Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

70a SEDUTA

MERCOLEDI 24 MAGGIO 2000

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

Indice degli interventi

PRESIDENTE
ANDREASSI

 

La seduta ha inizio alle ore 20,15.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito l'onorevole Taradash, segretario f.f., a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

TARADASH, segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta del 23 maggio 2000.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

 

AUDIZIONE DEL PREFETTO ANSOINO ANDREASSI, DIRETTORE CENTRALE DELLA POLIZIA DI PREVENZIONE DEL DIPARTIMENTO DELLA PUBBLICA SICUREZZA, SULLO STATO DELL'INCHIESTA SULL'OMICIDIO DEL PROFESSOR D'ANTONA

(Viene introdotto il prefetto Ansoino Andreassi, accompagnato dal dottor Franco Gabrielli, vice questore aggiunto della Polizia di Stato).

PRESIDENTE. Abbiamo disposto nell'inchiesta sull'omicidio del professor D'Antona una nuova audizione del prefetto Andreassi, direttore centrale della Polizia di prevenzione del Dipartimento della pubblica sicurezza, che ringrazio per la sua presenza. Penso che lei abbia intuito i motivi per i quali abbiamo ritenuto di disporre nuovamente una sua audizione.

La Commissione, come lei ricorderà, fece immediatamente oggetto della sua attenzione il rinascente fenomeno dell'eversione di sinistra subito dopo l'omicidio del professor D'Antona. Lo fece riconoscendo anche una sua piccola parte di responsabilità, che è quella di non aver valorizzato una serie di indicazioni sulla possibile riemersione, rinascenza o risorgenza di un terrorismo soprattutto di sinistra; indicazioni queste, scaturite da un'interessante audizione dell'allora prefetto Ferrigno, suo predecessore, svolta nel 1996. Acquisimmo all'epoca documentazione sia dal suo Dipartimento, sia dai ROS. Devo affermare che, abbastanza rapidamente, la Commissione si convinse che tutto ciò che emergeva da quel lungo lavoro di analisi delineava un quadro abbastanza credibile, verosimile e attendibile di un fenomeno patologico nel quale, sia pure con un inaspettato salto di qualità, era venuto ad inserirsi l'omicidio del professor D'Antona.

All'epoca parlammo di un fatto probabilmente non prevenibile, ma non assolutamente imprevedibile, il quale aveva purtroppo colto tutti di sorpresa: la società italiana, gli ambienti che avevano responsabilità politica e istituzionale, gli apparati di sicurezza e in qualche modo, la stessa Commissione. Ritenemmo allora di poter formulare l'auspicio che quel corredo informativo, che ci sembrava già di notevole spessore, potesse non determinare difetti d'informazione, sottovalutazioni del fenomeno e sue incomprensioni che, nella riflessione sul passato di questo paese, la Commissione indubbiamente ha ritenuto di rilevare nella fase iniziale del contrasto alle Brigate rosse: non aver capito abbastanza presto o aver rimosso la reale natura del fenomeno e, quindi, aver ritardato l’approntamento di tecniche adeguate di risposta da parte dello Stato.

Ritenevamo che questo ora non ci fosse. Le valutazioni politiche erano coerenti e il lavoro d'informazione - come ho detto prima - aveva portato già a risultati notevolmente apprezzabili. Il nostro auspicio era che, passando alla fase dell'investigazione giudiziaria, si potessero ottenere in tempi abbastanza ravvicinati successi di notevole importanza. Devo dire che personalmente in questo ero confortato da un'analisi della recrudescenza delle fenomenologie terroristiche in tutte le parti del mondo. In qualche modo certe forme di terrorismo sono diventate endemiche: si accendono qua e là fiammate, ma molto spesso - penso all'esperienza statunitense, francese e giapponese - i gruppi autori di gesti eversivi vengono abbastanza presto individuati e assicurati alla giustizia. Quindi, mi auguravo che anche questo potesse avvenire da noi, ma invece non è avvenuto. Si sono registrati successi, tutto sommato marginali, come quello di Milano.

Ci rendevamo conto, tuttavia, che il lavoro indagativo procedeva ed anche l'attività della magistratura. Pertanto, ci siamo limitati soltanto a pochi momenti di aggiornamento prima con la sua audizione nel dicembre 1999 e successivamente con quella del ministro Bianco. L'abbiamo fatto non perché sia mai venuta meno l'attenzione della Commissione e la valutazione dell'importanza del fenomeno, ma perché ci rendevamo conto che l'attività indagativa in corso era un fatto molto delicato, che quindi aveva bisogno più di discrezione e di riserbo che del fuoco e della luce dell'indagine parlamentare, la quale è, per sua stessa natura pubblica; è quasi - come ha detto ieri il vicepresidente Manca - una prosecuzione del dibattito esistente nel paese. Pertanto, ci siamo astenuti dal sentire i magistrati che indagavano e i carabinieri, proprio perché non volevamo in alcun modo determinare momenti di non tenuta di informazioni, che potessero poi nuocere allo sviluppo delle indagini.

Purtroppo quello che è successo la scorsa settimana ha avuto un effetto devastante: improvvisamente uno sviluppo delle indagini in una fase delicatissima è finito sui giornali. Lei ricorderà che, nella mattinata di martedì, sono venuto nel suo ufficio proprio perché ero personalmente allarmato da questa situazione, che abbiamo analizzato e commentato insieme; dopo un certo tempo del nostro colloquio, devo alla cortesia di una sua telefonata l'informazione che un ordine di custodia cautelare era stato chiesto, concesso dal GIP ed eseguito. Quindi, oggi la sentiamo per questo motivo.

Nella seduta di ieri abbiamo audito il dottor Lupacchini, perché volevamo avere qualche maggiore notizia non sullo svolgimento degli ulteriori atti d'indagine - sui quali prego lei di mantenere l'assoluto riserbo per non aggiungere danno al danno - ma sul problema della fuga di notizie. A tal riguardo vorrei che lei innanzi tutto informasse la Commissione del punto di vista del suo Dipartimento e, se possibile, ragionare insieme sulla strategia complessiva fin qui seguita nel contrasto al fenomeno delle Brigate rosse.

Non le rivolgerò domande dopo questa introduzione, perché affido ai componenti della Commissione il compito di sollecitare ulteriori sue dichiarazioni o riflessioni con domande puntuali, ma faccio una riflessione ad alta voce, che è la seguente. L'omicidio del professor D'Antona è sino ad ora il momento di maggiore virulenza di un fenomeno eversivo, che abbiamo insieme già commentato e scandagliato. Naturalmente il fenomeno eversivo, indipendentemente dai singoli episodi in cui si manifesta, è in se stesso penalmente illecito, per lo meno in un ordinamento come il nostro che conosce figure di reato quali l'associazione sovversiva e la banda armata, le quali costituiscono tipici reati-mezzo rispetto ai delitti-fine. Per adesso tra questi ultimi il più grave è stato l'omicidio D'Antona, ma c'è stata una serie di attentati minori, quasi tutti di scarsissime conseguenze e quasi tutti di scarsissima potenzialità effettiva; anche se per qualche caso ho avuto l'impressione che non ci sono stati ferimenti e vittime, perché le cose non sono andate come sarebbero potute andare.

L'impressione che mi è scaturita dalla lettura dell'ordinanza del dottor Lupacchini, con la quale è stata applicata al Geri la misura della custodia cautelare, è che l'attenzione della magistratura si sia concentrata prevalentemente sul reato-fine, ossia sul delitto D'Antona, incontrando naturalmente molte difficoltà. Sia pure con la riserva di cui parlavo prima, lei mi potrà poi dire se condivide o meno questa mia valutazione: gli uccisori di D'Antona sono stati molto attenti a non lasciare tracce: i due furgoni appena rubati; il fatto che nei furgoni non è stato lasciato alcun indizio che potesse far risalire agli autori dell'omicidio; da quello che ho capito, la stessa arma usata ha lasciato poche tracce balistiche (nell'ordine di custodia cautelare del dottor Lupacchini viene contestata la detenzione di arma da guerra, ma di un'arma non ancora identificata, se non molto genericamente nel tipo); gli stessi riscontri testimoniali e gli identikit tracciati mi sembra che non abbiano portato a risultati utili. In realtà l'indagine si sviluppa attraverso un lavoro che mi è sembrato di alto livello nella parte in cui è partito dall'indizio lieve dell'utilizzazione della scheda telefonica nella cabina.

La domanda sulla quale si aggroviglia il mio dubbio è se non fosse possibile raggiungere risultati più cospicui e più immediati lavorando invece sui reati-mezzo, cioè sull’associazione sovversiva e sulla banda armata, perché in quel caso il corredo di informazioni era tale che, a mio avviso, avrebbe potuto portare a risultati più immediati.

Mi domando se la cautela di andare in quella direzione derivi dal timore che può avere la magistratura di non radicalizzare aree di antagonismo sociale, che sentendosi criminalizzate, più o meno ingiustamente, potrebbero per questo compiere il salto qualitativo. Le domando poi: c’è una difficoltà nel coordinamento delle indagini su tutto il territorio nazionale?

Ho letto i documenti dei CARC e mi domando se quelli non siano in se stessi la prova dell’esistenza perlomeno di una associazione sovversiva, se non di una banda armata. La perquisizione di tutte le sedi dei CARC, avvenuta nel mese di ottobre, è stata condotta in un momento in cui il vertice dei CARC aveva già assunto la decisione di passare in clandestinità, cosa che può rappresentare una scelta di vita individuale, ma che indubbiamente è significativa di una valutazione che i protagonisti di quel gruppo compiono della propria attività, se avvertono la necessità di coprirla con la clandestinità.

Probabilmente, indagando sul reato-mezzo e se si fosse approfondita ulteriormente con maggiore durezza e severità l’indagine giudiziaria, sarebbero scaturiti elementi che avrebbero potuto intercettare quegli indizi molto tenui, su cui si lavora relativamente all’omicidio D’Antona.

Naturalmente, mi rendo conto che nell’ambito di una materia così delicata nessuno può sentirsi depositario del vero. Queste sono mie riflessioni, miei dubbi più che certezze; ritengo comunque che il Paese si debba porre tali interrogativi e, per esso, se li debba porre questa Commissione.

Dò ora la parola al prefetto Andreassi.

ANDREASSI. Signor Presidente, ho colto con piacere, nonostante le difficoltà del momento e le polemiche che hanno accompagnato gli sviluppi più recenti dell’inchiesta sull’omicidio D’Antona, l’invito a ritornare davanti a questa Commissione, desideroso di offrire ancora una volta ogni possibile contributo alla comprensione dei fatti con assoluta modestia e con grande spirito di servizio.

Vorrei però che i lavori procedessero in seduta segreta.

PRESIDENTE. Vorrei ripetere l’avvertenza che ho espresso già la volta scorsa. Purtroppo non mi sento di garantire l’assoluta segretezza della seduta ed il risultato della secretazione. Ad ogni modo, possiamo procedere in seduta segreta.

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 20,35.

…omissis…

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 23,29.

PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto Andreassi per la sua disponibilità e dichiaro conclusa l’audizione.

La seduta termina alle ore 23,30.

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