3º Resoconto stenografico
SEDUTA DI MARTEDÌ 29 gennaio 2002
Presidenza del vice presidente DANIELI
I N D I C E
Boniver, sottosegretario di Stato per gli affari esteri 3
* De Zulueta (DS-U) 4
Martone (Verdi-U) 6
ALLEGATO (contiene i testi di seduta) 9
N.B.: I testi di seduta sono riportati in allegato al Resoconto stenografico. L’asterisco indica che il testo del discorso è stato rivisto dall’oratore. Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; CCD-CDU:Biancofiore: CCD-CDU:BF; Forza Italia: FI; Lega Nord Padania: LNP; Democratici di Sinistra-l’Ulivo: DS-U; Margherita-DL-l’Ulivo: Mar-DL-U; Verdi-l’Ulivo: Verdi-U; Gruppo per le autonomie: Aut; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti Democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto-Lega per l’autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l’’Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito repubblicano italiano: Misto-PRI; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma.
I lavori hanno inizio alle ore 15,10.
INTERROGAZIONI
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento delle interrogazioni 3-00287 e 3-00289 sui prigionieri di guerra a Guantanamo. BONIVER, sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, visto il contenuto delle due interrogazioni pressoché identico, il Governo chiede di poter fornire una risposta unica all’interrogazione dei senatori De Zulueta, Iovene, Bonfietti e all’interrogazione del senatore Martone sulle condizioni di detenzione dei prigionieri collocati presso la base di Guantanamo.
Il Governo italiano ha preso immediato contatto con quello degli Stati Uniti al fine di accertare, a seguito della mobilitazione dell’opinione pubblica italiana e internazionale, le reali condizioni detentive dei prigionieri trasferiti nella base americana di Guantanamo, a Cuba. Nell’attuale fase di approntamento di nuovi spazi carcerari all’interno della base, i prigionieri – ci è stato detto – vengono temporaneamente detenuti in ambienti che hanno carattere del tutto provvisorio. La terza Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra contiene una dettagliata elencazione delle specie di combattenti. Le condizioni previste per la sua applicazione esigono che le persone di cui trattasi abbiano un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza, portino apertamente le armi e si conformino nelle loro operazioni alle norme del diritto bellico e alle consuetudini di guerra. Quest’ultimo requisito significa che deve essere rispettato il diritto bellico, sia di natura convenzionale sia di natura consuetudinaria. In mancanza di tali requisiti le persone in questione non rientrano nella definizione di legittimi combattenti. In ogni caso, come è a tutti noto, gli Stati Uniti hanno consentito l’ingresso, la visita e la presenza a fini ispettivi di rappresentanti della Croce rossa internazionale, ai quali hanno chiarito che certe condizioni di trattamento erano limitate al tempo strettamente necessario al trasporto e allo smistamento nei vari luoghi di detenzione. Il personale della Croce rossa internazionale ha potuto a lungo intrattenersi con i prigionieri in oggetto. I risultati delle visite (che continuano) saranno comunicati al Governo degli Stati Uniti, che ha fatto sapere di volerne tenere conto in vista della successiva predisposizione delle condizioni detentive. Il Governo cubano, d’altro canto, in un comunicato «ha preso nota con soddisfazione delle dichiarazioni pubbliche emesse dalle autorità nordamericane, secondo cui i prigionieri riceveranno un trattamento adeguato ed umano, che la Croce rossa potrà verificare». Oltre alla Croce rossa internazionale e a diversi osservatori internazionali, anche una delegazione di membri del Congresso degli Stati Uniti ha potuto visitare la scorsa settimana la base di Guantanamo. Le dichiarazioni dei parlamentari statunitensi dopo la visita sono state di tono positivo relativamente alle condizioni di detenzione. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, signora Mary Robinson, nel ricordare i capisaldi giuridici della legislazione internazionale a tutela dei diritti delle persone, ha al contempo preso atto del fatto che la Croce rossa internazionale e le rispettive autorità consolari hanno avuto e avranno la possibilità di visitare i detenuti riconoscendo che le specifiche questioni legali relative alle detenzioni in parola sono all’attenzione delle autorità statunitensi. Come è noto, qui si tratta della decisione relativa alla concessione o meno a questi detenuti dello status di prigionieri di guerra; una delle condizioni ostative a tale riconoscimento nell’ottica americana è infatti che i prigionieri di guerra non possono, per definizione, essere interrogati. Il Governo italiano non mancherà naturalmente di seguire costantemente gli sviluppi della questione, di concerto con i partner europei. Al riguardo, l’Unione europea in più di un’occasione ha ribadito la necessità di contemperare le esigenze di lotta al terrorismo internazionale e il rispetto delle procedure giudiziarie internazionalmente garantite ad ogni imputato. L’Unione europea ritiene che la lotta contro il terrorismo non possa e non debba essere condotta a detrimento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ma che al contrario essa debba rappresentare un’ulteriore prova del fermo proposito della comunità internazionale di difendere proprio quei diritti che le azioni terroristiche intendono infrangere e che hanno infranto nel modo più sanguinoso possibile (basta ricordare le stragi di New York e Washington).
DE ZULUETA (DS-U). Signor Presidente, nel ringraziare il Governo per la tempestività della risposta all’interrogazione 3-00287, non posso tuttavia non sottolineare che non la posso considerare esaustiva, proprio in relazione alla domanda che era stata posta. Chiedevamo infatti una cosa che, tutto sommato, è stata chiesta anche dal Segretario di Stato Colin Powell, e cioè se a questi prigionieri verranno estese o no le garanzie previste dal diritto internazionale, non solo, quindi, la terza Convenzione di Ginevra, ma anche quanto contemplato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalle Convenzioni internazionali firmate dagli Stati Uniti e dagli altri Paesi di provenienza dei detenuti ed eventualmente dalla stessa Costituzione degli Stati Uniti d’America. Ad esempio, non risulta si stia rispettando il diritto dei prigionieri ad essere identificati ed avere un nome e solo indirettamente, tramite una comunicazione alla Croce rossa, si è venuti a conoscenza del fatto che alcuni di loro sono di lingua francese.
La domanda posta da Colin Powell e alla quale, a quanto mi è dato sapere, ancora non è stata data risposta è proprio questa, non se queste persone abbiano il diritto di godere dello status di prigionieri di guerra. Non spetta del resto al segretario alla difesa americano Rumsfield o ad altro funzionario di quel Governo stabilirlo, bensì ad un tribunale competente. E quale sia il tribunale competente lo definiscono le varie Convenzioni vigenti in materia. Il segretario Colin Powell ha assunto una posizione diversa nell’ambito delle stesse autorità statunitensi. Non si è espresso, infatti, sullo status dei prigionieri, ma ha invitato l’Amministrazione a rispettare le garanzie giurisdizionali di base, richiamate anche dal diritto internazionale. Non essendoci stata una risposta alla richiesta di Colin Powell, è ovvio che sarebbe stato ben difficile per il nostro Governo risponderci qui ed ora. Mi dichiaro però delusa perché il Governo italiano non ha manifestato la propria opinione sulla vicenda con la stessa chiarezza usata dalle autorità tedesche e olandesi, che hanno avanzato un’esplicita richiesta di pieno rispetto dei diritti umani, secondo i dettami delle Convenzioni vigenti. Risulta che tra i detenuti nella base di Guantanamo ci siano cittadini afghani non combattenti, detenuti quindi per ragioni politiche, nei confronti dei quali non sono comunque state formulate accuse precise. Si nutre perfino il dubbio che vi sia anche l’ex ambasciatore del Governo talebano a Islamabad, che a suo tempo è stato espulso dal Pakistan e consegnato alla frontiera alle truppe americane. Organizzazioni come Amnesty International hanno definito tale situazione «limbo legale». Con quale diritto è stato portato nell’isola di Cuba un funzionario che svolgeva grosso modo attività diplomatiche? Ho detto «grosso modo» perché il Pakistan era l’unico Paese ad aver riconosciuto l’allora Governo dell’Afghanistan, ma lui era proprio in Pakistan. Dalle autorità statunitensi è stato dichiarato che i prigionieri talebani e quelli accusati di appartenenza all’organizzazione Al Qaeda non avevano titolo per essere qualificati come prigionieri di guerra. Non spetta al Segretario alla difesa americano o a noi attribuire ai detenuti tale qualifica, ma la decisione spetta al tribunale competente. Nel frattempo, secondo la Convenzione di Ginevra, finché non sarà assunta una decisione in merito al loro status, essi dovrebbero ricevere un trattamento conforme ai dettami della Convenzione stessa. Per questo motivo, c’è una richiesta di trattamento diverso. Finché il tribunale competente non si esprimerà in merito, a questi detenuti devono essere assicurate certe garanzie, quali quelle relative agli interrogatori. Si è parlato di natura temporanea della detenzione dei prigionieri a Guantanamo. Ma se le strutture non erano pronte ad accoglierli in maniera adeguata, perché far attraversare loro metà del pianeta? È evidente che la base militare di Guantanamo offriva, a giudizio dell’amministrazione americana, taluni vantaggi per la detenzione dei prigionieri, anche se gli edifici carcerari non erano ancora pronti per accoglierli. I vantaggi derivano soprattutto dalla extraterritorialità della base militare, in quanto, come è noto, è situata nell’isola di Cuba, dove difficilmente potranno applicarsi i diritti costituzionalmente riconosciuti dagli Stati Uniti. Per i prigionieri afghani, tuttavia, non possono neanche essere assicurate le garanzie di difesa del Paese di provenienza. Desidero ricordare che nessun afghano risulta implicato nell’attentato dell’11 settembre alle torri gemelle di New York; l’accusa rivolta al Governo talebano e al mullah Omar è stata solo quella di protezione dei terroristi, non quella di partecipazione e di pianificazione dell’attentato. A questo punto, entriamo nel cuore delle garanzie previste e riconosciute dal diritto internazionale. Normalmente le persone sono detenute a fronte di accuse, mentre ai prigionieri afghani non è stata rivolta alcuna accusa precisa. Per questi motivi, mentre dobbiamo aspettare ancora una risposta dalle autorità americane, dobbiamo anche, come Unione europea, assumere una presa di posizione molto chiara, chiedendo il rispetto delle garanzie giurisdizionali di base richiamate anche dal diritto internazionale. Lo hanno già fatto alcuni Governi, come quello tedesco e quello olandese, chiedendo esplicitamente il rispetto dei diritti umani; lo ha fatto il Governo di Londra, che ha esplicitamente chiesto che il processo a carico dei prigionieri di cittadinanza inglese si svolga sul territorio della Gran Bretagna. Probabilmente lo faranno i francesi se, a seguito del sopralluogo da parte dei funzionari del loro Ministero degli esteri, si accerterà che alcuni prigionieri sono di cittadinanza francese. Una presa di posizione chiara è necessaria non solo perché il diritto europeo non contempla la pena di morte, ma anche per assicurare a questi prigionieri, a fronte di accuse specifiche, le garanzie previste dal diritto internazionale, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalle varie Convenzioni internazionali, quindi: che i processi si svolgano pubblicamente, che sia assicurato il diritto degli imputati alla difesa e a un giudizio d’appello. Sono queste le tre garanzie fondamentali che devono essere assicurate, oltre l’esclusione di sentenze di pena di morte. Aspettiamo ulteriori chiarimenti dal Governo anche sulle condizioni di detenzione che ad oggi non possono definirsi umane. I prigionieri vivono senza il riparo di mura, in gabbie all’aperto; questo significa, fra l’altro, in un clima come quello di Guantanamo, essere mangiati vivi dalle zanzare ogni notte. Se questa politica è intenzionalmente perseguita, si può ravvisare l’esercizio di una pressione fisica indebita che potrebbe configurare una sorta di tortura indiretta. I prigionieri, vivendo in condizioni così disagiate, sono infatti indotti ad assumere atteggiamenti collaborativi nel corso degli interrogatori che, fra l’altro, secondo il diritto internazionale, non si sa se sia legittimo svolgere. Ribadiamo quindi la richiesta in merito all’applicazione della giurisprudenza internazionale per questi detenuti. È un dovere dei Governi europei e dell’Unione europea.
MARTONE (Verdi-U). Signor Presidente, mi associo alle parole della collega de Zulueta. Anche io sono insoddisfatto della risposta ricevuta dalla rappresentante del Governo per le stesse ragioni, ma vorrei aggiungere alcune considerazioni politiche.
Una delle giustificazioni principali addotte dal Governo per la partecipazione all’operazione Enduring Freedom era rappresentata dalla possibilità di avere un ruolo importante e attivo nel determinare le scelte o le strategie politiche. Mi sembra singolare che il Governo italiano non ravveda la necessità di esercitare una pressione sul Governo americano perché siano rispettati i valori fondamentali riconosciuti dal diritto internazionale nella vicenda in questione. Vorrei ricordare, poi, un’affermazione del Presidente della Commissione difesa del Senato della settimana scorsa. Nella seduta del 22 gennaio scorso, durante il dibattito in Aula sulle modifiche al codice penale militare di guerra e sul finanziamento dell’operazione multinazionale denominata Enduring Freedom, il presidente Contestabile ha dichiarato che ci troviamo «in uno stato di guerra guerreggiata». Questa nuova categoria sembra richiedere un opportuno adattamento del diritto internazionale, consentendo un’estensione del diritto umanitario di guerra. Non si riesce a comprendere perché, anzitutto, trovandosi di fronte ad una situazione di guerra guerreggiata non possono essere considerati come prigionieri di guerra coloro che sono stati catturati in occasione di questa operazione e, quindi, perché non può essere esteso il diritto umanitario di guerra anche ai prigionieri di Guantanamo. Un altro punto che mi preme sottolineare e che riprende di fatto le sollecitazioni e le preoccupazioni della senatrice de Zulueta riguarda proprio la necessità di andare oltre il problema specifico e contingente del trattamento dei prigionieri e contestualizzarlo rispetto al futuro, almeno secondo le dichiarazioni rese anzitempo dall’Amministrazione americana. Mi riferisco all’istituzione di tribunali speciali e alla sospensione di alcuni principi fondanti del diritto, vale a dire la responsabilità penale individuale (e non collettiva), il fatto che nessuno può essere sottoposto a processo senza un capo di imputazione chiaro e, infine, ai principi dell’habeas corpus. Ritengo che i segnali che provengono dal caso di Guantanamo vadano ben oltre il trattamento fisico dei prigionieri, anche se quell’elemento già mi sembra espressione della linea di condotta che il Governo americano intende assumere. Mi sembra poi quanto mai singolare, come ho sottolineato in occasione del dibattito in Aula, che il Senato italiano, che ha costituito un’apposita Commissione per i diritti umani, non si sia ancora ufficialmente pronunciato riguardo alla possibilità che i prigionieri detenuti a Guantanamo vengano sottoposti a pena di morte, eventualità non remota; non è un caso che la stessa Unione europea abbia dovuto prendere una posizione pubblica al riguardo. Ritengo si ponga l’esigenza, partendo dal caso di Guantanamo e dall’operazione Enduring Freedom, di rilanciare a livello diplomatico internazionale iniziative che consentano di rafforzare il sistema giurisdizionale internazionale. Anche in questo caso giova ricordare che lo stesso giudice Carla Dal Ponte recentemente ha sollecitato tale ipotesi per punire i colpevoli di crimini contro l’umanità, come possono essere quelli compiuti dai membri di Al Qaeda. Non mi sembra che la risposta data dalla rappresentante del Governo vada verso una direzione innovativa o comunque di una politica estera del nostro Paese che intenda incentivare il rispetto dei diritti fondamentali. Anzi, da questo punto di vista non posso che manifestare il mio disappunto. Valuterò con la collega de Zulueta l’eventualità di presentare al riguardo una mozione in Aula.
PRESIDENTE. Lo svolgimento delle interrogazioni all’ordine del giorno è così esaurito. I lavori terminano alle ore 15,30.
che ai segnali di allarme lanciati nei giorni scorsi da Human Rights Watch e Amnesty International, a cui si unì anche la protesta del portavoce del Ministro degli affari esteri inglese, circa lo stato di detenzione dei prigionieri Taleban o accusati di far parte di Al Qaeda nella base militare americana di Guantanamo (Cuba), si è ora unito un coro di protesta generale che denuncia la mancata applicazione della Convenzione di Ginevra e l’aperta violazione dei diritti umani; che in questi precisi termini, si sono espressi, tra gli altri, la Croce Rossa Internazionale, Javier Solana (Segretario generale, Alto rappresentante per la PESC), Joschka Fischer (Ministro degli esteri e Vice Cancelliere tedesco), Lord David Russel-Johnston (Presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa), Ramsey Clark (ex Ministro della giustizia americana), Mary Robinson (Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite), eccetera; che, infatti, viva riprovazione e indignazione hanno suscitato nell’opinione pubblica e sulla stampa mondiale le immagini che ritraggono i 158 prigionieri di Guantanamo rinchiusi in gabbie metalliche di circa 4 metri quadrati, in ginocchio, legati mani e piedi e in una condizione di totale deprivazione sensoria; che tali abusi e trattamenti degradanti nei loro confronti danneggiano, altresì, la compattezza della coalizione internazionale contro il terrorismo, in particolare nei paesi arabi, dove l’opinione pubblica è già scioccata dalla durissima e ingiustificata repressione militare da parte israeliana nei confronti dell’Autorità palestinese; che il Governo italiano, impegnato sia nelle operazioni militari di Enduring Freedom, sia nell’azione di pace promossa dall’ONU in Afghanistan, ha una particolare responsabilità di pronta risposta, non solo nei confronti del parlamento che va informato sugli sviluppi in corso, ma anche verso i molti paesi più direttamente toccati dalle ricadute della campagna militare in Afghanistan, gli interroganti chiedono di sapere quale posizione intenda assumere il Governo italiano in merito all’applicazione della giurisprudenza internazionale riguardo alle modalità di detenzione e processo dei detenuti eventualmente accusati di terrorismo internazionale. In particolare, la mancata applicazione della Convenzione di Ginevra ai prigionieri è in aperto contrasto con l’articolo 4 della Convenzione, che anche gli Stati Uniti hanno firmato a Ginevra il 12 agosto del 1949, che prevede l’inclusione dei «membri delle milizie e dei corpi volontari» tra i prigionieri di guerra.
che ai segnali di allarme lanciati nei giorni scorsi da Human Rights Watch e Amnesty International, a cui si unì anche la protesta del portavoce del Ministro degli affari esteri inglese, circa lo stato di detenzione dei prigionieri Taleban o accusati di far parte di Al Qaeda nella base militare americana di Guantanamo (Cuba), si è ora unito un coro di protesta generale che denuncia la mancata applicazione della Convenzione di Ginevra e l’aperta violazione dei diritti umani; che in questi precisi termini si sono espressi, tra gli altri, la Croce Rossa Internazionale, Javier Solana (Segretario generale, Alto rappresentante per la PESC), Joschka Fischer (Ministro degli esteri e Vice Cancelliere tedesco), Lord David Russel-Johnston (Presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa), Ramsey Clark (ex Ministro della giustizia americana), Mary Robinson (Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite), eccetera; che, infatti, viva riprovazione e indignazione hanno suscitato nell’opinione pubblica e sulla stampa mondiale le immagini che ritraggono i 158 prigionieri di Guantanamo rinchiusi in gabbie metalliche di circa 4 metri quadrati, in ginocchio, legati mani e piedi e in una condizione di totale deprivazione sensoria; che tali abusi e trattamenti degradanti nei loro confronti danneggiano, altresì, la compattezza della coalizione internazionale contro il terrorismo, in particolare nei paesi arabi, dove l’opinione pubblica è già scioccata dalla durissima e ingiustificata repressione militare da parte israeliana nei confronti dell’Autorità palestinese; che il Governo italiano, impegnato sia nelle operazioni militari di Enduring Freedom, sia nell’azione di pace promossa dall’ONU in Afghanistan, ha una particolare responsabilità di pronta risposta, non solo nei confronti del parlamento che va informato sugli sviluppi in corso, ma anche verso i molti paesi più direttamente toccati dalle ricadute della campagna militare in Afghanistan, l’interrogante chiede di sapere: quale posizione intenda assumere il Governo italiano in merito all’applicazione della giurisprudenza internazionale riguardo alle modalità di detenzione e processo dei detenuti eventualmente accusati di terrorismo internazionale. In particolare, la mancata applicazione della Convenzione di Ginevra ai prigionieri è in aperto contrasto con l’articolo 4 della Convenzione, che anche gli Stati Uniti hanno firmato a Ginevra il 12 agosto del 1949, che prevede l’inclusione dei «membri delle milizie e dei corpi volontari» tra i prigionieri di guerra; se non sia il caso che il nostro Paese promuova, insieme agli altri Paesi dell’Unione europea, una richiesta al Governo degli Stati Uniti, perché renda possibile una visita al campo di Guantanamo da parte di una delegazione di parlamentari dell’Unione.