ISTRUZIONE PUBBLICA, BENI CULTURALI (7ª)

MERCOLEDÌ 2 NOVEMBRE 2016

312ª Seduta

Presidenza del Presidente

MARCUCCI


Interviene il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e per il turismo Dorina Bianchi.

La seduta inizia alle ore 15,10.

IN SEDE CONSULTIVA

(2567) Conversione in legge del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, recante interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma del 24 agosto 2016

(Parere alla 5a Commissione. Seguito e conclusione dell'esame. Parere favorevole con osservazioni)

Prosegue l'esame, sospeso nella seduta del 25 ottobre.

Nessuno chiedendo di intervenire nel dibattito, il PRESIDENTE dà la parola alla relatrice per l'illustrazione di uno schema di parere.

La relatrice Elena FERRARA (PD) dà conto di uno schema di parere favorevole con osservazioni, pubblicato in allegato al resoconto, dichiarando di aver ritenuto opportuno inserire una premessa di carattere generale relativa anche agli ultimi eventi sismici. Sottolinea inoltre l'esigenza di armonizzare le procedure in corso rispetto a quelle attivate nei settori di competenza a seguito del terremoto de L'Aquila del 2009.

La senatrice PETRAGLIA (Misto-SI-SEL) chiede se le misure approvate di recente dal Consiglio dei ministri saranno integrate nel provvedimento in esame oppure costituiranno un atto normativo autonomo.

La relatrice Elena FERRARA (PD) fa presente che il parere in discussione riguarda esclusivamente il decreto-legge n. 189 del 2016, mentre le misure varate dal Consiglio dei ministri non sono per ora riferite al provvedimento in titolo.

Conferma il sottosegretario Dorina BIANCHI, precisando che il disegno di legge in esame reca un intervento di carattere tecnico per il sisma dello scorso agosto.

Prende brevemente la parola la senatrice PETRAGLIA (Misto-SI-SEL) per precisare di aver chiesto un chiarimento alla luce delle recenti notizie di stampa.

Previa verifica del prescritto numero di senatori, la Commissione approva lo schema di parere favorevole con osservazioni della relatrice.

Il PRESIDENTE prende atto con soddisfazione che la Commissione si è espressa all'unanimità.

IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO

Schema di decreto legislativo recante semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca (n. 329)

(Parere al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell'articolo 13 della legge 7 agosto 2015, n. 124. Seguito dell'esame e rinvio)

Prosegue l'esame, sospeso nella seduta del 25 ottobre.

Il PRESIDENTE comunica che è stato trasmesso il parere del Consiglio di Stato, ricordando peraltro che il Governo si era impegnato ad attendere l'espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari fino al 9 novembre.

La relatrice DI GIORGI (PD) illustra uno schema di parere favorevole con condizioni e raccomandazioni, pubblicato in allegato al resoconto, premettendo di aver inserito molti concetti che costituiscono un patrimonio condiviso della Commissione, anche a seguito dello specifico affare assegnato sugli enti pubblici di ricerca, concluso nel 2014. Ritiene infatti che vi siano spazi per interventi di rilievo, al punto che non può essere persa l'occasione costituita dal provvedimento in esame.

Con riferimento all'articolo 1, sottolinea la diversità di alcuni enti vigilati da Ministeri diversi dal Dicastero dell'istruzione, i quali svolgono funzioni strumentali previste in molti casi dal Legislatore. Quanto all'articolo 2, segnala che il tema delle carriere dei ricercatori è sempre stato discusso in Commissione, a dimostrazione dell'elevato grado di attenzione.

Fa presente altresì che occorre risolvere, quanto meno in via interpretativa, la situazione di ricercatori che hanno ricoperto incarichi dirigenziali, percependo un'indennità di funzione che pare non poter più essere riconosciuta. Dopo aver dato conto dell'esigenza di istituire una struttura di missione per il coordinamento generale della ricerca, si sofferma in dettaglio sulle condizioni e sulle raccomandazioni, rilevando come sussistano ulteriori tematiche, non affrontate dall'articolato, di cui occorre invece a suo giudizio farsi carico in questa sede.

Il senatore BOCCHINO (Misto-SI-SEL) ringrazia la relatrice per il corposo lavoro svolto, che recepisce in effetti molte valutazioni critiche emerse durante le audizioni, con riferimento fra l'altro ai limiti posti dagli articoli 8 e 11 riferiti alle spese di personale. Si congratula dunque per alcune soluzioni proposte, rilevando tuttavia che non sono state affrontate ulteriori criticità, anche alla luce del parere del Consiglio di Stato, che di fatto boccia a suo giudizio lo schema di decreto legislativo.

Sottolinea infatti negativamente la mancata consultazione, il cui svolgimento - anche in una fase successiva dell'iter - costituisce una condizione per l'espressione di un parere favorevole da parte del Consiglio di Stato. Tale organismo chiede addirittura che il testo sia sottoposto ad un nuovo parere qualora, all'esito di tale consultazione, ne sia elaborata una diversa versione.

Sono altresì segnalati ulteriori aspetti critici relativi ai singoli articoli, tenuto conto che il decreto si dimostra a suo avviso fallimentare nella misura in cui non definisce le caratteristiche della professione del ricercatore, demandandone il compito agli statuti. In proposito, ritiene invece che debba essere colta l'occasione per esplicitare più puntualmente dette questioni, già con riferimento all'articolo 2, atteso che l'eterogeneità degli enti pubblici di ricerca potrebbe determinare un'applicazione eccessivamente variegata della Carta europea dei ricercatori. Ribadisce dunque con forza l'esigenza di specificare i diritti e i doveri dei ricercatori, come peraltro richiesto anche dai loro rappresentanti, in quanto si configurano quale patrimonio condiviso e quali principi cardine della summenzionata Carta europea dei ricercatori, meritando dunque il rango di norme primarie.

Dopo aver menzionato l'esempio dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), ricorda che a gennaio la Conferenza dei presidenti degli enti aveva discusso una disposizione relativa anche ai compiti dei ricercatori, contribuendo così a ridurre la discrezionalità da parte degli enti stessi.

Fa notare altresì che l'articolo 6, comma 4, reca una disposizione sul controllo in itinere delle assunzioni, la quale a detta del Capo dipartimento per l'università, l'alta formazione artistica, musicale e coreutica e per la ricerca del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, professor Marco Mancini, era stata voluta dal Dicastero dell'economia. Stigmatizza dunque detta norma, che viola a suo giudizio l'autonomia degli enti pubblici di ricerca, già sottoposti a numerosi controlli, e sollecita una presa di posizione della Commissione su tale argomento. Deplora altresì una ulteriore violazione dell'autonomia contenuta nell'articolo 11, comma 4, laddove si richiamano presunti criteri di merito di elaborazione governativa, invitando la relatrice ad inserire un riferimento specifico nello schema di parere.

Manifesta invece soddisfazione per la condizione n. 4 proposta dalla relatrice relativa al mantenimento del parere parlamentare sul Fondo ordinario per gli enti di ricerca (FOE), lamentando come il Governo tenti costantemente di bypassare il Parlamento attraverso una diminuzione del suo ruolo di controllo.

In ultima analisi, ritiene che debbano essere approfonditi adeguatamente i rilievi del Consiglio di Stato e dunque domanda di non procedere alla votazione dello schema di parere nella giornata di domani.

La senatrice MONTEVECCHI (M5S) prende la parola sull'ordine dei lavori per chiedere di lasciare aperta la possibilità di intervenire sullo schema di parere della relatrice anche in altre sedute.

Il PRESIDENTE prende atto di tali sollecitazioni, manifestando tuttavia alcune perplessità sulla richiesta di rinvio della votazione. Fa presente comunque che nella seduta di domani sarà possibile avanzare suggerimenti e proposte rispetto al parere della relatrice.

Il seguito dell'esame è rinviato.

AFFARI ASSEGNATI

Stato di salute dello sport, con particolare riferimento alla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024 (n. 715)

(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, primo periodo, e per gli effetti di cui all'articolo 50, comma 2, del Regolamento e rinvio)

Prosegue l'esame, sospeso nella seduta del 25 ottobre.

La relatrice IDEM (PD) dà conto di uno schema di risoluzione, pubblicato in allegato al resoconto, nel quale sono anzitutto descritte le finalità che hanno motivato l'avvio dell'affare, nella prospettiva di fotografare la condizione del sistema sportivo, prendendo spunto inizialmente dalla possibilità di ospitare le Olimpiadi del 2024. Dopo aver sottolineato l'esigenza di redigere un testo unico in materia di sport, data la stratificazione normativa che si registra nel comparto, ricorda le macroaree che hanno caratterizzato la procedura, a partire dall'esigenza di comprendere le competenze, i requisiti e le certificazioni. A tale riguardo, sottolinea come i marginali sbocchi professionali dei laureati in Scienze motorie abbiano di fatto vanificato la riforma degli Istituti superiori di educazione fisica (ISEF) attraverso l'istituzione dei corsi di laurea in Scienze motorie. Non risulta infatti chiaro a suo giudizio quali siano i soggetti abilitati a rilasciare certificazioni e permangono lacune nella scuola primaria rispetto allo svolgimento dell'attività motoria mediante l'apporto di persone competenti. Dopo aver rilevato criticamente la mancata attuazione del percorso formativo in Scienze motorie, si sofferma sull'efficienza nell'applicazione di tali competenze, ricordando peraltro le misure messe in atto a partire dal 2009 dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI).

Un ulteriore argomento, prosegue la relatrice, riguarda il rapporto tra la scuola e l'università, da un lato, e lo sport dall'altro, con particolare riferimento alla carriera sportiva e alla possibilità di proseguire gli studi. Afferma infatti che il percorso universitario non deve essere concepito come un ripiego ma deve rappresentare una chance, accompagnato da specifici incentivi, tenuto conto che spesso i tempi dello studio e quelli degli allenamenti e delle gare risultano incompatibili. Occorre invece riconoscere anche le competenze maturate dagli atleti.

Menziona poi il positivo incremento delle unità di docenti di ruolo di scienze motorie anche a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 107 del 2015 (cosiddetta "Buona scuola"), che rappresenta a suo avviso un primo passo per un pieno riconoscimento delle loro competenze. Ritiene comunque che debba essere esteso l'insegnamento dell'educazione fisica nella scuola primaria, dove attualmente è presente solo il progetto "Sport di classe". Sollecita peraltro una riflessione sul rafforzamento e sul ruolo del coordinatore di scienze motorie.

Passando alla governance, ravvisa un conflitto di interesse nel sistema sportivo che deve essere a suo giudizio superato, nel rispetto dell'autonomia del settore. Invoca altresì una revisione organica della disciplina in materia di sport per quanto attiene alla definizione del dilettantismo, alla parità di genere e agli aspetti di natura fiscale. Illustra quindi le problematiche dell'impiantistica sportiva relative al numero di impianti, alla loro qualità e alla necessaria messa in sicurezza, esposte anche dal Sindaco di Roma durante la rispettiva audizione. Avviandosi alla conclusione, si sofferma sulla lotta al doping e sul ruolo degli organismi operanti in Italia nonché sugli indirizzi europei e sugli atti attualmente all'esame del Parlamento.

Nel descrivere brevemente gli impegni al Governo, pone anzitutto una questione di metodo, auspicando che eventuali normative sullo sport siano elaborate in un'ottica intersettoriale e organica, previo confronto con tutti gli operatori del settore, tenuto conto della necessità di una legislazione efficace rispetto ai bisogni reali del mondo sportivo.

Il seguito dell'esame è rinviato.

IN SEDE REFERENTE

(2443) Disciplina delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e pedagogista, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Vanna Iori ed altri; Paola Binetti ed altri

(2474) Manuela SERRA ed altri. - Disciplina delle professioni di educatore professionale e pedagogista

(Rinvio del seguito dell'esame congiunto)

Il PRESIDENTE comunica che l'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi ha audito oggi i rappresentanti del Coordinamento nazionale dei corsi di laurea per educatore e pedagogista, della Conferenza universitaria nazionale dei presidi e dei direttori delle Facoltà e dei Dipartimenti di Scienze della formazione (CUNSF), della Società italiana di pedagogia (SIPED), dell'Associazione pedagogisti e educatori italiani (APEI), dell'Associazione professioni pedagogiche (APP) e dell'Unione italiana pedagogisti (UNIPED), i quali hanno consegnato documentazioni che - unitamente ad eventuali integrazioni - saranno rese disponibili per la pubblica consultazione sulla pagina web della Commissione. Rende noto altresì che sono pervenute memorie dall'Associazione nazionale italiana dei pedagogisti (ANIPED) e dai Pedagogisti ed educatori italiani associati (PEDIAS), impossibilitati a partecipare alle audizioni odierne, le quali saranno parimenti rese disponibili sulla pagina web della Commissione.

Prende atto la Commissione.

Il seguito dell'esame congiunto è rinviato.

(2400) AIELLO ed altri. - Disposizioni relative alla corresponsione di borse di studio ai medici specializzandi ammessi alle scuole di specializzazione dal 1978, specializzati negli anni dal 1982 al 1992, e all'estensione dei benefici normativi ai medici specializzandi ammessi alle scuole di specializzazione universitarie negli anni dal 1993 al 2006

(288) BARANI. - Disposizioni per la corresponsione di borse di studio ai medici specializzandi ammessi alle scuole di specializzazione negli anni dal 1983 al 1991

(679) D'AMBROSIO LETTIERI ed altri. - Corresponsione di borse di studio ai medici specializzandi ammessi alle scuole di specializzazione universitarie negli anni accademici dal 1982-1983 al 1991-1992

(1548) LUCHERINI e MORGONI. - Estensione dei benefici normativi ai medici specializzandi ammessi alle scuole di specializzazione universitarie negli anni dal 1993 al 2005

(1557) CENTINAIO. - Disposizioni per la corresponsione di borse di studio ai medici specializzandi ammessi alle scuole di specializzazione negli anni dal 1983 al 1991

(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)

Il PRESIDENTE comunica che, nell'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi, svolto la scorsa settimana, si è convenuto di riaprire il termine per la presentazione degli emendamenti al disegno di legge n. 2400, già assunto quale testo base, fissandolo a venerdì 11 novembre, alle ore 18.

Si è altresì stabilito di far pervenire ai correlatori Conte e Liuzzi, entro la giornata di oggi, le eventuali proposte di audizione sul medesimo disegno di legge, le quali potrebbero avere luogo nella settimana dal 7 al 10 novembre.

Prende atto la Commissione.

Il seguito dell'esame congiunto è rinviato.

INTEGRAZIONE DELL'ORDINE DEL GIORNO

Il PRESIDENTE comunica che è stato assegnato alla Commissione, in sede referente, il disegno di legge n. 459 (legge quadro sullo spettacolo dal vivo) e che pertanto l'ordine del giorno della settimana sarà integrato con l'esame di tale provvedimento, trattato congiuntamente ai disegni di legge nn. 2287-bis e 1116.

Prende atto la Commissione.

SCONVOCAZIONE DELL'UFFICIO DI PRESIDENZA DI OGGI E CONVOCAZIONE DI UNA NUOVA RIUNIONE

Il PRESIDENTE avverte che l'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi già convocato oggi, al termine della seduta, per la programmazione dei lavori, non avrà luogo. Dispone pertanto la convocazione di una nuova riunione dell'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi, domani, giovedì 3 novembre, al termine della seduta plenaria.

Prende atto la Commissione.

La seduta termina alle ore 16,25.


PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

SUL DISEGNO DI LEGGE N. 2567


La Commissione, esaminato il disegno di legge in titolo, volto a disciplinare gli interventi per la ricostruzione e l'assistenza delle popolazioni colpite dal terremoto del 24 agosto scorso;

osservato che nel provvedimento sono contenute innanzitutto le norme sulla ricostruzione degli immobili pubblici e privati, le regole specifiche per l'affidamento degli interventi sulle opere pubbliche e per l'attribuzione dei contributi finalizzati alla ricostruzione e riparazione dei beni privati, nonché le misure per il sostegno alle attività economiche e alle imprese danneggiate dall'evento calamitoso e per la ripresa dello sviluppo nelle zone colpite;

rilevato che la governance prescelta assicura maggior respiro con la dichiarata finalità di superare l'emergenza e di ricostruire mantenendo l'identità territoriale e la cultura del luogo;

considerato che tra le funzioni del commissario straordinario, elencate dall'articolo 2, fondamentale è il compito di operare, tramite propri provvedimenti adottati previa intesa con le regioni interessate ed il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, una ricognizione complessiva dei danni e la conseguente stima del fabbisogno finanziario, definendo altresì la programmazione delle risorse nei limiti di quelle assegnate;

tenuto conto che, in base all'articolo 5, dovranno essere definiti i parametri per la perimetrazione dei centri e nuclei storici o urbani danneggiati o distrutti su cui intervenire, e che sono analiticamente elencate le tipologie degli interventi rispetto ai diversi beni immobili, mobili e attività produttive beneficiari di contributi, tra cui sono citati strutture private adibite ad attività sportive o edifici privati di interesse storico-artistico;

esaminato l'articolo 11, che prevede la predisposizione, all'esito della perimetrazione dei centri storici e nuclei urbani e rurali effettuata come disposto all'articolo 5, di appositi strumenti urbanistici attuativi in base ai quali, a determinate condizioni, la realizzazione dei singoli interventi può avvenire con modalità semplificata, tanto che viene richiamato il regolamento adottato ai sensi dell'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83 (cosiddetto "art bonus"), relativo all'autorizzazione paesaggistica semplificata;

valutato inoltre l'articolo 14, in base al quale al commissario è attribuito il compito di dettare disposizioni in ordine alle modalità di finanziamento degli interventi da eseguire sulle varie tipologie di immobili e opere pubbliche o di uso pubblico, tra cui sono menzionati anche immobili adibiti ad uso scolastico o educativo pubblici o paritari per la prima infanzia e delle strutture edilizie universitarie, nonché gli edifici di proprietà di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, formalmente dichiarati di interesse storico-artistico ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio;

preso atto che, in virtù del medesimo articolo 14, qualora la programmazione della rete scolastica preveda la costruzione di edifici in sedi nuove o diverse, le risorse per il ripristino degli edifici scolastici danneggiati sono comunque destinabili a tale scopo;

considerato altresì che:

- con riguardo agli interventi su beni culturali, la relativa programmazione e pianificazione si svolge sulla base di appositi protocolli d'intesa sottoscritti con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e con le diocesi per quanto attiene ai beni ecclesiastici, finalizzati all'individuazione delle priorità, delle modalità e dei termini per il recupero dei beni danneggiati;

- il compito di soggetti attuatori è attribuito esclusivamente alle regioni interessate, facendo salve le sole funzioni del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per le opere rientranti nella rispettiva competenza;

- per i beni ecclesiastici le diocesi possono fungere da soggetti attuatori nel solo caso in cui gli interventi siano interamente finanziati con risorse proprie, mentre, laddove si acceda a provvidenze pubbliche, il ruolo di soggetto attuatore è anche in questo caso attribuito al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;

considerate le funzioni attribuite al Ministero dei beni e delle attività culturali nell'ambito della Conferenza permanente e delle Commissioni paritetiche di cui all'articolo 16;

ritenuto positivo l'articolo 17, che estende il credito d'imposta del 65 per cento di cui all'articolo 1 del citato decreto-legge n. 83 del 2014 alle erogazioni liberali effettuate a favore del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per interventi su beni culturali nelle zone colpite dall'evento sismico nonchè alle erogazioni liberali effettuate nei confronti dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro, dell'Opificio delle pietre dure e dell'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario;

rilevate incidentalmente le disposizioni nell’articolo 34 sulla qualificazione dei professionisti, e nell’articolo 50, comma 5;

reputato che le disposizioni previste dal provvedimento possano rappresentare un utile strumento per fronteggiare gli ulteriori episodi sismici che purtroppo continuano ad interessare le medesime aree già colpite dal sisma di agosto;

esprime, per quanto di competenza, parere favorevole con le seguenti osservazioni:



SCHEMA DI PARERE PROPOSTO DALLA RELATRICE

SULL'ATTO DEL GOVERNO N. 329


La Commissione, esaminato, ai sensi dell'articolo 13 della legge 7 agosto 2015, n. 124, il decreto legislativo in titolo,

premesso che lo schema di decreto ha lo scopo di dettare un quadro omogeneo per gli enti pubblici di ricerca con regole più consone alle peculiarità degli scopi istituzionali nell'ambito di un sistema di autonomia responsabile;

  

manifestata anzitutto soddisfazione per il procedimento che ha condotto alla semplificazione del sistema degli enti pubblici di ricerca, consentendo la definizione di un contesto unitario per il settore, con alcune specificazioni necessarie in ragione delle caratteristiche proprie di taluni enti;

condivise le innovazioni proposte, soprattutto per ciò che concerne la razionalizzazione dei controlli e dei vincoli, nonchè il tentativo di avvicinare il sistema della ricerca a quello dell'università sul piano dell'ampliamento dell'autonomia;

ravvisa tuttavia alcune criticità, di seguito evidenziate.

L'articolo 1, accanto ad enti vigilati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, i quali effettuano la maggior parte della ricerca pubblica non identificabile con l'università, ha qualificato enti pubblici di ricerca enti vigilati da altri Ministeri che svolgono, talvolta come attività primaria, oppure solo marginalmente, attività di ricerca pubblica con funzioni strumentali, oltre che di ricerca. Tali realtà, pur avendo in comune il fatto di impiegare personale di ricerca, sono estremamente eterogenee per i compiti ad esse attribuiti: ne consegue che, pur concordando con l’obiettivo di estendere a tutti le prerogative di autonomia e indipendenza, in particolare nel realizzare la propria missione, l’autonomia di pianificare le attività e le metodologie di valutazione deve tenere conto di tali differenziazioni e non deve limitare le funzioni strumentali di supporto, tanto più che in molto casi è il Legislatore stesso ad aver attribuito specifiche funzioni ad enti determinati.

Sempre in merito all'articolo 1, durante le audizioni sono emerse diverse questioni con particolare riferimento alla condizione dell'ISPRA e dell'ISTAT, per le quali potrebbe essere valutata l'opportunità di diversificare l’applicazione di alcune disposizioni mantenendo, in quanto condiviso, un quadro di riferimento unico per autonomia, indipendenza e coordinamento degli enti pubblici di ricerca.

Quanto all'articolo 2, in cui si richiama espressamente la Carta europea dei ricercatori, in una dizione tuttavia non del tutto corretta, andrebbero esplicitati anche i principi generali per l'attività di ricerca contenuti nell'articolo 13 del decreto legislativo n. 381 del 1999, con particolare riferimento alla libertà di ricerca e all'autonomia professionale di ricercatori e tecnologi, quanto meno attraverso una citazione più puntuale di tale norma nel preambolo dello schema di decreto, unitamente all'articolo 12 del medesimo decreto legislativo, nel quale per favorire la mobilità tra enti pubblici di ricerca e tra questi e le università, si prevede che il reclutamento dei ricercatori e dei tecnologi avvenga per aree scientifiche e settori tecnologici in base a parametri individuati dagli enti sulla base di criteri generali determinati con decreto del Ministro.

Sempre in merito all'articolo 2, lo schema di decreto non fa alcun riferimento al documento European Framework for Research Careers, indicato invece nella legge delega, volto a stabilire un quadro comune di classificazione delle carriere per renderle comparabili ai fini di favorire la mobilità dei ricercatori.

L'articolo 5, comma 3, istituisce un apposito Fondo destinato al finanziamento premiale dei Piani triennali di attività (PTA) o di specifici programmi e progetti, separandolo dal Fondo ordinario (FOE), di cui ora costituisce una percentuale. Benchè la Commissione non concordi con il fatto che la copertura di detto Fondo premiale sia realizzata mediante riduzione proprio del FOE, si comprende la ratio della norma, volta a mantenere d'ora in poi distinti i due Fondi senza che variazioni dell'uno pregiudichino anche l'altro, come peraltro più volte richiesto dalle Commissioni parlamentari, ponendo le basi - in futuro - per un carattere "aggiuntivo" degli stanziamenti. Stante la necessità di rispettare il principio di delega dell'invarianza delle risorse, si auspica comunque che vi sia quanto prima un reintegro dei finanziamenti ordinari.

L’articolo 5, comma 5, effettua una modifica testuale al decreto legislativo n. 204 del 1998 (articolo 7, comma 2) che elimina dalla procedura di riparto del Fondo ordinario il parere delle Commissioni parlamentari competenti. Tale modifica non sembra costituire una semplificazione per le seguenti ragioni: si modifica il rapporto tra Governo e Parlamento e quindi tra diversi poteri dello Stato nella definizione e attuazione della politica nazionale della ricerca; la previsione non assicura un procedimento più celere in quanto i ritardi nel riparto del Fondo si sono storicamente registrati nella fase di predisposizione del decreto di riparto mentre le Commissioni hanno sempre reso il parere nei termini stringenti previsti.

L’articolo 6 estende a tutti gli enti l'obbligo, oggi previsto per gli enti vigilati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di redigere un Piano triennale di attività da sottoporre al Ministro vigilante per la sua approvazione. Il Piano, che contiene anche il fabbisogno di personale correlato, deve essere redatto “in conformità” con il Programma nazionale della ricerca (PNR). L’attuale formulazione non esprime tuttavia con chiarezza l’esigenza che il Piano assicuri, prima di tutto, l‘assolvimento dei compiti e responsabilità, talvolta strumentali, che la legge può attribuire agli enti, assicurando poi la coerenza con la programmazione nazionale.

La previsione, all’articolo 7, ha lo scopo di formalizzare a livello legislativo la Consulta dei presidenti degli enti, che rappresenta un utile momento di coordinamento tra le istituzioni nazionali, suscettibile di dare un contributo anche alla programmazione nazionale. Tuttavia, potrebbe essere opportuno valutare l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio, di una apposita struttura di missione con compiti di coordinamento delle linee strategiche della ricerca pubblica, tesi a semplificare le procedure in relazione alle esigenze della programmazione europea e a valutare gli effetti delle misure rispetto alle priorità nazionali. Ciò potrebbe peraltro favorire una governance unitaria del sistema, come richiesto dalla 7a Commissione nella risoluzione conclusiva dell'affare assegnato sugli enti pubblici di ricerca, approvata nel 2014 (Doc. XXIV, n. 36).

L’articolo 8 persegue l'apprezzabile obiettivo di stabilire limiti di sostenibilità della spesa di personale rispetto al “budget”. L’autonomia responsabile deve avere infatti dei contrappesi per evitare esposizioni del sistema. E’ condivisibile altresì l’idea di prendere come riferimento la disciplina in vigore per l’università, adattandola agli enti di ricerca. L’attuale formulazione è tuttavia incompleta e presenta criticità sostanziali e formali, come è risultato nel corso delle audizioni in Commissione. Il testo, mutuato dagli articoli 4 e 5 del decreto legislativo n. 49 del 2012, non tiene conto delle entrate realizzate in maniera stabile dagli enti di ricerca con l’accesso concorrenziale al mercato della ricerca (bandi europei e nazionali, contratti) in piena aderenza alle specificità della missione istituzionale.

L'articolo 11, recante disposizioni sul personale, al comma 3 introduce un vincolo ulteriore nella programmazione del personale che, come emerso nel corso delle audizioni, avrebbe effetti diversificati e, in alcuni casi, notevolmente penalizzanti (come ad esempio per l'ISTAT), in ragione delle specifiche attività degli enti pubblici di ricerca senza che si possa apprezzare una particolare utilità nella restrizione della sfera di autonomia.

In ordine all'articolo 15, si condivide in via generale l’idea di favorire il merito eccezionale con l’estensione a tutti gli enti pubblici di ricerca, in maniera uniforme, delle procedure di assunzione per “chiara fama” sul modello dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 213 del 2009 oggi in vigore per gli enti vigilati dal Dicastero dell'istruzione. Tuttavia, si ritiene che il 10 per cento dell’organico sia eccessivo per acquisire professionalità di eccellenza e potrebbe andare a discapito delle assunzioni di ricercatori e tecnologi, alcuni dei quali già impegnati a tempo determinato.

L’articolo 17, relativo al riconoscimento del dissesto e del commissariamento, prevede, tra l’altro, una particolare condizione per lo scioglimento anticipato degli organi di vertice e la nomina di un commissario straordinario legata al “mancato raggiungimento degli obiettivi”. Si tratta di una previsione che appare piuttosto generica e comunque estranea ai normali criteri di commissariamento degli enti pubblici, che rappresenta già di per sè una misura straordinaria che richiede si creino gravi e oggettive situazioni volte a impedire l’ordinario funzionamento dell’ente, quali il dissesto finanziario o le dimissioni dei componenti per cui non è più possibile il funzionamento degli organi. L’attuale formulazione pone dubbi sia sulla reale portata applicativa della misura sia sull'incidenza che essa può avere sull’indipendenza degli enti di ricerca, del resto uno dei principi cardini della delega.

Oltre all'articolato, si ritiene di dover esplicitare alcune ulteriori criticità inerenti al settore, che andrebbero affrontate nello schema di decreto, sempre tenendo conto dei principi e criteri direttivi indicati all'articolo 13 della legge n. 124 del 2015.

In primo luogo, non possono essere trascurate le previsioni già contenute nell'atto del Governo n. 328, di disciplina della dirigenza della Repubblica, nel quale è riconosciuta la peculiarità degli enti pubblici di ricerca con riferimento all’ampliamento, rispetto alle altre amministrazioni pubbliche, delle possibilità di conferire incarichi dirigenziali fuori dai ruoli dei dirigenti a condizione che siano attribuiti a ricercatori e tecnologi in servizio presso gli enti pubblici di ricerca (comma 10, del nuovo articolo 19-bis da inserire nel decreto legislativo n. 165 del 2001). Come del resto è emerso nelle audizioni, pur essendo oggi il quadro definito, rimangono aperte questioni dovute ai problemi di interpretazione delle norme generali, che regolano il rapporto di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, con le disposizioni speciali di autonomia normativa e contrattuali, con riferimento alla corresponsione di indennità a ricercatori e tecnologi a cui sono stati affidati incarichi di responsabilità di strutture organizzative. Si tratta in particolare dell'applicazione dell'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 1991, citato anche nel preambolo dello schema di decreto. Si ritiene dunque che dette ambiguità normative, in una situazione di oggettiva complessità dell’ordinamento che ha imposto l’intervento di semplificazione, non debbano ricadere negativamente sugli enti con possibili contenziosi dall'esito incerto, rischiando di penalizzare anche ricercatori e tecnologi che hanno diligentemente operato, tanto più che la legge delega menziona espressamente tra i principi e criteri direttivi "la valorizzazione della specificità del modello contrattuale del sistema degli enti di ricerca".

In secondo luogo, rimane una sostanziale differenza nelle procedure di nomina dei presidenti e dei consigli di amministrazione che andrebbe superata. I presidenti degli enti vigilati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sono nominati con le procedure introdotte dal decreto legislativo n. 213 del 2009 dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca nell’ambito di una rosa di tre nomi formulata da un comitato di selezione composto da esperti nominati dal Ministro stesso. Le Commissioni parlamentari competenti non esprimono un parere sulla scelta effettuata dal Ministro nell’ambito della rosa di nomi e sono meramente informate dell'intervenuta nomina attraverso la comunicazione del nominativo scelto. La scelta dei presidenti degli enti non vigilati dal Dicastero dell'istruzione è invece sottoposta al parere delle Commissioni parlamentari competenti, come stabilito dalla legge n. 14 del 1978 relativa al controllo parlamentare sulle nomine negli enti pubblici. Infine in alcuni casi, come la nomina del presidente dell'Istituto superiore di sanità, questa avviene con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, mentre in altri casi con decreto ministeriale o interministeriale.

In terzo luogo, sempre richiamando il principio di delega relativo alla "valorizzazione della specificità del modello contrattuale del sistema degli enti di ricerca", lo schema non tocca la materia che, peraltro, rientra nella più generale azione di riduzione dei comparti di contrattazione. Resta quindi aperta l’esigenza di trovare soluzioni che possano assicurare tale specificità nei termini indicati nella delega, anche al fine di definire in maniera coerente questioni ancora aperte come, per fare un esempio particolare ma significativo, le modalità di computo dell’anzianità di servizio nel caso di assunzione di ricercatori con esperienza nello stesso profilo di ricercatore o tecnologo a tempo determinato nel sistema pubblico.

Ciò premesso, considerati i pareri della Conferenza unificata e del Consiglio di Stato, la Commissione esprime parere favorevole con le seguenti condizioni:


La Commissione esprime altresì le seguenti raccomandazioni:




SCHEMA DI RISOLUZIONE PROPOSTO DALLA RELATRICE SULL'AFFARE ASSEGNATO N. 715


1. INTRODUZIONE E OBIETTIVI

L'obiettivo dell'affare assegnato è quello di offrire alla Commissione una panoramica completa sullo sport in Italia, al fine di evidenziare punti di forza e principali criticità del settore. La Commissione, stimolata dalla possibilità che si era prospettata di ospitare le Olimpiadi nel 2024, ha voluto cogliere l'opportunità per indagare lo “stato di salute” dello sport in Italia, al fine di sostenere il ruolo e la funzione dello sport e dell’attività fisica e motoria all’interno della nostra società.

Alla luce degli approfondimenti svolti emerge un quadro complessivo abbastanza positivo, all’interno del quale, tuttavia, si avverte l’esigenza di compiere alcune distinzioni e segnalare l’opportunità di alcuni interventi normativi, anche nell’ottica di dare al sistema quella "spinta" che la nostra società dovrebbe imprimere in ragione del ruolo sociale e inclusivo (in primis per giovani, anziani, disabili, immigrati) e dei benefici psico-fisici dello sport. Anzitutto, occorre rimarcare come la disciplina legislativa del settore, anche in ragione della risoluzione adottata nella 69esima Assemblea generale delle Nazioni Unite in cui si ribadisce il carattere di indipendenza e autonomia dello sport, necessiti di un'opera di revisione, al fine di adeguare la normativa al mutato contesto sportivo, economico e sociale.

Dal punto di vista dell’ordinamento statale, sarebbe quindi opportuno redigere un testo unico in materia di sport, in modo da semplificare e razionalizzare un quadro giuridico che appare, oltre ché piuttosto “datato” per numerosi aspetti, anche frammentato e stratificato. Si é ritenuto utile, poi, fornire alcuni suggerimenti che potrebbero coadiuvare lo sviluppo di un settore per il quale si tende a ragionare ancora troppo per “compartimenti stagni”. Questo significa che bisogna ancora compiere alcuni passi rilevanti: integrare le norme di settore inserendole in un contesto di più ampie vedute, promuovere maggiori interazioni tra il mondo del lavoro e l’istruzione, prevedere soluzioni specifiche per alcune questioni insolute (ad esempio, la mancanza di una disciplina per lo sport dilettantistico o i problemi connessi alla gestione dell’impiantistica sportiva).

Serve, quindi, promuovere l’adozione di politiche sportive “di più ampio respiro” e compiere maggiori investimenti nel settore, temi che l’eventuale assegnazione dei Giochi olimpici in Italia avrebbe facilitato, per interventi “di sistema” volti ad attivare quelle sinergie indispensabili senza cui non si potrà esprimere pienamente quel potenziale, ancora in parte inespresso, connesso alla rilevanza del settore in un Paese nel quale circa la metà della popolazione, più 30 milioni di persone, pratica, anche saltuariamente, un’attività sportiva.


2. COMPETENZE, REQUISITI, CERTIFICAZIONI


2.1 Dall'istituzione della facoltà e dei corsi di laurea in scienze motorie alla mancanza di sbocchi professionali per i laureati: una riforma incompiuta?

Il decreto legislativo 8 maggio 1998, n. 178, emanato in base alle disposizioni di cui all'articolo 17, comma 115, della legge 15 maggio 1997, n. 127, ha disciplinato la trasformazione degli Istituti superiori di educazione fisica (ISEF) e l'istituzione della facoltà e dei corsi di laurea e di diploma in scienze motorie. In questo modo, prevedendo che la ricerca scientifica e gli studi di livello superiore nel campo delle scienze motorie si svolgessero all'interno delle università, sono stati elevati di rango gli studi inerenti le aree biomedica, manageriale, economica, e psico-pedagogica-sociale connesse con l'attività motoria e sportiva (previste all'articolo 2, comma 2, del citato decreto legislativo). La legge 18 giugno 2002, n. 136, che equiparò il diploma ISEF alla laurea in scienze delle attività motorie, lo fece per assicurare la parità delle condizioni di accesso "ai pubblici concorsi ed alle attività professionali" (articolo 1, comma 1).

Le scienze motorie hanno progressivamente assunto, dunque, un'autonoma connotazione scientifica e, con l'attività didattica, è stato creato un bagaglio di competenze ben definito per gli studenti triennali, magistrali e di dottorati di ricerca. I corsi di studio attivi (L22, LM 47, LM 67, LM 68) sono 83 e coinvolgono 9471 studenti (dati aggiornati a giugno 2016), con richieste di ingresso nelle università in costante crescita. In sostanza, l'obiettivo prefigurato dai corsi di laurea in scienze motorie, soprattutto all'esito di percorsi di studi magistrali, è quello di formare i professionisti del settore, in possesso di un adeguato bagaglio di conoscenze metodologiche e scientifiche (teoriche e pratiche).

Una questione che affligge però, ormai da tempo, i laureati in scienze motorie riguarda l'inadeguatezza degli sbocchi professionali, motivo per cui molte delle associazioni e degli enti che supportano le loro istanze auspicano la creazione di un albo di riconoscimento della professione, fermo restando il dettato normativo del decreto legislativo 28 gennaio 2016, n. 15, in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali. Occorre comprendere come questi professionisti possano seguire percorsi che gli consentano di essere impiegati, prevalentemente, come allenatori, tecnici sportivi e istruttori di discipline sportive e motorie, gestori di strutture sportive o insegnanti di educazione fisica nelle scuole secondarie di primo e secondo grado.

Tuttavia, il sistema di ingresso nel mondo del lavoro appare piuttosto "bloccato", con il rischio che si svaluti sempre più l'attività didattico-formativa e si alimenti la creazione di una corposa (ed in costante crescita) riserva di persone qualificate che non riescono a "spendere" le proprie competenze, nella mancanza di adeguati percorsi che valorizzino la formazione accademica. Va rafforzato, insomma, il nesso tra studi, percorsi formativi e impiego nelle varie realtà del mondo sportivo.

Accade, infatti, spesso che associazioni e società sportive dilettantistiche, su tutti i centri fitness e le palestre al di fuori del modello sportivo organizzato (che rappresentano uno tra i maggiori bacini di utenza cui si rivolgono i laureati in scienze motorie in cerca di occupazione), non richiedano il possesso di determinati requisiti o competenze per lavorare. Prova ne è che per un ampio bacino di utenza, come quello relativo agli istruttori motori e i gestori con competenze manageriale che operano in centri fitness e palestre, non si è ancora provveduto al riconoscimento delle relative qualifiche. A tal fine, invece, si possono far valere, in forma di sostanziale equiparazione al titolo accademico, certificazioni rilasciate tramite corsi di formazione improvvisati, da parte di privati, assolutamente non adeguati a fornire quel bagaglio culturale e quelle conoscenze, teoriche e pratiche, ottenute attraverso corsi universitari. Frequentemente, invece, tali certificazioni risultano di fatto "abilitanti" rispetto all'ingresso nel mondo del lavoro, con conseguenti ripercussioni, in primo luogo, sulla tutela della salute e della sicurezza dei cittadini, esposti alla scarsa professionalità di questi operatori.

È necessario, invece, scongiurare la possibilità di utilizzare titoli fittizi (come avviene ad esempio nel settore della danza) al pari di attestazioni rilasciate da autorità preposte a tale scopo (ad esempio, i corsi certificati dal Comitato olimpico nazionale italiano - CONI, anche ove tenuti da enti federali o enti equiparati) o di percorsi di studi universitari, tutelando le opportunità di impiego e carriera che seguono alla formazione professionale e a quella universitaria. É da rilevare come il CONI, per garantire l'adeguatezza dei percorsi formativi e dei formatori dei centri federali, abbia adottato, nel 2009, il Sistema nazionale delle qualifiche degli operatori sportivi (SNaQ), "anticipando" così, per il nostro Paese, la conformità con la normativa e con i principi comuni europei nel settore delle qualifiche sportive e assicurando gli standard previsti dal decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, in materia di certificazione delle competenze. Rilevata la maggiore interazione e collaborazione con le federazioni sportive, anche al livello territoriale, occorre assicurare l'obbligatorietà dell'utilizzo del sistema ai fini della migliore armonizzazione tecnica dei percorsi formativi, a tutti i livelli federali.

2.2 La tutela della salute e l'incolumità fisica dei praticanti

L'articolo 32 della Costituzione italiana stabilisce che la Repubblica tutela la salute come "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività" ed è in questa prospettiva che la crescente diffusione delle pratiche motorie per la salvaguardia della buona salute, in base a prescrizioni mediche, rende ulteriormente utile un'organica trattazione della questione. Qualora gli istruttori o i promotori del benessere psico-fisico e della salute non fossero professionisti o esperti del movimento, questo potrebbe avere ricadute negative sull'incolumità fisica dei praticanti, lasciati in balia di istruttori/preparatori improvvisati.

In quest'ottica vale richiamare l'approvazione di due ordini del giorno (G3.0.201 e G3.0.203) durante la discussione al Senato della Repubblica del disegno di legge recante "Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali, nonché disposizioni per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute" (A.S. 1324, attualmente all'esame della XII Commissione permanente della Camera dei deputati, A.C. 3868) con cui si è impegnato il Governo da una parte, a valutare l'opportunità di regolamentare, nell'ambito delle professioni socio-sanitarie, la figura del chinesiologo quale esperto del movimento e, dall'altra, a valutare l'opportunità di affrontare e risolvere le problematiche che riguardano l'istituzione, nell'ambito delle professioni sanitarie, della professione di dottore in scienze delle attività motorie e sportive.

Se da un lato la Costituzione italiana non tutela espressamente la promozione dell'attività motoria e sportiva in una norma di rango costituzionale, è indubbio come una previsione del genere possa desumersi dallo spirito del Titolo II della Carta, nella parte in cui si tratta dei rapporti etico-sociali. Né, d'altra parte, il testo costituzionale omette alcun riferimento al mondo dello sport, prevedendo che la materia "ordinamento sportivo" sia annoverata tra quelle concorrenti tra Stato e Regioni, sancendo quindi, la possibilità che il Legislatore nazionale inquadri i princìpi generali della materia entro cui possa muoversi quello regionale. Peraltro, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, nel dicembre 2009, l’Unione europea ha acquisito una competenza specifica nel settore dello sport. L'articolo 165 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) contiene, infatti, aspetti dettagliati sulla politica europea dello sport, stabilendo che l'Unione, tra l'altro, contribuisca alla promozione dell'integrità fisica e morale degli atleti, in particolare dei più giovani (paragrafo 2).

Oltre, quindi, a contrastare l'idea che l'accesso all'insegnamento nelle attività motorie e sportive possa essere "libero", armonizzando tale esigenza con la disciplina vigente per il riconoscimento delle qualifiche professionali per l'esercizio della libera prestazione di servizi, si constata una lacuna nell'ordinamento giuridico nel momento in cui, con l'assenza di interventi normativi aventi ad oggetto l'istituzione e la disciplina delle professioni nel settore delle attività motorie e sportive, la tutela dell'incolumità fisica non è considerata. Per il diritto europeo, in via generale, l'attività professionale è soggetta alle regole della concorrenza (articolo 101 del TFUE); tuttavia la direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno stabilisce, all'articolo 16, paragrafo 3, che "allo Stato membro in cui il prestatore si reca non può essere impedito di imporre requisiti relativi alla prestazione di un’attività di servizi qualora siano giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o tutela dell’ambiente". Ed è esattamente il profilo della tutela della sanità pubblica che interessa in questa sede e in ragione della quale si potrebbe prospettare di dar seguito a quanto stabilito dall'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, includendo l'insegnamento delle attività motorie e sportive tra quelle sottoposte a regime di autorizzazione allo svolgimento (nel rispetto dei principi europei di non discriminazione, proporzionalità, e necessità traslati nell'ordinamento nazionale).

Sviluppare per intero un sistema integrato dello sport nel nostro Paese, invero, passa anche dall'ineludibile esigenza di strutturare all'interno di un quadro normativo stabile l'atto della certificazione delle competenze necessarie, e indispensabili, a permettere il migliore esercizio delle attività motorie e sportive, con l'ulteriore conseguenza che tale intervento - da cui però andrebbe tenuto ben distinto il settore del puro volontariato sportivo - sarebbe funzionale a scoraggiare il lavoro sommerso, piaga che affligge da molto tempo il mondo dello sport. D'altra parte, in questo modo, il nostro ordinamento, in cui si constata un progresso con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 15 del 2016 per le professioni sportive regolamentate di competenza del CONI, darebbe pienamente seguito a quanto stabilito dall'articolo 9 della Carta Europea dello Sport nel momento in cui si prospetta (comma 2) che "qualsiasi persona impegnata nella direzione o nella supervisione delle attività sportive dovrebbe possedere le qualifiche appropriate e prestare una cura particolare alla sicurezza e alla salute delle persone che sono la sua responsabilità".

Infine, proprio per creare quel complesso di sinergie finora mancanti nel post-lauream universitario, si rende necessario dar maggior rilievo a quanto disposto all'articolo 7 del decreto legislativo 8 maggio 1998, n. 178, che ha sancito nell'ordinamento la possibilità che le università instaurino rapporti convenzionali con il CONI per lo svolgimento di iniziative didattiche relative a: aggiornamento professionale, formazione continua, attivazione di corsi di specializzazione, programmi di ricerca scientifica, uso di strutture, attrezzature e impianti sportivi.

Compiere una ricognizione che abbia ad oggetto tutto il sistema della formazione, universitaria e federale, nel settore sportivo e le dinamiche che essa segue, potrebbe rappresentare un primo passo, fondamentale, per comprendere quali siano le differenze esistenti, come e se intervenire, le modalità per evitare eventuali non congrue "sovrapposizioni".

In conclusione, l'incompiutezza della riforma che ha sancito l'istituzione della facoltà e dei corsi di laurea in scienze motorie si palesa nel momento in cui se, da una parte, si invita ad intraprendere un percorso universitario, creando un quadro delle competenze in materia ben definito, dall'altra, il sistema consente l'effettiva vanificazione di tale iter, permettendo l'ingresso in quel settore del mondo del lavoro (quello sportivo) anche ad operatori improvvisati in quanto privi di un titolo di studio accademico ovvero non certificati ai sensi dello SNaQ e del decreto legislativo n. 13 del 2013, investendo profili che riguardano la sicurezza e la salute dei praticanti. In questa direzione un buon esempio è rappresentato dalla Regione Emilia-Romagna che nel luglio 2016 ha approvato la qualifica di "maestro di danza", che può essere acquisita da insegnanti di danza che abbiano maturato una consistente esperienza professionale e danzatori professionisti che abbiano completato uno percorso di formazione specifico (dando seguito alla risoluzione 1029 approvata nell'ottobre 2015 dalla Commissione V Cultura, Scuola, Formazione, Lavoro, Sport), proprio in ragione di una maggiore tutela della salute, in particolare di "bambine, bambini, adolescenti e giovani".


3. SPORT, SCUOLA, UNIVERSITÀ

3.1 Istruzione e carriera sportiva

L'importanza di proseguire gli studi durante la carriera sportiva rappresenta una delle maggiori sfide del nostro Paese. La sfida del sistema dell'istruzione, in via generale, si rivolge anzitutto a combattere l'elevato tasso d'abbandono scolastico degli studenti, la dispersione scolastica, e a diminuire il numero degli studenti che non concludono l'iter formativo universitario avviato. La Commissione europea ha recentemente mostrato come il nostro Paese, nel 2013, abbia una quota di abbandono universitario tra le più alte in Europa (45 per cento), e un basso numero di laureati fra di età compresa tra i 30 e i 34 anni.

All'interno di tale contesto, tuttavia, per chi pratica sport agonistico livello medio, alto o professionistico, si pongono ulteriori "aggravanti" specifiche, legate alla possibilità, per ragazzi poco più che adolescenti, di diventare sportivi di fama nazionale e mondiale. A proposito, vale richiamare l'articolo 8 della Carta europea dello sport che, in tema di sostegno allo sport di alto livello e alla talentuosità, suggerisce l'adozione di un sostegno consistente in una "educazione equilibrata negli istituti scolastici e l'inserimento senza urti nella società attraverso lo sviluppo di prospettive di carriera durante e dopo lo sport di alto livello". In alcuni casi, è da evidenziare una percezione distorta che possono avere alcuni giovani nei riguardi delle prospettive professionali, convinti di non dover pensare al proprio futuro lavorativo in quanto già provvisti di un'attività a tutti gli effetti, peraltro a volte anche molto ben remunerata.

Per un atleta, quindi, la scelta di non proseguire gli studi può rappresentare un terreno ancor più ricco di insidie, qualora non si sia pienamente consapevoli della situazione che potrebbe prospettarsi se la carriera sportiva non dovesse proseguire secondo le aspettative. La sfida di sistema, quindi, è quella di garantire e promuovere le condizioni per tutti i giovani impegnati nello sport di alto livello affinché possano coniugare istruzione e agonismo, in modo che possano essere i creatori del proprio futuro e di non doverlo soltanto subire.

3.2 Le strategie da implementare per sviluppare i percorsi di carriera duale

Per contrastare una dispersione scolastica particolarmente diffusa tra i giovani atleti è necessario, quindi, un intervento organico e strutturale su almeno tre livelli: istituzionale, logistico, culturale. In primis, vi è l'esigenza di un intervento istituzionale per fornire ai giovani atleti-studenti un adeguato sistema di supporto alle scelte individuali, anche in considerazione delle linee guida della Commissione Europea sulla carriera duale (EU Guidelines on Dual Careers of Athletes: Recommended Policy Actions in Support of Dual Careers in High-Performance Sport 2012) e dello studio sui minimum requirements for dual career services, 2016). Esso deve prendere le mosse dall'esatta definizione della questione - la possibilità di portare avanti congiuntamente la carriera professionale e il percorso degli studi - ed orientarsi verso la determinazione di percorsi simultanei che coniughino sport e studio, per il successo dei quali è imprescindibile puntare su un'adeguata formazione degli insegnanti, in modo da valorizzare le migliori caratteristiche della dualità.

L'utilizzo e la diffusione delle più avanzate tecnologie possono rappresentare uno strumento molto efficace e in grado di supportare anche coloro i quali, per esigenze professionali (si pensi agli atleti che fin da giovanissimi intraprendono carriere internazionali, oppure alle assenza del sabato e del lunedì per via delle competizioni), si trovino a fronteggiare difficoltà logistiche insuperabili nelle modalità d'apprendimento tradizionali, come nel caso di obbligo alla frequenza scolastica o universitaria. Un buon esempio, in questa direzione, è rappresentato dal progetto "Calciatori a scuola", presentato e promosso dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (con CONI, CIP e Lega Serie A) nel febbraio 2016, che ha previsto, per il campionato di calcio delle categorie "allievi" e "primavera", lezioni in modalità e-learning e due tutor (uno scelto dal consiglio d'istituto, l'altro dalla società sportiva) per i giovani calciatori. In ogni caso, simili progetti dovrebbero coinvolgere giovani atleti in un numero maggiore di casi, serie inferiori e discipline sportive diverse, essere strutturati ed estesi in termini qualitativi e quantitativi (in modo da rivolgersi sia al percorso di studi superiori che a quelli universitari).

In secondo luogo, sotto l'aspetto logistico, l'attenzione va rivolta alla platea degli attori interessati. Andrebbero ottimizzate, quindi, le specificità connesse alla diversità di esercizio delle singole discipline sportive e bisognerebbe puntare sull'attivazione di alcune buone pratiche generali quali, ad esempio, l'organizzazione di percorsi di recupero ad hoc per smaltire le assenze causate dalla partecipazione a gare e campionati o programmare interrogazioni, verifiche e/o appelli universitari in modo flessibile e cooperativo. Per sostenere tale percorsi è indispensabile la presenza di figure professionali appositamente formate, i tutor, in grado di fornire allo studente-atleta un percorso individualizzato e misurato su esigenze di studio e programmi di allenamenti/gare. Senza pretesa di completezza, dal punto di vista universitario, potrebbero prevedersi misure di agevolazione per meriti sportivi quali: iscrizioni in regime di tempo parziale o esonero dalle tasse universitarie, assegnazione in seduta di laurea di punti sportivi curriculari o riconoscimento di crediti formativi e borse di studio.

Infine, vi è necessità di promuovere interventi sul piano educativo e culturale, rivolgendosi a famiglie, insegnanti ed istruttori-allenatori, particolarmente in quei contesti che sono esposti a maggiori difficoltà socio-economiche, come le periferie urbane. É imprescindibile l'esigenza di sollevare gli studenti-atleti dal peso del conflitto di interessi di parte (i docenti, da una parte, e gli allenatori, dall'altra, che pretendono entrambi il massimo nel percorso di studi e nello sport) e condurli, con competenza e benevolenza, a sempre maggiori gradi di maturazione, nel campo dell'istruzione e in quello atletico, affinché essi possano scegliere, autonomamente, il progetto di vita più consono ad aspirazioni e ambizioni personali. Un obiettivo prioritario, dunque, è quello di definire e promuovere efficaci percorsi di carriera duale valutando anche se demandare l'istituzione e la supervisione sugli stessi ad autorità indipendenti o seguire il modello degli accordi o dei programmi tra istituzioni scolastiche e accademiche e sportive, per superare definitivamente le criticità connesse alla concezione alternativa tra carriera sportiva e prosieguo degli studi.

3.3 Sport e riforma del sistema scolastico

Per quanto concerne la riforma in ambito scolastico attuata con la legge 13 luglio 2015, n. 107, cosiddetta "buona scuola", essa ha previsto, all'articolo 1, comma 7, lettera g), il potenziamento delle discipline motorie e lo sviluppo di comportamenti ispirati ad uno stile di vita sano, con particolare riferimento all'alimentazione, all'educazione fisica e allo sport, e attenzione alla tutela del diritto allo studio degli studenti praticanti attività sportiva agonistica. Come rappresentato dalla direzione generale per il personale scolastico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca le assunzioni di docenti di scienze motorie e sportive, anche a seguito delle assunzioni operate in relazione all'organico per il potenziamento per le classi di concorso A049 (scienze motorie e sportive nella scuola secondaria di I grado) e A048 (scienze motorie e sportive negli istituti di istruzione secondaria di II grado), hanno fatto registrare un incremento di 2834 unità di docenti di ruolo di scienze motorie, passando, dal 16 giugno 2015 al 31 dicembre 2015, da 18.774 unità a 21.608. É il primo passo verso un riconoscimento del ruolo che dovrebbe assumere lo sport nelle scuole di ogni ordine e grado, vettore di promozione dell'inclusione sociale, dell'integrazione, dello spirito di squadra, della solidarietà, della sana competizione, del rispetto delle regole e dell'avversario.

In ragione della predisposizione dei piani triennali dell'offerta formativa (POF), va potenziato, nell'ambito dell'autonomia di scelta delle istituzioni scolastiche, il ruolo dell'educazione fisica, in base alle scelte che possono essere compiute in tale direzione. Permane, tuttavia, una criticità in merito alla scelta, compiuta con l'articolo 1, comma 328, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, la legge di stabilità per il 2015, che, in materia di organizzazione e coordinamento periferico dell'attività motoria nelle scuole, ha previsto che essa sia di competenza non più dei coordinatori degli uffici scolastici territoriali ma degli uffici scolastici regionali e del dirigente preposto, con la possibilità di avvalimento della collaborazione di un dirigente scolastico o di un docente di ruolo di educazione fisica. In questo modo sono state prodotte due conseguenze: da una parte, vi è stata una riduzione, in termini prettamente numerici, di chi si occupa di tale attività, essendo stata trasferita la relativa competenza ad un livello territoriale più alto; dall'altra, è stata permessa la possibilità del venir meno di un impegno di sollecitazione e coordinamento in materia di sport. Rimane ferma la necessità di procedere all’ampliamento, attraverso assunzioni, del personale in possesso delle abilitazioni necessarie a insegnare l’attività di educazione fisica nella scuola primaria.

In relazione all'insegnamento dell'educazione fisica nella scuola primaria, ancora, il progetto "Sport di Classe", nato dall'anno scolastico 2009/2010 con l'accordo tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, CONI, CIP e Presidenza del Consiglio dei ministri (per alcuni anni), e con il sostegno di Regioni ed enti locali, ha certamente rappresentato un'evoluzione dell'esperienza realizzata, in precedenza, attraverso il programma sperimentale di "Alfabetizzazione motoria", prevedendo un modello operativo che ha consentito la partecipazione a tutte le classi aderenti all'iniziativa. Tuttavia, rilevati i buoni propositi della stessa, che ha permesso a molti laureati in scienze motorie, in funzione di tutoraggio (i cosiddetti "esperti specialisti" di educazione fisica), un ingresso nel mondo scolastico con il compito di incoraggiare i docenti di ruolo a svolgere con regolarità le lezioni di educazioni fisica, essa non è stata tradotta in assunzioni in ruolo dei laureati in scienze motorie che per via della loro preparazione specifica, dettata dalla specificità dell'insegnamento di questa materia, dovrebbero essere, in maniera esclusiva, titolari di quelle cattedre, garantendo in questo modo una trasmissione adeguata di conoscenze e buone pratiche agli alunni già a partire dai 6 anni. A tal fine, si dovrebbero estendere le previsioni riguardanti le scienze motorie e sportive previste all'articolo 5, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89, anche alla scuola primaria.

La Commissione rileva tuttavia, nonostante il carattere sperimentale del progetto "Sport di classe", l'alto numero di classi (52.282) e tutor (3.504) coinvolti nell'anno scolastico 2015/2016, con numeri in incremento rispetto all'anno scolastico precedente in cui furono interessate, complessivamente, 42.303 classi e 2.373 tutor. Infine, assume certamente un rilievo positivo nella prospettiva dello sviluppo dell'attività motoria nella scuola primaria la previsione di cui all'articolo 1, comma 20, della legge 13 luglio 2015, n. 107, che stabilisce l'utilizzo di docenti abilitati "in possesso di competenze certificate, nonché docenti abilitati all'insegnamento anche per altri gradi di istruzione in qualità di specialisti, ai quali è assicurata una specifica formazione nell'ambito del Piano nazionale" di cui alla medesima legge.
Nei confronti dei cui effetti, però, si rileva indispensabile compiere un monitoraggio specifico, per comprendere gli esiti prodotti e se saranno necessari eventuali interventi legislativi correttivi.

3.4 I licei sportivi e la formazione degli insegnanti

Infine, il decreto del Presidente della Repubblica 7 marzo 2013, n. 52, ha regolamentato l'istituzione dei licei sportivi, incardinati nei licei scientifici, nei quali lo sport svolge un ruolo preminente. La scelta per i licei sportivi statali, tuttavia, sconta il surplus burocratico reso necessario dal preventivo passaggio dalle Regioni, con l’effetto di riscontrare oggi uno stallo nella diffusione sul territorio degli stessi, a vantaggio dei licei paritari, privi viceversa di tale passaggio autorizzativo. Ne deriva la necessità di un intervento semplificatore.

É inoltre assolutamente rilevante, all'interno di tali strutture, promuovere una formazione apposita per gli insegnanti, in modo che l'interazione prevista tra lo sport e le altre materie sia funzionale alla migliore valorizzazione dei percorsi di apprendimento e al coinvolgimento, il più possibile, degli studenti/atleti nei percorsi di studio, potenziando, al contempo, alcune tematiche di rilevanza sociale, quali ad esempio il contrasto a fenomeni di bullismo e cyberbullismo e alla pratica del doping.


4. La governance sportiva e il rapporto tra CONI e federazioni sportive


4.1 Il modello previsto dalla legge

A seguito delle disposizioni di cui all'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 11, è emanato il decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, poi modificato dal decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 15, sul riordino del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI). Il CONI, ente di diritto pubblico e posto al vertice del settore, vigila sull'attività delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate, le quali hanno assunto la natura di associazioni con personalità giuridica di diritto privato. Vale richiamare, a tal proposito, l'articolo 15 del decreto legislativo 242 del 1999, che stabilisce che i bilanci di tali enti siano approvati annualmente dall'organo di amministrazione federale e sottoposti all'approvazione della Giunta nazionale del CONI.

Se, da una parte, la legge stabilisce che l'attività del CONI e delle federazioni sportive si debba svolgere conformemente ai princìpi dell'ordinamento sportivo internazionale e in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato olimpico internazionale (CIO), dall'altra, il sistema ha mostrato sintomi di debolezza in ragione della strutturazione della governance prevista nell'ordinamento. Fermo restando il riconoscimento della potestà statutaria e regolamentare attribuita a CONI e federazioni sportive in ragione dell'attività svolta e degli obiettivi da perseguire, l'articolo 4 del decreto legislativo 242 del 1999 ha stabilito che il consiglio nazionale del CONI sia composto, tra gli altri membri ivi previsti, dai presidenti delle federazioni sportive nazionali (lettera b). Tra i compiti principali del consiglio figurano, anche, quelli di: a) stabilire criteri e modalità di esercizio dei controlli sulle federazioni sportive nazionali, sulle discipline sportive associate e sugli enti di promozione sportiva riconosciuti; b) eleggere il Presidente del CONI. Il presidente, eletto dal consiglio nazionale (in base all'articolo 8, comma 2) e nominato con decreto del Presidente della Repubblica, presiede il Consiglio nazionale.

É lo stesso sistema, dunque, che stabilisce che gli enti vigilati eleggano il vertice dell'autorità vigilante, la quale, a sua volta, verifica che l'attività svolta risponda a controlli che la medesima stabilisce. Nel corso degli anni sono emerse alcune perplessità sul corretto funzionamento delle elezioni dei vertici federali, dove si è assistito (in alcuni casi) ad un blocco del turnover ed è stato permesso ad alcuni presidenti di essere rieletti "ad oltranza", dal secondo mandato in poi, in deroga alle regola generale di divieto oltre il secondo mandato, con più del 55 per cento dei voti validi (tale possibilità è prevista dalla legge: articolo 16-bis, commi 3 e 4 del decreto legislativo 242 del 1999).

Queste disposizioni, che si tentano di correggere con il disegno di legge recante "Modifiche al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, in materia di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e delle federazioni sportive nazionali", approvato in prima lettura al Senato della Repubblica (A.S. 361) in data 30 giugno 2016 ed attualmente all'esame della VII Commissione permanente della Camera dei deputati (A.C. 3960), hanno permesso, in casi eclatanti, la possibilità di rielezioni plurime e gestioni oltremodo accentratrici delle attività federali.Nell'ottica di potenziare il sistema, con l'obiettivo che le federazioni divengano non già "centri di potere" quanto, piuttosto, "centri di sapere", sarebbe auspicabile rivolgere un'attenzione particolare all'ideazione di nuove forme organizzative nel rapporto con il CONI, valorizzando l'autonomia del settore.

4.2 Il potenziamento del ruolo delle federazioni sportive

Il compito principale delle federazioni sportive é quello di promuovere e sviluppare la preparazione psico-fisica degli atleti nelle singole discipline a carattere agonistico e amatoriale, curando la preparazione tecnica, didattica e metodologica di atleti e tecnici ed organizzando attività specifiche rivolte sia all'avviamento allo sport sia allo sport di alto livello. In quest'ottica, per correlare nel miglior modo possibile le scienze che studiano il come costruire le prestazioni sportive con i luoghi dove si promuove l'attività delle singole discipline (le federazioni), si potrebbe delineare una riforma che strutturi stabilmente queste ultime all'interno delle università, come fatto nell'innovativo sistema olandese, o per lo meno che ne aumenti significativamente l'interazione, in modo da valorizzare al massimo la sinergia tra ricerca e sport praticato. Questa prospettiva potrebbe realmente garantire che l'attività sportiva sia posta al centro delle politiche federali, che vanno gestite secondo criteri manageriali ed imprenditoriali senza per questo tralasciare la missione principale, tenendo ovviamente in considerazione la grande diversità che passa tra una disciplina sportiva ed un'altra e, conseguentemente, tra le federazioni.


5. LA NECESSITÀ DI UNA REVISIONE ORGANICA DELLA DISCIPLINA IN MATERIA DI SPORT


5.1 La mancanza di una disciplina specifica per il dilettantismo

La legge 23 marzo 1981, n. 91, ha disciplinato il settore del professionismo sportivo, definendo come sportivi professionisti (articolo 2) "gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica". É stato disposto, dunque, un regime giuridico separato per professionisti e dilettanti; per i primi c'è una disciplina che definisce il regime contrattuale e le tutele sanitaria, assicurativa, previdenziale; per i secondi, invece, il Legislatore non ha stabilito alcuna norma, mancando anche una definizione precettiva di dilettantismo.

Per questo, in ragione della scelta per cui la distinzione tra professionismo e dilettantismo è questione delegata per legge al mondo sportivo, attualmente ci si trova nella situazione per cui le medesime regole sovraintendono all'attività di un atleta che tali svolge per professione, ma a cui manca un riconoscimento formale o giuridico, e a quella saltuaria dell'amatore o di chi pratica sport nel dopolavoro. Tra l'altro nel novero dei dilettanti sono ricomprese attività del tutto diverse tra loro: ad esempio, quella sportiva parrocchiale e quella di atleti che gareggiano alle Olimpiadi o in competizioni nazionali o internazionali. Se, dunque, da un lato, al professionista è riconosciuta per legge una serie di garanzie specifiche, dall'altro, un dilettante, a prescindere dal fatto che l'attività svolta possa sostanzialmente definirsi tale, si trova del tutto privo di un quadro anche minimo di tutele, pur condividendo con il professionista, in alcuni casi, tutte le caratteristiche relative allo svolgimento dell'attività. Emblematico, in tal senso, il fatto che la prestazione di molti campioni sportivi "riconosciuti" (per esempio in: tennis, nuoto, pallavolo, sci, ciclismo) non sia ritenuta professionistica; tuttavia questa mancata definizione comporta i suoi effetti negativi per gli atleti che lavorano nello sport, a prescindere dal reddito conseguito.

Sarebbe opportuno, dunque, nel pieno rispetto dell'autonomia dello sport, che la legge individui i criteri generali ai fini della distinzione tra prestazione professionistica e dilettantistica, fondando tale differenziazione sulla base del concetto di prevalenza dell'attività, in quanto la prestazione sportiva che viene praticata in modo continuativo e oneroso deve essere riconosciuta, in ogni caso, come professionistica.


5.2 Parità di genere e sport

Altra questione critica è quella relativa alla mancanza del riconoscimento della parità di genere sia al livello della governance sportiva di vertice che nel professionismo sportivo. In primo luogo, durante le audizioni è stata segnalata l'assoluta prevalenza del genere maschile ai vertici delle strutture federali e del CONI: si auspica pertanto che, nelle more di un intervento di riforma strutturale del sistema e dell'ordinamento sportivo e nell'ambito dell'organizzazione interna degli enti, possano trovar luogo meccanismi di selezione includenti del genere femminile.

In secondo luogo, occorre segnalare come, attualmente, nessuna disciplina sportiva femminile sia qualificata come professionistica, anche nel caso di quelle federazioni sportive che si sono avvalse della delega prevista dalla legge per il settore maschile od in quelli in cui il ruolo e i risultati ottenuti dalle donne, nelle competizioni nazionali o internazionali, siano stati di indubbio riscontro. Per questo si auspica l'adozione di interventi normativi volti alla promozione dell'equilibrio di genere nei rapporti tra società ed atleti professionisti (esattamente quest'obiettivo propone l'A.S. 1996), dando peraltro seguito alla strategia della Commissione Europea per l'uguaglianza di genere (Strategy for equality between women and men 2010-2015) che includeva lo sport tra i settori della vita da considerare per tale finalità. D'altra parte, già la Raccomandazione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa n. 1701 (2005) evidenziava l'esigenza di combattere la discriminazione verso il genere femminile nella partecipazione e nell'amministrazione nello sport allo stesso modo in cui si combattono le altre forme di discriminazione.


5.3 Associazioni e società sportive dilettantistiche: questioni "aperte"


5.3.1 Redditi diversi, controlli fiscali e società commerciali

Per quanto concerne l'attività di società e associazioni sportive, che costituiscono la base fondamentale del sistema e sono il primo approccio allo sport per molti cittadini italiani, la Commissione ritiene utile evidenziare alcuni aspetti critici emersi durante le audizioni. Innanzitutto, per quanto riguarda l'attività giovanile, va rilevato che l'articolo 16 della legge 23 marzo 1981, n. 91, abbia provveduto ad abrogare solamente per il settore del professionismo il cosiddetto "vincolo sportivo", ovvero le "limitazioni alla libertà contrattuale dell'atleta", le quali, invece, permangono ancora nel settore del dilettantismo (con ripercussioni non indifferenti sulla mobilità e sulla possibilità di cambiare squadra nei settori giovanili).

La distinzione professionismo-dilettantismo, poi, ha rilevanza in particolare ai fini della disciplina fiscale. Gli sportivi dilettanti, compresi tecnici ed allenatori, possono ricevere compensi per lo svolgimento della propria attività secondo un trattamento agevolato, disciplinato dall'articolo 37 della legge 21 novembre 2000, n. 342, e dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e dalla legge 16 dicembre 1991, n. 398. Tra le altre norme in materia di agevolazioni fiscali, l'articolo 67, comma 1, lettera m), del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), ha disposto che le indennità di trasferta, i rimborsi forfettari di spesa, i premi e compensi erogati da CONI, federazioni sportive nazionali, enti di promozione sportiva e "qualunque organismo che persegua finalità sportive dilettantistiche e che sia da essi riconosciuto", rientrino nella categoria dei cosiddetti redditi diversi. L'articolo 35, comma 5, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, ha stabilito che vadano ricompresi, anche, "la formazione, la didattica, la preparazione e l'assistenza all'attività sportiva dilettantistica", ossia che la norma sui redditi diversi vada estesa anche a istruttori, tecnici e dirigenti.

I redditi percepiti nel mondo dello sport dilettante, quindi, godono di un regime fiscale agevolato in quanto redditi diversi e, pertanto da collocarsi al di fuori di un rapporto di lavoro dipendente o autonomo (il reddito percepito deve essere marginale nè può costituire l'unica o la primaria fonte di sussistenza). L'articolo 69, comma 2, del TUIR, ha stabilito che i redditi percepiti da chi svolge attività sportiva dilettantistica non concorrano a formare reddito per un importo complessivamente non superiore, nel periodo d'imposta, a 7.500 euro (tale somma è da riferirsi all’importo complessivo dei compensi/indennità percepiti ai sensi dell’articolo 67 comma 1, lett. m) del TUIR); al di sotto della suddetta soglia, dunque, non si è soggetti al pagamento di alcuna imposta. Va rilevato, tuttavia, come l’interpretazione di tale norma, nata per agevolare l'attività sportiva, sia risultata invece escludente nei confronti di chi intende essere occupato in via principale nel settore, come, ad esempio, i laureati in scienze motorie, i quali in virtù della loro qualifica di laureati, vengono, a seguito di una interpretazione eccessivamente restrittiva, ricondotti nella fattispecie del lavoro autonomo o del lavoro dipendente. Tale posizione di fatto scoraggia l'utilizzo nelle associazioni sportive dilettantistiche e nelle società sportive dilettantistiche di tali soggetti qualificati, incentivando l'impiego di lavoro meno qualificato. Appare indispensabile, dunque, intervenire per non penalizzare coloro che, muniti delle opportune competenze e di un titolo di studio qualificante, vogliano svolgere un lavoro di tipo subordinato o autonomo all’interno del mondo sportivo. A tal fine sarebbe auspicabile l’applicazione di aliquote contributive agevolate.

Altra questione fondamentale che merita la massima attenzione, correlata con la precedente, è che è indispensabile distinguere quelle società e quelle associazioni che promuovono lo sport da chi ne ha costituita una per scopi commerciali e per accedere ai benefici fiscali previsti dalla legge, in modo da assicurare la certa rispondenza tra platea dei potenziali destinatari e beneficiari. In conclusione, si rileva la necessità di un intervento di sistema che bilanci due interessi contrapposti, salvaguardando il settore del dilettantismo sportivo: va incentivata e finanziariamente sgravata la promozione dell'attività sportiva di base e amatoriale (la disciplina fiscale di agevolazione è pensata per tale finalità, al fine di alleggerire i costi della gestione), distinguendo società e associazioni che svolgono solamente attività commerciali, e va assicurata, allo stesso tempo, un'adeguata tutela al lavoro professionale sportivo nel dilettantismo, promuovendo l'ingresso di istruttori competenti.

5.3.2 Finanziamenti e proposte per favorire lo sviluppo del settore

Nel dilettantismo si evidenzia anche l'esigenza, per favorire lo sviluppo del settore, di prevedere forme di costituzione di società e associazioni sportive, come nel caso della s.r.l. semplificata, che agevolino l'avviamento e lo svolgimento dell'attività d'impresa, limitare la responsabilità solidale dei dirigenti sportivi nel caso delle ASD non riconosciute e chiarire che la finalità non profit può essere perseguita anche attraverso iniziative imprenditoriali volte ad accrescere le risorse da reinvestire nell’attività dilettantistica riducendo i costi di accesso alla pratica sportiva. Quest’ultimo aspetto ha importanti conseguenze da un punto di vista della legge fallimentare, considerato che recenti sentenze considerano lo svolgimento di attività imprenditoriali, ai sensi dell’articolo 2195 del codice civile, requisito per la fallibilità delle asd a prescindere dalla destinazione a fini non profit dei ricavi derivanti dall’attività commerciale. In relazione ai profili fiscali emersi con maggior enfasi, altra questione critica è apparsa essere quella relativa all'organizzazione di corsi e attività a pagamento.

Per quanto attiene l’Iva, al fine di non creare discriminazioni tra soggetti che usufruiscono dei servizi di una associazione sportiva (soci e non soci) si potrebbe prevedere, per le quote versate dai non soci, l'esenzione dall’imposta, equiparando i servizi sportivi a quelli formativi e medici, in ragione del valore di prevenzione dalle malattie cardiocircolatorie connesso alla pratica sportiva (sulle quote versate da non soci resterebbe applicabile l’imposizione diretta).

Per quanto concerne l'altra fonte principale di finanziamento, le sponsorizzazioni, si rileva la necessità, di riconfermare la natura delle medesime quali spese di pubblicità (articolo 90, comma 8, della legge 289 del 2002), deducibili secondo quanto previsto all'articolo 108, comma 2, del TUIR. L'articolo 1, comma 319, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, la finanziaria 2007, ha introdotto nel TUIR (articolo 15, comma 1, lett. i-quinquies) la possibilità di portare in detrazione fino al 19 per cento delle spese sostenute per le attività sportive (come, ad esempio, l'iscrizione in una palestra o in una piscina) svolte dai figli minori, di età compresa tra i 5 e i 18 anni (per una totale massimo di 210 euro per ciascun figlio). Tale previsione, ad esempio, potrebbe essere estesa anche a soggetti di età pari e superiore a 60 anni, in modo da promuovere e incentivare l'attività motoria per la cosiddetta "terza età".

Infine, potrebbero essere aumentate alcune soglie: fino a 300.000 euro il limite di cui all'articolo 90, comma 2, della legge 289 del 2009, che aveva già alzato la soglia prevista all'articolo 1, comma 1, della legge 398 del 1991), ai fini della fruizione dell'esercizio di opzione relativo agli obblighi di tenuta delle scritture contabili di cui alla medesima legge 398 del 1991; fino a 10.000 euro quello di cui all'articolo 69, comma 2, del TUIR, in materia di limite massimo esentasse, prevedendo le eccedenze l'applicazione della disciplina fiscale, previdenziale e assicurativa prevista per le collaborazioni coordinate e continuative; fino a 300.000 euro quello di cui all'articolo 90, comma 8, della legge 289 del 2002, in materia di spese di pubblicità.

5.3.3 L'impiantistica sportiva

Last but not least, tra le criticità maggiori segnalate durante le audizioni, vi è la questione dell'impiantistica sportiva. Pur in presenza di una situazione piuttosto disomogenea sul territorio nazionale, la necessità di investimenti di risorse per la gestione, la manutenzione (ordinaria o straordinaria), la ristrutturazione, la messa in sicurezza o la realizzazione di nuovi impianti sportivi trova, spesse volte, nei vincoli alle spese per investimenti della finanza pubblica locale e nel rispetto del patto di stabilità interno degli ostacoli insormontabili. É da rilevare inoltre, come, da parte di più auditi, sia stata posta una particolare considerazione sui vincoli introdotti nell'ordinamento dal nuovo codice degli appalti pubblici, nella parte in cui si prevede (articolo 165, comma 2, ultimo periodo) che nelle concessioni di lavori pubblici o servizi il contributo pubblico non possa, in ogni caso, "essere superiore al trenta per cento del costo dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari". Tale norma, quindi, potrebbe disincentivare le forme di partenariato pubblico-privato nella gestione degli impianti, tutt'al più nel caso in cui dovessero esser realizzate opere di manutenzione extra ordinaria, ed essere ulteriormente d'ostacolo alla costruzione di nuovi.

É stato segnalato, tuttavia, come le principali criticità riguardino le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture esistenti. Nel caso eclatante di Roma Capitale, è stato riferito che il totale degli impianti comunali, 162, afferenti all'amministrazione comunale, escluse le palestre nelle scuole, non risulti essere a norma. È stato anche rilevato, in via generale, che se lo status degli investimenti per le nuove costruzioni appaia piuttosto problematico in tutto il territorio nazionale, al Sud il tessuto impiantistico è assai più sottile rispetto al centro-nord.

La gestione dell'impiantistica, in ragione dei molti interventi di manutenzione da compiere, è apparso come uno dei problemi di maggiore rilievo. Attualmente, quattro regioni (Friuli Venezia Giulia, Toscana, Molise e Calabria) hanno aderito al progetto pilota "Censimento e monitoraggio degli impianti sportivi del territorio" per acquisire dati sul numero di impianti presenti sul proprio territorio (si è permesso, così, di rilevare il numero degli impianti rapportato al numero di abitanti, censendo 11.508 impianti in 1.040 comuni). Al termine delle operazioni conclusive per la mappatura dell'impiantistica sull'intero territorio nazionale potranno essere tratte le opportune conclusioni, in ragione, sopratutto, del come poter intervenire, nell'ambito delle risorse economiche di cui dispongono gli enti locali e territoriali per la manutenzione o l'ammodernamento. Si rammenta, al riguardo, come il CONI e il Comitato promotore per Roma 2024 abbiano operato un censimento (da aprile a luglio 2016) delle infrastrutture sportive per la Città metropolitana di Roma Capitale, in cui sono stati censiti 2.221 impianti (di cui 1190 sportivi e 791 scolastici), di cui 1.103 di proprietà pubblica 1.118 di proprietà privata, e sono stati rilevati 6.336 spazi d'attività. Gli impianti funzionanti a Roma, secondo il CONI, sono 1983, l'89 per cento del totale (tra le cause di non funzionamento: 37 per cento è dovuto allo stato di conservazione insufficiente, 16 per cento per lavori di ristrutturazione/adeguamento e manutenzione in corso, 15 per cento non agibilità).

Si rammenta, poi, come il decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, abbia autorizzato la spesa complessiva di 100 milioni di euro nel triennio 2015-2017 (20 milioni nel 2015, 50 milioni nel 2016, 30 milioni nel 2017), da far confluire nel fondo "Sport e Periferie", secondo le indicazioni di un piano pluriennale degli interventi (rimodulabile entro il 28 febbraio di ciascun anno) da approvare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa presentazione da parte del CONI.
Tale intervento, che annoverava tra i suoi obiettivi quelli di compiere una ricognizione degli impianti sportivi esistenti sul territorio nazionale, realizzare e rigenerare impianti localizzati nelle aree svantaggiate e nelle periferie e completare e adeguare l'impiantistica esistente, pur condivisibile nelle finalità, non può, tuttavia, esser ritenuto risolutivo delle esigenze e delle criticità che riguardano lo status delle infrastrutture sportive. Come evidenziato durante le audizioni, infatti, tra le maggiori criticità delle società sportive, si riscontra, soprattutto nei piccoli centri urbani, una generale difficoltà nella gestione causata da: esiguità dei ricavi, elevati costi d'esercizio, carenza di finanziamenti privati e pubblici, eccessiva burocratizzazione degli adempimenti amministrativi. Per tale ragione, si auspica un accrescimento delle procedure di finanziamento agevolato, anche tramite l'Istituto per il credito sportivo.

V'è necessità, infine, di valutare gli effetti dell'articolo 16, comma 6, del decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, che ha previsto che le associazioni e le società sportive senza fini di lucro possano presentare agli enti locali, sul cui territorio insiste l'impianto, un progetto preliminare accompagnato da un piano di fattibilità economico-finanziaria per la rigenerazione, la riqualificazione e l'ammodernamento e per la successiva gestione (di durata proporzionale al valore dell'intervento e mai inferiore a cinque anni, se è riconosciuto il "pubblico interesse" del progetto), ai fini di un uso per l'aggregazione sociale e giovanile.

Le medesime considerazioni sulla valutazione si estendono all'articolo 16, comma 8, dello stesso decreto, che ha stabilito che per interventi di rigenerazione, ammodernamento e riqualificazione di impianti sportivi non previsti dal piano del CONI, il Comune possa deliberare l'individuazione per l'applicazione di misure agevolative (riduzioni o esenzioni di tributi per periodi limitati e definiti, per specifici tributi e per attività individuate in ragione dell'esercizio sussidiario dell'attività posta in essere).


5.4 L'esigenza di una razionalizzazione e semplificazione della disciplina

In conclusione, dati i numerosi profili critici rilevati nel settore e la generale necessità di interventi che toccano più ambiti, sarebbe opportuno adottare un testo unico in materia di sport, in coerenza con il riparto di competenze di cui all'articolo 117 della Costituzione. Il testo unico, infatti, avrebbe la funzione di riordinare e coordinare, all'interno di un solo corpo normativo, tutte le norme di settore e la legislazione vigente in materia di sport (come già proposto, tra l'altro, a conclusione dell'indagine conoscitiva n. 37 "Sport di base e dilettantistico", svolta dalla 7^ Commissione permanente del Senato della Repubblica nel settembre 2012, XVI legislatura), agevolando il compito di operatori ed interpreti chiamati finora a districarsi all'interno di una complessa stratificazione normativa.

In sintesi, dovrebbero confluire nel testo, che avrebbe la funzione abrogativa e di coordinamento con la legislazione di altri settori (come la scuola): norme su professionismo, dilettantismo e volontariato; disciplina fiscale, del lavoro e della previdenza; sistema della governance; norme di contrasto agli illeciti sportivi. Andrebbero anche incluse norme su due altri temi che non sono stati trattati in questa sede ma che meritano un'attenzione precipua in ragione sia delle ripercussioni economiche che nella struttura stessa dell'ordinamento: scommesse sportive e utilizzo dei diritti televisivi.


6. LA LOTTA AL DOPING


6.1 L'attività e il ruolo di Nado Italia

La legge 26 novembre 2007 n. 230, ha ratificato la "Convenzione Internazionale contro il doping nello sport", adottata a Parigi nella XXXIII Conferenza generale dell'Unesco del 19 ottobre 2005. La Convenzione, il cui scopo è quello di "promuovere la prevenzione del doping nello sport e la lotta a tale fenomeno allo scopo di eliminarlo" (articolo 1), ha stabilito il ruolo dell'Agenzia mondiale antidoping e ha recepito il Codice mondiale antidoping. L'articolo 3 della Convenzione ha disposto l'impegno degli Stati parte ad adottare misure adeguate a livello nazionale e internazionale che siano conformi ai principi sanciti dal Codice, ad incoraggiare ogni forma di cooperazione internazionale per tutelare gli sportivi e l'etica sportiva e a promuovere una cooperazione internazionale nella lotta al doping sportivo. L'Agenzia mondiale è l'autorità sovranazionale di riferimento in materia di contrasto al doping, con funzioni di monitoraggio e verifica della conformità al Codice delle normative dei singoli Paesi.

Sul piano dell'organizzazione, la normativa internazionale stabilisce che ciascun Paese firmatario debba dotarsi di una propria Organizzazione nazionale antidoping, NADO, a cui è riconosciuta la massima autorità e responsabilità in materia di applicazione delle norme antidoping, gestione dei controlli ed esercizio della conseguente attività giurisdizionale. Dapprima, in Italia, l'organizzazione nazionale antidoping è stata inserita all'interno della struttura del CONI; in seguito, a partire dal 15 settembre 2015, è stato istituito un ente autonomo e indipendente, NADO ITALIA, composto da: un comitato di controlli antidoping (che predispone un piano dei controlli), un comitato per le esenzioni a fine terapeutici, un ufficio di procura antidoping e un tribunale nazionale, articolato in due sezioni. Il quadro funzionale è completato dai medici della federazione medico sportiva italiana, incaricati dal comitato dei controlli di eseguire gli stessi, e dal laboratorio antidoping di Roma, che ha la funzione di analizzare i campioni prelevati e informare la procura sulle eventuali positività riscontrate.

Come emerso durante le audizioni, è stato recentemente firmato un protocollo di durata quadriennale, sottoscritto con il CONI, di impegno alla collaborazione congiunta tra Arma dei Carabinieri e NADO ITALIA, ai fini dell'applicazione della normativa antidoping e per rendere l'intero sistema ancor più solido.

In relazione ai controlli è anche emerso come siano stati conseguiti, recentemente, altri obiettivi, tra cui: la digitalizzazione di gestione delle informazioni sulla reperibilità degli atleti (cosiddetti "whereabouts") attribuendo a ciascun atleta una casella di posta elettronica certificata (pec) che garantisca la ricezione delle comunicazioni inviate con validità legale ed il funzionamento del sistema ADAMS, dell'Agenzia mondiale antidoping, per la gestione informatizzata delle reperibilità e la memorizzazione dei dati su controlli ed esiti delle analisi (attivo dal 1° gennaio 2016). I risultati operativi e i numeri hanno fatto registrare, fino a settembre 2016, 4.450 controlli antidoping, riscontrando 72 casi di positività: 61 a seguito di controlli effettuati da parte di NADO ITALIA, 11 a seguito di controlli disposti dalla Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, istituita ai sensi dell'articolo 3 della legge 14 dicembre 2007, n. 376. Occorre rilevare come il totale delle positività rilevate possa esser interpretato secondo una chiave di lettura "positiva", ovvero quale prova dell'efficacia e dell'efficienza complessiva del sistema dei controlli.

Tuttavia, occorre ribadire una criticità di fondo, che riguarda il mancato coordinamento "di sistema" a livello internazionale dove, pur agendo la Convenzione internazionale contro il doping nello sport a fini armonizzanti, si evidenzia la necessità di rendere omogenea l'applicazione della stessa, attraverso un sistema di controlli sull'applicazione stringente, con sanzioni certe in caso di mancato rispetto.
Si evidenzia come l'impegno del Governo italiano, in sede internazionale, debba essere rivolto in questa direzione, chiedendo di valutare, in tale occasione, l'opportunità di introdurre un sistema di ricambio di chi effettua i controlli. Se da una parte, quindi, il nostro Paese dimostra di essersi dotato di un sistema di controlli e sanzioni
antidoping piuttosto efficace ed adeguato per lo sport di alto livello, parimenti deve esser profuso uno sforzo, sempre maggiore in relazione alla diffusione di corrette informazioni sui rischi per la salute e l’incolumità fisica nello sport amatoriale e di base.


6.2 L'attività e il ruolo della sezione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive del Ministero della salute

Il decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 44, ha stabilito, all'articolo 2, il trasferimento all'interno di un unico organo collegiale del Ministero della salute, il Comitato tecnico-sanitario, di una serie di organi, tra cui la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping (lettera h), nata nel 2007. Il Comitato tecnico-sanitario, quindi, è stato articolato in più sezioni (articolo 4), dove ha trovato spazio anche quella per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive (lettera h).

Tra le funzioni principali della sezione antidoping, come emerso nelle audizioni, c'è quella di sostenere e promuovere campagne di corretta informazione, prevenzione e promozione per diffondere il più possibile, soprattutto tra i giovani e tra gli atleti che praticano sport in via amatoriale, una cultura della "competizione sana" che prescinda dall'uso di sostanze dopanti e renda consapevoli della pericolosità legata all'assunzione, anche sporadica, delle stesse.

In primo luogo, difatti, l'attività della sezione ministeriale è rivolta alla diffusione di informazioni ad hoc sugli inquinamenti farmacologici e sulla rischiosità del reperimento e dell'utilizzo, tramite web o commercio non autorizzato, di sostanze illegali. Per tale ragione, creare una "rete della consapevolezza" che coinvolga, da una parte, gli sportivi e gli allenatori e, dall'altra, i medici e i farmacisti, è uno degli obiettivi prioritari per giungere a strutturare adeguati percorsi di diffusione di informazioni corrette. In tale ottica, il progetto "Campioni senza trucco", nato dalla collaborazione avviata nel 2012 tra la Commissione antidoping della FIGC e Unicef Italia con lo scopo di educare i giovani alla lotta al doping, al rispetto dell’etica sportiva e ad una corretta alimentazione, ha rappresentato certamente un'iniziativa meritevole. Essa, tuttavia, dovrebbe essere "strutturata" e replicata su più larga scala (includendo altri sport, oltre al calcio) al fine di coadiuvare insegnanti e studenti nella comprensione di quali e quanti rischi siano connessi al doping.

È auspicabile, quindi, una maggiore e più stretta collaborazione e interazione tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e scuole e CONI, federazioni sportive e Ministero della salute, per diffondere nelle giovani generazioni una "cultura antidoping" che sia la più consapevole ed estesa possibile. Occorre ricordare, infine, come il l'Italia abbia ratificato la Convenzione antidoping del Consiglio d'Europa fatta a Strasburgo il 16 novembre 1989 (entrata in vigore l'1 aprile 1996), ai fini dell'armonizzazione dei regolamenti antidoping nei Paesi membri, ma non il Protocollo addizionale alla Convenzione, per garantire una più forte applicazione della stessa e il mutuo riconoscimento in materia di controlli.


7. Gli indirizzi sportivi dell'unione EUROPEA e i provvedimenti in discussione nella XVII legislatura nel Parlamento italiano


7.1 Unione Europea e sport

Nell'ambito dello sviluppo della dimensione europea dello sport, di cui all'articolo 165 TFUE, nel novembre 2013, il Consiglio ha adottato la Raccomandazione proposta dalla Commissione europea,, Health-Enhancing Physical Activity "HEPA", sulla promozione trasversale dell’attività fisica. La raccomandazione invita i Paesi membri a sviluppare campagne nazionali e strategie trasversali includendo diversi settori quali lo sport, la sanità, l'istruzione, l'ambiente e i trasporti, tramite lo sviluppo di iniziative che dovrebbero includere azioni concrete per invogliare le persone a svolgere attività motoria con regolarità.

Nel gennaio 2014, la Commissione europea ha presentato la Relazione sull'attuazione del piano di lavoro dell'Unione per lo sport per il 2011-2014 da cui risulta che, nel complesso, le attività svolte hanno ottenuto buoni risultati nei settori prioritari definiti (fra i quali, la promozione dell'attività fisica e la partecipazione nello sport di base).

In seguito, è stato adottato il Piano di lavoro dell'Unione per lo sport 2014-2017, per integrare e rafforzare l'impatto delle attività avviate nel quadro del programma Erasmus + nel campo dello sport: esso inserisce fra i settori prioritari d'intervento quello relativo a sport e società, con riferimento, fra l'altro, ai vantaggi in termini di salute provenienti dall'attività fisica. La Commissione europea ha anche promosso, dal 7 al 13 settembre 2015, la prima settimana europea dello sport, con iniziative da svolgere a livello sovranazionale, nazionale, regionale e locale, focalizzando l’attenzione su quattro temi: educazione ambientale, luoghi di lavoro, attività all'aperto e centri di fitness. Sport ed educazione fisica, attività fisica sul posto di lavoro, sport all’aperto e attività nei centri sportivi e fitness sono state, ancora, le tematiche attorno a cui è stata promossa, dal 10 al 17 settembre 2016, la seconda settimana europea.

Anche il Consiglio d’Europa è stato un attore protagonista in materia di sport, anzitutto promuovendo l’adozione della Carta europea dello sport, nella 7^ conferenza dei Ministri europei dello sport tenutasi a Rodi dal 13 al 15 maggio 1992. La Carta, che ha lo scopo di promuovere lo sport quale “importante fattore per lo sviluppo umano” e che richiama il Codice di etica sportiva (dichiarazione di intenti sul gioco leale), impegna i governi nazionali verso politiche di promozione allo sviluppo dell’attività fisica e motoria. Il Consiglio d'Europa ha anche adottato un accordo parziale in materia di sport, l’Epas che coinvolge, attualmente, 36 Paesi ma non l'Italia. L’accordo intende promuovere lo sport nella società moderna, ponendo in risalto i suoi valori positivi: predispone a tal fine politiche e norme, ne assicura il coordinamento e il monitoraggio, sostiene iniziative per sviluppare le competenze e favorisce lo scambio di buone prassi. Per elaborare le proprie strategie, esso si basa sulle norme in materia di sport già definite dal Consiglio d’Europa nella Carta europea dello sport e nel Codice di etica sportiva (1992); nella Convenzione europea sulla violenza degli spettatori (1985), in quella contro il doping (1989) e in quella sulla manipolazione delle competizioni sportive.

7.2 Parlamento italiano e sport

Per quanto riguarda l’attività legislativa del Parlamento italiano nella legislatura in corso si rammenta l'approvazione della legge 12 gennaio 2016 per l'integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l'ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva. In sintesi, la legge stabilisce una procedura agevolata per il tesseramento di minori stranieri regolarmente residenti nel nostro Paese dal compimento del decimo anno d'età.

La proposta di legge (A.C. 3960) in materia di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del CONI e delle federazioni sportive nazionali è, invece, all'esame della VII Commissione alla Camera dei deputati, dopo esser stata approvata dal Senato il 30 giugno 2016. Da segnalare, nella medesima Commissione alla Camera, lo stato di avanzamento delle proposte di legge A.C 3847, A.C. 3011 e A.C. 3233, in materia di ordinamento delle professioni di montagna, per cui è stato nominato un comitato ristretto dopo l'avvio dell'esame congiunto.

Presenti, infine, in stato di avanzamento, anche altre proposte di legge che vale richiamare, di cui alcune disposizioni potrebbero rientrare nel proposto testo unico in materia di sport, in quanto potrebbe essere necessario adattare questi testi all'interno di una ristrutturazione complessiva del sistema sportivo e della normativa. In particolare, si segnalano per tale finalità due progetti di legge di iniziativa parlamentare: il testo unificato adottato quale testo base recante "Disposizioni per il riconoscimento e la promozione della funzione sociale dello sport nonché delega al Governo per la redazione di un testo unico delle disposizioni in materia di attività sportiva" (A.C. 1680 e A.C. 1425) e l'A.C. 3309, recante "Disposizioni per la promozione dell'educazione motoria e della cultura sportiva, per il sostegno del percorso formativo degli studenti atleti e per il riconoscimento delle professioni relative alle attività motorie e sportive".


8. L'attività motoria e sportiva e i disabili


8.1 Il ruolo del Comitato italiano paralimpico (CIP)

Il Consiglio dei Ministri del 25 agosto 2016 ha deliberato in esame preliminare, tra gli altri schemi di decreti legislativi previsti nella riforma della pubblica amministrazione, quello sul Comitato italiano paralimpico (CIP), in attuazione della disposizione di cui all'articolo 8, comma 1, lettera f) della legge 7 agosto 2015, n. 124, attualmente all'esame delle Commissioni parlamentarti per il parere (atto del Governo n. 349). Il Legislatore ha ritenuto necessario intervenire per disciplinare l'attività e la struttura del CIP quale ente pubblico autonomo.

Il Comitato svolge una funzione sociale di prim'ordine nel recupero, anche psichico, delle persone che, dalla nascita o per cause sopravvenute, sono portatori di una disabilità di tipo cognitivo, sensoriale o motorio. Nell'ambito della disabilità, infatti, lo sport assolve ancor più a quella funzione sociale ed inclusiva svolta nei confronti della popolazione normodotata. Il CIP si occupa in toto dei disabili che praticano sport, con l'obiettivo di fornire risposte diverse ad esigenze diverse. Ogni ragazzo o ragazza, uomo o donna, che riesca a riprendere l'attività sportiva a seguito di un trauma che ne ha ridotto o compromesso l'abilità motoria o che riesca a praticarla nonostante una disabilità congenita, interagendo con la società, "è un cittadino recuperato per il Paese" (così il Presidente del Comitato, Luca Pancalli, durante l’audizione in Senato). Questa funzione rileva anche ben oltre i meriti e i risultati degli atleti che, parallelamente a quanto avviene nelle discipline per normodotati poste sotto la vigilanza del CONI, impegnati in competizioni a livello nazionale, internazionale, olimpico.

Nel corso dell'audizione del CIP è stato evidenziato, altresì, come possa esser potenziata e migliorata l'attività di inclusione e integrazione attraverso lo sport nelle scuole, (nel progetto "Sport di Classe", ad esempio, sono stati individuati, all'incirca, 50.000 alunni con disabilità). L'attività motoria svolta nelle scuole, uno strumento fondamentale nel coinvolgimento dei disabili, non deve e non può in alcun caso rappresentare un fattore di ulteriore mortificazione nei confronti degli alunni con disabilità. In questa direzione, andrebbero promosse attività ludico-motorie che tengano in debito conto della presenza, all'interno di una classe, di bambini o adolescenti con una diverso grado di abilità.

Per quanto concerne l'attività agonistica è stato rilevato come i corpi dello Stato che collaborano con il Comitato Paralimpico ricevano da quest'ultimo un contributo, nonostante gli atleti paralimpici non siano inseriti nei ruoli delle amministrazioni di riferimento, ai fini della fruizione di borse di studio che permettono loro di allenarsi. Nell'ottica di una stabilizzazione lavorativa, quindi, si potrebbero strutturare percorsi di inserimento degli atleti, lanciando, in questo modo, uno straordinario segnale per cui lo sport può svolgere un ruolo attivo per il reinserimento nella società e nel mondo del lavoro (nel post-carriera) di un atleta con disabilità.

Da un punto di vista generale, appare necessario incentivare l'attività del CIP e di tutti quegli enti che si occupano della promozione e dell'avviamento allo sport per i disabili, anche per svolgere un’azione sinergica volta ad abbattere i costi, spesse volte proibitivi, degli strumenti o dei macchinari (carrozzine o protesi particolari) che sono indispensabili per praticare alcune discipline sportive, come il basket.

Inoltre, andrebbe promossa l’adozione di misure specifiche volte all’ammodernamento delle strutture e dei plessi sportivi per garantire l'accessibilità agli stessi da parte degli atleti disabili. Da promuovere, anche, interventi mirati sugli allenatori nelle strutture sportive per normodotati, spesse volte non in grado di rispondere in modo efficiente alle esigenze che si presentano nel caso di una persona con disabilità. In particolare, ai fini dell’inclusione sociale, si evidenzia l'esigenza di coinvolgere maggiormente i cittadini e le istituzioni del nostro Paese verso un sistema che, oltre ai parametri dell'accessibilità intesa in termini prettamente "fisici", sappia fornire al personale (amministrativi e istruttori) delle strutture sportive un bagaglio di conoscenze adeguato rivolto alla migliore accoglienza dei disabili, in modo da non “ghettizzarli”.

8.2 Gli enti di promozione sportiva

Un particolare cenno, in fine, è da riservare, nell'ambito delle attività inclusive e di integrazione, alle attività svolte dagli enti di promozione sportiva per disabili, giovani, anziani, immigrati. In quest'ambito è bene ricordare come la legge 6 giugno 2016, n. 106, recante una delega al Governo per la riforma del Terzo settore e dell'impresa sociale, rappresenti un'occasione e un’opportunità di sviluppo anche, nell'ambito delle associazioni e delle società iscritte al registro del CONI, tra gli altri, per gli enti di promozione e per quelli che si occupano di volontariato nel settore dello sport. Per quanto concerne i disabili, infine, è certamente da valorizzare la maggiore promozione e diffusione possibile di attività inclusive che si fondano sull'interazione con i normodotati all’interno della stessa disciplina sportiva (come il baskin).

9. CONCLUSIONI

Alla luce dell’approfondimento svolto, nell'ottica di fornire una panoramica aggiornata e critica dello "stato di salute" dello sport nel nostro Paese, la Commissione impegna il Governo, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, della normativa internazionale e europea e delle attribuzioni statutarie e regolamentari del CONI, del CIP, delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate, anche paralimpiche, nonché degli enti di promozione sportiva: