AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE (3a)

MARTEDI' 29 GENNAIO 2002
30a Seduta

Presidenza del Vice Presidente
DANIELI


Interviene il sottosegretario di Stato per gli affari esteri Margherita Boniver.

La seduta inizia alle ore 15,10.


SULLA PUBBLICITA’ DEI LAVORI

Il presidente DANIELI avverte che è stata presentata richiesta di attivazione dell’impianto audiovisivo per lo svolgimento dell’odierna seduta. Comunica altresì che il Presidente del Senato, in previsione della richiesta, ha preannunciato il suo assenso.

La Commissione accoglie tale proposta e conseguentemente viene adottata questa forma di pubblicità, ai sensi dell’articolo 33, comma 4, del Regolamento, per il successivo svolgimento dei lavori.


PROCEDURE INFORMATIVE

Interrogazioni

Risponde congiuntamente alle interrogazioni 3-00287 e 3-00289 il sottosegretario Margherita BONIVER, la quale comunica preliminarmente che il Governo italiano, essendo emersi taluni interrogativi sulle condizioni di detenzione dei prigionieri collocati presso la base di Guantanamo, ha preso immediatamente contatto con le autorità statunitensi al fine di accertare le condizioni dei prigionieri trasferiti nella base americana di Guantanamo. Si è quindi accertato che, nell'attesa che vengano approntati nuovi spazi carcerari all'interno della base, i prigionieri vengono temporaneamente detenuti in ambienti che hanno carattere provvisorio.
Ella ricorda poi che, in base alla terza Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra, per poter essere classificati nella categoria dei combattenti occorre avere un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza, portare apertamente le armi e conformarsi nelle operazioni militari alle norme del diritto bellico, sia di natura convenzionale che consuetudinaria. Ricorda altresì che gli Stati Uniti hanno consentito ai rappresentanti della Croce rossa internazionale di effettuare delle visite presso la base di Guantanamo a fini ispettivi. Costoro hanno potuto intrattenersi a lungo con i prigionieri, la cui dislocazione nella base ha carattere temporaneo in attesa del trasporto e dello smistamento nei vari luoghi di detenzione. I risultati delle visite dei rappresentanti della Croce rossa internazionale saranno peraltro comunicato al Governo degli Stati Uniti, che ha fatto sapere di volerne tenere conto in vista della successiva predisposizione delle condizioni detentive. Da parte sua, il Governo cubano ha comunicato di aver preso nota con soddisfazione delle dichiarazioni pubbliche emesse dalle autorità nordamericane, secondo cui i prigionieri riceveranno un trattamento adeguato e umano, che la Croce rossa potrà verificare.
Il Sottosegretario rende quindi noto che anche una delegazione di membri del Congresso degli Stati Uniti ha visitato la scorsa settimana la base di Guantanamo, rilasciando in seguito dichiarazioni di tono positivo relativamente alle condizioni di detenzione. Lo stesso Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, signora Mary Robinson, ha preso atto che la Croce rossa internazionale e le rispettive autorità consolari hanno potuto e potranno visitare i detenuti, riconoscendo peraltro che le specifiche questioni legali relative a tali detenzioni sono all'attenzione delle autorità statunitensi. In sostanza, la questione più delicata concerne la concessione o meno a questi detenuti dello status di prigionieri di guerra, che implica alcune conseguenze giuridiche che non lasciano indifferente il Governo degli Stati Uniti; ad esempio, per definizione i prigionieri di guerra non possono essere interrogati.
Il Governo italiano, di concerto con i partner dell'Unione europea, seguirà costantemente gli sviluppi della questione. Del resto la stessa Unione europea ha più volte ribadito la necessità di contemperare le esigenze proprie della lotta al terrorismo internazionale con il rispetto delle procedure giudiziarie internazionalmente garantite ad ogni imputato. La lotta al terrorismo non deve infatti essere condotta a detrimento dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ma deve al contrario rappresentare un'ulteriore prova del fermo proposito della comunità internazionale di difendere proprio quei diritti che le azioni terroristiche intendono infrangere.

Interviene in replica la senatrice DE ZULUETA, la quale ringrazia per la tempestività con cui il Governo ha risposto all'interrogazione 3-00287, di cui è prima firmataria. Ella non può tuttavia considerare soddisfacente la risposta fornita dal Sottosegretario. Non si tratta infatti di chiarire semplicemente se ai prigionieri detenuti nella base di Guantanamo si possa applicare la terza Convenzione di Ginevra, bensì di verificare se ad essi vengano anche estese le garanzie previste dal diritto internazionale, se cioè venga applicato quanto contemplato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dalle Convenzioni internazionali firmate dagli Stati Uniti e dagli altri Paesi di provenienza dei detenuti ed eventualmente dalla stessa Costituzione degli Stati Uniti d'America. Ad esempio, non risulta si stia rispettando il diritto dei prigionieri ad essere identificati ed avere un nome e solo indirettamente si è venuti a conoscenza del fatto che alcuni di essi sono di lingua francese.
Non spetta del resto al Segretario alla difesa americano attribuire ai detenuti la qualifica di prigionieri di guerra, bensì al tribunale competente individuato secondo i dettami delle Convenzioni vigenti in materia. Occorre peraltro registrare, nell'ambito delle stesse autorità statunitensi, la diversa posizione assunta dal segretario Colin Powell, il quale sembra avere l'intenzione di volersi accertare che vengano rispettate le garanzie giurisdizionali di base richiamate anche dal diritto internazionale. Risulta peraltro che fra i detenuti vi siano anche cittadini afghani non combattenti, detenuti quindi per ragioni politiche, verso i quali comunque non sono state formulate accuse precise. Si nutre perfino il dubbio che a Guantanamo sia detenuto l'ex ambasciatore del Governo talebano a Islamabad, a suo tempo espulso dal Pakistan, che pure era l'unico Paese ad aver riconosciuto l'allora Governo dell'Afghanistan. Inoltre, anche volendo riconoscere la natura temporanea della detenzione di quei prigionieri a Guantanamo, secondo la Convenzione di Ginevra, fino a che non verrà assunta una decisione in merito al loro status essi dovrebbero ricevere un trattamento conforme ai dettami della Convenzione medesima.
Dopo aver ricordato che nessun cittadino afghano risulta implicato nell'attentato dell'11 settembre, essendosi formulate in tal senso solo accuse di protezione dei terroristi e non anche di partecipazione alla stessa azione terroristica, l'interrogante chiede come mai, a fronte di condizioni inadeguate per accogliere i prigionieri, si sia comunque preferito trasferirli nella base di Guantanamo. Evidentemente il Governo degli Stati Uniti aveva intenzione di godere dei vantaggi derivanti dalla detenzione dei prigionieri in una base militare situata nell'isola di Cuba, dove difficilmente potranno applicarsi i diritti costituzionalmente riconosciuti negli stessi Stati Uniti o le garanzie di difesa assicurate in ciascuno dei Paesi di provenienza dei prigionieri. Tenere questi ultimi in condizioni disagiate, all'interno di gabbie all'aperto in un clima come quello cubano, permette di esercitare su di essi una pressione fisica indebita, che configura una sorta di tortura indiretta, evidentemente tendente ad indurre l'assunzione di atteggiamenti collaborativi nel corso degli interrogatori che fra l'altro, secondo il diritto internazionale, non è nemmeno certo che si possano svolgere.
L'interrogante si dichiara quindi delusa per l'atteggiamento del Governo italiano che non ha manifestato chiaramente una propria opinione sulla vicenda, diversamente da quanto fatto dalle autorità tedesche e olandesi, che hanno invece esplicitamente richiesto il rispetto dei diritti umani. Il Governo di Londra a sua volta ha esplicitamente chiesto che il processo nei confronti dei prigionieri di cittadinanza inglese si svolga sul territorio della Gran Bretagna ed è probabile che lo stesso atteggiamento verrà assunto dalla Francia. Non si tratta infatti di assicurarsi solamente che non vengano emanate sentenze di pena di morte, non prevista nei Paesi europei, ma anche di garantire che i processi si svolgano pubblicamente e che venga rispettato il diritto degli imputati alla difesa e a un giudizio di appello.

Anche il senatore MARTONE, in qualità di firmatario dell'interrogazione 3-00289, si dichiara insoddisfatto per la risposta del Sottosegretario per lo stesso ordine di motivi illustrati dalla senatrice de Zulueta. Egli rileva fra l'altro come il Governo italiano avesse condizionato la propria partecipazione all'operazione Enduring Freedom alla possibilità di svolgere un ruolo partecipamente attivo ed ora sembra appunto giunto il momento di assumere le opportune iniziative affinché nella vicenda in questione venga rispettato il diritto internazionale.
L'interrogante ricorda quindi che lo stesso Presidente della Commissione difesa del Senato ha avuto modo di definire la crisi internazionale in atto come una sorta di "guerra guerreggiata". Tale nuova categoria sembra pertanto richiedere un opportuno adattamento del diritto internazionale che consenta di estendere anche a coloro che sono detenuti a Guantanamo la qualifica di prigionieri di guerra. Occorre inoltre non limitarsi a verificare le condizioni contingenti dei detenuti, ma acquisire elementi anche in merito al loro trattamento futuro, accertandosi che vengano rispettati nei loro confronti i principi dell'habeas corpus, della responsabilità penale individuale e della detenzione solo in presenza di accuse precise. E' grave che il Senato italiano, che pure ha costituito una apposita Commissione per i diritti umani, non si sia ancora ufficialmente pronunciato sulla sorte dei prigionieri detenuti nella base militare statunitense sull'isola di Cuba. Si pone invece l'esigenza di rilanciare iniziative diplomatiche che consentano di rafforzare il sistema giurisdizionale internazionale, come auspicato dallo stesso procuratore capo del Tribunale internazionale dell'Aja.


SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE

Riguardo allo svolgimento delle interrogazioni testè conclusosi, il senatore ANDREOTTI esprime l'auspicio che le delicate questioni in quella sede affrontate vengano meglio approfondite da parte della Commissione in una successiva occasione.

Il senatore MANZELLA concorda e chiede esplicitamente che il Governo venga a riferire in Commissione sul ruolo che i Paesi dell'Unione europea intendono esercitare in quanto alleati degli Stati Uniti.

Alla richiesta si associano i senatori FORLANI e DE ZULUETA, la quale ultima precisa di essersi già rivolta al Presidente della Commissione per sollecitare un dibattito in materia.

Il presidente DANIELI prende atto delle richieste avanzate di procedere ad un approfondimento sia dei profili giuridici che delle implicazioni politiche insite nella vicenda dei prigionieri detenuti a Guantanamo, sottolineando l'ampiezza del consenso delle forze politiche rappresentate in Commissione attorno a tale esigenza.


IN SEDE REFERENTE

(819) Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Regione amministrativa speciale di Hong Kong della Repubblica popolare cinese sul trasferimento delle persone condannate, fatto a Hong Kong il 18 dicembre 1999
(Esame e rinvio)

Riferisce alla Commissione il senatore FORLANI, sottolineando preliminarmente come l'Accordo oggetto della ratifica tenda a porre rimedio alla situazione di potenziale discontinuità determinatasi nel settore della cooperazione giudiziaria con le autorità di Hong Kong a seguito del passaggio di tale regione sotto la sovranità cinese, con la conseguente cessazione della vigenza degli Accordi già conclusi con il Regno Unito.
La particolarità dell’ordinamento giudiziario di Hong Kong, che si differenzia da quello della madrepatria cinese ed è ispirato ai princìpi della common law di ispirazione anglosassone, d’altronde, non permetteva l'estensione meccanica dell’applicazione degli Accordi conclusi con la Repubblica popolare cinese al territorio della Regione amministrativa speciale (RAS) in questione.
L'Accordo sul trasferimento delle persone condannate risponde essenzialmente a finalità umanitarie e tende a favorire il reinserimento del condannato nella società. La sua conclusione - di poco successiva a quella dell’Accordo di assistenza giudiziaria in materia penale, firmato a Roma il 28 ottobre 1998 e non ancora ratificato dal Parlamento - rappresenta un'ulteriore tappa della cooperazione giudiziaria tra l'Italia e la RAS.
Perché possa darsi corso al trasferimento della persona condannata devono ricorrere talune condizioni. Innanzitutto, occorre che la sentenza di condanna sia passata in giudicato; è necessario inoltre che la parte della condanna ancora da espiare sia perlomeno di un anno e che l’infrazione penale che ha dato luogo alla condanna rappresenti un’infrazione penale anche per la legge dello Stato in cui il detenuto deve essere trasferito.
La richiesta di trasferimento può essere avanzata dalla Parte trasferente o dalla Parte ricevente all’altra Parte a condizione che la persona condannata dia il suo consenso al trasferimento. Tale meccanismo rappresenta un importante elemento di garanzia, che consente di guardare senza particolare apprensione alle pur evidenti differenze esistenti fra gli ordinamenti giudiziari delle due Parti contraenti in termini di tutela dei diritti civili.
Per ottenere il trasferimento, il detenuto dovrà presentare una richiesta scritta alle competenti autorità, designate dalle Parti nei rispettivi Ministeri della giustizia, accompagnata da copia della sentenza di condanna e delle disposizioni legali sulle quali essa si basa. Sarebbe stato forse opportuno prevedere a carico di tali autorità un onere di informazione a favore dei richiedenti circa il regime di detenzione destinato ad essere loro riconosciuto in caso di accoglimento della domanda.
La durata della condanna nello Stato di esecuzione dovrà corrispondere, nei limiti del possibile, a quella indicata nella sentenza emanata nello Stato richiesto; in ogni caso, essa non potrà superare il massimo della pena prevista per quel reato nello Stato in cui si effettua il trasferimento.

Si apre il dibattito.

Il senatore ANDREOTTI osserva come l'Accordo sembri rispondere ad apprezzabili finalità sociali, sottolineando però l'opportunità di una riflessione da parte del Parlamento circa le direttrici della cooperazione con la Regione amministrativa speciale di Hong Kong. Occorre infatti evitare di trasformare l'area in questione, per ciò che è nelle possibilità dell'Italia, in un nuovo "paradiso fiscale". Vicende come l'intervento del magnate di Hong Kong Li Ka-shing per acquisire il colosso delle reti a banda larga Global Crossing, evitandone il fallimento, dovrebbero in particolare essere considerate dal Parlamento con attenzione, anche in considerazione del ruolo da questi assunto nel settore delle telecomunicazioni in Italia,

La senatrice DE ZULUETA osserva in primo luogo come l'esigenza di specifici accordi di cooperazione nel settore giudiziario con la Regione autonoma speciale di Hong Kong sia il naturale portato della scelta che ha presieduto alla riunificazione di quell'area con la Repubblica popolare cinese di conservare sostanzialmente inalterato il preesistente assetto nel campo dei diritti civili e dell'organizzazione politica, secondo la formula "un Paese, due sistemi".
In tale contesto, l'Accordo risponde ad evidenti ragioni di opportunità, considerando che il persistente assoggettamento della RSA ai principi del common law postula il ricorso a meccanismi di cooperazione del tutto differenti da quelli utilizzabili nei rapporti con la Repubblica popolare cinese nel suo complesso.
In conclusione, nel preannunziare il suo orientamento di voto favorevole sul provvedimento, domanda per quale ragione il Governo non abbia ancora ritenuto di sottoporre al Parlamento la ratifica dell'Accordo di assistenza giudiziaria in materia penale firmato a Roma il 28 ottobre 1998, che dovrebbe costituire la naturale cornice di riferimento per un accordo di portata molto settoriale come quello oggetto della presente ratifica. Al riguardo, prospetta il timore che il ritardo rifletta una certa riluttanza a fornire strumenti più efficaci alle autorità inquirenti in un contesto geografico ove sono in corso delicate indagini su vicende di corruzione.

Il senatore PIANETTA sottolinea l'opportunità della ratifica dell'Accordo in titolo, che pone rimedio ad una situazione di potenziale vuoto normativo quale quella determinatasi a seguito del venir meno della sovranità britannica sul territorio di Hong Kong.
Osserva poi come le previsioni di cui agli articoli 4 e 5 dell'Accordo consentano, ed in particolare la necessità del consenso della persona condannata perché la misura del trasferimento abbia corso, siano idonee ad evitare ripercussioni negative in termini di salvaguardia dei diritti umani e civili.
In conclusione, preannunzia il suo orientamento di voto favorevole.

Il seguito dell'esame è quindi rinviato.

La seduta termina alle ore 16,15.


INTERROGAZIONI

3º  Resoconto  stenografico

SEDUTA DI MARTEDÌ 29 gennaio 2002

 

Presidenza del vice presidente DANIELI

I N D I C E


INTERROGAZIONI

    Presidente
 
Pag. 3, 8

    Boniver, sottosegretario di Stato per gli affari esteri
 
3

    * De Zulueta (DS-U)
 
4

    Martone (Verdi-U)
 
6

    ALLEGATO (contiene i testi di seduta)
 
9


 

        N.B.: I testi di seduta sono riportati in allegato al Resoconto stenografico.

        
L’asterisco indica che il testo del discorso è stato rivisto dall’oratore.

        Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; CCD-CDU:Biancofiore: CCD-CDU:BF; Forza Italia: FI; Lega Nord Padania: LNP; Democratici di Sinistra-l’Ulivo: DS-U; Margherita-DL-l’Ulivo: Mar-DL-U; Verdi-l’Ulivo: Verdi-U; Gruppo per le autonomie: Aut; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti Democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto-Lega per l’autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l’’Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito repubblicano italiano: Misto-PRI; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma.

        I lavori hanno inizio alle ore 15,10.

INTERROGAZIONI

        PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento delle interrogazioni 3-00287 e 3-00289 sui prigionieri di guerra a Guantanamo.
        BONIVER,
sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, visto il contenuto delle due interrogazioni pressoché identico, il Governo chiede di poter fornire una risposta unica all’interrogazione dei senatori De Zulueta, Iovene, Bonfietti e all’interrogazione del senatore Martone sulle condizioni di detenzione dei prigionieri collocati presso la base di Guantanamo.

        Il Governo italiano ha preso immediato contatto con quello degli Stati Uniti al fine di accertare, a seguito della mobilitazione dell’opinione pubblica italiana e internazionale, le reali condizioni detentive dei prigionieri trasferiti nella base americana di Guantanamo, a Cuba. Nell’attuale fase di approntamento di nuovi spazi carcerari all’interno della base, i prigionieri – ci è stato detto – vengono temporaneamente detenuti in ambienti che hanno carattere del tutto provvisorio.
        La terza Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra contiene una dettagliata elencazione delle specie di combattenti. Le condizioni previste per la sua applicazione esigono che le persone di cui trattasi abbiano un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza, portino apertamente le armi e si conformino nelle loro operazioni alle norme del diritto bellico e alle consuetudini di guerra. Quest’ultimo requisito significa che deve essere rispettato il diritto bellico, sia di natura convenzionale sia di natura consuetudinaria. In mancanza di tali requisiti le persone in questione non rientrano nella definizione di legittimi combattenti.
        In ogni caso, come è a tutti noto, gli Stati Uniti hanno consentito l’ingresso, la visita e la presenza a fini ispettivi di rappresentanti della Croce rossa internazionale, ai quali hanno chiarito che certe condizioni di trattamento erano limitate al tempo strettamente necessario al trasporto e allo smistamento nei vari luoghi di detenzione. Il personale della Croce rossa internazionale ha potuto a lungo intrattenersi con i prigionieri in oggetto. I risultati delle visite (che continuano) saranno comunicati al Governo degli Stati Uniti, che ha fatto sapere di volerne tenere conto in vista della successiva predisposizione delle condizioni detentive.
        Il Governo cubano, d’altro canto, in un comunicato «ha preso nota con soddisfazione delle dichiarazioni pubbliche emesse dalle autorità nordamericane, secondo cui i prigionieri riceveranno un trattamento adeguato ed umano, che la Croce rossa potrà verificare».
        Oltre alla Croce rossa internazionale e a diversi osservatori internazionali, anche una delegazione di membri del Congresso degli Stati Uniti ha potuto visitare la scorsa settimana la base di Guantanamo. Le dichiarazioni dei parlamentari statunitensi dopo la visita sono state di tono positivo relativamente alle condizioni di detenzione.
        L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, signora Mary Robinson, nel ricordare i capisaldi giuridici della legislazione internazionale a tutela dei diritti delle persone, ha al contempo preso atto del fatto che la Croce rossa internazionale e le rispettive autorità consolari hanno avuto e avranno la possibilità di visitare i detenuti riconoscendo che le specifiche questioni legali relative alle detenzioni in parola sono all’attenzione delle autorità statunitensi. Come è noto, qui si tratta della decisione relativa alla concessione o meno a questi detenuti dello
status di prigionieri di guerra; una delle condizioni ostative a tale riconoscimento nell’ottica americana è infatti che i prigionieri di guerra non possono, per definizione, essere interrogati.
        Il Governo italiano non mancherà naturalmente di seguire costantemente gli sviluppi della questione, di concerto con i
partner europei. Al riguardo, l’Unione europea in più di un’occasione ha ribadito la necessità di contemperare le esigenze di lotta al terrorismo internazionale e il rispetto delle procedure giudiziarie internazionalmente garantite ad ogni imputato. L’Unione europea ritiene che la lotta contro il terrorismo non possa e non debba essere condotta a detrimento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ma che al contrario essa debba rappresentare un’ulteriore prova del fermo proposito della comunità internazionale di difendere proprio quei diritti che le azioni terroristiche intendono infrangere e che hanno infranto nel modo più sanguinoso possibile (basta ricordare le stragi di New York e Washington).

        DE ZULUETA (DS-U). Signor Presidente, nel ringraziare il Governo per la tempestività della risposta all’interrogazione 3-00287, non posso tuttavia non sottolineare che non la posso considerare esaustiva, proprio in relazione alla domanda che era stata posta. Chiedevamo infatti una cosa che, tutto sommato, è stata chiesta anche dal Segretario di Stato Colin Powell, e cioè se a questi prigionieri verranno estese o no le garanzie previste dal diritto internazionale, non solo, quindi, la terza Convenzione di Ginevra, ma anche quanto contemplato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalle Convenzioni internazionali firmate dagli Stati Uniti e dagli altri Paesi di provenienza dei detenuti ed eventualmente dalla stessa Costituzione degli Stati Uniti d’America. Ad esempio, non risulta si stia rispettando il diritto dei prigionieri ad essere identificati ed avere un nome e solo indirettamente, tramite una comunicazione alla Croce rossa, si è venuti a conoscenza del fatto che alcuni di loro sono di lingua francese.

        La domanda posta da Colin Powell e alla quale, a quanto mi è dato sapere, ancora non è stata data risposta è proprio questa, non se queste persone abbiano il diritto di godere dello status di prigionieri di guerra. Non spetta del resto al segretario alla difesa americano Rumsfield o ad altro funzionario di quel Governo stabilirlo, bensì ad un tribunale competente. E quale sia il tribunale competente lo definiscono le varie Convenzioni vigenti in materia. Il segretario Colin Powell ha assunto una posizione diversa nell’ambito delle stesse autorità statunitensi. Non si è espresso, infatti, sullo status dei prigionieri, ma ha invitato l’Amministrazione a rispettare le garanzie giurisdizionali di base, richiamate anche dal diritto internazionale.
        Non essendoci stata una risposta alla richiesta di Colin Powell, è ovvio che sarebbe stato ben difficile per il nostro Governo risponderci qui ed ora. Mi dichiaro però delusa perché il Governo italiano non ha manifestato la propria opinione sulla vicenda con la stessa chiarezza usata dalle autorità tedesche e olandesi, che hanno avanzato un’esplicita richiesta di pieno rispetto dei diritti umani, secondo i dettami delle Convenzioni vigenti.
        Risulta che tra i detenuti nella base di Guantanamo ci siano cittadini afghani non combattenti, detenuti quindi per ragioni politiche, nei confronti dei quali non sono comunque state formulate accuse precise. Si nutre perfino il dubbio che vi sia anche l’ex ambasciatore del Governo talebano a Islamabad, che a suo tempo è stato espulso dal Pakistan e consegnato alla frontiera alle truppe americane. Organizzazioni come
Amnesty International hanno definito tale situazione «limbo legale». Con quale diritto è stato portato nell’isola di Cuba un funzionario che svolgeva grosso modo attività diplomatiche? Ho detto «grosso modo» perché il Pakistan era l’unico Paese ad aver riconosciuto l’allora Governo dell’Afghanistan, ma lui era proprio in Pakistan.
        Dalle autorità statunitensi è stato dichiarato che i prigionieri talebani e quelli accusati di appartenenza all’organizzazione Al Qaeda non avevano titolo per essere qualificati come prigionieri di guerra. Non spetta al Segretario alla difesa americano o a noi attribuire ai detenuti tale qualifica, ma la decisione spetta al tribunale competente. Nel frattempo, secondo la Convenzione di Ginevra, finché non sarà assunta una decisione in merito al loro
status, essi dovrebbero ricevere un trattamento conforme ai dettami della Convenzione stessa. Per questo motivo, c’è una richiesta di trattamento diverso. Finché il tribunale competente non si esprimerà in merito, a questi detenuti devono essere assicurate certe garanzie, quali quelle relative agli interrogatori.
        Si è parlato di natura temporanea della detenzione dei prigionieri a Guantanamo. Ma se le strutture non erano pronte ad accoglierli in maniera adeguata, perché far attraversare loro metà del pianeta? È evidente che la base militare di Guantanamo offriva, a giudizio dell’amministrazione americana, taluni vantaggi per la detenzione dei prigionieri, anche se gli edifici carcerari non erano ancora pronti per accoglierli. I vantaggi derivano soprattutto dalla extraterritorialità della base militare, in quanto, come è noto, è situata nell’isola di Cuba, dove difficilmente potranno applicarsi i diritti costituzionalmente riconosciuti dagli Stati Uniti. Per i prigionieri afghani, tuttavia, non possono neanche essere assicurate le garanzie di difesa del Paese di provenienza. Desidero ricordare che nessun afghano risulta implicato nell’attentato dell’11 settembre alle torri gemelle di New York; l’accusa rivolta al Governo talebano e al mullah Omar è stata solo quella di protezione dei terroristi, non quella di partecipazione e di pianificazione dell’attentato. A questo punto, entriamo nel cuore delle garanzie previste e riconosciute dal diritto internazionale. Normalmente le persone sono detenute a fronte di accuse, mentre ai prigionieri afghani non è stata rivolta alcuna accusa precisa.
        Per questi motivi, mentre dobbiamo aspettare ancora una risposta dalle autorità americane, dobbiamo anche, come Unione europea, assumere una presa di posizione molto chiara, chiedendo il rispetto delle garanzie giurisdizionali di base richiamate anche dal diritto internazionale. Lo hanno già fatto alcuni Governi, come quello tedesco e quello olandese, chiedendo esplicitamente il rispetto dei diritti umani; lo ha fatto il Governo di Londra, che ha esplicitamente chiesto che il processo a carico dei prigionieri di cittadinanza inglese si svolga sul territorio della Gran Bretagna. Probabilmente lo faranno i francesi se, a seguito del sopralluogo da parte dei funzionari del loro Ministero degli esteri, si accerterà che alcuni prigionieri sono di cittadinanza francese. Una presa di posizione chiara è necessaria non solo perché il diritto europeo non contempla la pena di morte, ma anche per assicurare a questi prigionieri, a fronte di accuse specifiche, le garanzie previste dal diritto internazionale, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalle varie Convenzioni internazionali, quindi: che i processi si svolgano pubblicamente, che sia assicurato il diritto degli imputati alla difesa e a un giudizio d’appello. Sono queste le tre garanzie fondamentali che devono essere assicurate, oltre l’esclusione di sentenze di pena di morte.
        Aspettiamo ulteriori chiarimenti dal Governo anche sulle condizioni di detenzione che ad oggi non possono definirsi umane. I prigionieri vivono senza il riparo di mura, in gabbie all’aperto; questo significa, fra l’altro, in un clima come quello di Guantanamo, essere mangiati vivi dalle zanzare ogni notte. Se questa politica è intenzionalmente perseguita, si può ravvisare l’esercizio di una pressione fisica indebita che potrebbe configurare una sorta di tortura indiretta. I prigionieri, vivendo in condizioni così disagiate, sono infatti indotti ad assumere atteggiamenti collaborativi nel corso degli interrogatori che, fra l’altro, secondo il diritto internazionale, non si sa se sia legittimo svolgere.

        Ribadiamo quindi la richiesta in merito all’applicazione della giurisprudenza internazionale per questi detenuti. È un dovere dei Governi europei e dell’Unione europea.

        MARTONE (Verdi-U). Signor Presidente, mi associo alle parole della collega de Zulueta. Anche io sono insoddisfatto della risposta ricevuta dalla rappresentante del Governo per le stesse ragioni, ma vorrei aggiungere alcune considerazioni politiche.

        Una delle giustificazioni principali addotte dal Governo per la partecipazione all’operazione Enduring Freedom era rappresentata dalla possibilità di avere un ruolo importante e attivo nel determinare le scelte o le strategie politiche. Mi sembra singolare che il Governo italiano non ravveda la necessità di esercitare una pressione sul Governo americano perché siano rispettati i valori fondamentali riconosciuti dal diritto internazionale nella vicenda in questione.
        Vorrei ricordare, poi, un’affermazione del Presidente della Commissione difesa del Senato della settimana scorsa. Nella seduta del 22 gennaio scorso, durante il dibattito in Aula sulle modifiche al codice penale militare di guerra e sul finanziamento dell’operazione multinazionale denominata
Enduring Freedom, il presidente Contestabile ha dichiarato che ci troviamo «in uno stato di guerra guerreggiata». Questa nuova categoria sembra richiedere un opportuno adattamento del diritto internazionale, consentendo un’estensione del diritto umanitario di guerra. Non si riesce a comprendere perché, anzitutto, trovandosi di fronte ad una situazione di guerra guerreggiata non possono essere considerati come prigionieri di guerra coloro che sono stati catturati in occasione di questa operazione e, quindi, perché non può essere esteso il diritto umanitario di guerra anche ai prigionieri di Guantanamo.
        Un altro punto che mi preme sottolineare e che riprende di fatto le sollecitazioni e le preoccupazioni della senatrice de Zulueta riguarda proprio la necessità di andare oltre il problema specifico e contingente del trattamento dei prigionieri e contestualizzarlo rispetto al futuro, almeno secondo le dichiarazioni rese anzitempo dall’Amministrazione americana. Mi riferisco all’istituzione di tribunali speciali e alla sospensione di alcuni principi fondanti del diritto, vale a dire la responsabilità penale individuale (e non collettiva), il fatto che nessuno può essere sottoposto a processo senza un capo di imputazione chiaro e, infine, ai principi dell’
habeas corpus.
        Ritengo che i segnali che provengono dal caso di Guantanamo vadano ben oltre il trattamento fisico dei prigionieri, anche se quell’elemento già mi sembra espressione della linea di condotta che il Governo americano intende assumere. Mi sembra poi quanto mai singolare, come ho sottolineato in occasione del dibattito in Aula, che il Senato italiano, che ha costituito un’apposita Commissione per i diritti umani, non si sia ancora ufficialmente pronunciato riguardo alla possibilità che i prigionieri detenuti a Guantanamo vengano sottoposti a pena di morte, eventualità non remota; non è un caso che la stessa Unione europea abbia dovuto prendere una posizione pubblica al riguardo.
        Ritengo si ponga l’esigenza, partendo dal caso di Guantanamo e dall’operazione
Enduring Freedom, di rilanciare a livello diplomatico internazionale iniziative che consentano di rafforzare il sistema giurisdizionale internazionale. Anche in questo caso giova ricordare che lo stesso giudice Carla Dal Ponte recentemente ha sollecitato tale ipotesi per punire i colpevoli di crimini contro l’umanità, come possono essere quelli compiuti dai membri di Al Qaeda.
        Non mi sembra che la risposta data dalla rappresentante del Governo vada verso una direzione innovativa o comunque di una politica estera del nostro Paese che intenda incentivare il rispetto dei diritti fondamentali. Anzi, da questo punto di vista non posso che manifestare il mio disappunto. Valuterò con la collega de Zulueta l’eventualità di presentare al riguardo una mozione in Aula.

        PRESIDENTE. Lo svolgimento delle interrogazioni all’ordine del giorno è così esaurito.
        
I lavori terminano alle ore 15,30.

 


Allegato

INTERROGAZIONI
        DE ZULUETA, IOVINE, BONFIETTI. –
Al Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro degli affari esteri. – Premesso:

            che ai segnali di allarme lanciati nei giorni scorsi da Human Rights Watch e Amnesty International, a cui si unì anche la protesta del portavoce del Ministro degli affari esteri inglese, circa lo stato di detenzione dei prigionieri Taleban o accusati di far parte di Al Qaeda nella base militare americana di Guantanamo (Cuba), si è ora unito un coro di protesta generale che denuncia la mancata applicazione della Convenzione di Ginevra e l’aperta violazione dei diritti umani;
            che in questi precisi termini, si sono espressi, tra gli altri, la Croce Rossa Internazionale, Javier Solana (Segretario generale, Alto rappresentante per la PESC), Joschka Fischer (Ministro degli esteri e Vice Cancelliere tedesco), Lord David Russel-Johnston (Presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa), Ramsey Clark (ex Ministro della giustizia americana), Mary Robinson (Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite), eccetera;
            che, infatti, viva riprovazione e indignazione hanno suscitato nell’opinione pubblica e sulla stampa mondiale le immagini che ritraggono i 158 prigionieri di Guantanamo rinchiusi in gabbie metalliche di circa 4 metri quadrati, in ginocchio, legati mani e piedi e in una condizione di totale deprivazione sensoria;
            che tali abusi e trattamenti degradanti nei loro confronti danneggiano, altresì, la compattezza della coalizione internazionale contro il terrorismo, in particolare nei paesi arabi, dove l’opinione pubblica è già scioccata dalla durissima e ingiustificata repressione militare da parte israeliana nei confronti dell’Autorità palestinese;
            che il Governo italiano, impegnato sia nelle operazioni militari di
Enduring Freedom, sia nell’azione di pace promossa dall’ONU in Afghanistan, ha una particolare responsabilità di pronta risposta, non solo nei confronti del parlamento che va informato sugli sviluppi in corso, ma anche verso i molti paesi più direttamente toccati dalle ricadute della campagna militare in Afghanistan,
        gli interroganti chiedono di sapere quale posizione intenda assumere il Governo italiano in merito all’applicazione della giurisprudenza internazionale riguardo alle modalità di detenzione e processo dei detenuti eventualmente accusati di terrorismo internazionale. In particolare, la mancata applicazione della Convenzione di Ginevra ai prigionieri è in aperto contrasto con l’articolo 4 della Convenzione, che anche gli Stati Uniti hanno firmato a Ginevra il 12 agosto del 1949, che prevede l’inclusione dei «membri delle milizie e dei corpi volontari» tra i prigionieri di guerra.


(3-00287)

        MARTONE. – Al Presidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri. – Premesso:

            che ai segnali di allarme lanciati nei giorni scorsi da Human Rights Watch e Amnesty International, a cui si unì anche la protesta del portavoce del Ministro degli affari esteri inglese, circa lo stato di detenzione dei prigionieri Taleban o accusati di far parte di Al Qaeda nella base militare americana di Guantanamo (Cuba), si è ora unito un coro di protesta generale che denuncia la mancata applicazione della Convenzione di Ginevra e l’aperta violazione dei diritti umani;
            che in questi precisi termini si sono espressi, tra gli altri, la Croce Rossa Internazionale, Javier Solana (Segretario generale, Alto rappresentante per la PESC), Joschka Fischer (Ministro degli esteri e Vice Cancelliere tedesco), Lord David Russel-Johnston (Presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa), Ramsey Clark (ex Ministro della giustizia americana), Mary Robinson (Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite), eccetera;
            che, infatti, viva riprovazione e indignazione hanno suscitato nell’opinione pubblica e sulla stampa mondiale le immagini che ritraggono i 158 prigionieri di Guantanamo rinchiusi in gabbie metalliche di circa 4 metri quadrati, in ginocchio, legati mani e piedi e in una condizione di totale deprivazione sensoria;
        che tali abusi e trattamenti degradanti nei loro confronti danneggiano, altresì, la compattezza della coalizione internazionale contro il terrorismo, in particolare nei paesi arabi, dove l’opinione pubblica è già scioccata dalla durissima e ingiustificata repressione militare da parte israeliana nei confronti dell’Autorità palestinese;
            che il Governo italiano, impegnato sia nelle operazioni militari di Enduring Freedom, sia nell’azione di pace promossa dall’ONU in Afghanistan, ha una particolare responsabilità di pronta risposta, non solo nei confronti del parlamento che va informato sugli sviluppi in corso, ma anche verso i molti paesi più direttamente toccati dalle ricadute della campagna militare in Afghanistan,
        l’interrogante chiede di sapere:
            quale posizione intenda assumere il Governo italiano in merito all’applicazione della giurisprudenza internazionale riguardo alle modalità di detenzione e processo dei detenuti eventualmente accusati di terrorismo internazionale. In particolare, la mancata applicazione della Convenzione di Ginevra ai prigionieri è in aperto contrasto con l’articolo 4 della Convenzione, che anche gli Stati Uniti hanno firmato a Ginevra il 12 agosto del 1949, che prevede l’inclusione dei «membri delle milizie e dei corpi volontari» tra i prigionieri di guerra;
            se non sia il caso che il nostro Paese promuova, insieme agli altri Paesi dell’Unione europea, una richiesta al Governo degli Stati Uniti, perché renda possibile una visita al campo di Guantanamo da parte di una delegazione di parlamentari dell’Unione.


(3-00289)
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            I testi contenuti nel presente fascicolo — che anticipa a uso interno l’edizione del Resoconto stenografico — non sono stati rivisti dagli oratori.