COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA

sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa
o similare

MARTEDÌ 28 Maggio 2002

17ª Seduta

Presidenza del Presidente

Roberto CENTARO


        La seduta inizia alle ore 10.

Seguito della discussione, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera e), della legge 19 ottobre 2001, n. 386, sulle modifiche normative in tema di appalti di opere pubbliche (atto Senato n. 1246) con riguardo ai pericoli di condizionamento e inquinamento di origine mafiosa

        Riprende la discussione, sospesa nella seduta del 13 maggio.
        

Introduce il dibattito il PRESIDENTE. Ha quindi la parola il senatore BOBBIO il quale ricorda i punti approfonditi nelle sedute scorse con riguardo al subappalto, al ruolo dell’Osservatorio delle opere pubbliche, al regime delle qualificazioni delle imprese, alla situazione dei cantieri. Egli illustra infine un testo di sintesi della discussione.
        

Seguono interventi del deputato LUMIA (che si sofferma sulla necessità di rafforzare l’Osservatorio delle opere pubbliche e di ridurre il numero delle stazioni appaltanti, esprimendo altresì apprezzamento per il lavoro svolto dalle Procure della Repubblica e in particolare dalla Procura di Palermo), del senatore VERALDI (il quale raccomanda di seguire gli sviluppi normativi con attenzione ai rischi di infiltrazione criminale nelle procedure d’appalto), del senatore NOVI (che richiama l’attenzione sulla realtà dei cantieri e sul pericolo che siano svuotate, nella prassi, normative pur rigorose), del vice presidente CEREMIGNA (che esprime una valutazione positiva sulla discussione e sulla definizione, che si è così operata, di priorità ben precise), del senatore VIZZINI (che formula osservazioni sull’azione delle regioni, anche a statuto speciale, al fine di istituire organismi regionali e provinciali cui affidare il ruolo di stazioni appaltanti).
        

Dopo una precisazione del PRESIDENTE sulle competenze delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano in materia di lavori pubblici, la vice presidente Angela NAPOLI auspica che la Commissione prosegua nel lavoro intrapreso ed auspica che il documento di sintesi sia adeguatamente considerato nel lavoro delle Camere.

        Il senatore BOBBIO, nel prendere atto delle ulteriori indicazioni emerse, dà lettura del documento di sintesi degli interventi svolti.

        Il tema degli appalti in materia di opere pubbliche rappresenta uno degli aspetti centrali della legislazione per quel che riguarda l’attività di contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dell’economia. La Commissione ha chiaramente presente quale sia la situazione di pericolo, più o meno concreto, di inquinamento, da parte della criminalità organizzata, del settore delle concessioni, in appalto e subappalto nel settore dei lavori pubblici e, nello svolgere i propri lavori, è partita dalla presa d’atto, unanimemente condivisa, che parte delle modifiche che si vorrebbero introdurre nella legislazione vigente potrebbe dare luogo a conseguenze non congrue con la finalità generale della normativa che è quella di tenere la realtà degli appalti isolata rispetto alle pressioni continue e insidiose di una criminalità organizzata che certamente guarda con eccezionale attenzione alla materia. È, quindi, forte la preoccupazione della Commissione che il testo dell’atto Senato 1246, come modificato ed approvato dalla Camera, introduca un sostanziale abbassamento della soglia di controllo al fine del contrasto alla criminalità organizzata, aumentando e frammentando le possibilità di subappalto, restringendo il ruolo dell’Osservatorio delle opere pubbliche, modificando il regime delle qualificazioni e mantenendo i cantieri in una condizione di sostanziale deficit di tutela.

        La Commissione, preliminarmente, rileva altresì la centralità del tema relativo al numero delle stazioni appaltanti la cui riduzione viene da più parti indicata (si vedano da ultimo il Procuratore nazionale antimafia dott. Vigna e le relazioni della Commissione d’inchiesta sulla mafia della XIII legislatura) come lo strumento principale per ridurre le possibilità di infiltrazione criminale.

        Tali constatazioni, nascenti dalla lettura coordinata del testo normativo in relazione alla realtà quale si manifesta sul territorio nonché alle osservazioni e valutazioni tecniche proposte da più parti, tutte variamente qualificate, conducono la Commissione alla formulazione delle seguenti valutazioni ed osservazioni che dovrebbero ispirare i lavori delle Camere.

        In primo luogo, da un punto di vista generale appare indispensabile affrontare la tematica, fino ad oggi non adeguatamente compresa, del controllo e della messa in sicurezza dei cantieri ove si svolgano lavori in subappalto. È, questo, un aspetto della materia estremamente preoccupante: è proprio nella gestione dei cantieri che si realizza, di fatto, il momento di crisi del sistema, posto che la migliore delle normative, disegnata in chiave di prevenzione delle infiltrazioni nel settore dei subappalti, vede vanificati tutti i suoi effetti da un contesto cantieristico nel quale, per assenza di controlli, le organizzazioni criminali, aventi il dominio ferreo del territorio, possono recuperare in termini di presenza tutto quel che può essere stato loro sottratto nel momento della partecipazione diretta al subappalto. Infatti, quand’anche si riesca ad evitare che alla gara possa partecipare un impresa mafiosa, l’impresa sana che abbia acquisito il subappalto si troverà a dover operare in realtà territoriali che, di fatto, la assoggetteranno alla pressione invasiva della criminalità operante sul territorio. Si intende, in particolare, far riferimento al sistema secondo il quale l’impresa subappaltatrice operante in territori ad alto indice di criminalità non è libera di attingere, sia per quel che riguarda i materiali sia per quel che concerne la manodopera, ad un mercato gestito in termini di libera concorrenza, ma deve forzatamente rivolgersi a imprese mafiose o a ditte mafiose che detteranno, operando in regime di sostanziale monopolio, prezzi e condizioni con cui ricavare il massimo del guadagno, innescando, peraltro, meccanismi di crisi economica e gestionale all’interno delle ditte appaltatrici, con gravi ricadute per la qualità delle opere e la stessa sicurezza del lavoro nei cantieri. La concreta gestione dei cantieri appare, quindi, un momento veramente qualificante nella definizione di un meccanismo generale che tenda ad intervenire non solo sul momento preventivo della partecipazione alla gara, ma anche su quello successivo della concreta gestione dell’appalto e del subappalto, operando, in tal modo, una sorta di «blindatura» dell’opera. È un dato di fatto incontrovertibile che, a tutt’oggi, gli interventi sui singoli cantieri si riducono al momento repressivo statale legato, comunque, all’incardinamento di indagini che nascono, a loro volta, o da iniziative della polizia giudiziaria o da denunce degli imprenditori, ma, sempre e comunque, da fatti specifici. Le imprese si trovano quindi, di fatto, ad operare la gestione dei cantieri in condizioni di sostanziale abbandono ed isolamento, con esposizione continua alle pressioni dell’ambiente criminale. Sarebbe, pertanto, indispensabile prevedere una struttura di monitoraggio e controllo permanente dei cantieri di appalto e subappalto dal loro sorgere fino alla loro chiusura, in modo da assicurare un controllo cautelativo, visibile e noto, non solo sulla concretezza della vita del cantiere (chi entra in cantiere e per quali ragioni, rispetto delle normative antinfortunistiche, previdenziali e contributive), ma anche sui rapporti di mercato che l’impresa gestore del cantiere venga ad intrattenere con la realtà imprenditoriale operante sul territorio. Tale attività di reale e fattiva prevenzione potrebbe essere realizzata mediante la creazione di una struttura centrale articolata sul territorio secondo lo schema dell’agenzia e, pur non rappresentando una certezza in termini di soluzione del problema, costituirebbe un ulteriore, potente fattore di controllo e di deterrenza. La situazione è tale ed il problema è così vasto ed articolato che lo Stato non può più fare affidamento esclusivamente sulle poche denunce provenienti dagli imprenditori, che riflettono una minima percentuale rispetto alla vastità del fenomeno.
        Quanto all’articolo 7, comma 1, lettera
a), numero 3), appare necessario procedere a una verifica modificativa del testo. La norma infatti prevede, nella sua formulazione vigente, una struttura centrata sul dovere in capo alle amministrazioni aggiudicatrici di prevedere nel bando l’obbligo per il concessionario di appaltare a terzi una percentuale non inferiore al 40 per cento dei lavori. Il testo dell’articolo 7 prevede invece che a tale previsione sia sostituita, con un significativo e, si ritiene, utile e necessario, cambio di struttura normativa, la semplice facoltà, per le amministrazioni aggiudicatrici, di imporre al concessionario, in via contrattuale, di affidare a terzi una percentuale di appalti non inferiore al 30 per cento non già dei lavori bensì del valore globale dei lavori oggetto della concessione. Tale mutamento normativo, in questa sua prima parte, appare certamente corretto nella prospettiva di uscire da una sorta di ricorso obbligato a soggetti estranei al rapporto concessorio, verosimilmente concepito con fini occupazionali ma sostanzialmente pericoloso nella sua rigidità, con il riconoscimento, invece, alle amministrazioni di una discrezionalità tale da consentire un utilissimo apprezzamento delle circostanze ambientali, lavorative, economiche, nonché riducendo in maniera significativa, in termini percentuali, le possibilità di ingresso da parte di terzi indesiderabili nella gestione della concessione. Tale disposizione si coordina con l’ulteriore facoltà per l’amministrazione aggiudicatrice, prima di procedere all’assegnazione della concessione (e quindi nella fase della gara) di invitare i candidati concessionari a dichiarare nelle loro offerte la percentuale del valore globale dei lavori che essi intenderebbero affidare in appalto ai terzi, ben potendo, nella previsione normativa, tale percentuale, in ragione dell’inciso «ove sussista», essere anche pari a zero. Il sistema che ne emerge è, come si vede, strutturato su un riconoscimento finale e generale di assai ampia discrezionalità in capo all’amministrazione. Tale miglioramento normativo trova però una previsione non armonica in quella parte della disposizione che consente all’amministrazione aggiudicatrice di prevedere nel contratto di concessione la facoltà per il concessionario di aumentare successivamente e discrezionalmente ottenuta la concessione la percentuale dei lavori da affidare in appalto. Sul punto si rileva che una tale facoltà suonerebbe certamente eccessiva attesa la sua assoluta indeterminatezza, sia in termini quantitativi che in riferimento a requisiti e condizioni di tale aumento, con la conseguenza di innescare possibili fenomeni, incontrollabili, di inquinamento criminale. Sarebbe opportuno pertanto sopprimere l’inciso rappresentato dalle parole «pur prevedendo la facoltà per i candidati di aumentare tale percentuale».
        In merito all’articolo 7, comma 1, lettera
b), relativo alla sostituzione all’articolo 4 comma 17 della legge n. 109 del 1994 delle parole «centocinquantamila ecu» con le parole «cinquecentomila euro», si ritiene opportuno, per evidenti ragioni prudenziali, ridurre la seconda cifra a centocinquantamila euro, anche in considerazione della necessità di evitare sostanziali vanificazioni degli scopi della normativa. Allo stesso modo, e per le stesse ragioni cautelari, si ritiene opportuno suggerire di sopprimere nella disposizione in questione le parole da «Per i lavori pubblici di importo compreso» fino alla fine della lettera, che, se mantenute, finirebbero col vanificare, di fatto, la funzione dell’Osservatorio dei lavori pubblici dal cui ambito di sostanziale conoscenza verrebbe esclusa una quantità rilevante di lavori pubblici, con un deficit di conoscenza che potrebbe risultare estremamente dannoso nel quadro del contrasto alle infiltrazioni criminali in tema di lavori pubblici.
        In ordine alla lettera
c) del comma 1 dell’art. 7, si rileva che la disposizione aggiuntiva non appare accettabile nella misura in cui varrebbe a conferire alle regioni una facoltà di elevare negli appalti di loro competenza il livello dei lavori per i quali non è richiesta la qualificazione ancorché tale facoltà sia ulteriormente limitata dal tetto massimo di duecentocinquantottomila duecentoventotto euro. Tale norma appare incongrua rispetto al sistema generale della normativa perché finirebbe con l’essere in distonia, nel settore di competenza regionale, con le linee ispiratrici della legislazione nazionale creando una ingiustificata possibilità di pericolo nello schema generale di salvaguardia dei lavori pubblici dalle infiltrazioni della criminalità organizzata.
        Relativamente al numero 3 della disposizione in questione si suggerisce la soppressione della norma che prevede il nuovo testo della lettera
g). Tale ritorno al testo vigente si manifesta necessario al fine di evitare un indebolimento delle società di qualificazione che, avendo già pianificato la loro attività su un termine di tre anni per la durata dell’efficacia della qualificazione, verrebbero a trovarsi in gravi difficoltà operative cui ben difficilmente si potrebbe porre rimedio con la previsione, a fronte di una nuova durata della qualificazione su base quinquennale, di una verifica entro il terzo anno del mantenimento dei requisiti. Invero il nuovo testo ha tentato di farsi carico del problema introducendo la suddetta fase di verifica che, tuttavia, non sembra poter soddisfare le esigenze di salvaguardia, posto che essa non viene in nessun modo parificata, né sotto i profili economici né sotto i profili attuativi, alla qualificazione. Dalla disposizione in esame sembrano nascere, altresì, ulteriori possibili problemi legati alla mancata previsione testuale delle conseguenze che, ad una durata della qualificazione in cinque anni, deriverebbero dalla verifica triennale con esiti negativi.
        Quanto alla disposizione di cui al comma 3 dell’articolo 7, che prevede l’ampliamento dell’area del subappalto con l’innalzamento della originaria soglia del 30% a quella del 50%, si suggerisce la soppressione dello stesso in considerazione del pericolo che dalla disposizione deriverebbe alle esigenze di contrasto dell’inquinamento criminale grazie ad un indiscriminato innalzamento della soglia di valore così come prospettato.
        Quanto al comma 4 se ne suggerisce la soppressione, in considerazione del fatto che la sostituzione del primo periodo del comma 12 dell’articolo 18 della legge n. 55 del 1990 implica il venir meno di una specifica definizione di subappalto agli effetti della legge n. 55 e rischia così di ingenerare confusione sul piano classificatorio, posto che finirebbe con il creare un’area di lavori non riconducibile a nessuna parte della normativa. Per altro verso, la previsione si presta alle obiezioni già sollevate relativamente al comma 3, essendo interpretabile anche nel senso di un significativo restringimento dell’area di applicabilità della normativa antimafia di cui alla citata legge n. 55, giacché il limite di valore non sarebbe più ancorato a quello del contratto di subappalto bensì al valore dei lavori da svolgersi nel singolo cantiere aperto in subappalto, con il rischio di una strumentale apertura di più cantieri nell’ambito dello stesso rapporto di subappalto che, così, sfuggirebbe al controllo.
        La Commissione, in ordine al tema della depenalizzazione degli errori verbali di gara, ritiene di manifestare il proprio dissenso in ordine a tale linea normativa in considerazione della necessità di mantenere forme sanzionatorie penali a tutela di una materia di tale rilevanza nell’ambito della strategia generale di contrasto e prevenzione delle infiltrazioni criminali nel settore degli appalti, manifestando sin d’ora la propria convinzione della necessità di addivenire ad un pronto ripristino, nella materia, della sanzione penale della multa.
        La Commissione, infine, considera di assoluta centralità il tema della riduzione delle stazioni appaltanti sul cui ampliamento convergono anche le unanimi preoccupazioni della magistratura inquirente, ai più alti livelli. Indubbiamente, il tema viene in evidenza in tutta la sua gravità nelle regioni del Mezzogiorno. Le condizioni in cui si trovano ad operare le imprese nelle regioni meridionali sono tali da condizionare tutte le valutazioni in tema di legislazione sugli appalti pubblici conducendo di necessità a delineare una legislazione destinata, per ovvie ragioni, a svolgere i suoi effetti su tutto il territorio nazionale. Deve, però, considerarsi che le cautele che occorre adottare non solo non modificano le fondamentali linee evolutive e di sviluppo della normativa ma, uscendo da uno stereotipo che molti danni ha fatto per il passato, permettono di fornire un utilissimo presidio normativo di salvaguardia e di prevenzione anche per l’imprenditoria del Centro e del Nord Italia, considerata la ormai consolidata tendenza espansiva della criminalità organizzata che, anche nelle sue forme imprenditoriali, ha, purtroppo, da molto tempo, travalicato le regioni di origine per estendere il suo ambito di operatività a tutto il territorio nazionale nonché all’Europa intera. La riduzione delle stazioni appaltanti, come tutte le altre linee di intervento, probabilmente non costituirebbe la panacea per abolire l’infiltrazione mafiosa, ma costituirebbe certamente un ulteriore strumento per assicurare alle imprese sane una valida forma di controllo della legalità, anche quale condizione per la loro crescita.

        La Commissione ritiene che una soluzione valida sia suggerire alle Regioni, anche a statuto speciale, e alle Provincie autonome di Trento e Bolzano, nell’ambito della loro competenza in materia di lavori pubblici, l’istituzione e la costituzione, immediatamente operativa, di organismi regionali e provinciali cui affidare il ruolo di stazioni appaltanti, individuando nei prefetti il vertice di tali organismi. In questa prospettiva non verrebbe lesa la potestà di indirizzo politico ed amministrativo dei singoli enti ai fini dell’individuazione delle opere da realizzare, ma si sottrarrebbero gli amministratori ed i funzionari pubblici ai pericoli di condizionamenti criminali.
        Al termine dell’esposizione del senatore Bobbio, il PRESIDENTE, nel dichiarare conclusa la discussione, sottolinea che sui punti richiamati si è formata in Commissione una concorde valutazione.
        La Commissione unanime dà quindi mandato al Presidente di trasmettere ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati il documento di sintesi che illustra e specifica le indicazioni e le osservazioni emerse nel dibattito.

SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE

        Il PRESIDENTE avverte che alle ore 12 si terrà l’Ufficio di Presidenza allargato dai rappresentanti dei Gruppi.
        

        La seduta termina alle ore 11,15.