COMMISSIONE PARLAMENTARE PER LE QUESTIONI REGIONALI

MARTEDÌ 28 SETTEMBRE 2004


81a seduta

Presidenza del Presidente
Carlo VIZZINI



Interviene il ministro per gli affari regionali La Loggia.


La seduta inizia alle ore 14,45.



IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO

Schema di decreto legislativo di ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi della legge 5 giugno 2003, n. 131. (n. 399)
(Parere al Ministro per i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131. Esame e rinvio)

Il presidente VIZZINI, relatore alla Commissione, esordisce evidenziando che lo schema di decreto legislativo in titolo presenta diversi profili di rilievo, sui quali è opportuno soffermarsi preliminarmente.
Innanzitutto è da sottolineare l'importanza sociale del provvedimento. Esso riguarda le professioni senza aggettivi, come recita l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione. Sono quindi potenzialmente interessati circa un milione e mezzo di professionisti iscritti agli albi, ma anche circa tre milioni di individui attivi nel settore delle cosiddette professioni emergenti.
Lo schema di decreto legislativo all'esame è il primo adempimento che il Governo compie in attuazione della delega che gli è stata conferita con l'articolo 1, comma 4, della legge La Loggia, 5 giugno 2003, n. 131. Con quella legge, come si ricorderà, il Governo è stato delegato ad effettuare la ricognizione dei principi fondamentali in tutte le materie concorrenti.

Il Governo ha optato per dare attuazione, per prima, alla materia delle professioni: una materia assegnata - dalla riforma costituzionale del 2001 - ex novo alla competenza concorrente delle Regioni, motivo per cui è ragionevole aspettarsi che l'individuazione dei principi fondamentali nella legislazione sia particolarmente complessa, non essendoci ovviamente leggi-cornice rivolte a Regioni prive, in passato, di competenza in materia.
Incidentalmente può ricordarsi come le professioni siano diversamente attribuite nel testo di riforma costituzionale attualmente alla Camera dei deputati. Salve le possibili evoluzioni durante il successivo iter parlamentare, l'ordinamento delle professioni intellettuali è stato rassegnato alla competenza esclusiva dello Stato. Anche se questa modifica dovesse essere definitivamente approvata, ciò non toglierebbe rilievo all'atto normativo oggi in esame, che potrebbe continuare ad essere applicabile, forse per alcuni profili relativi alle professioni intellettuali, ma certamente per tutti i profili che attengono alle professioni non intellettuali.
Individuare quali siano i principi fondamentali presenti nella legislazione statale è compito non facile - prosegue il presidente VIZZINI - anche perché cosa siano in generale i principi fondamentali e come identificarli è materia assai controversa.
Con il tema è necessario tuttavia misurarsi, non solo perché esso - con la riforma del 2001 - segna il confine tra ciò che può fare lo Stato (appunto, i principi fondamentali) e le Regioni (tutto il resto). Ma anche perché - con la riforma costituzionale attualmente all'esame della Camera - i principi fondamentali segneranno l'ambito di competenza del nuovo Senato federale ed escluderanno l'intervento della Camera dei deputati.
Si dà qui per implicito ciò che è a tutti noto, vale a dire la mancata integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Il rinvio è d'obbligo alle molte occasioni in cui si è dibattuto in questa sede di un'occasione che sembra perduta, ma è d'obbligo anche sottolineare che quanto qui in esame ne è ulteriore prova. Questa materia e questo atto avrebbero richiesto l'intervento delle Regioni, il cui parere espresso in sede di Conferenza è, peraltro, allegato agli atti e costituisce un serio contributo al dibattito.
Come si ricorderà, in base alla citata legge "La Loggia", l'intervento di questa Commissione è, per così dire, rafforzato. Esso dà luogo, per espressa disposizione dell'articolo 1, comma 4, a un doppio parere che, nella sua versione conclusiva, ha l'effetto di obbligare il Governo a motivare espressamente l'eventuale differente scelta compiuta rispetto a quanto espresso dalla stessa Commissione.
L'intervento che si richiede, in questa sede, non è peraltro un intervento di riforma delle professioni: altri disegni di legge in materia sono all'esame della Commissione giustizia del Senato.

Il presidente VIZZINI evidenzia come diverso sia il compito che l'articolo 1, comma 4, della legge assegna a questa Commissione. Esso si articola, sostanzialmente, in tre attività: espungere le disposizioni che non costituiscono principi fondamentali; modificarle, se del caso; inserire principi fondamentali che non siano presenti nel testo. Questo compito assegnato alla Commissione presuppone, da una parte, che la Commissione riesamini il testo presentato dal Governo.
Richiede altresì ad essa di ripercorrere l'esame che il Governo ha già compiuto sulla legislazione vigente, per verificare se siano stati omessi principi fondamentali che invece risultassero, nel caso, presenti.
Se assai impegnativo è stato il compito del Governo, non meno arduo è il compito della Commissione.
È opportuno - al riguardo - riportare all'attenzione la sentenza n. 280 della Corte costituzionale pronunciata il 28 luglio di quest’anno, e quindi dopo l'approvazione dello schema di decreto da parte del Consiglio dei ministri. La sentenza, non solo ha dichiarato incostituzionale una parte della delega contenuta nell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131, in particolare quella avente ad oggetto la ricognizione delle competenze riservate allo Stato, ma sembra aver ridimensionato considerevolmente anche l'ambito di operatività della delega relativa alla ricognizione dei principi fondamentali, imponendo in sostanza quella che la Corte stessa chiama una lettura minimale della delega, l'unica - si noti bene - conforme a Costituzione.
Per tutti questi motivi, che evidenziano la delicatezza dei profili tecnici, oltreché politici della questione, il presidente VIZZINI vorrebbe limitarsi, al momento, ad una prima esposizione del testo sottoposto all'esame nell’odierna seduta e rinviare ad una successiva l'espressione di un articolato parere, per dare modo ai commissari di approfondire questi non semplici temi.
Non a caso - prosegue il senatore VIZZINI - la legge conferisce alla Commissione un termine per l'espressione del parere pari a due mesi, assai più lungo di quelli normalmente previsti dai Regolamenti delle Assemblee.
L'articolo 1 disciplina l'ambito di applicazione dello schema di decreto. Va subito notato che esso viene riferito alle professioni regolamentate e non a tutte le professioni. Il comma terzo - in modo complementare - precisa che l'atto riguarda le professioni già individuate dalle leggi statali vigenti, dizione che sembra richiamare la sentenza 12 dicembre 2003, n. 353, in cui la Corte costituzionale ha affermato che la potestà legislativa regionale in materia di professioni - in particolare sanitarie - deve rispettare il principio, già vigente nella legislazione statale, secondo cui l'individuazione e definizione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, debba essere riservata allo Stato. Sembra, quindi, che sia stata la Corte stessa ad identificare, con questa sentenza, un principio fondamentale desumibile dalla legislazione statale vigente. Ci si potrebbe dunque domandare se non sia opportuno affermarlo come tale, non in forma indiretta e non limitatamente al solo settore sanitario, non essendo la tutela della salute che una delle molte competenze concorrenti assegnate alle Regioni.
Il comma 2 dell'articolo 1 ripete sostanzialmente - quali vincoli alla competenza legislativa regionale - quelli contenuti nell'articolo 117, primo comma, della Costituzione. Si pone, a questo riguardo, una questione che riproporranno, almeno in parte, anche gli articoli successivi. Si tratta, in sostanza, di valutare se l'affermazione di principi contenuti nella Costituzione di natura generale ed ordinamentale sia ricompresa nell'oggetto della delega. La giurisprudenza della Corte costituzionale non pare sempre orientata in questo senso e distingue talvolta tra principi generali dell'ordinamento (principio di uguaglianza, tutela del lavoro) e principi fondamentali.
Si potrebbe ritenere - sottolinea il presidente VIZZINI - che contenuto del decreto legislativo debbano essere i principi fondamentali in materia di professioni che limitano la potestà legislativa regionale e non principi ordinamentali validi per qualsivoglia materia e che perciò limitano la potestà legislativa tanto delle Regioni quanto dello Stato.
Con riferimento a quanto ora espresso, va valutato l'articolo 2 sulla libertà professionale. Il suo disposto è certamente condivisibile, essendo strutturato su quello dell'articolo 3 della Costituzione e sulla normativa statale contro la discriminazione. Ciò che va valutato è se questi siano identificabili come principi fondamentali validi per le Regioni e non principi generali validi per tutti, Stato incluso. Ciò, naturalmente, avuto riguardo ancora una volta all'oggetto della delega.
L'articolo 3 equipara l'attività professionale all'attività di impresa ai fini della tutela della concorrenza e con riferimento alla normativa comunitaria. L'articolo fa salvo quanto previsto dalla normativa in materia di professioni intellettuali.
La questione sulla quale opera l'articolo 3 è di grande rilievo. Come è noto, la normativa dell'Unione europea ai fini della concorrenza tende a considerare l'attività professionale come attività di impresa, perché ritiene irrilevante la forma giuridica con la quale l'attività si realizza: e quindi anche se esercitata nell'ambito di un Ordine e previa iscrizione ad un albo. Anche la professione intellettuale sarebbe dunque equiparabile a un'impresa in riferimento alla normativa comunitaria sulla tutela della concorrenza. È dubbio tuttavia che sia identificabile un principio fondamentale in questo senso nella legislazione statale, pur sussistendo certamente disposizioni comunitarie applicabili ed applicate. Il disposto dell'articolo 3 va dunque valutato alla luce di questi aspetti e di quanto già sopra osservato circa la differenza tra principio fondamentale e vincolo derivante dall'ordinamento comunitario.
L'articolo 4 si intitola alla formazione professionale, materia normalmente ritenuta appartenente alla competenza residuale delle Regioni, dove non vi è possibilità di dettare principi fondamentali. Tuttavia, il tenore letterale dell'articolo disciplina piuttosto l'esercizio ultraregionale di attività professionali. Come l'articolo 2 sulla libertà professionale dispone che le Regioni non possono limitare sul proprio territorio l'esercizio professionale, con l'articolo 4 si dispone che non possono autorizzarlo fuori del proprio territorio, se non in riferimento a standard fissati dallo Stato.
Tuttavia potrebbe rinvenirsi un diverso - ma certamente collegato - principio, per il quale se vi sono livelli standard di preparazione stabiliti dallo Stato, a questi livelli sembra doversi attenere anche la Regione nel disciplinare il rilascio di titoli validi al proprio interno.
L'articolo 5 regola l'accesso alle professioni: esso impone il rispetto di standard e titoli statali a quelle attività professionali che richiedono specifica preparazione per finalità la cui tutela spetta allo Stato.
Il richiamo - in questa formulazione - a determinate finalità affidate allo Stato va valutato in alternativa al più consolidato riferimento alle materie assegnate alla sua competenza, riferimento che sembra offrire più solidi strumenti interpretativi.
In generale, e non solo avuto riguardo a questo articolo, va considerato come, sull'esercizio della funzione legislativa regionale, debba o possa pesare la materia nell'ambito della quale si svolge l'esercizio professionale. Se tale materia appartiene alla competenza statale, o concorrente, questa circostanza non sembra ininfluente.
L'articolo 6 si intitola alla regolazione delle attività professionali e la sottopone al rispetto di numerosi ed eterogenei principi, affermati senza particolari specificazioni, alcuni dei quali di amplissima portata (come la "buona fede", o l'"interesse pubblico").
Anche qui una riflessione va posta sull'opportunità - oltreché sulla praticabilità in sede di delega - di far ricorso a concetti giuridici di generalissima portata, validi ben oltre l'ambito dell'esercizio professionale. D'altra parte, vista la pluralità di richiami, tale da far pensare ad uno sforzo tendenzialmente esaustivo, rimangono inespresse le ragioni per non menzionare altri principi in ipotesi esistenti quali, ad esempio, quelli dell'autonomia e della responsabilità professionale.
L'articolo 7 dello schema - prosegue il senatore VIZZINI - fa espresso riferimento alla delega di cui all'articolo 1, comma 5, della legge 5 giugno 2003, n. 131, dichiarato - come in precedenza ricordato - incostituzionale dalla Consulta. La norma in esame ha perso così il suo fondamento, pur dovendosi sottolineare come essa sia stata approvata dal Consiglio dei ministri (7 maggio 2004) prima della pronuncia (13 -28 luglio 2004). Non perciò solo la materia, tuttavia, perde di rilievo. Piuttosto, la riserva allo Stato di materie, o l'esclusione dall'ambito di operatività dello schema in esame, sembrano non praticabili seguendo l’orientamento della Corte costituzionale (sentenza 26 maggio 1981, n. 70 e sentenza 16 aprile 1982, n. 71) secondo cui i principi devono riguardare il modo di esercizio della potestà legislativa regionale, e non possono comportare l'inclusione o l'esclusione di singoli settori della materia dall'ambito di essa.
Se appare fondato ritenere che le Regioni non abbiano titolo per intervenire, ad esempio, in materia di esame di Stato o di ordini professionali con struttura di ente pubblico statale, dubbio è invece se il decreto in esame costituisca la sede più idonea per stabilirlo.
Tuttavia va nuovamente ricordato che la Corte costituzionale, con la già citata sentenza 12 dicembre 2003, n. 353, ha affermato un principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, debba essere riservata allo Stato. Alla luce di esso va valutata la fondatezza di quanto disposto dalla lettera b dell'articolo 7, che riserva allo Stato la disciplina concernente l’individuazione delle figure professionali intellettuali ed i relativi ordinamenti didattici: semmai si potrebbe osservare che il principio enunciato dalla Corte ha una portata non limitata alle sole professioni intellettuali, anzi, riguarda le professioni in genere con specifico, ulteriore riferimento, alle professioni sanitarie.
La materia trattata dallo schema di decreto nel suo complesso appare delicata e di rilievo, anche alla luce dello strumento normativo in esame, che non è espressione della pienezza dell'esercizio della funzione legislativa, ma del cammino strettamente indicato dai principi e dai criteri di delega.
Tutto ciò premesso - conclude il presidente VIZZINI - si ritiene opportuno riservare ad altra seduta la formulazione di una proposta su questi temi, alla luce di quanto esposto e del dibattito che ne potrà scaturire, in questa ed in altre sedi. Occorrerà altresì rispettare la lettura minimale richiesta dal recente pronunciamento della Corte costituzionale, ma evitare nel contempo che il risultato sia una scrittura sostanzialmente incapace di orientare l'iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni, come prescrive l'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
Il presidente VIZZINI invita successivamente il rappresentante del Governo – che ringrazia per la presenza ai lavori della Commissione – ad esprimere il proprio punto di vista sull’atto del Governo di cui la Commissione inizia l’esame nella seduta odierna.

Il ministro LA LOGGIA, dopo la chiara esposizione del Presidente che ha riferito sullo schema di decreto legislativo di ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, che dichiara di condividere, sottolinea l’importanza di individuare soluzioni legislative soddisfacenti e corrette dal punto di vista tecnico-costituzionale.
Dopo aver ricordato come la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 ha individuato un considerevole numero di materie concorrenti, ripercorre le fasi del dibattito parlamentare che ha fatto registrare una assai ampia convergenza nella formulazione dell’articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131, finalizzato a dare attuazione all’articolo 117, primo e terzo comma, della Costituzione, in materia di legislazione regionale. Si è perseguito e raggiunto, in sostanza, l’obiettivo di individuare gli strumenti tecnici atti ad assicurare sia allo Stato sia alle Regioni il risultato di non invadere reciprocamente il campo delle rispettive competenze.
Esprime pieno rispetto nei confronti della sentenza della Corte costituzionale n. 280, pronunciata nel luglio scorso, che ha, tra l’altro, dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 5 e 6 dell’articolo 1 della legge predetta e che ha sottolineato le finalità meramente ricognitive dell’individuazione dei principi fondamentali di cui al comma 4 dello stesso articolo. Tiene a precisare che il Governo ha da sempre perseguito questa stessa linea.
Fatto riferimento alle possibili diverse interpretazioni dottrinali cui la delicata materia si presta, insiste sulla dichiarata intenzione del Governo di limitarsi a delineare con ogni possibile chiarezza i principi fondamentali che possono essere ricavati dalla normativa vigente, al fine di facilitare l’attività legislativa sia statale sia delle sedi decentrate e con lo scopo di assicurare un quadro di certezze e di ricognizione di confini utili all’attività legislativa ed agli operatori del diritto chiamati, a diverso titolo, a dirimere possibili controversie.
Nel pieno rispetto del pronunciamento della Corte, invita i Gruppi parlamentari della maggioranza e dell’opposizione ad individuare – sullo schema di decreto legislativo oggi all’esame della Commissione parlamentare per le questioni regionali, e sui numerosi altri schemi che il Governo si appresta a trasmettere al Parlamento – le soluzioni tecniche più chiare e più coerenti al quadro costituzionale di riferimento. Ritiene che questo approccio possa realmente lasciare da parte i temi della polemica politica tra gli schieramenti, tenuto conto della peculiarità di una materia come quella all’esame.
Riassume successivamente l’alto valore degli apporti dei centri di ricerca e di studio ai quali il Governo ha affidato l’approfondimento delle soluzioni proposte; ripercorre infine le prime fasi già compiute in ordine allo schema di decreto all’esame e quelle che sono previste nell’immediato futuro dopo i primi pronunciamenti delle diverse Commissioni in questo stadio di elaborazione della normativa.

Il presidente VIZZINI ringrazia il ministro La Loggia per le precisazioni e gli elementi di approfondimento forniti.
Si apre un dibattito.

L’onorevole BOATO, premesso di svolgere un primo intervento sui temi generali posti dal provvedimento e riservandosi di intervenire nuovamente sullo schema di parere che sarà proposto all’esame della Commissione nei prossimi giorni, riconosce al relatore, presidente Vizzini, di aver impostato la propria relazione con un metodo assolutamente corretto. Sottolinea altresì l’esigenza, condivisa anche dal rappresentante del Governo, di non mettere in discussione le decisioni della Corte costituzionale sulla delicata materia regolata dall’articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131, anche se concorda con l’opinione di quanti ritengono che il rispetto dei pronunciamenti della Corte costituzionale non esclude l’utilità di un dibattito e di un approfondimento sulle soluzioni individuate.
Definisce un compito difficile quello di inserirsi proficuamente in un quadro normativo che è in formazione nella dibattuta materia dei confini delle competenze tra Stato e Regioni: occorre infatti tenere conto, da un lato, del procedimento di formazione della legislazione delegata di cui all’articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131 – di cui lo schema oggi all’esame è un primo esempio – dall’altro lato, più in generale, delle soluzioni in materia di decentramento degli atti normativi in discussione alla Camera dei deputati in questi giorni, in sede di riforma della seconda parte della Costituzione.
Riferendosi alla relazione del Presidente e soffermandosi brevemente sullo schema di decreto agli articoli 2, 4 e 5, conclude rilevando come la relazione rappresenti un approccio condivisibile al lavoro comune in sede di parere sulla delicata materia delle professioni, dichiarandosi disponibile ad operare scelte convergenti al riguardo.

Il senatore GUERZONI ringrazia il relatore, presidente Vizzini, per l’utile apporto costituito dalla sua relazione e si riserva di valutare lo schema di parere che sarà successivamente illustrato per poter offrire il contributo della propria parte politica più nel dettaglio sui singoli articoli. Per il momento si limita ad evidenziare alcune osservazioni sullo schema di decreto legislativo, preannunciando una posizione di astensione della sua parte politica avuto riguardo, da un lato, ad una preoccupazione di carattere generale, poiché l’impostazione complessiva dello schema di provvedimento non assicura uno spazio sufficiente alle sedi decentrate ed in particolare alle Regioni autonome ed alle Province autonome di Trento e Bolzano; dall’altro lato, illustra alcune specifiche perplessità sulla formulazione degli articoli 2, comma 1, e 3 dello schema di decreto. In particolare, critica la formulazione del comma 1 dell’articolo 2, che disciplina la libertà professionale. Si dichiara altresì molto perplesso sulla formulazione della norma di cui alla seconda parte del primo comma dello stesso articolo, là dove si prevede che le Regioni non possano adottare provvedimenti che ostacolino l’esercizio della professione. Anche sull’articolo 3, che disciplina la tutela della concorrenza e del mercato, formula rilievi specifici, tenuto conto dei principi che regolano la circolazione degli operatori professionali nei Paesi dell’Unione europea, nonché del principio della reciprocità del riconoscimento dei titoli professionali acquisiti dai cittadini dell’Unione e dai cittadini dei Paesi terzi.

Il senatore LAURO esprime vivo apprezzamento per il metodo, aperto al contributo di tutti i Gruppi parlamentari, seguito dal presidente Vizzini nella sua relazione; condivide altresì l’intervento del ministro La Loggia.
Formula una osservazione di carattere generale che prende le mosse da quanto stabilito dal recente Consiglio europeo di Lisbona, volto a privilegiare la crescita del patrimonio di conoscenze in tutto il territorio dell’Unione. Con riferimento all’articolo 4 dello schema di decreto legislativo, dedicato alla formazione professionale, ritiene necessario superare i troppi vincoli che ancora comprimono l’espansione delle notevoli professionalità presenti su tutto il territorio del Paese, attraverso una piena liberalizzazione delle condizioni che favoriscano la crescita della formazione professionale.

Il presidente VIZZINI ringrazia nuovamente il ministro La Loggia ed i Commissari intervenuti, rinviando ad una prossima seduta il seguito del dibattito iniziato e l’esame di uno schema di parere sul documento in titolo.

La seduta termina alle ore 15,40.