COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA
SUL SISTEMA SANITARIO

MERCOLEDI' 17 GENNAIO 2001

91ª Seduta

Presidenza del Presidente
PIANETTA


La seduta inizia alle ore 8,40.

Esame dello schema di relazione conclusivo dell'inchiesta sul funzionamento delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere con particolare riferimento allo stato del processo di aziendalizzazione.
(Discussione e approvazione)

La senatrice Carla CASTELLANI illustra la relazione all'ordine del giorno precisando in primo luogo che la metodologia dell'indagine si è articolata, da un lato, in un questionario inviato alle aziende sanitarie locale e alle aziende ospedaliere e, dall'altro, nell'effettuazione, da parte di una delegazione della Commissione, di una serie di sopralluoghi presso aziende sanitarie scelte in base al criterio sia delle dimensione che della collocazione geografica. Attraverso il questionario sono stati richiesti alle aziende (con riferimento all'anno 1999) dati relativi, tra l'altro, alla data di costituzione in azienda, all'adozione del sistema di budget, all'adozione di strumenti di programmazione aziendale pluriennale ed annuale, all'adozione del sistema di contabilità economico-finanziaria e patrimoniale, all'istituzione dei dipartimenti, all'istituzione dei dipartimenti di emergenza e urgenza, all'avvio della libera professione intramuraria. I dati ricevuti sono stati elaborati sia con una sintesi nazionale che con suddivisioni per macroaree geografiche.
Su un totale di 292 tra aziende sanitarie locali e aziende ospedaliere, i questionari restituiti sono stati 273 anche se non tutti i quesiti posti hanno ricevuto risposta.
Passando all'illustrazione dei risultati emersi dall'indagine, la relatrice osserva che, per quanto concerne la data di costituzione delle aziende, la maggior parte di esse è stata costituita nel 1995 (il 71,8 per cento di quelle che hanno risposto a tale quesito); un picco del 7,2 per cento si registra nuovamente nel 1998 e si riferisce prevalentemente alle aziende della regione Lombardia.
In ordine all'istituzione del sistema di budget, 208 aziende (pari al 71,2 per cento dell'universo considerato) hanno risposto affermativamente allo specifico quesito; l'elaborazione per macroarea geografica evidenzia come tale percentuale sia pari all'84,3 per cento nelle Regioni del nord, al 77,8 per cento in quelle del centro e al 51 per cento nelle Regioni del sud e nelle isole; inoltre, mentre nel Nord e nel Centro sono in percentuale più numerose le Asl rispetto alle aziende ospedaliere ad aver adottato il sistema budgetario, tale dato si inverte nelle Regioni meridionali.
I dati concernenti il grado di consolidamento del sistema di budget mettono in luce un'età media piuttosto bassa – pari a 2,19 anni relativamente al totale delle aziende, con punte in positivo che riguardano regioni come l'Emilia-Romagna e il Veneto – elemento che testimonia come il budget attraversi ancora una fase sperimentale e nella maggior parte delle aziende non abbia ancora assunto quel ruolo di strumento di programmazione, verifica dei risultati e responsabilità ad esso proprio. Dal confronto tra i dati testé ricordati e quelli emersi nell'indagine svolta nel 1997 dall'Agenzia per i servizi sanitari regionali e dal CerGAS dell'Università Bocconi emerge che la percentuale di aziende dotate del sistema di budget è passata dal 27,3 per cento nel 1997 al 71,2 per cento al 1999. Peraltro deve essere rilevato l'aspetto negativo connesso al fatto che ancora un quarto delle aziende italiane non ha provveduto ad avviare il sistema di budget ad oltre sei anni dall'avvio del processo di aziendalizzazione.
La senatrice Carla Castellani si sofferma quindi sui dati relativi all'implementazione del sistema di programmazione aziendale e del nuovo sistema di contabilità generale economico-finanziario e patrimoniale: anche questi dati rafforzano l'impressione che mentre si è di fronte ad un significativo incremento della diffusione dei citati strumenti, d'altra parte non possa dirsi conclusa la fase di applicazione sperimentale e persistano alcune situazioni di grave ritardo; è il caso, ad esempio, della perdurante esistenza in oltre il 10 per cento delle aziende del vecchio sistema di contabilità generale che la legge ha dichiarato non più in vigore dal 1° gennaio 1995.
Per quanto riguarda poi l'adozione del modello organizzativo di tipo dipartimentale, è emerso un differente grado di adozione tra le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere, con una prevalenza di queste ultime, spiegabile con le minori difficoltà incontrate in strutture logisticamente concentrate rispetto a quelle invece distribuite sul territorio. Peraltro è da sottolineare che l'organizzazione dipartimentale non è stata completata in nessuna Regione. Appare inoltre opportuno approfondire l'analisi dei modelli dipartimentali già introdotti per comprendere se essi abbiano una natura solo formale o siano il frutto di un processo di vera modificazione dell'organizzazione e dei processi decisionali.
Il livello di risposte, significativamente più basso rispetto agli altri quesiti, relativamente all'incidenza dei ricoveri fuori regione e alla complessità della casistica dei pazienti trattati in ricovero – elementi importanti perché compresi tra i criteri indicati dal decreto legislativo n.229 del 1999 per la conferma delle aziende ospedaliere da parte delle Regioni – appare interpretabile nel senso dell'esistenza di un certo iato tra la normativa vigente e la realtà applicativa, anche perché molte delle aziende hanno lamentato la mancata adozione da parte delle Regioni dei necessari parametri di riferimento.
Dall'inchiesta è emerso che il 97,4 per cento delle aziende sanitarie che hanno risposto al questionario ha avviato la libera professione intramuraria, con prevalenza delle aziende ospedaliere, soprattutto localizzate nel nord e nel centro del Paese. La maggior parte delle aziende (pari al 65,7 per cento) ha organizzato entrambe le tipologie di attività libero professionale, in regime ambulatoriale e di ricovero, contro un 33,2 per cento di aziende che ha avviato solo le attività ambulatoriali. Quanto alle forme di realizzazione della libera professione ambulatoriale, prevalgono la soluzione interna, vale a dire con risorse della stessa azienda, e quella mista, ovvero in parte mediante il convenzionamento con strutture private; per quanto riguarda invece l'attività di ricovero, la forma decisamente prevalente è quella interna.
I posti letto dedicati all'attività intra moenia, pari a 5.867 (dei quali 3.634 collocati nelle Asl e 2.233 nelle aziende ospedaliere), rappresentano quasi il 2,9 per cento dei posti letto complessivi delle 151 aziende sanitarie che hanno risposto al questionario fornendo il totale dei posti letto ordinari attivi. Al riguardo appare tuttavia necessario approfondire l'indice di occupazione dei posti letto dedicati, il loro effettivo utilizzo nonché la tipologia dei casi trattati.
In conclusione, la senatrice Carla Castellani afferma che l'indagine condotta ha messo in evidenza un quadro piuttosto eterogeneo di organizzazione sanitaria, con significative differenze non solo tra il nord, il centro ed il sud del Paese, ma anche all'interno della stessa macroarea geografica e talvolta della stessa Regione. La fase sperimentale del processo di introduzione dei meccanismi aziendalistici non può dirsi conclusa, mentre, sia pure in una percentuale alquanto limitata di casi, essa non è stata nemmeno avviata. Tale considerazione non deve peraltro essere necessariamente intesa come un giudizio negativo per quanto concerne la qualità della prestazioni erogate dalla aziende sanitarie che accusano ritardi. In generale, di fronte ai radicali e complessi meccanismi di cambiamento imposti dalle riforme normative iniziate nel 1992, le aziende sanitarie non sono state dotate di strumenti adeguati per procedere nel senso richiesto con sufficiente rapidità ed in molti casi sembrano aver adottato comportamenti adattativi, di stampo puramente formale.
Risulta evidente che per una più soddisfacente attuazione dell'aziendalizzazione sarebbe stato necessario un costante sistema di monitoraggio al fine di evidenziare tempestivamente le criticità emergenti e consentire così le conseguenti correzioni. L'esigenza di un'opera di costante monitoraggio è peraltro ancora attuale ed in questo senso si colloca la proposta di istituire una Commissione bicamerale che nella prossima legislatura porti avanti e rafforzi l'opera di verifica e di stimolo delle attività delle aziende sanitarie avviata con profitto da questa Commissione di inchiesta.
Una seconda esigenza è quella di sostenere adeguatamente le Regioni e le aziende sanitarie in maggiori difficoltà, con modalità da definire in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni-Città. In tale contesto appare ipotizzabile il rafforzamento del ruolo e delle funzioni dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, mentre risulta imprescindibile la necessità di assicurare lo sviluppo di competenze specifiche attraverso attività di formazione e aggiornamento con caratteristiche di continuità nel tempo.

Il presidente PIANETTA, dopo aver ringraziato la senatrice Carla Castellani per l'ampia e precisa relazione, dichiara aperta la discussione.

La senatrice BERNASCONI esprime grande apprezzamento per la relazione testé illustrata dalla senatrice Carla Castellani che fornisce dati assai utili per la comprensione del complesso processo di cambiamento della sanità italiana. Occorre peraltro aver presente che la metodologia basata sui questionari, pur indubbiamente potente, lascia aperto qualche interrogativo non secondario. Ad esempio, per quanto concerne l'attività libero professionale intramuraria, risulta necessario, al fine di una corretta visione della realtà, accertare se i letti dedicati ai ricoveri siano stati organizzati in reparti di medicina e chirurgia autonomi e separati, ovvero siano stati – a suo giudizio del tutto impropriamente – inseriti nei reparti di degenza ordinaria; anche per quanto concerne l'attività ambulatoriale in regime di libera professione occorrerebbe chiarire se essa è svolta in orari e con percorsi di accettazione diversi da quelli previsti per quella non a pagamento. Inoltre sarebbe interessante precisare se la previsione di letti dedicati all'attività libero professionale sia associata al ridimensionamento di quelli non a pagamento che risultassero in eccedenza.
La senatrice Bernasconi, nel rilevare l'opportunità di rendere più incisivo il ruolo dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, si dichiara personalmente contraria all'istituzione di una Commissione parlamentare speciale per lo svolgimento di un'opera di verifica e monitoraggio che pure, come giustamente ha sottolineato la relatrice, è sicuramente indispensabile per elaborare con sufficiente tempestività le correzioni che si rendessero opportune per portare a compimento il processo di aziendalizzazione.

Il senatore DE ANNA, complimentatosi con la relatrice, osserva come sulla base dei risultati dell'indagine condotta dalla Commissione appaia con evidenza che il processo di aziendalizzazione è lungi dall'essere completato, soprattutto nel Mezzogiorno e con particolare riferimento alla creazione degli spazi necessari per l'attività libero-professionale intra moenia. Peraltro, a suo giudizio, sembra probabile ormai l'adozione in senso generale di quello che può essere definito come il modello Lombardia, basato sullo sviluppo degli accreditamenti di strutture anche non pubbliche e basato sul principio che importante non è la natura del soggetto che eroga la prestazioni, quanto piuttosto l'idoneità delle prestazioni stesse a soddisfare la domanda degli utenti nel rispetto dei vincoli di bilancio.

La senatrice DANIELE GALDI, nell'esprimere pieno apprezzamento per la relazione elaborata dalla senatrice Carla Castellani, replica al senatore De Anna rilevando che prima di pensare ad introdurre un nuovo modello di sanità sarebbe più razionale procedere alla compiuta applicazione della riforma recata dal decreto legislativo n. 229 del 1999.

Il senatore ZILIO, ringraziata la senatrice Carla Castellani per la preziosa opera svolta, osserva che proprio le considerazioni del senatore De Anna rafforzano l'esigenza, giustamente sottolineata dalla relatrice, di un organismo parlamentare che, nel rispetto delle competenze e dell'autonomia delle Regioni, monitori l'andamento della sanità avendo come principale punto di riferimento il principio della uniformità delle prestazioni minime essenziali erogate sull'intero territorio nazionale.

Intervenendo in sede di replica, la senatrice Carla CASTELLANI concorda sulla necessità di ulteriori approfondimenti sugli aspetti richiamati dalla senatrice Bernasconi e ribadisce l'esigenza di compiere una costante opera di monitoraggio su tutti i principali aspetti del processo di aziendalizzazione e con particolare riferimento alle modalità di attuazione del regime di intra moenia. Per quanto riguarda l'istituzione una Commissione di inchiesta bicamerale che, come testé suggerito anche dal senatore Zilio, operi in qualità di rappresentante dell'unità nazionale e non abbia intenti sanzionatori ma di semplice verifica e proposta, la relatrice ritiene preferibile tale ipotesi, sulla base dei positivi risultati conseguiti dalla presente Commissione, rispetto allo svolgimento di un'indagine conoscitiva da parte della Commissione sanità. Sul punto sarà comunque il Parlamento della prossima legislatura ad individuare gli strumenti più opportuni: quel che importa è che comunque tale opera di monitoraggio sia svolta con la necessaria continuità, in modo da assicurare quegli elementi di conoscenza oggettiva che sono indispensabili per una corretta scelta tra le diverse soluzioni da adottare.

La Commissione approva quindi all'unanimità la relazione all'ordine del giorno, nel testo allegato al presente resoconto.

Al termine della seduta, il presidente PIANETTA informa di avere richiesto al Collegio dei Senatori Questori la pubblicazione in appositi volumi delle relazioni conclusive che la Commissione ha già approvato o si accinge ad approvare in vista dell'imminente conclusione della sua attività. La presentazione dei volumi dovrebbe avvenire in un'apposita conferenza auspicabilmente alla presenza del Presidente del Senato.

La seduta termina alle ore 9,35.


BOZZA
NON CORRETTA



SENATO DELLA REPUBBLICA
XIII LEGISLATURA






COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL SISTEMA SANITARIO


Il funzionamento delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere con particolare riferimento allo stato del processo di aziendalizzazione (anno di riferimento 1999)



RELAZIONE CONCLUSIVA

Relatrice Senatrice Carla Castellani

INDICE


1. INTRODUZIONE pag. 3

1.1 Le riforme del SSN introdotte a partire dal 1992 " 3
1.2 Lo stato del processo di aziendalizzazione " 19
2. METODOLOGIA DELL’INCHIESTA " 24

3. I RISULTATI DELL’INDAGINE " 30

3.1 La programmazione " 30

3.2 Il sistema di contabilità generale " 39

3.3 La libera professione intramuraria " 43

3.4 Altre informazioni " 53

4. CONCLUSIONI " 63
4.1. I sistemi di programmazione " 63

4.2. Il sistema di contabilità generale " 68

4.3 La libera professione intramuraria " 69

4.4. Dipartimenti " 72

4.5 I dipartimenti di emergenza-urgenza ed accettazione " 74

5. CONSIDERAZIONI FINALI E PROPOSTE " 75

1. INTRODUZIONE

1.1 Le riforme del Servizio sanitario nazionale introdotte a partire dal 1992


Il riconoscimento alle organizzazioni sanitarie pubbliche delle autonomie tipiche di una azienda si è fatto strada, per la prima volta in sistemi sanitari pubblici, nel 1983 con il Griffith Report sul management nel National Health Service del Regno Unito ed ha trovato una sua specifica collocazione nel NHS and Community Care Act del 1990. In Italia, tale processo è stato avviato nella legge del 23 ottobre 1992, n. 421 recante “Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale”, che prevedeva la emanazione di uno o più decreti legislativi per organizzare le Unità sanitarie locali in aziende infraregionali con personalità giuridica e per stabilire i criteri per la individuazione degli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione, compresi i policlinici universitari, e degli ospedali regionali destinati a centro di riferimento della rete dei servizi di emergenza, ai quali attribuire personalità giuridica e autonomia di bilancio, finanziaria, gestionale e tecnica.
Il decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992, recante “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”, successivamente modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, stabiliva che le aziende sanitarie fossero dotate di “personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica”, e che le Regioni dovessero provvedere ad emanare norme per la gestione economico-finanziaria e patrimoniale, prevedendo l’adozione del bilancio pluriennale di previsione, nonché del bilancio preventivo economico annuale relativo all’esercizio successivo, la destinazione dell’eventuale avanzo e le modalità di copertura degli eventuali disavanzi di esercizio, la tenuta di una contabilità analitica per centri di costo, e l’obbligo delle aziende sanitarie di rendere pubblici, annualmente, i risultati delle proprie analisi dei costi, dei rendimenti e dei risultati per centri di costo.
Per conferire uniforme struttura alle voci dei bilanci pluriennali ed annuali e dei conti consuntivi annuali delle aziende, nonché omogeneità ai valori inseriti in tali voci, furono emanati due decreti ministeriali, che stabilirono l’introduzione della nuova disciplina contabile a decorrere dal 1° gennaio 1995 per tutte le aziende sanitarie e dal 1° gennaio 1998 per gli IRCCS.
Il decreto legislativo n. 502 del 1992 definisce le caratteristiche delle aziende sanitarie, i cui organi sono il direttore generale ed il collegio dei revisori. Il direttore generale è coadiuvato dal direttore amministrativo e dal direttore sanitario, che forniscono parere obbligatorio al direttore generale, e dal consiglio dei sanitari, presieduto dal direttore sanitario, che fornisce parere obbligatorio al direttore generale per le attività tecnico-sanitarie, anche sotto il profilo organizzativo, e per gli investimenti ad esse attinenti, nonché dal coordinatore dei servizi sociali, ove previsto dalla normativa regionale. Il collegio dei revisori dura in carica cinque anni, è composto da tre membri di cui uno designato dalla Regione, uno dal Ministro del tesoro ed uno dal sindaco o dalla conferenza dei sindaci o dai presidenti dei consigli circoscrizionali: esso vigila sull’osservanza delle leggi, verifica la regolare tenuta della contabilità e la corrispondenza del rendiconto generale alle risultanze delle scritture contabili, esamina il bilancio di previsione e le relative variazioni ed assestamento, prevedendo in qualsiasi momento atti di ispezione e di controllo.
I requisiti per la individuazione delle aziende ospedaliere, e cioè degli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione, sono rappresentati dalla presenza di almeno tre strutture di alta specialità secondo le specificazioni fornite nel decreto del Ministro della sanità 29 gennaio 1992, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.26 del 1 febbraio 1992, e dalla organizzazione dipartimentale di tutti i servizi.
Le Regioni possono costituire in azienda anche i presidi ospedalieri in cui insiste la prevalenza del percorso formativo del triennio clinico delle facoltà di medicina, nonché gli ospedali destinati a centro di riferimento della rete dei servizi di emergenza. Gli ospedali non costituiti in azienda conservano la natura di presidi dell’unità sanitaria locale (di seguito ASL), e possono essere accorpati ai fini funzionali, con autonomia economico-finanziaria, contabilità separata all’interno della ASL di appartenenza, con l’introduzione delle disposizioni previste per le aziende ospedaliere “in quanto applicabili”. Le aziende ospedaliere debbono chiudere il bilancio in pareggio, vincolo che è stato esteso anche ai singoli presidi ospedalieri di ASL con le successive leggi finanziarie.
Il decreto legislativo n. 502 del 1992 introduce due altri concetti di grande importanza e rilevanza per il processo di aziendalizzazione: le modalità di finanziamento delle prestazioni sanitarie ed il modello di accreditamento.
Il modello di finanziamento preesistente era basato sul criterio della spesa storica, e cioè del finanziamento delle strutture di offerta indipendentemente dai risultati assistenziali prodotti. Con il decreto n. 502 del 1992 il sistema di finanziamento si basa, relativamente ai rapporti tra Stato e Regioni e quest’ultime e le ASL, sulla quota capitaria (vengono in questo caso finanziati i bisogni), e relativamente ai rapporti tra le ASL o le Regioni e le singole aziende ospedaliere e strutture private accreditate, sulla base di tariffe predeterminate rapportate ai volumi di attività (DRG, tariffario prestazioni ambulatoriali). Quest’ultimo meccanismo regolamenta, inoltre, i flussi di mobilità tra Regioni e tra aziende ASL all’interno della medesima Regione. I sistemi di finanziamento possono esercitare una notevole influenza sui comportamenti aziendali ed in particolare sulle modalità di gestione delle aziende stesse, con ripercussioni sui volumi, ma anche sulla tipologia delle prestazioni da erogare. A tale proposito, le leggi finanziarie per gli anni 1995, 1996 e 1997 si sono chiaramente espresse. Nella legge 724 del 1994 (legge finanziaria per il 1995), ad esempio, si riporta chiaramente l’obbligo di erogare le prestazioni di degenza ed ambulatoriali sulla base di “un apposito piano annuale preventivo che, tenuto conto della tariffazione, ne stabilisca quantità presunte e la tipologia in relazione alle necessità che più convenientemente possono essere soddisfatte nella sede pubblica. Tale preventivo forma oggetto di contrattazione tra Regione e unità sanitarie locali, da una parte, e azienda ospedaliera e presidi ospedalieri con autonomia economico-finanziaria, dall’altra.”
La successiva legge n. 549 del 1995 (legge finanziaria per il 1996) ripropone ed amplia quanto sopra nel seguente modo: “le Regioni e le unità sanitarie locali, contrattano [...] con le strutture pubbliche e private ed i professionisti eroganti prestazioni sanitarie un piano annuale preventivo che ne stabilisca quantità presunte e tipologia, anche ai fini degli oneri da sostenere”. Sempre nel 1995, durante il ministero Guzzanti (periodo 17 gennaio 1995-17 maggio 1996), vennero emanate le Linee di guida n. 1/1995, recanti “Applicazione del decreto ministeriale 14 dicembre 1994 relativo alle tariffe delle prestazioni di assistenza ospedaliera, con riferimento alla riorganizzazione della rete ospedaliera ed alle sue relazioni con i presidi e servizi extra-ospedalieri”, nelle quali venne di fatto prevista la graduale introduzione del pagamento a tariffa predefinita per singolo caso trattato (DRG) in ambito ospedaliero, introduzione che, secondo il decreto legge del 28 febbraio 1995, n.57, doveva avvenire a partire dal 1 gennaio 1995, ma che con le “Linee di guida” venne in realtà messo in relazione alla riorganizzazione di tutti i presidi ospedalieri, sulla base delle disposizioni previste all’articolo 4, comma 3, della legge 30 dicembre 1991, n.412, “correlando gli standard ivi previsti con gli indici di tendenza media, l’intervallo di turn over e la rotazione dei degenti ed organizzando gli stessi presidi in dipartimenti”.
La legge n. 662 del 1996 (legge finanziaria per il 1997), infine, riprende i punti di entrambe le precedenti finanziarie, stabilendo che le Regioni debbono individuare “le quantità e le tipologie di prestazioni sanitarie che possono essere erogate nelle strutture pubbliche e in quelle private. La contrattazione dei piani annuali preventivi ... deve essere realizzata ... con la fissazione del limite massimo di spesa sostenibile”.
Altro concetto importante è quello relativo al processo di accreditamento, che fu introdotto all’articolo 8, comma 7, del decreto legislativo n. 502 del 1992, dove si prevedeva la cessazione del precedente regime delle convenzioni e l’adozione da parte di Regioni e ASL dei “provvedimenti necessari per la instaurazione dei nuovi rapporti ... fondati sul criterio dell’accreditamento delle istituzioni, sulla modalità di pagamento a prestazione e sull’adozione del sistema di verifica e revisione della qualità delle attività svolte e delle prestazioni erogate”. L’istituto dell’accreditamento, orientato a regolamentare il diritto di operare nell’ambito e a carico del Sistema sanitario nazionale, venne inteso come verifica e monitoraggio della effettiva rispondenza a condizioni specifiche individuate per le varie tipologie di attività sanitarie, che il SSN obbligatoriamente richiede alle strutture che operano per conto e a carico dello stesso.
Per chiarire le modalità attraverso le quali dovessero essere intrapresi i “nuovi rapporti” se esclusivamente basati sull’accreditamento, il pagamento a prestazione e l’adozione del sistema della verifica della qualità delle prestazioni (tesi sostenuta da quanti promuovevano la libera scelta da parte dei cittadini e la competitività quale fattore determinante per l’efficienza e la qualità del sistema), oppure basati anche sul principio dei livelli uniformi di assistenza ed il loro collegamento alla quota capitaria (condizione di fatto limitante la libera scelta del cittadino) vennero introdotte le tre A, autorizzazione, accreditamento ed accordi contrattuali, in seno alla “Proposta di linee guida sui criteri di applicazione del processo di accreditamento delle strutture e dei professionisti di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modifiche ed integrazioni” avanzata dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali (ASSR) nei primi mesi del 1996 Nel 1996 presso l’Agenzia per i servizi sanitari regionali fu costituito un Gruppo di lavoro coordinato dal Direttore dell’Agenzia, Prof. E. Guzzanti, che ha elaborato la citata proposta, presentata al Convegno dal titolo “Hospital 1996”, tenutosi a Bologna il 24 maggio 1996 alla presenza di responsabili del Ministero della sanità e gran parte degli assessori regionali alla sanità. Il 15 maggio 1996, la proposta era stata inviata al Consiglio superiore di sanità ed al coordinamento delle Regioni, per un parere. I principi espressi nella proposta sono stati poi ulteriormente esplicitati in numerose pubblicazioni e articoli in riviste e quotidiani specializzati.. Alcuni principi della Proposta vennero ripresi all’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997 recante “Approvazione dell’atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni e alle provincie autonome di Trento e Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private”, relativo ai requisiti minimi organizzativi, strutturali e tecnologici per l’autorizzazione, nel quale si stabilì che il riconoscimento dello stato di soggetto accreditato dal SSN non potesse tramutarsi in un automatico diritto all’erogazione di prestazioni sanitarie nell’ambito e per conto del SSN. Il processo di accreditamento venne perciò legato a quello della programmazione regionale e nazionale all’interno dei quali, e nell’ambito di spesa definito, potevano essere attivati gli appositi accordi.
Per favorire il processo di aziendalizzazione, con decreto ministeriale del 10 febbraio 1995, fu istituito, presso il Ministero della sanità, un “Gruppo di lavoro per la formulazione di proposte dirette a rendere pienamente rispondente alle esigenze dei cittadini il nuovo assetto organizzativo delle strutture sanitarie”, con il compito di individuare tecniche e strumenti che consentissero una maggiore flessibilità e snellezza di procedure nelle strutture sanitarie pubbliche, in un’ottica di razionalizzazione e di miglioramento dell’efficacia e della produttività. Successivamente, il Gruppo di lavoro, con decreto ministeriale del 29 maggio 1995, venne trasformato in “Osservatorio permanente per l’aziendalizzazione del Sistema sanitario nazionale (OPAS)”, avente la medesima composizione del precedente Gruppo di lavoro, che ha prodotto le linee guida n. 2 del 1996, pubblicate sulla Gazzetta ufficiale del 31 maggio 1996, dal titolo “Profilo aziendale dei soggetti gestori dei servizi sanitari”, nelle quali sono stati ampiamente trattati i temi relativi al grado di autonomia delle aziende, all’esternalizzazione di alcune attività (quelle di controllo di gestione, ad esempio), alla costituzione di società a partecipazione mista o di consorzi con enti pubblici e privati, agli accordi di programma, etc. Nel documento si intese per autonomia la capacità di “combinare le risorse a disposizione in funzione dei fini di azienda”, e si definirono i compiti dell’azienda unità sanitaria locale, tesi a soddisfare i bisogni della comunità locale, garantendo i livelli uniformi di assistenza, e dell’azienda ospedaliera, che ha come fine quello di rispondere a specifici bisogni di salute, erogando prestazioni e servizi di diagnosi e cura in quantità e qualità coerenti con la domanda. Furono affrontati i problemi della organizzazione aziendale, con particolare riferimento alla direzione strategica, al principio di separazione tra le funzioni di direzione e di gestione, alla programmazione budgetaria, quale strumento “di unificazione del ciclo di programmazione – controllo – riprogrammazione”.
Il tema dell’aziendalizzazione è stato ripreso nella legge 30 novembre 1998, n. 419 “Delega al Governo per la razionalizzazione del Sistema sanitario nazionale e per l’adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Sistema sanitario nazionale. Modifiche al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502”, dove sono riportate le ragioni della necessità di portare a compimento il riordino del Sistema sanitario nazionale avviato con il decreto legislativo 502 del 1992, attraverso il completamento del processo di regionalizzazione e verifica e completamento di quello di aziendalizzazione delle strutture, precisando “i criteri distintivi e gli elementi caratterizzanti per l’individuazione delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, con particolare riguardo alle caratteristiche organizzative minime delle stesse ed al rilievo nazionale o interregionale delle aziende ospedaliere”. La legge reintroduce la definizione di un sistema di remunerazione dei soggetti erogatori, tenendo in considerazione, per quanto attiene le strutture private, la specificità di quelle non a fini di lucro, prevedendo, accanto al pagamento a tariffa delle prestazioni, livelli di spesa per piani di attività e, infine, la “definizione di un modello di accreditamento rispondente agli indirizzi del piano sanitario nazionale,... e che le Regioni attuano in coerenza con le proprie scelte di programmazione…”.
Il decreto legislativo n. 229 del 19 giugno 1999, che è seguito alla legge delega, recante “Norme per la razionalizzazione del Sistema sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419”, introduce alcune modifiche nell’assetto delle aziende rispetto alla precedente riforma del 1992. Innanzitutto, il decreto stabilisce che le unità sanitarie locali hanno “personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale; la loro organizzazione e funzionamento sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato, nel rispetto dei princìpi e criteri stabiliti con la legge regionale…. L’atto aziendale individua le strutture operative dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, soggette a rendicontazione analitica. Le aziende … informano la propria attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità e sono tenute al rispetto del vincolo di bilancio, attraverso l’equilibrio di costi e ricavi, compresi i trasferimenti di risorse finanziarie. Agiscono mediante atti di diritto privato. I contratti di fornitura di beni e servizi, il cui valore sia inferiore a quello stabilito dalla normativa comunitaria in materia, sono appaltati o contrattati direttamente secondo le norme di diritto privato indicate nell’atto aziendale…”.
Per le aziende ospedaliere sono profondamente modificati, in senso restrittivo, i requisiti per il loro riconoscimento, in quanto debbono essere contemporaneamente presenti i seguenti:

a) organizzazione dipartimentale di tutte le unità operative presenti nella struttura, disciplinata dall’atto aziendale di diritto privato;
b) disponibilità di un sistema di contabilità economico patrimoniale e di una contabilità per centri di costo;
c) presenza di almeno tre unità operative di alta specialità;
d) presenza del dipartimento di emergenza di secondo livello;
e) ruolo di ospedale di riferimento in programmi integrati di assistenza su base regionale e interregionale, così come previsto dal Piano sanitario regionale ed in considerazione della mobilità infraregionale e della frequenza dei trasferimenti da presidi ospedalieri regionali di minore complessità;
f) attività di ricovero in degenza ordinaria, nel corso dell’ultimo triennio, per pazienti residenti in Regioni diverse, superiore di almeno il dieci per cento rispetto al valore medio regionale, salvo che per le aziende ubicate in Sicilia e in Sardegna;
g) indice di complessità della casistica dei pazienti trattati in ricovero ordinario, nel corso dell’ultimo triennio, superiore ad almeno il venti per cento del valore medio regionale;
h) disponibilità di un proprio patrimonio immobiliare adeguato e sufficiente per consentire lo svolgimento delle attività istituzionali di tutela della salute e di erogazione di prestazioni sanitarie.
E’ previsto un regime transitorio di tre anni per l’adeguamento dei presidi attualmente costituiti come aziende che non soddisfano i requisiti.

Secondo il decreto legislativo n. 229 del 1999, gli organi aziendali sono il direttore generale ed il collegio sindacale. Il direttore generale è coadiuvato da un direttore amministrativo e dal direttore sanitario, che partecipano, unitamente al direttore generale, alla direzione dell’azienda, assumendo diretta responsabilità delle funzioni attribuite alla loro competenza e concorrono alla formulazione di proposte e pareri.

Il collegio sindacale, composto da cinque membri, due di nomina regionale, uno nominato dal Ministro del tesoro, uno dal Ministro della sanità, ed uno dalla Conferenza dei sindaci, svolge una funzione di verifica e controllo da un punto di vista economico-finanziario e riferisce almeno trimestralmente alla Regione sui riscontri eseguiti, trasmettendo semestralmente una relazione alla Conferenza dei sindaci o al sindaco del comune capoluogo di provincia una propria relazione sull’andamento dell’azienda sanitaria. C’è poi il collegio di direzione per il governo delle attività cliniche (concetto mutuato dalla riforma del NHS introdotto dal Governo laburista nel 1997 sotto il termine di “clinical governance”), della programmazione e valutazione delle attività tecnico-sanitarie, della formazione e della libera professione, la cui attività e composizione sono disciplinate dalla Regione, prevedendo la partecipazione del direttore sanitario e amministrativo, “di” direttori di distretto, “di” dipartimento e “di” presidio. Rimane il consiglio dei sanitari, così come previsto dal decreto legislativo 502 del 1992, con funzioni di consulenza tecnico-sanitaria, presieduto dal direttore sanitario, il quale esprime parere obbligatorio al direttore generale per le attività tecnico-sanitarie, per gli investimenti ad esse attinenti e per le attività assistenziali, anche se la legge delega 419 del 1998 di fatto prevedeva un potenziamento di questo organismo, cosa che non è avvenuta.

Altri aspetti di rilevanza per il completamento del processo di aziendalizzazione presenti nel decreto legislativo 229 del 1999 riguardano il processo di accreditamento, preceduto dall’autorizzazione e seguito dagli accordi contrattuali e la remunerazione delle prestazioni.

Per quanto riguarda l’autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie, essa è richiesta anche per gli studi odontoiatrici e per le prestazioni più complesse di chirurgia ambulatoriale, mentre le nuove realizzazioni sono autorizzate dal Comune previo parere della Regione, sulla base di rilevazioni circa le carenze degli ambiti territoriali. L’articolo 8-ter, al comma 4, prevede che l’esercizio delle attività sanitarie e socio-sanitarie da parte di strutture pubbliche e private presuppone il possesso di requisiti minimi, strutturali, tecnologici ed organizzativi, da stabilire con atto di indirizzo e coordinamento ai sensi dell’articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n.59, sulla base di principi e criteri direttivi, espressi all’articolo 8 del decreto legislativo 502 del 1992. L’articolo in questione si riferisce ad un Atto di indirizzo da emanarsi entro il 31 dicembre 1993, e cioè, molto probabilmente al DPR del 14 gennaio 1997 recante “Approvazione dell’atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private”, di cui lo stesso articolo 8-ter del 229 del 1999 prevede alcune modifiche per individuare i requisiti degli studi odontoiatrici e di altre professioni sanitarie. Si ricorda che il DPR del 14 gennaio 1997, al comma 4 dell’articolo 2, prevedeva la individuazione da parte delle Regioni degli standards di qualità che costituivano requisiti ulteriori per l’accreditamento delle strutture pubbliche e private in possesso dei requisiti autorizzativi, comma successivamente soppresso con sentenza n. 2897 del TAR del Lazio nel 1998.
La sentenza, sollecitata dal ricorso di alcune strutture private accreditate per l’annullamento del DPR del 14 gennaio 1997, stabilì quanto segue: “Il decreto impugnato (DPR 14.01.1997) quindi, mentre ha legittamente disposto in ordine alla definizione dei requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie, in attuazione dell’articolo 8 comma 4 del decreto legislativo n. 502 del 1992, ha invece travalicato dalle attribuzioni che lo stesso decreto legislativo conferiva all’atto di indirizzo e coordinamento, nelle disposizioni, contenute nel medesimo DPR, che introducono, dettando i relativi criteri generali, requisiti per l’accreditamento di strutture erogatrici di prestazioni delle attività sanitarie”.
L'accreditamento istituzionale - in base all'articolo 8-quater del decreto legislativo n. 229 del 1999, che in parte riprende il citato articolo 2 del DPR del 14 gennaio 1997 - viene rilasciato dalla Regione alle strutture autorizzate pubbliche e private ed ai professionisti che ne facciano richiesta, a condizione che siano soddisfatti requisiti ulteriori di qualità da individuare sulla base di criteri espressi in un atto di indirizzo e coordinamento da emanarsi entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di riforma, in rapporto ad una serie di principi, tra i quali:

a) garantire l’eguaglianza fra tutte le strutture relativamente ai requisiti ulteriori richiesti per il rilascio dell’accreditamento e per la sua verifica periodica;
b) garantire il rispetto delle condizioni di incompatibilità previste dalla vigente normativa nel rapporto di lavoro con il personale comunque impegnato in tutte le strutture;
c) assicurare che tutte le strutture accreditate garantiscano dotazioni strumentali e tecnologiche appropriate per quantità, qualità e funzionalità in relazione alla tipologia delle prestazioni erogabili ed alle necessità assistenziali degli utilizzatori dei servizi;
d) garantire che tutte le strutture accreditate assicurino adeguate condizioni di organizzazione interna, con specifico riferimento alla dotazione quantitativa e alla qualificazione professionale del personale effettivamente impiegato;
e) prevedere la partecipazione della struttura a programmi di accreditamento professionale tra pari;
f) prevedere la partecipazione degli operatori a programmi di valutazione sistematica e continuativa dell’appropriatezza delle prestazioni erogate e della loro qualità, interni alla struttura e interaziendali;
g) prevedere l’accettazione del sistema di controlli esterni sulla appropriatezza e sulla qualità delle prestazioni erogate, definito dalla Regione ai sensi dell’articolo 8-octies;
h) prevedere forme di partecipazione dei cittadini e degli utilizzatori dei servizi alla verifica dell’attività svolta e alla formulazione di proposte rispetto all’accessibilità dei servizi offerti, nonché l’adozione e l’utilizzazione sistematica della Carta dei servizi per la comunicazione con i cittadini, inclusa la diffusione degli esiti dei programmi di valutazione di cui alle lettere e) ed f);
i) disciplinare l’esternalizzazione dei servizi sanitari direttamente connessi all’assistenza al paziente, prevedendola esclusivamente verso soggetti accreditati in applicazione dei medesimi criteri o di criteri comunque equivalenti a quelli adottati per i servizi interni alla struttura, secondo quanto previsto dal medesimo atto di indirizzo e coordinamento;
l) indicare i requisiti specifici per l’accreditamento di funzioni di particolare rilevanza, in relazione alla complessità organizzativa e funzionale della struttura, alla competenza e alla esperienza del personale richieste, alle dotazioni tecnologiche necessarie o in relazione all’attuazione degli obiettivi prioritari definiti dalla programmazione nazionale;
m) definire criteri per la selezione degli indicatori relativi all’attività svolta ed ai suoi risultati finali dalle strutture e dalle funzioni accreditate, in base alle evidenze scientifiche disponibili;
n) definire i termini per l’adozione dei provvedimenti attuativi regionali e per l’adeguamento organizzativo delle strutture già autorizzate;
o) indicare i requisiti per l’accreditamento istituzionale dei professionisti, anche in relazione alla specifica esperienza professionale maturata e ai crediti formativi acquisiti nell’ambito del programma di formazione continua.
A tutt’oggi, l’atto di indirizzo e coordinamento in questione non è stato emanato.

Cambia sostanzialmente quanto era stato introdotto con la riforma del 1992, nel senso che il decreto n. 229 del 1999 stabilisce le seguenti distinzioni:
1. la realizzazione di strutture sanitarie e l’esercizio di attività sanitarie, subordinate all’autorizzazione;
2. l’esercizio di attività sanitarie per conto del SSN, subordinato all’accreditamento istituzionale;
3. l’esercizio di attività a carico del SSN, subordinato agli accordi contrattuali.
Gli accordi contrattuali, previsti all’articolo 8-quinquies del decreto n. 229 del 1999, già introdotti nelle precedenti normative a partire dal 1995, sono stipulati sulla base di ambiti di applicazione che le Regioni debbono definire su alcuni aspetti legati alla individuazione delle responsabilità regionali e delle aziende unità sanitarie locali, all’indicazione delle funzioni o delle attività da potenziare e depotenziare, alle altre specialità e alla rete dei servizi di emergenza.
Un ulteriore aspetto del decreto n. 229 del 1999 legato al processo di aziendalizzazione, riguarda la remunerazione delle prestazioni di ricovero e ambulatoriali, che sono finanziate secondo un ammontare globale predefinito indicato negli accordi contrattuali, prevedendo, per alcune di esse, la remunerazione in base al costo standard di produzione, e per le altre tariffe predefinite.
Nel primo gruppo rientrano:
· i programmi a forte integrazione fra assistenza ospedaliera e territoriale, sanitaria e sociale, con particolare riferimento alla assistenza per patologie croniche di lunga durata o recidivanti;
· i programmi di assistenza ad elevato grado di personalizzazione della prestazione;
· attività svolte in programmi di prevenzione;
· i programmi di assistenza a malattie rare;
· attività di allarme sanitario ed emergenza;
· i programmi sperimentali di assistenza;
· i programmi di trapianto d’organo, di midollo e di tessuto.
I criteri generali per la definizione di tali funzioni e della loro remunerazione massima sono stabiliti con decreto del Ministro della sanità, sentita l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sulla base di standard organizzativi e di costi unitari predefiniti dei fattori produttivi, tenendo conto del volume di attività svolta. Nel secondo gruppo sono ricompresi gli episodi di assistenza ospedaliera per acuti in degenza ordinaria e in day hospital, le prestazioni di specialistica ambulatoriale.
Successivamente al decreto n. 229 del 1999 e’ stato emanato il decreto legislativo 7 giugno 2000, n. 168, recante “Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, in materia di principi e criteri per l’organizzazione delle aziende sanitarie locali e di limiti dell’esercizio sostitutivo statale, nonché di formazione delle graduatorie per la disciplina dei rapporti di medicina generale”, nel quale, all’articolo 1 si chiarisce, per quanto riguarda l’organizzazione delle aziende sanitarie che “la loro organizzazione e funzionamento sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato, nel rispetto dei principi e criteri previsti da disposizioni regionali”. Per quanto riguarda, poi, il ruolo dello Stato nei casi di accertate e gravi inadempienze delle Regioni nella realizzazione degli obiettivi nazionali o interregionali fissati, il decreto prevede una diversa procedura di intervento caratterizzata da adeguata informativa del Ministro della sanità alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome, sentita l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, al fine di dare corso alla nomina di commissari ad acta, su proposta del Ministro al Consiglio dei ministri.
Deve, infine, essere considerato il decreto legislativo 28 luglio 2000, n. 254, recante “Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, per il potenziamento delle strutture per l’attività libero-professionale dei dirigenti sanitari”, nel quale, tra l’altro, sono previsti 1.800 miliardi per la realizzazione di nuove strutture e l’acquisizione delle nuove attrezzature per l’attività libero-professionale dei medici, sulla base di progetti regionali da presentare entro il 31 dicembre 2000.
Il decreto stabilisce, inoltre, la costituzione, presso il Ministero della sanità, di un Osservatorio per l’attività libero-professionale con il compito di acquisire elementi di valutazione ed elaborare, in collaborazione con le Regioni, proposte per la predisposizione della relazione da trasmettere al Parlamento con cadenza annuale su alcuni punti:
1) riduzione delle liste di attesa;
2) raccolta della normativa regionale a riguardo;
3) stato di attivazione e realizzazione degli spazi;
4) rapporto tra attività istituzionale e libero-professionale;
5) ammontare dei proventi;
6) eventuali correttivi per eliminare le disfunzioni.
Il decreto prevede anche l’utilizzo degli studi privati dei medici fino al 31 luglio 2003.

1.2 Lo stato del processo di aziendalizzazione

Al fine di valutare in quale misura i processi di innovazione avviati con il decreto legislativo n. 502 del 1992 si fossero tradotti in azioni concrete nelle singole aziende sanitarie, nel 1998, l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, in collaborazione con il CeRGAS dell’Università Bocconi, avviò una indagine conoscitiva sullo stato di sviluppo del sistema di programmazione budgetaria nelle aziende sanitarie nel 1997 Mastrobuono I., Casati G., Scomparin L., Guzzanti E., “Il processo di aziendalizzazione: indagine sullo stato di sviluppo del sistema di programmazione budgetaria nelle Aziende sanitarie nel 1997", Ricerca sui servizi sanitari, Vol. II, I trimestre, n. 1: pag.47-74, 1998.. Nello studio sono stati trattati i temi dello stato di sviluppo degli strumenti della programmazione e del controllo di gestione, degli indicatori del processo di aziendalizzazione, allo scopo di diffondere schemi e modelli di riferimento a partire da quelle realtà che fossero risultate più avanzate. Occorre ricordare che la programmazione aziendale è uno degli strumenti operativi di maggiore rilevanza in quanto consente di stabilire gli obiettivi da perseguire, nell’ambito dei quali è limitata o condizionata l’autonomia dei soggetti che operano nell’Azienda. Quando la programmazione aziendale viene definita con un orizzonte temporale di medio-lungo periodo (3, 5, 10 anni), viene generalmente denominata “pianificazione” o “programmazione strategica” o “programmazione pluriannuale”. Di norma, essa viene accompagnata da un ulteriore documento di programmazione aziendale, con orizzonte temporale limitato ad un solo esercizio, propedeutico allo sviluppo del processo di budget, il “documento di programmazione generale aziendale annuale”. Con tale documento viene focalizzata l’attenzione sugli obiettivi prioritari nell’esercizio di riferimento, in ragione di una più chiara definizione del quadro dei bisogni e delle risorse disponibili. Il sistema di budget è lo strumento mediante il quale l’Azienda trasforma in termini monetari i propri piani e programmi, da perseguire nel breve periodo, e rappresenta l’elemento di base per la predisposizione del bilancio preventivo. In realtà esso ha scopi ben più ampi rispetto alla mera trasformazione in termini monetari di piani e programmi. Il budget, infatti, è il sistema operativo principe della programmazione e del controllo di gestione. In tale ottica esso può
essere definito come l’insieme delle regole aziendali attraverso le quali vengono articolati gli obiettivi di breve periodo, con riferimento alla struttura organizzativa e nel rispetto delle responsabilità ed autonomie interne, al fine del loro perseguimento concreto.
All’indagine citata parteciparono, compilando un questionario, ed inviando documentazione di accompagnamento, 153 aziende (112 ASL e 41 AO) pari al 49,2% delle complessive 311 aziende sanitarie all'epoca esistenti (226 ASL e 85 AO). Le aziende che dichiararono di avere avviato e concluso il processo di budget, relativo all’esercizio 1997, erano 85 (60 ASL e 25 AO) sulle 153 che risposero (55,6%) e rappresentavano il 27,3% del totale delle aziende sanitarie italiane.
Dai dati rilevati emerse, inoltre, che 72 aziende su 85 con budget (84,7%) erano dotate del Servizio o Ufficio controllo di gestione, e che ciò fu realizzato nella quasi totalità delle aziende ospedaliere. Sul piano del monitoraggio circa il grado di raggiungimento dei risultati, dall’analisi dei dati e’ emerso che 11 aziende su 85 (12,9%) non avevano ancora attivato un sistema di reporting. Dal punto di vista della frequenza dello stesso, 56 aziende (65,9%) dichiararono di produrre informazioni almeno trimestralmente.
In conclusione, il quadro generale che è derivato da questa indagine conoscitiva mostrava una situazione variegata, con alcune punte di eccellenza rappresentate da poche aziende all’avanguardia in alcune Regioni, mentre nella maggior parte delle altre, le aziende sanitarie erano alle prese con l’introduzione di nuovi criteri di conduzione aziendale, con molte difficoltà interpretative ed attuative.
Il CeRGAS dell’Università Bocconi di Milano ha continuato nell’opera di monitoraggio delle diverse esperienze regionali, attraverso indagini accurate sui diversi aspetti dell’aziendalizzazione, comprese, in particolare, le modalità di finanziamento delle aziende da parte delle Regioni, giungendo ad alcune conclusioni importanti. Il processo di aziendalizzazione deve fondarsi su una “condizione di coerenza tra spazio e ruolo di indirizzo delle Regioni e, a monte, del Governo centrale, e spazio e ruolo di autonomia delle aziende sanitarie nel governo delle leve gestionali”, nella consapevolezza che ciò corrisponde ad una particolare attenzione nei confronti del personale che partecipa all’ottenimento degli obiettivi ed alle scelte organizzative, che risultano molto eterogenee tra le Regioni e non consentono quella omogeneizzazione dei risultati attesa a livello nazionale. Elio Borgonovi, “Analisi delle varianti regionali del SSN”, in atti del Convegno Farmafactoring “Gestire le contraddizioni del nuovo modello di Welfare:il caso Sanità”.
A queste indagini si debbono aggiungere altre tre inchieste condotte nel 1999 da questa Commissione parlamentare, che consentono di approfondire ulteriormente il problema dell’aziendalizzazione. La prima inchiesta, relativa allo “Stato di attuazione dei servizi di emergenza”, Si veda la relazione conclusiva, relatore il senatore Dino De Anna, approvata il 17.06.1999. ha permesso di rilevare che il sistema di emergenza-urgenza deve ancora essere completato in molte Regioni italiane. Nonostante esso rappresenti lo “scheletro” sul quale le Regioni avrebbero dovuto ristrutturare la rete ospedaliera ai sensi della legge n. 382 del 1996, i dipartimenti di emergenza-urgenza ed accettazione di primo e secondo livello (DEA) sono stati attivati in modo parziale, le centrali operative non sono ovunque regolarmente funzionanti, l’Atto di intesa dell’aprile 1996 sulle linee guida sull’emergenza-urgenza non è stato sempre recepito a livello programmatorio. Si tratta di una rilevazione importante, soprattutto se messa in relazione al possesso dei requisiti da parte delle aziende ospedaliere, così come previsti dal decreto legislativo n. 229 del 1999, che, per essere definite tali, debbono essere dotate di dipartimenti di emergenza-urgenza di secondo livello, ovviamente inseriti in un’ottica più generale di organizzazione dei servizi di emergenza a livello regionale.
Da una seconda indagine, relativa alla “Responsabilizzazione gestionale nelle aziende sanitarie locali e nelle aziende ospedaliere” Si veda la relazione conclusiva, relatore il senatore Andrea Papini, approvata il 23.09.1999., è emerso che solo alcune Regioni
(Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Piemonte, Marche, Lazio, Molise) hanno individuato degli obiettivi per i direttori generali, spesso limitati a quelli di bilancio, a dimostrazione di quanto già rilevato nell’indagine dell’ASSR del 1998, dalla quale era emersa la tendenza dei direttori generali ad operare secondo obiettivi propri e non formulati a livello programmatorio regionale. Anche questo è un aspetto di grande rilevanza che fa comprendere quanto ancora debba essere compiuto per favorire il processo di aziendalizzazione. Ed infatti, il decreto legislativo 229 del 1999 ha ripreso questo aspetto stabilendo, all’articolo 3-bis, comma 5, che “le Regioni determinano preventivamente, in via generale, i criteri di valutazione dell’attività dei direttori generali, avendo riguardo al raggiungimento degli obiettivi definiti nel quadro della programmazione regionale, con particolare riferimento all’efficienza, efficacia e funzionalità dei servizi. All’atto della nomina di ciascun direttore generale, esse definiscono ed assegnano, aggiornandoli periodicamente, gli obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi, con riferimento alle relative risorse, ferma restando la piena autonomia gestionale dei direttori stessi”.
La terza inchiesta condotta dalla Commissione, relativa allo “Stato di attuazione della Carta dei servizi e degli strumenti di tutela e di partecipazione nelle strutture sanitarie pubbliche e private” Si veda la relazione conclusiva, relatore il senatore Francesco Bortolotto, approvata il 16.03.2000. ha dimostrato che il processo di approvazione della Carta dei servizi - pur registrando alcune sofferenze legate ad una scarsa attivazione delle Conferenze dei servizi, delle Commissioni miste conciliative, ed alla mancata applicazione dei bonus ai pazienti per le prestazioni non rese, per citare alcuni aspetti dell’indagine - viene positivamente influenzato dall’ avvio dei processi di aziendalizzazione, motori per un migliore rapporto tra i cittadini e le strutture.
1.

METODOLOGIA

Nella deliberazione del Senato della Repubblica del 3 aprile 1997, istituiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema sanitario, all’articolo 1, sono riportati i compiti della Commissione medesima, relativi alla acquisizione di “tutti gli elementi conoscitivi relativi alle condizioni sanitarie, organizzative ed economiche, nonché ai modelli produttivi delle strutture sanitarie pubbliche e private di ricovero o di degenza”, per verificare l’attuazione della normativa vigente e fornire al Parlamento valutazioni circa l’interpretazione e l’applicazione del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 ed eventuali proposte di modifica al provvedimento stesso. Sempre nella deliberazione sono riportati, all’articolo 2, i temi dei quali la Commissione deve tenere conto, tra i quali le liste di attesa, l’individuazione e la distribuzione sul territorio delle strutture per l’intramoenia, la diffusione delle metodiche di verifiche e revisione della qualità, il sistema delle convenzioni e degli accreditamenti, etc. Si tratta di argomenti che, unitamente allo scopo principale, sono ricompresi in larga misura nel concetto di aziendalizzazione, e pertanto la Commissione ha istituito uno specifico gruppo di lavoro, coordinato dalla senatrice Carla Castellani, con il compito di valutare il grado di aziendalizzazione raggiunto dalle diverse strutture del SSN anche attraverso l'effettuazione di sopralluoghi in alcune aziende sanitarie del Paese.

Gli elementi conoscitivi di base della presente inchiesta sono stati raccolti mediante l’invio di un questionario (vedi allegato 1) a tutte le aziende sanitarie pubbliche italiane, al fine di rilevare il quadro del processo di aziendalizzazione con riferimento all’anno 1999.

Il tasso di ritorno dei questionari è stato estremamente elevato. Come si ricava dai dati riportati nella tabella 1, infatti, il 93,5% delle aziende sanitarie (292 in totale) ha compilato il questionario. Nello specifico, il numero di aziende USL che ha partecipato alla presente analisi è 185 sulle 196 esistenti determinando, così, un tasso di risposta pari al 94,4%. Le aziende ospedaliere, invece, sono state 88 sulle 96 esistenti con un tasso di risposta del 91,7% Il dato di 196 ASL e 96 AO si riferisce alle aziende sanitarie di cui all'elenco predisposto dalla Commissione di inchiesta e non alle aziende risultanti dai flussi del Ministero della sanità, pari a 197 ASL e 97 AO. Le aziende non raggiunte dal questionario sono la ASL Vallecamonica in Lombardia scorporata da quella di Brescia nel 1998, e l'azienda ospedaliera Cotugno di Napoli, scorporata dalla Monaldi nello stesso anno. .

TABELLA 1: TASSO DI RITORNO DEI QUESTIONARI: SINTESI NAZIONALE
A
NR. AZIENDE
UNIVERSO
B
NR.
QUESTIONARI
%
B/A
AZIENDE USL
196
185
94,4%
AZIENDE OSPEDALIERE
96
88
91,7%
TOTALE AZIENDE
292
273
93,5%

L’elevata significatività dell’analisi condotta non è legata al solo dato nazionale. Disaggregando quest’ultimo per macroaree geografiche (Italia del nord, centrale e del sud e isole) è possibile osservare che il tasso di risposta è sempre stato superiore all’84% (vedi tabella 2).

TABELLA 2: TASSO DI RITORNO DEI QUESTIONARI: ARTICOLAZIONE PER MACROAREA GEOGRAFICA
ITALIA: NORD
A
NR. AZIENDE
UNIVERSO
B
NR.
QUESTIONARI
%
B/A
REGIONI:
VALLE D’AOSTA
PIEMONTE
LIGURIA
LOMBARDIA
VENETO
TRENTINO-A.A.
FRIULI-V.G.
EMILIA-ROMAGNA
AZIENDE USL
87
85
97,7%
AZIENDE OSPEDALIERE
47
45
95,7%
TOTALE AZIENDE
134
130
97,0%
ITALIA: CENTRO
A
NR. AZIENDE
UNIVERSO
B
NR.
QUESTIONARI
%
B/A
REGIONI:
TOSCANA
UMBRIA
MARCHE
LAZIO
AZIENDE USL
41
40
97,6%
AZIENDE OSPEDALIERE
13
11
84,6%
TOTALE AZIENDE
54
51
94,4%
ITALIA: SUD E ISOLE
A
NR. AZIENDE
UNIVERSO
B
NR.
QUESTIONARI
%
B/A
REGIONI:
CAMPANIA
ABRUZZO
MOLISE
PUGLIA
BASILICATA
CALABRIA
SICILIA
SARDEGNA
AZIENDE USL
68
60
88,2%
AZIENDE OSPEDALIERE
36
32
88,9%
TOTALE AZIENDE
104
92
88,5%
Da ultimo, appare significativo segnalare che, le Regioni di seguito elencate, hanno registrato un tasso di risposta complessivo del 100%:

· Valle d’Aosta;
· Trentino-Alto Adige;
· Veneto;
· Liguria;
· Emilia-Romagna;
· Toscana;
· Umbria;
· Abruzzo;
· Basilicata;
· Sardegna.

Un dato emerso dall’inchiesta e che si vuole trattare in questo paragrafo riguarda la data di costituzione delle aziende sanitarie. La tabella sottostante illustra la situazione italiana.
TABELLA ANNO COSTITUZIONE AZIENDE SANITARIE
A. USL
% SU RISP.
A.O.
% SU RISP.
TOTALE
% SU RISP.
UNIVERSO
196
96
292
QUESTIONARI
185
94,4%
88
91,7%
273
93,5%
RISPOSTE
181
97,8%
84
95,5%
265
97,1%
1992
1
0,6%
0
0,0%
1
0,4%
1993
5
2,8%
0
0,0%
5
1,9%
1994
29
16,0%
6
7,1%
35
13,2%
1995
130
71,8%
55
65,5%
185
69,8%
1996
2
1,1%
4
4,8%
6
2,3%
1997
1
0,6%
1
1,2%
2
0,8%
1998
13
7,2%
17
20,2%
30
11,3%
1999
0
0,0%
1
1,2%
1
0,4%
TOTALE
181
100,0%
84
100,0%
265
100,0%
NB: LA VOCE QUESTIONARI SI RIFERISCE AI QUESTIONARI RESTITUITI.
LA PERCENTUALE RELATIVA ALLA RIGA QUESTIONARI E' STATA CALCOLATA SULL'UNIVERSO.
LA PERCENTUALE RELATIVA ALLA RIGA RISPOSTE E' STATA CALCOLATA SUI QUESTIONARI.
Come si può notare, la maggior parte delle aziende sanitarie che hanno risposto a questa parte del questionario sono state costituite nel 1995 (71,8%), percentuale che sale all’87,8% se si considera anche il 1994. Un picco del 7,2% si registra di nuovo nel 1998 e si riferisce prevalentemente alle aziende della regione Lombardia.

Appare inoltre opportuno precisare che nel questionario, inviato alle singole aziende sanitarie, risultava la richiesta dei seguenti documenti:

v modalitá di gestione delle liste di attesa;
v stato di applicazione del decreto legislativo n. 626 del 1994;
v stato del personale distinto per categoria professionale, stato giuridico, qualifica e funzioni.
In merito a tali aspetti, le risposte sono risultate molto disomogenee, in particolare per quanto riguarda il primo punto, che era stato, peró, giá trattato in una inchiesta della Commissione dal titolo: “Le liste di attesa: considerazioni e proposte”, relatore il senatore Fulvio Camerini, approvata in Commissione il 15 luglio 1999, ed alla quale si rimanda.

Per quanto riguarda gli altri due aspetti, è da rilevare che molti documenti, di tipo descrittivo, non hanno consentito nel tempo a disposizione della Commissione di inchiesta di elaborare una sintesi esaustiva della situazione italiana. Pertanto, tali due temi non saranno trattati nel proseguio della presente relazione.

Al fine di acquisire una conoscenza più diretta e concreta delle problematiche relative al processo di aziendalizzazione, inoltre, una delegazione della Commissione ha effettuato una serie di sopralluoghi presso aziende sanitarie locali e aziende ospedaliere prescelte in base al criterio sia delle dimensioni che della collocazione geografica, svolgendo audizioni dei vertici sanitari ed amministrativi nonché delle rappresentanze sindacali. Le aziende visitate sono state le seguenti:

Aziende ospedaliere: San Martino di Genova (della delegazione hanno fatto parte i senatori Tomassini, Carla Castellani e Daniele Galdi);

Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi di Varese (senatori Tomassni, Carla Castellani, Daniele Galdi e Ronconi);

Lancisi di Ancona (senatori Carla Castellani, Bortolotto, Mignone e Ronconi);

Sant'Antonio Abate di Erice (TP) (senatori Pianetta, Carla Castellani, Di Orio, Baldassare Lauria).

Aziende sanitarie locali: Foligno (PG) (senatori Carla Castellani, Bortolotto, Mignone e Ronconi);

Teramo (senatori Tomassini e Carla Castellani);

Lagonegro (PZ) (senatori Carla Castellani, Monteleone e Mignone)

N. 6 di Palermo (senatori Pianetta, Carla Castellani, Di Orio e Baldassare Lauria).

Al termine di ciascun sopralluogo, la Commissione ha approvato una specifica relazione in cui si dà puntuale conto della situazione riscontrata nelle singole realtà ispezionate. Si vedano le relazioni rispettivamente approvate in data 17.12.1999, 20.01.2000, 8.03.2000, 14.12.2000, 10.02.2000, 1.06.2000, 2.03.2000, 14.12.2000.

2.

I RISULTATI DELL’INDAGINE

3.1 La programmazione

Il primo aspetto oggetto d’analisi, nell’ambito della presente inchiesta, riguarda il grado di diffusione dei tradizionali strumenti della programmazione e, nel caso specifico del sistema di budget, anche il loro grado di consolidamento nelle aziende sanitarie pubbliche.

I risultati dell’elaborazione dei questionari pongono subito in evidenza un dato di estremo rilievo: a fronte delle 271 aziende sanitarie che hanno risposto al quesito sull’esistenza del budget nel 1999, 208 hanno risposto affermativamente. Ciò significa che, nel 1999, il 71,2% delle aziende sanitarie pubbliche italiane era certamente dotato di tale strumento di programmazione (tale percentuale è forse in qualche misura superiore, giacché si può ipotizzare che almeno qualcuna delle aziende che non hanno risposto al questionario abbia adottato lo strumento in questione).

Nello specifico, il dato relativo alle aziende dotate di sistema di budget, è articolato, rispetto alla tipologia d’azienda ed a macroaree geografiche, come esplicitato nelle tabelle 3 e 4.

TABELLA 3: DIFFUSIONE DEL SISTEMA DI BUDGET A LIVELLO NAZIONALE NEL 1999 ED ARTICOLAZIONE DEL DATO PER TIPOLOGIA D’AZIENDA SANITARIA
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
C
NR.
RISPOSTE
%
C/B
D
SI
BUDGET
%
D/C
%
D/A
AZ. USL
196
185
94,4%
184
99,5%
139
75,5%
70,9%
AZ. OSPEDALIERE
96
88
91,7%
87
98,9%
69
79,3%
71,9%
TOTALE AZIENDE
292
273
93,5%
271
99,3%
208
76,8%
71,2%

TABELLA 4: DIFFUSIONE DEL SISTEMA DI BUDGET PER MACROAREA GEOGRAFICA ED ARTICOLAZIONE DEL DATO PER TIPOLOGIA D’AZIENDA SANITARIA
ITALIA: NORD
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
C
NR.
RISPOSTE
%
C/B
D
SI
BUDGET
%
D/C
%
D/A
AZ. USL
87
85
97,7%
85
100,0%
74
87,1%
85,1%
AZ. OSPEDALIERE
47
45
95,7%
45
100,0%
39
86,7%
83,0%
TOTALE AZIENDE
134
130
97,0%
130
100,0%
113
86,9%
84,3%
ITALIA: CENTRO
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
C
NR.
RISPOSTE
%
C/B
D
SI
BUDGET
%
D/C
%
D/A
AZ. USL
41
40
97,6%
40
100,0%
33
82,5%
80,5%
AZ. OSPEDALIERE
13
11
84,6%
11
100,0%
9
81,8%
69,2%
TOTALE AZIENDE
54
51
94,4%
51
100,0%
42
82,4%
77,8%
ITALIA:SUD E ISOLE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
C
NR.
RISPOSTE
%
C/B
D
SI
BUDGET
%
D/C
%
D/A
AZ. USL
68
60
88,2%
59
98,3%
32
54,2%
47,1%
AZ. OSPEDALIERE
36
32
88,9%
31
96,9%
21
67,7%
58,3%
TOTALE AZIENDE
104
92
88,5%
90
97,8%
53
58,9%
51,0%

L’analisi del dato per tipologia d’azienda (v. tab. 3) evidenzia una maggiore propensione all’adozione del sistema di budget da parte delle aziende ospedaliere rispetto a quelle USL. Nonostante non si registrino sensibili differenze nel rapporto tra risposte affermative e il totale delle aziende esistenti (70,9% per le aziende USL e 71,9% per quelle ospedaliere), il più significativo rapporto tra risposte affermative e risposte ottenute evidenzia una differenza di alcuni punti percentuali a favore delle aziende ospedaliere (79,3% contro il 75,5% delle aziende USL). Differenze più marcate, invece, emergono dall’analisi per macroaree geografiche (v. tab. 4):

· la propensione complessiva per macroarea all’adozione del sistema di budget è sostanzialmente omogenea nel confronto tra nord e centro Italia, seppure con una lieve prevalenza della prima sulla seconda (l’86,9% del nord contro l’82,4% del centro di risposte affermative sulle risposte ottenute), mentre il sud Italia e le isole appaiono ancora in ritardo (58,9%);
· la diffusione del sistema di budget, nel dettaglio per macroaree, risulta essere diversa in ragione della tipologia d’azienda considerata. Mentre nel nord e nel centro Italia si registra una lieve prevalenza delle aziende USL, rispetto a quelle ospedaliere, nella propensione ad adottare il sistema di budget, il Sud pone in evidenza differenze marcate e una decisa maggiore propensione delle aziende ospedaliere.
L’analisi del dato, al dettaglio regionale, pone in evidenza che la diffusione del sistema di budget nel 100% delle aziende sanitarie di competenza può considerarsi conseguita nelle seguenti realtà:

- Valle d’Aosta;
- Provincia autonoma di Trento;
- Veneto;
- Friuli-Venezia Giulia;
- Emilia-Romagna;
- Marche;
- Sardegna.
Un secondo aspetto oggetto di analisi, sempre relativamente al sistema di budget, riguarda il grado di consolidamento di tale strumento di programmazione, che è stato determinato mediante l’analisi delle risposte fornite in merito all’edizione dello stesso nel 1999.

A tale quesito hanno risposto 203 aziende tra quelle che hanno affermato di disporre del sistema di budget nel 1999 (determinando un tasso di risposte pari al 97,6% sulle aziende dotate di budget). È ragionevole supporre che le cinque aziende che non hanno risposto al quesito si trovino in una fase di sviluppo iniziale del sistema di budget. Tralasciando, in ogni caso, il dato relativo alle cinque aziende che non hanno risposto, l’analisi dei dati fornisce un quadro di riferimento significativo. Il dato di sintesi a livello nazionale, presentato nella tabella 5, offre i seguenti spunti di riflessione:

· nel 1997, corrispondente alla colonna relativa alla 3a edizione, si registra un incremento consistente nel numero di aziende che adottano il sistema di programmazione budgetario. Si passa, infatti, dalle preesistenti 24 aziende a 76. Tale sviluppo è riconducibile all’introduzione del nuovo contratto per la dirigenza, la cui applicazione è avvenuta dal 1° luglio 1997, e all'esaurimento del triennio sperimentale di applicazione del decreto legislativo 502 del 1992. La diffusione del sistema di budget, fino a quell’epoca, era sostanzialmente equilibrato nel confronto tra aziende USL ed ospedaliere. In termini relativi, infatti, le aziende USL dotate di budget nel 1997 erano il 25,5% del totale mentre quelle ospedaliere il 27,1%;
· negli esercizi 1998 e 1999 il numero di aziende sanitarie dotate di sistema di budget è ulteriormente cresciuto in modo significativo, peraltro senza che ciò sia riconducibile a nuovi provvedimenti legislativi in materia. Tale incremento è avvenuto in modo disomogeneo. Nel 1998, si registra una maggiore propensione da parte delle aziende USL che, in tal modo, si sono portate al 45,4% del totale delle aziende, mentre le aziende ospedaliere, pur registrando anch’esse un incremento significativo, si sono portate al 39,6% del totale. Complessivamente, nel 1998, circa il 43,5% delle aziende sanitarie era dotato di sistema di budget. Nel 1999, invece, si è osservato un incremento di aziende dotate di budget soprattutto con riferimento a quelle ospedaliere. Al termine del 1999, in ogni caso, esiste una sostanziale omogeneità nella diffusione del sistema di budget nelle due tipologie di aziende considerate;
· nel 1999, nonostante gli sforzi compiuti, l’età media del sistema di budget nelle aziende sanitarie italiane è di 2,19 anni. Il dato non si differenzia in modo significativo tra le due tipologie d’azienda sebbene, per i motivi esplicitati nei punti precedenti, il budget delle aziende USL è leggermente più consolidato, 2,2 anni, rispetto a quello delle aziende ospedaliere, 2,18 anni. Dai dati rilevati, in sintesi, emerge che il sistema di budget si trova ancora in un generale stato di sperimentazione. Non potrebbe essere altrimenti se si considera che oltre l’ottanta per cento delle aziende sanitarie ha adottato il budget solo negli ultimi tre anni.
TABELLA 5: GRADO DI CONSOLIDAMENTO DEL SISTEMA DI BUDGET: DATO NAZIONALE PER TIPOLOGIA D’AZIENDA
EDIZIONE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
D
SI
BUDGET

5°>
E
TOT
AZ.
%
E/D
ETÀ
MEDIA
AZ. USL
196
185
139
48
39
35
68113798,62,20
AZ. OSPEDALIERE
96
88
69
28
12
17
5316695,72,18
TOTALE AZIENDE
292
273
208
76
51
52
1111220397,62,19

Il dato disaggregato per macroarea geografica e per tipologia d’azienda, esplicitato nella tabella 6, conferma il trend generale registrato a livello nazionale sebbene con modificazioni, per singolo anno e per tipologia d’azienda, più marcate. Gli elementi principali sono così sintetizzabili:

· nel Nord, la diffusione del budget è avvenuta, negli anni considerati, in modo più graduale rispetto alle altre aree geografiche. In altri termini, nonostante si osservi un significativo incremento delle aziende con budget nel 1999, l’inclusione in tale gruppo di Regioni come l’Emilia-Romagna e il Veneto, le cui aziende hanno da più tempo avviato i sistemi di gestione, ha evidentemente ridotto in partenza il numero di aziende sanitarie che potevano introdurre, in tempi più recenti, tale innovazione;
· nel Centro, il fenomeno riscontrato a livello nazionale, negli esercizi 1998 e 1999, è reso ancora più evidente. Le aziende USL, infatti, sono state coinvolte nel processo di innovazione, mediamente, con un anno di anticipo rispetto a quelle ospedaliere;
· nel Sud e nelle isole la diffusione del sistema di budget è avvenuta in modo sostanzialmente omogeneo, nel confronto tra aziende USL ed ospedaliere, e mostra l’incremento più significativo nel 1999;
· l’età media del sistema di budget è più elevata nel nord, 2,42 anni, rispetto al centro, 2,29, e, soprattutto, rispetto al sud e alle isole, 1,63 anni.

TABELLA 6: GRADO DI CONSOLIDAMENTO DEL SISTEMA DI BUDGET: DATO PER MACROAREA GEOGRAFICA E PER TIPOLOGIA D’AZIENDA
EDIZIONE
ITALIA: NORD
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
D
SI
BUDGET

5°>
E
TOT
AZ.
%
E/D
ETÀ
MEDIA
AZ. USL
87
85
74
25
15
21
4717398,62,40
AZ. OSPEDALIERE
47
45
39
13
7
9
4313794,92,46
TOTALE AZIENDE
134
130
113
38
22
30
810211097,32,42
EDIZIONE
ITALIA: CENTRO
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
D
SI
BUDGET

5°>
E
TOT
AZ.
%
E/D
ETÀ
MEDIA
AZ. USL
41
40
33
5
14
12
1003297,02,28
AZ. OSPEDALIERE
13
11
9
3
1
4
1009100,02,33
TOTALE AZIENDE
54
51
42
8
15
16
2004197,62,29
EDIZIONE
ITALIA:SUD E ISOLE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
D
SI
BUDGET

5°>
E
TOT
AZ.
%
E/D
ETÀ
MEDIA
AZ. USL
68
60
32
18
10
2
11032100,01,66
AZ. OSPEDALIERE
36
32
21
12
4
4
0002095,21,60
TOTALE AZIENDE
104
92
53
30
14
6
1105298,11,63

Entrando nel dettaglio per singola Regione/Provincia automa, si ritiene opportuno segnalare le realtà dotate dei sistemi di budget maggiormente consolidati:

· Provincia autonoma di Trento: 3 anni;
· Regione Veneto: 3 anni;
· Regione Emilia-Romagna: oltre 4 anni.
L’ultimo aspetto oggetto di analisi, relativamente al tema della programmazione, riguarda il grado di diffusione degli strumenti di programmazione generale aziendale. In particolare, con il questionario inviato alle aziende sanitarie, si è cercato di evidenziare il numero delle aziende dotate della programmazione pluriennale o strategica e quello delle aziende dotate della programmazione annuale.

I risultati dell’elaborazione, riportati per il livello nazionale nella tabella 7, evidenziano i seguenti aspetti:

· al quesito relativo all’esistenza della programmazione pluriennale hanno risposto 258 aziende sanitarie (94,5% delle aziende che hanno restituito il questionario); di queste 209 hanno affermato di aver predisposto un piano aziendale pluriennale o strategico. Tale dato consente di affermare che il 71,6% delle aziende sanitarie italiane era, nel 1999, dotato di programmazione pluriennale. Dai dati, inoltre, appare una prevalenza delle aziende ospedaliere, rispetto a quelle USL, nella propensione ad adottare la programmazione pluriennale;
· al quesito relativo all’esistenza della programmazione aziendale annuale, hanno risposto 257 aziende sanitarie (94,1% delle aziende che hanno restituito il questionario); di queste 236 hanno dichiarato di aver predisposto, nel 1999, il documento di programmazione aziendale annuale. Tale dato consente di affermare che, nel 1999, l’80,8% delle aziende sanitarie italiane era dotato della programmazione aziendale annuale. Contrariamente a quanto evidenziato per la programmazione plueriennale, nel caso in esame si registra una prevalenza delle aziende USL, rispetto a quelle ospedaliere, nella propensione all’adozione della programmazione aziendale annuale.

TABELLA 7: DIFFUSIONE DEI SISTEMI DI PROGRAMMAZIONE GENERALE: DATO NAZIONALE PER TIPOLOGIA D’AZIENDA
PROGR. PLURIENNALE
PROGR. ANNUALE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
F
NR.
RISP.
%
F/BG
PROG.
SI
%
G/F
%
G/AH
NR.
RISP.
%
H/BI
PROG.
SI
%
I/H
%
I/A
AZ. USL
196
185
174
94,113979,970,917393,516193,182,1
AZ. OSPEDALIERE
96
88
84
95,57083,372,98495,57589,378,1
TOTALE AZIENDE
292
273
258
94,520981,071,625794,123691,880,8
Entrando nel merito del dato articolato per macroarea geografica, rappresentato nella tabella 8, è possibile formulare le seguenti considerazioni:

· Italia del nord: il dato rilevato conferma il trend nazionale sebbene con percentuali di diffusione superiori. La propensione delle aziende ospedaliere, rispetto a quelle USL, all'adozione degli strumenti della programmazione generale appare più marcata del dato nazionale;
· Italia centrale: il dato rilevato è sostanzialmente sovrapponibile a quello nazionale;
· Italia del sud e isole: il dato relativo alla programmazione aziendale annuale è sostanzialmente in linea con quello nazionale. Si registra, invece, un rilevante ritardo, rispetto alle altre macroaree geografiche, in merito all’adozione della programmazione pluriennale.

TABELLA 8: DIFFUSIONE DEI SISTEMI DI PROGRAMMAZIONE GENERALE: DATO PER MACROAREA GEOGRAFICA E PER TIPOLOGIA D’AZIENDA
PROGR. PLURIENNALE
PROGR. ANNUALE
ITALIA: NORD
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
F
NR.
RISP.
%
F/BG
PROG.
SI
%
G/F
%
G/AH
NR.
RISP.
%
H/BI
PROG.
SI
%
I/H
%
I/A
AZ. USL
87
85
81
95,36985,279,38094,17593,886,2
AZ. OSPEDALIERE
47
45
45
100,04293,389,44395,64297,789,4
TOTALE AZIENDE
134
130
126
96,911188,182,812394,611795,187,3
PROGR. PLURIENNALE
PROGR. ANNUALE
ITALIA: CENTRO
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
F
NR.
RISP.
%
F/BG
PROG.
SI
%
G/F
%
G/AH
NR.
RISP.
%
H/BI
PROG.
SI
%
I/H
%
I/A
AZ. USL
41
40
37
92,53183,875,63895,03489,582,9
AZ. OSPEDALIERE
13
11
10
90,9990,069,21090,9880,061,5
TOTALE AZIENDE
54
51
47
92,24085,174,14894,14287,577,8
PROGR. PLURIENNALE
PROGR. ANNUALE
ITALIA:SUD E ISOLE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
F
NR.
RISP.
%
F/BG
PROG.
SI
%
G/F
%
G/AH
NR.
RISP.
%
H/BI
PROG.
SI
%
I/H
%
I/A
AZ. USL
68
60
56
93,33969,657,45591,75294,576,5
AZ. OSPEDALIERE
36
32
29
90,61965,552,83196,92580,669,4
TOTALE AZIENDE
104
92
85
92,45868,255,88693,57789,574,0

Analizzando nel dettaglio il dato relativo alla presenza dei diversi strumenti di programmazione oggetto di analisi, emerge, a livello nazionale, la seguente situazione:

· delle 273 aziende che hanno risposto al questionario:
- 198 erano dotate sia della programmazione pluriennale che di quella annuale;
- 11 aziende erano dotate solo di programmazione pluriennale;
- 38 aziende erano dotate solo di programmazione aziendale annuale;
- 26 aziende non erano dotate di strumenti di programmazione generale, o non hanno risposto ai relativi quesiti;
· delle 208 aziende che, nel 1999, hanno dichiarato di avere avviato il sistema di budget:
- 172 erano dotate sia della programmazione pluriennale che di quella annuale;
- 9 aziende erano dotate solo di programmazione pluriennale;
- 23 aziende erano dotate solo di programmazione aziendale annuale;
- 4 aziende non erano dotate di strumenti di programmazione generale, o non hanno risposto ai relativi quesiti.

3.2 Il sistema di contabilità generale

Il secondo tema affrontato dalla presente indagine, in parte collegato con il precedente, ha riguardato il grado di diffusione del sistema di contabilità generale di tipo economico-finanziario e patrimoniale. Si ricorda che il nuovo sistema di contabilità generale ha sostituito il preesistente, di natura esclusivamente finanziaria, a partire dal 1° gennaio 1995. A tale proposito, il decreto legislativo n. 502 del 1992, al comma 7 dell’articolo 5, stabilisce: “Le unità sanitarie locali e le aziende ospedaliere sono tenute agli adempimenti di cui all’articolo 30 della legge 5 agosto 1978, n. 468 e all’articolo 64 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29. La disciplina contabile di cui al presente articolo decorre dal 1° gennaio 1995 e la contabilità finanziaria è soppressa”. La tenuta della contabilità generale di tipo economico-finanziario e patrimoniale, tra l’altro, è uno dei requisiti fondamentali per la costituzione o la conferma delle aziende ospedaliere come disposto dalla lettera b) del comma 2 dell’articolo 4 del citato decreto.

Allo scopo di verificare il grado di diffusione, nelle aziende USL ed ospedaliere, del nuovo sistema di contabilità generale, era prevista, nell’ambito del questionario, una domanda specifica. I risultati dell’elaborazione dei dati del questionario, relativamente al quesito in oggetto, sono rappresentati nella tabella 9.

TABELLA 9: GRADO DI DIFFUSIONE DEL SISTEMA DI CONTABILITÀ GENERALE ECONOMICO-FINANZIARIO E PATRIMONIALE: SINTESI NAZIONALE.
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
%
B/A
C
NR.
RISP.
%
C/B
D
CF
SI
%
D/C
%
D/A
E
CEFP
SI
%
E/C
%
E/A
AZ. USL
196
185
94,4
173
93,5
28
16,2
14,3
161
93,1
82,1
AZ. OSPEDALIERE
96
88
91,7
84
95,5
23
27,4
24,0
75
89,3
78,1
TOTALE AZIENDE
292
273
93,5
257
94,1
51
19,8
17,5
236
91,8
80,8

Al quesito in esame hanno risposto 257 aziende sanitarie. Ciò rappresenta il 94,1% delle aziende che hanno restituito il questionario e l’88% del totale delle aziende. La sintesi delle risposte fornite consente di formulare le seguenti considerazioni:

· circa l'80% delle aziende sanitarie italiane ha adottato, al 1999, il nuovo sistema di contabilità generale; tale percentuale è forse in qualche misura superiore, giacché si può ipotizzare che almeno qualcuna delle aziende che non ha risposto al questionario abbia adottato tale sistema;
· si registra una maggiore propensione delle aziende USL, rispetto a quelle ospedaliere, nell’adozione del nuovo sistema di contabilità generale (93,1% contro l’89,3%);
· circa il 20% delle aziende sanitarie, tuttavia, mantiene in funzione il sistema di contabilità finanziaria. Ciò può essere legato a diversi fattori, quali:
- la necessità di mantenere il vecchio sistema di contabilità in quanto il nuovo è il frutto di processi di rielaborazione ed integrazione di dati generati ancora con il vecchio sistema;
- la necessità di mantenere il vecchio sistema come strumento di verifica incrociata rispetto al nuovo sistema ancora in fase sperimentale;
- la necessità di mantenere il vecchio sistema in quanto è l’unico sistema di contabilità generale in funzione.
Entrando nel dettaglio di situazioni specifiche si osserva che:

- 12 aziende USL e 9 aziende ospedaliere, per un totale di 21 aziende sanitarie, sono dotate del solo sistema di contabilità finanziaria. Di queste 7, tra aziende USL ed ospedaliere, hanno dichiarato di essere dotate di sistema di budget;
- 16 aziende USL e 14 aziende ospedaliere, per un totale di 30 aziende sanitarie, sono dotate di entrambi i sistemi di contabilità generale;
- 145 aziende USL e 61 aziende ospedaliere, per un totale di 206 aziende sanitarie, sono dotate del solo sistema di contabilità economico-finanziario e patrimoniale;
- va infine ricordato che 12 aziende USL e 4 ospedaliere non hanno ritenuto opportuno rispondere al quesito relativo al sistema di contabilità generale pur avendo inviato il questionario.
In merito al dettaglio per macroarea geografica, i cui dati sono rappresentati nella tabella 10, è possibile formulare le seguenti ulteriori considerazioni:

· Italia del nord: la diffusione del nuovo sistema di contabilità generale è quasi totale e il mantenimento della contabilità finanziaria è limitato a meno del 10% delle aziende totali. Più nello specifico, si osserva che solo 3 aziende USL e 1 azienda ospedaliera sono dotate del solo sistema di contabilità finanziaria;
· Italia centrale: anche in questo caso, la diffusione del nuovo sistema di contabilità generale si attesta su valori superiori alla media nazionale. Le aziende ancora dotate del sistema di contabilità finanziaria sono attorno al 15% del totale. Una azienda USL e una azienda ospedaliera, sono ancora dotate del solo sistema di contabilità finanziaria;
· Italia del sud e isole: la diffusione del nuovo sistema di contabilità generale si attesta su valori significativamente inferiori alla media nazionale. Il sistema di contabilità finanziaria è ancora in funzione in oltre il 40% delle aziende totali, con una decisa prevalenza delle aziende ospedaliere. Il sistema di contabilità finanziaria è l’unico sistema di contabilità generale in 8 aziende USL e 7 ospedaliere.
TABELLA 10: GRADO DI DIFFUSIONE DEL SISTEMA DI CONTABILITÀ GENERALE ECONOMICO-FINANZIARIO E PATRIMONIALE: ARTICOLAZIONE PER MACROAREA GEOGRAFICA.
ITALIA: NORD
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
%
B/A
C
NR.
RISP.
%
C/B
D
CF
SI
%
D/C
%
D/A
E
CEFP
SI
%
E/C
%
E/A
AZ. USL
87
85
97,7
82
96,5
6
7,3
6,9
79
96,3
90,8
AZ. OSPEDALIERE
47
45
95,7
44
97,8
3
6,8
6,4
43
97,7
91,5
TOTALE AZIENDE
134
130
97,0
126
96,9
9
7,1
6,7
122
96,8
91,0
ITALIA: CENTRO
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
%
B/A
C
NR.
RISP.
%
C/B
D
CF
SI
%
D/C
%
D/A
E
CEFP
SI
%
E/C
%
E/A
AZ. USL
41
40
97,6
40
100,0
5
12,5
12,2
39
97,5
95,1
AZ. OSPEDALIERE
13
11
84,6
11
100,0
3
27,3
23,1
10
90,9
76,9
TOTALE AZIENDE
54
51
94,4
51
100,0
8
15,7
14,8
49
96,1
90,7
ITALIA:SUD E ISOLE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
%
B/A
C
NR.
RISP.
%
C/B
D
CF
SI
%
D/C
%
D/A
E
CEFP
SI
%
E/C
%
E/A
AZ. USL
68
60
88,2
51
85,0
17
33,3
25,0
43
84,3
63,2
AZ. OSPEDALIERE
36
32
88,9
29
90,6
17
58,6
47,2
22
75,9
61,1
TOTALE AZIENDE
104
92
88,5
80
87,0
34
42,5
32,7
65
81,3
62,5

Il sistema di contabilità generale economico-finanziario e patrimoniale, può ritenersi diffuso, con o senza la contemporanea presenza del vecchio sistema contabile, in tutte le aziende sanitarie delle seguenti realtà:

· Piemonte;
· Valle d’Aosta;
· Provincia autonoma di Trento;
· Veneto;
· Friuli-Venezia Giulia;
· Liguria;
· Emilia-Romagna;
· Toscana;
· Marche;
· Lazio;
· Abruzzo;
· Puglia;
· Basilicata;
· Sardegna.

3.3 La libera professione intramuraria

Il terzo tema affrontato dalla presente analisi riguarda il grado di diffusione della libera professione intramuraria. Si tratta di una problematica tanto interessante quanto dibattuta. I recenti provvedimenti in materia di esclusività del rapporto del lavoro dei medici, infatti, hanno focalizzato l’attenzione sulle azioni aziendali relative alla creazione delle condizioni necessarie per consentire l’esercizio della libera professione intramuraria. In particolare, attraverso il questionario, si è cercato di comprendere quanto fosse diffusa la libera professione, ossia quante aziende, indipendentemente dalla forma di realizzazione, avessero attivato tale tipologia di attività.

In considerazione della rilevanza della tematica in oggetto, inoltre, si è ritenuto opportuno approfondire anche altri aspetti, quali:

· la tipologia di attività libero professionale avviata (ambulatoriale e/o di ricovero);
· la forma di realizzazione per ciascuna tipologia (interna e/o esterna);
· la capacità produttiva dedicata con riferimento alla attività di ricovero in regime libero professionale.
I risultati ottenuti dall’elaborazione delle risposte fornite dalle aziende sanitarie sono rappresentati e commentati di seguito.

Il primo elemento conoscitivo di rilievo è rappresentato dal grado di diffusione della libera professione intramuraria. A tale proposito, i risultati dell’elaborazione, a livello nazionale, sono rappresentati nella tabella 11.

TABELLA 11: GRADO DI DIFFUSIONE DELLA LIBERA PROFESSIONE INTRAMURARIA: SINTESI NAZIONALE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
%
B/A
F
NR.
RISPOSTE
G
LIB. PROF.
SI
%
G/F
%
G/A
AZ. USL
196
185
94,4
184
177
96,2
90,3
AZ. OSPEDALIERE
96
88
91,7
88
88
100,0
91,7
TOTALE AZIENDE
292
273
93,5
272
265
97,4
90,8

Quasi tutte le aziende che hanno inviato il questionario (272 su 273) hanno risposto al quesito relativo all’avvio della libera professione intramuraria. Dalle risposte fornite emerge che il 90,8% del totale delle aziende sanitarie ha avviato, al 1999, la libera professione intramuraria.

È interessante notare che, sempre con riferimento al dato nazionale, le aziende ospedaliere si sono mostrate, in merito all’avvio della libera professione, più sensibili (100% della aziende che hanno risposto) rispetto alle aziende USL (96,2% delle aziende che hanno risposto).

Relativamente al dato per macroarea geografica, riportato nella tabella 12, è interessante osservare che il grado di diffusione della libera professione nell’Italia centrale riguarda sostanzialmente tutte le aziende sanitarie e che le aziende USL del sud, al contrario, incontrano qualche difficoltà in più rispetto al resto del Paese.

TABELLA 12: GRADO DI DIFFUSIONE DELLA LIBERA PROFESSIONE INTRAMURARIA: SINTESI PER MACROAREA GEOGRAFICA PER TIPOLOGIA D’AZIENDA
ITALIA: NORD
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
%
B/A
F
NR.
RISPOSTE
G
LIB. PROF.
SI
%
G/F
%
G/A
AZ. USL
87
85
97,7
85
83
97,6
95,4
AZ. OSPEDALIERE
47
45
95,7
45
45
100,0
95,7
TOTALE AZIENDE
134
130
97,0
130
128
98,5
95,5
ITALIA: CENTRO
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
%
B/A
F
NR.
RISPOSTE
G
LIB. PROF.
SI
%
G/F
%
G/A
AZ. USL
41
40
97,6
40
40
100,0
97,6
AZ. OSPEDALIERE
13
11
84,6
11
11
100,0
84,6
TOTALE AZIENDE
54
51
94,4
51
51
100,0
94,4
ITALIA:SUD E ISOLE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUEST.
RICEVUTI
%
B/A
F
NR.
RISPOSTE
G
LIB. PROF.
SI
%
G/F
%
G/A
AZ. USL
68
60
88,2
59
54
91,5
79,4
AZ. OSPEDALIERE
36
32
88,9
32
32
100,0
88,9
TOTALE AZIENDE
104
92
88,5
91
86
94,5
82,7

Oltre a conoscere il grado di diffusione della libera professione intramuraria, risulta estremamente interessante disporre di un quadro conoscitivo, di carattere generale, in merito alla tipologia di attività libero-professionale avviata. Il dato di sintesi nazionale è riportato nella tabella 13.

TABELLA 13: TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ LIBERO PROFESSIONALE AVVIATA: SINTESI NAZIONALE
G
LIB. PROF.
SI
SOLO
RICOVERO
SOLO
AMBULAT.
RICOVERO
+AMBUL.
AZ. USL
177
0
68
107
AZ. OSPEDALIERE
88
1
20
67
TOTALE AZIENDE
265
1
88
174

I dati di sintesi relativi alla tipologia di libera professione avviata consentono di formulare le seguenti considerazioni:

a) solo un’azienda ha dichiarato di aver avviato la libera professione limitatamente all’attività di ricovero;
b) 88 aziende sulle 263 che hanno risposto al quesito specifico, pari al 33,5%, hanno avviato la sola libera professione ambulatoriale;
c) 174 aziende sanitarie, pari al 66,2% delle risposte specifiche, hanno avviato entrambe le forme di libera professione;
d) le aziende ospedaliere hanno mostrato una maggiore sensibilità, rispetto a quelle USL, nell’avviare la libera professione in regime di ricovero. Infatti il 77,3% delle risposte delle aziende ospedaliere riguardano l’attività di ricovero contro il 61,1% delle aziende USL.
I risultati per macroarea geografica, riportati nella tabella 14, forniscono ulteriori spunti di riflessione:

· Italia del nord: la propensione allo sviluppo della libera professione in regime di ricovero è superiore alla media nazionale sia con riferimento alle aziende USL (72%) che a quelle ospedaliere (84,4%);
· Italia centrale: l’attività di ricovero in regime libero professionale risulta essere piuttosto modesta con riferimento alle aziende USL (42,5%), mentre si attesta su valori leggermente superiori alla media nazionale nelle aziende ospedaliere (81,8%);
· Italia del sud e isole: la libera professione in regime di ricovero risulta essere diffusa in modo significativamente inferiore rispetto alla media nazionale sia con riferimento alle aziende USL (58,5%) che a quelle ospedaliere (65,6%).
TABELLA 14: TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ LIBERO PROFESSIONALE AVVIATA: SINTESI PER MACROAREA GEOGRAFICA E TIPOLOGIA D’AZIENDA
ITALIA: NORD
G
LIB. PROF.
SI
SOLO
RICOVERO
SOLO
AMBULAT.
RICOVERO
+AMBUL.
AZ. USL
83
0
23
59
AZ. OSPEDALIERE
45
0
7
38
TOTALE AZIENDE
128
0
30
97
ITALIA: CENTRO
G
LIB. PROF.
SI
SOLO
RICOVERO
SOLO
AMBULAT.
RICOVERO
+AMBUL.
AZ. USL
40
0
23
17
AZ. OSPEDALIERE
11
0
2
9
TOTALE AZIENDE
51
0
25
26
ITALIA:SUD E ISOLE
G
LIB. PROF.
SI
SOLO
RICOVERO
SOLO
AMBULAT.
RICOVERO
+AMBUL.
AZ. USL
54
0
22
31
AZ. OSPEDALIERE
32
1
11
20
TOTALE AZIENDE
86
1
33
51

Con riferimento all’attività ambulatoriale, il quadro, a livello nazionale, è presentato nella tabella 15.

TABELLA 15: FORME DI REALIZZAZIONE DELLA LIBERA PROFESSIONE AMBULATORIALE: SINTESI NAZIONALE
SOLO
AMBULAT.
RICOVERO
+AMBUL.
TOTALE AZIENDE
NR.
RISPOSTE
INTERNO
ESTERNO
FORME
MISTA
AZ. USL
68
107
175
171
68
9
94
AZ. OSPEDALIERE
20
67
87
87
31
2
54
TOTALE AZIENDE
88
174
262
258
99
11
148

Dai risultati dell’elaborazione si evince che le forme maggiormente impiegate per la realizzazione della libera professione ambulatoriale sono la soluzione interna (38,4%), ossia con risorse (locali, tecnologia, etc..) dell’azienda sanitaria, e quella mista (57,4%), ossia in parte realizzata all’interno dell’azienda e, in parte, mediante il convenzionamento con strutture private. Solo in 11 casi, pari al 4,3% delle risposte ottenute, si è registrato il ricorso esclusivo al convenzionamento con soggetti esterni.

Il dato di dettaglio per tipologia d’azienda, infine, evidenzia che il ricorso a formule che prevedono il coinvolgimento di soggetti esterni, secondo modelli esclusivi o misti, è più frequente per le aziende ospedaliere (64,4%) rispetto a quelle USL (60,2%).

La sintesi per macroarea geografica, rappresentata nella tabella 16, esprime i seguenti orientamenti:

· Italia del nord: il ricorso a modalità esclusivamente esterne di gestione della libera professione ambulatoriale è limitato ad un solo caso. L’adozione di modelli esclusivamente interni o misti è sostanzialmente equivalente, sebbene i primi prevalgano nel caso delle aziende USL ed i secondi nelle aziende ospedaliere;
· Italia centrale: il ricorso a forme esclusivamente esterne è estremamente contenuto e, comunque, su livelli appena superiori alla media nazionale. Si registra, invece, una decisa prevalenza dei modelli misti (70%) rispetto a quelli esclusivamente interni (24%). Anche in questo caso l’orientamento delle aziende ospedaliere è più sbilanciato sulle forme miste di quanto non avvenga per le aziende USL;
· Italia del sud e isole: il ricorso a forme esclusivamente esterne di gestione della libera professione ambulatoriale raggiunge quasi il 10% delle risposte assumendo, quindi, una certa significatività. La distribuzione tra forme miste ed interne, invece, si attesta su valori sostanzialmente sovrapponibili a quelli nazionali.

TABELLA 16: FORME DI REALIZZAZIONE DELLA LIBERA PROFESSIONE AMBULATORIALE: SINTESI PER MACROAREA GEOGRAFICA E PER TIPOLOGIA D’AZIENDA
ITALIA: NORD
SOLO
AMBULAT.
RICOVERO
+AMBUL.
TOTALE AZIENDE
NR.
RISPOSTE
INTERNO
ESTERNO
FORME
MISTA
AZ. USL
23
59
82
80
41
1
38
AZ. OSPEDALIERE
7
38
45
45
19
0
26
TOTALE AZIENDE
30
97
127
125
60
1
64
ITALIA: CENTRO
SOLO
AMBULAT.
RICOVERO
+AMBUL.
TOTALE AZIENDE
NR.
RISPOSTE
INTERNO
ESTERNO
FORME
MISTA
AZ. USL
23
17
40
39
10
2
27
AZ. OSPEDALIERE
2
9
11
11
2
1
8
TOTALE AZIENDE
25
26
51
50
12
3
35
ITALIA:SUD E ISOLE
SOLO
AMBULAT.
RICOVERO
+AMBUL.
TOTALE AZIENDE
NR.
RISPOSTE
INTERNO
ESTERNO
FORME
MISTA
AZ. USL
22
31
53
52
17
6
29
AZ. OSPEDALIERE
11
20
31
31
10
1
20
TOTALE AZIENDE
33
51
84
83
27
7
49

Passando ora alle modalità di realizzazione della libera professione in regime di ricovero, la sintesi della situazione nazionale è presentata nella tabella 17.

TABELLA 17: FORME DI REALIZZAZIONE DELLA LIBERA PROFESSIONE IN REGIME DI RICOVERO: SINTESI NAZIONALE
SOLO
RICOVERO
RICOVERO
+AMBUL.
TOTALE AZIENDE
NR.
RISPOSTE
INTERNO
ESTERNO
FORME
MISTA
AZ. USL
0
107
108
103
92
9
2
AZ. OSPEDALIERE
1
67
68
65
58
3
4
TOTALE AZIENDE
1
174
175
168
150
12
6

Contrariamente a quanto avviene per l’attività ambulatoriale, la forma decisamente prevalente nella realizzazione della libera professione in regime di ricovero è quella interna. Essa, a livello nazionale, incide per l’89,3% delle aziende. La forma di gestione esclusivamente esterna riguarda il 7,1% dei casi, mentre la forma mista il 3,6%.

Il dato per macroarea geografica, presentato in tabella 18, conferma il dato nazionale senza particolari differenza tra nord, centro e sud Italia.

TABELLA 18: FORME DI REALIZZAZIONE DELLA LIBERA PROFESSIONE IN REGIME DI RICOVERO: SINTESI PER MACROAREA GEOGRAFICA E PER TIPOLOGIA D’AZIENDA
ITALIA: NORD
SOLO
RICOVERO
RICOVERO
+AMBUL.
TOTALE AZIENDE
NR.
RISPOSTE
INTERNO
ESTERNO
FORME
MISTA
AZ. USL
0
59
59
58
51
5
2
AZ. OSPEDALIERE
0
38
38
36
32
1
3
TOTALE AZIENDE
0
97
97
94
83
6
5
ITALIA: CENTRO
SOLO
RICOVERO
RICOVERO
+AMBUL.
TOTALE AZIENDE
NR.
RISPOSTE
INTERNO
ESTERNO
FORME
MISTA
AZ. USL
0
17
17
16
14
2
0
AZ. OSPEDALIERE
0
9
9
9
8
0
1
TOTALE AZIENDE
0
26
26
25
22
2
1
ITALIA:SUD E ISOLE
SOLO
RICOVERO
RICOVERO
+AMBUL.
TOTALE AZIENDE
NR.
RISPOSTE
INTERNO
ESTERNO
FORME
MISTA
AZ. USL
0
31
31
29
27
2
0
AZ. OSPEDALIERE
1
20
21
20
18
2
0
TOTALE AZIENDE
1
51
52
49
45
4
0

L’ultimo dato di particolare interesse, ai fini della presente analisi, è rappresentato dalla numerosità di posti letto dedicati alla libera professione nelle aziende in cui si è sviluppata la libera professione in regime di ricovero. Il quadro di sintesi nazionale è presentato nella tabella 19.

TABELLA 19: NUMEROSITÀ POSTI LETTO DEDICATI ALLA LIBERA PROFESSIONE: SINTESI NAZIONALE
AZIENDE
CON LP RICOVERI
NR.
RISPOSTE
% RISPOSTE /AZIENDE
POSTI LETTO DEDICATI
% POSTI LETTO DI LP SU TOT
AZ. USL
108
93
86,1%
3.634
3,0%
AZ. OSPEDALIERE
68
58
85,3%
2.233
2,8%
TOTALE AZIENDE
175
151
86,3%
5.867
2,9%

Non tutte le aziende sanitarie che hanno dichiarato di aver avviato la libera professione, in regime di ricovero, hanno ritenuto opportuno indicare il numero di posti letto dedicati a tale scopo. La somma delle risposte fornite dall’86%, circa, di aziende sanitarie determina un monte complessivo di posti letto pari a 5.867. Il numero dei posti letto dedicati rappresenta il 2,9% dei posti letto totali delle aziende che hanno risposto al questionario e che hanno fornito il dato relativo al numero di posti letto totali in dotazione.

L’informazione in questione richiede un ulteriore approfondimento. Infatti, non tutte le aziende che hanno indicato il numero di posti letto in regime di libera professione hanno anche fornito il dato relativo al totale dei posti letto in dotazione e viceversa.

Elaborando i dati considerando le sole aziende che hanno fornito entrambi i valori richiesti, si ottiene, sempre a livello nazionale, la situazione di seguito illustrata.

TABELLA 20: NUMEROSITÀ POSTI LETTO DEDICATI ALLA LIBERA PROFESSIONE: SINTESI NAZIONALE DETERMINATA CONSIDERANDO SOLO LE RISPOSTE CON INDICAZIONE QUANTITATIVA DEI POSTI LETTO
AZIENDE
CON LP RICOVERI
NR.
RISPOSTE
% RISPOSTE /AZIENDE
POSTI LETTO TOTALI
POSTI LETTO DEDICATI
% POSTI LETTO DI LP SU TOT
AZ. USL
108
91
84,3%
71.373
3.523
4.9%
AZ. OSPEDALIERE
68
58
85,3%
56.354
2.233
4,0%
TOTALE AZIENDE
175
149
85,1%
127.727
5.756
4,5%

Il dato, rielaborato secondo i criteri precedentemente esplicitati, evidenzia che la numerosità dei posti letto, nelle aziende nelle quali la libera professione in regime di ricovero è stata avviata, raggiunge, complessivamente, il 4,5% del totale dei posti letto in dotazione. Nel caso delle aziende USL tale valore si attesta, in media, attorno al 5%, ossia in linea con le direttive in materia definite a livello nazionale. Nel caso delle aziende ospedaliere, il rapporto, invece, si ferma al 4%.

Relativamente al dato articolato per macroarea geografica (vedi tab. 21), elaborato considerando le sole aziende che hanno fornito sia la numerosità dei posti letto totali che di quelli in libera professione, è possibile formulare le seguenti considerazioni di carattere generale:

· la quantità di posti letto destinati alla libera professione risulta essere, come dato complessivo, superiore al sud piuttosto che nel resto d’Italia. Peraltro, facendo riferimento alle sole aziende USL, il dato di posti letto dedicati maggiore in assoluto è legato alle realtà del nord;
· le aziende ospedaliere hanno dedicato, in tutte le aree considerate, una quantità di posti letto per la libera professione inferiore a quanto è avvenuto nelle aziende USL. Tale divario, che risulta essere significativo nel nord e nel centro Italia, è limitato ad alcuni decimali di percentuale nelle aziende del sud.
TABELLA 21: NUMEROSITÀ POSTI LETTO DEDICATI ALLA LIBERA PROFESSIONE: SINTESI PER MACROAREA GEOGRAFICA DETERMINATA CONSIDERANDO SOLO LE RISPOSTE CON INDICAZIONE QUANTITATIVA DEI POSTI LETTO
ITALIA: NORD
AZIENDE
CON LP RICOVERI
NR.
RISPOSTE
% RISPOSTE /AZIENDE
POSTI LETTO TOTALI
POSTI LETTO DEDICATI
% POSTI LETTO DI LP SU TOT
AZ. USL
59
52
88,1%
39.579
2.037
5.1%
AZ. OSPEDALIERE
38
32
84,2%
36.088
1.357
3,8%
TOTALE AZIENDE
97
84
86,6%
75.667
3.394
4,5%
ITALIA: CENTRO
AZIENDE
CON LP RICOVERI
NR.
RISPOSTE
% RISPOSTE /AZIENDE
POSTI LETTO TOTALI
POSTI LETTO DEDICATI
% POSTI LETTO DI LP SU TOT
AZ. USL
17
14
82,4%
11.172
487
4.4%
AZ. OSPEDALIERE
9
8
88,9%
8.661
346
4.0%
TOTALE AZIENDE
26
22
84,6%
19.833
833
4,2%
ITALIA:SUD E ISOLE
AZIENDE
CON LP RICOVERI
NR.
RISPOSTE
% RISPOSTE /AZIENDE
POSTI LETTO TOTALI
POSTI LETTO DEDICATI
% POSTI LETTO DI LP SU TOT
AZ. USL
31
25
80,6%
20.622
999
4.8%
AZ. OSPEDALIERE
21
18
85,7%
11.605
530
4,6%
TOTALE AZIENDE
52
43
82,7%
32.227
1.529
4,7%

Facendo sempre riferimento al campione di aziende considerate nelle due ultime elaborazioni, è interessante osservare che, come emerge dalla tabella 22, le aziende USL con una dotazione di posti letto per la libera professione superiore al 5% dei posti letto disponibili è pari a quasi il 50% contro il 31% delle aziende ospedaliere.

TABELLA 22: DISTRIBUZIONE DELLE AZIENDE CON ATTIVITÀ DI RICOVERO IN REGIME LIBERO PROFESSIONALE IN RAGIONE DELLA CAPACITÀ PRODUTTIVA ALLOCATA: SINTESI NAZIONALE
AZIENDE
USL
%
AZIENDE OSPEDALIERE
%
TOTALE AZIENDE
%
FINO AL 3%
24
26,4
22
37,9
46
30,9
DAL 3 AL 5%
22
24,2
18
31,0
40
26,8
OLTRE IL 5%
45
49,5
18
31,0
63
42,3
TOTALE
91
100,0
58
100,0
149
100,0

3.4 Altre informazioni

L’invio del questionario, al fine di ottenere un quadro di sintesi dello stato dell’arte degli aspetti trattati nei paragrafi precedenti, è stato colto come opportunità per raccogliere anche informazioni su ulteriori aspetti caratterizzanti le aziende sanitarie pubbliche italiane. In particolare, si è ritenuto opportuno cercare di ottenere informazioni relative a:

A) il grado di completamento del modello organizzativo di tipo dipartimentale;
B) l’esistenza dei dipartimenti d’emergenza/urgenza e la loro diffusione per tipologia;
C) il grado di diffusione della Carta dei servizi;
D) la percentuale di pazienti ricoverati da fuori Regione (limitatamente alle aziende ospedaliere);
E) il grado medio di complessità dei casi trattati (limitatamente alle aziende ospedaliere).

A) GRADO DI COMPLETAMENTO DEL MODELLO ORGANIZZATIVO DIPARTIMENTALE

Al fine di valutare il grado di completamento del modello organizzativo di tipo dipartimentale, è stato richiesto, attraverso il questionario, di dichiarare l’eventuale esistenza di unità operative autonome (UOA) collocate, da un punto di vista di dipendenza organizzativa, al di fuori degli eventuali dipartimenti costituiti nelle diverse aziende sanitarie. I risultati dell’elaborazione sono presentati nella tabella 23.

TABELLA 23: ESISTENZA DI UNITÀ OPERATIVE AUTONOME (UOA) AL DI FUORI DEI DIPARTIMENTI: SINTESI NAZIONALE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
C
NR.
RISPOSTE
%
C/B
D
UOA
SI
%
D/C
AZ. USL
196
185
94,4%
175
94,6%
102
58,3%
AZ. OSPEDALIERE
96
88
91,7%
86
97,7%
33
38,4%
TOTALE AZIENDE
292
273
93,5%
261
95,6%
135
51,7%

Al quesito in esame hanno risposto 261 aziende sanitarie che rappresentano il 95,6% delle aziende che hanno inviato il questionario. Le dodici aziende che non hanno risposto al quesito, si presume, non dovrebbero avere ancora completato il modello organizzativo per dipartimenti.

Dall’analisi delle risposte ottenute, in ogni caso, è possibile desumere che:

· complessivamente circa il 48% delle aziende sanitarie, tra quelle che hanno risposto al quesito specifico, hanno completato il modello organizzativo di tipo dipartimentale in quanto non hanno evidenziato l’esistenza di unità operative autonome collocate, organizzativamente, al di fuori dei dipartimenti costituiti;
· tra aziende USL ed ospedaliere esiste una significativa differenza: per le prime, sempre con riferimento alle sole risposte ottenute, la percentuale di aziende che hanno completato il processo di cambiamento in oggetto è pari al 41,7%; le aziende ospedaliere, invece, si sono dimostrate più solerti nell’adottare il modello organizzativo di tipo dipartimentale in quanto il 61,6% ha dichiarato che non esistono unità operative autonome non collocate in ambito dipartimentale.
Scendendo nel dettaglio per macroarea geografica, i cui dati sono presentati nella tabella 25, è possibile formulare le seguenti ulteriori considerazioni:

· Italia del nord: il completamento del modello dipartimentale risulta essere diffuso con percentuali simili a quelle nazionali sebbene si registri un dato lievemente migliore, rispetto a questi ultimi, con riferimento alle aziende ospedaliere;
· Italia centrale: il dato complessivo è peggiore di quello nazionale; tuttavia si registra un dato di estremo rilievo con riferimento alle aziende ospedaliere, oltre l’80% delle quali dichiara di aver completato il modello dipartimentale. Questo dato è controbilanciato da un numero relativamente basso, circa il 36% delle aziende che hanno risposto al quesito, di aziende USL che hanno dichiarato di aver completato tale processo di cambiamento organizzativo;
· Italia del sud e isole: il dato complessivo si attesta sui valori nazionali, tuttavia, si osserva che il 50% delle aziende ospedaliere non hanno completato il modello dipartimentale, facendo registrare la situazione più arretrata a livello nazionale per tale tipologia d’azienda, mentre le aziende USL hanno una situazione decisamente migliore rispetto al dato nazionale.

TABELLA 24: ESISTENZA DI UNITÀ OPERATIVE AUTONOME (UOA) AL DI FUORI DEI DIPARTIMENTI: SINTESI PER MACROAREA GEOGRAFICA
ITALIA: NORD
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
C
NR.
RISPOSTE
%
C/B
D
UOA
SI
%
D/C
AZ. USL
87
85
97,7%
79
92,9%
46
58,2%
AZ. OSPEDALIERE
47
45
95,7%
45
100,0%
16
35,6%
TOTALE AZIENDE
134
130
97,0%
124
95,4%
62
50,0%
ITALIA: CENTRO
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
C
NR.
RISPOSTE
%
C/B
D
UOA
SI
%
D/C
AZ. USL
41
40
97,6%
39
97,5%
25
64,1%
AZ. OSPEDALIERE
13
11
84,6%
11
100,0%
2
18,2%
TOTALE AZIENDE
54
51
94,4%
50
98,0%
27
54,0%
ITALIA:SUD E ISOLE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
C
NR.
RISPOSTE
%
C/B
D
UOA
SI
%
D/C
AZ. USL
68
60
88,2%
57
95,0%
31
54,4%
AZ. OSPEDALIERE
36
32
88,9%
30
93,8%
15
50,0%
TOTALE AZIENDE
104
92
88,5%
87
94,6%
46
52,9%

Relativamente al dettaglio per singola Regione, si osserva che il modello dipartimentale non è stato completato in nessuna di esse. Tuttavia, nelle Regioni Liguria, Toscana e Marche, il processo di cambiamento risulta essere completato con riferimento alle aziende ospedaliere.

B) DISTRIBUZIONE DEI DIPARTIMENTI DI EMERGENZA, URGENZA ED ACCETTAZIONE (DEA)

Un secondo elemento oggetto d’analisi, nell’ambito della raccolta d’informazioni diverse da quelle oggetto di trattazione nei paragrafi precedenti, ha riguardato la costituzione dei dipartimenti d’emergenza, urgenza ed accettazione (di seguito DEA). L’esistenza del DEA di II° livello è uno dei requisiti previsti dal decreto legislativo n. 229 del 1999 per la costituzione o la conferma delle aziende ospedaliere. È quindi con riferimento a queste ultime che l’analisi assume un significato particolare. Con il questionario, tuttavia, si è colta l’opportunità di disporre di un quadro complessivo con riferimento all’esistenza dei DEA sia nelle aziende ospedaliere che in quelle USL. Il dato di sintesi, a livello nazionale, è presentato nella tabella 25.

TABELLA 25: DISTRIBUZIONE DEI DEA: SINTESI NAZIONALE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
E
NR.
RISPOSTE
%
E/B
F
DEA
II
%
F/E
G
DEA
I
%
G/E
AZ. USL
196
185
94,4
124
67,0
31
25,0
90
72,6
AZ. OSPEDALIERE
96
88
91,7
77
87,5
64
83,1
13
16,9
TOTALE AZIENDE
292
273
93,5
201
73,6
95
47,3
103
51,2

Al quesito specifico, relativo all’esistenza del DEA, hanno risposto 201 aziende sulle 273 che hanno inviato il questionario. La percentuale delle risposte ottenute (73,6%), è decisamente inferiore rispetto ai quesiti precedenti, tuttavia si osserva che le aziende ospedaliere hanno una percentuale di risposte pari all’87,5%.

Dai dati nazionali emerge che solo in tre casi l’azienda ha risposto di non essere dotata di DEA. Evidentemente resta il dubbio interpretativo con riferimento alle aziende che, pur avendo inviato il questionario, non hanno risposto al quesito posto.

Facendo riferimento alle aziende che hanno risposto affermativamente, ossia che sono dotate di DEA, emerge che questi ultimi si distribuiscono in DEA di I° e II° livello quasi con la medesima frequenza. Differenze significative, come era logico attendersi, si registrano tra aziende ospedaliere ed USL. Nelle prime, il DEA di II° livello è diffuso nell’83,1% dei casi contro il 16,9% del DEA di I° livello. Nelle aziende USL, invece, si registra una situazione diametralmente opposta con il 25% di aziende dotate di DEA di II° livello e il 72,6% di aziende con il DEA di I° livello.

L’analisi per macroarea geografica, i cui dati sono presentati nella tabella 26, rispecchia sostanzialmente la situazione nazionale con l’unica eccezione del nord Italia nel quale si concentra la quasi totalità di aziende ospedaliere dotate di DEA di I° livello.

TABELLA 26: DISTRIBUZIONE DEI DEA: SINTESI PER MACROAREA GEOGRAFICA
ITALIA: NORD
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
E
NR.
RISPOSTE
%
E/B
F
DEA
II
%
F/E
G
DEA
I
%
G/E
AZ. USL
87
85
97,7
61
71,8
16
26,2
42
68,9
AZ. OSPEDALIERE
47
45
95,7
42
93,3
30
71,4
12
28,6
TOTALE AZIENDE
134
130
97,0
103
79,2
46
44,7
54
52,4
ITALIA: NORD
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
E
NR.
RISPOSTE
%
E/B
F
DEA
II
%
F/E
G
DEA
I
%
G/E
AZ. USL
41
40
97,6
35
87,5
7
20,0
28
80,0
AZ. OSPEDALIERE
13
11
84,6
11
100,0
11
100,0
0
0,0
TOTALE AZIENDE
54
51
94,4
46
90,2
18
39,1
28
60,9
ITALIA:SUD E ISOLE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
E
NR.
RISPOSTE
%
E/B
F
DEA
II
%
F/E
G
DEA
I
%
G/E
AZ. USL
68
60
88,2
28
46,7
8
28,6
20
71,4
AZ. OSPEDALIERE
36
32
88,9
24
75,0
23
95,8
1
4,2
TOTALE AZIENDE
104
92
88,5
52
56,5
31
59,6
21
40,4

C) GRADO DI DIFFUSIONE DELLA CARTA DEI SERVIZI

Un ulteriore elemento conoscitivo, ottenuto sempre tramite l’elaborazione delle risposte ottenute con il questionario, riguarda l’adozione della Carta dei servizi nelle aziende sanitarie italiane. Si tratta di un aspetto di particolare rilievo, in quanto non solo legato al rispetto di specifici provvedimenti normativi, ma espressione dell’attenzione dell’azienda sanitaria nei confronti dei diritti dei cittadini. La sintesi, a livello nazionale, dell’elaborazione effettuata è presentata nella tabella 27.

TABELLA 27: DIFFUSIONE DELLA CARTA DEI SERVIZI: SINTESI NAZIONALE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
H
NR.
RISPOSTE
%
H/B
I
CARTA
SERV. SI
%
I/H
%
I/A
AZ. USL
196
185
94,4%
184
99,5%
182
98,9%
92,9%
AZ. OSPEDALIERE
96
88
91,7%
86
97,7%
85
98,8%
88,5%
TOTALE AZIENDE
292
273
93,5%
270
98,9%
267
98,9%
91,4%

Quasi tutte le aziende, di quelle che hanno inviato il questionario, hanno risposto al quesito in oggetto (98,9%) e, di queste ultime, quasi tutte (98,9%) hanno affermato di aver adottato la Carta dei servizi.

Il dato disaggregato, per macroarea geografica (vedi tabella 28), conferma, nella sostanza, il dato nazionale.

TABELLA 28: DIFFUSIONE DELLA CARTA DEI SERVIZI: SINTESI PER MACROAREA GEOGRAFICA
ITALIA: NORD
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
H
NR.
RISPOSTE
%
H/B
I
CARTA
SERV. SI
%
I/H
%
I/A
AZ. USL
87
85
97,7%
85
100,0%
84
98,8%
96,6%
AZ. OSPEDALIERE
47
45
95,7%
44
97,8%
44
100,0%
93,6%
TOTALE AZIENDE
134
130
97,0%
129
99,2%
124
96,1%
92,5%
ITALIA: CENTRO
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
H
NR.
RISPOSTE
%
H/B
I
CARTA
SERV. SI
%
I/H
%
I/A
AZ. USL
41
40
97,6%
40
100,0%
39
97,5%
95,1%
AZ. OSPEDALIERE
13
11
84,6%
11
100,0%
11
100,0%
84,6%
TOTALE AZIENDE
54
51
94,4%
51
100,0%
50
98,0%
92,6%
ITALIA:SUD E ISOLE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
H
NR.
RISPOSTE
%
H/B
I
CARTA
SERV. SI
%
I/H
%
I/A
AZ. USL
68
60
88,2%
59
98,3%
59
100,0%
86,8%
AZ. OSPEDALIERE
36
32
88,9%
31
96,9%
30
96,8%
83,3%
TOTALE AZIENDE
104
92
88,5%
90
97,8%
89
98,9%
85,6%

D) RICOVERI FUORI REGIONE

Tra i requisiti dettati dal decreto legislativo n. 229 del 1999 per la costituzione o la conferma delle aziende ospedaliere è previsto, all’articolo 4, comma 2, lettera f) che la: “attività di ricovero in degenza ordinaria, nel corso dell’ultimo triennio, per pazienti residenti in Regioni diverse, [sia] superiore di almeno il dieci per cento rispetto al valore medio regionale, salvo che per le aziende ubicate in Sicilia e in Sardegna”.

Per questo motivo, con il questionario, si è cercato di valutare, limitatamente alle aziende ospedaliere, quante aziende sono in grado di rispettare tale parametro. I risultati dell’elaborazione sono presentati nella tabella 29.

TABELLA 29: INCIDENZA DEI RICOVERI FUORI REGIONE: SINTESI NAZIONALE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
J
NR.
RISPOSTE
%
J/B
K
NR.
>10%
%
K/J
%
K/A
AZ. OSPEDALIERE
96
88
91,7%
44
50,0%
29
65,9%
30,2%

Il numero delle risposte ottenute è risultato essere estremamente basso (50% delle aziende che hanno inviato il questionario). Molte aziende, in effetti, hanno dichiarato di non essere in grado di stabilire in che modo il loro grado di attrattività, nei confronti di pazienti non residenti in Regione, si posiziona rispetto al dato medio regionale non disponendo di quest’ultimo parametro.

In ogni caso, solo due terzi delle aziende che hanno risposto al quesito in esame hanno dichiarato di avere una percentuale di ricoveri di pazienti non residenti in Regione superiore al 10% del dato medio regionale.

Il dato disaggregato per macroarea geografica, presentato nella tabella 30, evidenzia la seguente situazione:

· Italia del nord: la percentuale di aziende con ricoveri fuori Regione superiore al 10% rispetto alla media regionale è superiore alla media nazionale. Tuttavia la scarsa numerosità delle risposte rende il dato poco significativo;
· Italia centrale: la percentuale di aziende che risultano in possesso del requisito in oggetto riguarda la quasi totalità delle aziende ospedaliere dell’area considerata;
· Italia del sud e isole: la percentuale delle aziende ospedaliere in possesso del requisito relativo ai ricoveri fuori Regione è decisamente più basso del resto del Paese. Tuttavia va considerato che nell’area in esame sono comprese le aziende ospedaliere delle regioni Sicilia e Sardegna.

TABELLA 30: INCIDENZA DEI RICOVERI FUORI REGIONE: SINTESI PER MACROAREA GEOGRAFICA
ITALIA: NORD
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
J
NR.
RISPOSTE
%
J/B
K
NR.
>10%
%
K/J
%
K/A
AZ. OSPEDALIERE
47
45
95,7%
19
42,2%
13
68,4%
27,7%
ITALIA: CENTRO
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
J
NR.
RISPOSTE
%
J/B
K
NR.
>10%
%
K/J
%
K/A
AZ. OSPEDALIERE
13
11
84,6%
10
90,9%
9
90,0%
69,2%
ITALIA:SUD E ISOLE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
J
NR.
RISPOSTE
%
J/B
K
NR.
>10%
%
K/J
%
K/A
AZ. OSPEDALIERE
36
32
88,9%
15
46,9%
7
46,7%
19,4%

E) COMPLESSITÀ DEI RICOVERI

Sempre tra i requisiti dettati dal decreto legislativo n. 229 del 1999 per la costituzione o la conferma delle aziende ospedaliere è previsto, all’articolo 4, comma 2, lettera g) che lo: “indice di complessità della casistica dei pazienti trattati in ricovero ordinario, nel corso dell’ultimo triennio, [sia] superiore ad almeno il venti per cento del valore medio regionale”.

Attraverso il questionario, anche in questo caso, si è cercato di valutare, limitatamente alle aziende ospedaliere, quante sono in grado di rispettare tale parametro. I risultati dell’elaborazione sono presentati nella tabella 31.

TABELLA 31: COMPLESSITÀ RICOVERI: SINTESI NAZIONALE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
L
NR.
RISPOSTE
%
L/B
M
NR.
>20%
%
M/L
%
M/A
AZ. OSPEDALIERE
96
88
91,7%
41
46,6%
25
61,0%
26,0%

Anche in questo caso, per le stesse motivazioni evidenziate al punto precedente, il dato delle risposte ottenute è estremamente basso (46,6% delle aziende che hanno inviato il questionario). Circa il 60% delle aziende ospedaliere, tra quelle che hanno risposto al quesito in esame, hanno dichiarato di avere una complessità dei ricoveri superiore al 20% del dato medio regionale.

Il dato disaggregato per macroarea geografica, presentato nella tabella 32, risulta essere scarsamente significativo per il nord e il sud Italia, a causa del basso tasso di risposte ottenute, che, in ogni caso, registrano una percentuale di aziende che rispettano il requisito in oggetto, rispettivamente, del 58,8% e del 53,3%. Il dato relativo all’Italia centrale, senza dubbio più significativo dei precedenti, evidenzia che solo il 77,8% delle aziende ospedaliere dell’area considerata è in possesso del requisito relativo alla complessità dei ricoveri.

TABELLA 32: COMPLESSITÀ RICOVERI: SINTESI PER MACROAREA GEOGRAFICA
ITALIA: NORD
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
L
NR.
RISPOSTE
%
L/B
M
NR.
>20%
%
M/L
%
M/A
AZ. OSPEDALIERE
47
45
95,7%
17
37,8%
10
58,8%
21,3%
ITALIA: CENTRO
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
L
NR.
RISPOSTE
%
L/B
M
NR.
>20%
%
M/L
%
M/A
AZ. OSPEDALIERE
13
11
84,6%
9
81,8%
7
77,8%
53,8%
ITALIA:SUD E ISOLE
A
TOTALE
AZIENDE
B
QUESTIONARI
RICEVUTI
%
B/A
L
NR.
RISPOSTE
%
L/B
M
NR.
>20%
%
M/L
%
M/A
AZ. OSPEDALIERE
36
32
88,9%
15
46,9%
8
53,3%
22,2%

4. CONCLUSIONI

L’analisi condotta, di cui si sono presentati i risultati nel paragrafo precedente, mette in evidenza una situazione generale con luci ed ombre. Al fine di rendere più agevole la valutazione dei diversi aspetti indagati, si ritiene opportuno analizzare i vari fenomeni singolarmente, rispettando l’ordine con il quale sono stati, in precedenza, presentati i dati.

4.1 I Sistemi di programmazione

Al fine di operare una corretta valutazione del grado di diffusione e consolidamento dei sistemi di programmazione è opportuno confrontare i risultati ottenuti dalla presente inchiesta con quelli di una precedente indagine, sempre relativa ai sistemi di programmazione e controllo, condotta dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali (ASSR) ed dal CeRGAS dell’Università Bocconi.

Da tale confronto emerge che, facendo riferimento al rapporto tra risposte affermative e totale delle aziende sanitarie italiane, la percentuale di aziende dotate del sistema di budget è passato dal 27,3%, nel 1997, al 71,2%, nel 1999.

Tale ultima percentuale, peraltro, probabilmente sottostima in qualche misura la realtà esistente, giacché sembra legittimo ipotizzare che almeno qualcuna delle aziende che non hanno risposto al questionario si sia in effetti dotata dei sistemi di programmazione. In altre parole sembra ragionevole pensare che la mancata risposta non dovrebbe essere equiparata tout court ed in ogni caso ad una risposta negativa.

Sulla base dei risultati osservati, è interessante comprendere i motivi che hanno generato, tra il 1998 e il 1999, una così rilevante progressione nel numero di aziende sanitarie dotate del sistema di budget. Senza dubbio è mutata la sensibilità delle aziende che hanno ritenuto, progressivamente, necessario introdurre tale strumento di programmazione. La mutata sensibilità va ricondotta a due fenomeni fondamentali:

· la maggiore rigorosità con la quale sono state applicate le regole di finanziamento delle aziende sanitarie da parte delle Regioni. Situazione generata, a sua volta, dalla necessità di recuperare situazioni di disequilibrio economico-finanziario pregresse la cui copertura, per gran parte, è stata richiesta dalle Regioni allo Stato e che, nelle more di una decisione definitiva, ha determinato situazioni di indebitamento, irrigidendo le gestioni successive, e/o l'applicazione di imposte e tasse di carattere regionale;
· il cambiamento culturale delle direzioni strategiche aziendali, determinato sia dall’esperienza maturata (la prima generazione di direttori generali risale al 1994-95 ed oggi ci si trova alla seconda o alla terza generazione), sia dall’effetto determinato dall’indagine condotta dall’ASSR e dal CeRGAS. Si ricorda, infatti, che già dal 1998 uscirono i primi risultati di tale indagine, che misero in chiara evidenza la situazione di scarsa diffusione dei sistemi di programmazione e controllo di gestione nelle aziende sanitarie, e che all’inizio del 1999 uscirono i risultati definitivi, accompagnati dagli schemi di riferimento, diventando fattore di stimolo e patrimonio di conoscenze per la progettazione e l’implementazione del sistema di budget nelle aziende in cui ancora non esisteva.
Se il progressivo diffondersi del sistema di budget è da considerare un fattore estremamente positivo, si rileva un aspetto negativo legato al fatto che ancora un quarto delle aziende sanitarie italiane non ha provveduto ad avviare il sistema di budget a 6-7 anni dall’avvio del processo di aziendalizzazione. Elemento di negatività che porta alle seguenti considerazioni:

· nonostante il processo di cambiamento reale generato dai comportamenti aziendali stenti a completarsi, quello istituzionale, generato dalle norme nazionali e regionali, prosegue indipendentemente dalla capacità di adattamento delle aziende sanitarie. Il rischio, in altri termini, è quello di avere un sistema formalmente avanzato ma arretrato sul piano realizzativo;
· la necessità di disporre del sistema di budget non è solo legato all’esigenza di programmare e di stabilire rapporti trasparenti con l’ente programmatore (Regione), ma anche alla regolamentazione dei rapporti con il personale. Si fa riferimento, nel caso specifico, a quanto previsto nei contratti collettivi, attualmente in vigore, in materia di retribuzione di posizione e di risultato. Tali voci stipendiali sono legate, in tutto o in parte, all’esistenza di un sistema di budget. Sarebbe quindi interessante comprendere qual è il grado di applicazione reale del contenuto contrattuale e attraverso quali modalità le aziende sanitarie, non dotate del sistema di budget dal 1997 ad oggi, hanno gestito la retribuzione di risultato;
· il grado di consolidamento del sistema di budget è ancora basso. L’anzianità media dei sistemi di budget esistenti è poco più di due anni. Tale periodo di tempo non consente di passare da un sistema di budget sperimentale, quindi con forti connotazioni di sovrastruttura contabile, ad uno consolidato e, quindi, reale sistema di governo e direzione aziendale.
Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza. Il sistema di budget, infatti, prima di poter generare gli effetti attesi, richiede un periodo di sperimentazione che va dai tre ai cinque anni. Dopo tale periodo è comunque indispensabile valutare se, effettivamente, sono state create le condizioni di base al fine di consentire al sistema di budget di svolgere la funzione per la quale è stato introdotto. Il rischio, infatti, è che il sistema di budget, anche dopo il necessario periodo di carattere sperimentale, resti una sovrastruttura contabile incapace di orientare i comportamenti e vissuto come adempimento burocratico da parte sia dei dirigenti aziendali che dalla direzione strategica.

Un sistema di budget consolidato dovrebbe essere in grado di:

· definire un quadro programmatico nel quale gli obiettivi, delle singole parti che compongono l’azienda, agiscono in modo integrato per il perseguimento delle finalità aziendali;
· anticipare l’insorgere di problemi prevedibili e proporre soluzioni efficienti ed efficaci;
· supportare la direzione nelle operazioni di riorientamento degli obiettivi e/o dei risultati nel corso dell’esercizio a fronte di eventi esterni non previsti;
· sollevare ed affrontare le problematiche organizzative e gestionali nei rapporti tra azienda e singoli componenti della stessa;
· motivare il personale e stimolare il senso di appartenenza e di unitarietà aziendale.
È difficile, se non attraverso analisi specifiche da condurre in singole aziende, comprendere se il sistema di budget ha acquisito il grado di maturità necessario per poter svolgere coerentemente il suo ruolo; tuttavia, fattori quali la tempistica del sistema di budget e del sistema di controllo consentono di comprendere se sono state create le condizioni di base a tale scopo.

Rispetto a tali elementi di valutazione, la situazione attuale non sembra essere significativamente differente da quella gia’ rilevata con l’indagine condotta dall’ASSR e dal CeRGAS. Infatti, come dimostrato dalla recente ricerca di OASI (Osservatorio sulla funzionalità delle aziende sanitarie italiane-CeRGAS/Bocconi) L’aziendalizzazione della sanità in Italia, Rapporto OASI 2000 a cura di Eugenio Anessi Pessina e Elena Cantú., il processo di budget si chiude ad esercizio già ampiamente avviato ed il sistema di reporting non presenta ancora, se non per un limitato numero di realtà, le caratteristiche di tempestivita’ e frequenza necessarie per supportare i processi di programmazione e controllo.

Per quanto riguarda i sistemi di programmazione, infine, è opportuno evidenziare che, parimenti a quanto accaduto per il sistema di budget, anche i sistemi di programmazione generale aziendale, sia di carattere pluriennale che annuale, hanno fatto registrare, nel periodo 1997-99, un incremento della diffusione di tutto rilievo. Facendo riferimento al rapporto tra risposte affermative e numero totale delle aziende, infatti, oltre il 71% delle aziende sanitarie ha predisposto un piano programmatico o strategico di carattere pluriennale e circa l'80% delle stesse ha predisposto un piano programmatico annuale (tali percentuali salgono all'80% e al 90% se si fa riferimento al rapporto tra risposte affermative e risposte ottenute).

Anche in questo caso, peraltro, sarebbe necessario comprendere il grado di maturazione di tali strumenti al fine di valutare se e in che misura può essere considerata conclusa la fase di naturale sperimentazione, che accompagna l’introduzione in azienda di tali strumenti, al fine di dare origine ad un’attività di programmazione concreta, realistica e basata su analisi e valutazioni che pongano nella dovuta considerazione, oltre ai vincoli finanziari generali imposti dall’organo di governo, le caratteristiche specifiche della singola azienda e del territorio nel quale opera.

4.2 Il sistema di contabilità generale

Anche con riferimento alla diffusione del nuovo sistema di contabilità generale, economico-finanziario e patrimoniale, si osserva un notevole progresso. Se si pensa, che, nell’ambito dell’indagine condotta dall’ASSR e dal CeRGAS, nell’esercizio 1997, il 44,6% delle aziende dotate di sistema di budget, per tale motivo da considerare mediamente più avanzate delle altre, era ancora dotato del vecchio sistema di contabilità finanziaria, non può che essere letto positivamente quel 91,8% di aziende sanitarie, che hanno risposto al questionario e hanno dichiarato di essere dotate del nuovo sistema di contabilità generale (pari al 80,8% del numero totale delle aziende).

Anche in questo caso, tuttavia, è necessario confermare alcune delle considerazioni formulate in merito al sistema di budget:

· una percentuale collocabile tra l'8 e il 19% delle aziende sanitarie italiane (essendo pari a circa l'11% quelle che non hanno risposto allo specifico quesito) nel 1999, sono dotate di un sistema di contabilità generale dichiarato, dalla legge, non più in vigore dal 1° gennaio 1995. Ciò mette di nuovo in evidenza il problema che esiste tra ritmi di sviluppo reale e quelli previsti sul piano formale e, più in concreto, la necessità di prevedere attraverso quali azioni di sostegno è possibile fornire un aiuto alle aziende sanitarie che, più delle altre, incontrano difficoltà nell’introdurre ed avviare le innovazioni previste;
· un ulteriore 11%, circa, delle aziende sanitarie sono dotate dei due sistemi di contabilità generale che funzionano in parallelo. Ciò mette in evidenza il grado di sperimentalità del nuovo sistema di contabilità generale e della possibilità che il nuovo sistema, in realtà, sia alimentato da rielaborazioni di rilevazioni effettuate con i metodi e i criteri del vecchio sistema contabile.
Una volta esaurita la fase sperimentale ed introdotto il nuovo sistema contabile in tutte le aziende sanitarie italiane si porrà, in ogni caso, il problema della confrontabilità dei dati. Problema esistente anche con il vecchio sistema contabile, in quanto non sempre i capitoli di bilancio erano impiegati secondo modalità omogenee in tutte le strutture sanitarie, ma destinato a divenire sempre più rilevante, sia a causa delle normative specifiche introdotte in ciascuna Regione, le quali tendono a creare differenziazioni più significative di quelle che si potevano avere nel passato, sia per la necessità di disporre di uno strumento che consenta di esprimere valutazioni sull’equilibrio economico-finanziario delle aziende sanitarie in ragione di parametri omogenei. Si tratta, in altri termini, di giungere alla definizione di schemi di riclassificazione dei dati di bilancio, diversi per Regione in relazione alle normative locali, che consentano di disporre di dati fra loro confrontabili e in tempi ragionevoli per supportare i processi decisionali degli organismi istituzionali a livello nazionale.

4.3 La libera professione intramuraria

Il tema della libera professione intramuraria, da tenere distinto dalla esclusività di rapporto, è stato trattato nella normativa del nostro Paese a partire dal 1938 ed ancora oggi si tratta di un argomento dibattuto, troppo spesso affrontato con provvedimenti incalzanti, non di rado contraddittori e che non sempre hanno tenuto conto delle singole realtà aziendali Guzzanti E., Mastrobuono I., Boldrini A., Boldrini M., Braga M., Bucci R., Casati G.,Catalano N., Mangia R., Serafin I, “L’esercizio della libera professione intramuraria e l’istituzione di camere a pagamento”.

Ricerca sui servizi sanitari Volume I, III trimestre, n. 3, 1997.
. Dall’inchiesta è emerso che il 97,4% delle aziende sanitarie che hanno risposto al questionario (273 su un universo di 292 aziende) ha avviato la libera professione, con particolare riguardo alle aziende ospedaliere, soprattutto localizzate nel nord e nel centro del Paese. La maggior parte delle aziende ha organizzato entrambe le tipologie di attività libero professionale, in regime ambulatoriale e di ricovero (65.7% delle 265 aziende che hanno avviato la libera professione) contro un 33.2% di aziende che ha avviato solo le attività ambulatoriali. Queste ultime sono, come comprensibile, meno complesse da organizzare rispetto a quelle in regime di ricovero, e per esse è più diffusa la formula mista di realizzazione, e cioè con spazi all’interno ed all’esterno dell’azienda, presumibilmente negli studi medici privati dei professionisti operanti nell’azienda (57.4%). Il 38.4% delle attività ambulatoriali sono organizzate, invece, esclusivamente all’interno dell’azienda e solo nel 4.3% esclusivamente all’esterno. Per quanto riguarda le attività libero professionali in regime di ricovero emerge dall’inchiesta che esse sono sviluppate soprattutto al nord del Paese, prevalentemente nelle aziende ospedaliere, e tale situazione si mantiene, seppure in misura inferiore, al sud, mentre al centro i valori tendono, seppure limitati alle ASL, a diminuire. Il quadro riflette la distribuzione delle Case di cura private non accreditate in Italia, più numerose nel centro-sud rispetto al nord e concentrate in particolare nel Lazio.

I posti letto dedicati alle attività libero professionali (5.867) rappresentano il 2,9% dei posti letto complessivi delle 151 aziende sanitarie che hanno risposto al questionario fornendo il totale dei posti letto ordinari attivi. Dei citati 5.867 posti letto, 3.634 sono collocati nelle ASL e 2.233 nelle aziende ospedaliere.

I valori ricalcolati considerando le sole aziende sanitarie che hanno fornito sia il dato relativo ai posti letto ordinari che quello relativo ai posti letto dedicati alla libera professione, fanno emergere una situazione decisamente differente: la percentuale di posti letto dedicati alla libera professione, rapportati a quelli ordinari, sale, infatti, al 4,5%. Il dato disaggregato per tipologia d’azienda mostra una percentuale di posti letto dedicati alla libera professione superiore nelle ASL, nelle quali si registra un tasso pari al 4,9% (sostanzialmente sovrapponibile a quello previsto dalla normativa), rispetto a quello osservato nelle aziende ospedaliere (4%). Il dato suscita non poche perplessità e dovrebbe essere maggiormente indagato in quanto, come è noto, la libera professione è un fenomeno delle grandi aree urbane (dove maggiormente si è sviluppata in altri Paesi occidentali) e non della periferia, in quanto è proprio nelle aziende ospedaliere delle grandi città che sono anche presenti le professionalità in grado di attirare la clientela privata. Forse il dato potrebbe essere letto nell’ottica di un comportamento adattivo delle ASL alla normativa nazionale, che prevede l’individuazione di almeno il 5% dei posti letto da dedicare alle attività libero professionali, indipendentemente dal loro effettivo utilizzo. Questo processo potrebbe essere più difficile da realizzare nelle aziende ospedaliere, anche perché va ricordato che i posti letto, per le attività libero professionali, sono da ricomprendere nel generale indice di dotazione di posti letto in regime ordinario (4,5 posti letto per acuti x 1000 abitanti) e che quindi l’individuazione di posti letto per le attività libero professionali comporta la conversione di altrettanti posti letto di ricovero in regime ordinario. Appare, dunque, fondamentale, cercare di ottenere a riguardo maggiori informazioni sull’indice di occupazione di questi letti, sul loro effettivo utilizzo e sulla tipologia dei casi trattati, tenendo conto del fatto che le attività libero professionali in regime di ricovero interessano in particolare l’area chirurgica.

4.4 Dipartimenti

L’adozione del modello organizzativo di tipo dipartimentale per le strutture ospedaliere, già prevista in numerosi provvedimenti legislativi a partire dagli anni ‘60, è stata ulteriormente ribadita con il decreto legislativo n. 229 del 1999, il quale, all’art. 17-bis, afferma che: “L’organizzazione dipartimentale è il modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle Aziende sanitarie”. Tale organizzazione, inoltre, è requisito fondamentale per la costituzione ed il mantenimento delle aziende ospedaliere. A fronte del quadro normativo appena delineato, i risultati dell’inchiesta mostrano che il modello dipartimentale stenta ancora a decollare: infatti oltre il 50% delle aziende sanitarie che hanno risposto allo specifico quesito (261 su un numero complessivo di 292) non ha ancora completato il processo di cambiamento organizzativo previsto.

Un altro dato saliente, emerso dall’inchiesta, riguarda il differente grado di adozione del modello dipartimentale tra aziende USL ed ospedaliere. L’esistenza di unità operative autonome non inserite in dipartimenti, infatti, è decisamente più frequente nelle ASL (58,3%), che non nelle aziende ospedaliere (38,4%). I motivi di tale differenza sono da attribuire alla diversa complessità che caratterizza le due tipologie d’azienda. Si pensi, a titolo esemplificativo, al problema logistico. E’ oggettivamente più semplice progettare ed attivare il modello dipartimentale nelle aziende le cui strutture sono concentrate in un unico sito, condizione che si verifica con maggiore frequenza nelle aziende ospedaliere, rispetto alle aziende le cui strutture ospedaliere sono distribuite sul territorio, condizione che si verifica sempre per le ASL e per quelle aziende ospedaliere articolate su più presidi.

Alle difficoltà che, fisiologicamente, si incontrano nell’organizzare i dipartimenti, partendo da una condizione logistica sfavorevole, vanno aggiunte quelle di carattere normativo.

Da quando è stata prevista la tenuta della contabilità separata per presidio ospedaliero, all’interno delle ASL, al fine di poterne valutare il grado di equilibrio economico-finanziario, la possibilità di istituire dipartimenti operativi in più sedi è stata, in alcuni casi, addirittura preclusa da provvedimenti regionali (per es. in Veneto), obbligando le aziende sanitarie, in special modo le ASL, ad adottare modelli dipartimentali basati su criteri di aggregazione poco condivisi dal personale e, per tale motivo, di difficile attuazione.

Per i motivi appena citati, sarebbe opportuno approfondire l’analisi dei modelli dipartimentali già adottati dalle aziende sanitarie. È decisivo, infatti, comprendere se questi ultimi sono stati introdotti solo sul piano formale o sono il frutto di un processo di cambiamento che ha coinvolto l’organizzazione e ha modificato i processi decisionali, l’articolazione delle responsabilità e gli assetti strutturali e logistici dell’azienda.

Da quanto emerge da una recente indagine condotta da OASI (CeRGAS Università Bocconi), il dipartimento é ancora un modello organizzativo fortemente sperimentale. Ne sono chiari segnali, oltre all’età media osservata delle realizzazioni fino ad oggi effettuate, la sostanziale assenza di un modello aziendale di dipartimento e il limitato numero di aziende che hanno attuato un reale processo di delega dell’autonomia nella gestione delle risorse a livello dipartimentale. L’esistenza, all’interno della medesima azienda, di assetti dipartimentali fortemente eterogenei, per i criteri di costituzione adottati e per l’articolazione dei ruoli di responsabilità in essi prevista, è fonte di confusione del “messaggio organizzativo” aziendale e rende più difficile la gestione nel suo complesso. Il ritardato riconoscimento, al responsabile del dipartimento, dell’autonomia nell’allocazione e gestione delle risorse (autonomia di budget) rende complesso qualunque processo di reale responsabilizzazione sui risultati e di integrazione fra le differenti realtà che sono confluite nel dipartimento.

4.5 I Dipartimenti di emergenza-urgenza ed accettazione

Una precedente indagine della Commissione di inchiesta sullo “Stato di attuazione dei servizi di emergenza” Si veda la relazione conclusiva, relatore il senatore Dino De Anna, approvata il 17.06.1999.



, condotta nel 1999 e riferita al 1997 sulla base di dati raccolti da una indagine nazionale svolta dalla Federazione italiana di medicina d’urgenza, aveva rilevato la scarsa diffusione di dipartimenti di emergenza-urgenza ed accettazione di primo e secondo livello. Essi risultavano attivati in modo completo solo nella regione Piemonte e, in modo parziale, nelle restanti Regioni del nord e non attivati in quelle del sud. La situazione, a distanza di due anni, appare migliorata, soprattutto per quanto riguarda le 64 aziende ospedaliere (su 96 di totale), che dichiarano di essere provviste di DEA di II° livello. Bisogna tenere presente, comunque, che la percentuale di risposte a questo quesito è stata la più bassa in assoluto.

5. CONSIDERAZIONI FINALI E PROPOSTE

Il Servizio sanitario nazionale è il settore, tra quelli della pubblica amministrazione, oggetto delle più profonde innovazioni nella logica della trasformazione del ruolo dello Stato dal governo alla governance, intesa come quel processo attraverso il quale lo Stato trasferisce ad altri soggetti, pubblici o privati, il compito di gestire in autonomia determinati servizi, nel rispetto di regole generali da esso individuate e secondo programmi di valutazione dei risultati conseguiti.

Attorno ai principi, criteri e modalità di attuazione del processo di cambiamento del Servizio sanitario nazionale si è sviluppato, fin dalle riforme antecedenti quella del decreto legislativo n. 502 del 1992, un ampio dibattito politico, ancora non sopito, che ha determinato due momenti di modifica ed integrazione del citato decreto: il decreto legislativo n. 517 del 1993 e il decreto legislativo n. 229 del 1999. Non vanno, inoltre, dimenticati i provvedimenti assunti in occasione dell’approvazione delle leggi finanziarie, dal 1992 ad oggi, che spesso non si sono limitate a individuare correttivi marginali all’impostazione originale della riforma, venendo a delinearsi un quadro di riferimento complesso, non di rado instabile, nel quale le Regioni e conseguentemente le aziende sanitarie hanno trovato spesso difficoltà di azione.

Se il processo di cambiamento avviato con il decreto legislativo n. 502 del 1992 è stato fortemente controverso e sofferto sul fronte sia politico che normativo, non è difficile immaginare quello che è avvenuto sul fronte realizzativo.

Le aziende sanitarie si sono trovate, con la emanazione del decreto legislativo 502/92, e successive modificazioni ed integrazioni, ad affrontare un processo di cambiamento senza essere dotate degli strumenti adeguati: questo è uno dei motivi che spiega la forte eterogeneità delle soluzioni adottate, la lentezza del processo generale di aziendalizzazione e - come si desume anche dai risultati della presente inchiesta - l’adozione di comportamenti adattivi da parte delle aziende.

In questa fase sarebbe stato di grande importanza avviare un sistema di monitoraggio del processo di aziendalizzazione, al fine di favorire il cambiamento nelle aziende, attraverso il confronto e la proposizione delle realtà più avanzate, e di supportare l’azione legislativa.

In realtà ciò non è avvenuto, mentre l’impianto normativo si è ulteriormente evoluto, modificando tutta una serie di aspetti che presupponevano che quanto previsto dalla normativa precedente fosse già consolidato.

La presente inchiesta dimostra il contrario, per cui si è di fronte ad una realtà normativa molto diversa da quella aziendale.

Si prenda, a titolo puramente esemplificativo, quanto previsto per le aziende ospedaliere, la cui costituzione e/o conferma dipende, secondo il decreto legislativo n. 229 del 1999, dal possesso di tutti i seguenti requisiti: organizzazione dipartimentale, disponibilità di un sistema di contabilità economico-patrimoniale e di contabilità per centri di costo, presenza di almento tre unità operative di alta specialità, presenza del DEA di secondo livello, ruolo di ospedale di riferimento in programmi regionali o interregionali, attività di ricovero ordinario superiore di almeno il 10% rispetto al valore medio regionale, indice di complessità della casistica dei pazienti in ricovero ordinario superiore di almeno il 20% rispetto al valore medio regionale, disponibilità di un patrimonio adeguato e sufficiente per lo svolgimento delle attività istituzionali. Pochissime strutture sul territorio nazionale sono in grado di rispondere a tutti i requisiti previsti, per cui si dovrebbe assistere nel prossimo triennio al rientro di molti ospedali nelle aziende unità sanitarie locali.

Il problema non è di poco conto se si pensa che il processo di individuazione degli ospedali quali aziende ospedaliere è avvenuto per molte Regioni, o è in corso di definizione per altre, nell’ambito di quanto previsto dalla legge n. 382 del 18 luglio 1996 recante “Disposizioni urgenti nel settore sanitario”, nella quale era stabilito che le Regioni provvedessero, anche a stralcio del Piano sanitario regionale, alla riorganizzazione della rete ospedaliera sulla base dei seguenti parametri: un tasso di occupazione non inferiore al 75% in media annua, una dotazione media di 5,5 posti letto per mille abitanti, di cui 1 per mille dedicato alla riabilitazione e lungodegenza postacuzie, ed un tasso di ospedalizzazione (per acuti e per la riabilitazione) di 160 ricoveri per mille. La ristrutturazione doveva avvenire entro il 31 dicembre 1999, con l’utilizzo anche dei fondi ex articolo 20 della legge n. 67 del 1988 e con la predisposizione di attività di controllo e verifica.

Altro esempio, pur non oggetto specifico della presente inchiesta, è rappresentato dall’atto aziendale di diritto privato, di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 229/99. In questo caso, siamo di fronte alla richiesta di predisporre un documento di grande rilevanza per l’assetto aziendale, di cui in realtà non si conoscono i contenuti, le modalità di formulazione, né sono noti i criteri per la individuazione delle strutture semplici e delle strutture complesse, demandati all’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 8-quater del decreto legislativo n. 229 del 1999, ancora non emanato. In attesa che tali provvedimenti normativi siano portati a compimento, le aziende sanitarie sono in fase di attuazione degli obiettivi di legge e, a livello nazionale, non è dato conoscere quante aziende hanno già adottato l’atto aziendale di diritto privato, quali ne siano stati i principi ispiratori e quale parametro sia stato adottato per la distinzione tra strutture semplici e complesse.

L’inchiesta ha messo in luce che l'applicazione del modello organizzativo dipartimentale incontra notevoli difficoltà, anche perché la costituzione dei dipartimenti deve essere espressione di un profondo mutamento culturale da supportare con una intensa opera di informazione e formazione. I dipartimenti stentano a decollare, non da un punto di vista formale, in quanto molte sono ormai le delibere istitutive prodotte a livello aziendale, ma da un punto di vista sostanziale per le indubbie difficoltà legate, oltre che agli aspetti culturali, a quelli strutturali (difficoltà di accorpamento delle unità operative e dei servizi), a quelli della adozione di comuni codici di comportamento, dello sviluppo di attività di audit clinico, etc.

Quello che è sostanzialmente emerso dall’inchiesta è che la maggior parte delle aziende sanitarie, con le dovute e note eccezioni, stanno terminando la fase della sperimentazione degli strumenti da adottare per avviare il processo vero e proprio di aziendalizzazione e avrebbero bisogno di una politica di sostegno per la realizzazione degli obiettivi.

In altri termini, se l’impianto normativo è stato inizialmente necessario per avviare il processo di cambiamento, oggi si è entrati in una fase nella quale serve una concreta opera di realizzazione degli obiettivi fissati.

In ragione del quadro delineato, è possibile ipotizzare un insieme di azioni volte a superare le criticità riscontrate e ad anticipare le problematiche che, inevitabilmente, insorgeranno in prospettiva del completamento del processo di regionalizzazione della sanità.

La prima esigenza emersa dall’indagine è rappresentata dalla necessità di monitorare il processo di cambiamento nel suo complesso, e quello dell’aziendalizzazione in particolare. A fronte dei numerosi interventi legislativi che hanno modificato l’assetto del Servizio sanitario nazionale, infatti, non esiste una fonte ufficiale, al di fuori di quanto fatto dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali e da questa Commissione, che attesti lo stato d’attuazione della normativa. Si pensi che il tema in oggetto non rientra nella relazione annuale sullo stato sanitario del Paese, predisposta dal Ministro della sanità, di cui al comma 12, dell’articolo 1, del decreto legislativo n. 502 del 1992, così come modificato ed integrato dal decreto legislativo n. 229 del 1999.

La conoscenza dello stato dell’arte di un processo di cambiamento è condizione irrinunciabile per sostenere qualunque operazione di successiva modifica o integrazione di un provvedimento normativo. Tale condizione è necessaria al fine di garantire che l’azione di modifica o integrazione ipotizzata sia conforme e realizzabile in ragione della realtà osservata. Si pensi, ad esempio, all’inadeguatezza della disposizione con cui l'articolo 5 del decreto legislativo n. 229 del 1999 ha confermato, nel 1999, la soppressione di un sistema di contabilità generale (la contabilità finanziaria) a partire dal 1° gennaio 1995 quando, ancora nel 1999, per oltre il 10% delle aziende sanitarie (tenendo presenti quelle che non hanno risposto allo specifico quesito) esso rappresenta l’unico sistema di contabilità generale in uso o, per un ulteriore 11%, esso è lo strumento dal quale trae origine il nuovo sistema di contabilità generale.

Per tali motivi, si reputa indispensabile che sia attivato un sistema di osservatori nelle singole realtà regionali per monitorare sistematicamente i processi di cambiamento avviati, non limitati quindi a quello relativo all’aziendalizzazione, in modo da poterli documentare con dati attuali e prevedere che le risultanze siano parte integrante della relazione annuale del Ministro della sanità precedentemente richiamata.

L'esperienza maturata da questa Commissione, peraltro non solo nel presente filone di inchiesta, dimostra in modo convincente l'utilità di seguire l'attività delle aziende sanitarie attraverso sopralluoghi e puntuali richieste di informazioni, soprattutto quando tale attenzione non è episodica ma viene protratta per un lasso di tempo sufficiente a verificare il senso dei mutamenti in corso e, eventualmente, la necessità di correzioni di rotta. Si è infatti registrato che l'opera della Commissione si è tradotta, in più di un'occasione, in un costruttivo e concreto apporto in termini di stimolo e di sollecitazione alle iniziative dei vertici aziendali.

Tale risultato è stato conseguito, in buona misura, proprio grazie al carattere parlamentare della Commissione che, nelle modalità dell'inchiesta, ha privilegiato l'aspetto conoscitivo e non sanzionatorio, ed ha probabilmente consentito alle aziende di assumere un atteggiamento di apertura e di collaborazione.

Inoltre, in un universo sanitario sempre più regionalizzato, appare coerente immaginare che proprio all'istituzione parlamentare, rappresentativa dell'unità nazionale, sia riservato un ruolo non secondario nella necessaria opera di monitoraggio, soprattutto al fine di assicurare il principio della uniformità sull'intero territorio nazionale del livello minimo essenziale delle prestazioni e dei servizi.

Risulta perciò corroborata da questa positiva esperienza la proposta di proseguire con carattere di continuità e rafforzare l'opera di monitoraggio e di stimolo dell'attività delle aziende sanitarie avviata da questa Commissione di inchiesta: sarà il Parlamento, nella prossima legislatura, ad individuare i più opportuni strumenti per realizzare tale compito.

Il ruolo delle Regioni, in particolare per quanto riguarda il processo di aziendalizzazione, dovrebbe essere diretto, successivamente all’opera di monitoraggio e rilevamento dei problemi, ad una azione di supporto alle aziende nella adozione di modelli organizzativi innovativi e piú moderni, attraverso la emanazione di linee guida specifiche. Assai importante appare la individuazione degli obiettivi da affidare ai direttori generali, obiettivi che non dovrebbero limitarsi al raggiungimento del pareggio di bilancio. Gli obiettivi dovrebbero rispondere ai requisiti della chiarezza e della fattibilitá, e dovrebbero essere compatibili con il grado di aziendalizzazione raggiunto e con la natura dell’azienda (se unità sanitaria locale o ospedaliera, se localizzata in una grande area urbana e metropolitana, etc.). L'inchiesta in precedenza svolta da questa Commissione in tema di meccanismi di responsabilizzazione gestionale nelle aziende sanitarie ha del resto chiaramente mostrato la difficoltà in cui versano i direttori generali di molte aziende a causa della mancata o parziale definizione da parte della Regione di obiettivi precisi in tempi adeguati.

La seconda esigenza riguarda la necessità di supportare le Regioni, le Province autonome e le aziende sanitarie nell’avvio e completamento dei processi di cambiamento. Tale azione, attualmente del tutto assente, deve consentire di facilitare, nel rispetto delle autonomie regionali previste dalla legge, i processi di cambiamento nelle realtà che incontrassero le maggiori difficoltà. I risultati dell’inchiesta, infatti, pongono in chiara evidenza come un’azione di tale natura avrebbe potuto rendere più rapida l’adozione degli strumenti gestionali e/o degli assetti organizzativi complessi. Non a caso si è registrato un notevole impulso nell’adozione dei sistemi di gestione aziendali (programmazione generale aziendale pluriennale ed annuale e sistema di budget) successivamente all’indagine condotta dall’ASSR, in collaborazione con il CeRGAS dell’Università Bocconi, relativa al 1997. Finalità di tale indagine, infatti, era rappresentata proprio dalla diffusione dei modelli che fossero risultati più innovativi sul piano dell’impostazione metodologica.

Tale operazione di supporto può essere condotta su più livelli:

a) analisi e proposizione di modelli funzionanti già esistenti nelle aziende sanitarie, quale estensione ed approfondimento dell’attività degli osservatori;
b) elaborazione di modelli innovativi in forma di linea guida;
c) sviluppo di competenze specifiche, organizzando momenti formativi e/o di aggiornamento con caratteristiche di continuità nel tempo;
d) certificazione di strumenti, anche informatici, di comprovata efficacia.
Spetta alle Regioni, in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni-Città individuare le modalità di gestione di tale problematica, anche attraverso la eventuale riorganizzazione e ridefinizione delle funzioni dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali.

La terza esigenza nasce dalla progressiva regionalizzazione della sanità, il cui completamento prevede la soppressione del fondo sanitario nazionale, e dalla complementare ridefinizione del ruolo dello Stato. Si tratta, nella sostanza, di rifocalizzare l’azione normativa concentrando l’attenzione dello Stato sui risultati che devono essere garantiti dalle aziende sanitarie nei confronti dei cittadini, e alleggerendo, per contro, la normativa legata alle modalità di generazione del risultato.

Dovranno essere le Regioni a stabilire quali sono i requisiti che le aziende ospedaliere devono soddisfare, quali sono i requisiti di cui un soggetto deve essere in possesso per poter essere nominato direttore generale di una azienda sanitaria, quali sono i criteri per definire l’articolazione organizzativa aziendale piuttosto che la dimensione dei distretti, quali sono i criteri di finanziamento delle aziende sanitarie e se deve o meno essere distinto il ruolo del produttore da quello del compratore. Allo Stato competeranno sempre piú i compiti di stabilire quali servizi devono essere garantiti al cittadino e di verificare che i livelli assistenziali siano effettivamente erogati a tutti sul territorio nazionale.