TERRITORIO, AMBIENTE, BENI AMBIENTALI (13ª)
MERCOLEDÌ 5 MARZO 2008
143ª Seduta
Presidenza del Presidente
SODANO
Interviene il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali Marcucci.
La seduta inizia alle ore 12,50.
IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
Schema di decreto legislativo recante: "Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio"
(n. 218)
(Parere al Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, ai sensi dell'articolo 10, commi 3 e 4, della legge 6 luglio 2002, n. 137. Esame. Parere favorevole con osservazioni)
Il relatore, senatore BELLINI (
SDSE
) illustra lo schema di decreto in esame che, sulla base della norma di delega di cui all’articolo 10, comma 4, della legge n. 137 del 2002, reca disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo n. 42 del 2004, avente ad oggetto il codice dei beni culturali e del paesaggio. Tale schema – che interviene in modo particolare sulla materia del paesaggio – nasce dall’esigenza di ridefinire l’assetto di competenza tra lo Stato e gli enti territoriali in materia di paesaggio, anche alla luce della sentenza n. 367 del 2007 che ha ribadito la preminenza della tutela del paesaggio quale valore rimesso alla competenza esclusiva statale.
Lo schema di decreto correttivo si compone di cinque articoli: i primi quattro novellano il codice dei beni culturali e del paesaggio, mentre l’ultimo contiene l’abrogazione dell’articolo 82 del DPR n. 616 del 1977 che disciplina la delega alle Regioni delle funzioni amministrative statali relative alla protezione delle bellezze naturali.
In particolare, i principali ambiti di intervento dello schema di decreto legislativo vertono sulla definizione di paesaggio e sui principi riguardanti la sua tutela e valorizzazione; la disciplina della pianificazione paesaggistica e dell’individuazione dei beni paesaggistici; le procedure di autorizzazione paesaggistica.
In conclusione, invita la Commissione ad esprimere un parere favorevole corredato da alcune osservazioni che prendono spunto dal dibattito che si è sviluppato presso la Conferenza Unificata Stato-Regioni, con particolare riferimento ai rilievi riguardanti l’attivazione di un tavolo di confronto per la definizione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione, previste dall’articolo 145 del codice in oggetto, nonché la necessità che, qualora i lavori siano iniziati nel quinquennio, l’autorizzazione si consideri valida per tutta la durata degli stessi.
Il presidente SODANO dichiara aperta la discussione.
La senatrice DE PETRIS (
IU-Verdi-Com
) reputa indispensabile l’intervento correttivo sul codice dei beni culturali e del paesaggio, in quanto il paesaggio costituisce un bene a rischio in Italia. Anche per tale ragione, il provvedimento in esame richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 367 del 2007 che ribadisce la competenza esclusiva statale in tema di tutela del paesaggio.
L’atto del Governo sottoposto all’esame della Commissione - il quale va integrato con l’ulteriore schema di decreto legislativo correttivo che, per la parte di competenza, è all’esame della 7a Commissione – prevede un obbligo di pianificazione congiunta tra Stato e Regioni per l’elaborazione dei piani paesaggistici, con il parere vincolante delle Sovrintendenze. Ulteriori aspetti qualificanti dello schema di decreto in esame sono rappresentati, oltre al superamento delle forme di silenzio assenso nelle procedure di verifica dell’interesse culturale, anche dal rilievo che è riconosciuto alla valorizzazione del paesaggio e dal recupero del ruolo delle Sovrintendenze. Segnala, infine, l’obbligo di rivedere entro un anno i vincoli esistenti ed invita il relatore ad inserire nel parere favorevole un richiamo anche alla disciplina del paesaggio rurale, oggetto di un disegno di legge il cui esame, a causa dello scioglimento delle Camere, non è stato possibile completare, con particolare riferimento all’ampliamento dell’elenco delle aree tutelate per legge.
Il senatore RONCHI (
PD-Ulivo
) , nel condividere quanto rilevato dal relatore in merito ad alcune osservazioni contenute nel parere della Conferenza unificata Stato-Regioni, segnala l’opportunità di richiamare espressamente la sentenza della Corte costituzionale n. 367 del 2007, che ha delineato con chiarezza gli ambiti di competenza dello Stato e delle Regioni per quanto riguarda la tutela del paesaggio ed il governo del territorio.
Il presidente SODANO , nel segnalare di annoverare tra gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico anche i filari, le alberate e gli alberi monumentali che si distinguono per la loro non comune bellezza, dichiara chiusa la discussione.
Il sottosegretario MARCUCCI , anche a nome del Ministro per i beni e le attività culturali, ringrazia la Commissione per la disponibilità dimostrata nell’esame di questo importante provvedimento, grazie al quale si sottolinea la rilevanza della tutela del paesaggio, nell’ottica di una stringente collaborazione tra lo Stato e le Regioni. Fa quindi presente di ritenere ragionevoli e condivisibili le osservazioni ed i suggerimenti che sono emersi nel corso della discussione.
Il relatore, senatore BELLINI (
SDSE
) conferma che è sua intenzione redigere un parere favorevole che recepisca le osservazioni scaturite nel corso della discussione.
Previa verifica del prescritto numero legale, la Commissione conferisce mandato al relatore a redigere un parere favorevole corredato dalle osservazioni che sono emerse nel corso della discussione.
PROCEDURE INFORMATIVE
Seguito dell'indagine conoscitiva sugli incendi boschivi: esame e approvazione del documento conclusivo
(
Doc
. XVII, n. 9)
Il presidente SODANO
(RC-SE)
, in qualità di relatore, illustra la proposta di documento conclusivo che testimonia l’attenzione posta dalla Commissione nei confronti della problematiche legate al fenomeno degli incendi boschivi, che nell’estate 2007 si è manifestato in modo assai drammatico. Ritiene che le osservazioni ed i suggerimenti contenuti in tale documento potranno essere senz’altro d’aiuto sia per la prossima legislatura sia per evitare che nei prossimi mesi ci si debba nuovamente imbattere in situazioni di analoga gravità.
In particolare il lavoro istruttorio condotto dalla Commissione ha fatto emergere che uno degli aspetti più preoccupanti è costituito dall’assenza di coordinamento tra i vari soggetti ed enti competenti in tale campo; inoltre, è emerso un abuso nel ricorso alle convenzioni con soggetti privati per lo spegnimento degli incendi, con un dispendio di risorse finanziarie cui non corrispondono apprezzabili risultati.
Il senatore FERRANTE (
PD-Ulivo
) , nel condividere l’impostazione ed il contenuto della proposta di documento conclusivo, reputa opportuno che sia sottolineata l’importanza del tema della prevenzione nella lotta agli incendi boschivi e che si consideri il potenziamento del dispositivo di intervento registratosi negli ultimi anni.
Non facendosi ulteriori osservazioni, previa verifica del prescritto numero legale, la Commissione approva la proposta di documento conclusivo, predisposta dal Presidente, integrata dai rilievi indicati dal senatore Ferrante.
Il presidente SODANO
dichiara quindi conclusa l’indagine conoscitiva.
La seduta termina alle ore 13,05.
DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL'INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI INCENDI BOSCHIVI PROPOSTO DAL RELATORE
Attraverso l’indagine conoscitiva sugli incendi boschivi, deliberata in data 31 luglio 2007 e autorizzata dal Presidente del Senato in data 2 agosto 2007, la 13a Commissione permanente ha inteso acquisire dati particolareggiati sul fenomeno e sulle sue cause, verificare lo stato di attuazione della legge quadro in materia di incendi boschivi, raccogliere indicazioni e valutazioni riguardo le ragioni che sono all'origine della mancata creazione in vari Comuni del catasto delle aree percorse dal fuoco, nonché individuare interventi normativi ed organizzativi capaci di rendere più tempestiva ed efficace la lotta agli incendi boschivi, a cominciare dalla fondamentale fase della prevenzione.
Dal 1° gennaio al 23 settembre 2007 si sono verificati 8.847 incendi boschivi – di cui 7.606 concentrati tra il 1° giugno e il 23 settembre - che hanno causato la morte di 18 persone ed ingenti danni di vario genere, dovuti anche al fatto che i roghi forestali hanno spesso coinvolto strutture urbane o manufatti. In totale, le fiamme hanno percorso 138.172 ettari, di cui 66.490 boscati e 71.682 non boscati. Si rilevano perciò sensibili incrementi rispetto al corrispondente periodo 1° gennaio-23 settembre del 2006, quando si erano avuti 5.645 incendi, un unico decesso ad essi legato e la devastazione di 39.949 ettari. In percentuale, nel 2007 l’aumento degli episodi incendiari è stato del 60 per cento e quello delle superfici bruciate addirittura compreso tra il 250 e il 300 per cento; quanto poi ai decessi, nel 2007 essi sono stati più numerosi che nell’intero quadriennio 2003-2006 (durante il quale furono 13).
Già dal mese di giugno del 2007, in concomitanza con l'aumento delle temperature, giunto a seguito di un lungo periodo di siccità, ci sono stati gravi incendi nei territori delle Regioni dell'Italia centro-meridionale. I fenomeni di combustione hanno costellato anche il mese di luglio, tanto che il giorno 27 di quel mese è stato dichiarato il relativo stato di emergenza, con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Le fasi più acute del 2007, comunque, si sono registrate nella seconda metà di agosto, a partire dal giorno 20, interessando in particolare Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania e Lazio. La punta massima è stata toccata mercoledì 22 agosto, allorché i numerosi incendi – alcuni dei quali persistevano dalla giornata precedente - hanno colpito con virulenza notevoli estensioni di territorio in tutta l’Italia meridionale.
Secondo le informazioni fornite alla Commissione dal dottor Bertolaso, sebbene il Dipartimento della Protezione civile, avendo previsto l’insorgenza di una situazione climatica favorevolissima all'innesco ed allo sviluppo di incendi in quei giorni agostani, avesse emesso quotidiani avvisi di pericolo a tutti gli organi interessati ed avesse tempestivamente provveduto a mobilitare la flotta aerea disponibile, l’insieme degli interventi di spegnimento ha dovuto affrontare in quel frangente enormi difficoltà operative, aggravate anche dai fattori meteorologici. Infatti, alte temperature e forti turbolenze locali, in alcuni casi, hanno impedito temporaneamente la permanenza in zona di operazione dei mezzi aerei e, per giunta, ulteriori condizioni meteorologiche avverse (nubi basse, piogge, scariche elettriche) hanno bloccato l’afflusso di altri velivoli da altre zone del Paese, quali la Sardegna, proprio mentre le richieste di soccorso si moltiplicavano. A fine giornata del 22 agosto le richieste di soccorso aereo sono risultate ben 48, di cui è stato possibile evaderne 32, mentre per il resto si provvedeva con mezzi terrestri.
Nell'estate del 2007, gli interventi sono riusciti a ridurre le conseguenze degli incendi, evitando che esse diventassero ancora più catastrofiche. Sta di fatto, comunque, che nonostante gli sforzi dei soccorritori – il cui impegno talora si è spinto fino a mettere a repentaglio la propria vita - il bilancio è stato estremamente pesante. Pertanto, si avverte l'urgente necessità di migliorare e rafforzare il dispositivo antincendio ed è indubbio che margini per progredire esistano e non possano assolutamente essere ignorati.
Sul piano ordinamentale, va ricordato che in risposta agli eventi calamitosi, la Presidenza del Consiglio è intervenuta con l’ordinanza n. 3606 del 28 agosto 2007, la quale ha nominato il Capo dipartimento della protezione civile, dottor Bertolaso, Commissario delegato per il superamento del contesto emergenziale nei territori delle regioni Lazio, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Il provvedimento ha in particolare stabilito che il Commissario delegato si avvalesse, in qualità di soggetti attuatori, dei Presidenti delle Regioni o dei Prefetti delle Province interessate. Successivamente un’altra ordinanza analoga – la n. 3624 del 22 ottobre 2007- ha provveduto nella stessa maniera per i territori di Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Marche, Molise, Sardegna ed Umbria.
Il Corpo forestale dello Stato ed il Dipartimento della Protezione civile hanno concordemente indicato nei fattori climatici – su tutti, la siccità invernale e le alte temperature estive - l'elemento naturale che ha favorito la drammatica recrudescenza del fenomeno degli incendi nell'estate del 2007. Sotto il profilo degli agenti naturali, vero è che periodicamente capitano annate più sfortunate delle altre (fu così nel 1994, nel 1997, nel 2000 e nel 2003), ma è altresì vero che i fenomeni meteorologici del 2007 sono probabilmente inquadrabili nella prospettiva di un surriscaldamento del pianeta, destinato a porre crescenti problemi anche in ordine al numero e alla gravità degli incendi.
L’indiscutibile incidenza di cause naturali sull’andamento degli incendi boschivi, ovviamente non va disgiunta dalla considerazione che la stragrande maggioranza dei roghi verificatisi è stata opera dell’uomo (le stime oscillano tra il 97 ed il 98 per cento): è questo un elemento da tenere nella massima considerazione in sede di predisposizione di interventi legislativi finalizzati a contrastare il fenomeno degli incendi.
Addentrandosi sul terreno degli incendi boschivi di matrice antropica, va tenuto presente che per l’anno 2006 si è stimato che gli incendi dolosi siano stati il 60 per cento del totale, quelli colposi il 15 per cento, sul 21 per cento permane l’incertezza, mentre infine, il 3 per cento sarebbe dipeso da cause naturali (fulmini, eruzioni vulcaniche e simili) e l’1 per cento da cause accidentali (cioè riconducibili all’attività umana solo indirettamente: ad esempio, scintille su binari ferroviari, variazioni di tensione su linee elettriche, guasti ad impianti ad alta tensione).
Quanto al 2007, per il momento esistono soltanto statistiche relative al periodo 1° gennaio-9 settembre, riferite alle persone individuate e segnalate all’autorità giudiziaria, anziché sugli eventi incendiari nel loro insieme. In totale, si tratta di 320 soggetti, di cui 311 denunciati a piede libero e 9 arrestati o sottoposti a custodia cautelare (confrontabili, volendo, con i 342 a piede libero e gli 11 arrestati o sottoposti a custodia cautelare, per una somma di 353 unità, nell’arco 1° gennaio-31 dicembre 2006). Le risultanze per il 2007 appaiono in un certo senso opposte a quelle degli anni precedenti: infatti, fra le 320 persone individuate e segnalate nel 2007, 285 avrebbero causato i roghi per colpa, e 35 per dolo (in percentuale, 89 per cento per colpa e 11 per cento per dolo). In proposito, il Corpo forestale dello Stato ha fatto presente che il dato è significativamente influenzato dal più immediato accertamento di cui sono oggetto le fattispecie di reato per colpa, rispetto a quelle di reato per dolo, ha aggiunto che nel campo degli incendi boschivi è relativamente facile mascherare intenti dolosi dietro modalità colpose e, pertanto, ha concluso che i roghi provocati ad arte in realtà sarebbero più numerosi di quanto dicano le statistiche. Ancora più avanti si è spinto il vicepresidente della Federparchi, dottor Amilcare Troiano, il quale nella sua audizione in Commissione ha parlato di <<un vero e proprio attacco criminale>> alle aree protette per le quali, secondo la sua esperienza, gli incendi sono tutti di origine dolosa.
Interpretando i dati relativi al 2007, in ogni caso, è indispensabile tenere conto di ulteriori caratteristiche e difetti dell’unico campione statistico per ora disponibile, profondamente difforme da quello basato sugli episodi incendiari. Si noti, in particolare, una circostanza di per sé allarmante e meritevole di riflessione: storicamente, la percentuale di incendiari che sono stati scoperti è molto bassa. Nel periodo 2000-2006 è stata del 7 per cento, e nel 2007 è addirittura scesa al 4 per cento. I motivi della larga impunità, secondo il Corpo forestale dello Stato, sono <<l’elevato numero dei reati, la matrice non solo di criminalità ma di illegalità diffusa (…) la vastità dei territori in cui sono commessi i reati e la molteplicità dei moventi, delle cause o delle matrici motivazionali>>. Comprensibilmente, la Federparchi ha rivolto un appello alla Commissione affinché essa si faccia interprete dell’esigenza di potenziare i servizi investigativi e repressivi. Il Corpo forestale dello Stato, inoltre, ha dato notizia che si sta creando, in Rieti, un laboratorio di analisi degli ordigni e degli inneschi serviti per appiccare incendi che sono stati rinvenuti, e ha suggerito l’introduzione di una legge che sanzioni penalmente la detenzione, il trasporto e la fabbricazione di strumenti di questo tipo.
Continuando ad analizzare gli elementi conoscitivi acquisiti dalla Commissione, emerge che 45 delle 320 persone segnalate nel 2007 all’autorità giudiziaria – ossia l’11 per cento - hanno precedenti penali. Dei suddetti 45, le persone sottoposte ad arresto sono 6. Gli organismi interpellati dalla Commissione durante l’indagine conoscitiva, purtroppo, non hanno fornito statistiche sulla percentuale dei condannati rispetto a coloro che erano stati segnalati all’autorità giudiziaria, né relativamente al periodo 2000-2006, né ad altri periodi.
Il Corpo forestale dello Stato, che è competente per le investigazioni nel ramo e ha perciò costituito appositi nuclei a livello centrale e provinciale (denominati NIAB), ha invece elaborato alcuni profili degli autori degli incendi, sia pure limitatamente ai soggetti identificati nell’anno 2006. La figura più ricorrente, quella dell’incendiario colposo, è quasi sempre di sesso maschile, di età avanzata, legata al contesto socio-economico dell’ambiente rurale. Pratica con il fuoco la distruzione dei residui di lavorazioni agricole o di ripuliture di terreni per risparmiare, e lo fa senza usare accorgimenti. E’ presente in tutte le Regioni, ma soprattutto in quelle meridionali.
Segue l’incendiario doloso, anch’egli di sesso maschile ma di età media, legato in modo continuo al contesto dell’ambiente rurale e pastorale, dal quale trae sovente redditi considerevoli, magari usufruendo di sovvenzioni. Appicca il fuoco per eliminare la bassa macchia ed il bosco ed ottenere la ricrescita di nuova vegetazione più adatta all’allevamento. Più volte in contatto con ambienti illegali, tende ad imporre i propri interessi con la forza. Agisce soprattutto nel centro-sud.
I piromani, infine, quasi tutti di sesso maschile, sono di età giovane o media. Slegati dal contesto rurale, realizzano distruzioni con il fuoco per eccitare la loro personalità ossessiva e si compiacciono dei danni e dell’allarme che le loro azioni provocano. Colpiscono in tutte le regioni italiane.
Questo quadro è da assumersi pur sempre in via provvisoria, poiché la grande maggioranza di ignoti potrebbe corrispondere ai suddetti profili oppure differire da essi in misura anche grande. Intanto, il Corpo forestale si sta ponendo l’obiettivo di verificare l’eventuale esistenza di un’ulteriore categoria di responsabili, promotori di interessi illegali connessi a contesti associativi.
Passando ora a considerare l'assetto ordinamentale ed organizzativo della lotta agli incendi boschivi, va ricordato innanzi tutto che la disciplina fondamentale di settore è recata dalla legge n. 353 del 21 novembre 2000, denominata
Legge-quadro in materia di incendi boschivi.
Essa ha introdotto per la prima volta il concetto di incendio boschivo (definito all’articolo 2 <<un fuoco con suscettività a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all'interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree>>). La legge n. 353 del 2000 si è mossa in un’ottica di attribuzioni di tipo concorrente fra Stato e Regioni e ne ha definito la ripartizione, tendendo al decentramento. Accanto alle prescrizioni inerenti alle funzioni riservate allo Stato, le disposizioni di legge recano principi fondamentali dell’ordinamento ai quali la normativa regionale avrebbe dovuto adeguarsi entro un anno dall’entrata in vigore della legge quadro.
In particolare, alle Regioni spetta la predisposizione di piani per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta agli incendi, sulla base di linee guida tracciate dal Consiglio dei Ministri. In caso di inadempienza da parte delle Regioni, tuttavia, il Ministro delegato per la protezione civile ha poteri sostitutivi per fare fronte alle emergenze. Inoltre, la legge quadro incarica le Regioni di coordinare le proprie strutture antincendio con quelle statali e le autorizza ad avvalersi di risorse, mezzi e personale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e del Corpo forestale dello Stato in base ad accordi di programma, nonché di volontari e, in caso di necessità, di aiuto da parte delle forze armate e delle forze di polizia previa richiesta all’autorità competente. Province, Comunità montane e Comuni attuano le attività di previsione e di prevenzione secondo le attribuzioni stabilite dalla Regioni. Per le aree naturali protette sono previste speciali tutele.
Tra le funzioni riservate all’autorità centrale spiccano le attività aeree di spegnimento mediante apposita flotta statale antincendio, dirette dal Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri. Alle Regioni, invece, è affidato il coordinamento delle operazioni a terra.
Sia lo Stato che le Regioni promuovono, ai sensi della legge quadro, attività informative e, d’intesa, iniziative di educazione ambientale. Le Regioni curano pure attività formative.
I principali soggetti destinatari dei finanziamenti delle spese connesse alla lotta agli incendi boschivi sono il Dipartimento della protezione civile e le Regioni. Alla ripartizione tra queste ultime provvede il Ministro dell’economia e delle finanze, applicando criteri dettati dalla stessa legge n. 353 del 2000. Le Regioni, a loro volta, trasferiscono agli enti locali territoriali la parte di risorse finanziarie necessaria allo svolgimento delle attribuzioni loro conferite. La legge stanzia risorse finanziarie anche per la sperimentazione di tecniche satellitari.
Il Dipartimento della protezione civile, per conto del Ministro delegato, ha il compito di monitorare sugli adempimenti previsti dalla legge; nello specifico campo finanziario, il Dipartimento deve effettuare una ricognizione delle somme assegnate ma non utilizzate, le quali sono soggette a revoca e riassegnazione con decreto ministeriale.
L’attuazione della legge quadro, pertanto, dipende dalla realizzazione di un complesso di azioni da parte di una pluralità di soggetti, spesso chiamati a lavorare in sinergia. Data questa impostazione, è di primaria importanza che tra i vari organismi e soggetti coinvolti nella lotta agli incendi boschivi ci sia un effettivo coordinamento.
Nel recente passato, un contributo alla verifica dell'attuazione degli adempimenti prescritti dalla legge quadro è venuto dalla Corte dei conti per la parte di propria competenza. Essa infatti nel dicembre 2005 ha concluso un’indagine sugli <<interventi per la previsione, prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi>>, attività in ordine alle quali, come si è detto, a norma della legge n. 353 del 2000, le Regioni sono tenute ad approvare piani in armonia con le linee guida fissate dal Governo, attualmente recate da un decreto del Ministro dell’Interno datato 20 dicembre 2001.
La Corte dei conti all’esito del proprio esame, ultimato a circa un quinquennio dall’entrata in vigore della legge quadro, mise in rilievo una serie di inadempienze e di punti critici che sono tuttora di grande interesse, anche perché in parte riaffiorati durante l’indagine conoscitiva condotta dalla Commissione.
Per prima cosa, la Corte dei conti evidenziava che poche Regioni avevano provveduto all’adeguamento della legislazione regionale di settore e si erano dotate di idonee strutture. La maggioranza delle Regioni faceva ricadere sul Corpo forestale dello Stato e sul Corpo dei Vigili del fuoco buona parte degli oneri finanziari ed organizzativi inerenti all’utilizzazione del personale e dei mezzi di soccorso. D’altro canto, la Corte dei Conti affermava che il Dipartimento della protezione civile, il quale secondo la legge n. 353 del 2000 effettua un monitoraggio degli adempimenti, non aveva svolto a sufficienza tale compito. Inoltre, la Corte attribuiva pesanti conseguenze negative ai ritardi verificatisi nella istituzione dei catasti comunali delle zone percorse dal fuoco, malgrado le sollecitazioni partite dal Ministro delegato alla protezione civile e dalla Presidenza del Consiglio. Sull’utilizzo delle risorse finanziarie la Corte, in mancanza di tempestiva ed affidabile rendicontazione, giudicava non bastante l’accertamento che le somme appositamente trasferite dallo Stato alle Regioni (
ex
articolo 12 della legge) fossero state completamente spese; l’entità di tali risorse, comunque, era ritenuta largamente inferiore alle esigenze, specie per gli interventi di contrasto e spegnimento delle fiamme da effettuarsi con mezzi terrestri, mentre riguardo alla flotta aerea statale si eccepiva la mancanza di un chiaro progetto di potenziamento. La Corte si asteneva da giudizi sui livelli di efficienza, efficacia ed economicità conseguiti nella lotta attiva contro gli incendi boschivi, limitandosi ad auspicare che ulteriori apporti finanziari fossero più mirati e più consistenti. Infine, in merito alle attività di formazione e di informazione rivolte alla prevenzione ed alla lotta attiva, rilevava un’eccessiva genericità della normativa ma, al contempo, considerava positivamente le iniziative realizzate dal Corpo forestale dello Stato e da altri centri di responsabilità statali, pur rilevando che era difficile misurarne l’efficacia.
La Commissione, dopo l’audizione del 2 agosto del Capo Dipartimento della Protezione civile, che ha riguardato i roghi del giugno e luglio 2007 benché fosse inquadrata nell’ambito di un’indagine conoscitiva sull’attività della protezione civile in generale, nel mese di settembre ha poi dato inizio ad un nuovo ciclo di audizioni, specificamente dedicato agli incendi boschivi. Attraverso le audizioni effettuate e anche sulla base della documentazione acquisita, la Commissione ha dovuto constatare una serie di rilevanti inadempienze, problemi di coordinamento e, in minor misura, carenze della legge quadro, e ha conseguentemente maturato il convincimento che tale legge non ha purtroppo ancora trovato integrale attuazione e che, al di là di alcune integrazioni che appaiono necessarie ed urgenti, il primo intervento di riforma da attuare consista proprio nell'applicazione puntuale e rigorosa della legge quadro.
Nel corso dei lavori della Commissione si è riproposta con forza, quale caso emblematico di mancata attuazione della legge n. 353 del 2000, la questione del catasto delle aree percorse dal fuoco, che era stata già evidenziata nella sua indagine anche dalla Corte dei conti. Nelle intenzioni del legislatore, la mappatura e perimetratura delle aree colpite avrebbe reso efficace i divieti –contestualmente previsti dalla medesima legge quadro - di mutamento di destinazione, di edificazione, di rimboschimento, di ingegneria ambientale, di pascolo e di caccia.
Ai sensi dell’articolo 10, comma 2, della legge n. 353 del 2000, il compito di istituire il catasto ed aggiornarlo annualmente ricade sui Comuni. Il Dipartimento della protezione civile ed il Corpo forestale dello Stato convergono nel ritenere che l’inerzia nella realizzazione del catasto sia dipesa soprattutto dai Comuni, come del resto adombrava la stessa Corte dei conti a conclusione della sua indagine.
Sull’importanza del censimento catastale ai fini della prevenzione degli incendi boschivi, da più parti affermata anche nel corso delle audizioni, i rappresentanti dell'ANCI hanno invero manifestato qualche perplessità e tra l’altro hanno lamentato sia di non aver ricevuto dalle Regioni le relative risorse finanziarie, sia di essersi potuti giovare pienamente solo negli ultimi tempi della collaborazione tecnica da parte del Corpo forestale dello Stato, consistente nell’elaborazione di mappe georeferenziate complete.
Riguardo tali osservazioni, la Commissione deve osservare che un'eventuale sfiducia nelle potenzialità del catasto non esime i soggetti incaricati di realizzarlo dal dare corso alle disposizioni di legge, la cui reale efficacia potrà essere valutata con cognizione di causa solo dopo la loro attuazione e non prima. Inoltre, si possono addurre vari esempi di accordi tra Corpo forestale dello Stato e Comuni risalenti ormai a qualche anno fa, a riprova di come la disciplina sull’istituzione del catasto fosse in realtà attuabile sin da allora.
Sta di fatto, in ogni caso, che fino al settembre 2007 soltanto una piccola parte dei Comuni – grossomodo il 10 per cento - aveva compiuto i passi imposti dalla legge quadro, il che significa che la drammatica emergenza dell'estate del 2007 si è verificata sullo sfondo di un contesto ordinamentale colpevolmente segnato dall'inerzia dei Comuni nella realizzazione di un'importante previsione della legge n. 353 del 2000.
La situazione è però notevolmente cambiata nei mesi successivi allo scorso settembre, nei quali la percentuale dei Comuni in regola è venuta velocemente aumentando. Con ogni probabilità, il rapidissimo aumento recente è soprattutto un effetto della O.P.C.M. n. 3606 del 28 agosto 2007, la quale ha messo in moto una procedura di diffida per i Comuni inadempienti prevedendo, alla scadenza di quindici giorni, l'intervento in via sostitutiva da parte dei soggetti attuatori che operano per conto del Commissario delegato.
Inoltre, ai progressi segnati dal mese di settembre 2007 ha contribuito pure la facilitazione dell’accesso al SIM (Sistema Informativo della Montagna) gestito dal Corpo forestale dello Stato, nel quale sono registrate le aree percorse dal fuoco. Sotto questo aspetto, ora per molti Comuni è sufficiente accreditarsi ed accedere così – gratuitamente - alla banca dati SIM, mentre resta a loro carico la successiva fase della perimetrazione. Il Capo del Corpo forestale dello Stato ha ricordato, peraltro, che a partire dal 2000 il Corpo aveva proceduto alla registrazione delle aree percorse dal fuoco e che da quella data l'elenco aggiornato era già a disposizione dei Comuni.
Per il futuro prossimo, si prevede che il censimento catastale e la raccolta dei dati su scala nazionale possano ricevere un prezioso ausilio dalle tecnologie satellitari in corso di sviluppo, che la Commissione si è fatta illustrare dai rappresentanti della società Telespazio.
Un altro caso di annosa inadempienza da parte degli enti locali concerne i piani comunali di emergenza, spesso mai varati. E’ il caso, purtroppo, anche di Comuni che la scorsa estate sono stati drammaticamente colpiti dagli incendi. Probabilmente, la diffusa inerzia rientra in un discorso più generale di sensibilità verso la materia della protezione civile. La legge n. 225 del 1992 ed il decreto legislativo n. 112 del 1998 mettono ciascun sindaco a capo della Protezione civile nel proprio Comune, ma di fatto mentre alcuni sindaci si attivano in tal senso – anche organizzando esercitazioni alle quali partecipano in prima persona - altri sembrano mostrare una minore sensibilità per tale funzione.
La Commissione ha dovuto constatare che il mancato rispetto dei dettami della legge n. 353 del 2000 investe pure i parchi e le riserve naturali, oggetto di rafforzate tutele ai sensi dell’articolo 8 della legge quadro. Per tali aree il Ministro dell’ambiente d’intesa con le Regioni interessate, su proposta degli enti gestori, sentito il Corpo forestale dello Stato, deve predisporre un apposito piano da inserire nel più vasto piano regionale di cui all’articolo 3, comma 1, della suddetta legge. Nei fatti non tutti i parchi possiedono il loro piano (uno di essi è il Parco del Gargano, malauguratamente assurto alle cronache estive a causa degli incendi che lo hanno funestato).
Viceversa i piani regionali di programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta agli incendi, dei quali in passato era stata denunciata la perdurante assenza, oggi ci sono. Tuttavia, anche qui i problemi non mancano poiché –come è stato evidenziato dal Dipartimento della protezione civile - i piani differiscono grandemente da una Regione all’altra sia per le forme organizzative legittimamente e liberamente scelte da ciascuna Regione, sia per gli
standard
qualitativi raggiunti. Nelle audizioni tenute dalla Commissione sono stati citati esempi positivi ma si è parlato anche di piani elaborati solamente
pro forma
o comunque scadenti. La piena autonomia lasciata alle Regioni insomma sembra aver prodotto esiti disomogenei, il che non agevola poi le sinergie con strutture modellate su base nazionale quali il Corpo forestale dello Stato ed il Corpo dei Vigili del fuoco.
Proprio in tema di collaborazioni, il Capo del Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dottor Giuseppe Pecoraro, ha fatto presente alla Commissione che alcune Regioni non hanno stipulato con l’organismo da lui guidato gli accordi di programma espressamente previsti dalla legge quadro - articolo 7, comma 3, lettera
a
) - in funzione della lotta attiva agli incendi, oppure lo hanno fatto assai tardivamente. Risulta infatti che la convenzione con la Puglia sia stata siglata il 21 giugno 2007, quella con la Campania il successivo 9 luglio e quelle con la Calabria e la Sicilia l’11 luglio. Il dottor Pecoraro, oltre tutto, ha segnalato alcune manchevolezze che hanno caratterizzato tali accordi.
A fronte delle inadempienze, si registrano pure disfunzioni di segno opposto, ossia indebite moltiplicazioni. Ci si riferisce in particolare a quello che secondo la legge n. 353 del 2000 dovrebbe essere il fulcro della lotta attiva agli incendi: la SOUP, acronimo di Sala Operativa Unificata Permanente. E’ stata, difatti, denunciata nel corso delle audizioni una proliferazione di sale operative in talune Regioni e la Commissione ha verificato che nella regione Molise hanno operato tra il luglio e il settembre 2007 una SOUP a Campobasso e un Centro operativo regionale sempre a Campobasso, nonché un centro funzionale della Protezione civile nel comune di Campochiaro. In Campania ci sono 8 sale operative, una delle quali con funzioni di coordinamento generale. In Calabria ci sono 5 sale operative provinciali e una sala operativa regionale con funzioni di centro operativo regionale.
La Commissione ha potuto anche appurare casi di alternanza nelle funzioni: in Umbria vi sono una SOUP – creata con legge regionale n. 28 del 2001- ed una Centrale Operativa del Corpo forestale dello Stato, le quali si dividono i compiti stagionalmente; nei periodi dichiarati <<di grave pericolosità>>> dalla Regione (con atto amministrativo) è attiva la SOUP, mentre negli altri periodi il coordinamento degli interventi – ivi compresi quelli aerei - compete alla Centrale Operativa del Corpo forestale dello Stato. In Toscana, d’estate, la SOUP è supportata da dieci Centri Operativi provinciali (uno per ogni provincia). Altri assetti variabili a seconda della stagione sono previsti in Abruzzo e in Molise. La Commissione ha potuto pure accertare situazioni di inesistenza della SOUP: Basilicata e Puglia non hanno ancora provveduto alla loro creazione, il Piemonte si trova <<in fase progettuale>>, invece di una SOUP la Regione Veneto ha un Centro operativo regionale, la Regione Campania ha una sala operativa con funzioni di coordinamento e la regione Calabria ha una sala operativa regionale con funzioni di coordinamento.
I precedenti rilievi si prestano ad introdurre un secondo profilo assai critico: il coordinamento tra le forze antincendio. L’ingegner Patrone, capo del Corpo forestale dello Stato, ha sostenuto che la catena di comando disegnata dalla legge n. 353 del 2000 è nei fatti frammentata e che è necessario un ripensamento in materia. Il dottor Pecoraro, a nome del Corpo dei Vigili del fuoco, ha rincarato la dose insistendo sulla mancanza di coordinamento delle squadre di intervento terrestre, descrivendo una realtà in cui <<nessuno è responsabile perché sono tutti partecipi della stessa funzione>> e, in pratica, <<chi arriva prima forse comanda, forse>>. Valutazioni sostanzialmente coincidenti con quelle sopra riportate sono state formulate dal dottor Troiano, vicepresidente della Federparchi, e dal dottor Bertolaso, Capo del Dipartimento della Protezione civile, il quale ha altresì ricordato che ai sensi della legge quadro le Regioni devono dotarsi di un direttore delle operazioni di spegnimento.
Il dottor Bertolaso, in particolare, ha evidenziato i paradossali problemi che si aprono quando ci si trova in presenza dei cosiddetti incendi di interfaccia, vale a dire quelli che originano in area boschiva o da un semplice cumulo di sterpaglie, ma che poi immediatamente si propagano ad insediamenti abitativi ed infrastrutture. In questa tipologia di situazioni, sempre più frequente eppure non prevista dalla normativa primaria vigente, non è chiaro chi debba intervenire: da un lato, non trattandosi di incendio boschivo, il Corpo forestale ha difficoltà ad occuparsi delle abitazioni minacciate, e dall’altro, per motivi uguali e contrari, sono in difficoltà pure i Vigili del fuoco, ai quali non compete provvedere alla vegetazione.
Il coordinamento si sta rivelando problematico anche per la gestione ordinaria dei boschi situati all’interno dei parchi naturali. I parchi non hanno la disponibilità dei territori in oggetto, i quali appartengono in gran parte al demanio comunale o a proprietà private, e dunque sono impossibilitati ad attuare misure di regolamentazione e controllo che sarebbero utili in chiave di prevenzione degli incendi.
L’importanza di un coordinamento efficace è stata esplicitamente richiamata dalla Presidenza del Consiglio in occasione dei provvedimenti indirizzati agli enti territoriali nel 2007. Si fa riferimento in primo luogo all'
Atto di indirizzo
emanato in data 1° giugno 2007 e destinato ai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome (nonché, per conoscenza, ad una serie di Ministeri) in vista della critica stagione estiva che si preannunciava. Il dottor Bertolaso si è detto convinto che se l’appello di principio e le dettagliate indicazioni in tal senso contenute nel medesimo
Atto di indirizzo
fossero stati accolti da tutti con la dovuta attenzione, nell’estate 2007 il fenomeno degli incendi boschivi sarebbe risultato molto meno devastante.
Più in generale la Commissione ha dovuto rilevare, quanto alle attività di intervento sul fronte degli incendi boschivi, l'esistenza di una catena di comando eccessivamente articolata e frammentata e per questo particolarmente esposta, nel suo concreto funzionamento, al rischio di ritardi ed inceppamenti.
E’ del tutto evidente che la lotta agli incendi boschivi deve cominciare dalla prevenzione. La prima esigenza è quindi quella di tenere in ordine la vegetazione. Per un incendiario – colposo o doloso che sia - dare fuoco ad un bosco è molto più facile se la scolina non è pulita. Il vicepresidente della Federparchi, nel corso della sua audizione in Commissione, ha puntualizzato che le attività di manutenzione e pulizia finalizzate alla prevenzione andrebbero concentrate nel periodo invernale e primaverile. Si deve constatare, purtroppo, che attualmente la prevenzione viene effettuata in misura inadeguata e che si tratta di un fronte di intervento rispetto al quale appare senz'altro indispensabile conseguire nel brevissimo periodo, prima della nuova stagione estiva, quei rilevanti miglioramenti che soli possono evitare il riprodursi di condizioni idonee a favorire il divampare e il diffondersi dei roghi.
Ovviamente anche la formazione e l’educazione possono dare un importante contributo alla prevenzione degli incendi ed alla salvaguardia dei boschi: il Corpo forestale dello Stato ha proposto campagne a largo spettro – ad esempio nelle scuole, come del resto già previsto dall’articolo 5 della legge n. 353 del 2000 - da affiancare ad iniziative mirate, quali la diffusione tra gli agricoltori ed i pastori di tecniche agronomiche alternative all’uso del fuoco. Inoltre, il Corpo forestale si è candidato a tenere corsi antincendio boschivo allo scopo di elevare i livelli di addestramento specifico sia per il personale appartenente alle forze istituzionali, sia per i volontari. Al momento, la legge demanda l’organizzazione dei corsi di questo tipo alle Regioni (anche in forma associata), che allo scopo possono avvalersi del Corpo forestale dello Stato e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. In alcune realtà, tuttavia, queste disposizioni vengono sovente trascurate.
Meritano particolare attenzione, inoltre, due profili che idealmente sono al confine tra prevenzione e contrasto: la sorveglianza e l’avvistamento. Il Capo del Dipartimento dei Vigili del fuoco ha affermato in audizione che <<nessuno fa attività di avvistamento>>, benché l’articolo 4 delle legge quadro imponga il controllo e la vigilanza delle aree a rischio nonché il ricorso a tecnologie per il monitoraggio del territorio. Per contro, i rappresentanti della Regione Emilia-Romagna e della Regione Sicilia hanno dichiarato che nei loro territori sono in funzione centinaia di posti di avvistamento (100 in Emilia-Romagna e 246 in Sicilia). La conformazione del nostro Paese e la distribuzione della popolazione al suo interno fanno sì che l’impiego di tecnologie satellitari possa diventare davvero prezioso per risolvere il problema dell’avvistamento. In proposito, la Commissione ha raccolto utili informazioni attraverso l’audizione dei rappresentanti della società Telespazio, i quali hanno riferito sui sistemi di rilevazione già attivati, hanno esposto le possibilità di integrazione con i sistemi di avvistamento aereo e hanno anticipato che nel 2008 ci si avvarrà dei nuovi satelliti Cosmo-Skymed, progettati nell’ambito di un programma finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, grazie ai quali si faranno progressi soprattutto nel monitoraggio in condizioni climatiche sfavorevoli, ovviando così ad un limite connaturato alle tecniche tradizionali.
Un aspetto della lotta agli incendi sul quale la Commissione ha avuto modo di soffermarsi nell'ambito dell'indagine è quello degli interventi di spegnimento attuati con velivoli. A questo riguardo va ricordato che la flotta aerea antincendio gestita dal Dipartimento della protezione civile rappresenta sicuramente una realtà all'avanguardia in Europa: con i suoi circa settanta velivoli, tra i quali gli attuali 16 aerei Canadair e gli 8 elicotteri S64, è la più grande e moderna d’Europa ed è in programma la sua ulteriore espansione. Negli anni scorsi la flotta aerea del Dipartimento della protezione civile ha fornito aiuto anche ad altri Paesi dell’area mediterranea, nel quadro del
Meccanismo di coordinamento di protezione civile da parte dell’Unione europea
(MIC) creato tra il 2001 ed il 2003.
Per completare il quadro dei mezzi aerei di proprietà pubblica utilizzabili per le operazioni di spegnimento, va ricordato che possiedono elicotteri pure il Corpo forestale dello Stato ed i Vigili del fuoco e che, in caso di necessità, sono mobilitabili anche elicotteri dell’Esercito e della Marina. Inoltre, la regione Valle d'Aosta dispone di due elicotteri dotati di benna antincendio, ai quali se ne aggiunge un terzo destinato a sostituire in caso di necessità uno dei due sempre operativi; questi elicotteri sono stati in qualche occasione inviati in altre Regioni in supporto all'azione delle altre forze lì presenti.
Peraltro, la Commissione ha verificato che numerose Regioni hanno stipulato contratti con soggetti privati per l'impiego di mezzi aerei antincendio con compiti di ricognizione e/o di spegnimento. In particolare la regione Campania ha stipulato un contratto per l'impiego di un elicottero in servizio tutto l'anno e di 7 elicotteri in servizio stagionale, per una spesa pari nel 2007 a 3.826.469 euro. La regione Toscana ha stipulato un contratto per l'utilizzo di elicotteri per una spesa pari nel 2007 a 3.446.909 euro. La regione Abruzzo ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 881.525 euro e convenzioni con aereoclub regionali per attività di avvistamento per una spesa di 36.000 euro. La regione Friuli Venezia Giulia ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 84.012 euro (dato aggiornato al 30 novembre 2007). La regione Lazio ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 3.710.000 euro. La regione Lombardia ha stipulato contratti per l'impiego di elicotteri per spegnimento e ricognizione per una spesa pari nel 2007 a 1.897.000 euro (dato aggiornato al 22 novembre 2007). La regione Calabria ha stipulato contratti per l'impiego di 4 elicotteri per una spesa pari nel 2007 a 2.160.000. La regione Liguria ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento ( 2 disponibili tutto l'anno e 2 disponibili per 6 mesi all'anno) per una spesa che ricade all'interno dei fondi regionali per l'attività di spegnimento, di importo pari nel 2007 a 1.727.240 euro. La regione Molise ha stipulato un contratto per l'impiego nei mesi più a rischio di un elicottero spegnitore e di un elicottero ricognitore per una spesa pari nel 2007 a 456.692 euro. La regione Piemonte ha stipulato contratti per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 547.133 euro. La regione Sardegna ha stipulato contratti per l'impiego di mezzi aerei per una spesa pari nel 2007 a 3.843.553 euro. La regione Veneto ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 493.174 euro (dato aggiornato al 23 novembre 2007). La regione Sicilia ha stipulato un contratto per l'impiego di 6 elicotteri spegnitori e di 2 elicotteri ricognitori per una spesa pari nel 2007 a circa 3.000.000 di euro. La Provincia autonoma di Bolzano ha stipulato un contratto per interventi antincendio per una spesa pari nel 2007 a 15.164 euro.
La maggioranza dei velivoli è pertanto statale ed afferisce al COAU, il centro operativo unificato della Presidenza del Consiglio, di cui il Dipartimento protezione civile si avvale per le attività di spegnimento, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, della legge n. 353 del 2000. Talvolta si realizzano buone sinergie tra apparati terrestri locali e apparato aereo nazionale, ma in altri casi l’odierno sistema dualistico per il quale le operazioni di terra sono dirette da un soggetto diverso da quello che presiede alla gran parte delle operazioni dall’aria comporta disfunzioni, che il Dipartimento della Protezione civile ha rappresentato alla Commissione. Inoltre, in una Regione che abbia più di una sala operativa regionale nonché mezzi aerei propri, può capitare addirittura che l’una sala si rivolga alla flotta regionale e l’altra alla flotta statale, contemporaneamente, l’una all’insaputa dell’altra.
Un aspetto di non poco momento della lotta agli incendi boschivi è senz'altro costituito dall'entità delle risorse finanziarie messe a disposizione a tal fine ed essendo la legge quadro improntata al decentramento sono di capitale importanza i trasferimenti che lo Stato effettua in favore delle Regioni.
In sede di prima applicazione della legge n. 353 del 2000, fu disposta per il triennio 2000/2002 l’assegnazione alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano della somma annua di 20 miliardi di lire. Successivamente, l’ordine di grandezza si è mantenuto costante per alcuni anni. Per il 2007 la somma è stata pari a 8.751.0000 euro, così come autorizzata dalla legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296), tabella C. La relativa ripartizione tra gli enti territoriali aventi diritto, la quale si conforma ai criteri dettati dall’articolo 12, commi 2 e 3, della legge n. 353 del 2000, è stata effettuata con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze in data 31 agosto 2007. Durante l'audizione svoltasi in Commissione il 18 novembre 2007, l’assessore alla protezione civile dell’Emilia-Romagna, dottor Bruschini, ha richiesto l’incremento dei trasferimenti statali alle Regioni, giudicando fortemente inadeguato il loro livello attuale.
Le principali critiche che la Commissione ha raccolto, tuttavia, investono i vigenti criteri di ripartizione. L’articolo 12 della legge n. 353 del 2000 prescrive che la somma totale venga suddivisa nella seguente maniera: per metà, proporzionalmente al patrimonio boschivo esistente nei rispettivi territori (rilevato dall’inventario forestale nazionale, costituito presso il Corpo forestale dello Stato); per l’altra metà, in quote inversamente proporzionali al rapporto tra superficie percorsa dal fuoco e superficie regionale boscata totale, prendendo a riferimento il dato medio del quinquennio precedente.
Si è da più parti constatato che, di fatto, il meccanismo attuale finisce con il penalizzare talune realtà regionali caratterizzate da bassa densità boschiva pur esposte ad alto rischio di incendi. E’ appena il caso di ricordare che la nozione di incendio boschivo, di cui all’articolo 2 della legge quadro, abbraccia non soltanto le aree boscate, ma anche le cespugliate o erborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all'interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree.
Altra questione nevralgica è quella dell’uso che le Regioni hanno fatto delle risorse finanziarie trasferite loro dallo Stato. In particolare, il responsabile del Dipartimento territorio, ambiente e protezione civile dell’ANCI, dottor Antonio Ragonesi, ha affermato in audizione che sebbene la legge quadro imponga alle Regioni di girare agli enti locali territoriali la parte di risorse statali necessaria allo svolgimento delle attribuzioni ad essi conferita dalla legge stessa, <<dal 2000 al 2007 nessuna Regione ha trasferito una lira ovvero un euro alle amministrazioni locali>>. Il dottor Ragonesi, pertanto, ha chiesto di fare luce sulla sorte occorsa alle somme in oggetto, richiamandosi ai rilievi formulati dalla Corte dei conti in occasione della sua indagine cui si è accennato sopra. La Corte dei conti, invero, quando nel 2005 si era occupata dell’impiego dei trasferimenti statali pervenuti alle Regioni aveva rilevato che, per il periodo da essa considerato, erano pervenute le rendicontazioni delle spese effettuate da 14 Regioni e dalla provincia di Trento, ma non dalla provincia di Bolzano, dal Lazio, dalla Puglia, dalla Calabria, dalla Basilicata e dalla Sicilia.
Conclusioni
Nella scorsa estate si è registrato, rispetto all’estate del 2006, un aumento del numero degli incendi pari al 60 per cento ed un incremento delle superfici bruciate pari al 250-300 per cento; inoltre, mentre nell’estate del 2006 la superficie media bruciata per singolo incendio era stata di circa 7 ettari, nella scorsa estate la superficie media bruciata è stata di circa 17 ettari, il che significa che ogni incendio è diventato un grande incendio.
I dati comparativi sopra esposti, sui quali ha in parte influito la situazione climatica dell’estate del 2006, evidenziano oggettivamente una ridotta velocità ed incisività degli interventi di spegnimento, le cui cause vanno rimosse con la massima urgenza e nel più breve tempo possibile, così da scongiurare il gravissimo rischio che anche la prossima estate venga ad essere drammaticamente segnata dal fenomeno degli incendi.
Innanzi tutto occorre assolutamente superare l’attuale situazione di frammentazione della catena di comando, che vede in concreto una pluralità di attori – Protezione civile, Corpo forestale dello Stato, Vigili del fuoco, Ministero dell’interno, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Regioni, Comuni – operare ed intervenire in assenza di un efficace coordinamento e della necessaria chiarezza circa chi deve fare cosa e soprattutto chi deve assumere il comando delle operazioni di spegnimento. La frantumazione della catena di comando e la dispersione e sovrapposizione delle competenze da un lato incidono in modo assai negativo sulla capacità di pronto ed incisivo intervento contro l’evento incendiario, dall’altro generano inevitabilmente deresponsabilizzazione.
Si tratta di porre fine al proliferare di sale operative e di numeri di soccorso, istituendo un unico numero telefonico per l’allertamento antincendio e garantendo effettivamente la presenza in ciascuna Regione di una sola sala operativa unificata permanente e di un solo direttore delle operazioni di spegnimento, così che tutte le Regioni possano effettivamente assolvere al ruolo di coordinamento delle operazioni a terra ad esse affidato dalla legge n. 353 del 2000.
Parallelamente, in considerazione del ruolo che lo Stato è chiamato a svolgere dalla legge n. 353 del 2000 in tema di operazioni aeree di spegnimento, gli interventi antincendio con velivoli dovrebbero essere interamente affidati allo Stato, salva ovviamente la stipula di convenzioni tra Regioni e corpi statali dotati di flotte aeree, analogamente a quanto accade in altri Stati europei, a cominciare dalla Germania. Ciò consentirebbe sia di creare i presupposti fondamentali per il coordinamento degli interventi aerei di spegnimento, sia di realizzare ingenti risparmi di spesa attraverso l’eliminazione di quelle convenzioni con soggetti privati che troppo spesso si rivelano eccessivamente onerose per il pubblico erario.
Occorre, altresì, prendere doverosamente e responsabilmente atto della circostanza per cui, data anche la conformazione accidentata e non molto abitata del territorio boschivo nazionale, la prontezza e l’efficacia delle operazioni di spegnimento, e di conseguenza la possibilità di contenere le dimensioni della superficie bruciata, dipendono strettamente dalla validità dei sistemi di avvistamento. Pertanto, si deve finalmente dare integrale attuazione all’articolo 7 della legge n. 353 del 2000, che annovera l’avvistamento tra le componenti fondamentali della lotta attiva agli incendi, e realizzare in particolare in ciascuna Regione una diffusa e capillare rete di punti di avvistamento, coinvolgendo ampiamente il volontariato, debitamente formato ed addestrato mediante appositi corsi antincendio.
Occorre, inoltre, assicurare in modo chiaro ed univoco la direzione delle operazioni di spegnimento a terra ed il coordinamento delle squadre impegnate a terra, ponendo fine all’attuale condizione di occasionalismo, improvvisazione e confusione icasticamente descritta, in occasione della sua audizione in Commissione, dal Capo del dipartimento dei Vigili del fuoco: <<Chi arriva prima forse comanda, forse>>.
Occorre poi formare ed organizzare validamente il volontariato che partecipa, con un encomiabile impegno di grande valore sociale, alle operazioni di spegnimento a terra e indirizzare le Regioni verso una stipula delle convenzioni antincendio boschivo che sia tempestiva rispetto all’apertura del periodo di maggior rischio, rappresentato ovviamente dalla stagione estiva, così da non ripetere gli errori dello scorso anno, che vide Regioni meridionali stipulare le convenzioni in date addirittura successive al 7 luglio.
Attraverso lo strumento delle convenzioni, ciascuna Regione potrebbe in effetti realizzare una rete di mezzi e personale coordinata efficacemente dalla sala operativa unificata permanente e caratterizzata da una positiva sinergia tra struttura regionale, Corpo forestale dello Stato, Vigili del fuoco e volontariato di protezione civile.
Sempre in tema di potenziamento del coordinamento tra gli organismi e i soggetti competenti, occorre provvedere a definire con chiarezza le competenze in materia di incendi di interfaccia, ossia degli incendi che originano in area boschiva o da un semplice cumulo di sterpaglie, ma che poi immediatamente si propagano ad insediamenti abitativi ed infrastrutture.
La Commissione ritiene poi assolutamente indispensabile che tutti i Comuni si dotino, conformemente a quanto prescritto dall’articolo 10 della legge n. 353 del 2000, del catasto delle aree percorse dal fuoco, così da garantire la concreta operatività dei divieti di mutamento di destinazione d’uso, di edificazione, di rimboschimento, di ingegneria ambientale, di pascolo e di caccia stabiliti dallo stesso articolo 10 al fine di prevenire e scoraggiare gli incendi dolosi. In effetti, anche se è indubbio che non tutti gli incendi sono di matrice dolosa, è altrettanto indubbio che la predisposizione del catasto delle aree bruciate è un adempimento obbligatorio per legge e senz’altro in grado di dare un fondamentale contributo alla prevenzione degli incendi.
A questo riguardo va sollecitata l’introduzione nell’ordinamento di una disposizione – come quella recata dal disegno di legge A. S. n. 1749, presentato dal senatore Tommaso Sodano e da altri senatori - che consenta alla Regione, nel caso in cui il Comune non effettui tramite apposito catasto il censimento dei soprassuoli già percorsi dal fuoco, di provvedere, previa diffida, mediante un commissario
ad acta
.
Occorre anche integrare la normativa dettata dall’articolo 10 della legge n. 353 del 2000 allo scopo di impedire che, in caso di costruzioni abusive realizzate in aree percorse dal fuoco, i Comuni possano optare tra l’acquisizione al patrimonio e l’abbattimento del manufatto; in ogni caso va imposta al Comune la soluzione dell’abbattimento – come prevede il sopra citato disegno di legge A. S. n. 1749 - perché in tal modo si attiva un efficace deterrente rispetto ad incendi dolosi strumentali alla costruzione di opere edilizie.
Va parimenti segnalata la necessità di introdurre nell'ordinamento una disposizione che preveda che, nel caso in cui il Comune non adotti il piano comunale di emergenza, si provveda, previa diffida, mediante un commissario
ad acta
.
La Commissione giudica necessario, altresì, raccogliere il grido d’allarme lanciato dal Capo del Corpo forestale dello Stato in occasione della sua audizione – “<<I boschi sono abbandonati…gli enti preposti all’aspetto gestionale… in realtà manifestano una cultura dell’abbandono>> - ed operare con urgenza nella direzione di una corretta e sostenibile manutenzione del territorio boschivo ed in particolare del sottobosco. Analoga esigenza va rilevata rispetto ai terreni non boschivi, visto che con il lasciarli incolti o nell’incuria si crea una situazione oggettivamente favorevole al propagarsi delle fiamme nella stagione estiva: in Sicilia nello scorso anno sono stati percorsi dal fuoco circa 37 mila ettari, due terzi dei quali costituiti da terreni ex agricoli o agricoli abbandonati.
Solo così facendo si potrà conferire effettività al principio, sancito dalla legge n. 353 del 2000, secondo il quale la prevenzione – intesa come il complesso delle azioni mirate a ridurre le cause ed il potenziale innesco di incendi – è componente essenziale ed indefettibile della lotta agli incendi e attività propedeutica rispetto agli stessi interventi di salvaguardia.
Una specifica attenzione deve essere riservata al potenziamento della lotta attiva agli incendi nelle aree protette, in primo luogo almeno completando nell’immediato le piante organiche dei coordinamenti territoriali per l’ambiente (CTA) del Corpo forestale dello Stato, giacché al momento il personale di tali coordinamenti è meno del 50 per cento di quello previsto dalle relative piante organiche.
Più in generale sembra indispensabile dotare il Corpo forestale dello Stato e il Corpo dei Vigili del fuoco di adeguate risorse umane e finanziarie, anche perché potenziare tali forze significa anche supportare con maggiore efficacia le amministrazioni comunali e le comunità montane nell’organizzazione di efficienti presidi territoriali.
Occorre poi attivare appositi presidi antincendio, almeno nelle zone a rischio più elevato, impiegando mezzi e personale delle forze di polizia e delle forze armate, secondo quanto previsto dall’articolo 7, comma 3, lettera c), della legge n. 353 del 2000.
E’ necessario, inoltre, assicurare, superando talune inerzie attuali anche degli enti gestori, l’integrale attuazione ed osservanza dell’articolo 8 della legge n. 353 del 2000, che stabilisce l’obbligatorietà del piano generale di coordinamento antincendio, che deve essere predisposto dal Ministro dell’ambiente di intesa con le Regioni interessate, su proposta degli enti gestori, sentito il Corpo forestale dello Stato.
La Commissione ritiene altresì opportuno procedere ad una modifica della disciplina recata dall'articolo 12 della legge n. 353 del 2000 in tema di criteri di ripartizione delle somme trasferite dallo Stato alle Regioni per la lotta agli incendi boschivi che consenta di tenere nella dovuta considerazione le necessità delle Regioni che possiedono un esteso patrimonio boschivo.
In considerazione del fatto che, rispetto ai rischi naturali e in particolare a quelli relativi agli incendi boschivi, la situazione della sicurezza è simile nei vari Paesi dell’area mediterranea, la Commissione ritiene infine opportuno valutare con grande attenzione la possibilità di istituire un Centro per la sicurezza del Mediterraneo, che operi come volano di una stretta ed efficace collaborazione tra le autorità competenti dei diversi Stati dell’area, collaborazione che potrebbe validamente realizzarsi anche sullo sfondo della creazione di una flotta europea antincendio.
DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL'INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI INCENDI BOSCHIVI APPROVATO DALLA COMMISSIONE
Attraverso l’indagine conoscitiva sugli incendi boschivi, deliberata in data 31 luglio 2007 e autorizzata dal Presidente del Senato in data 2 agosto 2007, la 13a Commissione permanente ha inteso acquisire dati particolareggiati sul fenomeno e sulle sue cause, verificare lo stato di attuazione della legge quadro in materia di incendi boschivi, raccogliere indicazioni e valutazioni riguardo le ragioni che sono all'origine della mancata creazione in vari Comuni del catasto delle aree percorse dal fuoco, nonché individuare interventi normativi ed organizzativi capaci di rendere più tempestiva ed efficace la lotta agli incendi boschivi, a cominciare dalla fondamentale fase della prevenzione.
Dal 1° gennaio al 23 settembre 2007 si sono verificati 8.847 incendi boschivi – di cui 7.606 concentrati tra il 1° giugno e il 23 settembre - che hanno causato la morte di 18 persone ed ingenti danni di vario genere, dovuti anche al fatto che i roghi forestali hanno spesso coinvolto strutture urbane o manufatti. In totale, le fiamme hanno percorso 138.172 ettari, di cui 66.490 boscati e 71.682 non boscati. Si rilevano perciò sensibili incrementi rispetto al corrispondente periodo 1° gennaio-23 settembre del 2006, quando si erano avuti 5.645 incendi, un unico decesso ad essi legato e la devastazione di 39.949 ettari. In percentuale, nel 2007 l’aumento degli episodi incendiari è stato del 60 per cento e quello delle superfici bruciate addirittura compreso tra il 250 e il 300 per cento; quanto poi ai decessi, nel 2007 essi sono stati più numerosi che nell’intero quadriennio 2003-2006 (durante il quale furono 13).
Già dal mese di giugno del 2007, in concomitanza con l'aumento delle temperature, giunto a seguito di un lungo periodo di siccità, ci sono stati gravi incendi nei territori delle Regioni dell'Italia centro-meridionale. I fenomeni di combustione hanno costellato anche il mese di luglio, tanto che il giorno 27 di quel mese è stato dichiarato il relativo stato di emergenza, con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Le fasi più acute del 2007, comunque, si sono registrate nella seconda metà di agosto, a partire dal giorno 20, interessando in particolare Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania e Lazio. La punta massima è stata toccata mercoledì 22 agosto, allorché i numerosi incendi – alcuni dei quali persistevano dalla giornata precedente - hanno colpito con virulenza notevoli estensioni di territorio in tutta l’Italia meridionale.
Secondo le informazioni fornite alla Commissione dal dottor Bertolaso, sebbene il Dipartimento della Protezione civile, avendo previsto l’insorgenza di una situazione climatica favorevolissima all'innesco ed allo sviluppo di incendi in quei giorni agostani, avesse emesso quotidiani avvisi di pericolo a tutti gli organi interessati ed avesse tempestivamente provveduto a mobilitare la flotta aerea disponibile, l’insieme degli interventi di spegnimento ha dovuto affrontare in quel frangente enormi difficoltà operative, aggravate anche dai fattori meteorologici. Infatti, alte temperature e forti turbolenze locali, in alcuni casi, hanno impedito temporaneamente la permanenza in zona di operazione dei mezzi aerei e, per giunta, ulteriori condizioni meteorologiche avverse (nubi basse, piogge, scariche elettriche) hanno bloccato l’afflusso di altri velivoli da altre zone del Paese, quali la Sardegna, proprio mentre le richieste di soccorso si moltiplicavano. A fine giornata del 22 agosto le richieste di soccorso aereo sono risultate ben 48, di cui è stato possibile evaderne 32, mentre per il resto si provvedeva con mezzi terrestri.
Nell'estate del 2007, gli interventi sono riusciti a ridurre le conseguenze degli incendi, evitando che esse diventassero ancora più catastrofiche. Sta di fatto, comunque, che nonostante gli sforzi dei soccorritori – il cui impegno talora si è spinto fino a mettere a repentaglio la propria vita - il bilancio è stato estremamente pesante. Pertanto, si avverte l'urgente necessità di migliorare e rafforzare il dispositivo antincendio ed è indubbio che margini per progredire esistano e non possano assolutamente essere ignorati.
Sul piano ordinamentale, va ricordato che in risposta agli eventi calamitosi, la Presidenza del Consiglio è intervenuta con l’ordinanza n. 3606 del 28 agosto 2007, la quale ha nominato il Capo dipartimento della protezione civile, dottor Bertolaso, Commissario delegato per il superamento del contesto emergenziale nei territori delle regioni Lazio, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Il provvedimento ha in particolare stabilito che il Commissario delegato si avvalesse, in qualità di soggetti attuatori, dei Presidenti delle Regioni o dei Prefetti delle Province interessate. Successivamente un’altra ordinanza analoga – la n. 3624 del 22 ottobre 2007- ha provveduto nella stessa maniera per i territori di Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Marche, Molise, Sardegna ed Umbria.
Il Corpo forestale dello Stato ed il Dipartimento della Protezione civile hanno concordemente indicato nei fattori climatici – su tutti, la siccità invernale e le alte temperature estive - l'elemento naturale che ha favorito la drammatica recrudescenza del fenomeno degli incendi nell'estate del 2007. Sotto il profilo degli agenti naturali, vero è che periodicamente capitano annate più sfortunate delle altre (fu così nel 1994, nel 1997, nel 2000 e nel 2003), ma è altresì vero che i fenomeni meteorologici del 2007 sono probabilmente inquadrabili nella prospettiva di un surriscaldamento del pianeta, destinato a porre crescenti problemi anche in ordine al numero e alla gravità degli incendi.
L’indiscutibile incidenza di cause naturali sull’andamento degli incendi boschivi, ovviamente non va disgiunta dalla considerazione che la stragrande maggioranza dei roghi verificatisi è stata opera dell’uomo (le stime oscillano tra il 97 ed il 98 per cento): è questo un elemento da tenere nella massima considerazione in sede di predisposizione di interventi legislativi finalizzati a contrastare il fenomeno degli incendi.
Addentrandosi sul terreno degli incendi boschivi di matrice antropica, va tenuto presente che per l’anno 2006 si è stimato che gli incendi dolosi siano stati il 60 per cento del totale, quelli colposi il 15 per cento, sul 21 per cento permane l’incertezza, mentre infine, il 3 per cento sarebbe dipeso da cause naturali (fulmini, eruzioni vulcaniche e simili) e l’1 per cento da cause accidentali (cioè riconducibili all’attività umana solo indirettamente: ad esempio, scintille su binari ferroviari, variazioni di tensione su linee elettriche, guasti ad impianti ad alta tensione).
Quanto al 2007, per il momento esistono soltanto statistiche relative al periodo 1° gennaio-9 settembre, riferite alle persone individuate e segnalate all’autorità giudiziaria, anziché sugli eventi incendiari nel loro insieme. In totale, si tratta di 320 soggetti, di cui 311 denunciati a piede libero e 9 arrestati o sottoposti a custodia cautelare (confrontabili, volendo, con i 342 a piede libero e gli 11 arrestati o sottoposti a custodia cautelare, per una somma di 353 unità, nell’arco 1° gennaio-31 dicembre 2006). Le risultanze per il 2007 appaiono in un certo senso opposte a quelle degli anni precedenti: infatti, fra le 320 persone individuate e segnalate nel 2007, 285 avrebbero causato i roghi per colpa, e 35 per dolo (in percentuale, 89 per cento per colpa e 11 per cento per dolo). In proposito, il Corpo forestale dello Stato ha fatto presente che il dato è significativamente influenzato dal più immediato accertamento di cui sono oggetto le fattispecie di reato per colpa, rispetto a quelle di reato per dolo, ha aggiunto che nel campo degli incendi boschivi è relativamente facile mascherare intenti dolosi dietro modalità colpose e, pertanto, ha concluso che i roghi provocati ad arte in realtà sarebbero più numerosi di quanto dicano le statistiche. Ancora più avanti si è spinto il vicepresidente della Federparchi, dottor Amilcare Troiano, il quale nella sua audizione in Commissione ha parlato di <<un vero e proprio attacco criminale>> alle aree protette per le quali, secondo la sua esperienza, gli incendi sono tutti di origine dolosa.
Interpretando i dati relativi al 2007, in ogni caso, è indispensabile tenere conto di ulteriori caratteristiche e difetti dell’unico campione statistico per ora disponibile, profondamente difforme da quello basato sugli episodi incendiari. Si noti, in particolare, una circostanza di per sé allarmante e meritevole di riflessione: storicamente, la percentuale di incendiari che sono stati scoperti è molto bassa. Nel periodo 2000-2006 è stata del 7 per cento, e nel 2007 è addirittura scesa al 4 per cento. I motivi della larga impunità, secondo il Corpo forestale dello Stato, sono <<l’elevato numero dei reati, la matrice non solo di criminalità ma di illegalità diffusa (…) la vastità dei territori in cui sono commessi i reati e la molteplicità dei moventi, delle cause o delle matrici motivazionali>>. Comprensibilmente, la Federparchi ha rivolto un appello alla Commissione affinché essa si faccia interprete dell’esigenza di potenziare i servizi investigativi e repressivi. Il Corpo forestale dello Stato, inoltre, ha dato notizia che si sta creando, in Rieti, un laboratorio di analisi degli ordigni e degli inneschi serviti per appiccare incendi che sono stati rinvenuti, e ha suggerito l’introduzione di una legge che sanzioni penalmente la detenzione, il trasporto e la fabbricazione di strumenti di questo tipo.
Continuando ad analizzare gli elementi conoscitivi acquisiti dalla Commissione, emerge che 45 delle 320 persone segnalate nel 2007 all’autorità giudiziaria – ossia l’11 per cento - hanno precedenti penali. Dei suddetti 45, le persone sottoposte ad arresto sono 6. Gli organismi interpellati dalla Commissione durante l’indagine conoscitiva, purtroppo, non hanno fornito statistiche sulla percentuale dei condannati rispetto a coloro che erano stati segnalati all’autorità giudiziaria, né relativamente al periodo 2000-2006, né ad altri periodi.
Il Corpo forestale dello Stato, che è competente per le investigazioni nel ramo e ha perciò costituito appositi nuclei a livello centrale e provinciale (denominati NIAB), ha invece elaborato alcuni profili degli autori degli incendi, sia pure limitatamente ai soggetti identificati nell’anno 2006. La figura più ricorrente, quella dell’incendiario colposo, è quasi sempre di sesso maschile, di età avanzata, legata al contesto socio-economico dell’ambiente rurale. Pratica con il fuoco la distruzione dei residui di lavorazioni agricole o di ripuliture di terreni per risparmiare, e lo fa senza usare accorgimenti. E’ presente in tutte le Regioni, ma soprattutto in quelle meridionali.
Segue l’incendiario doloso, anch’egli di sesso maschile ma di età media, legato in modo continuo al contesto dell’ambiente rurale e pastorale, dal quale trae sovente redditi considerevoli, magari usufruendo di sovvenzioni. Appicca il fuoco per eliminare la bassa macchia ed il bosco ed ottenere la ricrescita di nuova vegetazione più adatta all’allevamento. Più volte in contatto con ambienti illegali, tende ad imporre i propri interessi con la forza. Agisce soprattutto nel centro-sud.
I piromani, infine, quasi tutti di sesso maschile, sono di età giovane o media. Slegati dal contesto rurale, realizzano distruzioni con il fuoco per eccitare la loro personalità ossessiva e si compiacciono dei danni e dell’allarme che le loro azioni provocano. Colpiscono in tutte le regioni italiane.
Questo quadro è da assumersi pur sempre in via provvisoria, poiché la grande maggioranza di ignoti potrebbe corrispondere ai suddetti profili oppure differire da essi in misura anche grande. Intanto, il Corpo forestale si sta ponendo l’obiettivo di verificare l’eventuale esistenza di un’ulteriore categoria di responsabili, promotori di interessi illegali connessi a contesti associativi.
Passando ora a considerare l'assetto ordinamentale ed organizzativo della lotta agli incendi boschivi, va ricordato innanzi tutto che la disciplina fondamentale di settore è recata dalla legge n. 353 del 21 novembre 2000, denominata
Legge-quadro in materia di incendi boschivi.
Essa ha introdotto per la prima volta il concetto di incendio boschivo (definito all’articolo 2 <<un fuoco con suscettività a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all'interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree>>). La legge n. 353 del 2000 si è mossa in un’ottica di attribuzioni di tipo concorrente fra Stato e Regioni e ne ha definito la ripartizione, tendendo al decentramento. Accanto alle prescrizioni inerenti alle funzioni riservate allo Stato, le disposizioni di legge recano principi fondamentali dell’ordinamento ai quali la normativa regionale avrebbe dovuto adeguarsi entro un anno dall’entrata in vigore della legge quadro.
In particolare, alle Regioni spetta la predisposizione di piani per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta agli incendi, sulla base di linee guida tracciate dal Consiglio dei Ministri. In caso di inadempienza da parte delle Regioni, tuttavia, il Ministro delegato per la protezione civile ha poteri sostitutivi per fare fronte alle emergenze. Inoltre, la legge quadro incarica le Regioni di coordinare le proprie strutture antincendio con quelle statali e le autorizza ad avvalersi di risorse, mezzi e personale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e del Corpo forestale dello Stato in base ad accordi di programma, nonché di volontari e, in caso di necessità, di aiuto da parte delle forze armate e delle forze di polizia previa richiesta all’autorità competente. Province, Comunità montane e Comuni attuano le attività di previsione e di prevenzione secondo le attribuzioni stabilite dalla Regioni. Per le aree naturali protette sono previste speciali tutele.
Tra le funzioni riservate all’autorità centrale spiccano le attività aeree di spegnimento mediante apposita flotta statale antincendio, dirette dal Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri. Alle Regioni, invece, è affidato il coordinamento delle operazioni a terra.
Sia lo Stato che le Regioni promuovono, ai sensi della legge quadro, attività informative e, d’intesa, iniziative di educazione ambientale. Le Regioni curano pure attività formative.
I principali soggetti destinatari dei finanziamenti delle spese connesse alla lotta agli incendi boschivi sono il Dipartimento della protezione civile e le Regioni. Alla ripartizione tra queste ultime provvede il Ministro dell’economia e delle finanze, applicando criteri dettati dalla stessa legge n. 353 del 2000. Le Regioni, a loro volta, trasferiscono agli enti locali territoriali la parte di risorse finanziarie necessaria allo svolgimento delle attribuzioni loro conferite. La legge stanzia risorse finanziarie anche per la sperimentazione di tecniche satellitari.
Il Dipartimento della protezione civile, per conto del Ministro delegato, ha il compito di monitorare sugli adempimenti previsti dalla legge; nello specifico campo finanziario, il Dipartimento deve effettuare una ricognizione delle somme assegnate ma non utilizzate, le quali sono soggette a revoca e riassegnazione con decreto ministeriale.
L’attuazione della legge quadro, pertanto, dipende dalla realizzazione di un complesso di azioni da parte di una pluralità di soggetti, spesso chiamati a lavorare in sinergia. Data questa impostazione, è di primaria importanza che tra i vari organismi e soggetti coinvolti nella lotta agli incendi boschivi ci sia un effettivo coordinamento.
Nel recente passato, un contributo alla verifica dell'attuazione degli adempimenti prescritti dalla legge quadro è venuto dalla Corte dei conti per la parte di propria competenza. Essa infatti nel dicembre 2005 ha concluso un’indagine sugli <<interventi per la previsione, prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi>>, attività in ordine alle quali, come si è detto, a norma della legge n. 353 del 2000, le Regioni sono tenute ad approvare piani in armonia con le linee guida fissate dal Governo, attualmente recate da un decreto del Ministro dell’Interno datato 20 dicembre 2001.
La Corte dei conti all’esito del proprio esame, ultimato a circa un quinquennio dall’entrata in vigore della legge quadro, mise in rilievo una serie di inadempienze e di punti critici che sono tuttora di grande interesse, anche perché in parte riaffiorati durante l’indagine conoscitiva condotta dalla Commissione.
Per prima cosa, la Corte dei Conti evidenziava che poche Regioni avevano provveduto all’adeguamento della legislazione regionale di settore e si erano dotate di idonee strutture. La maggioranza delle Regioni faceva ricadere sul Corpo forestale dello Stato e sul Corpo dei Vigili del fuoco buona parte degli oneri finanziari ed organizzativi inerenti all’utilizzazione del personale e dei mezzi di soccorso. D’altro canto, la Corte dei Conti affermava che il Dipartimento della protezione civile, il quale secondo la legge n. 353 del 2000 effettua un monitoraggio degli adempimenti, non aveva svolto a sufficienza tale compito. Inoltre, la Corte attribuiva pesanti conseguenze negative ai ritardi verificatisi nella istituzione dei catasti comunali delle zone percorse dal fuoco, malgrado le sollecitazioni partite dal Ministro delegato alla protezione civile e dalla Presidenza del Consiglio. Sull’utilizzo delle risorse finanziarie la Corte, in mancanza di tempestiva ed affidabile rendicontazione, giudicava non bastante l’accertamento che le somme appositamente trasferite dallo Stato alle Regioni (
ex
articolo 12 della legge) fossero state completamente spese; l’entità di tali risorse, comunque, era ritenuta largamente inferiore alle esigenze, specie per gli interventi di contrasto e spegnimento delle fiamme da effettuarsi con mezzi terrestri, mentre riguardo alla flotta aerea statale si eccepiva la mancanza di un chiaro progetto di potenziamento. La Corte si asteneva da giudizi sui livelli di efficienza, efficacia ed economicità conseguiti nella lotta attiva contro gli incendi boschivi, limitandosi ad auspicare che ulteriori apporti finanziari fossero più mirati e più consistenti. Infine, in merito alle attività di formazione e di informazione rivolte alla prevenzione ed alla lotta attiva, rilevava un’eccessiva genericità della normativa ma, al contempo, considerava positivamente le iniziative realizzate dal Corpo forestale dello Stato e da altri centri di responsabilità statali, pur rilevando che era difficile misurarne l’efficacia.
La Commissione, dopo l’audizione del 2 agosto del Capo Dipartimento della Protezione civile, che ha riguardato i roghi del giugno e luglio 2007 benché fosse inquadrata nell’ambito di un’indagine conoscitiva sull’attività della protezione civile in generale, nel mese di settembre ha poi dato inizio ad un nuovo ciclo di audizioni, specificamente dedicato agli incendi boschivi. Attraverso le audizioni effettuate e anche sulla base della documentazione acquisita, la Commissione ha dovuto constatare una serie di rilevanti inadempienze, problemi di coordinamento e, in minor misura, carenze della legge quadro, e ha conseguentemente maturato il convincimento che tale legge non ha purtroppo ancora trovato integrale attuazione e che, al di là di alcune integrazioni che appaiono necessarie ed urgenti, il primo intervento di riforma da attuare consista proprio nell'applicazione puntuale e rigorosa della legge quadro.
Nel corso dei lavori della Commissione si è riproposta con forza, quale caso emblematico di mancata attuazione della legge n. 353 del 2000, la questione del catasto delle aree percorse dal fuoco, che era stata già evidenziata nella sua indagine anche dalla Corte dei conti. Nelle intenzioni del legislatore, la mappatura e perimetratura delle aree colpite avrebbe reso efficace i divieti –contestualmente previsti dalla medesima legge quadro - di mutamento di destinazione, di edificazione, di rimboschimento, di ingegneria ambientale, di pascolo e di caccia.
Ai sensi dell’articolo 10, comma 2, della legge n. 353 del 2000, il compito di istituire il catasto ed aggiornarlo annualmente ricade sui Comuni. Il Dipartimento della protezione civile ed il Corpo forestale dello Stato convergono nel ritenere che l’inerzia nella realizzazione del catasto sia dipesa soprattutto dai Comuni, come del resto adombrava la stessa Corte dei conti a conclusione della sua indagine.
Sull’importanza del censimento catastale ai fini della prevenzione degli incendi boschivi, da più parti affermata anche nel corso delle audizioni, i rappresentanti dell'ANCI hanno invero manifestato qualche perplessità e tra l’altro hanno lamentato sia di non aver ricevuto dalle Regioni le relative risorse finanziarie, sia di essersi potuti giovare pienamente solo negli ultimi tempi della collaborazione tecnica da parte del Corpo forestale dello Stato, consistente nell’elaborazione di mappe georeferenziate complete.
Riguardo tali osservazioni, la Commissione deve osservare che un'eventuale sfiducia nelle potenzialità del catasto non esime i soggetti incaricati di realizzarlo dal dare corso alle disposizioni di legge, la cui reale efficacia potrà essere valutata con cognizione di causa solo dopo la loro attuazione e non prima. Inoltre, si possono addurre vari esempi di accordi tra Corpo forestale dello Stato e Comuni risalenti ormai a qualche anno fa, a riprova di come la disciplina sull’istituzione del catasto fosse in realtà attuabile sin da allora.
Sta di fatto, in ogni caso, che fino al settembre 2007 soltanto una piccola parte dei Comuni – grossomodo il 10 per cento - aveva compiuto i passi imposti dalla legge quadro, il che significa che la drammatica emergenza dell'estate del 2007 si è verificata sullo sfondo di un contesto ordinamentale colpevolmente segnato dall'inerzia dei Comuni nella realizzazione di un'importante previsione della legge n. 353 del 2000.
La situazione è però notevolmente cambiata nei mesi successivi allo scorso settembre, nei quali la percentuale dei Comuni in regola è venuta velocemente aumentando. Con ogni probabilità, il rapidissimo aumento recente è soprattutto un effetto della O.P.C.M. n. 3606 del 28 agosto 2007, la quale ha messo in moto una procedura di diffida per i Comuni inadempienti prevedendo, alla scadenza di quindici giorni, l'intervento in via sostitutiva da parte dei soggetti attuatori che operano per conto del Commissario delegato.
Inoltre, ai progressi segnati dal mese di settembre 2007 ha contribuito pure la facilitazione dell’accesso al SIM (Sistema Informativo della Montagna) gestito dal Corpo forestale dello Stato, nel quale sono registrate le aree percorse dal fuoco. Sotto questo aspetto, ora per molti Comuni è sufficiente accreditarsi ed accedere così – gratuitamente - alla banca dati SIM, mentre resta a loro carico la successiva fase della perimetrazione. Il Capo del Corpo forestale dello Stato ha ricordato, peraltro, che a partire dal 2000 il Corpo aveva proceduto alla registrazione delle aree percorse dal fuoco e che da quella data l'elenco aggiornato era già a disposizione dei Comuni.
Per il futuro prossimo, si prevede che il censimento catastale e la raccolta dei dati su scala nazionale possano ricevere un prezioso ausilio dalle tecnologie satellitari in corso di sviluppo, che la Commissione si è fatta illustrare dai rappresentanti della società Telespazio.
Un altro caso di annosa inadempienza da parte degli enti locali concerne i piani comunali di emergenza, spesso mai varati. E’ il caso, purtroppo, anche di Comuni che la scorsa estate sono stati drammaticamente colpiti dagli incendi. Probabilmente, la diffusa inerzia rientra in un discorso più generale di sensibilità verso la materia della protezione civile. La legge n. 225 del 1992 ed il decreto legislativo n. 112 del 1998 mettono ciascun sindaco a capo della Protezione civile nel proprio Comune, ma di fatto mentre alcuni sindaci si attivano in tal senso – anche organizzando esercitazioni alle quali partecipano in prima persona - altri sembrano mostrare una minore sensibilità per tale funzione.
La Commissione ha dovuto constatare che il mancato rispetto dei dettami della legge n. 353 del 2000 investe pure i parchi e le riserve naturali, oggetto di rafforzate tutele ai sensi dell’articolo 8 della legge quadro. Per tali aree il Ministro dell’ambiente d’intesa con le Regioni interessate, su proposta degli enti gestori, sentito il Corpo forestale dello Stato, deve predisporre un apposito piano da inserire nel più vasto piano regionale di cui all’articolo 3, comma 1, della suddetta legge. Nei fatti non tutti i parchi possiedono il loro piano (uno di essi è il Parco del Gargano, malauguratamente assurto alle cronache estive a causa degli incendi che lo hanno funestato).
Viceversa i piani regionali di programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta agli incendi, dei quali in passato era stata denunciata la perdurante assenza, oggi ci sono. Tuttavia, anche qui i problemi non mancano poiché –come è stato evidenziato dal Dipartimento della protezione civile - i piani differiscono grandemente da una Regione all’altra sia per le forme organizzative legittimamente e liberamente scelte da ciascuna Regione, sia per gli
standard
qualitativi raggiunti. Nelle audizioni tenute dalla Commissione sono stati citati esempi positivi ma si è parlato anche di piani elaborati solamente
pro forma
o comunque scadenti. La piena autonomia lasciata alle Regioni insomma sembra aver prodotto esiti disomogenei, il che non agevola poi le sinergie con strutture modellate su base nazionale quali il Corpo forestale dello Stato ed il Corpo dei Vigili del fuoco.
Proprio in tema di collaborazioni, il Capo del Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dottor Giuseppe Pecoraro, ha fatto presente alla Commissione che alcune Regioni non hanno stipulato con l’organismo da lui guidato gli accordi di programma espressamente previsti dalla legge quadro - articolo 7, comma 3, lettera
a
) - in funzione della lotta attiva agli incendi, oppure lo hanno fatto assai tardivamente. Risulta infatti che la convenzione con la Puglia sia stata siglata il 21 giugno 2007, quella con la Campania il successivo 9 luglio e quelle con la Calabria e la Sicilia l’11 luglio. Il dottor Pecoraro, oltre tutto, ha segnalato alcune manchevolezze che hanno caratterizzato tali accordi.
A fronte delle inadempienze, si registrano pure disfunzioni di segno opposto, ossia indebite moltiplicazioni. Ci si riferisce in particolare a quello che secondo la legge n. 353 del 2000 dovrebbe essere il fulcro della lotta attiva agli incendi: la SOUP, acronimo di Sala Operativa Unificata Permanente. E’ stata, difatti, denunciata nel corso delle audizioni una proliferazione di sale operative in talune Regioni e la Commissione ha verificato che nella regione Molise hanno operato tra il luglio e il settembre 2007 una SOUP a Campobasso e un Centro operativo regionale sempre a Campobasso, nonché un centro funzionale della Protezione civile nel comune di Campochiaro. In Campania ci sono 8 sale operative, una delle quali con funzioni di coordinamento generale. In Calabria ci sono 5 sale operative provinciali e una sala operativa regionale con funzioni di centro operativo regionale.
La Commissione ha potuto anche appurare casi di alternanza nelle funzioni: in Umbria vi sono una SOUP – creata con legge regionale n. 28 del 2001- ed una Centrale Operativa del Corpo forestale dello Stato, le quali si dividono i compiti stagionalmente; nei periodi dichiarati <<di grave pericolosità>>> dalla Regione (con atto amministrativo) è attiva la SOUP, mentre negli altri periodi il coordinamento degli interventi – ivi compresi quelli aerei - compete alla Centrale Operativa del Corpo forestale dello Stato. In Toscana, d’estate, la SOUP è supportata da dieci Centri Operativi provinciali (uno per ogni provincia). Altri assetti variabili a seconda della stagione sono previsti in Abruzzo e in Molise. La Commissione ha potuto pure accertare situazioni di inesistenza della SOUP: Basilicata e Puglia non hanno ancora provveduto alla loro creazione, il Piemonte si trova <<in fase progettuale>>, invece di una SOUP la Regione Veneto ha un Centro operativo regionale, la Regione Campania ha una sala operativa con funzioni di coordinamento e la regione Calabria ha una sala operativa regionale con funzioni di coordinamento.
I precedenti rilievi si prestano ad introdurre un secondo profilo assai critico: il coordinamento tra le forze antincendio. L’ingegner Patrone, capo del Corpo forestale dello Stato, ha sostenuto che la catena di comando disegnata dalla legge n. 353 del 2000 è nei fatti frammentata e che è necessario un ripensamento in materia. Il dottor Pecoraro, a nome del Corpo dei Vigili del fuoco, ha rincarato la dose insistendo sulla mancanza di coordinamento delle squadre di intervento terrestre, descrivendo una realtà in cui <<nessuno è responsabile perché sono tutti partecipi della stessa funzione>> e, in pratica, <<chi arriva prima forse comanda, forse>>. Valutazioni sostanzialmente coincidenti con quelle sopra riportate sono state formulate dal dottor Troiano, vicepresidente della Federparchi, e dal dottor Bertolaso, Capo del Dipartimento della Protezione civile, il quale ha altresì ricordato che ai sensi della legge quadro le Regioni devono dotarsi di un direttore delle operazioni di spegnimento.
Il dottor Bertolaso, in particolare, ha evidenziato i paradossali problemi che si aprono quando ci si trova in presenza dei cosiddetti incendi di interfaccia, vale a dire quelli che originano in area boschiva o da un semplice cumulo di sterpaglie, ma che poi immediatamente si propagano ad insediamenti abitativi ed infrastrutture. In questa tipologia di situazioni, sempre più frequente eppure non prevista dalla normativa primaria vigente, non è chiaro chi debba intervenire: da un lato, non trattandosi di incendio boschivo, il Corpo forestale ha difficoltà ad occuparsi delle abitazioni minacciate, e dall’altro, per motivi uguali e contrari, sono in difficoltà pure i Vigili del fuoco, ai quali non compete provvedere alla vegetazione.
Il coordinamento si sta rivelando problematico anche per la gestione ordinaria dei boschi situati all’interno dei parchi naturali. I parchi non hanno la disponibilità dei territori in oggetto, i quali appartengono in gran parte al demanio comunale o a proprietà private, e dunque sono impossibilitati ad attuare misure di regolamentazione e controllo che sarebbero utili in chiave di prevenzione degli incendi.
L’importanza di un coordinamento efficace è stata esplicitamente richiamata dalla Presidenza del Consiglio in occasione dei provvedimenti indirizzati agli enti territoriali nel 2007. Si fa riferimento in primo luogo all'
Atto di indirizzo
emanato in data 1° giugno 2007 e destinato ai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome (nonché, per conoscenza, ad una serie di Ministeri) in vista della critica stagione estiva che si preannunciava. Il dottor Bertolaso si è detto convinto che se l’appello di principio e le dettagliate indicazioni in tal senso contenute nel medesimo
Atto di indirizzo
fossero stati accolti da tutti con la dovuta attenzione, nell’estate 2007 il fenomeno degli incendi boschivi sarebbe risultato molto meno devastante.
Più in generale la Commissione ha dovuto rilevare, quanto alle attività di intervento sul fronte degli incendi boschivi, l'esistenza di una catena di comando eccessivamente articolata e frammentata e per questo particolarmente esposta, nel suo concreto funzionamento, al rischio di ritardi ed inceppamenti.
E’ del tutto evidente che la lotta agli incendi boschivi deve cominciare dalla prevenzione, che ne costituisce davvero il momento cruciale e fondamentale; del resto non si può ignorare il fatto che il relativo potenziamento del dispositivo di intervento registratosi negli scorsi anni non è stato sufficiente ad evitare che nell’estate del 2007 il fenomeno degli incendi boschivi raggiungesse dimensioni drammatiche. La prima esigenza è quindi quella di tenere in ordine la vegetazione. Per un incendiario – colposo o doloso che sia - dare fuoco ad un bosco è molto più facile se la scolina non è pulita. Il vicepresidente della Federparchi, nel corso della sua audizione in Commissione, ha puntualizzato che le attività di manutenzione e pulizia finalizzate alla prevenzione andrebbero concentrate nel periodo invernale e primaverile. Si deve constatare, purtroppo, che attualmente la prevenzione viene effettuata in misura inadeguata e che si tratta di un fronte di intervento rispetto al quale appare senz'altro indispensabile conseguire nel brevissimo periodo, prima della nuova stagione estiva, quei rilevanti miglioramenti che soli possono evitare il riprodursi di condizioni idonee a favorire il divampare e il diffondersi dei roghi.
Ovviamente anche la formazione e l’educazione possono dare un importante contributo alla prevenzione degli incendi ed alla salvaguardia dei boschi: il Corpo forestale dello Stato ha proposto campagne a largo spettro – ad esempio nelle scuole, come del resto già previsto dall’articolo 5 della legge n. 353 del 2000 - da affiancare ad iniziative mirate, quali la diffusione tra gli agricoltori ed i pastori di tecniche agronomiche alternative all’uso del fuoco. Inoltre, il Corpo forestale si è candidato a tenere corsi antincendio boschivo allo scopo di elevare i livelli di addestramento specifico sia per il personale appartenente alle forze istituzionali, sia per i volontari. Al momento, la legge demanda l’organizzazione dei corsi di questo tipo alle Regioni (anche in forma associata), che allo scopo possono avvalersi del Corpo forestale dello Stato e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. In alcune realtà, tuttavia, queste disposizioni vengono sovente trascurate.
Meritano particolare attenzione, inoltre, due profili che idealmente sono al confine tra prevenzione e contrasto: la sorveglianza e l’avvistamento. Il Capo del Dipartimento dei Vigili del fuoco ha affermato in audizione che <<nessuno fa attività di avvistamento>>, benché l’articolo 4 delle legge quadro imponga il controllo e la vigilanza delle aree a rischio nonché il ricorso a tecnologie per il monitoraggio del territorio. Per contro, i rappresentanti della Regione Emilia-Romagna e della Regione Sicilia hanno dichiarato che nei loro territori sono in funzione centinaia di posti di avvistamento (100 in Emilia-Romagna e 246 in Sicilia). La conformazione del nostro Paese e la distribuzione della popolazione al suo interno fanno sì che l’impiego di tecnologie satellitari possa diventare davvero prezioso per risolvere il problema dell’avvistamento. In proposito, la Commissione ha raccolto utili informazioni attraverso l’audizione dei rappresentanti della società Telespazio, i quali hanno riferito sui sistemi di rilevazione già attivati, hanno esposto le possibilità di integrazione con i sistemi di avvistamento aereo e hanno anticipato che nel 2008 ci si avvarrà dei nuovi satelliti Cosmo-Skymed, progettati nell’ambito di un programma finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, grazie ai quali si faranno progressi soprattutto nel monitoraggio in condizioni climatiche sfavorevoli, ovviando così ad un limite connaturato alle tecniche tradizionali.
Un aspetto della lotta agli incendi sul quale la Commissione ha avuto modo di soffermarsi nell'ambito dell'indagine è quello degli interventi di spegnimento attuati con velivoli. A questo riguardo va ricordato che la flotta aerea antincendio gestita dal Dipartimento della protezione civile rappresenta sicuramente una realtà all'avanguardia in Europa: con i suoi circa settanta velivoli, tra i quali gli attuali 16 aerei Canadair e gli 8 elicotteri S64, è la più grande e moderna d’Europa ed è in programma la sua ulteriore espansione. Negli anni scorsi la flotta aerea del Dipartimento della protezione civile ha fornito aiuto anche ad altri Paesi dell’area mediterranea, nel quadro del
Meccanismo di coordinamento di protezione civile da parte dell’Unione europea
(MIC) creato tra il 2001 ed il 2003.
Per completare il quadro dei mezzi aerei di proprietà pubblica utilizzabili per le operazioni di spegnimento, va ricordato che possiedono elicotteri pure il Corpo forestale dello Stato ed i Vigili del fuoco e che, in caso di necessità, sono mobilitabili anche elicotteri dell’Esercito e della Marina. Inoltre, la regione Valle d'Aosta dispone di due elicotteri dotati di benna antincendio, ai quali se ne aggiunge un terzo destinato a sostituire in caso di necessità uno dei due sempre operativi; questi elicotteri sono stati in qualche occasione inviati in altre Regioni in supporto all'azione delle altre forze lì presenti.
Peraltro, la Commissione ha verificato che numerose Regioni hanno stipulato contratti con soggetti privati per l'impiego di mezzi aerei antincendio con compiti di ricognizione e/o di spegnimento. In particolare la regione Campania ha stipulato un contratto per l'impiego di un elicottero in servizio tutto l'anno e di 7 elicotteri in servizio stagionale, per una spesa pari nel 2007 a 3.826.469 euro. La regione Toscana ha stipulato un contratto per l'utilizzo di elicotteri per una spesa pari nel 2007 a 3.446.909 euro. La regione Abruzzo ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 881.525 euro e convenzioni con aereoclub regionali per attività di avvistamento per una spesa di 36.000 euro. La regione Friuli Venezia Giulia ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 84.012 euro (dato aggiornato al 30 novembre 2007). La regione Lazio ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 3.710.000 euro. La regione Lombardia ha stipulato contratti per l'impiego di elicotteri per spegnimento e ricognizione per una spesa pari nel 2007 a 1.897.000 euro (dato aggiornato al 22 novembre 2007). La regione Calabria ha stipulato contratti per l'impiego di 4 elicotteri per una spesa pari nel 2007 a 2.160.000. La regione Liguria ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento ( 2 disponibili tutto l'anno e 2 disponibili per 6 mesi all'anno) per una spesa che ricade all'interno dei fondi regionali per l'attività di spegnimento, di importo pari nel 2007 a 1.727.240 euro. La regione Molise ha stipulato un contratto per l'impiego nei mesi più a rischio di un elicottero spegnitore e di un elicottero ricognitore per una spesa pari nel 2007 a 456.692 euro. La regione Piemonte ha stipulato contratti per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 547.133 euro. La regione Sardegna ha stipulato contratti per l'impiego di mezzi aerei per una spesa pari nel 2007 a 3.843.553 euro. La regione Veneto ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 493.174 euro (dato aggiornato al 23 novembre 2007). La regione Sicilia ha stipulato un contratto per l'impiego di 6 elicotteri spegnitori e di 2 elicotteri ricognitori per una spesa pari nel 2007 a circa 3.000.000 di euro. La Provincia autonoma di Bolzano ha stipulato un contratto per interventi antincendio per una spesa pari nel 2007 a 15.164 euro.
La maggioranza dei velivoli è pertanto statale ed afferisce al COAU, il centro operativo unificato della Presidenza del Consiglio, di cui il Dipartimento protezione civile si avvale per le attività di spegnimento, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, della legge n. 353 del 2000. Talvolta si realizzano buone sinergie tra apparati terrestri locali e apparato aereo nazionale, ma in altri casi l’odierno sistema dualistico per il quale le operazioni di terra sono dirette da un soggetto diverso da quello che presiede alla gran parte delle operazioni dall’aria comporta disfunzioni, che il Dipartimento della Protezione civile ha rappresentato alla Commissione. Inoltre, in una Regione che abbia più di una sala operativa regionale nonché mezzi aerei propri, può capitare addirittura che l’una sala si rivolga alla flotta regionale e l’altra alla flotta statale, contemporaneamente, l’una all’insaputa dell’altra.
Un aspetto di non poco momento della lotta agli incendi boschivi è senz'altro costituito dall'entità delle risorse finanziarie messe a disposizione a tal fine ed essendo la legge quadro improntata al decentramento sono di capitale importanza i trasferimenti che lo Stato effettua in favore delle Regioni.
In sede di prima applicazione della legge n. 353 del 2000, fu disposta per il triennio 2000/2002 l’assegnazione alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano della somma annua di 20 miliardi di lire. Successivamente, l’ordine di grandezza si è mantenuto costante per alcuni anni. Per il 2007 la somma è stata pari a 8.751.0000 euro, così come autorizzata dalla legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296), tabella C. La relativa ripartizione tra gli enti territoriali aventi diritto, la quale si conforma ai criteri dettati dall’articolo 12, commi 2 e 3, della legge n. 353 del 2000, è stata effettuata con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze in data 31 agosto 2007. Durante l'audizione svoltasi in Commissione il 18 novembre 2007, l’assessore alla protezione civile dell’Emilia-Romagna, dottor Bruschini, ha richiesto l’incremento dei trasferimenti statali alle Regioni, giudicando fortemente inadeguato il loro livello attuale.
Le principali critiche che la Commissione ha raccolto, tuttavia, investono i vigenti criteri di ripartizione. L’articolo 12 della legge n. 353 del 2000 prescrive che la somma totale venga suddivisa nella seguente maniera: per metà, proporzionalmente al patrimonio boschivo esistente nei rispettivi territori (rilevato dall’inventario forestale nazionale, costituito presso il Corpo forestale dello Stato); per l’altra metà, in quote inversamente proporzionali al rapporto tra superficie percorsa dal fuoco e superficie regionale boscata totale, prendendo a riferimento il dato medio del quinquennio precedente.
Si è da più parti constatato che, di fatto, il meccanismo attuale finisce con il penalizzare talune realtà regionali caratterizzate da bassa densità boschiva pur esposte ad alto rischio di incendi. E’ appena il caso di ricordare che la nozione di incendio boschivo, di cui all’articolo 2 della legge quadro, abbraccia non soltanto le aree boscate, ma anche le cespugliate o erborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all'interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree.
Altra questione nevralgica è quella dell’uso che le Regioni hanno fatto delle risorse finanziarie trasferite loro dallo Stato. In particolare, il responsabile del Dipartimento territorio, ambiente e protezione civile dell’ANCI, dottor Antonio Ragonesi, ha affermato in audizione che sebbene la legge quadro imponga alle Regioni di girare agli enti locali territoriali la parte di risorse statali necessaria allo svolgimento delle attribuzioni ad essi conferita dalla legge stessa, <<dal 2000 al 2007 nessuna Regione ha trasferito una lira ovvero un euro alle amministrazioni locali>>. Il dottor Ragonesi, pertanto, ha chiesto di fare luce sulla sorte occorsa alle somme in oggetto, richiamandosi ai rilievi formulati dalla Corte dei conti in occasione della sua indagine cui si è accennato sopra. La Corte dei conti, invero, quando nel 2005 si era occupata dell’impiego dei trasferimenti statali pervenuti alle Regioni aveva rilevato che, per il periodo da essa considerato, erano pervenute le rendicontazioni delle spese effettuate da 14 Regioni e dalla provincia di Trento, ma non dalla provincia di Bolzano, dal Lazio, dalla Puglia, dalla Calabria, dalla Basilicata e dalla Sicilia.
Conclusioni
Nella scorsa estate si è registrato, rispetto all’estate del 2006, un aumento del numero degli incendi pari al 60 per cento ed un incremento delle superfici bruciate pari al 250-300 per cento; inoltre, mentre nell’estate del 2006 la superficie media bruciata per singolo incendio era stata di circa 7 ettari, nella scorsa estate la superficie media bruciata è stata di circa 17 ettari, il che significa che ogni incendio è diventato un grande incendio.
I dati comparativi sopra esposti, sui quali ha in parte influito la situazione climatica dell’estate del 2006, evidenziano oggettivamente una ridotta velocità ed incisività degli interventi di spegnimento, le cui cause vanno rimosse con la massima urgenza e nel più breve tempo possibile, così da scongiurare il gravissimo rischio che anche la prossima estate venga ad essere drammaticamente segnata dal fenomeno degli incendi.
Innanzi tutto occorre assolutamente superare l’attuale situazione di frammentazione della catena di comando, che vede in concreto una pluralità di attori – Protezione civile, Corpo forestale dello Stato, Vigili del fuoco, Ministero dell’interno, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Regioni, Comuni – operare ed intervenire in assenza di un efficace coordinamento e della necessaria chiarezza circa chi deve fare cosa e soprattutto chi deve assumere il comando delle operazioni di spegnimento. La frantumazione della catena di comando e la dispersione e sovrapposizione delle competenze da un lato incidono in modo assai negativo sulla capacità di pronto ed incisivo intervento contro l’evento incendiario, dall’altro generano inevitabilmente deresponsabilizzazione.
Si tratta di porre fine al proliferare di sale operative e di numeri di soccorso, istituendo un unico numero telefonico per l’allertamento antincendio e garantendo effettivamente la presenza in ciascuna Regione di una sola sala operativa unificata permanente e di un solo direttore delle operazioni di spegnimento, così che tutte le Regioni possano effettivamente assolvere al ruolo di coordinamento delle operazioni a terra ad esse affidato dalla legge n. 353 del 2000.
Parallelamente, in considerazione del ruolo che lo Stato è chiamato a svolgere dalla legge n. 353 del 2000 in tema di operazioni aeree di spegnimento, gli interventi antincendio con velivoli dovrebbero essere interamente affidati allo Stato, salva ovviamente la stipula di convenzioni tra Regioni e corpi statali dotati di flotte aeree, analogamente a quanto accade in altri Stati europei, a cominciare dalla Germania. Ciò consentirebbe sia di creare i presupposti fondamentali per il coordinamento degli interventi aerei di spegnimento, sia di realizzare ingenti risparmi di spesa attraverso l’eliminazione di quelle convenzioni con soggetti privati che troppo spesso si rivelano eccessivamente onerose per il pubblico erario.
Occorre, altresì, prendere doverosamente e responsabilmente atto della circostanza per cui, data anche la conformazione accidentata e non molto abitata del territorio boschivo nazionale, la prontezza e l’efficacia delle operazioni di spegnimento, e di conseguenza la possibilità di contenere le dimensioni della superficie bruciata, dipendono strettamente dalla validità dei sistemi di avvistamento. Pertanto, si deve finalmente dare integrale attuazione all’articolo 7 della legge n. 353 del 2000, che annovera l’avvistamento tra le componenti fondamentali della lotta attiva agli incendi, e realizzare in particolare in ciascuna Regione una diffusa e capillare rete di punti di avvistamento, coinvolgendo ampiamente il volontariato, debitamente formato ed addestrato mediante appositi corsi antincendio.
Occorre, inoltre, assicurare in modo chiaro ed univoco la direzione delle operazioni di spegnimento a terra ed il coordinamento delle squadre impegnate a terra, ponendo fine all’attuale condizione di occasionalismo, improvvisazione e confusione icasticamente descritta, in occasione della sua audizione in Commissione, dal Capo del dipartimento dei Vigili del fuoco: <<Chi arriva prima forse comanda, forse>>.
Occorre poi formare ed organizzare validamente il volontariato che partecipa, con un encomiabile impegno di grande valore sociale, alle operazioni di spegnimento a terra e indirizzare le Regioni verso una stipula delle convenzioni antincendio boschivo che sia tempestiva rispetto all’apertura del periodo di maggior rischio, rappresentato ovviamente dalla stagione estiva, così da non ripetere gli errori dello scorso anno, che vide Regioni meridionali stipulare le convenzioni in date addirittura successive al 7 luglio.
Attraverso lo strumento delle convenzioni, ciascuna Regione potrebbe in effetti realizzare una rete di mezzi e personale coordinata efficacemente dalla sala operativa unificata permanente e caratterizzata da una positiva sinergia tra struttura regionale, Corpo forestale dello Stato, Vigili del fuoco e volontariato di protezione civile.
Sempre in tema di potenziamento del coordinamento tra gli organismi e i soggetti competenti, occorre provvedere a definire con chiarezza le competenze in materia di incendi di interfaccia, ossia degli incendi che originano in area boschiva o da un semplice cumulo di sterpaglie, ma che poi immediatamente si propagano ad insediamenti abitativi ed infrastrutture.
La Commissione ritiene poi assolutamente indispensabile che tutti i Comuni si dotino, conformemente a quanto prescritto dall’articolo 10 della legge n. 353 del 2000, del catasto delle aree percorse dal fuoco, così da garantire la concreta operatività dei divieti di mutamento di destinazione d’uso, di edificazione, di rimboschimento, di ingegneria ambientale, di pascolo e di caccia stabiliti dallo stesso articolo 10 al fine di prevenire e scoraggiare gli incendi dolosi. In effetti, anche se è indubbio che non tutti gli incendi sono di matrice dolosa, è altrettanto indubbio che la predisposizione del catasto delle aree bruciate è un adempimento obbligatorio per legge e senz’altro in grado di dare un fondamentale contributo alla prevenzione degli incendi.
A questo riguardo va sollecitata l’introduzione nell’ordinamento di una disposizione – come quella recata dal disegno di legge A. S. n. 1749, presentato dal senatore Tommaso Sodano e da altri senatori - che consenta alla Regione, nel caso in cui il Comune non effettui tramite apposito catasto il censimento dei soprassuoli già percorsi dal fuoco, di provvedere, previa diffida, mediante un commissario
ad acta
.
Occorre anche integrare la normativa dettata dall’articolo 10 della legge n. 353 del 2000 allo scopo di impedire che, in caso di costruzioni abusive realizzate in aree percorse dal fuoco, i Comuni possano optare tra l’acquisizione al patrimonio e l’abbattimento del manufatto; in ogni caso va imposta al Comune la soluzione dell’abbattimento – come prevede il sopra citato disegno di legge A. S. n. 1749 - perché in tal modo si attiva un efficace deterrente rispetto ad incendi dolosi strumentali alla costruzione di opere edilizie.
Va parimenti segnalata la necessità di introdurre nell'ordinamento una disposizione che preveda che, nel caso in cui il Comune non adotti il piano comunale di emergenza, si provveda, previa diffida, mediante un commissario
ad acta
.
La Commissione giudica necessario, altresì, raccogliere il grido d’allarme lanciato dal Capo del Corpo forestale dello Stato in occasione della sua audizione – “<<I boschi sono abbandonati…gli enti preposti all’aspetto gestionale… in realtà manifestano una cultura dell’abbandono>> - ed operare con urgenza nella direzione di una corretta e sostenibile manutenzione del territorio boschivo ed in particolare del sottobosco. Analoga esigenza va rilevata rispetto ai terreni non boschivi, visto che con il lasciarli incolti o nell’incuria si crea una situazione oggettivamente favorevole al propagarsi delle fiamme nella stagione estiva: in Sicilia nello scorso anno sono stati percorsi dal fuoco circa 37 mila ettari, due terzi dei quali costituiti da terreni ex agricoli o agricoli abbandonati.
Solo così facendo si potrà conferire effettività al principio, sancito dalla legge n. 353 del 2000, secondo il quale la prevenzione – intesa come il complesso delle azioni mirate a ridurre le cause ed il potenziale innesco di incendi – è componente essenziale ed indefettibile della lotta agli incendi e attività propedeutica rispetto agli stessi interventi di salvaguardia.
Una specifica attenzione deve essere riservata al potenziamento della lotta attiva agli incendi nelle aree protette, in primo luogo almeno completando nell’immediato le piante organiche dei coordinamenti territoriali per l’ambiente (CTA) del Corpo forestale dello Stato, giacché al momento il personale di tali coordinamenti è meno del 50 per cento di quello previsto dalle relative piante organiche.
Più in generale sembra indispensabile dotare il Corpo forestale dello Stato e il Corpo dei Vigili del fuoco di adeguate risorse umane e finanziarie, anche perché potenziare tali forze significa anche supportare con maggiore efficacia le amministrazioni comunali e le comunità montane nell’organizzazione di efficienti presidi territoriali.
Occorre poi attivare appositi presidi antincendio, almeno nelle zone a rischio più elevato, impiegando mezzi e personale delle forze di polizia e delle forze armate, secondo quanto previsto dall’articolo 7, comma 3, lettera c), della legge n. 353 del 2000.
E’ necessario, inoltre, assicurare, superando talune inerzie attuali anche degli enti gestori, l’integrale attuazione ed osservanza dell’articolo 8 della legge n. 353 del 2000, che stabilisce l’obbligatorietà del piano generale di coordinamento antincendio, che deve essere predisposto dal Ministro dell’ambiente di intesa con le Regioni interessate, su proposta degli enti gestori, sentito il Corpo forestale dello Stato.
La Commissione ritiene altresì opportuno procedere ad una modifica della disciplina recata dall'articolo 12 della legge n. 353 del 2000 in tema di criteri di ripartizione delle somme trasferite dallo Stato alle Regioni per la lotta agli incendi boschivi che consenta di tenere nella dovuta considerazione le necessità delle Regioni che possiedono un esteso patrimonio boschivo.
In considerazione del fatto che, rispetto ai rischi naturali e in particolare a quelli relativi agli incendi boschivi, la situazione della sicurezza è simile nei vari Paesi dell’area mediterranea, la Commissione ritiene infine opportuno valutare con grande attenzione la possibilità di istituire un Centro per la sicurezza del Mediterraneo, che operi come volano di una stretta ed efficace collaborazione tra le autorità competenti dei diversi Stati dell’area, collaborazione che potrebbe validamente realizzarsi anche sullo sfondo della creazione di una flotta europea antincendio.
DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL'INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI INCENDI BOSCHIVI APPROVATO DALLA COMMISSIONE
Attraverso l’indagine conoscitiva sugli incendi boschivi, deliberata in data 31 luglio 2007 e autorizzata dal Presidente del Senato in data 2 agosto 2007, la 13a Commissione permanente ha inteso acquisire dati particolareggiati sul fenomeno e sulle sue cause, verificare lo stato di attuazione della legge quadro in materia di incendi boschivi, raccogliere indicazioni e valutazioni riguardo le ragioni che sono all'origine della mancata creazione in vari Comuni del catasto delle aree percorse dal fuoco, nonché individuare interventi normativi ed organizzativi capaci di rendere più tempestiva ed efficace la lotta agli incendi boschivi, a cominciare dalla fondamentale fase della prevenzione.
Dal 1° gennaio al 23 settembre 2007 si sono verificati 8.847 incendi boschivi – di cui 7.606 concentrati tra il 1° giugno e il 23 settembre - che hanno causato la morte di 18 persone ed ingenti danni di vario genere, dovuti anche al fatto che i roghi forestali hanno spesso coinvolto strutture urbane o manufatti. In totale, le fiamme hanno percorso 138.172 ettari, di cui 66.490 boscati e 71.682 non boscati. Si rilevano perciò sensibili incrementi rispetto al corrispondente periodo 1° gennaio-23 settembre del 2006, quando si erano avuti 5.645 incendi, un unico decesso ad essi legato e la devastazione di 39.949 ettari. In percentuale, nel 2007 l’aumento degli episodi incendiari è stato del 60 per cento e quello delle superfici bruciate addirittura compreso tra il 250 e il 300 per cento; quanto poi ai decessi, nel 2007 essi sono stati più numerosi che nell’intero quadriennio 2003-2006 (durante il quale furono 13).
Già dal mese di giugno del 2007, in concomitanza con l'aumento delle temperature, giunto a seguito di un lungo periodo di siccità, ci sono stati gravi incendi nei territori delle Regioni dell'Italia centro-meridionale. I fenomeni di combustione hanno costellato anche il mese di luglio, tanto che il giorno 27 di quel mese è stato dichiarato il relativo stato di emergenza, con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Le fasi più acute del 2007, comunque, si sono registrate nella seconda metà di agosto, a partire dal giorno 20, interessando in particolare Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania e Lazio. La punta massima è stata toccata mercoledì 22 agosto, allorché i numerosi incendi – alcuni dei quali persistevano dalla giornata precedente - hanno colpito con virulenza notevoli estensioni di territorio in tutta l’Italia meridionale.
Secondo le informazioni fornite alla Commissione dal dottor Bertolaso, sebbene il Dipartimento della Protezione civile, avendo previsto l’insorgenza di una situazione climatica favorevolissima all'innesco ed allo sviluppo di incendi in quei giorni agostani, avesse emesso quotidiani avvisi di pericolo a tutti gli organi interessati ed avesse tempestivamente provveduto a mobilitare la flotta aerea disponibile, l’insieme degli interventi di spegnimento ha dovuto affrontare in quel frangente enormi difficoltà operative, aggravate anche dai fattori meteorologici. Infatti, alte temperature e forti turbolenze locali, in alcuni casi, hanno impedito temporaneamente la permanenza in zona di operazione dei mezzi aerei e, per giunta, ulteriori condizioni meteorologiche avverse (nubi basse, piogge, scariche elettriche) hanno bloccato l’afflusso di altri velivoli da altre zone del Paese, quali la Sardegna, proprio mentre le richieste di soccorso si moltiplicavano. A fine giornata del 22 agosto le richieste di soccorso aereo sono risultate ben 48, di cui è stato possibile evaderne 32, mentre per il resto si provvedeva con mezzi terrestri.
Nell'estate del 2007, gli interventi sono riusciti a ridurre le conseguenze degli incendi, evitando che esse diventassero ancora più catastrofiche. Sta di fatto, comunque, che nonostante gli sforzi dei soccorritori – il cui impegno talora si è spinto fino a mettere a repentaglio la propria vita - il bilancio è stato estremamente pesante. Pertanto, si avverte l'urgente necessità di migliorare e rafforzare il dispositivo antincendio ed è indubbio che margini per progredire esistano e non possano assolutamente essere ignorati.
Sul piano ordinamentale, va ricordato che in risposta agli eventi calamitosi, la Presidenza del Consiglio è intervenuta con l’ordinanza n. 3606 del 28 agosto 2007, la quale ha nominato il Capo dipartimento della protezione civile, dottor Bertolaso, Commissario delegato per il superamento del contesto emergenziale nei territori delle regioni Lazio, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Il provvedimento ha in particolare stabilito che il Commissario delegato si avvalesse, in qualità di soggetti attuatori, dei Presidenti delle Regioni o dei Prefetti delle Province interessate. Successivamente un’altra ordinanza analoga – la n. 3624 del 22 ottobre 2007- ha provveduto nella stessa maniera per i territori di Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Marche, Molise, Sardegna ed Umbria.
Il Corpo forestale dello Stato ed il Dipartimento della Protezione civile hanno concordemente indicato nei fattori climatici – su tutti, la siccità invernale e le alte temperature estive - l'elemento naturale che ha favorito la drammatica recrudescenza del fenomeno degli incendi nell'estate del 2007. Sotto il profilo degli agenti naturali, vero è che periodicamente capitano annate più sfortunate delle altre (fu così nel 1994, nel 1997, nel 2000 e nel 2003), ma è altresì vero che i fenomeni meteorologici del 2007 sono probabilmente inquadrabili nella prospettiva di un surriscaldamento del pianeta, destinato a porre crescenti problemi anche in ordine al numero e alla gravità degli incendi.
L’indiscutibile incidenza di cause naturali sull’andamento degli incendi boschivi, ovviamente non va disgiunta dalla considerazione che la stragrande maggioranza dei roghi verificatisi è stata opera dell’uomo (le stime oscillano tra il 97 ed il 98 per cento): è questo un elemento da tenere nella massima considerazione in sede di predisposizione di interventi legislativi finalizzati a contrastare il fenomeno degli incendi.
Addentrandosi sul terreno degli incendi boschivi di matrice antropica, va tenuto presente che per l’anno 2006 si è stimato che gli incendi dolosi siano stati il 60 per cento del totale, quelli colposi il 15 per cento, sul 21 per cento permane l’incertezza, mentre infine, il 3 per cento sarebbe dipeso da cause naturali (fulmini, eruzioni vulcaniche e simili) e l’1 per cento da cause accidentali (cioè riconducibili all’attività umana solo indirettamente: ad esempio, scintille su binari ferroviari, variazioni di tensione su linee elettriche, guasti ad impianti ad alta tensione).
Quanto al 2007, per il momento esistono soltanto statistiche relative al periodo 1° gennaio-9 settembre, riferite alle persone individuate e segnalate all’autorità giudiziaria, anziché sugli eventi incendiari nel loro insieme. In totale, si tratta di 320 soggetti, di cui 311 denunciati a piede libero e 9 arrestati o sottoposti a custodia cautelare (confrontabili, volendo, con i 342 a piede libero e gli 11 arrestati o sottoposti a custodia cautelare, per una somma di 353 unità, nell’arco 1° gennaio-31 dicembre 2006). Le risultanze per il 2007 appaiono in un certo senso opposte a quelle degli anni precedenti: infatti, fra le 320 persone individuate e segnalate nel 2007, 285 avrebbero causato i roghi per colpa, e 35 per dolo (in percentuale, 89 per cento per colpa e 11 per cento per dolo). In proposito, il Corpo forestale dello Stato ha fatto presente che il dato è significativamente influenzato dal più immediato accertamento di cui sono oggetto le fattispecie di reato per colpa, rispetto a quelle di reato per dolo, ha aggiunto che nel campo degli incendi boschivi è relativamente facile mascherare intenti dolosi dietro modalità colpose e, pertanto, ha concluso che i roghi provocati ad arte in realtà sarebbero più numerosi di quanto dicano le statistiche. Ancora più avanti si è spinto il vicepresidente della Federparchi, dottor Amilcare Troiano, il quale nella sua audizione in Commissione ha parlato di <<un vero e proprio attacco criminale>> alle aree protette per le quali, secondo la sua esperienza, gli incendi sono tutti di origine dolosa.
Interpretando i dati relativi al 2007, in ogni caso, è indispensabile tenere conto di ulteriori caratteristiche e difetti dell’unico campione statistico per ora disponibile, profondamente difforme da quello basato sugli episodi incendiari. Si noti, in particolare, una circostanza di per sé allarmante e meritevole di riflessione: storicamente, la percentuale di incendiari che sono stati scoperti è molto bassa. Nel periodo 2000-2006 è stata del 7 per cento, e nel 2007 è addirittura scesa al 4 per cento. I motivi della larga impunità, secondo il Corpo forestale dello Stato, sono <<l’elevato numero dei reati, la matrice non solo di criminalità ma di illegalità diffusa (…) la vastità dei territori in cui sono commessi i reati e la molteplicità dei moventi, delle cause o delle matrici motivazionali>>. Comprensibilmente, la Federparchi ha rivolto un appello alla Commissione affinché essa si faccia interprete dell’esigenza di potenziare i servizi investigativi e repressivi. Il Corpo forestale dello Stato, inoltre, ha dato notizia che si sta creando, in Rieti, un laboratorio di analisi degli ordigni e degli inneschi serviti per appiccare incendi che sono stati rinvenuti, e ha suggerito l’introduzione di una legge che sanzioni penalmente la detenzione, il trasporto e la fabbricazione di strumenti di questo tipo.
Continuando ad analizzare gli elementi conoscitivi acquisiti dalla Commissione, emerge che 45 delle 320 persone segnalate nel 2007 all’autorità giudiziaria – ossia l’11 per cento - hanno precedenti penali. Dei suddetti 45, le persone sottoposte ad arresto sono 6. Gli organismi interpellati dalla Commissione durante l’indagine conoscitiva, purtroppo, non hanno fornito statistiche sulla percentuale dei condannati rispetto a coloro che erano stati segnalati all’autorità giudiziaria, né relativamente al periodo 2000-2006, né ad altri periodi.
Il Corpo forestale dello Stato, che è competente per le investigazioni nel ramo e ha perciò costituito appositi nuclei a livello centrale e provinciale (denominati NIAB), ha invece elaborato alcuni profili degli autori degli incendi, sia pure limitatamente ai soggetti identificati nell’anno 2006. La figura più ricorrente, quella dell’incendiario colposo, è quasi sempre di sesso maschile, di età avanzata, legata al contesto socio-economico dell’ambiente rurale. Pratica con il fuoco la distruzione dei residui di lavorazioni agricole o di ripuliture di terreni per risparmiare, e lo fa senza usare accorgimenti. E’ presente in tutte le Regioni, ma soprattutto in quelle meridionali.
Segue l’incendiario doloso, anch’egli di sesso maschile ma di età media, legato in modo continuo al contesto dell’ambiente rurale e pastorale, dal quale trae sovente redditi considerevoli, magari usufruendo di sovvenzioni. Appicca il fuoco per eliminare la bassa macchia ed il bosco ed ottenere la ricrescita di nuova vegetazione più adatta all’allevamento. Più volte in contatto con ambienti illegali, tende ad imporre i propri interessi con la forza. Agisce soprattutto nel centro-sud.
I piromani, infine, quasi tutti di sesso maschile, sono di età giovane o media. Slegati dal contesto rurale, realizzano distruzioni con il fuoco per eccitare la loro personalità ossessiva e si compiacciono dei danni e dell’allarme che le loro azioni provocano. Colpiscono in tutte le regioni italiane.
Questo quadro è da assumersi pur sempre in via provvisoria, poiché la grande maggioranza di ignoti potrebbe corrispondere ai suddetti profili oppure differire da essi in misura anche grande. Intanto, il Corpo forestale si sta ponendo l’obiettivo di verificare l’eventuale esistenza di un’ulteriore categoria di responsabili, promotori di interessi illegali connessi a contesti associativi.
Passando ora a considerare l'assetto ordinamentale ed organizzativo della lotta agli incendi boschivi, va ricordato innanzi tutto che la disciplina fondamentale di settore è recata dalla legge n. 353 del 21 novembre 2000, denominata
Legge-quadro in materia di incendi boschivi.
Essa ha introdotto per la prima volta il concetto di incendio boschivo (definito all’articolo 2 <<un fuoco con suscettività a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all'interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree>>). La legge n. 353 del 2000 si è mossa in un’ottica di attribuzioni di tipo concorrente fra Stato e Regioni e ne ha definito la ripartizione, tendendo al decentramento. Accanto alle prescrizioni inerenti alle funzioni riservate allo Stato, le disposizioni di legge recano principi fondamentali dell’ordinamento ai quali la normativa regionale avrebbe dovuto adeguarsi entro un anno dall’entrata in vigore della legge quadro.
In particolare, alle Regioni spetta la predisposizione di piani per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta agli incendi, sulla base di linee guida tracciate dal Consiglio dei Ministri. In caso di inadempienza da parte delle Regioni, tuttavia, il Ministro delegato per la protezione civile ha poteri sostitutivi per fare fronte alle emergenze. Inoltre, la legge quadro incarica le Regioni di coordinare le proprie strutture antincendio con quelle statali e le autorizza ad avvalersi di risorse, mezzi e personale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e del Corpo forestale dello Stato in base ad accordi di programma, nonché di volontari e, in caso di necessità, di aiuto da parte delle forze armate e delle forze di polizia previa richiesta all’autorità competente. Province, Comunità montane e Comuni attuano le attività di previsione e di prevenzione secondo le attribuzioni stabilite dalla Regioni. Per le aree naturali protette sono previste speciali tutele.
Tra le funzioni riservate all’autorità centrale spiccano le attività aeree di spegnimento mediante apposita flotta statale antincendio, dirette dal Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri. Alle Regioni, invece, è affidato il coordinamento delle operazioni a terra.
Sia lo Stato che le Regioni promuovono, ai sensi della legge quadro, attività informative e, d’intesa, iniziative di educazione ambientale. Le Regioni curano pure attività formative.
I principali soggetti destinatari dei finanziamenti delle spese connesse alla lotta agli incendi boschivi sono il Dipartimento della protezione civile e le Regioni. Alla ripartizione tra queste ultime provvede il Ministro dell’economia e delle finanze, applicando criteri dettati dalla stessa legge n. 353 del 2000. Le Regioni, a loro volta, trasferiscono agli enti locali territoriali la parte di risorse finanziarie necessaria allo svolgimento delle attribuzioni loro conferite. La legge stanzia risorse finanziarie anche per la sperimentazione di tecniche satellitari.
Il Dipartimento della protezione civile, per conto del Ministro delegato, ha il compito di monitorare sugli adempimenti previsti dalla legge; nello specifico campo finanziario, il Dipartimento deve effettuare una ricognizione delle somme assegnate ma non utilizzate, le quali sono soggette a revoca e riassegnazione con decreto ministeriale.
L’attuazione della legge quadro, pertanto, dipende dalla realizzazione di un complesso di azioni da parte di una pluralità di soggetti, spesso chiamati a lavorare in sinergia. Data questa impostazione, è di primaria importanza che tra i vari organismi e soggetti coinvolti nella lotta agli incendi boschivi ci sia un effettivo coordinamento.
Nel recente passato, un contributo alla verifica dell'attuazione degli adempimenti prescritti dalla legge quadro è venuto dalla Corte dei conti per la parte di propria competenza. Essa infatti nel dicembre 2005 ha concluso un’indagine sugli <<interventi per la previsione, prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi>>, attività in ordine alle quali, come si è detto, a norma della legge n. 353 del 2000, le Regioni sono tenute ad approvare piani in armonia con le linee guida fissate dal Governo, attualmente recate da un decreto del Ministro dell’Interno datato 20 dicembre 2001.
La Corte dei conti all’esito del proprio esame, ultimato a circa un quinquennio dall’entrata in vigore della legge quadro, mise in rilievo una serie di inadempienze e di punti critici che sono tuttora di grande interesse, anche perché in parte riaffiorati durante l’indagine conoscitiva condotta dalla Commissione.
Per prima cosa, la Corte dei Conti evidenziava che poche Regioni avevano provveduto all’adeguamento della legislazione regionale di settore e si erano dotate di idonee strutture. La maggioranza delle Regioni faceva ricadere sul Corpo forestale dello Stato e sul Corpo dei Vigili del fuoco buona parte degli oneri finanziari ed organizzativi inerenti all’utilizzazione del personale e dei mezzi di soccorso. D’altro canto, la Corte dei Conti affermava che il Dipartimento della protezione civile, il quale secondo la legge n. 353 del 2000 effettua un monitoraggio degli adempimenti, non aveva svolto a sufficienza tale compito. Inoltre, la Corte attribuiva pesanti conseguenze negative ai ritardi verificatisi nella istituzione dei catasti comunali delle zone percorse dal fuoco, malgrado le sollecitazioni partite dal Ministro delegato alla protezione civile e dalla Presidenza del Consiglio. Sull’utilizzo delle risorse finanziarie la Corte, in mancanza di tempestiva ed affidabile rendicontazione, giudicava non bastante l’accertamento che le somme appositamente trasferite dallo Stato alle Regioni (
ex
articolo 12 della legge) fossero state completamente spese; l’entità di tali risorse, comunque, era ritenuta largamente inferiore alle esigenze, specie per gli interventi di contrasto e spegnimento delle fiamme da effettuarsi con mezzi terrestri, mentre riguardo alla flotta aerea statale si eccepiva la mancanza di un chiaro progetto di potenziamento. La Corte si asteneva da giudizi sui livelli di efficienza, efficacia ed economicità conseguiti nella lotta attiva contro gli incendi boschivi, limitandosi ad auspicare che ulteriori apporti finanziari fossero più mirati e più consistenti. Infine, in merito alle attività di formazione e di informazione rivolte alla prevenzione ed alla lotta attiva, rilevava un’eccessiva genericità della normativa ma, al contempo, considerava positivamente le iniziative realizzate dal Corpo forestale dello Stato e da altri centri di responsabilità statali, pur rilevando che era difficile misurarne l’efficacia.
La Commissione, dopo l’audizione del 2 agosto del Capo Dipartimento della Protezione civile, che ha riguardato i roghi del giugno e luglio 2007 benché fosse inquadrata nell’ambito di un’indagine conoscitiva sull’attività della protezione civile in generale, nel mese di settembre ha poi dato inizio ad un nuovo ciclo di audizioni, specificamente dedicato agli incendi boschivi. Attraverso le audizioni effettuate e anche sulla base della documentazione acquisita, la Commissione ha dovuto constatare una serie di rilevanti inadempienze, problemi di coordinamento e, in minor misura, carenze della legge quadro, e ha conseguentemente maturato il convincimento che tale legge non ha purtroppo ancora trovato integrale attuazione e che, al di là di alcune integrazioni che appaiono necessarie ed urgenti, il primo intervento di riforma da attuare consista proprio nell'applicazione puntuale e rigorosa della legge quadro.
Nel corso dei lavori della Commissione si è riproposta con forza, quale caso emblematico di mancata attuazione della legge n. 353 del 2000, la questione del catasto delle aree percorse dal fuoco, che era stata già evidenziata nella sua indagine anche dalla Corte dei conti. Nelle intenzioni del legislatore, la mappatura e perimetratura delle aree colpite avrebbe reso efficace i divieti –contestualmente previsti dalla medesima legge quadro - di mutamento di destinazione, di edificazione, di rimboschimento, di ingegneria ambientale, di pascolo e di caccia.
Ai sensi dell’articolo 10, comma 2, della legge n. 353 del 2000, il compito di istituire il catasto ed aggiornarlo annualmente ricade sui Comuni. Il Dipartimento della protezione civile ed il Corpo forestale dello Stato convergono nel ritenere che l’inerzia nella realizzazione del catasto sia dipesa soprattutto dai Comuni, come del resto adombrava la stessa Corte dei conti a conclusione della sua indagine.
Sull’importanza del censimento catastale ai fini della prevenzione degli incendi boschivi, da più parti affermata anche nel corso delle audizioni, i rappresentanti dell'ANCI hanno invero manifestato qualche perplessità e tra l’altro hanno lamentato sia di non aver ricevuto dalle Regioni le relative risorse finanziarie, sia di essersi potuti giovare pienamente solo negli ultimi tempi della collaborazione tecnica da parte del Corpo forestale dello Stato, consistente nell’elaborazione di mappe georeferenziate complete.
Riguardo tali osservazioni, la Commissione deve osservare che un'eventuale sfiducia nelle potenzialità del catasto non esime i soggetti incaricati di realizzarlo dal dare corso alle disposizioni di legge, la cui reale efficacia potrà essere valutata con cognizione di causa solo dopo la loro attuazione e non prima. Inoltre, si possono addurre vari esempi di accordi tra Corpo forestale dello Stato e Comuni risalenti ormai a qualche anno fa, a riprova di come la disciplina sull’istituzione del catasto fosse in realtà attuabile sin da allora.
Sta di fatto, in ogni caso, che fino al settembre 2007 soltanto una piccola parte dei Comuni – grossomodo il 10 per cento - aveva compiuto i passi imposti dalla legge quadro, il che significa che la drammatica emergenza dell'estate del 2007 si è verificata sullo sfondo di un contesto ordinamentale colpevolmente segnato dall'inerzia dei Comuni nella realizzazione di un'importante previsione della legge n. 353 del 2000.
La situazione è però notevolmente cambiata nei mesi successivi allo scorso settembre, nei quali la percentuale dei Comuni in regola è venuta velocemente aumentando. Con ogni probabilità, il rapidissimo aumento recente è soprattutto un effetto della O.P.C.M. n. 3606 del 28 agosto 2007, la quale ha messo in moto una procedura di diffida per i Comuni inadempienti prevedendo, alla scadenza di quindici giorni, l'intervento in via sostitutiva da parte dei soggetti attuatori che operano per conto del Commissario delegato.
Inoltre, ai progressi segnati dal mese di settembre 2007 ha contribuito pure la facilitazione dell’accesso al SIM (Sistema Informativo della Montagna) gestito dal Corpo forestale dello Stato, nel quale sono registrate le aree percorse dal fuoco. Sotto questo aspetto, ora per molti Comuni è sufficiente accreditarsi ed accedere così – gratuitamente - alla banca dati SIM, mentre resta a loro carico la successiva fase della perimetrazione. Il Capo del Corpo forestale dello Stato ha ricordato, peraltro, che a partire dal 2000 il Corpo aveva proceduto alla registrazione delle aree percorse dal fuoco e che da quella data l'elenco aggiornato era già a disposizione dei Comuni.
Per il futuro prossimo, si prevede che il censimento catastale e la raccolta dei dati su scala nazionale possano ricevere un prezioso ausilio dalle tecnologie satellitari in corso di sviluppo, che la Commissione si è fatta illustrare dai rappresentanti della società Telespazio.
Un altro caso di annosa inadempienza da parte degli enti locali concerne i piani comunali di emergenza, spesso mai varati. E’ il caso, purtroppo, anche di Comuni che la scorsa estate sono stati drammaticamente colpiti dagli incendi. Probabilmente, la diffusa inerzia rientra in un discorso più generale di sensibilità verso la materia della protezione civile. La legge n. 225 del 1992 ed il decreto legislativo n. 112 del 1998 mettono ciascun sindaco a capo della Protezione civile nel proprio Comune, ma di fatto mentre alcuni sindaci si attivano in tal senso – anche organizzando esercitazioni alle quali partecipano in prima persona - altri sembrano mostrare una minore sensibilità per tale funzione.
La Commissione ha dovuto constatare che il mancato rispetto dei dettami della legge n. 353 del 2000 investe pure i parchi e le riserve naturali, oggetto di rafforzate tutele ai sensi dell’articolo 8 della legge quadro. Per tali aree il Ministro dell’ambiente d’intesa con le Regioni interessate, su proposta degli enti gestori, sentito il Corpo forestale dello Stato, deve predisporre un apposito piano da inserire nel più vasto piano regionale di cui all’articolo 3, comma 1, della suddetta legge. Nei fatti non tutti i parchi possiedono il loro piano (uno di essi è il Parco del Gargano, malauguratamente assurto alle cronache estive a causa degli incendi che lo hanno funestato).
Viceversa i piani regionali di programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta agli incendi, dei quali in passato era stata denunciata la perdurante assenza, oggi ci sono. Tuttavia, anche qui i problemi non mancano poiché –come è stato evidenziato dal Dipartimento della protezione civile - i piani differiscono grandemente da una Regione all’altra sia per le forme organizzative legittimamente e liberamente scelte da ciascuna Regione, sia per gli
standard
qualitativi raggiunti. Nelle audizioni tenute dalla Commissione sono stati citati esempi positivi ma si è parlato anche di piani elaborati solamente
pro forma
o comunque scadenti. La piena autonomia lasciata alle Regioni insomma sembra aver prodotto esiti disomogenei, il che non agevola poi le sinergie con strutture modellate su base nazionale quali il Corpo forestale dello Stato ed il Corpo dei Vigili del fuoco.
Proprio in tema di collaborazioni, il Capo del Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dottor Giuseppe Pecoraro, ha fatto presente alla Commissione che alcune Regioni non hanno stipulato con l’organismo da lui guidato gli accordi di programma espressamente previsti dalla legge quadro - articolo 7, comma 3, lettera
a
) - in funzione della lotta attiva agli incendi, oppure lo hanno fatto assai tardivamente. Risulta infatti che la convenzione con la Puglia sia stata siglata il 21 giugno 2007, quella con la Campania il successivo 9 luglio e quelle con la Calabria e la Sicilia l’11 luglio. Il dottor Pecoraro, oltre tutto, ha segnalato alcune manchevolezze che hanno caratterizzato tali accordi.
A fronte delle inadempienze, si registrano pure disfunzioni di segno opposto, ossia indebite moltiplicazioni. Ci si riferisce in particolare a quello che secondo la legge n. 353 del 2000 dovrebbe essere il fulcro della lotta attiva agli incendi: la SOUP, acronimo di Sala Operativa Unificata Permanente. E’ stata, difatti, denunciata nel corso delle audizioni una proliferazione di sale operative in talune Regioni e la Commissione ha verificato che nella regione Molise hanno operato tra il luglio e il settembre 2007 una SOUP a Campobasso e un Centro operativo regionale sempre a Campobasso, nonché un centro funzionale della Protezione civile nel comune di Campochiaro. In Campania ci sono 8 sale operative, una delle quali con funzioni di coordinamento generale. In Calabria ci sono 5 sale operative provinciali e una sala operativa regionale con funzioni di centro operativo regionale.
La Commissione ha potuto anche appurare casi di alternanza nelle funzioni: in Umbria vi sono una SOUP – creata con legge regionale n. 28 del 2001- ed una Centrale Operativa del Corpo forestale dello Stato, le quali si dividono i compiti stagionalmente; nei periodi dichiarati <<di grave pericolosità>>> dalla Regione (con atto amministrativo) è attiva la SOUP, mentre negli altri periodi il coordinamento degli interventi – ivi compresi quelli aerei - compete alla Centrale Operativa del Corpo forestale dello Stato. In Toscana, d’estate, la SOUP è supportata da dieci Centri Operativi provinciali (uno per ogni provincia). Altri assetti variabili a seconda della stagione sono previsti in Abruzzo e in Molise. La Commissione ha potuto pure accertare situazioni di inesistenza della SOUP: Basilicata e Puglia non hanno ancora provveduto alla loro creazione, il Piemonte si trova <<in fase progettuale>>, invece di una SOUP la Regione Veneto ha un Centro operativo regionale, la Regione Campania ha una sala operativa con funzioni di coordinamento e la regione Calabria ha una sala operativa regionale con funzioni di coordinamento.
I precedenti rilievi si prestano ad introdurre un secondo profilo assai critico: il coordinamento tra le forze antincendio. L’ingegner Patrone, capo del Corpo forestale dello Stato, ha sostenuto che la catena di comando disegnata dalla legge n. 353 del 2000 è nei fatti frammentata e che è necessario un ripensamento in materia. Il dottor Pecoraro, a nome del Corpo dei Vigili del fuoco, ha rincarato la dose insistendo sulla mancanza di coordinamento delle squadre di intervento terrestre, descrivendo una realtà in cui <<nessuno è responsabile perché sono tutti partecipi della stessa funzione>> e, in pratica, <<chi arriva prima forse comanda, forse>>. Valutazioni sostanzialmente coincidenti con quelle sopra riportate sono state formulate dal dottor Troiano, vicepresidente della Federparchi, e dal dottor Bertolaso, Capo del Dipartimento della Protezione civile, il quale ha altresì ricordato che ai sensi della legge quadro le Regioni devono dotarsi di un direttore delle operazioni di spegnimento.
Il dottor Bertolaso, in particolare, ha evidenziato i paradossali problemi che si aprono quando ci si trova in presenza dei cosiddetti incendi di interfaccia, vale a dire quelli che originano in area boschiva o da un semplice cumulo di sterpaglie, ma che poi immediatamente si propagano ad insediamenti abitativi ed infrastrutture. In questa tipologia di situazioni, sempre più frequente eppure non prevista dalla normativa primaria vigente, non è chiaro chi debba intervenire: da un lato, non trattandosi di incendio boschivo, il Corpo forestale ha difficoltà ad occuparsi delle abitazioni minacciate, e dall’altro, per motivi uguali e contrari, sono in difficoltà pure i Vigili del fuoco, ai quali non compete provvedere alla vegetazione.
Il coordinamento si sta rivelando problematico anche per la gestione ordinaria dei boschi situati all’interno dei parchi naturali. I parchi non hanno la disponibilità dei territori in oggetto, i quali appartengono in gran parte al demanio comunale o a proprietà private, e dunque sono impossibilitati ad attuare misure di regolamentazione e controllo che sarebbero utili in chiave di prevenzione degli incendi.
L’importanza di un coordinamento efficace è stata esplicitamente richiamata dalla Presidenza del Consiglio in occasione dei provvedimenti indirizzati agli enti territoriali nel 2007. Si fa riferimento in primo luogo all'
Atto di indirizzo
emanato in data 1° giugno 2007 e destinato ai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome (nonché, per conoscenza, ad una serie di Ministeri) in vista della critica stagione estiva che si preannunciava. Il dottor Bertolaso si è detto convinto che se l’appello di principio e le dettagliate indicazioni in tal senso contenute nel medesimo
Atto di indirizzo
fossero stati accolti da tutti con la dovuta attenzione, nell’estate 2007 il fenomeno degli incendi boschivi sarebbe risultato molto meno devastante.
Più in generale la Commissione ha dovuto rilevare, quanto alle attività di intervento sul fronte degli incendi boschivi, l'esistenza di una catena di comando eccessivamente articolata e frammentata e per questo particolarmente esposta, nel suo concreto funzionamento, al rischio di ritardi ed inceppamenti.
E’ del tutto evidente che la lotta agli incendi boschivi deve cominciare dalla prevenzione, che ne costituisce davvero il momento cruciale e fondamentale; del resto non si può ignorare il fatto che il relativo potenziamento del dispositivo di intervento registratosi negli scorsi anni non è stato sufficiente ad evitare che nell’estate del 2007 il fenomeno degli incendi boschivi raggiungesse dimensioni drammatiche. La prima esigenza è quindi quella di tenere in ordine la vegetazione. Per un incendiario – colposo o doloso che sia - dare fuoco ad un bosco è molto più facile se la scolina non è pulita. Il vicepresidente della Federparchi, nel corso della sua audizione in Commissione, ha puntualizzato che le attività di manutenzione e pulizia finalizzate alla prevenzione andrebbero concentrate nel periodo invernale e primaverile. Si deve constatare, purtroppo, che attualmente la prevenzione viene effettuata in misura inadeguata e che si tratta di un fronte di intervento rispetto al quale appare senz'altro indispensabile conseguire nel brevissimo periodo, prima della nuova stagione estiva, quei rilevanti miglioramenti che soli possono evitare il riprodursi di condizioni idonee a favorire il divampare e il diffondersi dei roghi.
Ovviamente anche la formazione e l’educazione possono dare un importante contributo alla prevenzione degli incendi ed alla salvaguardia dei boschi: il Corpo forestale dello Stato ha proposto campagne a largo spettro – ad esempio nelle scuole, come del resto già previsto dall’articolo 5 della legge n. 353 del 2000 - da affiancare ad iniziative mirate, quali la diffusione tra gli agricoltori ed i pastori di tecniche agronomiche alternative all’uso del fuoco. Inoltre, il Corpo forestale si è candidato a tenere corsi antincendio boschivo allo scopo di elevare i livelli di addestramento specifico sia per il personale appartenente alle forze istituzionali, sia per i volontari. Al momento, la legge demanda l’organizzazione dei corsi di questo tipo alle Regioni (anche in forma associata), che allo scopo possono avvalersi del Corpo forestale dello Stato e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. In alcune realtà, tuttavia, queste disposizioni vengono sovente trascurate.
Meritano particolare attenzione, inoltre, due profili che idealmente sono al confine tra prevenzione e contrasto: la sorveglianza e l’avvistamento. Il Capo del Dipartimento dei Vigili del fuoco ha affermato in audizione che <<nessuno fa attività di avvistamento>>, benché l’articolo 4 delle legge quadro imponga il controllo e la vigilanza delle aree a rischio nonché il ricorso a tecnologie per il monitoraggio del territorio. Per contro, i rappresentanti della Regione Emilia-Romagna e della Regione Sicilia hanno dichiarato che nei loro territori sono in funzione centinaia di posti di avvistamento (100 in Emilia-Romagna e 246 in Sicilia). La conformazione del nostro Paese e la distribuzione della popolazione al suo interno fanno sì che l’impiego di tecnologie satellitari possa diventare davvero prezioso per risolvere il problema dell’avvistamento. In proposito, la Commissione ha raccolto utili informazioni attraverso l’audizione dei rappresentanti della società Telespazio, i quali hanno riferito sui sistemi di rilevazione già attivati, hanno esposto le possibilità di integrazione con i sistemi di avvistamento aereo e hanno anticipato che nel 2008 ci si avvarrà dei nuovi satelliti Cosmo-Skymed, progettati nell’ambito di un programma finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, grazie ai quali si faranno progressi soprattutto nel monitoraggio in condizioni climatiche sfavorevoli, ovviando così ad un limite connaturato alle tecniche tradizionali.
Un aspetto della lotta agli incendi sul quale la Commissione ha avuto modo di soffermarsi nell'ambito dell'indagine è quello degli interventi di spegnimento attuati con velivoli. A questo riguardo va ricordato che la flotta aerea antincendio gestita dal Dipartimento della protezione civile rappresenta sicuramente una realtà all'avanguardia in Europa: con i suoi circa settanta velivoli, tra i quali gli attuali 16 aerei Canadair e gli 8 elicotteri S64, è la più grande e moderna d’Europa ed è in programma la sua ulteriore espansione. Negli anni scorsi la flotta aerea del Dipartimento della protezione civile ha fornito aiuto anche ad altri Paesi dell’area mediterranea, nel quadro del
Meccanismo di coordinamento di protezione civile da parte dell’Unione europea
(MIC) creato tra il 2001 ed il 2003.
Per completare il quadro dei mezzi aerei di proprietà pubblica utilizzabili per le operazioni di spegnimento, va ricordato che possiedono elicotteri pure il Corpo forestale dello Stato ed i Vigili del fuoco e che, in caso di necessità, sono mobilitabili anche elicotteri dell’Esercito e della Marina. Inoltre, la regione Valle d'Aosta dispone di due elicotteri dotati di benna antincendio, ai quali se ne aggiunge un terzo destinato a sostituire in caso di necessità uno dei due sempre operativi; questi elicotteri sono stati in qualche occasione inviati in altre Regioni in supporto all'azione delle altre forze lì presenti.
Peraltro, la Commissione ha verificato che numerose Regioni hanno stipulato contratti con soggetti privati per l'impiego di mezzi aerei antincendio con compiti di ricognizione e/o di spegnimento. In particolare la regione Campania ha stipulato un contratto per l'impiego di un elicottero in servizio tutto l'anno e di 7 elicotteri in servizio stagionale, per una spesa pari nel 2007 a 3.826.469 euro. La regione Toscana ha stipulato un contratto per l'utilizzo di elicotteri per una spesa pari nel 2007 a 3.446.909 euro. La regione Abruzzo ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 881.525 euro e convenzioni con aereoclub regionali per attività di avvistamento per una spesa di 36.000 euro. La regione Friuli Venezia Giulia ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 84.012 euro (dato aggiornato al 30 novembre 2007). La regione Lazio ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 3.710.000 euro. La regione Lombardia ha stipulato contratti per l'impiego di elicotteri per spegnimento e ricognizione per una spesa pari nel 2007 a 1.897.000 euro (dato aggiornato al 22 novembre 2007). La regione Calabria ha stipulato contratti per l'impiego di 4 elicotteri per una spesa pari nel 2007 a 2.160.000. La regione Liguria ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento ( 2 disponibili tutto l'anno e 2 disponibili per 6 mesi all'anno) per una spesa che ricade all'interno dei fondi regionali per l'attività di spegnimento, di importo pari nel 2007 a 1.727.240 euro. La regione Molise ha stipulato un contratto per l'impiego nei mesi più a rischio di un elicottero spegnitore e di un elicottero ricognitore per una spesa pari nel 2007 a 456.692 euro. La regione Piemonte ha stipulato contratti per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 547.133 euro. La regione Sardegna ha stipulato contratti per l'impiego di mezzi aerei per una spesa pari nel 2007 a 3.843.553 euro. La regione Veneto ha stipulato un contratto per l'impiego di elicotteri per spegnimento per una spesa pari nel 2007 a 493.174 euro (dato aggiornato al 23 novembre 2007). La regione Sicilia ha stipulato un contratto per l'impiego di 6 elicotteri spegnitori e di 2 elicotteri ricognitori per una spesa pari nel 2007 a circa 3.000.000 di euro. La Provincia autonoma di Bolzano ha stipulato un contratto per interventi antincendio per una spesa pari nel 2007 a 15.164 euro.
La maggioranza dei velivoli è pertanto statale ed afferisce al COAU, il centro operativo unificato della Presidenza del Consiglio, di cui il Dipartimento protezione civile si avvale per le attività di spegnimento, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, della legge n. 353 del 2000. Talvolta si realizzano buone sinergie tra apparati terrestri locali e apparato aereo nazionale, ma in altri casi l’odierno sistema dualistico per il quale le operazioni di terra sono dirette da un soggetto diverso da quello che presiede alla gran parte delle operazioni dall’aria comporta disfunzioni, che il Dipartimento della Protezione civile ha rappresentato alla Commissione. Inoltre, in una Regione che abbia più di una sala operativa regionale nonché mezzi aerei propri, può capitare addirittura che l’una sala si rivolga alla flotta regionale e l’altra alla flotta statale, contemporaneamente, l’una all’insaputa dell’altra.
Un aspetto di non poco momento della lotta agli incendi boschivi è senz'altro costituito dall'entità delle risorse finanziarie messe a disposizione a tal fine ed essendo la legge quadro improntata al decentramento sono di capitale importanza i trasferimenti che lo Stato effettua in favore delle Regioni.
In sede di prima applicazione della legge n. 353 del 2000, fu disposta per il triennio 2000/2002 l’assegnazione alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano della somma annua di 20 miliardi di lire. Successivamente, l’ordine di grandezza si è mantenuto costante per alcuni anni. Per il 2007 la somma è stata pari a 8.751.0000 euro, così come autorizzata dalla legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296), tabella C. La relativa ripartizione tra gli enti territoriali aventi diritto, la quale si conforma ai criteri dettati dall’articolo 12, commi 2 e 3, della legge n. 353 del 2000, è stata effettuata con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze in data 31 agosto 2007. Durante l'audizione svoltasi in Commissione il 18 novembre 2007, l’assessore alla protezione civile dell’Emilia-Romagna, dottor Bruschini, ha richiesto l’incremento dei trasferimenti statali alle Regioni, giudicando fortemente inadeguato il loro livello attuale.
Le principali critiche che la Commissione ha raccolto, tuttavia, investono i vigenti criteri di ripartizione. L’articolo 12 della legge n. 353 del 2000 prescrive che la somma totale venga suddivisa nella seguente maniera: per metà, proporzionalmente al patrimonio boschivo esistente nei rispettivi territori (rilevato dall’inventario forestale nazionale, costituito presso il Corpo forestale dello Stato); per l’altra metà, in quote inversamente proporzionali al rapporto tra superficie percorsa dal fuoco e superficie regionale boscata totale, prendendo a riferimento il dato medio del quinquennio precedente.
Si è da più parti constatato che, di fatto, il meccanismo attuale finisce con il penalizzare talune realtà regionali caratterizzate da bassa densità boschiva pur esposte ad alto rischio di incendi. E’ appena il caso di ricordare che la nozione di incendio boschivo, di cui all’articolo 2 della legge quadro, abbraccia non soltanto le aree boscate, ma anche le cespugliate o erborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all'interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree.
Altra questione nevralgica è quella dell’uso che le Regioni hanno fatto delle risorse finanziarie trasferite loro dallo Stato. In particolare, il responsabile del Dipartimento territorio, ambiente e protezione civile dell’ANCI, dottor Antonio Ragonesi, ha affermato in audizione che sebbene la legge quadro imponga alle Regioni di girare agli enti locali territoriali la parte di risorse statali necessaria allo svolgimento delle attribuzioni ad essi conferita dalla legge stessa, <<dal 2000 al 2007 nessuna Regione ha trasferito una lira ovvero un euro alle amministrazioni locali>>. Il dottor Ragonesi, pertanto, ha chiesto di fare luce sulla sorte occorsa alle somme in oggetto, richiamandosi ai rilievi formulati dalla Corte dei conti in occasione della sua indagine cui si è accennato sopra. La Corte dei conti, invero, quando nel 2005 si era occupata dell’impiego dei trasferimenti statali pervenuti alle Regioni aveva rilevato che, per il periodo da essa considerato, erano pervenute le rendicontazioni delle spese effettuate da 14 Regioni e dalla provincia di Trento, ma non dalla provincia di Bolzano, dal Lazio, dalla Puglia, dalla Calabria, dalla Basilicata e dalla Sicilia.
Conclusioni
Nella scorsa estate si è registrato, rispetto all’estate del 2006, un aumento del numero degli incendi pari al 60 per cento ed un incremento delle superfici bruciate pari al 250-300 per cento; inoltre, mentre nell’estate del 2006 la superficie media bruciata per singolo incendio era stata di circa 7 ettari, nella scorsa estate la superficie media bruciata è stata di circa 17 ettari, il che significa che ogni incendio è diventato un grande incendio.
I dati comparativi sopra esposti, sui quali ha in parte influito la situazione climatica dell’estate del 2006, evidenziano oggettivamente una ridotta velocità ed incisività degli interventi di spegnimento, le cui cause vanno rimosse con la massima urgenza e nel più breve tempo possibile, così da scongiurare il gravissimo rischio che anche la prossima estate venga ad essere drammaticamente segnata dal fenomeno degli incendi.
Innanzi tutto occorre assolutamente superare l’attuale situazione di frammentazione della catena di comando, che vede in concreto una pluralità di attori – Protezione civile, Corpo forestale dello Stato, Vigili del fuoco, Ministero dell’interno, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Regioni, Comuni – operare ed intervenire in assenza di un efficace coordinamento e della necessaria chiarezza circa chi deve fare cosa e soprattutto chi deve assumere il comando delle operazioni di spegnimento. La frantumazione della catena di comando e la dispersione e sovrapposizione delle competenze da un lato incidono in modo assai negativo sulla capacità di pronto ed incisivo intervento contro l’evento incendiario, dall’altro generano inevitabilmente deresponsabilizzazione.
Si tratta di porre fine al proliferare di sale operative e di numeri di soccorso, istituendo un unico numero telefonico per l’allertamento antincendio e garantendo effettivamente la presenza in ciascuna Regione di una sola sala operativa unificata permanente e di un solo direttore delle operazioni di spegnimento, così che tutte le Regioni possano effettivamente assolvere al ruolo di coordinamento delle operazioni a terra ad esse affidato dalla legge n. 353 del 2000.
Parallelamente, in considerazione del ruolo che lo Stato è chiamato a svolgere dalla legge n. 353 del 2000 in tema di operazioni aeree di spegnimento, gli interventi antincendio con velivoli dovrebbero essere interamente affidati allo Stato, salva ovviamente la stipula di convenzioni tra Regioni e corpi statali dotati di flotte aeree, analogamente a quanto accade in altri Stati europei, a cominciare dalla Germania. Ciò consentirebbe sia di creare i presupposti fondamentali per il coordinamento degli interventi aerei di spegnimento, sia di realizzare ingenti risparmi di spesa attraverso l’eliminazione di quelle convenzioni con soggetti privati che troppo spesso si rivelano eccessivamente onerose per il pubblico erario.
Occorre, altresì, prendere doverosamente e responsabilmente atto della circostanza per cui, data anche la conformazione accidentata e non molto abitata del territorio boschivo nazionale, la prontezza e l’efficacia delle operazioni di spegnimento, e di conseguenza la possibilità di contenere le dimensioni della superficie bruciata, dipendono strettamente dalla validità dei sistemi di avvistamento. Pertanto, si deve finalmente dare integrale attuazione all’articolo 7 della legge n. 353 del 2000, che annovera l’avvistamento tra le componenti fondamentali della lotta attiva agli incendi, e realizzare in particolare in ciascuna Regione una diffusa e capillare rete di punti di avvistamento, coinvolgendo ampiamente il volontariato, debitamente formato ed addestrato mediante appositi corsi antincendio.
Occorre, inoltre, assicurare in modo chiaro ed univoco la direzione delle operazioni di spegnimento a terra ed il coordinamento delle squadre impegnate a terra, ponendo fine all’attuale condizione di occasionalismo, improvvisazione e confusione icasticamente descritta, in occasione della sua audizione in Commissione, dal Capo del dipartimento dei Vigili del fuoco: <<Chi arriva prima forse comanda, forse>>.
Occorre poi formare ed organizzare validamente il volontariato che partecipa, con un encomiabile impegno di grande valore sociale, alle operazioni di spegnimento a terra e indirizzare le Regioni verso una stipula delle convenzioni antincendio boschivo che sia tempestiva rispetto all’apertura del periodo di maggior rischio, rappresentato ovviamente dalla stagione estiva, così da non ripetere gli errori dello scorso anno, che vide Regioni meridionali stipulare le convenzioni in date addirittura successive al 7 luglio.
Attraverso lo strumento delle convenzioni, ciascuna Regione potrebbe in effetti realizzare una rete di mezzi e personale coordinata efficacemente dalla sala operativa unificata permanente e caratterizzata da una positiva sinergia tra struttura regionale, Corpo forestale dello Stato, Vigili del fuoco e volontariato di protezione civile.
Sempre in tema di potenziamento del coordinamento tra gli organismi e i soggetti competenti, occorre provvedere a definire con chiarezza le competenze in materia di incendi di interfaccia, ossia degli incendi che originano in area boschiva o da un semplice cumulo di sterpaglie, ma che poi immediatamente si propagano ad insediamenti abitativi ed infrastrutture.
La Commissione ritiene poi assolutamente indispensabile che tutti i Comuni si dotino, conformemente a quanto prescritto dall’articolo 10 della legge n. 353 del 2000, del catasto delle aree percorse dal fuoco, così da garantire la concreta operatività dei divieti di mutamento di destinazione d’uso, di edificazione, di rimboschimento, di ingegneria ambientale, di pascolo e di caccia stabiliti dallo stesso articolo 10 al fine di prevenire e scoraggiare gli incendi dolosi. In effetti, anche se è indubbio che non tutti gli incendi sono di matrice dolosa, è altrettanto indubbio che la predisposizione del catasto delle aree bruciate è un adempimento obbligatorio per legge e senz’altro in grado di dare un fondamentale contributo alla prevenzione degli incendi.
A questo riguardo va sollecitata l’introduzione nell’ordinamento di una disposizione – come quella recata dal disegno di legge A. S. n. 1749, presentato dal senatore Tommaso Sodano e da altri senatori - che consenta alla Regione, nel caso in cui il Comune non effettui tramite apposito catasto il censimento dei soprassuoli già percorsi dal fuoco, di provvedere, previa diffida, mediante un commissario
ad acta
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Occorre anche integrare la normativa dettata dall’articolo 10 della legge n. 353 del 2000 allo scopo di impedire che, in caso di costruzioni abusive realizzate in aree percorse dal fuoco, i Comuni possano optare tra l’acquisizione al patrimonio e l’abbattimento del manufatto; in ogni caso va imposta al Comune la soluzione dell’abbattimento – come prevede il sopra citato disegno di legge A. S. n. 1749 - perché in tal modo si attiva un efficace deterrente rispetto ad incendi dolosi strumentali alla costruzione di opere edilizie.
Va parimenti segnalata la necessità di introdurre nell'ordinamento una disposizione che preveda che, nel caso in cui il Comune non adotti il piano comunale di emergenza, si provveda, previa diffida, mediante un commissario
ad acta
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La Commissione giudica necessario, altresì, raccogliere il grido d’allarme lanciato dal Capo del Corpo forestale dello Stato in occasione della sua audizione – “<<I boschi sono abbandonati…gli enti preposti all’aspetto gestionale… in realtà manifestano una cultura dell’abbandono>> - ed operare con urgenza nella direzione di una corretta e sostenibile manutenzione del territorio boschivo ed in particolare del sottobosco. Analoga esigenza va rilevata rispetto ai terreni non boschivi, visto che con il lasciarli incolti o nell’incuria si crea una situazione oggettivamente favorevole al propagarsi delle fiamme nella stagione estiva: in Sicilia nello scorso anno sono stati percorsi dal fuoco circa 37 mila ettari, due terzi dei quali costituiti da terreni ex agricoli o agricoli abbandonati.
Solo così facendo si potrà conferire effettività al principio, sancito dalla legge n. 353 del 2000, secondo il quale la prevenzione – intesa come il complesso delle azioni mirate a ridurre le cause ed il potenziale innesco di incendi – è componente essenziale ed indefettibile della lotta agli incendi e attività propedeutica rispetto agli stessi interventi di salvaguardia.
Una specifica attenzione deve essere riservata al potenziamento della lotta attiva agli incendi nelle aree protette, in primo luogo almeno completando nell’immediato le piante organiche dei coordinamenti territoriali per l’ambiente (CTA) del Corpo forestale dello Stato, giacché al momento il personale di tali coordinamenti è meno del 50 per cento di quello previsto dalle relative piante organiche.
Più in generale sembra indispensabile dotare il Corpo forestale dello Stato e il Corpo dei Vigili del fuoco di adeguate risorse umane e finanziarie, anche perché potenziare tali forze significa anche supportare con maggiore efficacia le amministrazioni comunali e le comunità montane nell’organizzazione di efficienti presidi territoriali.
Occorre poi attivare appositi presidi antincendio, almeno nelle zone a rischio più elevato, impiegando mezzi e personale delle forze di polizia e delle forze armate, secondo quanto previsto dall’articolo 7, comma 3, lettera c), della legge n. 353 del 2000.
E’ necessario, inoltre, assicurare, superando talune inerzie attuali anche degli enti gestori, l’integrale attuazione ed osservanza dell’articolo 8 della legge n. 353 del 2000, che stabilisce l’obbligatorietà del piano generale di coordinamento antincendio, che deve essere predisposto dal Ministro dell’ambiente di intesa con le Regioni interessate, su proposta degli enti gestori, sentito il Corpo forestale dello Stato.
La Commissione ritiene altresì opportuno procedere ad una modifica della disciplina recata dall'articolo 12 della legge n. 353 del 2000 in tema di criteri di ripartizione delle somme trasferite dallo Stato alle Regioni per la lotta agli incendi boschivi che consenta di tenere nella dovuta considerazione le necessità delle Regioni che possiedono un esteso patrimonio boschivo.
In considerazione del fatto che, rispetto ai rischi naturali e in particolare a quelli relativi agli incendi boschivi, la situazione della sicurezza è simile nei vari Paesi dell’area mediterranea, la Commissione ritiene infine opportuno valutare con grande attenzione la possibilità di istituire un Centro per la sicurezza del Mediterraneo, che operi come volano di una stretta ed efficace collaborazione tra le autorità competenti dei diversi Stati dell’area, collaborazione che potrebbe validamente realizzarsi anche sullo sfondo della creazione di una flotta europea antincendio.