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CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA
XIII LEGISLATURA
COMMISSIONE PARLAMENTARE
PER L'INDIRIZZO GENERALE E LA VIGILANZA
DEI SERVIZI RADIOTELEVISIVI
1.
SEDUTA DI MARTEDI' 24 SETTEMBRE 1996
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO STORACE
INDICE
Audizione del presidente, del direttore generale e del consiglio di amministrazione della RAI
La seduta comincia alle 10,10.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Essendo pervenuta la richiesta da parte del prescritto numero di componenti la Commissione, dispongo, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del regolamento della Commissione, che la pubblicità dei lavori della seduta sia assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
Dell'odierna audizione sarà altresì redatto il resoconto stenografico.
Comunicazioni del presidente.
PRESIDENTE. Devo purtroppo comunicare che l'onorevole Taradash è stato colpito da un grave lutto: la scomparsa del padre. All'onorevole Taradash ho già fatto pervenire i sensi del cordoglio della nostra Commissione.
Audizione del presidente, del direttore generale e del consiglio di amministrazione della RAI.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente, del direttore generale e del consiglio di amministrazione della RAI.
Nel salutare i nostri ospiti, comunico che l'ufficio di presidenza allargato ai rappresentanti dei gruppi è convocato alle ore 14 per decidere sull'eventuale prosieguo dell'audizione.
Colleghi, la seduta odierna è la prima in cui la Commissione di vigilanza ha la possibilità di confrontarsi con il consiglio di amministrazione della RAI; poiché prevedo che l'audizione non potrà esaurirsi nella giornata odierna, concluderemo i nostri lavori alle ore 14, allorché si terrà una riunione dell'ufficio di presidenza per decidere sulla prosecuzione degli stessi lavori, decisione che comunicheremo successivamente al consiglio di amministrazione della RAI.
Al termine della serie di audizioni, presumo che la Commissione vorrà svolgere un dibattito al suo interno in vista dell'adozione di eventuali indirizzi sugli argomenti discussi. Il consiglio di amministrazione della RAI - questo è auspicabile - deve fornire alla Commissione una lunga serie di chiarimenti e ritengo spetti al presidente di questo organismo parlamentare tentare di riassumere alcune delle più importanti questioni lasciate aperte dall'insediamento del nuovo vertice di viale Mazzini.
Mi scuso se la mia premessa dovesse risultare eccessivamente lunga, ma essa non ha un carattere personale, in quanto riflette opinioni raccolte in questo periodo tra tutti i membri della Commissione; essa è necessaria proprio per dar modo al consiglio di amministrazione di comprendere il disagio in cui si è trovata - come si vedrà - la maggior parte delle forze politiche del Parlamento di fronte all'atteggiamento degli amministratori della RAI e alle loro decisioni, disagio che si riflette nell'azienda e nella società civile, nonché nel mondo della cultura; ne derivano evidenti problemi di immagine, com'è stato evidenziato anche nell'ambito del cosiddetto caso Santoro.
Quando abbiamo deciso di tenere questa audizione, l'ufficio di presidenza ne ha discusso i contenuti e sono emerse anzitutto due proposte: quella avanzata dall'onorevole Servello, recepita anche da altri colleghi, finalizzata a una discussione del piano editoriale previsto dalla legge n. 206 del 1993, e quella del vicepresidente Paissan relativa ad una ricognizione sullo stato dell'azienda. Ne ho informato il presidente della RAI, il quale mi ha negato l'esistenza del piano in questione, affermando che il consiglio di amministrazione aveva proceduto alle nomine dell'estate sulla base di nuove linee editoriali, peraltro inesistenti nella nostra legislazione.
Le linee editoriali sono pervenute soltanto ieri presso i nostri uffici ed ho chiesto che ne venissero distribuite copie ai commissari (in questo momento esse sono disponibili). L'ufficio di presidenza della Commissione, nel decidere sul prosieguo dei lavori, stabilirà se discutere su qualcosa che, allo stato degli atti, non è previsto dalle norme vigenti.
A questo punto, è d'obbligo ripercorrere alcune tappe, pur con la curiosità di capire perché lo scorso 10 settembre il presidente Siciliano - cito quanto ho letto su un'agenzia dell'ADN Kronos - abbia affermato che i vertici della RAI hanno già messo a punto il piano editoriale aziendale; egli ha anche affermato di avere intenzione di presentarlo al Parlamento non appena la Commissione di vigilanza avrà un presidente. "Siamo pronti ad andare - ha detto il presidente della RAI - e lo presenteremo quando la Commissione parlamentare avrà perfezionato i propri istituti".
Attualmente - lo dico senza polemica - gli istituti della Commissione sono stati perfezionati, ma non abbiamo ancora traccia di eventuali decisioni del consiglio di amministrazione in tema di piano editoriale.
E' d'obbligo ricordare che l'articolo 5, comma 2, della legge n. 206 del 1993 prescrive che il consiglio di amministrazione elabora ed approva il piano editoriale nel rispetto degli indirizzi formulati dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Gli ultimi indirizzi della Commissione risalgono al luglio 1993 e risulta quindi inspiegabile, oltre che non consentito dalle norme vigenti, la necessità di adottare un nuovo piano editoriale in difformità dal precedente e in assenza di mutamenti di indirizzi da parte del Parlamento.
E' noto che la Commissione formula gli indirizzi anche per quanto previsto dall'articolo 4 della legge n. 103 del 1975, a conferma della volontà politica del legislatore di consentire il controllo del servizio pubblico a garanzia di tutti ed è la stessa Commissione che approva i piani di massima della programmazione annuale e pluriennale e vigila sulla loro attuazione. Di qui dovrebbe discendere, presidente Siciliano, il capitolo nomine: prima un nuovo piano editoriale e successivamente il cambiamento dei dirigenti di reti e di testate. Il consiglio di amministrazione, legittimamente dal suo punto di vista, non ha ritenuto di agire in questo modo (è la prima questione che poniamo). Eppure ci risulta che il 30 luglio scorso il piano editoriale fosse in discussione, almeno secondo quanto riferì l'agenzia ANSA...
ANTONIO FALOMI. Si sta seguendo una prassi un po' inusuale!
PRESIDENTE. Senatore Falomi, la prego di non togliere la parola al presidente della Commissione!
ANTONIO FALOMI. Presidente, lei usa l'espressione "poniamo", ma pone alcune questioni a titolo personale, non a nome della Commissione!
PRESIDENTE. Se lei avrà la pazienza di ascoltare (poi potrà rilasciare ulteriori dichiarazioni di contestazione dell'operato del presidente), si renderà conto che non sto citando questioni personali, ma opinioni che sono emerse nel dibattito sulla RAI anche da parte di suoi alleati di coalizione. Sto cercando di ricostruire, per gli atti della nostra Commissione, ciò che è accaduto in questo periodo di vacatio e penso che si tratti di un obbligo da parte del presidente, per una questione di rispetto nei confronti del vertice della RAI e della stessa Commissione.
I colleghi che non gradiscono questa presidenza hanno facoltà di ritenere che il presidente della Commissione debba soltanto tacere, ma non è così.
ANTONIO FALOMI. Lei non deve interpretare come crede le cose che si dicono! Questa è un'interpretazione del presidente di ciò che è stato detto, nonché delle leggi! Allora, stabiliamo anche quali sono le competenze del presidente.
PRESIDENTE. Comunque, senatore Falomi, non è prassi interrompere il presidente della Commissione.
GIANFRANCO NAPPI. Lei parla a titolo personale!
PRESIDENTE. Invito coloro che redigono il verbale di questa seduta a correggere l'espressione "la prima questione che poniamo" con "la prima questione che pongo", per la gioia del senatore Falomi!
Stando a quanto risulta dalle note di agenzia, dagli atti che si sono succeduti nel tempo, dalle varie decisioni del consiglio di amministrazione abbiamo appreso che il 30 luglio lo stesso consiglio fece sapere - come risulta da una nota dell'agenzia ANSA - di aver cominciato l'esame del piano editoriale.
Vorrei capire perché per il vertice della RAI il 2 agosto questo piano editoriale, che pure è previsto dalla legge, si sia trasformato in linee editoriali; quale sia, a vostro avviso, la differenza di contenuto tra un documento e l'altro e se questo non sia stato, com'è stato detto da altra parte, un escamotage per superare i problemi che erano intercorsi nel frattempo, tant'è vero che il 2 agosto il vertice della RAI diede notizia della imminente approvazione delle linee editoriali. Poi sono arrivate le nomine e nessuno tra noi - tanto meno il presidente della Commissione di vigilanza - intende sindacare nel merito delle vostre competenze esclusive; questo deve essere chiaro e spero sia sufficiente anche per chi pensava che volessi riferire opinioni personali. Ma la Commissione deve chiedere qualcosa sul metodo: se le nomine sono state decise a seguito dell'adozione di nuove linee editoriali, sarebbe utile conoscere anche quale continuità fosse stata prevista, ad esempio, tra il nuovo assetto che si intendeva prefigurare per la testata giornalistica regionale e il vecchio TG1, visto che era stato indicato lo stesso direttore. Un discorso analogo vale per la direzione per l'estero e le tribune politiche, in cui si constata il passaggio dello stesso direttore da una testata all'altra: si dovrebbe comprendere se vi sia una linea di continuità nelle cosiddette linee editoriali.
Quanto alle reti, vorremmo capire - o vorrei capire - quale sia stato il motivo per cui, contrariamente ad ogni prassi, si sia proceduto contestualmente alle nomine di direttori e vicedirettori: dai precedenti, infatti, risulta che, in genere, per le reti venivano indicate prima le direzioni e successivamente le vicedirezioni. Questa è una domanda, spero legittima, alla quale i nostri ospiti vorranno rispondere.
Inoltre, quali motivi - se ve ne sono stati - hanno caratterizzato l'assenza di unanimità nelle delibere del consiglio di amministrazione della RAI nella famosa seduta delle nomine? Poiché si è parlato di questioni di metodo, vorremmo capire quale metodo sia stato violato da parte di chi non ha accettato l'impostazione maggioritaria.
Vi è poi la questione più spinosa: il consiglio di amministrazione deve spiegare alla Commissione perché abbia voluto varare le nomine con tanta fretta, nonostante il parere contrario della maggior parte del Parlamento che, secondo l'indirizzo espresso dalla Commissione di vigilanza nel luglio 1993 (cito a memoria), è "l'editore della RAI". Allo stesso Parlamento la tanto richiamata Corte costituzionale ha affidato, appunto, un ruolo centrale di controllo sul servizio pubblico radiotelevisivo. O forse si ritiene che non si possa perdere tempo ad aspettare i comodi del Parlamento, com'è sembrato di capire da qualche vostra dichiarazione?
Il 3 agosto scorso l'onorevole Bosco, della lega nord, chiese che in assenza della Commissione di vigilanza non si procedesse alle nomine. Lei, presidente, ha dichiarato il 14 settembre scorso al Corriere della Sera di ritenersi garante dell'equilibrio politico-culturale anche per il Polo. Le chiedo - questa volta anche a titolo personale - di spiegare il senso di quella frase, ricordandole che in questa convulsa vicenda si è parlato di lottizzazione e che lo stesso Polo ha invitato fino all'ultimo il consiglio di amministrazione ad evitare di procedere alle nomine prima del confronto con la Commissione di vigilanza. Le potrei citare varie dichiarazioni come, per esempio, quelle del senatore Folloni, dell'onorevole Follini, del senatore De Corato, del senatore Baldini, ma non mi interessa la polemica per quanto riguara il Polo per le libertà, perché potrebbe sembrare una polemica di parte e non ho assolutamente voglia di farla; mi interessa invece ricordarle altre prese di posizione, provenienti anche dallo schieramento che ovviamente ad ogni piè sospinto difende il consiglio di amministrazione della RAI, che non deve sentirsi affatto sotto accusa. Anche a sinistra è accaduto qualcosa da questo punto di vista, e lo dico a testimonianza di un clima di crescente preoccupazione che è stato vissuto dalla maggior parte del Parlamento: non è vero che quest'ultimo è diviso a metà nella difesa o nell'attacco presunti al consiglio di amministrazione della RAI.
Ricordo inoltre che il 25 luglio scorso l'onorevole Nappi riferì di un preoccupante silenzio del consiglio di amministrazione sulle nomine e si disse "sconcertato di fronte alle notizie che giungono di ora in ora sullo stato delle future nomine alla RAI". Si chiese poi: "Dov'è il segno del rinnovamento nelle nomine?". Anche lei, onorevole Paissan, ha rilasciato dichiarazioni analoghe.
MAURO PAISSAN. Molto peggio!
PRESIDENTE. E ancora: "E' possibile discutere di nomine senza che prima il consiglio di amministrazione - questo è uno dei nodi di fondo - abbia reso espliciti e precisi i propri orientamenti sulla strategia di rilancio e di riorganizzazione del servizio pubblico?".
L'onorevole Masi, capogruppo di rinnovamento italiano, ha parlato addirittura di "appropriazione" da parte dell'Ulivo. La componente verde della maggioranza ha chiesto più volte attraverso il suo coordinatore, Ripa di Meana, di non prendere decisioni affrettate in tema di nomine e lo stesso ha fatto rifondazione comunista. Ovviamente vi era anche chi era soddisfatto delle nomine: cito a caso l'onorevole Melandri ed altri esponenti del PDS, nonché la maggioranza dei rappresentanti del partito popolare.
Vorremmo allora capire - o almeno io vorrei capire - se il consiglio di amministrazione, di fronte alla polemica che si è sviluppata quest'estate, ritenga di dover procedere comunque, a prescindere dagli orientamenti del Parlamento e non curandosi delle critiche, o se invece ritenga di dover accedere ad un'impostazione diversa, ad un dialogo serio con la Commissione di vigilanza, affinché si chiuda definitivamente la fase della polemica.
Ho già avuto modo di riferire al presidente della RAI le mie intenzioni: vorrei che questa Commissione deliberasse indirizzi più che fare polemica ogni giorno. Si avverte però la necessità di un chiarimento rispetto alla situazione pregressa.
Come è noto, le polemiche sono di casa alla RAI ed in questi giorni abbiamo avuto modo di prendere contatto con esponenti del sindacato dei giornalisti (non soltanto dell'USIGRAI), dei lavoratori della RAI, nonché del mondo della cultura; tutti ribadiscono le loro preoccupazioni, la principale delle quali è quella di giustificare la natura del canone: occorre infatti spiegare agli italiani perché esiste un servizio pubblico e perché si chiede loro il pagamento di un canone di 160 mila lire l'anno, considerato che il modo in cui sono andate finora le cose ha dato adito a molte polemiche.
Le chiedo infine, presidente, di chiarire il suo pensiero su alcune delle vicende che hanno caratterizzato gli ultimi giorni (non citerò tutte le ulteriori polemiche sorte nella società civile in tema di nomine). Le chiedo anche di riferire alla Commissione quale sia stata la verità in merito al caso Santoro, una vicenda che ha sconcertato la pubblica opinione, in quanto si è trattato del regalo alla concorrenza di un professionista che comunque assicurava grandi ascolti. Occorre allora comprendere se siano stati fatti tutti i passi che si ritenevano giusti e chiedo che il presidente della RAI ci riferisca sulla questione.
Vorremmo inoltre avere chiarimenti in tema di radiofonia; anche in ordine a tale aspetto, faccio riferimento ad opinioni non personali ma largamente maggioritarie in vasti settori del Parlamento. Le ricordo inoltre che, nell'ambito degli indirizzi varati nel luglio 1993 dalla Commissione di vigilanza, si è stabilito che le decisioni di carattere strategico debbano essere preventivamente confortate dal confronto con la Commissione di vigilanza. Non risulta però che questo sia stato fatto dal consiglio di amministrazione, il quale ha deliberato una nuova struttura della radiofonia; altri colleghi potranno ovviamente intervenire su tale questione in maniera più approfondita di quanto possa fare io, che per forza di cose cerco di sintetizzare gli argomenti.
Vorremmo capire perché sia stata presa questa decisione in ordine alla radiofonia e se vi sia la possibilità di un ripensamento, anche alla luce della constatazione che esistono indirizzi vincolanti in tal senso.
Chiediamo infine un'informativa sulla situazione interna alle testate, alle reti e ai supporti, sulle prospettive di risanamento aziendale, sulle relazioni sindacali interne e sulla qualità del prodotto, proprio a giustificazione del pagamento del canone da parte dei cittadini.
Nella speranza di non essere stato troppo lungo, do la parola al presidente della RAI.
ANTONIO FALOMI. Chiedo di intervenire sull'ordine dei lavori ricordando di aver rilevato, in sede di ufficio di presidenza, che il lavoro di questa Commissione cominciava male. Considerata la relazione appena svolta dal presidente, credo che si continui male, perché si introducono, a mio avviso, metodologie di lavoro della Commissione assolutamente scorrette e al di fuori di qualsiasi prassi: infatti, in nessuna riunione dell'ufficio di presidenza si è stabilito che il presidente dovesse introdurre la discussione, ma nella nostra Commissione si è sempre consentito al consiglio di amministrazione (come è avvenuto anche nella precedente legislatura, con la presidenza dell'onorevole Taradash) di esporre le proprie linee e poi si è lasciata libertà a tutti, compreso il presidente, di svolgere, su un piano di parità, le considerazioni che ciascuno giudicava più opportune.
Il presidente ha invece stravolto questa prassi, che era corretta, ed ha cercato di collocare l'audizione su un terreno che, se si può giudicare legittimo da un punto di vista di parte, è certamente scorretto con riferimento alla posizione del presidente, almeno in rapporto a quello che è sempre stato il nostro modo di lavorare.
PRESIDENTE. Il suo pensiero è chiarissimo, senatore Falomi. Ora però vorrei dare la parola al presidente della RAI.
ANTONIO FALOMI. Devo rilevare che in questa sede si è fatto riferimento a una serie di considerazioni sul dettato della legge, sulla sua interpretazioni, sul ruolo e sulle competenze della nostra Commissione. Allora, o si giunge ad un chiarimento sul modo in cui deve essere condotta questa Commissione, oppure noi non siamo interessati a partecipare ad una discussione che viene impostata in modo del tutto scorretto: quella seguita, infatti, non è mai stata la prassi di questa Commissione.
PRESIDENTE. Spero che non vi siano altri interventi e che le osservazioni del senatore Falomi siano esaustive delle proteste. Vorrei ora dare la parola al presidente della RAI, ricordando che in ufficio di presidenza...
ANTONIO FALOMI. Vorrei una risposta!
PRESIDENTE. Sto rispondendo: senatore Falomi, lei non può pretendere di interpretare il mio pensiero prima che lo esprima; è un pensiero debole, ma lei si deve accontentare!
Per quanto riguarda la gestione di questa prima seduta della Commissione al cui ordine del giorno vi è l'audizione del consiglio di amministrazione della RAI, faccio riferimento a tutte le sedute in cui vi è stato un primo incontro con il consiglio di amministrazione, ogni volta che è stato nominato, allorché il presidente della Commissione ha svolto una relazione senza riferire opinioni proprie: infatti, se lei avesse ascoltato con attenzione quanto ho affermato, avrebbe constatato che ho riferito opinioni dei commissari, senza aggiungere una sola delle mie parole, di quelle che ho pronunciato e che i vertici della RAI conoscono già.
Ritenevo mio dovere, per far sì che restasse agli atti della Commissione, fare in modo che il consiglio di amministrazione della RAI conoscesse formalmente le polemiche che hanno caratterizzato queste vicende.
ANTONIO FALOMI. I giornali li sanno leggere tutti!
PRESIDENTE. Senatore Falomi, la prego di lasciar parlare il presidente della Commissione; non è obbligatorio interromperlo!
Volevo offrire ai vertici della RAI la possibilità di rispondere sulle polemiche che si sono sviluppate; li ringrazio di aver ascoltato con attenzione quanto è stato detto e non ritengo che vi sia altro da aggiungere con riferimento ad una polemica che sta diventando ciclica. Credo infatti di poter riferire il parere della maggioranza dei membri della Commissione e adesso, anche per una questione di garbo nei confronti dei vertici della RAI, vorrei consentire al presidente Siciliano di prendere la parola. Se poi si ritiene di dover aprire un altro dibattito, sono pronto; mi scuso con il presidente della RAI ma purtroppo queste sono le norme della politica.
FRANCESCO SERVELLO. Non si può pensare che il presidente della Commissione sia una sorta di notaio: è evidente che nella prima riunione, la quale coincide giustamente con l'audizione dei vertici della RAI, egli abbia il diritto - direi quasi il dovere - di tracciare un quadro della situazione, anche al fine di orientare i nostri lavori, in quanto siamo entrati in quest'aula senza avere il piano editoriale né tanto meno le cosiddette linee editoriali. Pertanto, questa premessa era indispensabile: essa può non essere condivisa in alcune delle sue parti, ma ognuno di noi, senatore Falomi, ha la possibilità di intervenire e di criticare, se lo si ritiene, i contenuti dell'esposizione illustrativa del presidente della Commissione. In caso contrario, si introdurrebbe una serie di pretesti per non procedere nei nostri lavori, e questa sarebbe una grande perdita di tempo.
GIAN GUIDO FOLLONI. Intervengo anch'io sull'ordine dei lavori per rilevare che il senatore Falomi ha posto un problema relativo al metodo di lavoro della Commissione che non mi sembra opportuno discutere in questo momento. Quindi, o decidiamo di seguire l'abituale prassi, per cui a questo punto si dà la parola al presidente della RAI, oppure, se si vuole, è possibile adottare una prassi diversa, in base alla quale si lascia preliminarmente spazio ad una serie di interventi dei commissari volti a porre domande allo stesso presidente della RAI per poi dare la parola a quest'ultimo. Da parte mia, opto per la prima soluzione.
PRESIDENTE. A questo punto, do la parola al presidente della RAI.
ANTONIO FALOMI. Chiedo nuovamente la parola sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Senatore Falomi, questo significa perdere tempo! Lei è già intervenuto.
ANTONIO FALOMI. Non credo affatto che il presidente della Commissione sia una sorta di notaio: egli è ciò che il regolamento stabilisce e niente di diverso. Siccome mi pare che il presidente sia andato assai oltre le funzioni e le competenze che gli sono proprie, anche nelle sue osservazioni (peraltro legittime - lo ripeto - dal punto di vista di una parte politica, non del presidente), chiedo, scusandomi con i nostri ospiti, una sospensione della seduta al fine di chiarire quale debba essere il ruolo e la funzione di questa Commissione (Commenti).
MARIO LANDOLFI. Questa è un'intimidazione!
ANTONIO FALOMI. Ma quale intimidazione! Quella di Storace è un'intimidazione!
FRANCESCO SERVELLO. Non è possibile sospendere la seduta: abbiamo convocato i nostri ospiti e dobbiamo procedere.
PRESIDENTE. Senatore Falomi, comprendo le ragioni della sua protesta, che però mi appare ingiustificata. La prego quindi di rinunciare alla stessa proposta, ascoltando eventualmente quella che avanzerò: possiamo ora dare la parola al presidente e ai consiglieri di amministrazione della RAI, mentre alle ore 14 è già convocata una riunione dell'ufficio di presidenza al fine di decidere sul prosieguo dei nostri lavori. Vi sarà comunque piena disponibilità al confronto da parte del presidente, il quale ritiene di non aver travalicato alcuna competenza, in quanto ha semplicemente "relazionato", come può fare qualsiasi presidente di commissione alla Camera o al Senato, per cui non è affatto uno scandalo.
La prego quindi di ritirare la sua proposta e di consentirmi, se possibile, di dare finalmente la parola al presidente della RAI.
Poiché altri colleghi chiedono di intervenire sull'ordine dei lavori, chiedo a tutti di esprimersi sinteticamente sulle varie questioni: se si ritiene necessario introdurre nella discussione ulteriori elementi, do volentieri la parola ai colleghi che ne fanno richiesta, ma poi chiedo che si consenta al presidente della RAI di esprimere il suo pensiero sullo stato dell'azienda.
PIERGIORGIO BERGONZI. Sono rimasto molto perplesso - uso un eufemismo - per il modo in cui lei, presidente, ha introdotto l'audizione del consiglio di amministrazione della RAI. Credo infatti che i contenuti, i modi e i termini della sua introduzione travalichino completamente il ruolo che la presidenza della Commissione dovrebbe avere quale espressione della stessa Commissione nel suo complesso; ritengo, cioè, che la sua introduzione metta in discussione il modo di funzionare della Commissione, nonché il ruolo della stessa Commissione e della sua presidenza nel modo in cui è sempre stato inteso ed in cui ritengo sia previsto dal regolamento e dalle leggi che ne disciplinano l'attività.
Intendo precisare subito che il mio intervento non deve assolutamente suonare a difesa dell'operato del consiglio di amministrazione della RAI. Poiché il presidente ha citato le varie opinioni dei commissari e si è permesso di citare anche quella di rifondazione comunista riguardo alle nomine, voglio ricordare allo stesso presidente che, se avesse voluto seguire un criterio di imparzialità, avrebbe dovuto ricordare anche l'opinione di rifondazione comunista con riferimento alla nomina della presidenza di questa Commissione: egli avrebbe dovuto ricordare che, se il consiglio di amministrazione della RAI non ha potuto riferire per tempo alla nostra Commissione - ritengo si tratti di un grave difetto - in ordine ai piani editoriali ed ai suoi programmi, da cui sarebbero dovute discendere le nomine dopo un confronto in Commissione, questo non è avvenuto - il presidente però non l'ha ricordato - per una ragione semplicissima, ossia per la logica spartitoria che ha determinato la sua nomina alla presidenza di questa Commissione; si tratta di una logica che ha avuto come primo ostacolo il mancato accordo fra le forze del Polo su chi avrebbe dovuto presiedere questa Commissione. Questo è stato il primo elemento.
Ecco, signor presidente, questa mi sembra la ragione più palese della parzialità dell'introduzione che lei ha svolto, per cui mi dichiaro d'accordo con il collega Falomi nel richiedere una sospensione immediata dei lavori, perché la presidenza della Commissione possa fare il punto sulla situazione e sul modo in cui questa Commissione deve svolgere i suoi lavori da questo momento in poi.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, c'è una richiesta da parte di alcuni componenti la Commissione di non passare all'audizione del consiglio d'amministrazione della RAI. Darei la parola ad un oratore contro e ad uno a favore...
PIERGIORGIO BERGONZI. Non è vero, signor presidente!
PRESIDENTE. Chiedo scusa, ma non spetta né a lei né al senatore Falomi decidere per la Commissione; non posso decidere io, ma neanche voi (Commenti). Chiedo scusa, lei ha parlato, ha detto quello che voleva; adesso consenta anche al presidente di puntualizzare alcune questioni.
PERGIORGIO BERGONZI. Non ho richiesto di non passare all'audizione! Ho soltanto condiviso una richiesta di sospensione dei lavori!
PRESIDENTE. Esatto. Permetterà che si chieda anche il parere di altri commissari? Lei giustamente ha notato che non ho fatto riferimento alla mia elezione a presidente (Proteste del senatore Bergonzi). Chiedo scusa, mi faccia parlare! Per favore, mi consenta di parlare, perché anche questo è un modo per poterci confrontare!
PIERGIORGIO BERGONZI. Lei ha parlato più di tutti! Non può interpretare il pensiero di altri a suo uso e consumo!
PRESIDENTE. Ho parlato per dieci minuti, come era mio dovere.
Allora, per quel che riguarda le polemiche sulla mia elezione alla presidenza, cui lei ha fatto - al di fuori dell'ordine del giorno - riferimento, le ricordo che questa è l'audizione del consiglio di amministrazione della RAI e non l'audizione del presidente della Commissione di vigilanza. Avremo modo di parlare di queste vicende anche in futuro.
PIERGIORGIO BERGONZI. Il moderatore è stato lei, presidente!
PRESIDENTE. Rivendico il diritto-dovere di riferire al vertice della RAI e alla Commissione le cose che sono accadute in questo periodo. Se avessimo evitato ulteriori polemiche, probabilmente sarebbe finita già l'esposizione da parte del presidente della RAI.
Ci sono ancora richieste di intervento sull'ordine dei lavori e prego gli uffici di prenderne nota. Darò la parola ad un oratore per gruppo, come prescrivono i regolamenti più volte richiamati.
DIEGO MASI. Non ho ascoltato la sua introduzione, presidente, e quindi non posso intervenire sul merito di essa. Credo che la sua presidenza - rispondendo al senatore Bergonzi - non sia frutto di nessuna logica spartitoria, ma soltanto della volontà da parte della maggioranza di attribuire all'opposizione le Commissioni di vigilanza e di controllo, sulla base del principio della creazione, a frammenti, di uno statuto dell'opposizione, che dovremo prima o dopo costituzionalizzare.
Sul merito, credo sia necessario - perché questo mi sembra lo scopo della Commissione ed anche perché non le conosciamo - conoscere le linee generali del piano editoriale della RAI. Quindi, sono contrario a sospendere la seduta mentre sono favorevole a proseguire l'audizione prevista, il che mi sembra doveroso anche nei confronti dei nostri ospiti.
GIUSEPPE GIULIETTI. In riferimento alla battuta dell'onorevole Landolfi, chiederei di valutare con attenzione la proposta del senatore Falomi. Essa non rappresenta un elemento di intimidazione, ma contribuisce ad iniziare nel migliore dei modi. Sono convinto del ruolo della Commissione di vigilanza e che essa non vada "impallata", per dirla in modo volgare, cioè che non vadano costruite le condizioni per renderla una Commissione inutile. Ne sono convinto qualunque sia il presidente e quindi credo si ponga il problema di farla funzionare nel migliore dei modi. Pertanto, non mi presto al giochetto: "A seconda del presidente, vediamo...". Credo che dobbiamo ragionare se serva, visto che sta per arrivare la nuova legge. Il modo migliore per affossarla è trasformarla ogni volta in una sede di schieramenti pro e contro, come in una trasmissione televisiva, che si rivolge all'esterno e non al suo interno (dico questo chiunque se ne renda protagonista e neanch'io sono esente da critiche da questo punto di vista). In altri termini, chiederei di stare attenti, perché il problema non è quello che va in onda attraverso la radio, che ci sta registrando, o domani in TV, ma esso riguarda il fatto se questa Commissione debba funzionare o meno. Se essa assumerà le caratteristiche del tribunale dell'inquisizione o se qualcuno pretenderà di interpretare persino le parole dei parlamentari, credo sia un errore che si rifletterà su tutti. Credo sia un errore che ora non può che portare ad un dibattito teso e, successivamente, ogni volta alla proposizione da parte nostra di una mozione di censura, per cui alcuni chiederanno di ascoltare in continuazione il presidente della RAI e altri Storace: mi pare una pagella! Invece, vorrei poter sentire il consiglio d'amministrazione ed esprimere le mie critiche liberamente, perché se la dialettica viene soffocata, ciascuno poi ricopre un ruolo predeterminato: chi attacca e chi difende, senza ragionare più del sistema, della funzione, anche degli errori possibili, con ogni gestione.
Ecco perché mi pare che quella proposta non sia un tentativo di interdire, ma che sostanzialmente essa voglia dire: "Vogliamo fermarci un secondo? Vogliamo vedere come gestirla? Vogliamo impedire che qualcuno dica: 'non ci sto, me ne vado'?". E' tutt'altro che un'intimidazione, volendo evitare che adesso venga avviato uno scontro furibondo, senza costruire nulla, senza ascoltare nulla. Questo era il senso della richiesta di sospensione, per raffreddare il clima e valutare serenamente come procedere. Poi, si può decidere che questo non interessa e allora si innesca un altro meccanismo, nell'ambito del quale ciascuno si assume le proprie responsabilità.
PRESIDENTE. Qual'è la sua proposta?
GIUSEPPE GIULIETTI. Di accogliere la richiesta di sospensione avanzata dal senatore Falomi, per svolgere l'audizione in un clima di grande serenità. Ciascuno dirà quel che crede. Non si tratta di rinviare o di non ascoltare: a me interessa che la Commissione di vigilanza svolga la sua funzione, non che tale funzione venga esaurita.
STELIO DE CAROLIS. Devo confessare di trovarmi in forte imbarazzo di fronte alla situazione che si è creata, soprattutto per il fatto che alcuni commissari - e chi vi parla è tra questi - hanno interesse a conoscere le linee del piano editoriale della RAI. Sono rammaricato, per esempio, che il presidente Storace, fra i tanti che si sono lamentati del modo di procedere del consiglio di amministrazione, non abbia citato anche alcune mie prese di posizione.
OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Non ha citato nemmeno le mie!
PRESIDENTE. Avrei dovuto parlare un'ora.
STELIO DE CAROLIS. Ero convinto - mi rivolgo al presidente della RAI - che prima di procedere alle nomine dei nuovi direttori di testata non dico che si sarebbe dovuto svolgere un confronto in Commissione di vigilanza (siamo, almeno per quanto mi riguarda, rispettosi delle decisioni autonome del consiglio di amministrazione), ma certo avremmo preferito conoscere sia l'operato degli amministratori che sono stati rimossi sia le conseguenze che avrebbero potuto derivarne.
Non sono d'accordo sulla sospensione: sono venuto qui per ascoltare il presidente della RAI e gradirei che questi si pronunciasse non sulle domande che ha rivolto il presidente Storace ma sulle linee del nuovo consiglio di amministrazione in merito al piano editoriale. Poi, nell'ufficio di presidenza ci chiariremo sul ruolo e sul comportamento del presidente della nostra Commissione.
RICCARDO DE CORATO. Ricordo a me stesso e a chi ha fatto parte di questa Commissione che non è previsto nessun esplicito divieto - lo dico al senatore Falomi - per il presidente di avviare le audizioni con una sua introduzione. In questo caso ha espresso uno stato di disagio che, come abbiamo visto, non è stato nemmeno rappresentato in tutte le sue articolazioni. I senatori De Carolis e Fumagalli hanno fatto presente che mancano diverse voci nella rappresentazione di questo stato di disagio. Veniamo da un lungo periodo in cui la vigilanza sulla RAI è stata - per tanti motivi e per responsabilità di tutti - in una situazione di immobilismo, per cui credo che non ci siano motivi per non proseguire con l'audizione; poi, alle 14, come ha proposto il presidente, si farà il punto della situazione.
Come è motivata la richiesta di sospensione? Su quale presupposto? Se ho capito bene, sul regolamento. Credo che il senatore Falomi fosse qui anche nella scorsa legislatura e ritengo che sappia come funziona la Commissione: basta leggere il suo regolamento. Vorrei capire su che cosa è basata quella richiesta. Dov'è scritto nel regolamento che non si possono avviare i lavori di questa Commissione con un'introduzione che - ripeto - esprime il disagio di diversi componenti? Quindi, credo che l'ufficio di presidenza possa fare chiarezza alle 14, così come potrebbe farlo alle 10: non cambia nulla. Credo che invece sarebbe utilissimo ascoltare i vertici della RAI, visto che è molto chiaro e preciso il senso di disagio espresso da alcuni commissari in relazione ai fatti ricordati dal presidente.
RINALDO BOSCO. Presidente, innanzitutto la ringrazio per aver riportato anche la mia istanza nella sua introduzione, tuttavia le faccio presente che ho anche altre domande da porre a questa presidenza della RAI ed al consiglio di amministrazione, perché molti sono i temi che dovranno essere affrontati in questa Commissione. Se il presidente della RAI affronterà il panorama degli argomenti che lei, presidente, ha illustrato e se successivamente potremo intervenire per completare il quadro, da parte nostra non vi sono obiezioni al proseguimento di questa audizione.
PAOLO ROMANI. Penso che il problema che viene posto sia di sostanza, ma che sostanzialmente attenga alla forma; anch'io avrei qualche motivo di riflessione rispetto alle cose dette dal presidente Storace. Comunque, non penso che oggi sia il momento di discutere la genesi della decisione assunta in ufficio di presidenza: l'intervento di Bergonzi mi è sembrato, francamente, tutto sommato fuori luogo.
Il problema di forma che viene posto è: quale tipo di ruolo - "personalizzato" o "non personalizzato" - può pretendete di avere il presidente di questa Commissione nel momento in cui fa un certo tipo di introduzione. Il dibattito su questo punto è già avvenuto in sede di ufficio di presidenza, nel momento in cui il presidente ci ha presentato il programma dei lavori della Commissione. Sul punto c'è già stato in ufficio di presidenza un ampio dibattito e non mi sembrava che alla fine le posizioni fossero così lontane.
Comunque, oggettivamente, esiste un problema di forma, presidente Storace: è consentito o no al presidente di questa Commissione di interpretare le posizioni politiche dei vari esponenti? Si tratta di un'analisi che è opportuno fare. E lo possiamo fare, correttamente, formalmente, all'interno dell'ufficio di presidenza, che è già convocato al termine di questa riunione. E' un problema che vogliamo esaminare anche perché inedita è la formazione che guida questa Commissione. E' la prima volta che accade che la minoranza gestisca due Commissioni di controllo. E' indubbio, presidente Storace, che la robustezza della sua posizione e della sua possanza fisica e politica - che la fa condurre in maniera un po' personalizzata i lavori della Commissione - può creare questo tipo di problema, che a nostro avviso va analizzato e approfondito nella sede istituzionale, che è l'ufficio di presidenza. Non penso che adesso sia utile una sospensione, non si capisce bene per quanto tempo e per discutere che cosa (tra l'altro non credo che la competenza sia dell'intera Commissione bensì dell'ufficio di presidenza). Si dia adesso a tutti i commissari la possibilità - mi pare che il presidente Storace non l'abbia negata - di intervenire liberamente nell'audizione del presidente, del direttore generale e del consiglio di amministrazione della RAI. Abbiamo già discusso tra di noi perché questa audizione si svolgesse oggi, sebbene il presidente ci avesse proposto un incontro venerdì scorso; si è voluto invece dare a tutti la possibilità di essere presenti, rinviandolo ad oggi. Il problema indubbiamente esiste e lo dimostra la rivolta dei commissari colpiti perché menzionati o non menzionati, perché bene o male interpretati. Lo possiamo tranquillamente affrontare nella sede più adatta, vale a dire nell'ambito dell'ufficio di presidenza. Si dia la possibilità di ascoltare il presidente e il consiglio d'amministrazione della RAI; alla fine dell'audizione - che è importante e che va svolta in fretta, perché siamo in ritardo - ci porremo questo problema. E' bene che lo si risolva all'inizio, perché altrimenti nei nostri lavori ci trascineremo questo contenzioso. Si chiarisca bene cosa significa avere un presidente rappresentante della minoranza. Riprendendo l'osservazione del senatore Servello, non penso che possa essere il notaio della Commissione. Comunque, interpreta un suo ruolo, che è autonomo e che non può non essere influenzato dalle proprie scelte e dalle proprie motivazioni politiche. D'altra parte, non avrebbe senso che lo fosse, perché non possiamo espropriare chicchessia della propria posizione politica.
Comunque, ritengo che il presidente abbia preso atto dei vari interventi: credo che in ufficio di presidenza potremo affrontare la questione.
PRESIDENTE. Senz'altro la approfondiremo in ufficio di presidenza. Proprio perché non posso gestire personalmente, devo dare la parola a tutti. Bisogna mettersi d'accordo anche sui rimproveri...!
GIANFRANCO NAPPI. Grazie!
PRESIDENTE. Mi sono state dette due cose, l'una il contrario dell'altra.
GIANCARLO LOMBARDI. Nell'intervento che ho svolto in ufficio di presidenza ho sottolineato l'aspetto collaborativo da dare al nostro rapporto con la RAI, cioè di indirizzo e non soltanto di critica. In effetti, sembra che ciò non sia avvenuto questa mattina. Questa presidenza è nata con difficoltà, sia all'interno della maggioranza sia all'interno della minoranza, portando via ben tre mesi di tempo che avremmo potuto spendere meglio. Pertanto, credo debba essere rimesso a posto il tono del nostro lavoro e della nostra collaborazione. Dubito che da sola la sospensione basti per ottenere questo, ma là dove si configurasse come un contributo ai nostri lavori, essa risulterebbe certamente positiva anche per l'importante audizione che ci apprestiamo a svolgere. Per questa ragione, siamo favorevoli alla sospensione.
MARCO FOLLINI. Presidente, non credo sia un mistero che non ho votato per la sua presidenza ed aggiungo che ho condiviso solo in parte la relazione con cui lei ha introdotto i lavori. Tuttavia, non credo si possa negare al presidente della Commissione la possibilità di introdurre il dibattito, di orientarlo, riuscendo ad interpretare (oppure no) le opinioni e le sensibilità della maggioranza della Commissione. Ritengo che questo faccia parte dei compiti e delle responsabilità di tutti i presidenti di Commissione ed anche dei Presidenti delle Assemblee. Ho presentato assieme ad altri colleghi un ordine del giorno in questo senso. Sono dell'opinione che dobbiamo attenerci all'ordine del giorno, che sia giusto procedere ad un'audizione di cui molte volte si è lamentato l'involontario ritardo e che i ragionamenti che stiamo facendo in queste sede debbano essere riservati ad una riflessione che potremo svolgere nell'ufficio di presidenza o magari anche in Commissione, ma in altre occasioni.
PRESIDENTE. Mi sembra che ci sia un orientamento maggioritario per proseguire i nostri lavori. L'onorevole Paissan mi ha chiesto la parola. Spero che sia l'ultimo intervento, perché altrimenti davvero blocchiamo i lavori della Commissione e vorrei evitarlo. Senatore Falomi, la prego di soprassedere alla sua richiesta.
MAURO PAISSAN. Concordo sui giudizi espressi da molti commissari riguardo alla scorrettezza dell'introduzione del presidente. Però, mi permetto di chiedere al collega Falomi di ritirare la sua richiesta di sospensione dei nostri lavori, sulla base di due motivazioni. La prima, forse banale ma che ha una sua consistenza, è un dovere di ospitalità nei confronti dei signori e delle signore della RAI che qui abbiamo convocato per un'audizione e che non mi pare giusto far attendere per un tempo prolungato. La seconda motivazione è più seria. In ufficio di presidenza abbiamo stabilito un ordine del giorno; il presidente ha citato gli interventi mio e del collega Servello, che hanno portato a definire, con il consenso unanime, un ordine del giorno consistente nella discussione sul piano editoriale, su quello che è stato definito lo stato dell'azienda e sui primi provvedimenti presi dal consiglio di amministrazione. Chiedo che la seduta prosegua, con l'intervento del presidente della RAI, sulla base di questo ordine del giorno, cioè di quello che all'unanimità l'ufficio di presidenza ha stabilito. L'ordine del giorno non è l'introduzione del presidente, ma quello che avevamo stabilito qualche giorno fa, cioè piano e orientamento editoriali, stato dell'azienda, primi provvedimenti di questo consiglio di amministrazione. A queste condizioni sono favorevole a che la seduta prosegua.
ANTONIO FALOMI. Siccome mi è stato rivolto un invito a ritirare la proposta di sospensione, vorrei chiarire ulteriormente il senso di quella proposta e poi concludere, rispondendo all'appello che mi è stato rivolto.
Il senso di quella proposta era quello di provocare un chiarimento sul modo di procedere dei nostri lavori. Credo che tale chiarimento, in questo primo dibattito, ci sia stato, perché molti commissari di diverso orientamento politico, della maggioranza e non solo, hanno espresso dubbi e riserve sul modo in cui si è proceduto in questa discussione. Quindi, un elemento di chiarimento, almeno su questo fatto, si è determinato. Nell'ufficio di presidenza non avevamo stabilito che la discussione fosse introdotta da una relazione del presidente, che avrebbe dovuto interpretare, a suo piacimento, il disagio dei membri di questa Commissione. Per carità, avremmo potuto deciderlo, ma, come è stato ricordato, ciò non è avvenuto. Essendo stato chiarito, a mio avviso, questo elemento, ritiro la mia richiesta di sospensione della seduta.
PRESIDENTE. La ringrazio. Do la parola al presidente della RAI.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Desidero innanzitutto rivolgere un saluto alla Commissione e al suo presidente, augurandomi un costruttivo lavoro in comune.
Non c'è - credetemi - ritualità in questa affermazione, al contrario: vi è la consapevolezza di quanto per la RAI sia fondamentale il sostegno del Parlamento per affrontare le sfide difficili che ha dinanzi a sé. La Commissione parlamentare di vigilanza è la sede istituzionale del rapporto tra Parlamento e RAI. Ed è dunque da questa Commissione che il consiglio di amministrazione si attende una costante e propositiva attenzione ai temi e alle prospettive di rinnovamento della missione del servizio pubblico e si aspetta un sostegno nel difficile processo di cambiamento che questo rinnovamento comporta.
La RAI, come tutti i servizi pubblici radiotelevisivi, deve operare in uno scenario della comunicazione in rapido, profondo, inevasibile mutamento. La diffusione delle tecnologie digitali, la convergenza multimediale con le telecomunicazioni digitali, la convergenza multimediale con le telecomunicazioni e l'informatica, la globalizzazione dei mercati delineano l'orizzonte di questo complesso mutamento.
E ancora: la dialettica tra mondializzazione e localismi nei circuiti culturali, i percorsi difficili e complessi di fuoriuscita dalla cultura di massa, propria di gran parte del novecento, il ruolo della comunicazione nello sviluppo economico e civile delle società post-industriali caricano di interrogativi e di responsabilità nuove l'identità e i compiti dei servizi pubblici.
La nuova legge di riforma del sistema della comunicazione delineerà il quadro più generale nel quale la RAI si troverà ad operare e, in tal contesto e in coerenza con gli obiettivi di sistema, definirà anche i contenuti di un riassetto del servizio pubblico.
La scorsa settimana, la Commissione lavori pubblici e comunicazioni del Senato ci ha chiamati ad una audizione nel corso della quale abbiamo potuto illustrare le valutazioni della RAI sul progetto di riforma. Voglio sottolineare che la RAI individua nella riforma del sistema della comunicazione una opportunità di ridefinizione della identità e della missione del servizio pubblico.
E' significativo che, nel momento forse più intenso di trasformazione del mondo della comunicazione su scala globale, il Parlamento europeo abbia ritenuto prioritario ribadire la funzione essenziale dei servizi pubblici, affermando che le risorse ad essi destinate non debbano essere equiparate a quelle delle televisioni commerciali nei meccanismi anti-trust; che queste risorse possano avere natura mista e, dunque, attingere anche al mercato pubblicitario; che ai servizi pubblici si debba consentire l'ingresso nei nuovi mercati della multimedialità. Il Parlamento europeo ha inoltre ribadito il ruolo dei servizi pubblici nell'avanzamento e nel sostegno all'innovazione tecnologica, dando in tal modo ad essi un forte radicamento nei processi di modernizzazione dell'Europa.
E ancora: dal Parlamento europeo - ma già lo aveva fatto la Camera dei Lord inglese - è venuto l'invito a definire quanto nella comunicazione rivesta primario interesse generale e, dunque, debba essere diffuso dalle televisioni in chiaro: è un invito a fare in modo che, ad esempio, alcuni eventi sportivi di massimo rilievo sociale o un avvenimento culturale di grande importanza non possano essere criptati e diffusi a pagamento. La comunicazione - è questo il significato di tale indicazione - deve essere elemento di coesione della società, già sottoposta alle tensioni culturali e sociali della globalizzazione, non di nuove lacerazioni o nuove marginalità.
So bene che ciascun sistema nazionale della comunicazione, anche in questa epoca di così pervasiva globalizzazione, deve essere letto e compreso alla luce della sua storia, del suo peculiare percorso evolutivo, del suo rapporto con la società a cui si rivolge e che lo esprime. E tuttavia non si può non vedere come dal Parlamento europeo arrivi una indicazione di natura generale, che sottolinea il ruolo dei servizi pubblici. E ciò - credo - proprio perché siamo in una fase di grande cambiamento.
Il sistema della comunicazione è troppo importante per il futuro economico, civile, culturale, e anche per la qualità della democrazia, perché non ci si debba porre il problema di come governare le trasformazioni impetuose che lo scuotono.
E' in questo tumultuoso quadro di cambiamenti strutturali che nuovi compiti e nuove responsabilità investono il servizio pubblico. La riprogettazione dell'identità del servizio pubblico, di cui la legge di riforma darà le linee generali, ma che richiederà anche un lungo e complesso lavoro di interazione con la cultura e la società italiane, non è compito cui ci si possa accingere con spirito di parte.
Anche per questo, l'attuale consiglio di amministrazione della RAI non vuole essere, e non si sente, espressione di una parte. Al contrario: ci presentiamo al Parlamento, che ci ha nominati attraverso i suoi Presidenti, per assumere l'impegno di lavorare in una prospettiva di interesse generale, ricercando - ciascuno nella propria sfera di responsabilità - un percorso comune con questa Commissione nella direzione della costruzione di un servizio pubblico rinnovato.
Questo consiglio di amministrazione è stato insediato il 10 luglio 1996. Il 15 luglio, secondo le prescrizioni di legge, ha provveduto a nominare il direttore generale; il 26 luglio ha completato gli assetti organizzativi della presidenza e della direzione generale anche attraverso la nomina dei vice direttori generali; il 6 agosto ha esaminato e approvato all'unanimità le linee editoriali dell'azienda; tra l'8 e il 13 agosto ha attuato la procedura di nomina dei direttori di rete e di testata e dei vicedirettori di rete; nella seduta del 4 settembre, inoltre, ha affrontato i problemi connessi ai disegni di legge Maccanico; infine, nella seduta del 19 settembre, ha approvato il documento di riorganizzazione del settore del coordinamento radiofonico.
Naturalmente, abbiamo nel frattempo affrontato le questioni urgenti che andavano dall'approvazione dei contratti relativi all'acquisizione di importanti "pacchetti" di diritti cinematografici e sportivi alla conferma della presenza RAI sui satelliti Eutelsat-Hot Bird 2.
Soprattutto, abbiamo impostato un piano di lavoro per affrontare i numerosi e complicati temi della gestione dell'azienda e della sua collocazione strategica nei nuovi scenari legislativi e di mercato. Primo fra tutti, ed anche il primo che affronteremo nella prossima seduta del consiglio, il tema del rilancio della produzione, come garanzia dell'autonomia culturale dell'azienda e come impulso alla rinascita di una industria cinematografica italiana competitiva a livello mondiale, la cui vitalità è non soltanto una esigenza economica e culturale, ma anche una condizione indispensabile per la creazione di una forte immagine dell'Italia, con ricadute positive a favore non solo della cultura ma anche delle imprese italiane.
Prima di procedere all'illustrazione dei criteri che hanno guidato questo consiglio di amministrazione nella elaborazione delle linee editoriali, ritengo doveroso e comunque opportuno fornire alla Commissione alcuni chiarimenti sulla procedura da noi seguita, nel rispetto - riteniamo - delle prescrizioni normative contenute nelle leggi n. 206 del 1993 e n. 103 del 1975 e della prassi finora seguita.
Questo consiglio ritiene che la costruzione del piano editoriale rappresenti un processo che parte dalle indicazioni dell'editore (nel nostro caso formulate dal consiglio di amministrazione, su proposta del direttore generale) e coinvolge poi dialetticamente i direttori di rete e di testata, i quali non possono essere esclusi dalla fase di elaborazione, essendo essi chiamati, per legge e per contratto, ad attuarlo. Naturalmente, nella costruzione delle linee editoriali il consiglio di amministrazione (e il direttore generale in fase di proposta) si sono attenuti ai principi costituzionali, alle norme di legge che disciplinano l'attività del servizio pubblico e agli indirizzi già espressi dalla Commissione parlamentare di vigilanza.
Le "linee editoriali" contenute nel documento che vi è stato consegnato costituiscono dunque la struttura di base del processo di formazione del piano editoriale, la parte cioè che definisce la politica editoriale della RAI e le missioni affidate, in un determinato contesto organizzativo, alle singole reti e testate. Si tratta, in sostanza, di un progetto fondante, sulla base del quale il consiglio di amministrazione ha operato la scelta degli uomini più adatti all'attuazione delle specifiche missioni editoriali in esso delineate, professionisti che sono stati chiamati a condividerle per poi contribuire alla redazione dei singoli piani operativi.
Sarà l'insieme di questi piani, unificati dal direttore generale e dal consiglio di amministrazione alla luce delle "linee editoriali" e armonizzati in relazione alle esigenze economico-finanziarie e di coordinamento unitario dell'offerta, a costituire il perno editoriale complessivo, base per l'attività operativa dell'azienda, e sull'avanzamento del quale potrà esercitarsi il potere di indirizzo generale e di vigilanza di questa Commissione.
Da qualche parte è stato rilevato che la Commissione, nell'attuale composizione, non ha ancora approvato indirizzi. La RAI si è posta questo problema, nella massima considerazione dei riflessi istituzionali e politici della questione; e la scelta che è prevalsa in noi - di fronte alla opportunità, riscontrata nell'esercizio del potere-dovere che ci compete, di dare deciso impulso e rapido rilancio alla linea editoriale - è stata quella di procedere sulla base degli indirizzi esistenti; essendo pronti naturalmente, in presenza di nuovi indirizzi, a tenere questi ultimi nell'adeguata e doverosa considerazione. Ricordo a questo proposito che l'articolo 2, comma 5, della legge n. 206 del 1993 afferma che "il Consiglio, oltre ad essere organo di amministrazione della società, svolge anche funzioni di controllo e di garanzia circa il corretto adempimento della finalità e degli obblighi di servizio pubblico radiotelevisivo".
Nel valutare la decisione di questo Consiglio di amministrazione di procedere - sulla base degli esistenti indirizzi parlamentari e di linee editoriali approvate all'unanimità - alle nomine dei direttori di rete e testata, va considerato che alla fine di luglio la situazione delle reti e testate della RAI presentava gravi elementi di precarietà: il direttore del principale telegiornale e quello di tutta l'informazione radiofonica ricoprivano l'incarico ad interim, mentre il direttore della prima rete televisiva - la "rete ammiraglia" - aveva raggiunto, proprio nel mese di luglio, i limiti di età posti ai dirigenti aziendali. Erano inoltre vacanti strutture fondamentali per il funzionamento dell'azienda come la direzione coordinamento palinsesti TV (il cui responsabile era stato eletto direttore generale), la direzione finanziaria e la direzione diffusione e trasmissione.
D'altra parte, era generale convinzione, all'interno ed all'esterno dell'azienda, che i criteri di impostazione della programmazione che avevano caratterizzato le ultime due stagioni, pur avendo contribuito, con il generoso apporto di tanti professionisti, alla vittoriosa difesa dell'audience della RAI, andassero rivisti sotto il profilo della qualità e del rinnovamento creativo. Infine, ci trovavamo alla vigilia di una nuova stagione televisiva caratterizzata, oltre che dalla consueta, forte concorrenza di Mediaset, anche dall'esordio organizzato di un nuovo gruppo televisivo, quello Cecchi Gori, che potrà contare sul concorso di due reti televisive - TMC e TMC2-Videomusic.
Il convergere di tutti questi elementi ha reso così ineludibile per il consiglio di amministrazione l'assunzione di una responsabilità di tutela e di rilancio dell'azienda, che sta a fondamento stesso della sua nomina e che esso ha assolto nel massimo rispetto del ruolo di questa Commissione.
Il criterio con il quale ci siamo mossi nelle nomine è stato esclusivamente quello della professionalità, valorizzando le risorse interne e ricorrendo a quelle esterne in funzione di un preciso disegno di innovazione del prodotto. Abbiamo agito pienamente consapevoli del fatto che la natura del servizio pubblico e la derivazione dei suoi amministratori dai vertici dal Parlamento imponevano l'obbligo della più vasta rappresentatività e l'impegno di assicurare la più rigorosa imparzialità della programmazione. Imparzialità non significa tuttavia annullamento delle differenze di culture e di punti di vista di coloro che abbiamo individuato come garanti della nuova linea editoriale; significa scrupolo, lealtà e completezza nel rappresentare i problemi e la realtà dell'Italia, del mondo, delle loro trasformazioni.
Lasciatemi esprimere, a questo punto, una considerazione su un aspetto rilevante della nuova politica editoriale: quello relativo all'informazione politica. Credo che, con maggiori o minori responsabilità, carta stampata e televisioni abbiano alimentato una tendenza alla spettacolarizzazione dell'informazione politica, maggiormente attenta ad inseguire e a "mettere in scena" una rappresentazione esteriore e frammentata dei problemi ed una personalizzazione esasperata delle vicende, piuttosto che ad affrontare in modo approfondito, serio e senza pregiudizi i grandi temi del paese. Naturalmente questo compito è in primo luogo e soprattutto responsabilità dei direttori, nell'autonomia che loro compete e che è nostro dovere garantire.
Per la verità, vorrei rivendicare al servizio pubblico momenti alti di approfondimento: gli interventi delle reti e dei telegiornali RAI durante la recente campagna elettorale rappresentano a mio parere uno dei più importanti esempi di una corretta ed approfondita informazione in una cruciale contingenza politica. E vorrei ricordare che quella informazione politica fu realizzata dalla RAI proprio su sollecitazione della Commissione parlamentare di vigilanza e contro il parere di una direzione aziendale che propendeva invece per un intervento di tipo minimale.
Ricordo questo non per sottovalutare la necessità di un ripensamento anche dell'informazione politica - così come di quella giudiziaria - della RAI, ma per sottolineare che l'azienda ha al suo interno le capacità creative, l'intelligenza e la sensibilità necessarie al rinnovamento dell'informazione. Sono convinto che le scelte professionali che abbiamo effettuato diano la garanzia che questo rinnovamento sarà realizzato con una stretta adesione ai doveri peculiari di un servizio pubblico.
D'altra parte, i primi risultati che provengono dai telegiornali sembrano confermare la bontà delle scelte da noi compiute, non soltanto e non tanto in termini di audience - che pure ci sono ma che vanno verificati su archi temporali più ampi - quanto in termini di autorevolezza. Si è accentuato infatti il fenomeno della preferenza per l'informazione del servizio pubblico nei momenti nei quali i cittadini avvertono l'importanza o la drammaticità di taluni fatti della cronaca o della politica.
Le nuove linee editoriali della RAI, approvate dal consiglio di amministrazione lo scorso 6 agosto, assumono come priorità la riqualificazione dell'offerta, attraverso la valorizzazione degli specifici compiti e missioni che devono caratterizzare il servizio pubblico e mediante il perseguimento di una strategia della qualità che dovrà marcarne la sostanziale differenza rispetto alla televisione commerciale. Siamo infatti convinti che un grande soggetto della comunicazione, quale è la RAI, possa mantenere ed anzi rafforzare la propria capacità di acquisire il consenso del pubblico accentuando la propria identità e la propria specificità, non più inseguendo l'offerta commerciale ma proponendo la propria diversità qualitativa come valore condiviso di massa.
Soprattutto negli ultimi anni, questa diversità si è attenuata. Una certa "stanchezza" ideativa e una diffusa ripetitività hanno caratterizzato l'intera televisione italiana e, in un processo di omologazione per alcuni aspetti assai profondo, anche l'offerta del servizio pubblico. La RAI ha però le risorse intellettuali e professionali per invertire questa tendenza ed anzi avviare una stagione di creatività, di innovazione e di sperimentazione. La RAI ha insomma dentro di sé le risorse di cultura e di managerialità con le quali progettare nuove esperienze di grande televisione e rilanciare la radio.
Consapevoli di questo, abbiamo perciò dato grande spazio nelle nostre linee editoriali alla ricerca e alla sperimentazione di nuovi linguaggi, nuovi prodotti, nuovi percorsi culturali. E' questa, tra l'altro, la condizione affinché si possa cominciare a dare risposta ai bisogni di cultura, di informazione, di intrattenimento, di socializzazione critica, di autoformazione, che la televisione e la radio oggi non soddisfano.
La qualità, che va migliorata anche attraverso l'adozione di tutte le nuove e sofisticate tecnologie digitali, potrebbe rappresentare anche l'arma vincente per allargare il migliore consumo della radio e della televisione. La strategia editoriale e produttiva che si conforma a questo obiettivo è quella della specializzazione e articolazione dell'offerta. Delineiamo così l'obiettivo di un nuovo modello editoriale che specializzi verso l'alto tutti i generi radiotelevisivi; che investa con coraggio e lungimiranza nell'area film-fiction; che sposti il rapporto produzione-acquisti a vantaggio della produzione; che valorizzi la "memoria" rappresentata dai nostri archivi audiovisivi; che garantisca la presenza contemporanea nel servizio pubblico delle offerte generalista, tematica e locale attraverso soluzioni in linea con lo sviluppo tecnologico e con la convergenza multimediale.
La progettazione della riconversione dell'offerta in questo momento non può non scontare il fatto che ancora non è stata approvata la riforma di sistema. Così, noi giudichiamo necessaria una futura articolazione dell'offerta in canali generalisti, canali tematici, offerta locale e multimedialità. Una progettazione più precisa potrà aversi però solo allorché potremo conoscere ciò che la legge stabilirà per quanto riguarda la cosiddetta rete federata e le condizioni di accesso ai canali tematici e alla multimedialità.
Voglio però sottolineare che la RAI vede, nella territorializzazione di parte della propria offerta, una necessità imposta da un sistema della comunicazione e della cultura che sempre più si struttura nella polarità tra globale e locale.
Siamo, in altre parole, in presenza di una esigenza di innovazione del prodotto che si presenterebbe comunque, anche se il Parlamento - per ipotesi - lasciasse cadere il progetto di "rete federata". Oggi, parte importante dei circuiti culturali del paese ha dimensione locale, coerentemente con un movimento di riorganizzazione della società civile e del sistema produttivo che ricercano nella città o nel distretto industriale solidarietà e sinergie. Questa dimensione locale deve crescere, deve imparare a competere su scala globale, deve pensarsi come elemento di ricostruzione - su basi nuove - dell'unità e dell'identità del paese. La comunicazione e la cultura, e dunque il servizio pubblico, hanno un ruolo importante da svolgere in questo senso. Mi auguro, d'altra parte, che la legge colga il rapporto strettissimo che esiste tra innovazione del prodotto e accesso alle reti distributive dell'età digitale.
La RAI deve poter essere presente sul cavo, sul satellite, in ogni altra rete che le tecnologie digitali renderanno possibile, non solo come content provider ma anche come service provider, perché è attraverso questa presenza diversificata che si potrà dispiegare una strategia di innovazione del prodotto e si potranno rimodulare i compiti e la missione del servizio pubblico, rilanciandoli nel nuovo scenario della comunicazione.
Le nuove linee editoriali si concretizzeranno anche in un nuovo modello organizzativo-produttivo. La politica editoriale di allargamento e specializzazione dell'offerta richiede innanzitutto una forte attenzione al ruolo e all'identità dei canali, sia generalisti che tematici. Il canale è ciò che rende visibile e coerente una linea di offerta: è il "marchio" che si posiziona con una forte riconoscibilità nel quadro complessivo dell'offerta.
Abbiamo perciò ritenuto necessario superare una situazione nella quale troppi soggetti avevano responsabilità editoriali che insistevano in uno stesso canale. Pensiamo dunque ad un modello "a tendere" nel quale il direttore di canale sia il responsabile della linea editoriale, mentre aree tematiche (strutturate per "generi") detengano il compito di produrre e approntare i programmi. I canali agiranno dunque come committenti di aree produttive che potranno specializzarsi in funzione del mercato.
Mi pare che in questo modello vi sia in embrione una fondamentale innovazione: le aree tematiche, chiamate a produrre in funzione dei canali generalisti e di quelli tematici, potranno acquisire progressivamente una strategia fondata su prodotti indirizzati ad una pluralità di canali distributivi, anche indipendentemente dalle esigenze dei palinsesti. Abbiamo, insomma, messo il prodotto al centro della nostra politica editoriale.
Nell'immediato, la ricerca di una forte connotazione di identità dei diversi canali si traduce in indirizzi editoriali per le tre reti televisive, così come esse si presentano nell'attuale quadro normativo. Tra gli elementi caratterizzanti la prima rete, resteranno punti di riferimento la grande fiction, il talk show, i film di forte visibilità, i contenitori con offerte di servizio, i grandi avvenimenti ed eventi (sportivi e non), l'informazione, i programmi per bambini e giovani, l'intrattenimento: macrogeneri tipici di un canale orientato alle famiglie, che innova, attento a conservare un impatto culturale di massa.
In questo contesto, il TG1 si qualificherà per un linguaggio e un profilo editoriale capaci di rivolgersi ad una vastissima platea, senza per questo indulgere ad una banalizzazione dell'informazione o all'uso prevaricante delle cosiddette soft news.
La seconda rete dovrà invece interpretare le tendenze future, le domande dei giovani, il "nuovo" sociale e culturale. Dovrà perciò puntare maggiormente sulla sperimentazione dei linguaggi, sui nuovi generi di fiction, sugli approfondimenti non tradizionali anche in prima serata, sullo spettacolo "alto", sul rapporto con le istituzioni. La sua programmazione dovrà mirare ai giovani, alle donne, alle classi emergenti, ma anche alle fasce deboli. Il TG2 dovrà dedicare particolare attenzione alle trasformazioni sociali e culturali del Paese, dare una lettura imparziale, non scontata, vivace del Paese e dei suoi mutamenti.
Particolarmente impegnativo è il problema della diversificazione editoriale della terza rete, riferita per il momento al quadro normativo esistente. Il recupero e la valorizzazione di una nuova dimensione territoriale costringe a ripensare ex novo la sua missione e la sua offerta. Si dovrà comunque dare largo spazio alla ricerca sui bisogni emergenti, sull'evoluzione degli stili di vita, delle sensibilità culturali, dei comportamenti individuali e collettivi; e, dunque, si dovrà accrescere la specificità di un rapporto con la cronaca e con la realtà, innovare le formule dei programmi di satira, non fare ricorso in prima serata, ad esclusione del periodo estivo, a film e telefilm.
Il TG3 dovrà anch'esso profondamente innovarsi, mentre dovrà essere cercata una politica di rilancio dell'informazione della TGR che registra, nel complesso dell'ultima gestione, un sensibile abbassamento dell'ascolto e forti disomogeneità nel rapporto stabilito tra il pubblico delle diverse regioni.
A fondamento della politica di caratterizzazione dei canali, c'è, tra l'altro, l'obiettivo di un più equilibrato risultato d'ascolto. Nel 1995, la RAI ha infatti ottenuto un ascolto del 49 per cento in prima serata e di quasi il 48 per cento nell'intera giornata, consolidando la propria posizione di primato. Ma questo risultato - al di là delle considerazioni qualitative sull'offerta - è stato ottenuto soprattutto grazie al rafforzamento di RAIUNO, a fronte di un lieve calo delle altre due reti. In futuro la RAI, pur ritenendo ancor utile puntare su una rete leader, dovrà tendere a riequilibrare questo dato con una crescita di tutti i canali.
Uno spazio particolare, all'interno delle linee editoriali approvate dal consiglio, è stato dedicato alla radio. Nell'ultimo triennio, la quota di ascolto di Radio RAI è calata dal 27,3 a poco più del 20 per cento. Occorre una strategia "d'urto", di rilancio e di riqualificazione. Questo spiega l'urgenza con la quale abbiamo affrontato la riorganizzazione del settore radiofonico. Specializzeremo l'offerta, con una rete prevalentemente informativa anche se non esclusivamente all news, una rete di musica e intrattenimento, una rete dedicata all'offerta qualitativamente più "alta". Inoltre, dallo sviluppo delle reti attuali prefigureremo futuri canali tematici a grande identità di prodotto.
Riprogetteremo e svilupperemo Isoradio e sperimenteremo, nel nuovo scenario digitale, le possibilità di un rilancio della filodiffusione. La rete parlamentare, indicata dalla legge di riforma, potrà diventare una vera e propria agenzia dei lavori parlamentari. Soprattutto, ci impegneremo a far sì che la radio diventi parte di un processo di innovazione tecnologica del paese. Svilupperemo pertanto, per quanto ci sarà reso possibile dal quadro normativo e dalla disponibilità di frequenze, il piano di digitalizzazione della diffusione radiofonica e ci impegneremo perché l'introduzione della radio digitale sia occasione di ripresa produttiva per l'industria italiana dell'elettronica civile.
Ricordavo all'inizio che la RAI si attende legittimamente da questa Commissione indicazioni per il proprio rinnovamento e sostegno per affrontare una fase difficile di cambiamento e, insieme, di sviluppo. Da parte nostra, ciò significa porre con franchezza alla Commissione e, per il tramite di essa, all'intero Parlamento le grandi questioni strategiche del servizio pubblico. Sappiamo come sia facile che sulla RAI si rovescino numerose polemiche contingenti, alcune volte giuste, altre volte alimentate a ripetizione da quella peculiare concentrazione di interessi industriali, politici, culturali e di mondi professionali che si realizza attorno al servizio pubblico.
E' però interesse di tutti, per affrontare le grandi questioni di prospettiva, saper dare giusta dimensione e collocazione ai tanti conflitti che strutturalmente si generano attorno alla più grande impresa italiana di informazione, di cultura e di intrattenimento.
Vorremmo che il dialogo con questa Commissione avvenisse dunque sul difficile e impegnativo terreno della percezione dei mutamenti in corso nella società; sul terreno della creazione di forme di comunicazione e di strutture di offerta in grado di soddisfare in modo differenziato la crescente complessità della società; su quello, infine, dei percorsi di maturazione di una cultura che, comprendendo ed esprimendo le diversità, dia alla società italiana coesione e proiezione verso il futuro, facendo emergere valori unificanti senza i quali né la dimensione locale né quella globale possono positivamente affermarsi.
Esplorare le forme nuove della cultura e della comunicazione significa affrontare questo orizzonte tematico e assumersi la responsabilità di un processo creativo che investa non solo il sistema della comunicazione ma l'insieme della società italiana.
Vorremmo, lasciatemelo dire, pensare e progettare assieme. E' questa la sostanza dell'impegno che la RAI porta a questo Commissione: un impegno di positiva collaborazione nella costruzione di una visione del futuro che sappia tradurre in progetti e strategie concreti la missione che il Parlamento ci affiderà. Vi ringrazio per l'attenzione.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente della RAI per l'ampia relazione sulle prospettive del servizio pubblico, relazione che personalmente considero soddisfacente.
Passiamo ora alle domande dei colleghi. Poiché la prassi seguita con riferimento a questa fase della discussione si è affermata nel senso di prevedere l'intervento di un primo gruppo di tre commissari, la relativa replica degli auditi e la successiva proposizione di domande da parte di altri tre colleghi, in questo modo procederemo anche oggi. I primi tre colleghi iscritti a parlare sono l'onorevole Paissan, il senatore Servello e l'onorevole Follini.
MAURO PAISSAN. Chiedo preventivamente scusa ai colleghi della Commissione ed ai rappresentanti della RAI perché, dopo l'intervento, dovrò assentarmi per il tempo necessario a partecipare alla Conferenza dei capigruppo, che il Presidente Violante ha convocato per le 12. Comunque, mi avvarrò del resoconto stenografico per conoscere le eventuali risposte ai miei quesiti, anche se penso di poter tornare subito dopo.
Per celerità, procederò per punti, non senza aver prima dichiarato di aver apprezzato la volontà di dialogo con questa Commissione e con il Parlamento espressa dal presidente Siciliano.
La mia prima osservazione riguarda l'assenza, nella relazione del presidente, di osservazioni sulle condizioni economico-finanziarie dell'azienda. Il Parlamento, la Commissione, in questi ultimi anni hanno vissuto alla luce dell'alternanza tra grida di allarme e urla di soddisfazione sulle condizioni economiche dell'azienda. Perciò vorrei capire se, nel vostro primo contatto con i conti della RAI, vi sia apparso che, per il risanamento economico-finanziario di cui si è parlato negli ultimi tempi, sia sufficiente un aggiustamento contingente o se invece occorra un vero e proprio risanamento strutturale, per considerare con ottimismo il futuro dell'azienda stessa. Rivolgo questa domanda considerando le due ipotesi: quella che nulla cambi rispetto alla legislazione vigente, e cioè che la RAI proceda con l'attuale numero di reti e di testate e con i medesimi introiti (pubblicitari e da canone), e quella in cui dovessero essere approvate alcune modifiche legislative riguardanti la RAI. In questa seconda ipotesi vi chiedo quali dei provvedimenti ipotizzati siano tali da mettere in discussione l'equilibrio economico dell'azienda.
La seconda osservazione riguarda una consapevolezza, che noto essere molto diffusa tra le parti politiche, nella società e anche nel vostro documento riguardante le linee editoriali, che ho scorso, non avendo avuto ancora modo di leggerlo con attenzione: ma vi ho trovato un passaggio - richiamato anche dal presidente - sulla necessità di una forte differenziazione tra il soggetto pubblico e quello privato. Molti parlano di omologazione tra la RAI e la televisione commerciale; il presidente ha detto qualcosa in proposito, ma mantenendosi molto sul generico, e direi anche sul sociologico. Chiedo perciò a lui e al direttore generale di essere un po' più concreti ed esemplificativi a questo proposito. Vorrei sapere quali indicazioni, quali programmi, quali piani e quali provvedimenti si intendano adottare per motivare la natura pubblica della RAI e per giustificare il pagamento del canone da parte di tutti i cittadini. Il cittadino ha diritto ad avere un servizio di informazione, di cultura, di intrattenimento e di trasmissione di servizi sociali: cosa intendete innovare su questo fronte?
Il terzo tema riguarda l'informazione politica, di cui ha parlato, sia pur rapidamente, il presidente Siciliano. Si tratta di un tasto assai dolente, presidente, perché l'informazione politica della RAI spesso e volentieri è ridotta al teatrino dell'effimero, senza alcun legame con i problemi reali del paese e dei cittadini. Lei ha parlato di spettacolarizzazione della politica, ma secondo me è qualcosa di peggio. Le faccio un esempio che mi riguarda anche personalmente. E' capitato ai verdi, ed è capitato a me stesso ed al ministro dell'ambiente Ronchi, di aver l'onore dell'apertura dei telegiornali e dei giornali radio durante una polemica contingente con il ministro dei lavori pubblici Di Pietro. L'altro giorno, lo stesso ministro dell'ambiente Ronchi ha presentato in Consiglio dei ministri - che l'ha condiviso - un progetto di riforma, che definirei una sorta di rivoluzione, di tutta la gestione dei rifiuti (che, come lei sa, è una grande questione di tutte le società industriali). Ebbene, nessun telegiornale della sera ha dato una sia pur breve notizia di questo provvedimento. Da una parte, perciò, assistiamo all'apertura dei telegiornali dedicata ad una polemica, ad uno scontro dialettico; dall'altra, al silenzio assoluto su un aspetto che interessa tutti i cittadini.
Il TG3 dell'altro giorno, nell'edizione serale, non ha dedicato neanche un servizio all'iniziativa "puliamo il mondo" così lodevolmente sponsorizzata alla stessa RAI. Mi chiedo se questa è informazione, e se è informazione di servizio pubblico. In questo modo, infatti, i telegiornali finiscono per scimmiottare i quotidiani. Inoltre, rischiano di influenzare la qualità stessa della politica, perché se un uomo politico, un parlamentare, sa di poter andare in video dando del "pirla" ad un suo antagonista politico mentre, invece, è di fatto censurato se presenta una proposta politica seria e di qualità, è ovvio che sarà tentato di comportarsi di conseguenza, qualificando il suo modo di fare politica funzionalmente a quella che io ritengo una degenerazione dell'informazione politica. Penso che proprio qui il servizio pubblico debba qualificarsi, senza scimmiottare un'informazione politica che, ripeto, è il teatrino dell'effimero. Lei ha parlato di autonomia dei direttori: è doveroso richiamarla quando si fanno queste osservazioni, ma l'autonomia dei direttori non può prescindere dalle indicazioni dell'editore, che in questo caso è la RAI.
Un altro punto riguarda il cosiddetto pluralismo informativo, cioè il modo in cui l'informazione pubblica rappresenta le varie parti politiche. Non voglio fare esempi; mi limito solo a segnalare che c'è chi è scandalosamente sovraesposto e chi è scandalosamente ignorato o sottorappresentato dal servizio pubblico. Non voglio fare esempi un po' per carità di patria e un po' per carità di coalizione. Mi limito ad una proposta: la RAI ripristini immediatamente l'osservatorio sulle presenze politiche, un osservatorio che abbiamo attivato, concordemente con l'azienda, nel periodo elettorale; divenga un servizio costante e pubblico (poi lo sapremo valutare, spero, con intelligenza politica). Vorrei sapere dalla RAI se possa adottare questo provvedimento in modo autonomo o se sia necessario che la Commissione di vigilanza si esprima in proposito con una delibera formale (è ovvio che preferirei la prima soluzione).
Passo infine alle nomine di cui ha parlato il presidente. Considero le vostre decisioni estive una pagina nera che ha segnato in modo negativo il vostro esordio, e lo dico indipendentemente dal giudizio che do dei singoli professionisti che avete prescelto. E' stata una pagina nera almeno per due motivi. Innanzitutto, ritengo che non vi fosse alcun bisogno di rinnovare subito e per intero i vertici sia delle reti sia delle testate. In questo caso avete agito esattamente come il precedente consiglio di amministrazione, cioè legando le direzioni di rete e di testata ad una tornata elettorale, e questo lo ritengo davvero molto negativo. Inaccettabile è stato poi il metodo da voi seguito. Non è vero, presidente Siciliano, che avete agito solo sulla base di criteri di professionalità; non è vero, lo ripeto. Potevate agire, nello scegliere i direttori, in totale autonomia ed io avrei apprezzato questa scelta; oppure consultando tutti, per avere delle indicazioni o dei consigli. Invece avete ascoltato solo alcuni, cioè le forze politiche - e anche qualche postazione istituzionale - che avevano interesse e intenzione di lottizzare o di sostenere propri candidati. Avete trattato con i partiti del Polo, con tanto di emissari da loro designati, e con alcuni partiti dell'Ulivo, non con tutti. Poi vi è stato chi è rimasto soddisfatto, avendo avuto molto, e chi è rimasto insoddisfatto, avendo avuto poco; ma tutti hanno partecipato o tentato di partecipare al banchetto (che è la stessa cosa).
Non ho capito, presidente, e in questo caso anche direttore generale (perché in base alla legge spetta a quest'ultimo la proposta dei nomi per i direttori di rete e di testata), perché avete voluto gratificare forze come i verdi, rifondazione comunista, la lega nord e altre formazioni minori del privilegio di non aver partecipato in alcun modo a quella sorta di Porta Portese che si è svolta ad agosto sulle nomine. Per quanto ci riguarda, vi ringraziamo. Vi chiediamo soltanto se intendiate seguire lo stesso metodo anche per quanto riguarda i vicedirettori, i capi redattori e "giù giù per li rami". Questa è una curiosità che gradirei fosse soddisfatta. I colleghi dell'opposizione sono in gran parte lottizzatori rimasti insoddisfatti. A questi colleghi, che straparlano di RAI dell'Ulivo, dico che questa definizione è impropria ed è offensiva almeno per alcune delle forze dell'Ulivo. Se proprio volete usare una definizione, parlate di RAI del semi-Ulivo e del mini-Polo.
PRESIDENTE. Complimenti per la fantasia.
FRANCESCO SERVELLO. Innanzitutto desidero salutare il presidente e il consiglio di amministrazione della RAI nella mia qualità di rappresentante di alleanza nazionale in questa Commissione: molti auguri.
La relazione del presidente si può dividere in due o tre parti. Una (apertura e conclusione) è una vera e propria lettera di intenzioni, e non si può certamente dissentire dalle buone intenzioni qui espresse dal presidente Siciliano. Un'altra parte è una specie di ping pong che egli ha ritenuto di stabilire tra il consiglio di amministrazione, e quindi la RAI, e questa Commissione, facendo intendere che era dovere - come del resto è per legge - di questa Commissione esprimere i propri indirizzi e mettere il consiglio di amministrazione in condizione di regolarsi, per la parte necessaria, sulla base di tali indirizzi. Sicché argomenta: gli indirizzi non sono pervenuti, e noi abbiamo agito in stato di necessità. Rispetto a questa sorta di ping pong, contesto al presidente la sua analisi sull'itinerario che ha ritenuto di percorrere con le consultazioni, certamente opportune, necessarie, spesso doverose, ma che non tolgono nulla al dovere del consiglio di amministrazione di predisporre il piano editoriale che avrebbe dovuto trasmettere a questa Commissione, attraverso i Presidenti delle Camere, anche prima della sua ufficiale costituzione . L'avevo già detto in una mia dichiarazione dei primi di agosto. Presidente, la costituzione della Commissione avviene non soltanto con l'elezione del presidente e degli altri membri dell'ufficio di presidenza, ma innanzitutto con la designazione dei suoi membri, designazione che è stata fatta dai Presidenti delle Camere in tempi non sospetti. A quel punto non dovevate attendere l'elezione degli organi interni di questa Commissione, ma avevate il dovere di predisporre non tanto le linee del piano editoriale, che certamente saranno state utili all'inizio del vostro mandato, quanto il vero e proprio piano editoriale. Ma la realtà è che questo piano manca anche oggi, dopo che la presidenza della Commissione è stata eletta e i suoi organi sono funzionanti. Cosa dobbiamo attendere? Che lei realizzi, con il consiglio d'amministrazione e il direttore generale, tutte le belle cose che ha indicato nella lettera di intenzioni? Non ritiene che questo adempimento di legge sia particolarmente urgente e che almeno oggi avreste dovuto assumere un impegno al riguardo?
Voglio poi contestarle una cosa che mi ha fatto un po' sorridere. In base alla sua relazione sembra che tutto vada bene, madama la marchesa, che non sia successo quasi nulla di strano, di particolarmente significativo, come ha rilevato, peraltro con ben altra impostazione, il collega Paissan. Ma ciò che è accaduto nel mese di agosto è stato davanti agli occhi di tutti, sui giornali e in televisione. Perciò non possiamo accettare la sua relazione da questo punto di vista, perché è piuttosto frettolosa sulle nomine dei direttori di rete e di testata, che il consiglio di amministrazione ha compiuto nella settimana di ferragosto. Il collega Paissan ha polemizzato a questo proposito, tornando indietro nel tempo al precedente consiglio di amministrazione, ma io non credo che siano stati seguiti gli stessi metodi.
Presidente Siciliano, lei chiede un buon rapporto con questa Commissione, e noi le siamo grati; ma è necessario che tale rapporto sia bilaterale. Lei ha ricordato la spettacolarizzazione dell'informazione, ponendo un problema centrale per il ruolo del servizio pubblico. In questi giorni, anche in relazione allo scandalo in corso, questa forma di spettacolarizzazione ha posto in evidenza anomalie veramente eccessive. E' bastato che in qualche testimonianza, in qualche dichiarazione, vi fosse l'indicazione di qualche leader, per trasmetterle con grande evidenza sulle reti del servizio pubblico, senza che gli interessati fossero stati chiamati in causa come indagati né come semplici testimoni, determinando però nell'opinione pubblica la sensazione che qualche procedura fosse in corso. Devo rendere atto all'onorevole D'Alema di essere intervenuto con una certa durezza: lo ha fatto nei confronti dei giudici, ma secondo me era coinvolta anche l'informazione.
Nel soffermarsi su quanto è avvenuto, presidente, non ci ha spiegato quali fossero le necessità reali e quale lo stato d'urgenza che avrebbe obbligato il consiglio di amministrazione a destituire dal loro incarico direttori di lungo corso come Nuccio Fava del TG1 e Moretti del TG3. Inoltre non ci ha spiegato se non sarebbe stato il caso di esperire altre procedure, in modo da evitare gli scontri e le guerre di potere che si sono verificati all'interno e che sono emersi da dichiarazioni non solo dei protagonisti, o delle vittime, ma anche di altri soggetti dell'azienda, e non solo in ambito sindacale.
Mi rivolgo ora al direttore generale, che è stato presentato come un grande conoscitore dell'azienda, e di questo bisogna dargli atto. Con quali strumenti, con quali provvedimenti concreti - dato che la polemica interna a volte ha superato i limiti del buon costume - pensa di ricondurla in canali rispondenti alle esigenze di un'immagine rinnovata della RAI?
Ancora, chiedo all'azienda se si sia posta il problema di una ricognizione sulle risorse umane e professionali di cui dispone, compiendo una sorta di inventario del proprio patrimonio professionale disponibile e con quali mezzi e metodi si intenda procedere per il recupero e l'utilizzo di questo patrimonio. Ed ancora: quali strumenti di garanzia il consiglio di amministrazione dà al Parlamento sul pluralismo e sulla rappresentanza delle diverse opinioni e tendenze della realtà culturale del paese sia per le testate giornalistiche sia per i prodotti delle reti? In un periodo di transizione quasi drammatico come quello che stiamo vivendo, un'analisi di questo tipo di informazione e direi della formazione della volontà del cittadino penso costituisca un dovere prevalente rispetto a tutti gli altri del servizio pubblico.
Per quanto riguarda gli organigrammi ed i funzionigrammi delle reti e delle testate - esplicitamente mi riferisco alla nomina dei capi struttura, dei capi servizio, dei direttori delle sedi regionali, dei dirigenti di settore - chiedo se il direttore generale ed il consiglio di amministrazione ritengano se non proprio necessaria almeno possibile una scelta ispirata non alla logica dei partiti di maggioranza (perché questo è il principio che è prevalso in diverse scelte ai più alti livelli) ma a criteri che tengano nel giusto conto la professionalità, la capacità e l'autonomia di pensiero e di cultura di quanti, a diversi livelli nell'azienda, hanno la responsabilità del prodotto e della gestione.
In questa prospettiva torna prepotente la necessità di rimettere al centro della filosofia del governo aziendale la deontologia professionale, che è l'unica garanzia di obiettività nell'attività di informazione, ed il presupposto indispensabile per riqualificare il prodotto di intrattenimento e culturale che, ahimè, troppo spesso con giustificati motivi negli ultimi anni è stato stimato come "spazzatura".
Ritengo opportuno in questa sede sollevare un'altra grande questione di moralità se non proprio di buon gusto: la strumentalizzazione della televisione pubblica, il più importante mezzo di comunicazione di massa del paese, come mezzo personale di promozione politica. Ed è in questo senso che ho sollevato i casi Augias e Montesano: mi auguro che quest'ultimo rassegni le dimissioni da parlamentare europeo prima della messa in onda della fiction che lo vede protagonista.
A proposito di fiction vorrei sapere dal direttore e dal consiglio di amministrazione su quali opzioni produttive si muoveranno le scelte aziendali, quanto e come delle risorse finanziarie disponibili saranno investire sul prodotto nazionale, e con quali criteri l'azienda sceglierà i partner; in sostanza quali garanzie ci vengono date che l'azienda perseguirà una iniziativa che coinvolga il maggior numero di entità produttive in termini sia di impresa sia di realtà artistiche, e che invece la produzione di fiction non rimanga un colossale affare per pochi intimi, per una ristretta lobby di "cosiddetti produttori" di cui è espressione rappresentativa il signor Silva che questo consiglio ha pensato bene di nominare direttore proprio della macrostruttura preposta all'esercizio di questa attività.
Ma la televisione non è solo telegiornali, spot e fiction: la TV è anche un poderoso ed essenziale mezzo di intrattenimento e quindi di formazione per l'infanzia e per i giovani, due pubblici importanti verso i quali la RAI deve rivedere radicalmente la propria attività, riformulando una televisione di evasione meno consumistica, più riflessiva, un veicolo di comunicazione di grandi valori etici e sociali della nostra civiltà. Una televisione, dunque, che sia in grado di soddisfare realmente i più diversi bisogni di cultura e di intrattenimento, che sia in grado di dare una risposta positiva non solo al pubblico generalista ma anche ai pubblici minori: penso alla musica, alle arti visive, alla letteratura ed alle grandi inchieste. Ma di tutto questo, fin qui, da viale Mazzini sono venuti pochi segnali: l'unica preoccupazione, purtroppo, che abbiamo avvertito nei progetti e nei palinsesti dei nuovi direttori di rete è quella di fare grandi talk show, tutti sulla politica; dopodiché diventa legittimo chiedersi che senso abbia avere tre reti se tutte sono in gara tra di loro per fare le stesse cose, con le stesse persone, e sugli stessi argomenti, alla stessa ora.
Fare una buona programmazione (un buon palinsesto - come dicono gli esperti) è importante quanto fare buoni programmi. Quali sono i criteri che regolano i palinsesti delle tre reti RAI? Ci si è posto il problema di considerare la televisione pubblica in una logica di offerta unitaria così da permettere all'utente scelte alternative e non obbligarlo a subire un unico genere, spesso ispirato da un unico modello culturale?
Abbiamo manifestato la nostra opposizione alla decisione presa dal consiglio di amministrazione di staccare la struttura di produzione radiofonica dai centri di produzione televisiva. Tutta la radiofonia passa così sotto la direzione per il coordinamento della radiofonia, appunto, che fa capo al dottor Pietro Vecchione. Considerando che il dottor Vecchione è anche il capo della segreteria del presidente, vi è da chiedersi a quali criteri di funzionalità, a parte considerazioni di stile e di opportunità, risponda una tale concentrazione di funzioni e di responsabilità. Questo, penso, non dovrebbe essere il nuovo stile del consiglio di amministrazione rinnovato, a meno che questa designazione non risponda a criteri di carattere politico, se non partitico.
MARCO FOLLINI. Vorrei fare due considerazioni e un esempio, che contiene anche una domanda. La prima considerazione, alla quale non mi posso e non voglio sottrarmi, anche perché riguarda il dibattito di questa mattina e anche una parte del dibattito che si è svolto fra le righe, concerne la legittimità e il criterio cui ci si è ispirati per le nomine di agosto. Sono stato tra coloro che hanno dichiarato pubblicamente che, in assenza di un preciso indirizzo da parte della Commissione parlamentare di vigilanza, era del tutto legittimo che il consiglio di amministrazione procedesse alle nomine. Per ciò che capisco e conosco della realtà aziendale, credo rientri non solo nelle regole del gioco ma anche nelle necessità di un'azienda che un nuovo gruppo dirigente dia la configurazione più ampia possibile al proprio mandato; riconosco che ciò avviene molte volte attraverso l'avvicendamento dei direttori di rete e di testata.
D'altra parte, non credo che la Commissione parlamentare possa essere intesa come un consiglio di amministrazione surrettizio; sarebbe stato un fatto largamente positivo se sul tema del piano editoriale si fosse svolto in anticipo un confronto tra il consiglio di amministrazione e la Commissione parlamentare, ma non so quanto ciò avrebbe spostato il baricentro delle nomine dell'agosto scorso.
Naturalmente, questa piena legittimità implica anche la piena libertà di giudizio da parte dei membri della Commissione. Nel merito, non ho molto da aggiungere rispetto a quanto ha osservato poco fa l'onorevole Paissan, peraltro con apprezzabile indipendenza di giudizio e con una libertà intellettuale che riconosco in quanto egli ha detto. Devo però dissentire dalle definizioni date dallo stesso onorevole Paissan, in quanto "semi-Ulivo" mi sembra una definizione un po' limitativa, mentre "mini-Polo" mi appare, al contrario, una definizione alquanto generosa: il Polo è mini come le migliori minigonne di Sharon Stone!
Non mi sembra che le nomine decise ad agosto facciano riferimento ad alcun tipo di equilibrio politico; prendiamo atto che la dirigenza della RAI ha proceduto lungo un certo solco, che mi sembra sia quello che avevano tracciato i presidenti delle Camere nominando l'attuale consiglio di amministrazione e chiamandolo a gestire le sorti della RAI per il prossimo biennio.
Mantengo peraltro le mie riserve ed il mio dissenso nei confronti del disegno generale che si evince dalle nomine decise. Non aggiungo molto, al riguardo, rispetto a quanto osservato dall'onorevole Paissan e credo che quella che si pone non sia soltanto una questione di parte bensì un problema di cui deve farsi carico chi ha a cuore le sorti della RAI, per cercare di far corrispondere l'azienda non tanto agli equilibri politici e parlamentari quanto piuttosto all'insieme delle correnti che si esprimono nella società, nella cultura, nel mondo della professione, che mi sembra siano rappresentate con qualche forzatura e disequilibrio nelle nomine deliberate.
Per quanto concerne la seconda considerazione che intendo svolgere, prendo spunto dalla relazione svolta poco fa dal presidente Siciliano: vi è una costante che attraversa tutti i gruppi dirigenti che si sono avvicendati alla guida della RAI negli ultimi 10-15 anni; essa riguarda la stretta connessione esistente, per l'azienda, tra le sue ragioni di impresa e quelle di servizio pubblico: dalla RAI dei partiti - se così si può dire - a quella dei professori, fino alla RAI dei manager e all'ultimo consiglio di amministrazione, si avverte lo sforzo costante di declinare insieme queste due ragioni; nello stesso tempo, emerge la consapevolezza che proprio questa scelta, da un lato, ha consentito alla RAI di tenere sul mercato e di conseguire successi crescenti in termini di ascolto e, dall'altro, è all'origine di una sorta di distorsione che tutti periodicamente lamentiamo riguardo alla progressiva omologazione del servizio pubblico all'emittenza commerciale. Ritengo che, dopo anni e anni in cui tutti diciamo le stesse cose, sia pure da punti di vista diversi, dobbiamo cominciare a chiederci se non si stia verificando una scissione seria tra le ragioni dell'impresa e quelle del servizio pubblico, nonché se questi due termini non comincino a dissociarsi, ponendo in prospettiva un problema serissimo con riferimento all'identità ed alle caratteristiche del servizio pubblico. Per usare una battuta, lo slogan che ha fatto la fortuna della RAI negli anni ottanta (di tutto, di più) non tiene: credo che oggi la RAI debba scegliere un'identità e che questo processo non sarà indolore. Ritengo altresì che si debba immaginare un'identità che, da un lato, rafforzi la stessa RAI e, dall'altro, tolga qualcosa all'azienda, intesa così com'è, proprio per renderla più forte e più sicura in ordine agli aspetti che presidiano la sua identità.
Nella relazione svolta oggi dal presidente della RAI ho colto un limite di tipo, per così dire, enciclopedico: mi riferisco alla vocazione, che comprendo e che è propria di tutti coloro i quali hanno avuto una responsabilità nella gestione dell'azienda, di tenere tutto insieme, di coniugare tutto, anche elementi tra loro contraddittori. Nello stesso tempo, ho la consapevolezza (la sottopongo alla dirigenza dell'azienda) che tale contraddizione stia giungendo ad un punto che, se non è quello di una drammatica esplosione, pone comunque seriamente alla dirigenza dell'azienda la necessità di scegliere.
Passando ad una terza considerazione, desidero soffermarmi su un aspetto che può apparire di dettaglio (ho preannunciato che avrei posto il problema questa mattina in sede di Commissione e mi sembra giusto sottolinearlo): mi riferisco al fatto che ieri sera il telegiornale ha dedicato 8, 10 o 12 minuti (non li ho contati, ma è stato un tempo pressoché interminabile) ad un'esternazione (definirla intervista mi sembrerebbe un eccesso di generosità) del ministro dei lavori pubblici. A memoria d'uomo non si ricorda nella storia della RAI, neppure ai tempi di Bernabei, un ministro che abbia avuto a disposizione, nell'ora di massimo ascolto, il principale telegiornale per un numero così ampio di minuti.
Ricordo di essere stato tra coloro i quali a suo tempo hanno contestato la concezione tipica della cultura politica radicale in base alla quale si elencavano doviziosamente i minuti concessi a questo o a quello traendone la conclusione che erano in atto discriminazioni e parzialità insopportabili. Anche se può sembrare un dettaglio, ho citato l'episodio di ieri sera perché in questa vicenda convergono due elementi che credo richiedano una riflessione da parte della Commissione e più ancora da parte della dirigenza dell'azienda: il primo riguarda il fatto che la televisione non può essere un pulpito, un megafono, tanto più se esso viene offerto al Governo, il quale ha infinite possibilità di comunicazione e, rispetto alle regole un po' strette della par condicio della campagna elettorale, gode di una condizione di favore che constatiamo tutti i giorni, la quale corrisponde anche al fatto che il Governo produce, per così dire, eventi e notizie, per cui richiama su di sé una doverosa attenzione. Si è sempre detto che la televisione deve perdere alcune delle sue caratteristiche istituzionali ed abbiamo ormai archiviato le lunghe file di ministri che tagliavano nastri tra folle plaudenti, ma ieri sera siamo riprecipitati in quel clima che - devo dirlo - non è affatto piacevole.
ANTONIO FALOMI. La questione si inseriva nel contesto della viceda Pacini Battaglia, in cui viene chiamato in causa Di Pietro...
MARCO FOLLINI. Confermo la mia opinione: non è mai accaduto che un ministro della Repubblica abbia avuto...
EMIDDIO NOVI. C'è di più: questa mattina la rassegna stampa del TG3 ha censurato Il Giornale ...
PRESIDENTE. Senatore Novi, lasci concludere l'onorevole Follini.
MARCO FOLLINI. Credo che neppure Fanfani ai tempi di Bernabei abbia mai avuto a disposizione 10-12 minuti nel telegiornale delle 20. Insisto quindi nella mia considerazione e ne aggiungo un'altra: abbiamo tutti una preoccupazione, che a tratti diventa quasi un'ossessione, in ordine ai rischi di deriva plebiscitaria ed al fatto che la televisione funzioni da moltiplicatore di tendenze che rappresentano un pericolo per il tessuto delle libertà del nostro paese. Si tratta di un problema serissimo, che non riguarda maggioranze o minoranze: ricordo a me stesso che quando il Presidente della Repubblica Cossiga (la cui carica era certamente al di sopra di quella del ministro dei lavori pubblici) cominciò ad esternare, si scatenò una bufera intorno all'azienda, al cui interno il consiglio di amministrazione affrontò per giorni e giorni il problema di come conciliare il dovere di informare in ordine ad aspetti che meritavano attenzione e rilievo con le logiche di un servizio pubblico che è tale in quanto pone limiti innanzitutto ai potenti.
Ho citato questo episodio perché lo considero, pur nei limiti di un dettaglio, un fatto su cui si concentra una serie di problematiche che accompagneranno piuttosto a lungo i lavori della nostra Commissione ed i suoi rapporti con questo consiglio di amministrazione.
PRESIDENTE. A questo punto, il presidente della RAI può rispondere alle prime domande che gli sono state rivolte.
RINALDO BOSCO. Siccome vi sono molti iscritti a parlare, se si dà la parola soltanto ai capigruppo...
PRESIDENTE. Questo non è affatto vero.
RINALDO BOSCO. Chiedo che si preveda un seguito dell'odierna audizione, in una data che potrà essere decisa al termine della seduta, in modo che tutti i colleghi possano porre le proprie domande.
PRESIDENTE. Pensavo di essere stato chiaro su questo aspetto, ma forse non lo sono stato: l'ufficio di presidenza convocato dopo la mia elezione - e non il presidente - ha stabilito che questa mattina alle 10 si tenesse l'audizione del consiglio di amministrazione della RAI. Si è altresì stabilito che oggi alle ore 14 si riunirà l'ufficio di presidenza allargato ai rappresentanti dei gruppi per decidere sul prosieguo dell'audizione, che sarà inevitabile, in quanto mi sembra ovvio che si debba assicurare a tutti i commissari il diritto di intervenire.
Il problema che si è posto in precedenza era legato alla necessità di dare spazio, nel primo giro di interventi, a tutti i gruppi.
Do ora la parola al presidente della RAI.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Devo dare qualche risposta al presidente, ma credo che, così facendo, risponderò in parte agli onorevoli Paissan e Servello. Per quanto riguarda le nomine, ritengo che la procedura che abbiamo seguito sia stata corretta e lo stesso onorevole Follini ne ha riconosciuto la necessità: un'azienda è un'azienda e non si poteva che andare avanti. Tuttavia, ho abbondantemente spiegato, e non con distrazione, ciò che abbiamo fatto nell'osservanza delle regole.
Quanto ai criteri di nomina, l'onorevole Servello ha toccato la questione nodale, ossia l'osservanza della deontologia professionale: ritengo che tutte le persone nominate abbiano un curriculum (per usare un termine proprio del linguaggio aziendale) ed una personalità tali da garantire in profondità la deontologia professionale e quindi un esercizio del loro lavoro secondo criteri indubbiamente in linea con quanto il Parlamento esige e con quanto la nostra stessa coscienza non può non richiedere a dei professionisti. Questa è la responsabilità dell'editore, che ha affidato alcune missioni ai propri editor. Ci siamo mossi secondo questa direttiva.
Si parla poi di mercato, di teatrino della politica che si rovescia nelle scelte e che si riflette al di fuori attraverso i teleschermi. Come mi sembra chiaro (lo dico anche al presidente, che mi pare abbia inteso, nelle sue parole, venire incontro ad un nostro bisogno oltre che ad una necessità), se avessimo tenuto presenti i criteri parcellizzanti delle proporzionali politiche, non saremmo mai venuti a capo di nulla; ma è chiaro che si tratta di un paradosso.
Ho affermato che, insieme al consiglio di amministrazione, mi sento garante di tutti perché abbiamo puntato sulla qualità deontologica delle persone. Lei stesso ha affermato che, quando una persona è professionalmente corretta, nel momento in cui obbedisce alla propria coscienza e alle proprie idee, garantisce un risultato di ordine culturale; questo è quanto deve fare la RAI, la quale non può agire diversamente.
FRANCESCO SERVELLO. Probabilmente anche coloro che sono stati rimossi rispondevano a questi requisiti.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Possono anche verificarsi necessità di correzione ed è la persona stessa che lavorando aggiusta il tiro. D'altra parte, un direttore di testata è responsabile e l'editore non può fare altro che attenersi a questo criterio, per la salvaguardia della libertà di espressione e di pensiero.
Quanto al fatto di regolarsi sui minutaggi, occorre tenere presente una considerazione concernente proprio la discrezionalità rispetto alla valenza ed al portato di una notizia, indubbiamente senza tenere conto di ciò che può accadere se un ministro appare in televisione per un certo numero di minuti. In quel caso, peraltro, si trattava di un ministro che appariva in una condizione molto particolare e probabilmente quella particolarità non riguardava il suo ruolo di ministro, in quanto mi sembra che egli rispondesse in ordine a fatti pregressi rispetto alla sua nomina, che stanno dietro la sua storia di uomo di Governo.
Il punto centrale per la RAI è quello di essere un'azienda culturale e sono perfettamente d'accordo con le sue preoccupazioni, onorevole Follini: l'essenza del servizio pubblico è qualcosa che, specialmente di fronte alle innovazioni tecnologiche, deve sentirsi in via di definizione continua, come un progetto. La motivazione del pubblico, di cui parlava l'onorevole Paissan, va inserita in quest'ordine di idee.
Si tratta di un problema che non può risolversi in quattro battute, nel senso che esiste una storia della RAI che si è mossa in una certa direzione ed ha avuto i suoi successi in particolari momenti della storia del paese, peraltro necessari per rendere la RAI la grande azienda che è e per dare al proprio pubblico, ossia all'intero paese, quel senso di lealtà, di fiducia che quest'azienda, nonostante tutto quanto si possa dire contro di essa, ha dato e continua a dare, come elemento di riconoscibilità.
Se vi è una missione di ordine culturale per quest'azienda, essa risiede nel fatto che d'ora in poi la RAI deve presentarsi in ogni momento come la testimonianza di ciò che il paese è stato, di ciò che è e di ciò che potrà essere. Si tratta di un compito difficile, arduo, che dovrà essere esaminato passo dopo passo da noi che lo poniamo in essere e da voi che lo osservate. Questo mi sembra essenziale per la vita dell'azienda, la quale ha di fronte a sé - l'ho detto e lo ripeto - un momento di inevitabile trasformazione, con tutto ciò che ne deriverà. Questo è il "di più" della RAI ed è evidente che si pone un problema relativamente al "tutto", come ha affermato l'onorevole Follini. Ma il "di più" riguarda qualcosa che è di fronte a noi come un progetto da realizzare ed a questa responsabilità abbiamo chiamato le persone alle quali abbiamo conferito incarichi di direzione di rete o di testata; l'abbiamo fatto con questa consapevolezza ed essi hanno accettato l'incarico con la stessa consapevolezza e su questo stanno lavorando.
Quanto alla radiofonia, vorrei essere molto preciso in ordine a tale questione che ha agitato l'opinione pubblica. Si è parlato, anche con una certa imprecisione e leggerezza - lasciatemelo dire - nonché con una foga polemica probabilmente non disinteressata, di scorporo, di azienda autonoma. Devo dire che non vi è nulla di più lontano dallo stato delle cose: la delibera adottata in proposito dal consiglio di amministrazione il 17 settembre scorso è un semplice ma significativo riordino - l'ho detto e lo ripeto - del comparto radiofonico, ossia una sua razionalizzazione. Di fronte ad un mercato in netta espansione, Radio RAI subisce anno dopo anno il dinamismo dell'emittenza privata, che sarebbe miope imputare soltanto al caos delle frequenze e all'obsolescenza della propria rete di diffusione.
Desidero sottolineare un dato già esposto nella mia relazione: la quota di ascolto di Radio RAI è calata in tre anni dal 27,3 per cento del totale a poco più del 20 per cento; aggiungo che nello stesso periodo la quota delle radio private è cresciuta del 6,5 per cento, attestandosi intorno al 54,7 per cento. D'altra parte, l'incremento degli investimenti pubblicitari conferma che la radio è sempre più un settore commerciale privilegiato nel circuito dei mass media. Per questo abbiamo cominciato a mettere un po' d'ordine: il coordinamento della radiofonia torna ad assumere le responsabilità delle risorse e degli strumenti che l'azienda mette a disposizione del servizio radiofonico, risorse e strumenti che finora erano in comune con la televisione, vi lascio immaginare con quanto profitto per la cosiddetta sorella povera. Questa è la motivazione di fondo che ci ha ispirato e per tale ragione ho parlato di razionalizzazione.
Tale correzione, che dovrebbe apparire naturale e ovvia all'occhio di chiunque sia dotato di buon senso, ha dato adito ad un allarme riferito ad un presunto scorporo, che in realtà tale non è. Insieme con le nomine dei nuovi direttori e vicedirettori, questo è un passo importante verso la concreta valorizzazione e l'aggiornamento operativo dell'intero servizio radiofonico, essenziale anche in vista dell'urgente allineamento agli standard tecnologici già raggiunti dalle radio pubbliche europee e perfino dai più agguerriti network privati italiani.
Quel che accade fuori dal nostro paese nel settore della radiofonia è importantissimo: se non avessimo proceduto ad una razionalizzazione dello stesso settore, di fronte a quanto si verifica all'estero, e se la radio italiana avesse continuato ad andare alla deriva nella direzione in cui si muoveva, tutto questo ci sarebbe stato imputato come una mancanza.
Vi prego di riflettere su questa necessità cui ci siamo trovati di fronte e sul fatto che il nostro non è stato un colpo di testa o un colpo di mano, come qualcuno ha affermato: sarebbe stato un colpo di mano verso che cosa?
PRESIDENTE. Si è lamentata l'assenza di un confronto preventivo con la Commissione su una decisione di carattere strategico. Questo è il dato principale emerso, al di là delle polemiche. Non pretendo di interpretare l'opinione della totalità dei colleghi, ma coloro che hanno usato quella espressione hanno lamentato - lo ripeto - l'assenza di un conforto preventivo con la Commissione su una decisione di carattere strategico che rientra tra gli indirizzi approvati dal Parlamento nel luglio del 1993.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Ci trovavamo comunque nella condizione di dover procedere (su questo aspetto sono d'accordo con l'onorevole Follini): le necessità di un'azienda sono quelle che potete immaginare, e questo vale soprattutto per un'azienda editoriale che produce cultura e informazione. Era nelle scadenze della vita aziendale il fatto di portare a compimento un progetto di questo tipo e spero che questo stesso progetto, avviato verso una soluzione in vista di un rafforzamento di Radio RAI, possa giustificare quanto abbiamo fatto.
Lascerei ora spazio al direttore generale, che è stato chiamato in causa su varie questioni, tra cui le condizioni economico-finanziarie dell'azienda. Su alcuni aspetti anche il dottor Mengozzi potrà dare risposte soddisfacenti, in particolare all'onorevole Paissan.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Risponderò soltanto in ordine alle questioni per le quali sono stato chiamato in causa, anche se sarei portato ad intervenire nella discussione.
Per quanto riguarda le nomine, tema in cui sono stato coinvolto direttamente (il direttore generale propone le nomine che sono poi approvate dal consiglio di amministrazione), ricordo che in quel periodo mi sono giunte moltissime segnalazioni: in alcuni casi si è trattato di autocandidature, molte delle quali le abbiamo apprese dai giornali; vi è stata una grande campagna per cui ci trovavamo ad avere molti direttori ai quali non pensavamo affatto. Si è trattato - come dicevo - di una grande campagna di autocandidature.
Inoltre, una serie di persone ha ritenuto di darci dei consigli, come per esempio Costanzo; ma di questo si è parlamento molto sui giornali.
FRANCESCO SERVELLO. Consigli per gli acquisti!
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Ci hanno telefonato anche responsabili di associazioni, chiedendoci di regolarci in un modo o nell'altro, e certamente anche esperti di comunicazione; abbiamo infatti constatato che, in ordine alla questione delle nomine, gran parte degli intellettuali sono intervenuti per darci una serie di consigli. Naturalmente, ci hanno telefonato anche politici, ma occorre tenere conto che c'eravamo anche noi: mi riferisco al fatto che quest'azienda ha nominato un direttore generale interno, il quale, pur avendo molti difetti, ha, almeno in teoria, una conoscenza delle risorse e delle professionalità dell'azienda che pochi altri possono vantare. Almeno teoricamente, il fatto che vi fosse un direttore generale con una grande conoscenza delle risorse di tipo professionale e intellettuale era un elemento di cui tenere conto. Basti pensare che delle quattro persone chiamate alle nomine editoriali, soltanto una non aveva mai avuto esperienze con la RAI, mentre le altre tre avevano già lavorato nell'azienda. Ciò significa che sostanzialmente le nomine hanno interessato un ambito di persone che avevano già vissuto grandi esperienze professionali con il mezzo televisivo.
Si tratta di un dato non secondario, nel senso che questa proposta è stata avanzata tenendo conto di quello che poteva essere un buon mix di legittimazione (è il discorso che faceva prima l'onorevole Follini): l'idea era sostanzialmente quella di scegliere persone che avessero acquisito una notevole professionalità, oltre ad aver dimostrato un grande equilibrio nelle posizioni politiche complessive; quelle stesse persone dovevano avere alcuni attributi tali da garantire garantire meglio, rispetto ad altri possibili candidati, alcuni tipi di risultato. Per esempio, nel caso dei direttori di rete, si è pensato a figure che rispetto al passato non avessero soltanto capacità produttive, ma anche grandi capacità di marketing strategico e culturale: si sono scelte quindi persone che si orientavano già verso un ruolo editoriale molto diverso rispetto alle caratteristiche professionali dei precedenti direttori delle reti.
Mettendo insieme questi elementi, è scaturito un tipo di proposta che in realtà rappresentava una buona scommessa per raggiungere una legittimazione che fosse contemporaneamente di mercato (le persone scelte lo stanno già dimostrando nel poco tempo trascorso dopo la loro nomina) e di servizio pubblico: mi riferisco alla garanzia delle diverse posizioni, del pluralismo e così via.
Questo è stato il criterio seguito, che però a questo punto va ripreso perché si mette in discussione il discorso di fondo, che è la legittimità di tutto questo: occorre cioè verificare se sia vero che oggi occorre procedere in una direzione per cui il servizio pubblico deve continuare a cercare una legittimazione di mercato. Si tratta di un problema molto serio che dovremo affrontare.
Vorrei comunque farvi comprendere che dietro queste scelte vi sono stati vari elementi: non si è trattato solo di aneddotica, in quanto vi è stata anche un'idea complessiva di come si possano garantire determinati obiettivi.
Il fatto poi che queste persone, almeno nel merito, non siano state messe in discussione quasi da nessuno rappresenta anche un giudizio indiretto sull'intera operazione.
Affrontando ora il discorso dell'informazione, ricordo che l'onorevole Paissan faceva riferimento a tre ragionamenti concernenti rispettivamente la qualità, il pluralismo e la possibilità di osservare che cosa avveniva, nonché il criterio delle nomine. Sulla qualità credo che si ponga un problema di base che attiene alla professionalità e ritengo che il discorso possa cominciare e finire a questo punto.
Devo inoltre rilevare che l'attività dell'osservatorio di Pavia non si è mai interrotta; i dati vengono inviati mensilmente al presidente della Commissione ed oggi stesso la RAI riprenderà l'invio dei dati relativi ai mesi di giugno, luglio e agosto, che era stato interrotto unicamente perché non si sapeva a chi inviarli. L'osservatorio di Pavia continua invece nella sua attività adottando il sistema che conosciamo già e la RAI intende proseguire in questo tipo di attività, per cui mensilmente vi invieremo, come di consueto, le informazioni.
Quello relativo all'informazione politica è un tema molto importante, che forse si potrebbe affrontare anche quando non si tengono elezioni: in realtà durante la campagna elettorale si è dimostrato che la Commissione aveva tutte le ragioni per rafforzare l'offerta informativa rispetto ad un'ipotesi minimale su cui si era discusso. Si è però constatato che il ruolo dei conduttori delle rubriche è fondamentale, per cui varrebbe la pena di analizzare una proposta, che avanzo quasi per caso, secondo cui, in occasione delle competizioni politiche, i conduttori dichiarino prima dell'inizio della discussione a quale parte politica appartengono. Questo avviene in molti paesi del mondo ed è sostanzialmente un modo per affrontare un tipo di discussione...
PRESIDENTE. in molti casi si sa già.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. In molti casi si sa già, in altri lo si dice dopo; però, se lo si dichiarasse prima si potrebbe affrontare una discussione che, sia pure inserita in binari di correttezza e professionalità, presupporrebbe una legittima dichiarazione di appartenenza che forse potrebbe chiarire le idee.
Per quanto riguarda la omologazione tra pubblico e privato, credo che questo sia un altro dei discorsi di base. Se qualcuno volesse andare a verificare la differenza tra pubblico e privato dal punto di vista della struttura, la individuerebbe con facilità. Si possono elencare le solite cose: la produzione, il rapporto con la Commissione, il contratto di servizio, le quote, eccetera. Se qualcuno dovesse distinguere il pubblico dal privato in base a motivazioni di tipo strutturale, ne troverebbe almeno 10-12.
La verità è che la gente vive i due grandi soggetti come simili. Ciò vuol dire che sostanzialmente non siamo in grado di trasferire un concetto di diversità in un concetto di immagine, che è molto forte e per il quale sostanzialmente RAI e Mediaset vengono vissute allo stesso modo. E' un grandissimo problema, che dobbiamo affrontare non solo in termini strutturali, ma proprio in termini di comunicazione.
Quali sono le motivazioni che possono difendere oggi l'esistenza del servizio pubblico come tale? Innanzitutto, molti dei discorsi che caratterizzavano in passato il servizio pubblico non stanno più in piedi, nel senso che tutti, in qualche modo, si muovono con un'area di rappresentanza; non è detto che i soggetti commerciali non si caratterizzino per il pluralismo. Tutta una serie di motivazioni storiche forse sono superate. Penso che sostanzialmente le motivazioni oggi valide siano le seguenti. In primo luogo, il servizio pubblico deve continuare a mantenere al proprio interno un pluralismo, che è tipico della motivazione del servizio pubblico: è un dato di fatto che bisogna assolutamente garantire. In secondo luogo, il servizio pubblico è tale se riesce a fare un investimento là dove nessuno lo fa: è il grande tema della rete federata. Oggi come oggi, da un punto di vista economico e di mercato, non ha nessun senso fare la rete federata. Invece, da un punto di vista politico, di investimento culturale, di nuove forme di produzione, di nuove professionalità, questo è un grosso tema che motiva il servizio pubblico.
Un altro elemento che motiva il servizio pubblico è il suo modo trainante della produzione italiana, cioè il fatto di assegnare al servizio pubblico un compito specifico rispetto al prodotto audiovisivo italiano: ciò significa che i soldi devono essere erogati ma con finalità molto precise.
Credo che oggi almeno due o tre motivazioni stanno alla base del perché ha senso difendere un servizio pubblico, per trovare una diversa omologazione tra pubblico e privato.
Mi sembra che vi sia totale identità di vedute con il senatore Follini circa il chiarimento del rapporto tra servizio pubblico e legittimazione di mercato.
Sui provvedimenti interni mi pareva ci fossero alcuni problemi legati alle persone. Su questo non vorrei intervenire, a meno che non chiediate approfondimenti molto particolari. Non mi pare il caso di fare discorsi sulle singole professionalità, ma se lo chiedete non ho problemi a rispondere.
Per quanto riguarda invece quelle polemiche che ogni giorno si trovano sui giornali (apprendiamo spesso le notizie che ci riguardano dai giornali e quindi non ci meravigliamo di questo), ci sono due modi per affrontare il problema. Uno è quello di avere delle regole, che in realtà ci sono, perché il precedente consiglio di amministrazione aveva emanato una circolare sul comportamento dei singoli dirigenti. Potrebbe essere ripristinata, come potrebbe non esserlo, ma non è certo attraverso un modulo di tipo coercitivo che si può controllare questo fenomeno. Credo che si debba lavorare nella linea della formazione di una cultura del lavoro, di una cultura di impresa, di una cultura del servizio, per cui alla fine le cose diventano automatiche: non si può pensare di imbrigliare le personalità, perché mi pare che questa sia una strada sbagliata. Forse si possono introdurre alcuni correttivi.
In questi giorni si è detto spesso che una delle mie proposte era quella secondo cui i direttori non dovrebbero andare in video. Sostengo questa proposta perché penso che i direttori dei telegiornali debbano fare prevalentemente gli editori; poi, hanno tutto il diritto di fare gli editoriali, ma secondo me è sbagliato che abbiano delle rubriche. Questo è già un modo per evitare sia una personalizzazione sia una forma di privilegio all'interno delle rubriche stesse e per rafforzare l'idea di un ruolo editoriale. Mi riferisco ai direttori di testata non ai direttori di rete, che sono un'altra cosa, e mi riferisco ai giornalisti e non ai praticanti o ai pubblicisti.
PRESIDENTE. Non ai vice direttori?
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Anche ai vice direttori, sempre delle testate, però.
ENRICO JACCHIA. Potremmo avere quella circolare?
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Senz'altro.
Per quanto riguarda la fiction, essa diventa per noi uno dei punti di forza dell'investimento per la televisione del futuro, non solo perché tutte le televisioni generaliste si basano sulla fiction come uno degli elementi più forti del prime time, ma in quanto questa è la strada per diventare progressivamente un paese autonomo, se non esportatore. Quindi, c'è una motivazione di fondo di tipo culturale e anche di tipo pratico, perché la fiction è una delle cose più consistenti nei prime time delle televisioni pubbliche di tutti i paesi.
L'idea di investire su questo settore è nata soprattutto dal fatto che lo riteniamo uno dei nostri grandi limiti di investimento. Il cambio delle persone è dovuto ad un'idea di professionalità che almeno sul mercato sembra indiscussa, rispetto ad una situazione precedente che sostanzialmente poneva alcuni problemi di tipo organizzativo, al punto tale che da gennaio a giugno non avremo fiction da mettere in onda perché non è stata prodotta. Quindi, ci sono motivazioni di tipo pratico dietro questa scelta. Rimane il fatto che la fiction diventa uno degli elementi più grandi di investimento sia per motivi di servizio pubblico, ma anche per valorizzare il prodotto italiano rispetto al resto.
Per quanto riguarda la radio, mi pare che abbia già risposto il presidente. Desidero solo aggiungere un'osservazione sui centri di produzione. In pratica, questo centro è sempre stato autonomo; dipendeva dal direttore della produzione, ma non ha mai avuto integrazione con la televisione, dal momento che non c'è mai stato un momento di integrazione di nessun tipo tra radio e TV. Questo spiega perché la misura adottata è per noi di tipo operativo e strumentale, non strategico. Si tratta di un provvedimento che riguarda circa 600 persone, di cui 530 a Roma e 80 sparse in giro per l'Italia. Quelle 530 hanno sempre lavorato in modo autonomo rispetto alla produzione televisiva e non hanno mai avuto scambi. Per quanto riguarda gli altri, si tratta di realtà che, comunque, si sono integrate nelle singole sedi. Lo dico per precisare che riteniamo questa una decisione più di tipo tecnico-organizzativo che non strategico (certo, ognuno è libero di vederla diversamente).
L'altra motivazione è che abbiamo ritenuto preferibile che l'integrazione non avvenuta tra radio e TV possa in realtà avvenire tra il momento creativo e il momento realizzativo. L'idea di unificare questi momenti può portare ad una sinergia, soprattutto per il tipo di prodotto che realizziamo, che è molto in diretta.
Per quanto riguarda la distinzione tra linee e piani editoriali, vorrei sottolineare che in realtà di tratta di sinonimi. Se leggete bene la legge del 1993, all'articolo 2, comma 5, parla di piani editoriali e all'articolo 3, comma 3, di linee editoriali. E' un problema di tipo semantico più che di fatto. In realtà, bisogna considerare che il piano non è perfezionato con un solo atto, ma è un processo complessivo nel quale la Commissione può sempre intervenire. Dal punto di vista delle sequenze, un piano è: individuazione di linee; rapporto tra editori e linee, che porta ad un piano settoriale; l'assieme dei piani settoriali, che costituisce un piano industriale; in mezzo si collocano strumenti tecnici, che sono il piano di produzione e il piano di trasmissione. Se viviamo questo come un processo all'interno del quale si può inserire in ogni momento la Commissione, superiamo anche quell'antinomia che in realtà è più di tipo semantico che non reale.
Per quanto riguarda invece la situazione delle risorse, dal punto di vista budgettario, l'anno prossimo avremo un bilancio in attivo dello stesso valore di quello di quest'anno. Dal punto di vista delle ricadute che avrà il disegno di legge attualmente in esame, calcoliamo una perdita valutabile intorno ai 600 miliardi. Se volete entrare nel dettaglio, potete rivolgervi al dottor Mengozzi, che potrà essere molto preciso.
PRESIDENTE. Potrà essere argomento di successivi incontri. La Commissione dovrà valutare se sia un tema di sua competenza, per rifarmi al linguaggio del senatore Falomi.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Ho dimenticato di dare una risposta al presidente con riguardo a Santoro. Presidente, secondo me, Santoro ha fatto una scelta professionale rispettabilissima che riguarda la propria vicenda umana e di anchorman. Alla porta della RAI non l'ha invitato nessuno, questo sia ben chiaro!
PRESIDENTE. In uscita?
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. In uscita.
GIAN GUIDO FOLLONI. Desidero innanzitutto ringraziare il Presidente della RAI per questo incontro e per l'atteggiamento di collaborazione che ha chiesto a questa Commissione. Lo dico, presidente, perché ci siamo resi conto - almeno chi ha vissuto l'esperienza della Commissione di vigilanza nella precedente legislatura - che la RAI viene da una tormentosa giostra amministrativa e da stressanti lacerazioni interne, che esigerebbero un periodo di tranquillità e di sereno lavoro per gli obiettivi generali di rafforzamento del ruolo di azienda di servizio pubblico, che lei qui ci ha ricordato.
Desidero innanzitutto soffermarmi su un aspetto della qualità del rapporto che si può stabilire tra il consiglio di amministrazione della RAI e la Commissione di vigilanza. Lei sostiene che la vigilanza potrebbe essere un momento di sostegno al lavoro dell'azienda. Concordo, purché questo sostegno avvenga all'interno della responsabilità di vigilanza che la Commissione ha. Mi spiego meglio. Non si riesce a superare l'impressione - che personalmente ho colto sia nelle sue parole sia in quelle del direttore generale - che ci sia nell'attuale consiglio di amministrazione della RAI una percezione del ruolo della vigilanza che definirei più come una sorta di ufficio studi, consultivo, collaborativo con l'azienda, piuttosto che come un istituto parlamentare preposto alla vigilanza sull'azienda stessa. Questo è un problema sul quale - lo dico al presidente Storace - credo anche la Commissione dovrà riflettere, perché ne modifica profondamente la sua natura. Dovremo, o meglio il Parlamento, dovrà decidere se conservare questo ufficio studi o se la vigilanza, esaurita la sua funzione, debba lasciare il campo ad altre authority alle quali probabilmente affidare la vigilanza più vasta sul sistema radiotelevisivo, assorbendo anche le funzioni che attualmente la Commissione svolge nei confronti dell'azienda RAI. Se così fosse, non c'è dubbio che gran parte delle funzioni fin qui rivestite non avrebbero ragion d'essere e probabilmente potrebbe permanere questa sorta di stanza consultiva tra consiglio di amministrazione e alcuni membri del Parlamento (più o meno autorevoli e più o meno competenti) sulle vicende radiotelevisive, espressione comunque di una sensibilità parlamentare, ma senza quel ruolo di indirizzo nei confronti dell'azienda qui evocato e, ancor prima, invocato da molti commissari alla fine di luglio e durante tutto il mese di agosto.
Tornerò su questo aspetto ma prima desidero soffermarmi su un altro auspicio che lei ha formulato o meglio su una sua espressione di volontà, che ho colto favorevolmente. Lei ci ha comunicato che il consiglio di amministrazione non intende essere espressione di una parte. Mi sembra l'espressione di uno stato psicologico lodevole; però, i fatti sono i fatti. Il dato di fatto è che il consiglio di amministrazione è stato nominato da persone che sono arrivate in Parlamento e alla guida delle Assemblee parlamentari come espressione di una delle parti che hanno giocato la competizione politica alle ultime elezioni. Sono contento che si voglia superare questa sorta di complesso edipico che è all'origine di questo consiglio di amministrazione; mi auguro che ciò avvenga, perché fin qui le cose non sono parse andare in questa direzione.
In particolare, per quanto riguarda le linee o il piano editoriale (perché sono sinonimi, come è stato giustamente ricordato), a quali indirizzi si è ispirato? Lei dice ai vecchi indirizzi. Mi pongo un interrogativo. Lei viene da un mondo, quello della cultura, quello che si forgia nel dibattito all'interno della società civile, che ha il suo riferimento nel Parlamento; non viene dal mondo dell'impresa, del commercio, del business. Allora, perché non venire prima in Parlamento per trarre lumi circa il modo in cui determinare le scelte che poi sono state operate in consiglio? Continuo a conservare una perplessità: mi chiedo se non dovesse esserci, all'origine di ogni scelta che questo consiglio nel momento del suo insediamento andava facendo, una verifica, un confronto parlamentare, che invece è mancato. Non ne faccio primariamente colpa a lei e ai membri di questo consiglio; constato che questo è un problema per un'azienda sottoposta a questo tipo di normativa dal Parlamento.
Lei poi ci ha illustrato una procedura di elaborazione del piano sulla quale conservo una grande perplessità, sempre stando a questo tipo di struttura istituzionale dell'azienda. Alla fine di quel percorso, di quel work in progress che lei ci ha descritto, questa Commissione di vigilanza potrebbe riunirsi, esaminare il tutto e dire che non va bene. Però, nel frattempo sarebbero accaduti tutti i fatti per cui quella valutazione alla fine si scontrerebbe con una situazione aziendale già determinata. Allora, con questa metodologia, arbitrariamente o di fatto, comunque viene elusa la funzione di vigilanza; non ha più senso un istituto di vigilanza. Non si conosce un piano: si partecipa, da ufficio studi, consultivamente, ad elaborare un piano che si crea progressivamente. Ma non è questo il compito della Commissione: non dico che debba essere così, ma oggi è configurato come vigilanza.
Un altro problema riguarda quello che lei ha chiamato innovazione del prodotto. Segnalo a lei una percezione non mia ma dell'opinione pubblica, che si è tradotta in interventi ripetuti anche sui giornali, non solo con interventi interessati, che pure ci sono stati: la percezione che questa innovazione avvenga secondo una logica monoculturale, inserendo tasselli di una cultura ben determinata all'interno dei palinsesti dell'azienda. Lei capisce bene che se così fosse non si tratterebbe di un'opera di soddisfazione della qualità del servizio (perché questo non esige di per sé una monocultura), ma di un indottrinamento che diventa inaccettabile.
Né ci confortano, come risposta esauriente ad alcune innovazioni che sono state introdotte, quei dati di mercato che lei spesso ha evocato. Su questo non mi dilungo, anche perché il collega Follini e il direttore generale hanno sottolineato l'apparente contraddizione in cui si trova l'azienda. Faccio solo un'osservazione: se vale il solo mercato, la RAI non ha senso; entra come una qualunque azienda nella competizione e scompare tutto questo meccanismo di verifica tra Parlamento e azienda, perché ci si muove in un'altra ottica. Dunque, da questo punto di vista, diventa difficile per il compito di questa Commissione raccogliere motivazioni di mercato su scelte che afferiscono al servizio pubblico, anche se comprendiamo bene l'esigenza di conciliare mercato e servizio pubblico.
Condivido in gran parte la sua analisi sull'omologazione, ma non il metodo con cui l'ha condotta. Sono interessanti le sue indicazioni per uscire da questo dilemma insolvibile, in primo luogo quella di diventare produttori di prodotti che possono andare anche su altri canali.
A questo punto, lo dico al presidente Storace, pongo un problema alla Commissione: quali poteri ha questa Commissione nei confronti della RAI? Credo che dovremo dedicare una sessione a discutere di questo, cioè di come riappropriarci di un ruolo che oggi di fatto è vanificato. La strada che seguiremo è quella paradossale (ma neanche tanto) possibilità di trasferire tutti i compiti di vigilanza alla costituenda authority e quindi di far cessare il ruolo di questa Commissione? Sono interrogativi che sorgono dalle dichiarazioni qui rese dal presidente e dal direttore generale della RAI.
Lei, presidente, ha parlato spesso di "nuovo", di innovazioni che si introducono nell'azienda. Quale "nuovo", perché di per sé questo non vuol dir nulla? Il problema è quale "nuovo": un nuovo che porti ad un progresso o ad un regresso? Il nuovo non garantisce di per sé un progresso. Un nuovo più civile o più incivile? Un nuovo più culturale o aculturale? Un nuovo che conduce ad un bene o ad un male? Sono tutti interrogativi senza risposta. Il concetto di novità di per sé dice assai poco, almeno a me.
Il Parlamento deciderà sulle innovazioni strutturali del sistema comunicativo del paese, ma il nuovo dei contenuti è altra cosa ed appartiene ad una responsabilità rispetto alla quale segnalo a lei due percezioni: la monocultura dei palinsesti, che prima le ricordavo; uno squilibrio nel campo informativo. In fisica si distinguono tre tipi di equilibrio: stabile, instabile e indifferente. L'equilibrio stabile è quello la cui modifica conduce spontaneamente ad un successivo equilibrio. L'equilibrio indifferente è quello per il quale un corpo rimosso dal suo stato di equilibrio si ricolloca di lì a poco in un nuovo stato di equilibrio. L'equilibrio instabile è quello nel quale uno spostamento fa sì che non si raggiunga più uno stato di equilibrio. Ebbene, la RAI mi sembra un'azienda in stato di equilibrio instabile. Quindi, dovrà essere somma cura di chi governa questa azienda di custodire l'equilibrio, perché per sua dinamica interna uno squilibrio all'origine produce più vasti squilibri informativi all'interno delle testate.
PRESIDENTE. Informo la Commissione che da più parti mi è stato richiesto di poter consentire ad almeno un rappresentante per gruppo di ricevere oggi la risposta del presidente della RAI. Risultano ancora iscritti a parlare gli onorevoli Romani, Bosco, Giulietti e Lombardi e il senatore Semenzato. Ovviamente, non si può chiedere a nessuno di rinunciare a parte del proprio intervento, ma invito tutti ad autoregolarsi in modo da consentire al presidente della RAI di rispondere almeno ad una parte dei quesiti posti.
Invito il senatore Folloni a partecipare alla successiva riunione dell'ufficio di presidenza, per porre in quella sede le questioni che ha sollevato sul ruolo della Commissione. Avrà modo di ascoltare il parere degli altri colleghi, anche perché il presidente ha già posto il problema.
PAOLO ROMANI. Ringrazio a nome di forza Italia la presidenza e il consiglio di amministrazione della RAI per essere intervenuti oggi.
L'intervento del senatore Folloni ha centrato tutta una serie di problematiche che si possono ricondurre ad un tema di fondo: sono ancora irrisolti due problemi, uno esterno alla logica RAI e uno interno.
Quello esterno è che in questo sistema che si sta evolvendo abbastanza rapidamente ma non tanto da consentire alla RAI di trovare un suo ruolo, non è ancora definito il ruolo della televisione pubblica all'interno di un sistema complessivo. Il secondo problema è che all'interno della RAI è ancora irrisolto - la relazione del presidente me lo conferma - il problema del servizio pubblico in quanto tale. Quando nella sua introduzione il presidente Storace ha parlato di cinque possibili definizioni del canone, poneva un problema reale. Questa azienda vive una situazione di conflitto interiore, ma legittimato dalla legge, tra risorse che vengono dal mercato e risorse che vengono da una tassa.
All'interno della definizione del piano editoriale descritta dal presidente (con una prima rete generalista e una seconda rete "giovane", che possa interpretare le tendenze future - una suggestione abbastanza intrigante - e la persona cui avete affidato la direzione ha una storia che gli consente di immaginare questo tipo di televisione), non riesco ad individuare meccanismi che mi consentano di sentirmi tranquillo rispetto alla soddisfazione del servizio pubblico in quanto tale. Porto un esempio che vale per tutti. In una logica prettamente commerciale quelle che i tecnici definiscono le hard news difficilmente possono essere esaurite a livello di investimenti tale da consentire di avere la migliore informazione possibile: da un servizio pubblico pretendo che questa specificità venga soddisfatta. In RAI questo non l'ho mai visto. Il problema non è tanto quello di compensare i minuti fra le varie forze politiche in modo che l'osservatorio di Pavia, che citava Paissan, ci rappresenti una suddivisione proporzionale o comunque simmetrica al sistema politico, ma quello di garantire che i soldi che i cittadini versano al servizio pubblico vengano utilizzati per dare quello che nella logica commerciale la televisione non può dare. Tutto questo non riesco ancora a individuarlo. In questa dicotomia tra l'incapacità del sistema politico di progettare un sistema della comunicazione complessivo e l'incapacità della RAI di riuscire a capire cosa voglia dire effettivamente servizio pubblico, alla fine vale quel che c'era stato già detto dalla signora Moratti e che ci è stato ribadito ora dal presidente Siciliano, cioè che la RAI va a tutto campo: va sul satellite, fa il digitale, fa le reti tematiche, fa tutto e il contrario di tutto! Non ci si pone il problema di cosa debba essere la RAI collocata all'interno di un sistema ancora da regolare, ma comunque rispetto al quale è possibile una ragionevole previsione? Mi rendo conto della difficoltà per il consiglio di amministrazione della RAI di fare piani che tengano ragionevolmente conto della normativa che potrebbe essere adottata, senza sapere in concreto quale essa sia. Pur tuttavia, non vedo ancora risolto il problema di fondo di capire cosa debba essere il servizio pubblico e di come tradurre questo all'interno dei palinsesti, all'interno della volontà di fare la migliore televisione possibile, all'interno della logica della differenziazione fra una rete e l'altra (generalista la prima, "intrigante" la seconda, enorme punto interrogativo la terza, ma comunque con una competenza territoriale, così ci è stato detto).
Invece, lo vedo già risolto sulle nomine. Dottor Iseppi, che fretta c'era di procedere il 9 agosto a queste nomine? Mi rendo conto che c'era un ritardo nella formazione della Commissione (è inutile negarlo), ma che fretta c'era? Stiamo parlando di una prospettiva di lungo periodo, in un momento molto complicato, di un sistema della comunicazione che viene investito dal sistema della telecomunicazione. Oggi avrete letto sulla stampa del progetto Stream ("fa la televisione"): a quale logica si connette questo tentativo? Non c'è scritto che cosa sia, si sa solo che farà la televisione. Quale televisione? Con quale telegiornale? All'ultima pagina c'è poi l'offerta di un sistema digitale via satellite. Ci stiamo immergendo in una logica così complessa ed in così rapida evoluzione e il 9 agosto facciamo le nomine?! C'è qualcosa che non mi torna. Credo che valga la famosa legge della fetta biscottata imburrata: non so se ciascuna nomina presa individualmente cada dalla parte "imburrata" o dall'altra; ma su mille cadute della fetta biscottata imburrata sono certo, perché è statisticamente provato, che cadrà più volte dalla parte "imburrata". Il che vuol dire che in questo tipo di meccanismo, l'orientamento complessivo che ne uscirà in questa RAI del "semi-Ulivo" sarà comunque volto in una certa direzione. Questo mi spaventa e mi preoccupa, perché - torno al discorso che faceva lei, dottor Iseppi - si ricerca la legittimazione non di mercato ma politica, perché questo è l'unico passo che è stato compiuto.
Concludo con una battuta sul caso Di Pietro. Non mi spaventa tanto che gli siano stati dedicati 10 o 12 minuti: se mi avesse raccontato la vera storia di Tangentopoli, sarei rimasto tutta la sera davanti alla televisione ad ascoltarlo! Mi spaventa invece che un signore giornalista non faccia il suo mestiere. Mi spaventa che ci sia uno stuoino a forma di giornalista, che non ponga domande incalzanti al signor Di Pietro, che in quel momento stava difendendo sé stesso! Questo mi spaventa ed è qui che viene meno la logica del servizio pubblico! Giornalisticamente aveva sicuramente senso che Di Pietro andasse in onda in un certo modo per difendersi, ma è inconcepibile immaginare che questo signore faccia un'esternazione invece che un'intervista!
Ecco perché dico che è irrisolto il problema iniziale. In sostanza, il problema è che non abbiamo ancora capito cosa sia e, soprattutto, cosa debba essere il servizio pubblico.
Concludo, tralasciando una serie di considerazioni, che pure avrei voluto sottoporre alla vostra attenzione, sul rapporto tra Commissione parlamentare di vigilanza e RAI, dal momento che il senatore Folloni ha già affrontato il tema in modo sufficientemente ampio.
RINALDO BOSCO. Vorrei soffermarmi in modo particolare sul problema delle linee editoriali, in ordine al quale porrò alcune questioni. Già dalle prime battute del rapporto tra la nostra Commissione e i responsabili della RAI, si è avuta l'impressione che l'azienda, più che puntare ad individuare una strategia editoriale, si stia limitando ad inseguire nomi e personaggi, avendo posto in essere una sorta di campagna acquisti in un momento nel quale il Parlamento - diciamo così - aveva altre cose da fare.
Nella relazione del presidente, con riferimento alle linee editoriali, si osserva che "si tratta, in sostanza, di un progetto fondante, sulla base del quale il consiglio di amministrazione ha operato la scelta degli uomini più adatti all'attuazione delle specifiche missioni editoriali, professionisti che sono stati chiamati a condividerle per poi contribuire alla redazione dei singoli piani operativi". Sembra di capire che la questione è non tanto di deontologia o di capacità professionali quanto, piuttosto, di omologazione. Si tratta di un fatto grave, che mi induce a chiedere al presidente di pronunciarsi su cosa si intenda per imparzialità dell'informazione, su quale tipo di obiettività egli intenda conferire al servizio pubblico radiotelevisivo e, infine, su quale sia la visione della pluralità dell'informazione. Chiedo, inoltre: se, per una sorta di alchimia, in questo Parlamento dovessero modificarsi le posizioni dei gruppi e noi le chiedessimo di fornire una informazione diversa e più completa, lei cosa farebbe? Infine, perché ha - per così dire - accelerato le nomine? Ancora: passando dai telegiornali alla fiction e dallo sport al varietà, in che modo l'attuale dirigenza ritiene di dover caratterizzare il ruolo del servizio pubblico nell'affrontare i temi sociali? In che modo, infine, si pensa di garantire il rispetto dei diritti delle minoranze e di dar voce alla complessità geopolitica e culturale del paese, nonché di assicurare il bisogno di rappresentazione, di trasparente informazione e di documentazione delle grandi aree regionali?
La seconda questione che intendo affrontare si riallaccia al discorso sulla rete federata. E' vero che tecnicamente si tratterebbe di una grande stupidaggine, ove si consideri che saremmo investiti da centinaia - forse migliaia - di frequenze e canali irradiati dappertutto dai satelliti. E' anche vero, però, che bisogna offrire palinsesti che abbiano origine su determinati territori. In sostanza, dobbiamo rompere la logica centralista. Quando parleremo di federalismo o di Padania, come oggi si parla dei problemi del Mezzogiorno, sarà giusto che questi argomenti siano affrontati nell'ambito delle aree nelle quali si conoscono meglio i problemi. Non si può continuare a parlare da Roma perché Roma conosce forse bene gli intrighi di Palazzo, ma non i problemi del territorio!
Vorrei inoltre sapere a quali risultati sia pervenuta la commissione di studio che mi risulta essere stata creata dalla RAI e quali siano i tempi presumibili per la completa messa a punto di una rete federalista, del resto prevista esplicitamente da un disegno di legge oggi in discussione al Senato, nonché quali suggerimenti la RAI intenda fornire in questa direzione.
Desiderei infine che ci indicaste i criteri con i quali procederete all'individuazione delle risorse di mercato. Se da una parte appare positivo l'intendimento di ottimizzare le risorse interne e di contenere i costi generali, eliminando le sovrastrutture come Format, Blob o Tempo reale, dall'altra è chiaro che qualsiasi sforzo di razionalizzazione sul fronte interno è destinato a fallire se non si metterà mano, con rigore, ad una stringente politica del personale e delle collaborazioni esterne. A quest'ultimo riguardo, mi risulta che in RAI operino due troupe specializzate in riprese in immersione; mi consta tuttavia che, almeno dalle mie parti (sono di Udine ma mi riferisco a tutto il Friuli Venezia Giulia), vengano affidate collaborazioni ad operatori di paesi esteri. In particolare - su questa vicenda presenterò una specifica interrogazione - sarebbero state affidate collaborazioni alla Croazia. Ho l'impressione che nel campo delle fatturazioni si riesca a fare ciò che si vuole, dal momento che non esistono possibilità di riscontro. Si tratta quindi di verificare tutte le collaborazioni esterne cui da molto tempo si ricorre senza che si sappia bene come vadano a finire. In proposito, come intende comportarsi l'azienda?
Al di là delle auspicabili economie, una maggiore caratterizzazione della RAI come servizio pubblico imporrà investimenti sempre più consistenti e, conseguentemente, la necessità di individuare ulteriori risorse oltre a quelle tradizionali derivanti dal canone e dalla pubblicità. Qual è, a questo riguardo, la strategia aziendale che si intende seguire? In particolare, perché dobbiamo far pagare il servizio pubblico a coloro i quali non ricevono il segnale? Provengo da zone di montagna e so bene che dalle mie parti non vengono ricevuti tutti i canali RAI.
Concludo, chiedendo se il presidente sia nella condizione di fornire alla Commissione un elenco, comune per comune, di coloro che pagano il canone.
GIUSEPPE GIULIETTI. Tutti noi operiamo in una situazione di grande contraddizione perché siamo in presenza - come sapete - di una non regolamentazione del sistema, informato a vecchi criteri di nomina anche per quanto riguarda il governo aziendale. Si tratta di un problema che dobbiamo affrontare: quali sono i criteri che presiedono alle nomine? Inoltre: nell'ambito di quale realtà è chiamato ad operare il servizio pubblico? E', questo, un problema che non possiamo eludere; credo anzi che la Commissione parlamentare di vigilanza, nel rispetto dei ruoli, potrebbe discuterne al proprio interno. In sostanza, si tratta di definire non soltanto il modello di servizio pubblico ma anche l'assetto entro il quale lo stesso debba operare.
Ripeto: ci troviamo in una situazione caratterizzata da contraddizioni e problemi. Uno di questi - del quale, tra l'altro, non si parla mai - è che, non essendo risolta la questione del conflitto di interessi, si finisce per provocare la fibrillazione dell'intero sistema. Lo dico senza alcun tono polemico, ma non posso fare a meno di constatare come si tratti di un dato reale. Non essendo stata risolta la questione del conflitto di interessi, ogni qualvolta ragioniamo sul sistema radiotelevisivo, rischiamo - e credo si tratti di un rischio da evitare - di concepire le imprese come parti del sistema politico. Si tratta indubbiamente di un errore da evitare. Credo quindi che dovremmo cercare di esaltare la funzione di garanzia e di indirizzo di questa Commissione: è probabilmente, questo, l'aspetto più interessante che dovremmo esplorare.
La storia della RAI è caratterizzata dal fatto che l'azienda non ha alle spalle un modello di servizio pubblico realizzato. Non esiste una mitica età dell'oro: dobbiamo quindi lavorare perché si crei la condizione di un servizio pubblico moderno. Quella di tutto il sistema radiotelevisivo è una storia di intrecci tra la politica e le aziende. Questo discorso - come tutti sappiamo - vale anche per la RAI. Tale dato, ovviamente, va superato. Perché, ad esempio, non ho contestato la "mitica" gestione precedente? Perché non esistono gestioni precedenti che possano essere considerate mitiche, neppure volendo parlare di quella che ha preceduto l'attuale. Se affrontiamo il discorso sulle pagine nere, rosa o gialle, finiamo per mettere in piedi, probabilmente, un utile dibattito sul problema delle agende telefoniche, ma non usciamo da un problema di fondo: le nomine hanno portato ai vertici della RAI uomini e donne di valore oppure no? Si dice che si sarebbe trattato di una pagina nera perché la scelta è avvenuta in base a criteri errati. Io credo che si sarebbe potuto - e si debba - fare di più e meglio e che nessuno debba - per così dire - sedersi rispetto alla questione delle nomine, una questione delicatissima che attiene alla professionalità ed al rispetto delle diverse posizioni. Soltanto nel nostro paese - lo dico ricorrendo ad una una battuta - si può dire Rodolfo Brancoli=popolare, Carlo Freccero=quercia. Si tratta di un modo di concepire le cose dal quale dissento, così come dissento dalle considerazioni svolte da Paissan. In taluni casi si tratta di donne e uomini mai recuperati né valorizzati da talune imprese. Credo che questo aspetto debba essere tenuto presente. Certo, in questo modo non si risolve la questione, ma non credo che la stessa sia definibile semplicemente contrapponendo una tornata di nomine ad altra tornata di nomine: tale impostazione, a mio avviso, ci porterebbe fuori strada.
Il collega Romani ha sostenuto che i dirigenti della RAI avrebbero potuto aspettare qualche tempo prima di procedere alle nomine. A tale riguardo va considerato un piccolo particolare: parliamo di una impresa che ha problemi di competizione nell'ambito dell'attuale tipo di mercato. Penso, per esempio, al problema dei magazzini, che oggi è stato evocato ma che già da tempo avevo avvertito nella sua complessità. Vorrei capire - e non si tratta soltanto di un'esigenza collegata ad un dibattito teorico - quale sia oggi lo stato dei magazzini, lo stato della fiction, quello dell'acquisto dei film, quale la possibilità di organizzare un palinsesto. Si sarebbe potuto teorizzare che nell'ambito della riforma del sistema una parte di quest'ultimo restasse bloccata? Quali conseguenze ne sarebbero potute derivare?
Non mi soffermo sulle nomine anche perché, se una critica sento di muovere all'attuale consiglio di amministrazione, essa è di altro segno e riguarda aspetti differenti. Sono convinto che la novità da introdurre debba essere più forte, più visibile. Una televisione si giudica anche in base a ciò che viene messo in onda. Sotto questo profilo, ritengo che, rispetto al passato, occorra profondere uno sforzo ancora più forte, più radicale: si tratta di intensificare la ricerca, dentro e fuori l'impresa, di ideatori, sceneggiatori, autori, di competenze tecniche fondamentali ai fini della determinazione del modello di servizio pubblico e della qualità del prodotto. Il problema consiste proprio nel definire quale debba essere il prodotto, trattandosi di un'azienda che crea senso comune e sostegno all'impresa. Ad esempio, penso che si sarebbe potuto essere ancor più radicali nel settore della radiofonia. Non vorrei che la discussione tra le due componenti portasse a teorizzare il blocco di una delle parti alla vigilia dell'entrata in vigore di una legge prevista entro il 31 gennaio: non converrebbe a nessuno, perché, in queste condizioni, la discussione sulla legge di sistema risulterebbe più dura, meno attenta alle ragioni di tutte le imprese. Al contrario, se le imprese competessero in modo forte, sarebbe senz'altro più facile trovare un'intesa.
Passo rapidamente alle domande, iniziando con l'affrontare la questione delle nuove tecnologie. Nel paese è in corso un ampio dibattito sulla legge Maccanico. A tale riguardo ritengo che la RAI sarebbe - per così dire - più facilmente riformabile se fosse libera di operare sui nuovi mercati e scegliesse di inserirsi in una competizione piena. Credo sia necessario un polo pubblico che intervenga nella telefonia e che competa con i nuovi prodotti, perché tale impostazione condurrebbe l'impresa ad abbatterebbe anche le conservazioni e le burocrazie interne. Vorrei capire se l'azienda sia pronta ad intervenire ed eventualmente a competere sotto il profilo del satellite e della pay-tv, come espressione della presenza di un'impresa pubblica in Europa.
Inoltre, vorrei ricordare - ne hanno già fatto cenno Follini e Folloni - che in anni passati (all'epoca la RAI svolse un ruolo anche ai fini dell'unificazione linguistica), in particolare negli anni cinquanta e sessanta (altre stagioni ed altri governi aziendali...!), vi fu la cosiddetta stagione dei corsari, che portò all'individuazione ed all'utilizzazione di autori, ideatori e produttori. La RAI pensa di aprire una nuova stagione in cui scegliere ed individuare le risorse ed i talenti recuperabili all'impresa pubblica, oppure si ritiene che ciò oggi non sia possibile?
Quanto alle preoccupazioni espresse da Follini sulla deriva plebiscitaria ed a quelle relative alla vicenda Di Pietro, va senz'altro affrontata la questione delle garanzie. Credo che il più grande problema sia legato al modo in cui l'impresa pubblica debba rappresentare l'interesse generale, garantendo il rispetto di ciò che è scritto in tutti i documenti che riguardano i diritti ed i doveri e di ciò che è sancito nei contratti. In che modo vengono garantiti i cittadini rispetto a temi quali la rettifica e la presunzione di innocenza? Penso, per esempio, a tutta la vicenda dei minori, che ogni tanto richiamiamo per farci un po' di propaganda e che subito dopo dimentichiamo. Potrebbe la RAI farsi promotrice, rispetto a Mediaset ed alle altre imprese del settore, di un tavolo intorno al quale riunire le imprese (sì da evitare interventi censori della politica), che agisca come una sorta di osservatorio sul tema della produzione rivolta all'infanzia? Se ciò accadesse si realizzerebbe una pax vera, non soltanto riferita alle percentuali, una pax delle civiltà della comunicazione, nel cui ambito le imprese potrebbero incontrarsi e stabilire nuove regole, che diventerebbero patrimonio comune delle imprese radiotelevisive, con una grande attenzione al tema dei minori ma, in generale, dei diritti. In tale ottica, la questione Di Pietro mi preoccupa, così come altre, perché se il servizio pubblico dovesse assumere una deriva - per così dire - spettacolarizzata, fondata sull'esaltazione del gesto e sulla scarsissima attenzione non solo alle parti politiche ma alle culture sociali, religiose e politiche di un paese, questo creerebbe un grande problema.
Ecco perché richiamo l'attenzione su questo tema, che mi sta particolarmente a cuore. Si tratta di definire in che modo si esprime un paese, non solo due parti di esso, in che modo, cioè si esprime la complessiva dialettica del paese. Insisto sull'iniziativa di autoregolamentazione, che può partire dalla RAI e coinvolgere tutte le imprese del settore e chiedo al presidente Storace se non sia il caso di prevedere che di questo tema si occupi un gruppo costituito nell'ambito della Commissione.
PRESIDENTE. L'ho già proposto io!
GIUSEPPE GIULIETTI. Quanto alla rete federata, chiedo di sapere se esista un gruppo di lavoro e se questo si sia dato un termine per la conclusione della propria attività. Va tenuto presente che non vi è soltanto il problema del nord-est. Rete federata significa costruire una rete nuova che esalti i centri di produzione esistenti nel nord, nel centro e nel sud del paese e dar vita ad un nuovo assetto della terza rete. Questa è la grande scommessa! A mio avviso, se si metterà in discussione l'assetto del servizio pubblico, a quel punto anche il privato sarà costretto ad operare cambiamenti. Oggi abbiamo due partiti della grande conservazione, che si guardano da lontano e tendono a tenere bloccato il sistema. Credo che la sfida consista nell'individuare una leva che rompa questo meccanismo. La rete federata, a mio avviso, se concepita non come rivendicazione di alcuni, ma come un'idea che estenda la comunicazione, può rappresentare una strada percorribile. Vorrei sapere se al riguardo siano stati configurati vincoli, tempi, possibilità di intese.
Quanto alle assunzioni, spesso abbiamo polemizzato tra noi. Mi domando se l'azienda non abbia pensato a predisporre una serie di regole in questa materia ed in quella attinente allo sviluppo delle carriere (curricula, accertamenti, meccanismo delle selezioni, scuole professionali interne che formano e creano nuove professionalità in tutti i settori) e se non sia il caso di incontrarci per definire i criteri da seguire in questo campo. Certo, anche l'eventuale individuazione dei criteri non risolverebbe il problema: la polemica continuerebbe, ma mi chiedo se non sia giunto il momento, in una fase nella quale tutti parliamo di trasparenza, di esprimere un impegno comune finalizzato, appunto, all'individuazione di precisi criteri.
Credo che in RAI si corra un rischio che va scongiurato. In passato, vi sono stati "fattori K", che francamente consideravo sbagliati, espressisi nei confronti di alcune culture politiche del paese. Guai se questi fattori dovessero manifestarsi nei confronti di altre culture politiche! Mi esprimo in modo rozzo, proprio perché non provengo dal centro-destra: per il modo in cui si è formata la RAI, per il rapporto tra i partiti e l'azienda, vi sono presenze molto forti e consolidate storicamente, a fronte dell'inesistenza di altre espressioni culturali. Non intendo certo proporre un discorso di ritorno al passato: dico soltanto che occorre prestare molta attenzione alla rappresentazione di tutte le culture. La RAI è composta anche di persone che non si riconoscono in alcuno schieramento: occorre creare una situazione nella quale il dato fondamentale sia rappresentato non dall'appartenenza a questo o quello schieramento ma dalla possibilità di realizzare una libera circolazione delle idee, comunque siano esse - per così dire - collocate.
Si tratta di evitare, quindi, un rischio che considero particolarmente pericoloso e grave. L'osservatorio di Pavia fornisce dati seri ma molto spesso di carattere quantitativo, riferiti alla presenza nei programmi dei vari partiti. Mi piacerebbe sapere se nel tempo l'osservatorio di Pavia, magari con l'aiuto del Parlamento (considerato che al riguardo si pone un problema di finanziamento), possa essere in grado, oltre a darci la rappresentazione del tempo di presenza degli esponenti delle singole forze politiche, di fornire anche dati relativi al modo in cui sono trattati singoli temi ed a quali soggetti della società parlino o non parlino. Potrebbe accadere che il centro-destra e il centro-sinistra siano pienamente rappresentati, salvo a scoprire che la dialettica del paese su uno specifico tema è alimentata anche da soggetti dei quali non viene garantita la presenza. Credo quindi che potrebbe essere interessante un monitoraggio sulle singole questioni, per verificare il modo in cui vengano prospettati anche sotto il profilo qualitativo. Ciò consentirebbe di discutere non soltanto in modo contrapposto ma sulla base di un'analisi profonda relativa alla qualità del prodotto e della comunicazione.
GIANCARLO LOMBARDI. Pur avendo apprezzato la relazione del presidente Siciliano, che ringrazio insieme agli altri membri del consiglio di amministrazione della RAI, mi permetto di fare una raccomandazione per il futuro: era probabilmente inevitabile, considerato che quello di oggi è il primo incontro ed in virtù della tipologia dello stesso, che vi fosse un intervento a tutto tondo. Se la strada della collaborazione, da molti auspicata (a partire dal presidente Iseppi fino a molti commissari intervenuti nel dibattito), dovesse continuare ad essere seguita, credo potrebbe risultare utile una relazione nella quale siano più seccamente messi in evidenza i problemi e le possibili soluzioni: in tal caso, il contributo che potrebbe essere offerto sarebbe sicuramente più chiaro e preciso.
Credo sia motivo di grande piacere per tutti riscontrare un'unanimità di atteggiamento negli interventi dei commissari i quali hanno auspicato il totale rispetto per il pluralismo e si sono doluti del fatto che le nomine abbiano potuto in qualche modo essere influenzate. Sinceramente, al riguardo nutro qualche dubbio. Non so se il dispiacere lamentato da alcuni sia dovuto più alla circostanza di non aver fatto parte di coloro la cui influenza è risultata incisiva sulle scelte che non all'effettiva... Dico questo perché, fin dal primo momento del mio recente ingresso nell'attività politica, ho constatato come la corsa a cercare di influenzare sia stata sempre, in modo molto consistente, alimentata da partiti e da membri del Governo. Non so se Iseppi abbia fatto bene a minimizzare il fenomeno, nel momento in cui ha precisato che le scelte sono rigorosamente avvenute secondo coscienza e nel rispetto delle professionalità. Sono molto lieto di questa risposta perché essa implica che Iseppi e il consiglio di amministrazione si assumono tutta la responsabilità dei comportamenti futuri delle persone prescelte. Si prenda comunque atto che la Commissione ha all'unanimità confermato che debbono essere i vertici della RAI a decidere, prescindendo del tutto da qualsiasi influenza politica. Se ciò avvenisse, non potrei che compiacermene, essendo tra coloro che non amano questo tipo di influenza.
Desiderei acquisire una conoscenza molto più chiara di quella fornita finora sulla situazione economica dell'azienda, pur essendo totalmente allineato alla proposta del presidente Storace di rinviare questo approfondimento ad un altro momento. Credo infatti sia giusto acquisire da parte nostra qualche dato di conoscenza ulteriore per essere più preparati all'incontro e non partire da una base che, almeno nel mio caso, è una base di ignoranza. C'è una cosa che credo tuttavia di poter dire fin d'ora. La relativa esperienza che ho di contatti con la RAI in tutto il suo sistema e le informazioni che ho raccolto da molteplici persone alle quali tributo stima mi portano a dire che esiste una esuberanza notevole di personale, almeno in alcuni ambiti. Il problema che la RAI si troverà ad affrontare (un problema, peraltro, che si pone anche per moltissime istituzioni statali, siano essi ministeri od altri enti) sarà quello di avere un numero elevato di persone che non fa nulla e, nel contempo, di trovarsi di fronte a carenze rilevanti laddove magari sarebbero necessarie nuove professionalità o, comunque, una tipologia diversa di persone. Se ritenete di poter rispondere fin d'ora a questa domanda, ne sarei lieto; se invece preferite farlo nel momento in cui discuteremo del bilancio, sarebbe utile che ci forniste fin d'ora un'indicazione (naturalmente, non chiediamo né nomi né dati precisi). Ripeto: abbiamo la sensazione che venga spesa una cifra tutt'altro che irrilevante per persone che, per varie ragioni, non fanno assolutamente nulla (e che pertanto sono superflue): se potessimo liberarci di questo problema, potremmo avere a disposizione risorse per realizzare iniziative importanti.
All'epoca in cui ero ministro della pubblica istruzione - mi rivolgo, in particolare, al direttore generale - avevamo studiato con la RAI la possibilità di una stretta collaborazione in ordine all'impegno - che mi auguro sia confermato anche dal nuovo ministro - di garantire una formazione sia ai ragazzi sia ai docenti, ipotizzando la possibilità di avviare una rete monotematica su questo argomento. Considerato che non ne è stato fatto cenno, vorrei sapere se su questo programma si intenda profondere un impegno in futuro.
Il mio gruppo, ed io stesso, non si scandalizza affatto di fronte alla possibilità che la RAI un domani abbia un bilancio in perdita; ovviamente, misuriamo la legittimità di questa perdita in funzione della qualità del servizio e della capacità di coprire ambiti di grande utilità che nessun altro coprirebbe. In questo senso accetto il richiamo di Romani - sempre che lo abbia compreso bene - sulla specificazione della RAI rispetto ad altre reti televisive. Ne faccio però - lo dico francamente - un problema di contenuto, non di assenza di legittimità a coprire alcuni spazi. Trovo infatti che la legittimità sia a coprire tutti gli spazi, senza alcun problema. Il problema vero è invece di fare alcune cose che altre reti non fanno, per evidenti ragioni di carattere commerciale.
In questo senso, il richiamo contenuto nell'ultimo intervento del collega Giulietti sull'attenzione ai minori e tutta una serie di riflessioni di carattere educativo dovrebbero trovare una maggiore attenzione rispetto a quanto mediamente avviene, almeno stando alla mia conoscenza del sistema televisivo.
Quanto al problema delle assunzioni, sono contrario ad imporre ai responsabili della RAI vincoli di gestione, che potrebbero un domani consentire alla Commissione di interferire sulle modalità di assunzione. Credo che ciascuno debba assumersi le proprie responsabilità: la Commissione, nella sua assoluta autonomia, potrà un domani formulare un giudizio negativo, se ritenesse di poter invocare motivi in questo senso. Credo invece che debba essere dedicata particolare attenzione al problema relativo a quanto pensate di investire in formazione delle persone. L'esperienza, anche quelle relativa al giornalismo e al mondo della scuola, dimostra come alcuni problemi si risolvono soltanto con un investimento in formazione dei formatori, in formazione dei giornalisti, in formazione di coloro che sono preposti alle indagini ed alle inchieste. Molte cose - per così dire - vengono male non perché ci sia stortura di partenza ma perché alcune persone le fanno male perché sono incapaci. E' evidente che, affrontando il problema della deontologia nel senso più ampio, anche la dimensione etica del rispetto della verità, del pluralismo e della correttezza dell'informazione, debbano essere considerati come elementi fondamentali.
Nutro il dubbio che alcuni grandi problemi proiettati sul futuro per un ente come la RAI passino attraverso alleanze di carattere internazionale. Probabilmente mi sono distratto, ma non mi è sembrato che nella relazione vi fosse un esplicito riferimento a questo problema. Non se ne è parlato per motivi di riservatezza? Si ritiene che questo problema debba essere affrontato? Mi interessa saperlo sia sotto il profilo della collaborazione tecnica sia sotto l'aspetto del contenuto.
STEFANO SEMENZATO. Come ultimo iscritto a parlare, ho un dovere di sinteticità che probabilmente mi porterà ad introdurre eccessive schematizzazioni nel mio intervento.
Sotto un primo profilo, di carattere generale, mi sembra che si manifesti un'attenzione intorno ad un tentativo di ridefinizione del ruolo del servizio pubblico. Si tratta di un elemento di novità e di grande interesse e credo che, anche su questo, la Commissione di vigilanza dovrebbe profondere il suo impegno. Oltre alle indicazioni fornite dal direttore generale, nel tentativo di definire nuovi compiti del servizio pubblico, credo sia molto utile il discorso, disegnato nelle linee editoriali proposte, sulla qualità dell'informazione, quella che il presidente Siciliano, nel corso di un'audizione svoltasi qualche giorno fa in Commissione al Senato, ha definito il carattere educativo - senza fraintendimenti - della RAI. E' evidente che questo elemento è quello più difficile da cogliere dal punto di vista della strumentazione tecnico-giuridica: è difficile avere una classificazione dei criteri di qualità. Credo però che sia l'elemento vero su cui si gioca la scommessa RAI: lo stesso nodo del canone più che dai criteri adottati nel rapporto tra lo Stato e la RAI dipenderà dall'accoglienza del pubblico, e quindi dalla qualità del prodotto televisivo.
Sono fra coloro che hanno accolto con piacere la nomina di questo consiglio di amministrazione perché mi è sembrato che l'abbandono del criterio dei professori di economia e dei manager d'industria rappresentasse un tentativo di costruire una nuova qualità della RAI. Credo che questo sia il modo per uscire dalla fase del duopolio, in cui si è innegabilmente registrato un processo di omologazione culturale e anche di produzione tra il settore televisivo commerciale e quello pubblico. Da questo punto di vista vorrei entrare nel merito di alcune questioni, nella convinzione che è sulle cose specifiche, sulle scelte concrete che si intravvedono gli elementi di novità e di cambiamento.
Il primo tema che vorrei porre è quello dell'informazione ambientale, che riguarda qualcosa di nettamente diverso dalla discussione sorta in questa sede circa la presenza dei verdi tra i partiti politici. Si tratta di un problema di cultura ambientale, cioè uno degli aspetti centrali dell'odierna vita sociale, dato che la questione ambientale da un lato ha riferimenti culturali e di stile di vita e dall'altro riguarda gran parte della produzione economica: basti pensare a tutto il business dei rifiuti, in buona parte in mano alla criminalità organizzata. Purtroppo, però, le redazioni ambientali della RAI sono state smantellate; credo sia rimasto soltanto qualche redattore qualificato. Vorrei perciò sapere se, tra i progetti del consiglio di amministrazione, rientri quello di istituire redazioni ambientali nel campo dell'informazione; per fortuna in altri settori, come quello della divulgazione, operano persone come Piero Angela, che fa sempre ottimi servizi. Perciò pongo la specifica questione dell'informazione: se mancano la competenza e la professionalità, la RAI rischia di fare, come spesso accade, un'informazione superficiale e poco documentata.
Sollevo un'altra questione, che ho segnalato anche in una lettera che ho inviato al presidente della RAI. Riguarda un fatto particolare, che però credo la dica lunga su alcuni meccanismi. Fra le pagine di Televideo esiste una rubrica denominata "Associazioni". Mi è stata segnalata da rappresentanti delle associazioni ambientaliste in quanto in essa sono presenti soltanto associazioni di cacciatori. Poi si è scoperto che in realtà si tratta di presenze a pagamento (circa 80 milioni all'anno). Questo pone due problemi. Domando se il servizio pubblico, che sostiene di essere attento alle realtà della società civile, non intenda consentire un accesso gratuito all'ampia gamma delle realtà del mondo associativo italiano. Ricordo che tra breve discuteremo in Parlamento delle associazioni non profit, cioè di una realtà civile che pesa molto negli orientamenti e nei comportamenti degli italiani. Ma ciò che risulta particolarmente grave in questo contesto è che queste pagine non sono qualificate in alcun modo come una pubblicità a pagamento, essendo del tutto simili ai tech normali di Televideo, inducendo quindi una forma di pubblicità occulta, che non può non essere segnalata come una grave distorsione non solo del servizio pubblico ma anche della legislazione vigente.
Terza questione. Esiste nella legge Mammì una norma - si tratta dell'articolo 11 - che prevede azioni positive per le pari opportunità volte ad eliminare le discriminazioni di sesso e quant'altro all'interno della RAI; si prevede, inoltre, che ogni due anni la RAI, come altre aziende, presenti alla commissione per le pari opportunità una relazione scritta. In realtà a questa commissione non risultano mai pervenute queste relazioni da parte dei precedenti consigli di amministrazione. Pur sapendo che la domanda è assurda, vorrei chiedere se questo consiglio di amministrazione intenda rispettare una norma di legge che, anche se non prevede sanzioni, rimane pur sempre vincolante per il servizio pubblico.
Pongo infine un'ultima questione. Nel famoso decreto salva-RAI di due o tre anni fa esiste una clausola che affida a Radio radicale, attraverso una serie di passaggi, la funzione della trasmissione delle sedute parlamentari. All'articolo 9 si specifica che la convenzione è rinnovabile fino alla completa realizzazione, da parte della concessionaria pubblica, di una rete radiofonica riservata esclusivamente alla trasmissione dei lavori parlamentari, di cui all'articolo 24 della legge Mammì. Da questo testo di legge si desume che già nel 1993 la RAI stava per attuare questa rete. Poiché a dicembre scade la convenzione con Radio radicale, vorrei capire se la RAI sia finalmente in grado di ottemperare a questa richiesta, data la necessità di garantire questo tipo di funzione pubblica. Poiché anche nel nuovo disegno di legge Maccanico si parla della quarta rete radiofonica, vorrei sapere a che punto siano le procedure di avvio di questa rete.
ENZO SICILIANO, Presidente della RAI. Il senatore Folloni e l'onorevole Romani hanno evocato, con argomenti di grande interesse, una questione cui la RAI non può dare risposta, perché riguarda il Parlamento. Il Parlamento dovrà decidere, e noi non possiamo far altro che riconoscere che si tratta di problemi. Quanto alla contraddizione fra impresa e servizio pubblico, il progetto è che tutto diventi una holding, e allora la differenziazione tra i due piani diventerebbe possibile. Ma di fronte alla globalizzazione, alle grandi imprese multinazionali che possono influenzare gli interessi nazionali, il principio di servizio pubblico e, contemporaneamente, di impresa si va di nuovo affermando (vedi, ad esempio, quanto il Parlamento europeo ha deciso in questi giorni).
Senatore Folloni, ho parlato di "nuovo" come conoscenza, scendendo nel dettaglio, evocando valori etici unificanti, soffermandomi sulla risposta che deve dare alla complessità sociale; ho parlato di qualità, di una produzione interna da vivificare - e non per fare elargizioni di denaro a destra e a manca -, di una fiction nuova e diversa; ho parlato anche di un nuovo che deve vitalizzarsi attraverso l'esperienza - da restituire all'esterno - contenuta come memoria storica negli archivi della RAI, così come di un nuovo inteso come promozione di nuovi linguaggi e di ricerca. Da questo punto di vista, senatore Folloni, mi sembra di aver dato qualche risposta (come ho già avuto modo di fare nell'audizione presso la Commissione lavori pubblici del Senato).
Per quanto concerne la rete federata, la RAI ha avuto un'esperienza di questo genere all'inizio della terza rete televisiva, che doveva badare al territorio; ma mi pare di poter dire tranquillamente che si è trattato di un'esperienza fallimentare. Il problema di oggi (resi consapevoli che quel tipo di esperienza non è andato bene) è che il concerto di esperienze e di intelligenze messe insieme, e che è già al lavoro, punti alla realizzazione di un progetto, che sarà certamente sottoposto all'attenzione di questa Commissione: sottoporremo senza dubbio il risultato di questo lavoro all'attenzione del Parlamento. Ma per ottenere il miglior risultato possibile, in questa fase di impostazione e di invenzione, di uno strumento culturale così innovativo, avremo bisogno della minor rigidità possibile, economica ed organizzativa; avremo bisogno di evitare rapporti burocratici - questo mi sembra comprensibile - ed egualitari che in esperienze precedenti hanno impedito il decollo di una vera rete territoriale. Si tratta di un problema culturale, sociale e politico molto importante, perciò ad esso prestiamo la maggior attenzione possibile.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Inizio a rispondere alle ultime domande.
Sarà possibile attuare la rete radiofonica parlamentare solo una volta sistemato il piano delle frequenze. Esistono quattro reti, ma se ne utilizzano solo tre perché vi è una distribuzione tale da non permettere di usare la quarta. Risolto il problema del piano delle frequenze, nel giro di un anno si potrà varare la rete parlamentare.
PRESIDENTE. Sareste già attrezzati a questo fine?
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Abbiamo un piano da realizzare, con dei costi, nel senso che siamo in grado di procedere una volta risolto questo problema.
I rapporti della RAI con la commissione per le pari opportunità, anche abbastanza costanti, non hanno mai portato ad un'informazione sistematica nella direzione chiesta dal senatore Semenzato: sono sempre stati di tipo più qualitativo che quantitativo.
Per quanto riguarda il Televideo, specifico che le prime 349 pagine sono di vera e propria informazione, mentre le pagine dalla 350 alla 650 sono dedicate all'informazione di servizio, alimentata in gran parte da provider: la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Camera, il Senato, alcuni ministeri, ordini professionali e associazioni riconosciute, tra cui anche quella citata. Comunque, le pagine sono graficamente diverse e in ciascuna è indicata la fonte di informazione. Non c'è pubblicità occulta.
STEFANO SEMENZATO. Non è vero.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Può essere che non sia vero, ma lei le osservi.
Sul tema dell'informazione ambientale abbiamo dato alle reti e alle testate indicazioni abbastanza precise. Tutto questo, per ora, non è stato ancora trasferito in progetti di palinsesto; una volta che sarà stato fatto, informeremo la Commissione. Ribadisco, comunque, che il consiglio di amministrazione ha dato indicazioni molto precise su questi temi ai nostri editori interni, cioè le reti e le testate, ma non vi è ancora una programmazione di questo tipo. Ma i nostri editori si sono impegnati a tenere assolutamente in considerazione questo tema fra quelli segnalati nelle linee editoriali.
Per quanto riguarda gli aspetti più generali della qualità del servizio, vale quanto detto dal presidente. E passo all'educational. Spendiamo in formazione qualcosa come 25 miliardi, quest'anno, rispetto ai 3-4 dell'anno scorso. Diciassette di questi 25 miliardi sono spesi in iniziative mentre gli altri riguardano la gestione del personale. In un'azienda seria l'investimento nel settore della formazione dovrebbe essere intorno al 2-3 per cento, e in questo caso dovremmo spendere circa 80 miliardi. Non so se arriveremo a tanto, comunque abbiamo già effettuato un grande salto rispetto allo scorso anno, effettuando un investimento di quattro volte superiore a quello precedente. Fra le intenzioni del consiglio di amministrazione rientra quella di aggregare le aree che lavoravano separatamente in un unico dipartimento denominato educational. Finora, infatti, si occupavano del settore 5 o 6 aree (Videosapere, quella della cultura, quella per i ragazzi, la didattica e quella riguardante il piccolo esperimento concernente una rete educativa satellitare). Abbiamo deciso di raggrupparle tutte insieme. Ora siamo in una fase di studio di un progetto che sarà pronto fra due mesi. L'idea è di mantenere lo spazio di Videosapere come informazione in chiaro, e quindi di fare una rete educativa con una parte in chiaro, mentre tutto il resto deve cominciare a funzionare da satellite. In alcune scuole di Milano abbiamo avviato un esperimento in comune con il Ministero della pubblica istruzione, che ora si è allargato a scuole di Napoli, Cagliari e Torino e si dovrebbe concludere nel mese di novembre. In esso sono coinvolti sia gli alunni sia gli insegnanti; ci dovrebbe servire ad ipotizzare il vero rapporto tra domanda e offerta di questo settore educativo. Pertanto, il progetto è di fare dell'educational uno dei grandi temi del servizio pubblico televisivo, che finora non ha avuto un dipartimento educativo come gli altri servizi pubblici europei.
Per quanto concerne la situazione economica, forse è il caso di rinviare il discorso ad una sede in cui si possano affrontare in modo più compiuto queste tematiche.
Per quanto riguarda gli accordi internazionali, vi sono due livelli. In primo luogo, abbiamo un rapporto naturale con le televisioni pubbliche; con quelle europee, in particolare, siamo associati. Vi è quindi un rapporto istituzionale storico, tradizionale, fra le televisioni pubbliche. Poi vi sono i rapporti con singoli produttori o soggetti che operano in campo internazionale, ma non esiste una politica dei rapporti: si registrano situazioni di tipo occasionale.
Mi pare che il discorso sull'infanzia si possa tranquillamente fare insieme a Mediaset e a Telemontecarlo, trattandosi di temi che coinvolgono la televisione pubblica e quelle private con lo stesso grado di sensibilità. Forse si potrebbe riscoprire il ruolo del consiglio degli utenti, che è rappresentativo di tutti gli interessi del settore, per farne una sede nella quale, oltre che esprimere giudizi sulla nostra programmazione, si possa cominciare a fare dei progetti, rispetto ai quali ogni editore possa comportarsi un po' come crede. Ma rispetto a questo argomento, la sensibilità è talmente diffusa che forse si possono individuare vere e proprie forme di collaborazione.
Il tema delle nuove tecnologie dovrebbe essere affrontato in uno spazio un po' diverso da una risposta a una domanda. Esso è collegato al grande tema dell'informazione sulla nostra situazione economica. Forse converrebbe trattare insieme questi due temi per non dare risposte approssimative, dicendo che siamo interessati alla multimedialità, ma poi alla fine diventerebbe una cosa senza senso.
Sono state richieste alcune informazioni sulle troupes. Non le ho, ma appena le avrò le fornirò. Penso che ci si riferisca al fatto che spesso chiediamo a società esterne di effettuare alcuni tipi di riprese che noi non facciamo.
RINALDO BOSCO. Quello era un caso.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Allora converrebbe fare un discorso generale sulla situazione degli appalti o su quella del personale. Preferisco non dare risposte approssimative o limitandomi a dire che il personale non è aumentato: si rischia di fare una conversazione che si basa su dati oggettivi ma che non riflettono assolutamente il tipo di politica...
PRESIDENTE. Sarebbe utile una relazione ad hoc alla Commissione su questo aspetto.
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Sì, magari scegliendo alcuni settori: una parte relativa alle risorse economiche, un'altra sulle tecnologie e un'altra sul personale, anche perché queste sono le tre vere risorse dell'azienda. Su questi tre punti si potrebbe dare un'informativa molto precisa da discutere poi in Commissione.
Alla domanda sulla "campagna acquisti" rispondo che per ora non stiamo facendo grandi campagne, però non rifiutiamo un rapporto con il mercato.
RINALDO BOSCO. Riguardava la pluralità dell'informazione, non la "campagna acquisti".
FRANCO ISEPPI, Direttore generale della RAI. Sulla pluralità è già stata data una risposta; per quanto riguarda la "campagna acquisti", per ora siamo in una situazione di stasi.
Le altre domande sono più di carattere politico-culturale. Ad esse ha risposto il presidente o risponderanno adesso i consiglieri.
LILIANA CAVANI, Consigliere di amministrazione della RAI. L'onorevole Giulietti ha posto una questione interessante a proposito del magazzino della RAI. Essendo stata chiamata in causa insieme ai colleghi del consiglio di amministrazione per le nomine, ritengo fosse necessario farle perché paragono la RAI ad un forno che deve aprire tutte le mattine e il pane lo deve dare: quindi devono esserci la farina e qualcuno che lo cuoce.
PRESIDENTE. Forse il problema riguarda il perché si doveva cambiare il fornaio.
LILIANA CAVANI, Consigliere di amministrazione della RAI. Vi è quindi la necessità di andare avanti comunque, facendo la migliore scelta tra quelle possibili. L'impressione che ho sempre avuto - parlo innanzitutto da cineasta, perché tale rimango anche se faccio parte momentaneamente di questo consiglio di amministrazione - era che vi fosse un grande squilibrio tra le proposte di opere di fiction e di cinema nazionali ed europee e opere acquistate. La percentuale era in favore dell'acquisto in maniera schiacciante, per quanto riguarda sia Mediaset sia, soprattutto, la RAI, e questo è più deplorevole, anzi particolarmente deplorevole. Le tre reti, infatti, hanno bisogno di qualcosa come 2 mila opere di fiction all'anno. Credo che la RAI comprasse in una percentuale altissima, tra l'altro superiore anche alle previsioni delle direttive che la Commissione europea ha cercato di dare nel tempo. Si tratta di cifre che fanno molto riflettere. Si è parlato anche di identità culturale e della vocazione specifica della RAI: per me la vocazione specifica è una certa identità culturale dentro il mondo della comunicazione. Si è parlato qui di globalizzazione: credo che immaginiamo in misura assai piccola cosa significhi la globalizzazione. Ritengo che trovarsi al di fuori del mondo dell'offerta - e l'Italia lo è (non solo la RAI, ma anche Mediaset) - voglia dire versare in una situazione drammatica: vuol dire trovarsi fuori da un mondo che nel frattempo si è organizzato con cooperazioni, holding e altre cose del genere. Siamo in grande ritardo. Essere fuori dal mondo dell'offerta significa trovarsi al di fuori di una sorta di grande parlamento mondiale delle opinioni e del pensiero, o delle grandi lobby che contano (pensatela come volete); si tratta di essere fuori come cultura e come identità, oltre che come impresa. inoltre, non aver fatto abbastanza fiction e cinema vuol dire aver dequalificato molte categorie professionali del settore, in un campo che richiederà sempre di più giovani con specifiche professionalità. Ma non si è fatto nulla, abbiamo scuole quasi ridicole, come il Centro sperimentale, che ho frequentato dopo l'università (in tutto eravamo quattro italiani). Mi riferisco alla generale incapacità che abbiamo avuto di capire che uno dei settori dell'industria del futuro sarebbe stato quello della comunicazione, in cui noi arriviamo davvero tardi.
Uno dei dati più interessanti che potrebbe emergere nel corso di questo incontro con la Commissione di vigilanza è la necessità di vigilare tutti insieme sul ritardo gravissimo che abbiamo accumulato. Esso fa sì che non siamo in grado di offrire nostri prodotti, poiché si è pensato che fosse più facile ed economico comprare, comprare, comprare: non hanno fatto altro che comprare. La RAI ha un magazzino fermo da alcuni anni, o meglio, non ha magazzino: non avere quella che in genere si definisce library per una televisione vuol dire non avere nulla, perché sarebbe come una biblioteca senza libri. Sono rimasta sconvolta vedendo cosa accadeva: si compravano due o tre passaggi per film, ma alla fine si spendeva molto di più che con un acquisto. Di fatto, la RAI consuma ma non conserva nulla: non esiste un passaggio che sia ammortizzato dagli altri. Questo discorso lo può approfondire meglio di me chi è competente in materia di previsioni sulle necessità di fiction e cinema per essere all'altezza di un qualunque altro soggetto televisivo europeo.
Eppure, fatto strano, gli Stati Uniti ci invidiano la nostra televisione pubblica. L'esistenza di un pubblico e di un privato costituisce un aspetto fondamentale, perché un eccesso troppo grande di mercato ha fatto sì che negli Stati Uniti molte categorie sociali non siano più soggetti per la televisione. In Europa, invece, abbiamo ancora molte televisioni pubbliche abbastanza articolate: guarda caso, la nostra televisione è quella con meno ricavi di tutte; guarda caso, le ultime direttive ci vengono non dalla Grecia, non dal Portogallo (con tutto il rispetto per questi paesi), bensì dall'Inghilterra, dove il sistema televisivo ha funzionato politicamente, oltre che socialmente, fin da quando è nato, cioè dagli anni venti, quando era solo radiofonico, fino ai giorni nostri.
Non aver pensato ad una library costituisce per me un fatto sconvolgente. Ho sempre partecipato a dibattiti per la difesa del prodotto italiano ed europeo e delle professionalità insite nella presenza in queste produzioni. Questa mancanza ha costituito una grande responsabilità, perché ha coinvolto le tecnologie che da oggi vanno al futuro. Noi siamo fuori, insisto, è tardi, dobbiamo lavorare tutti e molto per entrare in questa sorta di parlamento globale, in cui si entra soltanto se si hanno opere da offrire.
PRESIDENTE. La Commissione accoglierà certamente il suo appello e dedicherà grande attenzione alla questione che lei ha sollevato, che è davvero importante.
FEDERICA OLIVARES, Consigliere di amministrazione della RAI. Intervengo brevemente per puntualizzare quanto rilevato dall'onorevole Lombardi con riferimento a possibili risultati di bilancio in perdita. Anche se abbiamo previsto una riunione interamente dedicata a questo tema, mi preme sottolineare tale aspetto in questo primo incontro con la Commissione, che si è rivelato - credo di interpretare l'opinione di molti colleghi - una sede di costruttivo lavoro, in quanto abbiamo ricevuto alcune sollecitazioni che ci inducono a focalizzare ancora di più la nostra attività. Questa, però, è anche la sede in cui si devono mettere a fuoco principi e criteri che governano il nostro agire quali amministratori. Non possiamo, infatti, dimenticare che siamo gli amministratori di una società per azioni, sia pure a prevalente partecipazione pubblica, con un azionista di riferimento.
La mia missione - che coincide certamente con quella di altri membri del consiglio di amministrazione - è quella di non tornare indietro rispetto ai risultati di bilancio conseguiti, pur tenendo conto delle difficoltà che si presenteranno nel 1997, con una legge di sistema che, secondo le prime previsioni, determinerà una riduzione di circa 600 miliardi delle risorse globali, con un progetto di qualità che i miei colleghi, in particolare Liliana Cavani, hanno esplicitato, oltre ad una volontà di competere sul mercato internazionale e di sperimentare su tutti i fronti.
Dinanzi a tali sfide, soprattutto in questa fase iniziale del nostro lavoro, non possiamo che lavorare alla luce del principio secondo cui non si torna indietro rispetto ai risultati di bilancio conseguiti; inoltre, in questa sede non si deve dare, non solo agli amministratori ma anche all'azienda che cerchiamo di presidiare, il messaggio secondo cui venga meno il controllo delle risorse e dei risultati conseguiti con l'utilizzo delle stesse.
Si tratta di una questione su cui ritengo che dobbiamo esprimerci subito con il massimo della responsabilità nei confronti di questi risultati, oltre che perseguendo il massimo di innovazione nel reperimento di nuove risorse. Tale aspetto andava sottolineato in una sede simbolica quale questo primo incontro con la Commissione.
FIORENZA MURSIA, Consigliere di amministrazione della RAI. Dagli interventi fin qui svolti, che ho ascoltato con interesse, ho rilevato che ci sono state rivolte moltissime domande alle quali in realtà è molto difficile dare una risposta nell'attuale situazione di incertezza legislativa. Vorrei quindi far presente alla Commissione, in uno spirito di collaborazione al quale ci si è richiamati da più parti e che considero necessario, che la conduzione di questa società sta attraversando un momento particolarmente difficile, proprio a causa dell'incertezza legislativa.
Chiedo pertanto alla Commissione di operare il controllo che rientra fra i suoi compiti specifici, ma anche di darci un aiuto costante con riferimento al percorso legislativo, facendo presente che attualmente si prevede una notevole riduzione di risorse ed un incremento dei costi per la nostra azienda. Quindi, oltre ad effettuare il normale controllo su quanto stiamo facendo, è necessario operare anche in funzione di ciò che forse dovremo fare. Sottolineo il termine "forse" perché è proprio l'attuale situazione di incertezza a determinare ulteriori difficoltà: infatti, non avendo chiaro e preciso l'obiettivo, dobbiamo operare (questo è l'invito che abbiamo rivolto al direttore generale e all'azienda) per strategie e simulazioni, pronti a rispondere a molte delle richieste avanzate.
Riprendendo in ordine sparso alcune delle questioni che sono state poste, devo sottolineare che in ordine al problema relativo all'ente di servizio o ai programmi potremo rispondere meglio in seguito.
Stiamo inoltre pensando alle reti tematiche, ma non sappiamo in quale direzione, in quanto non possiamo sviluppare strategie complete, ma soltanto operare per simulazioni. In tale contesto si colloca anche l'osservazione dell'onorevole Giulietti sulla rete federata ed un'altra questione posta dall'onorevole Paissan. In particolare, è stato chiesto se l'attuale assetto economico debba essere considerato contingente oppure si sia in presenza di un risanamento definitivo. Anche questo dipenderà da vari fattori: dobbiamo, per esempio, calcolare se vi sarà o meno una riduzione di risorse di 500-600 miliardi.
Per quanto riguarda l'incremento dei costi, vi sono certamente investimenti e strategie, ma sempre sotto forma di simulazioni: basti pensare che, se si dovrà operare con una rete federata (non sappiamo esattamente quale, anche se esiste all'interno della struttura una commissione che si occupa esclusivamente di questo problema), ne deriveranno costi che oggi sono difficili da prevedere.
In conclusione, l'invito che rivolgo alla Commissione è quello di effettuare non solo il controllo necessario, che noi stessi richiediamo, su quanto si sta facendo, ma anche di assicurarci la massima collaborazione in vista di quello che sarà il destino dell'azienda.
PRESIDENTE. Ovviamente non le sfuggirà che alcuni problemi attengono all'ambito legislativo più che ai poteri della nostra Commissione.
A questo punto, do la parola al consigliere Scudiero, che ha chiesto di intervenire.
STELIO DE CAROLIS. L'audizione non è finita: finora siamo soltanto, per così dire, ad un allegro aperitivo.
PRESIDENTE. Mi dispiace, senatore De Carolis, che lei dica questo, perché è stato l'ufficio di presidenza a definire il calendario dell'audizione odierna; non si tratta certamente di un aperitivo e ritengo doveroso ascoltare anche i consiglieri di amministrazione che chiedono di intervenire, in quanto dobbiamo valutare anche le loro volontà e decidere se siano rispondenti alle norme. Questo non mi sembra uno scandalo.
MICHELE SCUDIERO, Consigliere di amministrazione della RAI. Mi riconosco nelle dichiarazioni e nelle precisazioni rese dal presidente, dagli altri consiglieri di amministrazione e dal direttore generale della RAI.
Peraltro, ho chiesto di prendere la parola - desidero precisarlo - come atto di riguardo nei confronti della Commissione, affinché il mio silenzio non significasse, se non una dissociazione, una minore attenzione verso le questioni affrontate.
Ho chiesto quindi di intervenire per sottolineare innanzitutto l'importanza che attribuisco a questa sede di incontro, nella convinzione che il Parlamento rappresenti il punto più alto dell'esercizio della sovranità popolare. Credo pertanto che da questa Commissione il consiglio di amministrazione e l'azienda si aspettino soprattutto indirizzi. Anche se quest'organismo parlamentare viene più volte citato come Commissione di vigilanza, credo tuttavia (senza con questo affermare che la RAI debba sottrarsi alle verifiche e ai controlli) che, proprio nell'ambito della collaborazione e del rispetto dovuti nei confronti della sede parlamentare, questa sia innanzitutto la Commissione di indirizzo.
Quanto ai suoi poteri, la Commissione non può naturalmente inventare il proprio ruolo, in quanto vi sono leggi che ne fissano i compiti, anche se le formulazioni legislative vanno certamente interpretate nel quadro dell'esperienza concreta.
Comunque, l'interrogativo che è stato posto ci serve per introdurre la seconda notazione, che si collega a quanto affermava la collega Mursia in un discorso de iure condendo: mi riferisco al fatto che sulla RAI, anche per le ragioni che sono state illustrate dal presidente Siciliano, si è accumulata una stratificazione di autorità, competenze e poteri che riesce difficile dipanare; alcuni di questi problemi si profilano all'orizzonte: basti pensare al ruolo dell'authority, che dovrà essere definito; ma già adesso il ruolo del Garante è tutto da decifrare. Per non dire delle necessità di calibratura che già esistono all'interno dell'azienda, dove i ruoli del consiglio, del direttore generale e anche dei sindaci pongono non pochi problemi di interpretazione.
Penso che sia oggi una necessità fondamentale anche quella di tentare, se possibile, di snellire - mi permetto di consegnare questa riflessione alla presidenza della Commissione - il quadro istituzionale. Per non parlare delle gravi difficoltà che si presentano all'orizzonte per una riscrittura della legge di sistema (il cui disegno finora non ci è parso del tutto definito e percepibile), che è all'attenzione del consiglio, ma naturalmente come sede tecnica, essendo invece primariamente questa Commissione la sede politica.
Desideravo qui esprimere questo bisogno di deferenza nei confronti della Commissione, nonché quello di un segno alto di collaborazione, tenendo anche conto - mi si consenta di dirlo - che il compito al quale i Presidente dei due rami del Parlamento ci hanno chiamati non è agevole.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente, il direttore generale ed i consiglieri del consiglio di amministrazione della RAI per la disponibilità dimostrata.
Comunico ai colleghi che l'ufficio di presidenza è convocato alle 14,30.
La seduta termina alle 14,20.
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