbe dovuto disvelare quelle fonti che i carabinieri non avevano voluto rivelare. Cioè si sarebbe dovuto dire: sappiamo che quel borsello lo portava Azzolini perché conteneva determinati documenti e perché abbiamo individuato il responsabile che è quel signor Gatelli in Azzolini dal momento che la signora tal de tali, alla quale abbiamo mostrato le fotografie di Azzolini, ha riconosciuto nel Gatelli l'Azzolini. Quindi, la persona che ha smarrito il borsello è Azzolini e quindi risponde del reato di porto e detenzione di armi. Sicché i carabinieri avrebbero disvelato davanti ad un processo e ad un giudice a Firenze quello che cercavano di tenere riservato a Milano per non esporre queste persone a ritorsioni! Ebbene, mi sembra che questo rappresenti un motivo assolutamente banale tanto più che - ripeto - di fatto il dottor Chelazzi era stato informato della cosa e a riguardo esiste un aspetto del tutto anomalo che altrimenti non avrebbe motivo di esistere, mi riferisco cioè alla trasmissione dell'intero fascicolo processuale dal pubblico ministero di Firenze non a quello di Milano, bensì ai carabinieri di Milano e questo proprio perché stavano proseguendo le indagini. Mi sembra di aver risposto in un modo piano e banale sui motivi…

PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Pomarici, si tratta di una storia che parte da un falso e si conclude con un favoreggiamento…

POMARICI. Favoreggiamento di chi, signor Presidente?

PRESIDENTE. Di Azzolini, colpevole di furto e che non viene processato per questo reato.

POMARICI. Ma quale furto, casomai di ricettazione!

PRESIDENTE. No, di porto d'armi.

POMARICI. Signor Presidente, le posso mostrare i documenti relativi alla condanna di Azzolini per il reato di porto d'armi. Scusi, signor Presidente, quando si commette un reato di porto d'armi, uscendo da via Monte Nevoso e arrivando fino a Firenze per poi tornare a via Monte Nevoso si tratta comunque di un unico reato; oppure a suo avviso quest'ultimo si differenzia a seconda del comune in cui ci si trova e quindi appena usciti dal comune di Milano si commette un altro reato?

PRESIDENTE. Non credo che le cose siano in questi termini, se io ho un'arma a Firenze e poi…

POMARICI. Si tratta comunque della sua arma, quella in dotazione personale. Le armi dei brigatisti…

PRESIDENTE. Azzolini è stato condannato per il reato di porto d'armi in riferimento a quell'arma?

POMARICI. Di quella e di tutte le altre armi!

PRESIDENTE. Non di tutte le altre armi…

POMARICI. Si tratta di tutto l'armamentario della colonna, del logistico della colonna Walter Alasia. Signor Presidente, se lei osservasse il capo di imputazione, si accorgerebbe che sono state contestate ad Azzolini duecento armi tra comuni, da guerra, munizioni, esplosivi e quant'altro.

PRESIDENTE. La difficoltà è che Azzolini non vuole venire presso questa Commissione, perché credo che sarebbe stato interessante porgli una serie di domande.

FRAGALA’. Forse non ha tutti i torti.

PRESIDENTE. Forse, Azzolini non ha tutti i torti ma solo per chi vuole credere che le cose siano così come appaiono! Il problema è quello che vogliamo ottenere…

FRAGALA'. I dietrologi la debbono smettere!

PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, faccia questi commenti quando le darò la parola, se le leggo i verbali in cui lei ha annunciato…

FRAGALA'. Signor Presidente, ci deve consentire di intervenire, perché se tenta di convincere i nostri interlocutori della sua tesi per tenerci qui fino alle 3 di notte, io non glielo consento!

PRESIDENTE. Lei può anche andare via!

FRAGALA'. Rimango qui e voglio che mi sia data la parola al più presto!

PRESIDENTE. E allora avrà la parola quando gliela darò!

FRAGALA'. Ripeto, voglio che mi sia data la parola al più presto.

PRESIDENTE. Mi rivolgo ai colleghi del suo Gruppo al fine di poter riportare questa audizione in condizioni di svolgimento normali.

FRAGALA'. E allora andiamo avanti!

POMARICI. Signor Presidente, non riesco a comprendere se i vostri dubbi riguardino la presenza o la sparizione di documenti da via Monte Nevoso. Infatti, quando si osserva che stranamente è stato condotto l'intervento proprio a pochi giorni dall'arrivo di quel materiale, sembra quasi che quell'intervento sia stato mirato a trovarlo.

PRESIDENTE. Non c'è dubbio, ed ecco perché ci sono degli equivoci di fondo e dietrologie di ogni tipo. In un documento istruttorio che abbiamo stilato a luglio, il mio ragionamento parte proprio da una frase del generale Dalla Chiesa il quale non essendo stati trovati gli originali delle cassette, né quelli delle carte si chiedeva chi avesse recepito tutto ciò. Questo è quello che il generale Dalla Chiesa disse presso la Commissione Moro. Proprio perché ho stima del generale Dalla Chiesa mi pongo lo stesso tipo di problema e l'ipotesi che facciamo è che il generale potesse avere sue fonti di informazioni che gli hanno consentito di ricostruire il percorso dei dattiloscritti da Firenze fino a via Monte Nevoso giacché Dalla Chiesa cercava gli originali. Non capisco che cosa ci sia in questo di offensivo nei confronti della memoria del generale Dalla Chiesa e che cosa ci sarebbe di altrettanto offensivo se alla preoccupazione di proteggere i testimoni che avevano riconosciuto Azzolini si fosse aggiunta anche quella di salvare la vita di un informatore. Ripeto, perché si tratta di una ipotesi scandalosa?

SPATARO. Non è scandalosa. Intanto l'ipotesi è fatta di una serie di corollari, infatti sentiamo spesso dire - questo in verità lo affermate voi - che il generale Dalla Chiesa avrebbe sottratto dei documenti e dato ad altri…

PRESIDENTE. Questa era una ipotesi avanzata dalla Procura di Palermo nel processo contro Andreotti.

SPATARO. Ho avuto modo di rappresentare al riguardo ai colleghi di Palermo e di Perugia il mio personale convincimento, tuttavia ciò significa attribuire a Dalla Chiesa ipotesi di reati certamente gravi e cioè la sottrazione ad una autorità giudiziaria di documenti importanti e questo non è accaduto.

In secondo luogo la Commissione è in possesso delle dichiarazioni rese dai brigatisti non solo adesso, ma all'epoca; costoro dinanzi alla Corte di Assise di Roma denunciarono i carabinieri per aver sottratto del denaro. Erano infatti convinti che quel nascondiglio fosse stato trovato e non risultando dal verbale, pensavano che i carabinieri si fossero appropriati di quei soldi. A riguardo vi è anche la corrispondenza del presidente Santiapichi e la Procura di Milano che rispose sdegnata rispetto all'eventualità che i carabinieri avessero sottratto il denaro. Quando poi venne trovato quel nascondiglio, casualmente, là dove era sempre rimasto, i brigatisti dichiararono al collega Pomarici che loro avevano sempre pensato che esso fosse già stato trovato, tanto è vero che in quel luogo erano stati trovati esattamente gli oggetti da loro indicati. Ora, non so se il generale Dalla Chiesa volesse proteggere un informatore, anzi lo escludo.

Bisogna considerare, comunque, che abbiamo parlato con i carabinieri fin dal primo ottobre del 1978 e con essi abbiamo diviso la vita; abbiamo lavorato giorno e notte nelle caserme, abbiamo parlato con ciascuno dei marescialli che è andato di notte a girare con le chiavi. Voi non ci crederete, per carità è legittimo, però noi non parliamo in base al racconto di un ufficiale che superficialmente il primo ottobre ci ha raccontato quattro battute; ripeto, si tratta di un lavoro di anni, abbiamo trascorso la vita e siamo cresciuti professionalmente anche grazie a queste persone. Quindi l'idea che tutta questa montatura, che in parte nella relazione viene definita come una realtà - non si capisce poi come diventi il contrario - sarebbe stata creata per coprire un informatore che poi secondo quanto si dice nell'ultima parte della suddetta relazione - a mio avviso con un salto logico francamente inaccettabile - potrebbe essere lo stesso Azzolini. Quindi Azzolini informatore avrebbe fatto tutto questo per farsi volontariamente una ventina di anni di carcere quando si sa benissimo che il ruolo dell'informatore è quello di dire le cose come stanno e possibilmente di non scontare neanche un anno di carcere. In questo caso avremmo una costruzione che definisco artificiosa; mi scuso con la Commissione, sono rispettosissimo delle opinioni altrui, però lei, signor Presidente, comprenderà che non sto difendendo l'operato della Procura di Milano. Capisce che quando ci chiedete perché crediamo alle parole dei carabinieri noi non possiamo che rispondere che la versione di questi ultimi è corroborata dalle fotografie, da quello che siamo venuti a sapere e da quanto hanno dichiarato pubblicamente quando le esigenze di segretezza sono venute meno.

Signor Presidente, non voglio apparire assolutamente irriguardoso, ma vogliamo forse dire che è stato compiuto un favoreggiamento nei confronti di Azzolini quando si è fatta una scelta di non rivelare e di non collegare i due fatti?

PRESIDENTE. Come ho già detto all'inizio dell'audizione non faccio questioni di carattere formale, non posso però nemmeno accettare la sottovalutazione di tutti gli aspetti formali.

SPATARO. Volevo dire signor Presidente che stiamo parlando del 1978 quando si era a pochi mesi dalla morte di Moro e noi non sapevano nulla ed il Paese era in ginocchio; e noi in questa situazione vogliamo pensare che di fronte all'arresto di Azzolini in un covo pieno di armi di cui si scopre l'importanza, con Azzolini che di lì a poco (la cosa viene fuori con Peci, il primo dei collaboratori, esattamente un anno e quattro mesi dopo), viene accusato di omicidio, si sia in presenza di un favoreggiamento? È chiaro che si tratta di una scelta che viene fatta; hanno commesso qualche irregolarità con l'avallo della magistratura? Va bene se così è…

POMARICI. Signor Presidente, siamo venuti qui per comunicarvi quello che sappiamo. Riguardo al famoso discorso dell'informatore posso dirle che tutto è possibile, tuttavia se ci fosse stato effettivamente un informatore le ipotesi sono soltanto due. Nel caso si trattasse di una delle persone che sono state tratte in arresto in via Monte Nevoso è valida l'osservazione del collega Spataro dal momento che un informatore che viene arrestato e viene condannato - chi all'ergastolo come Azzolini e chi a trent'anni o a venticinque come gli altri - mi sembra sia un informatore leggermente "bruciato" dalla polizia giudiziaria…

PRESIDENTE. O era l'irregolare che batteva a macchina le carte a Firenze e Morucci ha voluto lanciare un messaggio a qualcuno, comunicandogli che lui sapeva chi fosse l'informatore.

POMARICI. L'irregolare che batteva a macchina a Firenze è escluso che conoscesse il covo di via Monte Nevoso, perché esisteva una tale compartimentazione e gli irregolari non avevano alcuna conoscenza delle basi operative, logistiche delle altre colonne.

PRESIDENTE. Non glielo avrebbe potuto dire Azzolini all'irregolare?

POMARICI. Escludo che Azzolini potesse fare una cosa del genere.

PRESIDENTE. Azzolini è uno che perde un borsello con le chiavi di un appartamento, con tracce che portano a Milano e non avverte i brigatisti della necessità che il covo poteva cominciare a scottare e doveva essere abbandonato.

POMARICI. No, signor Presidente. Innanzitutto voglio dirle questo. Se chi delinque non commettesse mai un errore le procure della Repubblica potrebbero essere tranquillamente smantellate perché non avremmo mai nulla su cui indagare. Il tutto nasce, invece, da una circostanza assolutamente fortuita ed occasionale perché Azzolini non poteva certo immaginare che il commesso dell’officina Crea lo avesse rivisto in via Monte Nevoso in sella ad un ciclomotore. Tutto poteva immaginare tranne che questa possibilità. Azzolini sapeva di aver dato un nome falso. A Milano arriveranno al Medical Center, troveranno un certo signor Gatelli, che in realtà non esiste, e lì finisce il discorso.

MANCA. Altro sarebbe stato il discorso se il covo fosse stato a Firenze.

PRESIDENTE. Questo sempre se ha smarrito il borsello, se non lo ha consegnato ad una persona di fiducia.

MANCA. Mi riferisco alle chiavi.

PRESIDENTE. Voglio porle una domanda che non vuole essere dietrologica, ma che rientra tra i doveri istituzionali di nostra competenza. Sottolineo che tutta la storia di questa Commissione e tutte le indagini che ha svolto, grondano di rapporti non veri, di informazioni non esatte, di piste costruite, abbandonate, ricostruite e riprese. Il collega Fragalà dice che è dietrologia. In quel caso dovremmo chiudere la Commissione. Tutto è chiaro, tutto è normale. Il collega Fragalà ci racconta la vera storia d’Italia. Voi, invece, venite in questa sede e ci dite che i carabinieri di Milano vi hanno detto tutta la verità. Ne prendiamo atto. Del resto, comprendo le ragioni che vi spingono a credere a tale verità.

POMARICI. Signor Presidente, questo non lo accetto. Faccio il magistrato da trentatre anni…

PRESIDENTE. In trent’anni non le è mai capitato di dubitare del rapporto della polizia giudiziaria?

POMARICI. Certamente, è capitato, ma non in questo caso, in particolare non con quei carabinieri. Con quei carabinieri, come diceva Armando Spataro, ho condiviso più notti di quante non ne trascorressi a casa mia in quel periodo con i miei figli. E’ gente che ha affrontato i brigatisti e che è andata a prendere Vittorio Alfieri rischiando la vita personalmente...

PRESIDENTE. Questa sarebbe una replica giusta se le avessimo dato un motivo ignobile per spiegare l’intera vicenda. Nel momento in cui invece il motivo che le diamo è per lo meno equiordinato a quanto i carabinieri le hanno detto per spiegare la vicenda, non riesco a capire quale sia il motivo dello scandalo.

POMARICI. Signor Presidente, le abbiamo indicato alcune persone del popolo, civili, cittadini, e non carabinieri o persone dei servizi o appartenenti a qualsivoglia organo dello Stato. Chiamateli e chiedete loro se è vero o no che il conducente dell’autobus rinvenne quel borsello, che questo era stato consegnato da una signora, che i carabinieri andarono al Medical Center chiedendo chi fosse un certo signor Gatelli, che ottenendo quella descrizione ed esibendo certe fotografie riconobbero Azzolini, che i carabinieri andarono dal meccanico Crea chiedendo chi avesse comprato quel ciclomotore, che il dipendente dell’officina affermò di aver visto quella persona a bordo del ciclomotore in via Monte Nevoso, che il titolare della ditta di cui le ho dato il nome abbia messo a disposizione dei carabinieri il proprio appartamento per fare delle osservazioni e, infine, che il dottor Chelazzi sia stato informato.

PRESIDENTE. Queste affermazioni lei può darcele perché ha interrogato tutte queste persone?

POMARICI. Signor Presidente, se non ci credete potete controllare. Ho a disposizione un verbale di dichiarazioni.

PRESIDENTE. Volevo soltanto sapere come potremmo verificare tali dichiarazioni.

POMARICI. Dispongo di un verbale di dichiarazioni di Guidi, un verbale di sequestro di un borsello.

GIORGIANNI. Signor Presidente, ho seguito per filo e per segno quanto hanno dichiarato i consiglieri Spataro e Pomarici e non trovo nulla di strano nella loro ricostruzione. Capisco che ci sono tante perplessità perché ci sono varie incongruenze sulle versioni che sono state fornite alla nostra Commissione, ma dobbiamo anche partire dalla considerazione – e quindi voglio ripartire da quell’osservazione iniziale – che i magistrati possono riferirci dei fatti ma non delle opinioni. Più volte mi è capitato, anche a Milano con il collega Spataro, insieme al quale nelle sezioni anticrimine abbiamo svolto delle operazioni, che nel momento stesso in cui veniva a prospettarsi la possibilità di disporre di una fonte attendibile, sia pure individuata, non si aveva motivo, quanto meno nella fase iniziale, di opporsi ad una procedura perfettamente regolare. Nello stesso tempo, scelta quella via, avevamo il dovere, perché il pubblico ministero non può avere degli informatori, di seguire quell’attività investigativa e di fare un riscontro a posteriori.

Pertanto, voglio ritornare per un attimo sull’opportunità o meno da parte della magistratura di chiedere tutti quei riscontri successivi relativamente al meccanico, alla dottoressa e così via. Quelle circostanze - abbiamo scoperto successivamente che questa fonte aveva un nome e un cognome -, servivano soltanto a verificare che le prestazioni mediche erano state effettuate nei confronti di Azzolini, che il ciclomotore era stato venduto a questa stessa persona e che era stato visto nella zona di via Monte Nevoso. Sostanzialmente, signor Presidente, servivano solamente a dare un’identità alla persona che aveva perso il borsello. Se questo borsello è stato effettivamente perso o non è stato piuttosto consegnato, se c’è una seconda versione non possiamo dirlo. Dobbiamo dare per scontato che questi magistrati non conoscano quest’altra verità. Nel momento stesso in cui viene nel corso di un’informativa dato riscontro a quelle circostanze…

PRESIDENTE. Lei sta facendo una domanda agli auditi?

GIORGIANNI. Arrivo alla domanda, signor Presidente.

PRESIDENTE. L’audizione si è fatta su richiesta degli audiendi.

GIORGIANNI. Signor Presidente, la prego di permettermi di esprimere la mia opinione. Siccome mi sembrava di aver colto qualche sua perplessità rispetto ad alcune domande e ad alcune incongruenze che lei sottolineava, ritengo di poter affermare che in realtà non c’è alcuna incongruenza. Quella fonte doveva servire soltanto per l’individuazione di una persona che poi avrebbe risposto, eventualmente, del reato di detenzione e porto di un’arma magari con matricola abrasa. Successivamente c’è stato riferito che quella contestazione è stata fatta.

Dottor Pomarici, lei quando è arrivato in via Monte Nevoso? E’ arrivato in tempi ravvicinati o è arrivato nel momento in cui sono arrivati i carabinieri?

POMARICI. Sopraggiungo a distanza di un’ora più o meno. L’intervento in via Monte Nevoso avviene verso le nove del mattino. Ero stato preavvertito che quell’intervento sarebbe avvenuto dal procuratore della repubblica. Il generale Dalla Chiesa aveva preavvertito il procuratore della Repubblica e gli aveva chiesto che il pubblico ministero fosse immediatamente disponibile ed io ero già pronto. Dopo di che avviene la sparatoria in via Pallanza. Dopo essermi recato lì, ritorno in via Monte Nevoso.

GIORGIANNI. Abbiamo appreso stasera che nel momento stesso in cui avviene il ritrovamento del borsello, quest’ultimo viene messo a disposizione dell’autorità giudiziaria di Firenze. Il pubblico ministero di Firenze, che poi invia il fascicolo processuale, ed evidentemente anche il corpo del reato, ai carabinieri di Milano, invia tale fascicolo con una delega di indagine?

POMARICI. Sì, lo invia ai carabinieri di Milano perché esperiscano gli opportuni accertamenti sulla persona.

PRESIDENTE. Questo documento può lasciarlo agli atti della Commissione?

POMARICI. Sì.

GIORGIANNI. Debbo arguire quindi che su quella delega di indagine avranno riferito mentre su circostanze diverse, che non erano attinenti a quella delega di indagine, abbiano riferito all’autorità giudiziaria di Milano. Può dirci qualcosa in proposito?

POMARICI. A noi hanno riferito su tutto il resto. Per quanto riguarda Firenze sappiamo che hanno riferito dicendo che non avevano identificato la persona con certezza.

GIORGIANNI. Quindi c’erano due informative, una che è andata a Firenze ed una che è stata mandata a voi, con tutte le circostanze.

SPATARO. L’informativa a Firenze viene inoltrata, come risulta anche dalla relazione del collega Bonfigli, dopo l’operazione.

POMARICI. Signor Presidente, mi scuso ma purtroppo sono costretto a lasciare i lavori. Tra l’altro c’è un sequestro di persona in corso a Milano.

PRESIDENTE. L’abbiamo saputo. La ringrazio e la saluto.

Il dottor Ferdinando Pomarici viene congedato.

Fine prima parte

prima parte

seconda parte

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