COMMISSIONE PARLAMENTARE PER LE QUESTIONI REGIONALI

MARTEDÌ 9 NOVEMBRE 2004


84a seduta

Presidenza del Presidente
Carlo VIZZINI



Interviene il ministro per gli affari regionali La Loggia.

La seduta inizia alle ore 14,30.



IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO

Schema di decreto legislativo di ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi della legge 5 giugno 2003, n. 131. (n. 399)
(Parere al Ministro per i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131. Seguito e conclusione dell’esame. Parere favorevole con osservazioni)

Prosegue l’esame dell’atto del Governo in titolo, sospeso nella seduta del 28 settembre.
Il relatore, presidente VIZZINI, esordisce ricordando come in quella occasione la Commissione per le questioni regionali avesse ritenuto opportuno riservare ad altra seduta la formulazione di una proposta di parere, alla luce, soprattutto, del dibattito che sarebbe potuto scaturire in altre sedi, fermo restando il rispetto della "lettura minimale" richiesta dal recente pronunciamento della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 280 del 2004.
Al momento, non tutte le sedi competenti si sono ancora pronunciate.
Oggetto del dibattito presso le altre Commissioni parlamentari coinvolte nell'esame dello schema di provvedimento del Governo in titolo è stato, per la verità, più l'effetto della citata sentenza della Corte costituzionale sul corpo dispositivo del decreto, che non l'individuazione, nel merito, dei principi fondamentali in materia di professioni. Ciò che soprattutto pare confermato è che vi siano ancora - anche dopo l'intervento della Consulta - le condizioni per approvare un decreto in attuazione della delega, ma che questo possa solo essere "minimale".
Le Commissioni Affari costituzionali della Camera e del Senato hanno invitato le Commissioni di merito ad una serie di riflessioni, tutte sostanzialmente discendenti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2004.
È comune la convinzione che l'articolo 7, recante l'individuazione degli ambiti di disciplina di competenza esclusiva statale, vada soppresso in relazione a quel pronunciamento. A ciò si aggiunge - da parte della I Commissione della Camera dei deputati - una riflessione sull'opportunità di una eventuale ridefinizione dell'ambito di applicazione del provvedimento, tenuto conto, comunque, dell'esigenza di non procedere, neanche indirettamente, ad una attività di definizione delle materie riservate alla competenza, esclusiva o concorrente, dello Stato e delle Regioni. La 1a Commissione del Senato ha ritenuto, peraltro, non solo legittimo ma estremamente opportuno in considerazione dell’ampiezza della materia e della molteplicità di fonti che la regolano, che il legislatore delegato delimiti il campo dell'intervento operato, stabilendo che il decreto legislativo in esame non riguarda una serie di settori sommariamente individuati nelle materie relative alle professioni intellettuali, in quanto rientranti nella materia "ordinamento civile", agli Ordini e collegi professionali, in quanto enti pubblici non economici nazionali, alla rilevanza penale dei titoli professionali, per la quale viene in rilievo la competenza legislativa esclusiva statale, alle abilitazioni, riconducibili alle norme generali sull'istruzione, nonché rientranti nel disposto dell'articolo 33, quinto comma, della Costituzione. La Commissione Affari costituzionali del Senato segnala altresì l'opportunità di specificare che dall'intervento normativo in esame è inoltre esclusa ogni altra materia anche di competenza regionale. La sede per una tale determinazione è prevista nell'articolo 1, che individua i limiti di contenuto del decreto, in quanto stabiliti da altre fonti (secondo e terzo comma).
La 1a Commissione del Senato invita anche a segnalare al Governo l'opportunità di una serie di specifiche modificazioni. All’articolo 1, comma 1, sopprimendo la parola "regolamentate" ed il riferimento al comma 6 dell'articolo 1 della legge di delega; all'articolo 3, ricollocandone il contenuto dispositivo nell'articolo 1, con il conseguente coordinamento con la proposta precedente circa l'ambito di esclusione delle professioni intellettuali, semmai aggiungendo, per rendere completo il riferimento comunitario, l'espressione: "fatte salve le esclusioni e le deroghe previste dalla stessa normativa comunitaria"; all’articolo 4, sostituendo al "rilascio di titoli" il "riconoscimento dei titoli"; ed il termine "standard" con "omogenei" o "analoghi" o "minimi"; alla rubrica dell'articolo 4 che si riferisce incongruamente alla "formazione professionale"; all'articolo 5, riferendo il disposto all'"esercizio delle attività" e non alle "attività"; all'articolo 6, meglio ridefinendo il termine "deontologici".

Le Commissioni di merito della Camera e del Senato non hanno ancora espresso il parere al Governo - ciò che potrebbe avvenire tra oggi e domani 10 novembre - ma il dibattito già svoltosi alla Camera dei deputati sembra suggerire un primo orientamento favorevole alla soppressione dell'articolo 7 dello schema di decreto.
Poiché, dunque, a parte i dati già illustrati relativi al lavoro delle Commissioni Affari costituzionali dei due rami del Parlamento, non sarà possibile avvalersi approfonditamente dell'esito dei lavori delle Commissioni congiunte - cui è stato pure deferito l'esame del testo –il relatore, presidente VIZZINI, ritiene opportuno definire, da subito, un orientamento nella Commissione per le questioni regionali, per quanto di competenza, sulla base di quanto al momento disponibile e di quanto, in questa stessa sede, è stato dibattuto dopo la relazione e l'intervento del Ministro per gli affari regionali.
Propone pertanto un parere del seguente tenore:

“La Commissione parlamentare per le questioni regionali, esaminato lo schema di decreto legislativo in titolo; visto l’articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131;

tenuto conto che la sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 13 luglio 2004 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 5 e 6 e non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma 4, in relazione al quale ha ritenuto emerga “una prescrizione normativa, che giustifica una lettura minimale della delega ivi disposta, tale comunque da non consentire, di per sé, l'adozione di norme delegate sostanzialmente innovative";

considerata la perdurante importanza di attuare la delega contenuta nell'articolo 1, comma 4, della legge n. 131 del 2003, finalizzata ad "orientare l'iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni";

ritenuta l'importanza di attenersi - fin dall'esame dello schema di decreto in materia di professioni - ad indirizzi assolutamente compatibili non solo con oggetto, principi e criteri della delega, ma altresì con la lettura sancita dalla Corte costituzionale, e ciò anche per definire un metodo che possa proficuamente indirizzare e velocizzare il futuro esame di altri testi presentati dal Governo in attuazione dell'articolo 1, comma 4, della citata legge n. 131, testi che - seppure diversi per materia - potranno verosimilmente avvalersi di un metodo omogeneo di ricognizione;

osserva pertanto, preliminarmente, che:

il limite dei principi fondamentali potrebbe essere distinto da quello dei “principi dell’ordinamento giuridico”, vale a dire quelli che attengono strettamente a valori costituzionali supremi e, soprattutto, contengono criteri direttivi così generali da abbracciare svariati e molteplici campi di attività materiali. Essi, consistendo in “quegli orientamenti e quelle direttive di carattere generale e fondamentale che si possono desumere dalla connessione sistematica, dal coordinamento e dalla intima razionalità delle norme che concorrono a formare, in un dato momento storico, il tessuto dell’ordinamento giuridico vigente”, devono essere desunti dall’insieme delle norme alle quali si informa il sistema complessivo, mentre i principi che delimitano il potere di legislazione concorrente delle Regioni vanno individuati nelle specifiche legislazioni di settore. (sentenze n. 6 del 1956, n. 68 del 1961, n. 87 del 1963, n. 28 del 1964, n. 23 del 1978, n. 91 del 1982, n. 231 del 1984, n. 1107 del 1988 e n. 465 del 1991). Pare pertanto opportuno - data la generale validità dei principi dell'ordinamento specie quando rivestono rilievo costituzionale - limitare la loro riaffermazione alle sole fattispecie nelle quali la loro applicazione si qualifica particolarmente nel contesto della materia trattata – ossia le "professioni" – nell'atto in esame.

I limiti costituzionali all'esercizio della funzione legislativa - quali quelli contenuti nell'articolo 117, primo comma, tra cui i vincoli dell'ordinamento comunitario - si impongono di per sé, al legislatore statale come a quello regionale, e non costituiscono pertanto principi fondamentali che - tipicamente - il legislatore statale pone al legislatore regionale. La non menzione di tali vincoli nel decreto ricognitivo - ai sensi della legge di delega - non implica pertanto l'inoperatività di vincoli che si impongono per forza loro propria.

I principi fondamentali non hanno solo natura di limite – significativamente è stato modificato al riguardo il testo originario dell’articolo 117 - ma anche di indirizzo. In altre parole, non indicano solo al legislatore regionale le strade eventualmente precluse, ma anche quelle verso cui indirizzarsi. Non necessariamente, tuttavia, un principio fondamentale deve indirizzarsi alla Regione, ben potendo costituire l’affermazione di un dovere riferita non ad un soggetto, ma ai comportamenti che attengono la materia trattata.

Ciò premesso, nei seguenti termini riferiti all'articolato dello schema di decreto legislativo delegato, valuti il Governo l'opportunità di:

all'articolo 1, comma 1, procedere alla soppressione delle seguenti parti di testo: "che si desumono dalle leggi vigenti" e "regolamentate", al fine di evitare eventuali fraintendimenti circa un possibile minor ambito di efficacia del disposto del decreto delegato, a sua volta interpretabile come una definizione di materie, un obiettivo escluso dalla pronuncia della Corte costituzionale;

all'articolo 1, comma 1, procedere alla soppressione del riferimento al comma 6 della dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131, in relazione alla soppressione operata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2004;

all'articolo 1, comma 2, limitare la formulazione al rilievo che "nell’esercizio della competenza legislativa in materia di professioni, le Regioni sono tenute al rispetto dei principi fondamentali di cui al capo secondo, nonché a quelli propri delle materie concorrenti nelle quali si esercita l'attività professionale" e ciò sia perché - per la parte di cui si propone la soppressione - gli altri limiti ex articolo 117, primo comma, della Costituzione, si impongono per forza loro propria (a parte il rilievo che di uno di essi la riforma in discussione presso le Camere propone la eliminazione), sia perché - per la parte aggiunta - la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale evidenzia il nesso tra attività professionale e materia, che ne è oggetto, e la prima non sembra non poter subire i limiti cui è sottoposta la seconda, se e quando pertinenti;

all'articolo 1, sostituire il comma 3 con il seguente testo "La competenza legislativa regionale in materia di professioni si esercita sulle figure professionali individuate e definite dalla legge statale". Tale formulazione riprende il medesimo contenuto di cui al comma 3 sostituito, esprimendolo sotto forma di principio fondamentale sul presupposto che il limite all'esercizio della funzione legislativa regionale - individuato dallo stesso insegnamento della Consulta contenuto nella sentenza n. 353 del 2003 già citata nella relazione sul provvedimento - possa essere esteso oltre l'ambito delle sole professioni sanitarie (limitazione dovuta al merito della specifica questione dedotta, non alla portata del principio) e ricomprendere tutte le professioni;

all'articolo 2, comma 1, limitare la portata del disposto del primo periodo alla parte "L'esercizio della professione è tutelato in tutte le sue forme e applicazioni", togliendo “purché non contrarie a norma imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume" e ciò perché il merito dell'affermazione appare già assicurato dai principi ordinamentali di carattere generale;

all'articolo 2, commi 2 e 3, sostituire il testo con il seguente: "Una specifica disciplina regionale a tutela di interessi la cui cura é affidata alla Regione o per i quali abbia rilievo preminente la conoscenza dell'ambiente o del territorio, o necessariamente e razionalmente correlati a peculiari esigenze locali, deve in ogni caso assicurare la parità di trattamento in materia di lavoro e la libertà di iniziativa economica". I testi sostituiti, nel contenere solo parte delle disposizioni di origine comunitaria in materia di discriminazione, potrebbero avere effetti limitativi della loro piena applicazione, della quale non si dubita. Il testo di cui si propone l'inserimento consente - alla luce di pronunce della giurisprudenza costituzionale in materia - ad una Regione di poter dettare norme particolari quando giustificate da situazioni particolari, ma sempre alla luce dei principi di uguaglianza e ragionevolezza;

all'articolo 3, sostituire il testo con il seguente: "L'attività professionale si svolge nel rispetto dei principi di tutela della concorrenza e della libera circolazione dei servizi, secondo quanto stabilito in materia dalla legge dello Stato in conformità alle disposizioni dell'Unione europea", al fine di evitare di trattare in termini di eccezione - in una sede particolare e "minimale" come quella ricognitiva dei principi fondamentali - una questione complessa come quella relativa alla piena equiparazione dell'attività professionale a quella d'impresa, limitandosi a rinviare sostanzialmente a quanto stabilito in materia dalla legge dello Stato in conformità alle disposizioni dell'Unione europea, comprese le esclusioni e le deroghe previste dalla stessa normativa comunitaria;

all'articolo 4, sostituire il testo con il seguente: "Il titolo rilasciato da una Regione nel rispetto dei livelli minimi uniformi di preparazione stabiliti dallo Stato abilita all'esercizio delle relative attività professionali, anche al di fuori dei limiti territoriali della Regione stessa, salvo quanto previsto dall'articolo 2, comma 3" e ciò al fine di riformulare il disposto sostituito in termini più ampi di quelli previsti dal testo originale, ampliando il valore e la portata dei livelli minimi stabiliti dallo Stato;

all'articolo 5, sostituire il testo con il seguente: "L'esercizio di attività professionali che richiedono una specifica preparazione deve avvenire nel rispetto delle condizioni e dei requisiti definiti dalla legge statale, quando attiene a materie attribuite alla competenza dello Stato, al fine di ancorare il principio alle “materie” e non alle più incerte "finalità", e di riferirlo all'esercizio delle attività, piuttosto che alle attività;

agli articoli 4 e 5 unificare i due testi proposti in un unico articolo 4, composto da due commi, unificati dalla medesima rubrica: "livelli minimi di preparazione";

all'articolo 6, sostituire il testo con il seguente: L'esercizio delle attività professionali si svolge nel rispetto dei principi relativi alla tutela della buona fede, dell'affidamento del pubblico e della clientela, degli interessi pubblici, all'ampliamento ed alla specializzazione dell'offerta dei servizi, all'autonomia, indipendenza e responsabilità del professionista", al fine di riferirsi - come già osservato nel punto precedente - all'esercizio delle attività, nonché di includere profili tipici della figura del professionista, escludendo invece il riferimento al sistema deontologico, nell'ipotesi in cui sia preferibile mantenerlo in un ambito extra-legislativo, secondo un principio di separazione;

all'articolo 7, sopprimere il testo in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2004, evitando nel contempo, in sede di definizione minimale di principi, di effettuare esclusioni o attribuzioni di competenza, ed inserire, al suo posto: “Il presente decreto si applica alle Regioni ed alle Province autonome compatibilmente con le norme dei rispettivi Statuti speciali e relative norme di attuazione, ferma restando l'applicazione dell'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Appare d'altronde opportuno considerare espressamente la posizione delle Autonomie speciali in rapporto ad una materia la cui attribuzione regionale presenta - anche per esse - caratteri di novità.

Per quanto concerne gli aspetti relativi alla competenza dello Stato su materie che incidono sulle professioni, da una parte non si dubita dell'incompetenza per le Regioni di intervenire - tra le altre - nelle materie relative alle professioni intellettuali, agli Ordini e collegi professionali, alla rilevanza penale dei titoli professionali, in quanto rispettivamente attinenti all'ordinamento civile e penale ed alla materia degli enti pubblici nazionali.
D'altra parte vi è il timore che, pur adempiendo ad una esigenza opportunamente rilevata, individuando l’ambito di applicazione del provvedimento, in riferimento alla materia “professioni” prevista all’articolo 117, terzo comma, si possa finire per compiere una indiretta ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni.
Una possibilità potrebbe essere individuata nel premettere, all'articolo 1, comma 3, il seguente testo: "Fermo restando quanto disposto per le professioni intellettuali in relazione all'ordinamento civile e penale...". Tale formulazione si ispira all'insegnamento che risulta dalla sentenza n. 353 del 2003 della Corte costituzionale - secondo cui un principio fondamentale ben può consistere in una riserva statale quando essa, evidentemente, ponga limiti alla competenza regionale - chiarendo così le conseguenze, per l'esercizio della funzione legislativa regionale, dell'inclusione delle professioni intellettuali nell'ordinamento civile.

Il Governo potrebbe infine valutare, al riguardo, l'inserimento di una specifica norma che, circoscrivendo correttamente l'ambito di applicazione del provvedimento ed escludendo quei settori che - pur incidendo sulle professioni - rientrino in una competenza statale, sia di guida alle Regioni per un esercizio della funzione legislativa che sia rispettoso di ciò che la Costituzione riserva allo Stato”.

Interviene il ministro per gli affari regionali, senatore LA LOGGIA. Espresso apprezzamento per il documento testé illustrato dal relatore, presidente Vizzini, assicura che il Governo terrà presenti le osservazioni provenienti dalle numerose sedi parlamentari chiamate ad esprimere il proprio parere, ai sensi dell’articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131. Ricordata la procedura di consultazione prevista dalla norma citata, sottolinea che, nella fase successiva, spetterà alla Commissione parlamentare per le questioni regionali di pronunciarsi nuovamente sulla delicata materia dei principi fondamentali concernenti le professioni.

Il parere, posto ai voti, risulta approvato.


SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE

Il PRESIDENTE avverte che la riunione convocata per domani, mercoledì 10 novembre, alle ore 14,30, non avrà luogo.