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CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA

COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA

SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITA'

ILLECITE AD ESSO CONNESSE

15.

SEDUTA DI GIOVEDI' 16 OTTOBRE 1997

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO SCALIA

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori. *

Audizione dei rappresentanti di Italia Nostra, Legambiente, Greenpeace, WWF, Fare Verde, Ambiente e/è vita. *

 

La seduta comincia alle 12,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità della seduta sia assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

 

Audizione dei rappresentanti di Italia Nostra, Legambiente, Greenpeace, WWF, Fare Verde, Ambiente e/è vita.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti di Italia Nostra, Legambiente, Greenpeace, WWF, Fare Verde, Ambiente e/è vita.

Saluto i nostri ospiti e li ringrazio per le loro presenze.

Nel corso delle missioni che la Commissione ha svolto in alcune regioni italiane abbiamo già avuto modo di incontrare i rappresentanti di associazioni ambientaliste, che hanno mostrato molto interesse a questi temi ed hanno dato un contributo che riteniamo senz'altro utile anche per il rapporto fra le associazioni che rappresentano i cittadini (i quali rispetto a certi fenomeni manifestano interesse o anche preoccupazione) ed un momento istituzionale come la Commissione d'inchiesta.

Non voglio aggiungere altro e do subito la parola ai nostri ospiti.

FLORIANO VILLA, Presidente di Italia Nostra. Signor presidente, mi occupo di problematiche attinenti ai rifiuti da molto tempo sia perché sono conscio dell'alterazione ambientale che proviene dallo smaltimento e dal deposito dei rifiuti sia perché sono geologo; in quanto tale mi sono occupato più volte dei problemi relativi ai rifiuti soprattutto con riferimento all'inquinamento ambientale, cioè all'inquinamento delle acque.

Noto una certa superficialità nell'affrontare il problema dei rifiuti (a parte i casi di illeciti o di depositi abusivi, che rientrano nella materia penale e che vanno quindi perseguiti attraverso l'autorità giudiziaria). La metodologia spesso utilizzata per lo smaltimento dei rifiuti, la discarica, provoca sconcerto in coloro che conoscono le caratteristiche geologiche del sottosuolo, la vulnerabilità ambientale e la vulnerabilità delle acque in particolare. Manca infatti un approccio corretto.

In nessuna zona si tiene conto del fatto che il terreno è un elemento protettivo del sottosuolo. Depositare i rifiuti in zone nelle quali si è scavato, dove cioè si è rimossa la parte che proteggeva il sottosuolo, immettere sostanze tutt'altro che naturali, provoca sempre un completo peggioramento della struttura idrica sotterranea. Siamo infatti di fronte ad una degenerazione dei corpi acquiferi, soprattutto nelle zone più industrializzate del paese; faccio riferimento specialmente alla Lombardia perché vivo a Milano, ma per quanto riguarda le discariche mi sono occupato anche di molte altre zone. A Milano si utilizzano in maniera indiscriminata le cave, gli scavi, le ferite inferte al suolo, per depositare materiale infetto: RSU, prodotti di rifiuto speciale o addirittura prodotti tossico-nocivi.

Un secondo problema che noto con molto sconcerto riguarda l'individuazione dei siti: vengono scelte aree assolutamente non adatte, non adeguate, aree che addirittura rifiutano - per la loro situazione ambientale - la deposizione dei rifiuti. Mi riferisco, per esempio, alla dislocazione di una discarica in una zona bellissima che attualmente si trova al centro di una discussione; ho parlato del problema con i responsabili locali e con l'assessore regionale all'ambiente, che adesso sta riprendendo in mano la situazione. L'area di Gambassi Terme, a sud di Volterra, è la zona più bella della Toscana, vocata per un meraviglioso agriturismo: è stata scelta come zona comprensoriale della provincia di Firenze per il deposito dei rifiuti. Questo vuol dire non aver capito assolutamente quali sono le prerogative fondamentali dell'ambiente e del paesaggio italiano: bisogna evitare che avvengano queste cose, occorre cambiare tendenza per la scelta dei siti nei quali dislocare le discariche, è necessario comprendere in che modo ci si può muovere nella giusta direzione.

Come geologo posso dire che non è mai stata realizzata una ricerca ben fatta per individuare località per le eventuali discariche. Fra parentesi, il decreto Ronchi prevede che da un certo momento le discariche praticamente non siano nemmeno più utilizzate, e la stessa Unione europea dice che con una buona raccolta differenziata le discariche dovrebbero essere quasi superflue. Penso però che in Italia se ne faranno ancora, tanto che sono state avviate tutte quelle che si teme non possano entrare in funzione prima del 2000.

Per realizzare una discarica occorre trovare siti adatti. E mi assumo la responsabilità di dire che in Italia esistono siti adatti per una discarica. Devono però essere osservate tre condizioni fondamentali.

Innanzitutto, il terreno deve essere in piano, in modo che la discarica non possa muoversi. Attualmente, invece, vengono predisposti molti progetti su pendii, incisioni vallive, zone alte: tutti terreni che prima o poi finiranno a valle. E' un fatto che assolutamente non può essere accettato.

In secondo luogo è necessario un sottofondo impermeabile naturale. Non possiamo assolutamente fidarci dei teli, perché non sappiamo quali risultati questi materiali daranno dopo un certo tempo (non è stata effettuata alcuna prova). Di regola i risultati sono molto diversi da quelli immaginati da coloro che pensano di manovrare il suolo ed il sottosuolo. In sostanza, occorre uno strato di argilla ad alta impermeabilità, una impermeabilità tale da far sì che niente passi attraverso, per evitare qualsiasi percolamento nella parte sottostante. Spesso un controllo del genere non viene effettuato: in Italia, invece, esistono zone nelle quali vi sono sei o sette metri di argille naturali, che possono benissimo servire come sottofondo per discariche su un territorio pianeggiante.

In terzo luogo, occorre tener conto del problema molto importante delle acque. L'andamento idrogeologico deve essere centripeto: tutte le acque devono confluire nella zona della discarica, non il contrario (andamento centrifugo: le acque partono dalla discarica e si diffondono dappertutto). L'andamento delle acque, quindi, deve essere endoreico - come si dice in geologia - e non esoreico: verso il centro e non verso l'esterno.

A queste tre condizioni fondamentali si può effettivamente pensare di ubicare una discarica in una certa area garantendo la sicurezza dei cittadini e dell'ambiente.

Naturalmente vi è poi tutta la problematica delle discariche abusive. In questi giorni mi sto occupando di un terreno fabbricabile destinato ad edilizia popolare (naturalmente non citerò il comune): lo scavo ha messo in evidenza uno strato di sei metri di materiali di scarico depositati negli anni cinquanta e sessanta. C'è dentro di tutto, qualcosa di terribile; è assolutamente inevitabile che sia interamente portato via (per una superficie di 25 mila metri quadrati). Si tratta di una zona precedentemente non considerata area di discarica abusiva, ma in effetti è stata utilizzata in tal senso da persone sicuramente poco scrupolose.

Casi del genere si verificano spesso in aree dismesse che sono state sede, per esempio, di attività industriali; accade frequentemente in tutto il nostro paese. Discariche abusive sono presenti al nord come al sud; e spesso (lo sappiamo benissimo) nel meridione sono riempite con materiali provenienti dal nord.

Tutti questi problemi devono essere naturalmente affrontati; a suo tempo non si è badato ad alcune regole fondamentali che avrebbero dovuto, invece, essere rispettate.

PRESIDENTE. La ringrazio, perché ha messo il dito su due piaghe dolenti. La prima è ben nota alla Commissione e riguarda gli sversamenti abusivi che nel corso del tempo riservano sorprese a chi voglia destinare i terreni ad altri scopi. La seconda riguarda la qualificazione tecnica del sito per un impianto, in particolare per una discarica; su questo tema forse la nostra Commissione può fare qualcosa.

L'ex direttore del Servizio geologico nazionale, Todisco, ci ha ricordato che purtroppo, a fronte di un servizio reso, in alcune situazioni qualificate dal punto di vista geologico ed idrogeologico, le scelte operate dai decisori politici raramente hanno coinciso con un livello ottimale di qualificazione tecnica. In proposito credo che la Commissione possa richiamare l'attenzione delle regioni, che dal punto di vista legislativo sono titolari dell'adozione dei piani di smaltimento rifiuti con l'individuazione dei siti per le discariche. E' necessario che questa individuazione prevenga una serie di problemi, come quelli da lei ricordati poco fa; e l'unico modo per prevenirli consiste nel dare ai cittadini una garanzia di qualificazione tecnica secondo i criteri da lei riassunti sinteticamente, gli unici che consentono di realizzare le discariche. Talvolta la mancanza di consenso dovuta a scelta sbagliate fa sì che anche in presenza di strati di 15 metri di argilla si creino comitati di cittadini preoccupati per la scelta di un certo sito.

FLORIANO VILLA, Presidente di Italia Nostra. Vorrei aggiungere che un problema fondamentale è costituito dalla mancanza di cartografie di rischio, cioè di vulnerabilità geonaturale. E' indispensabile che i comuni si dotino di carte di rischio, non a scala 1:250.000 (a un centimetro corrispondono due chilometri e mezzo di territorio), come accade oggi, ma a scala 1:2.000 o 1:5.000 (ad un centimetro corrispondono venti o cinquanta metri). Se i comuni disponessero di cartografie ben fatte, non credo che sorgerebbero ancora comitati di opposizione. In merito a questo problema credo che la Commissione possa dare un utile contributo.

FERDINANDO FERRARA, Rappresentante di Ambiente e/è vita. Signor presidente, preannuncio preliminarmente che trasmetteremo alla Commissione un documento scritto, che non siamo riusciti a produrre in tempo per l'audizione odierna.

Venendo al merito delle questioni di cui ci stiamo occupando, sottolineo che nella stragrande maggioranza dei casi il problema dei rifiuti rappresenta un'emergenza che giustifica l'esistenza della vostra Commissione. Infatti le intromissioni e le influenze della malavita organizzata hanno prodotto i risultati che tutti conosciamo. Nell'ambito della nostra associazione si è sempre ritenuto che la confusione nella normativa sui rifiuti abbia reso sicuramente più facile la vita a chi voleva intervenire nel settore con intenti non legali. Mi riferisco all'attuale insufficiente certezza e chiarezza del diritto nel campo dei rifiuti, dovuta alla stratificazione, alla sovrapposizione ed alla complessità delle norme che disciplinano la materia.

Il decreto Ronchi si è proposto di razionalizzare il settore recependo le tre direttive comunitarie. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare durante le audizioni svoltesi a margine del procedimento legislativo, il decreto ha lasciato fuori altre tre direttive riguardanti l'incenerimento dei rifiuti (in particolare di quelli pericolosi), sui quali siamo ancora molto in ritardo. L'obiettivo del decreto - come dicevo - era procedere ad una razionalizzazione, offrendo un quadro normativo molto più chiaro e semplice, al fine di scoraggiare l'infiltrazione di attività malavitose nel settore dell'ambiente ed in particolare dello smaltimento dei rifiuti. Non mi sembra che fino ad oggi questo obiettivo sia stato raggiunto. Da più parti è stato sottolineato che la presenza di 71 decreti attuativi del decreto Ronchi dovrebbero comportare (come qualcuno si è divertito a calcolare) la conclusione dell'iter complessivo nel 2010. Questo lascia intendere chiaramente che l'obiettivo prefissato non è stato raggiunto.

In proposito vorrei citare un esempio. Uno dei primi decreti attuativi, riguardante proprio il riciclo, prevedeva l'introduzione di nuove norme tecniche e doveva essere emanato entro l'8 agosto (in sostituzione dei decreti del settembre 1994 e del gennaio 1995, sul riciclo di materiali per la produzione di energia). Ronchi ha inviato il nuovo schema di decreto all'Unione europea per il prescritto parere; la risposta è attesa entro 90 giorni (quindi non sarà possibile completare gli adempimenti entro il 1998). Nel frattempo è stato necessario adottare una proroga dei precedenti decreti.

In sostanza uno dei passi fondamentali, la semplificazione della normativa, non è stato compiuto; sarebbe invece stato importante per dare chiarezza, per limitare le incertezze interpretative, per rendere più facili i compiti di controllo nel settore.

A questo punto vorrei sottoporre all'attenzione dei parlamentari una serie di casi specifici che credo potrebbero dare alla Commissione spunti per nuove indagini ed ispezioni.

Per quanto concerne il problema dell'amianto non sono stati ancora completati i censimenti regionali. Attualmente si registra un vero e proprio monopolio nella discarica di Barricalla di Orbassano. Si tratta dell'unica discarica di tipo 2C autorizzata in Italia; per la verità ne esiste un'altra, quella di Vasto, ma è di difficile accesso per gli operatori perché è limitata al servizio locale, riguardante la zona industriale di Vasto. Quindi per lo smaltimento finale dell'amianto in Italia è autorizzata una sola discarica. Si è creato così un vero e proprio monopolio, con tutte le conseguenze che da ciò possono derivare. Per esempio, vi sono grosse difficoltà da parte degli operatori, perché i costi sono molto elevati: dai dati di cui disponiamo, lo smaltimento dell'amianto va dalle 2.000 alle 5.000 lire al chilogrammo. Qual è il problema? Il problema è che, secondo l'attuale legislazione, l'amianto non può essere stoccato e trattato: non appena smantellata una struttura che contiene amianto, si è costretti immediatamente, se non si vuole incorrere nei rigori della legge, ad impacchettarlo e a portarlo in questa discarica.

Oggi vi sono sistemi termici e di altro tipo che permettono l'inertizzazione dell'amianto, dopo che è stato classificato: è noto infatti che di amianti ve ne sono diversi tipi, con fibre di differenti caratteristiche. So per certo che lo stesso CNR, massimo ente di ricerca italiano, ha brevetti per il trattamento e l'inertizzazione dell'amianto, brevetti che vengono utilizzati correntemente all'estero ma che noi non possiamo utilizzare perché l'articolo 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1994 impedisce lo smaltimento, il trattamento e l'inertizzazione dell'amianto, che intanto verrebbe declassificato e potrebbe essere portato in una qualsiasi discarica per rifiuti speciali o per rifiuti inerti, ma poi si aprirebbero, nella filosofia del riciclo, tutte le possibili strade di riutilizzo come rilevato stradale e così via.

Sappiamo comunque che il 25 giugno 1996 è stato presentato l'atto Camera 1635, concernente norme in materia di stoccaggio dei rifiuti di amianto, che supererebbe questo impasse legislativo e che quindi permetterebbe la declassificazione dei rifiuti da amianto ed un loro più facile e sicuro smaltimento. Se infatti un amianto che è classificato tecnico-nocivo dopo l'inertizzazione viene classificato inerte, si è comunque fatto qualcosa in tema di protezione dell'ambiente.

Voglio poi sottolineare un altro caso di monopolio, sicuramente nell'ambito della regione Lazio ma forse (non ho comunque dati certi al riguardo) a livello nazionale. E' il caso veramente anomalo relativo ad una società di smaltimento e trattamento dei rifiuti che si chiama Ecocentro e che è localizzata nel comune di Pomezia. Essa agisce in regime di monopolio perché so che è l'unico centro nel Lazio autorizzato per tutte e 28 le classi dell'allegato A al DPR n. 915. Fin qui nulla di male, anche se c'è da rilevare la singolarità di tale autorizzazione. Poiché negli ambienti che si occupano di questi problemi girano voci di coperture da parte degli organi di controllo, chiediamo ufficialmente alla Commissione di verificare questa situazione, nell'interesse di tutti. Speriamo che venga dimostrato che la società Ecocentro è al di sopra di ogni sospetto e che le voci che girano sono destituite di ogni fondamento. Sappiamo che a questo proposito l'ANPA, l'Agenzia nazionale per l'ambiente, è stata sollecitata ultimamente in relazione agli adempimenti del DPR n. 175.

Vorrei sottolineare che l'ANPA è un osservatorio proprio perché il 75 o l'80 per cento dei suoi dipendenti provengono da esperienze professionali che riguardano una tecnologia, quella del nucleare, altamente sofisticata; proprio perché si tratta di professionalità specifiche nel campo delle analisi di rischio, riteniamo che fino ad oggi l'ANPA sia stata dimenticata e sottovalutata, mentre le potenzialità che tale agenzia può esprimere a vantaggio dell'intera collettività sono notevoli. Fino ad oggi, a quattro anni dall'emanazione della legge n. 61, sembra che le attività dell'ANPA si siano limitate ad una serie di convegni, ancorché interessanti. Una delle cause del suo mancato avvio è senz'altro l'incertezza riguardante la situazione contrattuale ed il trattamento giuridico ed economico dei suoi dipendenti, che a quattro anni dall'istituzione non sono stati definiti. D'altronde, l'ultimo disegno di legge approvato dal Senato che autorizza il ministro Ronchi ad elevare l'organico del Ministero dell'ambiente a 900 unità va contro la filosofia che ispira la legge n. 61, che è quella di creare un organo tecnico centrale ed organi tecnici sul territorio, le ARPA, in linea con le indicazioni di politica generale degli ultimi tempi improntate al federalismo. L'ANPA, ai sensi dell'articolo 1 della legge citata, è il soggetto cui si demanda l'omogeneizzazione della normativa tecnica sull'intero territorio nazionale, proprio per far sì che le ARPA non vadano ciascuna per conto proprio.

Un altro esempio che vorrei portare è quello dell'Infernaccio, una zona sita alla Magliana, a Roma. C'è una discarica degli anni ottanta in cui sappiamo con certezza che ci sono rifiuti di tutti i tipi, sicuramente anche tossici e nocivi. C'è un progetto di bonifica. Mi fermo un attimo per fare un inciso. Riguardo alla bonifica, uno degli aspetti che abbiamo contestato all'atto dell'emanazione del decreto Ronchi è proprio quello dell'articolo 17, concernente la bonifica dei siti contaminati. Riteniamo che sia stato compiuto un errore concettuale grave, quello di inserire in una norma quadro sui rifiuti le norme riguardanti la bonifica dei siti contaminati, quasi a voler intendere che una porzione di territorio possa essere contaminata solamente da rifiuti. E' senz'altro vero che la contaminazione della stragrande maggioranza dei siti deriva da rifiuti, ed in particolare dall'enorme numero di discariche mal gestite e non autorizzate; ma un sito può essere inquinato per una molteplicità di cause, tra le quali vi sono i serbatoi interrati e gli incidenti di trasporto. Riteniamo dunque che la bonifica dei siti contaminati sia argomento da trattare a parte. In ogni caso, della disposizione normativa che ho citato mancano i decreti applicativi che fissino gli standard per la bonifica dei siti, che precisino cioè quand'è che un sito si intende contaminato e quando decontaminato.

Tornando al caso dell'Infernaccio, sottolineo che esiste un progetto di bonifica, ma che il Lazio non ha ancora ottemperato alla previsione del decreto ministeriale del 25 maggio 1989 che impone alle regioni il censimento dei siti, censimento che deve servire a fissare le priorità nel breve e nel medio termine. In sostanza, nel territorio del Lazio, chi stabilisce che la zona dell'Infernaccio ha la massima priorità e che non ci siano altre zone nella regione, quali Riano, Guidonia, Latina o altre ancora, in cui sia più urgente intervenire perché le condizioni di inquinamento dell'ambiente o le esigenze di tutela della salute dei cittadini in quella zona siano più impellenti di quelle dell'Infernaccio? E ancora, quali tecnologie di decontaminazione verranno utilizzate? I materiali di risulta, quando si andrà a scorticare quel territorio, dove verranno portati? Mi sembra che tutto, come al solito, sia lasciato al caso.

Altro caso di importanza nazionale è quello di Pitelli, dove so che siete già stati. In altre sedi, in particolare con il pubblico ministero che si occupa dell'inchiesta, il dottor Franz, abbiamo già sollecitato, e ne approfittiamo per sollecitare i membri di questa Commissione, all'utilizzo di un sistema di indagine non invasivo che, per ciò che ne sappiamo, può dare risposte estremamente chiare, in tempi molto rapidi e a costo zero per la collettività. Questo sistema, che è progettato e gestito dal massimo ente di ricerca italiano, il CNR, e che si chiama LARA (Laboratorio aereo di ricerche ambientali), dovrebbe essere un vanto della tecnologia e della ricerca italiana perché, acquistato dalla NASA qualche anno fa con un numero di canali pari a 54, è stato portato dall'Italia a 300 canali, ed ora il nostro è l'unico paese al mondo - neanche la NASA ce l'ha - ad avere un numero così elevato di canali. E' noto che il numero di canali indica la capacità di indagine e le possibilità di risultato che il sistema può garantire. Perché su Pitelli non si riesce ad utilizzare questo sistema? Ci sono gravi preoccupazioni nella popolazione circostante, e voi stessi sapete che dalla discarica continuano ad originarsi sicuramente inquinamenti del mare, inquinamenti della falda ed un inquinamento atmosferico che impatta sulla salute dei cittadini. E' un'altra vicenda tipica della storia italica degli ultimi anni, di cui non si riesce a venire a capo. Si è andati a fare le analisi in Svizzera, ma i risultati ancora non si conoscono. Perché non si fa un ulteriore tentativo con un sistema che, ripeto, dovrebbe avere enormi capacità per leggere anche in profondità e che non costerebbe nulla alla collettività?

Un'ulteriore situazione riguardante il Lazio è quella che attiene alla società Consortium, che è di Frosinone. Questa società è stata citata in varie inchieste, perché sembra che abbia certificato la declassazione dei rifiuti tossici e nocivi come rifiuti speciali, e che in tale certificazione di declassificazione dovrebbe esserci la responsabilità dell'Ordine dei chimici. Chiediamo alla Commissione di indagare in modo approfondito sulla situazione.

L'ultimo caso che vorrei citare è emblematico, anche se poco citato nelle cronache nazionali, e si riferisce ad una discarica che si trova in provincia di Pesaro, a Tavullia. E' una vicenda infinita, sulla quale mi limiterò a fornire ai membri della Commissione spunti che possano servire ad acquisire un minimo di conoscenza; se poi riterrete di andare a verificare direttamente, andrete più in profondità.

La vicenda inizia nei primi anni novanta, quando uno studio svolto per conto del comune di Tavullia evidenzia che le valutazioni geologiche in merito al sito della discarica, effettuate dal gruppo di lavoro costituito dalla giunta regionale, non corrispondono a quelle relative alla reale situazione del territorio. A seguito di analisi effettuate dalla USL 3 si verifica che prelievi dell'acqua dal sottotelo indicano inquinamento da ferro e manganese. Ulteriori indagini, effettuate sempre dalla USL 3, mostrano concentrazione di ferro e manganese due volte superiore al limite di legge ed indicano un inquinamento della falda. I gestori della discarica a questo punto dirottano il flusso idrico inquinante del sottotelo con una tubazione direttamente nella vasca del percolato, per occultare il fenomeno di inquinamento (ciò avviene nell'agosto 1992). A seguito di smottamenti del terreno, perché la discarica è costruita su un pendio, si verificano danni ai cordoli di calcestruzzo che fissano il manto impermeabile, che rimane fessurato e lesionato.

Il 22 gennaio 1993 la polizia provinciale e la dottoressa Cecchini riscontrano la presenza di movimenti franosi che hanno interessato le guaine impermeabili della discarica e denunciano, tra l'altro, la mancanza del cancello carraio. Il TAR delle Marche, sollecitato dai ricorrenti, dichiara l'illegittimità della scelta del sito di Ca' Asprete evidenziando che la verifica della compatibilità ambientale non ha tenuto conto che l'area "è sottoposta a tutela orientata per avere più del 30 per cento di pendii superiori a 15 gradi con divieto di realizzazione di discariche". La discarica viene chiusa; la giunta regionale delle Marche la riapre con decreto del presidente della giunta regionale; una sentenza del TAR delle Marche annulla la delibera della giunta regionale e la discarica viene nuovamente chiusa. I carabinieri di Pesaro e Tavullia accertano che il cancello della discarica nelle ore notturne non era bloccato e denunciano i gestori della discarica per mancata custodia.

Nell'ottobre 1995 si verifica un'ulteriore frana in discarica per un fronte di 80 metri con sprofondamento della recinzione esterna. I periti nominati dal pretore concludono che "dall'esame dei progetti presentati nell'ambito della progettazione dal primo, secondo e terzo lotto si evidenzia come essi sono diversi l'uno dall'altro; in particolare le opere previste nella prima progettazione e nella seconda sono diverse da quelle riportate nella terza e nella quarta come se, indipendentemente dal progetto inizialmente approvato, in sede di realizzazione si fosse proceduto in modo difforme (...) le modalità di realizzazione (esempio sbancamento) non risultano conformi a quanto previsto nella progettazione del primo lotto (...) la coltivazione e la gestione della discarica avviene ed è avvenuta senza una preventiva verifica da parte delle autorità di controllo. L'impianto di combustione e di biogas attivato dopo l'emanazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 203 del 1988 doveva essere preventivamente autorizzato da parte dell'autorità di controllo mentre solo in data 22 marzo 1995 fu presentata alla regione una comunicazione ai sensi del decreto-legge 9 marzo 1995, n. 66. Nei lotti secondo e terzo inoltre ristagnava una rilevante quantità di acqua".

Alla fine due sentenze della pretura circondariale di Pesaro, depositate il 19 e il 29 gennaio 1966, scagionano il direttore facente funzioni ed il dirigente della discarica ed i reati a lui attribuiti vengono dichiarati estinti per avvenuta oblazione. Si asserisce, nella sentenza, che si è posto rimedio alle prescrizioni dell'autorizzazione e che la contaminazione riscontrata sia nelle acque superficiali sia in quelle di sottotelo non è attribuibile al percolato della discarica.

PRESIDENTE. La ringrazio per aver portato all'attenzione della Commissione molti problemi concreti, particolarmente con riferimento ad una tematica generale che sarà senz'altro oggetto dell'interesse della Commissione e probabilmente anche dei Comitati che abbiamo iniziato a costituire e che ancora non abbiamo completato: mi riferisco al tema dell'amianto. Esso è stato oggetto di attenzione anche da parte della precedente Commissione monocamerale d'inchiesta ed è ben lungi dall'essere risolto.

Per quanto riguarda i casi che lei ci ha segnalato, vedremo quello che potrà essere fatto, tenendo conto che la nostra Commissione non può surrogare l'attività della polizia o dell'autorità giudiziaria, che si spera di solito siano quelle che intervengono per prime su situazioni del genere. Ovviamente, possiamo sollecitare gli enti preposti e richiamare l'attenzione pubblica sul tema, il che generalmente favorisce un clima di maggior controllo su episodi come quelli che lei ha denunciato.

Tra l'altro, la Commissione effettuerà una missione nel Lazio la prossima settimana e quindi terremo conto delle indicazioni che lei ci ha fornito a proposito di questo territorio.

PAOLO COLLI, Presidente di Fare verde. Ringraziando la Commissione per l'invito, vorrei rivolgervi un'implorazione, per così dire, quella di darci un maggior preavviso: abbiamo avuto notizia di questa audizione solo ieri pomeriggio.

PRESIDENTE. Scusateci, ma questa audizione è vissuta un po' sull'onda del dibattito parlamentare sulla fiducia: fino a pochi giorni fa non si sapeva quando il Presidente del Consiglio sarebbe venuto alle Camere, per cui abbiamo avuto qualche problema. Mi dispiace di avervi causato difficoltà ma era comunque preferibile ascoltarvi piuttosto che posticipare l'audizione.

PAOLO COLLI, Presidente di Fare verde. Certamente abbiamo avuto poco tempo e vi invieremo una nota successivamente; ci tengo tuttavia a lasciarvi qualcosa fin d'ora. L'occasione è comunque utile se potrà servire a farci capire come le associazioni ambientaliste possono essere d'aiuto al lavoro della Commissione: gli uffici mi hanno detto che quest'ultima è sempre disponibile a ricevere segnalazioni su situazioni puntuali o su temi più ampi.

Abbiamo seguito da vicino il lavoro svolto dalla Commissione monocamerale d'inchiesta da lei presieduta: sono state inseguite - era questo il lavoro da fare - le emergenze segnalate da tutta Italia, anche se prevalentemente dal sud. E' stato però un vostro merito evidenziare situazioni gravi (come Lacchiarella e quella ora citata di Pitelli a La Spezia) di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi che ogni tanto venivano a galla.

Penso sia necessario cercare di mettere a fuoco soprattutto come venga attuato il decreto Ronchi, sicuramente lodevole per gli obiettivi che si propone ma che allo stesso tempo - dato il gran numero di decreti di attuazione che necessita per essere applicato - richiede che si stia un po' con il fiato sul collo della pubblica amministrazione e dei consorzi per quanto riguarda la sua attuazione. Non bisogna aspettare dieci anni, come è avvenuto per la legge n. 475 e ancora prima con il DPR n. 915, per accorgersi che c'è un difetto di applicazione per cui vi sono rifiuti - come deve accertare la stessa relazione sullo stato dell'ambiente - che non si sa dove vadano a finire: si tratta dei rifiuti speciali e di quelli tossico-nocivi.

Da parte nostra é opportuno capire come la Commissione intenda lavorare e se sia disponibile anche in seguito a ricevere segnalazioni da parte delle associazioni ambientaliste nonché a consultarle costantemente, non limitandosi a questo primo appuntamento nel quale vi forniremo una quantità di indicazioni che non sapremo come verranno verificate concretamente.

Cominciamo a pensare che l'infiltrazione mafiosa non interessi più solo le discariche (probabilmente essa si aggiorna più velocemente di quanto possiamo pensare): ieri sera in televisione si è visto l'esempio di una discarica dalle parti di San Giuseppe Iato che aveva bisogno dei militari per funzionare (ovviamente non funziona ancora). A nostro avviso il decreto Ronchi insiste molto sull'incenerimento, che sembra quasi una soluzione privilegiata al problema dei rifiuti. Ci è capitato spesso di sentir dire da parecchie pubbliche amministrazioni che gli impianti di incenerimento e di compostaggio rappresentano quasi una bacchetta magica, nel senso che essi possono evitare la discarica. Un esempio è stato l'impianto di Col Felice, che abbiamo seguito da vicino: dopo essere stato chiuso per molti anni, sembra quasi che ora abbia risolto pressoché tutti i problemi della provincia di Frosinone. In realtà, l'impianto di Col Felice in questo momento sta semplicemente aspettando un inceneritore che bruci quello che riesce a produrre. Sotto il profilo del recupero dei materiali questo tipo di impianti mostra infatti la corda: anche se si riesce a tenerlo pulito (magari ogni tanto va pure a fuoco) esso non risolve il problema, perché in realtà è un impianto preparatorio di materiale combustibile per inceneritore.

Richiamiamo quindi la vostra attenzione sia sul modo in cui viene effettuato il recupero dei rifiuti, sia sul vero possibile significato del decreto Ronchi a proposito di riciclaggio dei rifiuti. Quale ruolo possono svolgere i cosiddetti impianti di compostaggio, se non si riducono ad essere (come avviene oggi, data l'attuale tecnologia) impianti preparatori per gli inceneritori e dirottatori del compost di serie B verso le discariche? Allo stesso tempo, si deve verificare se la soluzione degli inceneritori rappresenta davvero quella mano santa che si vuol fare apparire: in realtà bisognerebbe andare coi piedi di piombo.

A questo proposito citavo prima i nuovi consorzi ed il modo in cui intenderanno lavorare. Forse vi potrà sembrare strano, ma abbiamo intenzione di lasciare agli atti il bollettino della campagna "produrre ed acquistare meno rifiuti", di cui fanno parte un po' tutte le associazioni ambientaliste e che ha sede presso l'Ecoistituto del Veneto, il cui coordinatore è Michele Boato, che sicuramente conoscerete meglio di me.

L'ANSA ha riportato un dato per me piuttosto inquietante. Gli ambientalisti definiti "estremisti" lo dicono da tempo: il vicepresidente del consorzio Replastic, in un convegno, ha detto testualmente che è inutile continuare a riciclare la plastica perché il mercato italiano è saturo e non assorbe più di 60 tonnellate - ripeto: 60, non 6 mila tonnellate - di plastica rigenerata ogni anno. Il dato è stato verificato ed è preoccupante: se la percentuale minima di riciclaggio per il materiale da imballaggio è del 15 per cento, la cosa desta qualche preoccupazione; se poi tutto ciò viene detto dal vicepresidente del consorzio Replastic, dà da pensare e c'è da chiedersi dove vada a finire tutto il resto della plastica.

Se verifichiamo i dati della Replastic nella relazione sullo stato dell'ambiente e leggiamo tra le righe, apprendiamo che si parla molto di incremento della raccolta differenziata della plastica ma non si spiega come essa venga impiegata. Si dice che in parte viene incenerita (e si citano nuovamente le 60 tonnellate) perché questa sarebbe l'unica via. Mi chiedo allora se la raccolta differenziata serve per bruciare la plastica: non sarebbe forse il caso di limitare drasticamente l'impiego di questo materiale e dei prodotti usa e getta? In caso contrario, si darebbe vita ad un serpente che si morde la coda.

Su tutto ciò vorremmo richiamare l'attenzione della Commissione. Ho parlato del compostaggio: la frazione umida secondo noi, per essere effettivamente recuperata ed efficacemente riciclata, richiede una raccolta differenziata e non un cieco affidamento agli impianti di compostaggio. Vi invitiamo inoltre a vigilare sulla costruzione degli impianti di incenerimento e sul loro costo: lasciamo agli atti questa newsletter della campagna "produrre meno rifiuti" che contiene uno studio sui veri costi dell'incenerimento e su come fare correttamente il compost, per evitare che finisca in discarica o che gli agricoltori ce lo tirino dietro.

Siamo poi disponibili a fare da monitor sul territorio e segnalarvi situazioni particolari. Noi abbiamo trovato difficoltà, come piccole associazioni, soprattutto in provincia di Frosinone: mi pare che il procuratore fosse Orazio Sapia. Si producevano esposti su esposti e tutto veniva archiviato; abbiamo avuto la consolazione che qualcun altro abbia pensato che qualcosa non funzionava. Anche voi notavate che soprattutto in Campania ed in alcune province del sud la magistratura - che forse avrà problemi più grossi - potrebbe, partendo dai rifiuti, arrivare a colpire la criminalità mafiosa, la quale si è accorta già da moto tempo che i rifiuti sono un affare assai lucroso e che può rendere molto a fronte di pochi investimenti. Se è necessario compiere investimenti più grandi (in provincia di Caserta esistono impianti di compostaggio iniziati e mai terminati) non ha certamente problemi a reperire i soldi per farlo.

Riassumendo, richiamiamo la vostra attenzione sull'attuazione del decreto Ronchi, sul controllo dell'attività dei consorzi per un vero recupero dei materiali e degli imballaggi e sulla necessità di una consultazione costante e di una disponibilità verso le associazioni ambientaliste, che potranno fornirvi segnalazioni che non trovano altro organo disponibile a recepirle.

PRESIDENTE. Posso risponderle immediatamente che, per quanto riguarda il rapporto tra la Commissione e le associazioni ambientaliste, i comitati di cittadini o singoli cittadini, non abbiamo certamente grandi mezzi di comunicazione. Tuttavia, incontri come questo o come quelli che avvengono durante le missioni sul territorio consentono di far conoscere l'azione della Commissione. Tutti coloro che si vogliono rivolgere a noi per segnalare problemi possono farlo seguendo le vie ordinarie. Spero che la situazione logistica di palazzo San Macuto migliori, e ci consenta di mettere in funzione un numero telefonico deputato a raccogliere tali segnalazioni.

Inoltre, su due temi che lei ha sollevato la Commissione - sulla base della sua legge istitutiva - ha dato vita ad appositi Comitati. Il primo ha il compito di verificare l'impatto legislativo del decreto Ronchi sull'amministrazione, sugli operatori e sulle imprese ed è coordinato dal vicepresidente Gerardini. Il secondo si occupa, più in generale, di tutti gli aspetti amministrativi a livello comunale, provinciale e regionale e di una comparazione delle leggi regionali e dei piani di smaltimento dei rifiuti per disporre di un quadro sinottico dei problemi delle amministrazioni in ordine alla gestione del ciclo dei rifiuti, ed è coordinato dal vicepresidente Specchia. In sostanza, i temi che lei ha sollevato sono già oggetto di attenzione da parte della Commissione, che ha pensato di istituire gruppi di lavoro ad hoc.

Per quanto riguarda gli inceneritori, le posizioni sono diverse. Francamente, sono tra coloro che non leggono nel decreto Ronchi un particolare favore verso gli inceneritori, quanto piuttosto una presa d'atto che è necessario rispettare le priorità europee, vale a dire la riduzione a monte della produzione di rifiuti attraverso la progettazione di merci che incorporino dall'origine il massimo di riciclabilità ed il minimo di rifiuto non utilizzabile. Inoltre, la raccolta differenziata deve essere indirizzata al massimo di recuperabilità possibile. Solo a questo punto interviene il termodistruttore. Dicevo nei giorni scorsi ad una tavola rotonda organizzata dal centro di informazione sul PVC, che è parte rilevante della plastica, che gli inceneritori non bruceranno plastica perché ciò è espressamente vietato dal decreto Ronchi e soprattutto dall'allegato tecnico, che effettivamente però non ha ancora visto la luce per i duri contrasti esistenti almeno con una parte del mondo industriale. Mi pare comunque di non essere ottimista se dico che negli inceneritori non si brucerà plastica. Ove questo accadesse, la Commissione avrebbe un compito da svolgere perché è noto a tutti ciò che accade in caso di combustione della plastica.

Sugli impianti di compostaggio, nel corso della missione nel Lazio visiteremo l'impianto di Col Felice, affinché i commissari si rendano conto de visu di come funzionino tali strutture. La precedente Commissione monocamerale ha avuto l'esperienza di un impianto di compostaggio che serviva solo a dividere i soldi tra i partiti presenti nel consorzio: crediamo e speriamo che questa sia una fase conclusa. L'impianti era pessimo: tonnellate di terriccio che dovevano essere di compost in realtà erano piene di rottami e di materiali di plastica; credo e spero - ripeto - che ora gli impianti si costruiscano in modo serio, ed è proprio questo che vogliamo verificare.

FRANCESCO FRANCISCI, Responsabile della campagna incenerimento rifiuti di Greenpeace. Vorrei attenermi ad alcuni aspetti essenziali e precisare che la situazione in cui ci troviamo ci sembra preoccupante. Ciò che interessa nell'ambito della cosiddetta emergenza rifiuti è una serie di tecniche di smaltimento. Non vediamo alcuno sforzo a livello statale, regionale, provinciale e comunale nel senso di una vera gestione dei rifiuti e di recupero di materiale dai flussi di rifiuto esistenti; né registriamo politiche per diminuire la produzione di rifiuti (non parlo solo di quelli municipali ma anche di quelli industriali) o una politica - che sarebbe importantissima - che spingesse ad estrarre dalle merci prodotte i componenti tossici, che creano gravi problemi.

Nessuno di questi tre punti che giudichiamo assolutamente irrinunciabili è secondo noi rispettato in Italia da molti anni. Riteniamo che, anche con le strettoie che il decreto Ronchi presuppone, questa politica di fatto non decolli. La regione Toscana è l'unica che fino ad oggi ha approvato un piano regionale per la gestione dei rifiuti: ciò evidenzia nettamente che l'indirizzo delle pubbliche amministrazioni in materia di rifiuti non è quello di diminuirli o renderli riciclabili e non tossici ma quello di investire fondi in tecniche di smaltimento - le quali hanno tutte effetti tossici sull'ambiente e sulle persone - immobilizzando così una rilevante quantità di risorse pubbliche.

Pregherei la Commissione di trattare in modo particolare questo argomento: qual è la proporzione tra gli investimenti che le pubbliche amministrazioni stanno compiendo verso le tecniche di smaltimento dei rifiuti e quelli destinati alla diminuzione degli stessi, alla produzione di merci non tossiche e più facilmente riciclabili?

In secondo luogo, voglio occuparmi di una questione che riguarda tipicamente i rifiuti municipali. Sappiamo che esistono flussi di rifiuti, all'interno dei quali siamo costretti a distinguere tra quelli che hanno natura diversa. Questo comporta contaminazione di interi flussi da parte di specie di rifiuti molto tossiche e che entrano in contatto con una quantità di prodotti spesso molto rilevanti. Il caso tipico è quello dei rifiuti municipali che non sono tossici e che con pochissimi accorgimenti potrebbero essere sottratti prima di tutto al contatto e secondariamente destinati al riciclaggio vero e proprio.

Tanto per fare un esempio, vorrei sottolineare come il contenuto di un normale termometro per rilevare la temperatura corporea porta una tonnellata di rifiuti a livelli illegali di contaminazione da mercurio. Ho fatto questo esempio per dare il senso delle proporzioni e di cosa può accadere nella raccolta di rifiuti municipali priva di accorgimenti.

Riteniamo che la cosiddetta emergenza rifiuti, un argomento sul quale la Commissione dovrebbe misurarsi ed emanare un indirizzo chiaro, sia basata su due fatti fondamentali. In primo luogo la capacità legale, riconosciuta e rilasciata a chiunque di spostare rifiuti da un sito all'altro, da una regione all'altra, anche da uno Stato all'altro. Questa è una situazione legale a nostro avviso intollerabile e fonte di gravi problemi.

Per noi non è tanto importante l'aspetto di ecomafia che si inserisce in questa situazione, quanto quello della possibilità che hanno i gestori di rifiuti di instaurare cicli non virtuosi di gestione del problema, che solo per una parte presentano aspetti illegali.

Recentemente abbiamo pubblicizzato un rapporto che ha ad oggetto una organizzazione tipicamente italiana, ramificata all'estero, sia in Europa sia altrove, che in modo del tutto formale si avvale di tale possibilità. In questa situazione si trovano normali industrie, come per esempio alcuni cementifici italiani che importano combustibile dalla Germania. Successivamente si scopre che tale prodotto non è altro che scoria tossica, sottratta allo smaltimento in Germania, in sostanza rifiuti che vengono movimentati in Europa attraverso l'applicazione della legislazione vigente.

Vorremmo arrivare alla situazione basilare per cui il rifiuto viene gestito nel luogo di produzione. Cito nuovamente l'esempio della Toscana, che in una normativa regionale ha inserito una clausola in base alla quale la regione non esporterà in altre i suoi rifiuti, ma si è guardata bene dall'introdurre una disposizione per prevenirne l'importazione. In questo caso l'importazione da parte della regione Toscana e più in generale delle varie amministrazioni pubbliche italiane che hanno una configurazione territoriale è data dal fatto che gli investimenti sull'incenerimento di rifiuti richiedono principalmente e continuamente la disponibilità di flussi rilevanti di rifiuti: questa situazione si configura per noi come emergenza rifiuti. Perciò riteniamo che se non si agisce sulla facoltà di spostare rifiuti da un sito all'altro, da un regione all'altra, da un paese all'altro, l'emergenza rifiuti rimarrà la questione all'ordine del giorno.

E' ovvio che se non si vuole parlare di recupero di materiali da rifiuto, di riduzione del loro volume, di eliminazione di componenti tossici dalle merci, è perché in realtà non si vuole affrontare il problema principale, ossia quello di continuare a lasciare libera la produzione di rifiuti. Di fatto vengono prodotte troppe merci e troppe di esse si trasformano in rifiuti.

Negli ultimi anni si è passati da una equazione che vedeva i rifiuti come fonte di materiale utile per essere riciclato ad una equazione in cui il rifiuto è definitivamente qualificato come fonte di energia rinnovabile, che significa rifiuto uguale energia. A nostro avviso quest'ultima equazione è assolutamente mistificante. E' tecnicamente provato che il guadagno di energia è maggiore se si recupera materiale piuttosto che incenerire i rifiuti.

Voglio citare nuovamente l'esempio della Toscana (ma solo perché è la prima regione che ha emanato una legge regionale di gestione dei rifiuti) per sottolineare che oggi i rifiuti ad alto potere calorico possono essere immediatamente portati all'inceneritore; mi riferisco non solo alla plastica, ma anche alla carta, cioè rifiuti che hanno un mercato sul cui commercio l'amministrazione pubblica può realizzare un utile, operando opportunamente. Vorrei anche sottolineare che oggi la carta riciclata in Italia ha subito un forte aumento dei prezzi, ma queste sono tutte realtà che vengono ignorate.

Vorrei infine richiamarmi a quanto detto dal presidente Scalia. Già oggi, ma ormai da molti anni, gli inceneritori in Italia bruciano plastica ed è previsto che continueranno a farlo. La raccolta differenziata separa la plastica da altri materiali per destinarla agli inceneritori e questo è uno degli scopi impropri cui viene spinta tale raccolta. Per noi è essenziale che si ritorni all'equazione rifiuto uguale materia prima e seconda per poi tornare alla sua natura originaria.

Sulla prospettiva degli inceneritori si aprono due questioni fondamentali. La prima è quella della sopraffazione delle amministrazioni locali da parte di livelli amministrativi superiori, quando si tratta di installare impianti di incenerimento di rifiuti che sono ad alto rischio ed impatto ambientale.

Una delle strade seguite, poiché la realtà italiana non recepisce ancora pienamente la normativa europea, è la valutazione di impatto ambientale, peraltro non prevista per tutta una serie di impianti e di formati. Non è attribuito alcun potere alle amministrazioni locali che non possono opporsi, attraverso la procedura di valutazione di impatto ambientale, alla installazione di impianti di questo genere.

Per quanto riguarda la questione energetica, siamo estremamente preoccupati dell'uso principale che si vuole riservare ai rifiuti negli immediati anni a venire. Sappiamo che sta per essere approntato dai Ministeri dell'industria e dell'ambiente il CIP 7, in base al quale gli impianti di incenerimento di rifiuti non competeranno più con la cogenerazione dei rifiuti, come già avvenuto con il CIP 6, creando peraltro tutta una serie di problemi, ma direttamente con la produzione di nuove energie: mi riferisco a quella solare, eolica e così via, ma questo per noi è intollerabile.

Voglio anche ricordare che l'ENEL si è giustamente, in linea di principio, rifiutata di pagare a chicchessia (produttori di energia) i corrispettivi dell'energia elettrica riversata in rete. Per noi questo è un comportamento utile a patto che si pervenga ad una politica di priorità su chi tra i produttori di energia deve essere pagato prima. Ci aspettiamo l'elaborazione di una politica che favorisca la produzione di energia pulita e non particolarmente sporca come quella che riteniamo sia prodotta dai rifiuti.

Questi sono i punti su cui lavoriamo e sui quali vorremmo che la Commissione esprimesse un suo indirizzo generale.

PRESIDENTE. Sul CIP 7 sono più ottimista di lei, anche per aver seguito per tanti anni tali problematiche. Auspico che proprio dalla Conferenza nazionale sulla CO2 (che il Governo ha programmato di tenere nella terza settimana di novembre per la presentazione di un piano governativo sulle fonti energetiche rinnovabili e sull'uso efficiente di energie), venga una risposta coerente rispetto alla promozione di settori che oggi sono come fanalini di coda nel campo della produzione di energia rinnovabile e del suo uso efficiente.

Sui temi da lei affrontati, anche noi riteniamo che tra i rifiuti dovrebbero essere eliminati quelli pericolosi già nella fase di composizione delle merci. In proposito nel 1996 è stata presentata - credo lei lo sappia - una risoluzione della Commissione europea nella quale è contenuta una lunga elencazione di prodotti che non dovrebbero rientrare nella composizione delle merci, perché il loro uso crea problemi di tossicità nel ciclo produttivo, possibili danni ambientali e sanitari e la loro permanenza anche nei rifiuti.

Si tratterà di verificare come il rapporto con l'Europa giocherà sulle politiche riguardanti questo tipo di produzione.

Voglio prendere in considerazione anche un'altra delle preoccupazioni che lei ha sottolineato. Quando è stato pubblicato il rapporto di Greenpeace international, nel quale si configurava come sede di flussi e traffici illeciti di rifiuti pericolosi, tossico-nocivi e radioattivi (situazione peraltro sempre all'attenzione della Commissione), ho sentito il dovere di scrivere ai ministri dell'interno e delle finanze per raccomandare loro un maggiore controllo alle frontiere, purtroppo estremamente carente, anche perché le normative vigenti non facilitano tale vigilanza. Quindi, in qualità di presidente e rispetto a quanto poteva immediatamente fare la Commissione, ho segnalato il problema alle autorità competenti.

L'universo da lei rappresentato non ha tutti i connotati negativi, perché non mi risulta che le leggi italiane consentano formalmente e legittimamente il traffico di rifiuti.

FRANCESCO FRANCISCI, Responsabile della campagna incenerimento rifiuti di Greenpeace. Lo consentono rispetto alla normativa europea.

PRESIDENTE. Sappiamo benissimo che la legge non lo consente, tanto è vero che si ricorre alle falsificazioni dei rifiuti trasportati, che altrimenti verrebbero bloccati, e da qui nasce l'esigenza di maggiori controlli.

La Commissione si propone di istituire un gruppo di lavoro ad hoc, ma già dal confronto dei piani regionali disponibili e dell'orientamento generale emerge che è opportuno delegare alle province ampia parte di questa materia e di non prevedere il trasferimento di rifiuti al di là dell'ambito regionale.

La Commissione è sensibile alle sue preoccupazioni, ma è anche opportuno tenere presente che l'orientamento a livello di amministrazioni regionali è quello di confinare il problema dello smaltimento dei rifiuti all'interno delle aree in cui essi vengono prodotti. Su tale orientamento generale vi sarà un approfondimento e presenteremo una relazione al Parlamento sulla base dei risultati che acquisirà il Comitato ad hoc.

GAETANO BENEDETTO, Vicesegretario generale del WWF. Desidero innanzitutto ringraziare il presidente e la Commissione a nome del WWF per il prezioso lavoro che state svolgendo, un lavoro che finalmente documenta non soltanto la sensazione, ma la certezza di quanto una serie di attività illecite fossero legate a tematiche o a questioni ambientali che si trasformavano inevitabilmente in un ulteriore danno all'ambiente.

Ciò premesso, cerco di non cadere nella tentazione di illustrare il "WWF-pensiero" in tema di rifiuti, perché questa non è la VIII Commissione permanente della Camera.

Nel propormi di restare fedele al tema oggetto dell'audizione, articolerò il mio intervento su tre piani. Riteniamo innanzitutto urgente un ampliamento dell'indagine anche sul piano scientifico e in proposito richiamo il già citato progetto LARA del CNR. Il secondo piano riguarda l'interconnessione tra il problema rifiuti e la tematica cave, che il Parlamento deve affrontare con la massima urgenza. Il terzo piano concerne quegli aspetti del cosiddetto decreto Ronchi che potrebbero consentire vantaggi e situazioni favorevoli alle cosiddette ecomafie.

Per quanto riguarda il primo punto, se è vero (come è stato ampiamente documentato dai dati di Legambiente, Eurispes e NOE, che valgono per tutti), che l'attività criminale ha svolto un'opera intensa e negativa sull'affare rifiuti, dobbiamo chiederci obbligatoriamente dove essi sono finiti, una domanda che necessita di una risposta urgente. Il problema non è irrilevante dal punto di vista delle conseguenze di impatto ambientale, poiché si tratta di smaltimenti effettuati senza seguire procedure idonee; pertanto è indispensabile ed urgente capire dove siano finiti tali rifiuti. Ritengo che tale attività di ricerca, anche rispetto agli smaltimenti illeciti, possa essere avviata, verificando quali sono le situazioni a maggiore rischio ambientale. Anche il professor Villa ricordava poc'anzi quanti e quali sono i rischi di smaltimenti avvenuti con procedure inidonee.

E' stato già citato il progetto LARA del CNR, peraltro unico al mondo, che evolve una tecnologia NASA , un apparato a scansione denominato MIDIS a 102 canali, il quale consente di verificare, pure in caso di interramento, non solo l'esistenza di rifiuti, ma anche per molte tipologie, dove essi si trovano.

PRESIDENTE. A proposito di tale progetto, è vero che dal punto di vista della diagnostica esso è dotato di una struttura particolarmente elaborata, molto utile per le azioni di bonifica. La diagnostica può essere eseguita con strumentazioni sofisticate a costi molto bassi, ma la questione che abbiamo di fronte sono gli elevati costi per la progettazione e la realizzazione della bonifica. Voglio dire che nell'accettare queste vostre indicazioni, non dobbiamo confondere la diagnostica con la realizzazione della bonifica.

GAETANO BENEDETTO, Vicesegretario generale del WWF. Mi consenta una battuta: anche se non ho i soldi per curarmi, questo non significa che non voglio sapere di avere una malattia.

PRESIDENTE. Siamo molto interessati a questo progetto, che sicuramente qualcuno conoscerà, ma esso è ancora allo stadio della diagnostica, di struttura sofisticata; certamente questo è il prerequisito per avviare una seria bonifica.

GAETANO BENEDETTO, Vicesegretario generale del WWF. Riteniamo che oggi la tecnologia messa a punto dal CNR sia sufficientemente avanzata per poter uscire da una fase strettamente sperimentale qual è quella che ha caratterizzato i due anni di lavoro sinora svolti con il progetto LARA. Riteniamo altresì che in alcuni casi si riesca anche a risalire ai produttori di tali rifiuti, il che significa che in qualche misura sarà possibile intervenire in situazioni che lei giustamente definisce di bonifica. Crediamo tuttavia che sia urgente sapere se esistono realtà a rischio di un certo tipo. Di conseguenza, una convenzione tra regione e CNR e la disponibilità di queste strumentazioni per chi voglia effettuare indagini dovrebbero essere iniziative ufficialmente auspicate dalla Commissione per un ampliamento del sistema di indagine.

Con riferimento al secondo punto, poiché già in termini istituzionali e legali esiste la tendenza a trasformare un "buco" in una cava, sappiamo che laddove esistono cavità illegali si vogliono gettare i rifiuti. Dobbiamo per ciò riuscire a capire come il problema delle cave possa rientrare in una maggiore attività di controllo da parte dello Stato. In proposito la problematica gigantesca è rappresentata proprio dai controlli ambientali per affrontare la quale dobbiamo superare il problema derivante dall'assenza di una norma-quadro in materia di cave.

Secondo il Ministero dell'ambiente, il 95 per cento dell'attività estrattiva del nostro paese è sostanzialmente affidato alle regioni, perché la competenza dello Stato riguarda solo le zone indicate nel cosiddetto decreto Galasso. Crediamo quindi che l'esigenza di una maggiore attenzione al problema delle cave debba determinare, come conseguenza, un più accentuato controllo nei confronti dello smaltimento illecito dei rifiuti. So bene quanto il senatore Lubrano Di Ricco, qui presente, si sia battuto, in Campania, per introdurre una normativa rigida ed assolutamente avanzata in ordine al meccanismo autorizzatorio dell'attività estrattiva. Tuttavia, non sono stati effettuati controlli certi e puntuali sul territorio, per cui oggi in Campania si registra la maggiore attività di smaltimento di rifiuti in cave effettuata in maniera illegale, almeno secondo quanto risulta dai dati del NOE e di Legambiente.

Per quanto riguarda il decreto legislativo n. 22 del 1997 (il cosiddetto decreto Ronchi), ritengo che esso introduca finalmente una razionalizzazione dell'intero problema dello smaltimento dei rifiuti e sia basato su un'impostazione corretta. E' evidente che, quanto più efficiente sarà l'attività di smaltimento da parte degli enti preposti, tanto meno spazio vi sarà per una serie di attività illecite; quindi, se i comuni, le province e le regioni faranno ciò che è previsto in tempi rapidi, sarà sempre più difficile svolgere le stesse attività illecite.

Prima di entrare nel dettaglio di alcune possibilità che si presentano per le cosiddette ecomafie, intendo sottolineare, come ricordava il collega di Greenpeace, che vi è un forte interesse a far sì che tale attività non venga svolta: infatti, se non si coglie un dettaglio che è fortemente contestato soprattutto dagli ambienti industriali e che secondo noi è certo, ovvero la concorrenzialità tra l'attività di raccolta differenziata e l'incenerimento, non si comprende esattamente quale sia l'interesse che esiste da più parti a fare in modo che la raccolta differenziata non vada a regime. E' del tutto evidente che il materiale di raccolta differenziata è quello contraddistinto dal più elevato potere calorifico, per cui è il materiale che meglio si presta all'incenerimento. Pertanto, se il materiale raccolto fosse destinato al riciclaggio, la parte residua avrebbe un potere calorifico che non sempre garantirebbe la possibilità di procedere all'incenerimento con recupero energetico, come prevede il decreto Ronchi, e non giustificherebbe la quantità di inceneritori che nel nostro paese si potrebbero costruire.

Per quanto riguarda, invece, gli "interstizi" che lo stesso decreto lascia aperti alle ecomafie, intendo innanzitutto segnalare il problema complessivo della necessità di un maggior rigore sul piano penale. Il nostro non è l'atteggiamento, per così dire, un po' poliziesco e volutamente duro degli ambientalisti; il problema è che purtroppo, per il modo in cui è impostata la nostra normativa, o esiste un certo tipo di sanzione penale, un'ipotesi delittuosa sancita per legge, oppure il meccanismo di repressione di alcuni reati diventa risibile, di difficile attuazione. Forse alcuni esempi concreti possono contribuire a spiegare meglio ciò di cui sto parlando: citerò, in particolare, l'articolo 52, comma 3, per quanto riguarda le violazioni in materia di trasporto di rifiuti, ossia l'ipotesi in cui qualcuno venga fermato per strada e risulti privo di bolla di accompagnamento oppure ne abbia una incompleta o imprecisa. Innanzitutto, la possibilità che questo qualcuno venga fermato per strada è del tutto risibile, per cui la multa prevista (dai 3 ai 18 milioni di lire), se rapportata alla probabilità assai bassa di essere fermati, rende quasi economicamente vantaggioso rischiare di pagare la sanzione. Comunque, nel caso in cui lo stesso soggetto venisse fermato, dovrebbe certamente pagare l'ammenda, ma si determinerebbe una situazione veramente pazzesca: infatti, per passare al piano penale, si dovrebbe contestare il falso di cui all'articolo 483 del codice penale. Al riguardo, la legge prevede che si applichi non tale articolo, bensì la pena che esso prevede, spostando così una pena in un ambito contravvenzionale. Nello stesso tempo, non è possibile sequestrare il mezzo usato. Se si rapporta tale situazione ai vantaggi economici che le ecomafie traggono dalle loro attività, risulta conveniente rischiare di essere fermati, perché nella peggiore delle ipotesi si paga la multa senza però subire il sequestro del mezzo.

Un'altra ipotesi che vediamo con grande preoccupazione è quella relativa al deposito temporaneo di rifiuti, di cui all'articolo 6, commi 2 e 3. Al riguardo, anche se la situazione è molto più complessa, si può riassumere brevemente sottolineando che vengono autorizzati depositi temporanei di rifiuti, differenziati per cubatura a seconda che si tratti di rifiuti pericolosi o meno, senza prevedere a carico delle aziende l'obbligo di carico e scarico che invece, a nostro avviso, dovrebbe avvenire quotidianamente. Infatti, nel momento in cui si produce un rifiuto, questo deve risultare in qualche registro. Poiché tale obbligo non esiste o viene rapportato ad un tempo medio come quello previsto dalla legge (si deve procedere all'annotazione sul registro entro una settimana), di fatto è possibile che, in caso di controllo, si giustifichi la presenza dei rifiuti sostenendo che sono stati appena prodotti o trasportati.

Devo inoltre rilevare che nell'articolo 35 si usa un'espressione assolutamente poco chiara, in quanto si afferma che il deposito temporaneo è autorizzato fino a dieci metri cubi per i rifiuti pericolosi e fino a venti metri cubi per quelli non pericolosi, ovvero se vengono smaltiti entro due mesi. L'espressione "ovvero" fa sì che, documentando che lo smaltimento avviene almeno entro due mesi, senza avere l'obbligo del carico e scarico ogni giorno, si può giungere sostanzialmente ad un accumulo di rifiuti superiore alle suddette quantità, in una situazione di assoluta impossibilità di controllo. Ipotizzando che presso un'azienda siano stoccati 100 metri cubi di rifiuti pericolosi e che la Guardia di finanza effettui un'ispezione nella stessa impresa, se il suo titolare è in grado di dimostrare che smaltirà i rifiuti entro due mesi, gli stessi possono restare nell'azienda in assenza di qualsiasi certificazione o formalizzazione.

E' del tutto evidente che il problema è di natura strettamente economica, perché smaltire rifiuti costa ed in particolare smaltire quelli pericolosi costa moltissimo, per cui le aziende trovano un'elevatissima convenienza nello smaltimento improprio.

L'ultima preoccupazione che intendo sottolineare con riferimento agli "interstizi" del decreto Ronchi riguarda le pratiche autorizzative per gli smaltitori. Al riguardo, la legge prevede sostanzialmente che entro 90 giorni le province dovrebbero concedere l'autorizzazione, previo controllo. Purtroppo, però, ci si trova ancora una volta di fronte all'impossibilità di effettuare controlli nel nostro paese, problema tuttora irrisolto. Non saranno certamente, infatti, i guardacaccia o i guardapesca delle province a girare tra i capannoni o tra gli impianti per effettuare i controlli.

Premesso questo, tuttavia, la legge non prevede che, in assenza del controllo della provincia, l'attività di smaltimento debba essere sospesa o non possa essere avviata. Quindi, trascorsi i 90 giorni, scatta di fatto un meccanismo di silenzio-assenso, il che è veramente terrificante, in quanto ci troviamo di fronte ad impianti non controllati. Posso anzi garantire che in molte situazioni parlare di impianti è già qualcosa di rivoluzionario, come hanno dimostrato non solo le recenti indagini ma anche alcuni fatti di cronaca. Basti pensare, per esempio, che a Roma sono stati sequestrati dieci capannoni adibiti allo smaltimento di rifiuti, che non disponevano di alcuna tecnologia per lo stesso smaltimento: si trattava semplicemente di un accantonamento di rifiuti che restavano abbandonati in quei capannoni. Tutte e dieci le aziende interessate avevano presentato alla provincia la richiesta di autorizzazione allo smaltimento.

PRESIDENTE. Questo, però, è un esempio di segno contrario, ovvero si tratta di uno dei casi in cui i controlli funzionano: infatti, non vi sono soltanto le guardie provinciali, ma esiste una vasta rete di operatori di polizia giudiziaria che rivolgono grande attenzione a questi fenomeni.

Quindi, anche se condivido le sue preoccupazioni, ritengo che dobbiamo prendere atto che, se vengono citati episodi del genere, ciò significa che qualche controllo viene eseguito, anche se non si tratta purtroppo di quelli istituzionali posti a carico delle province o delle ARPA (organismo che peraltro nel Lazio non esiste). Vi è quindi un'attenzione in qualche misura surrogatoria di quella che dovrebbe esservi a livello istituzionale; riconosciamo almeno questo, con riferimento all'episodio che lei ha citato.

GAETANO BENEDETTO, Vicesegretario generale del WWF. La percentuale dei controlli rispetto alle infrazioni riscontrate, che è stata documentata da Legambiente e dal NOE, dimostra in maniera esemplare che, laddove si va a verificare, "si piglia" (non so come esprimere il concetto in maniera più elegante). Quindi, il fatto che siano state riscontrate dieci situazioni come quelle di cui ho parlato convalida certamente la tesi del presidente, ma dimostra anche esattamente l'opposto, ossia che il soggetto preposto per legge a questi controlli non è in grado di effettuarli, tant'è vero che devono intervenire altri organismi, preposti a svolgere anche, ma non solo, tale funzione.

PRESIDENTE. Avevo semplicemente ripreso il suo esempio rilevando che il Lazio non dispone dell'ARPA; quanto alla provincia di Roma, che sarebbe quella competente, ricordo che pochi giorni fa abbiamo ascoltato i rappresentanti degli organismi provinciali, i quali hanno denunciato il fatto che la pianta organica delle guardie ecologiche provinciali (definiamole così) è molto carente rispetto alle necessità. Occorre tenere conto anche di tale aspetto.

GAETANO BENEDETTO, Vicesegretario generale del WWF. Voglio intendere la sua argomentazione come un accrescimento della mia lamentatio e non come una giustificazione!

Sulla base di tali premesse, riteniamo che sia assolutamente necessario introdurre correttivi nei confronti delle tre questioni che ho sottolineato. Le province devono svolgere le funzioni loro affidate dalla legge e non si deve avviare l'attività di smaltimento se prima non sono stati effettuati i dovuti controlli. Inoltre, il meccanismo dei richiami penali deve essere molto più stringente, prevedendo anche la possibilità di sequestrare i mezzi.

Occorre altresì introdurre la regola dell'annotazione quotidiana dei rifiuti sul registro di carico e scarico; pur tenendo conto della comprensibile esigenza di pervenire ad uno snellimento degli adempimenti burocratici, questi aspetti rappresentano elementi di garanzia nei confronti di situazioni da cui potrebbero derivare smaltimenti illeciti.

In conclusione, non posso non richiamare il lavoro svolto dalla commissione ecomafia istituita presso il Ministero dell'ambiente, che sta operando proprio per far fronte ad alcuni di questi problemi, giungendo anche ad individuare sei nuove tipologie di reati connessi all'ambiente. Vorremmo quindi che, al di là degli aspetti applicativi del decreto e dei provvedimenti che dovranno essere adottati, fossero risolti i problemi che ho evidenziato, che sono molto pericolosi con riferimento al traffico illecito di rifiuti.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda la sua ultima proposta, è qui presente il senatore Lubrano Di Ricco, al quale anche lei ha fatto riferimento, coordinatore del Comitato istituito in seno alla nostra Commissione che dovrà occuparsi dei reati ambientali ed in particolare dell'ipotesi di introduzione di un delitto ambientale nel codice penale italiano, che attualmente ne è privo; tutto ciò, ovviamente, partendo dall'esperienza che la nostra Commissione sta facendo sulla questione dei rifiuti. Il Comitato di cui ho parlato è del tutto analogo a quello già costituito dal Ministero dell'ambiente, la cui attività credo sia giunta alle ultime battute.

Inoltre, ad un'attenta vigilanza su quelli che lei ha definito gli "interstizi" del decreto Ronchi sarà chiamato un altro Comitato della nostra Commissione, già istituito, il cui coordinatore è il vicepresidente Gerardini. Anche noi, quindi, cerchiamo di fare qualcosa.

ENRICO FONTANA, Responsabile dell'osservatorio ambiente legalità di Legambiente. Intervengo molto brevemente tenendo anche conto che su alcuni aspetti relativi al decreto legislativo n. 22 del 1997 la dottoressa Lucia Venturi svolgerà alcune considerazioni.

In questo settore, la nostra associazione ha avuto un ruolo, per così dire, pionieristico, innanzitutto a seguito della diffusione di Legambiente sul territorio nazionale (abbiamo oltre mille circoli sparsi in tutta Italia), nonché per la forte attività di denuncia portata avanti a livello locale fin dal momento della nascita della nostra associazione grazie ai centri di azione giuridica di Legambiente, che hanno raccolto moltissimi avvocati i quali si occupano da tempo in maniera pressoché esclusiva di illegalità e criminalità ambientale.

A tutto questo, che rientra, per così dire, nel DNA di Legambiente, si è aggiunta più recentemente una specifica attività di ricerca, con un costante monitoraggio di atti e documenti parlamentari o istituzionali, un'attenzione puntuale a quanto viene prodotto nel nostro paese dall'informazione, dai media, assai poco da quelli nazionali e moltissimo da pubblicazioni locali, almeno per quanto riguarda le vicende che sono oggetto di attenzione da parte di questa Commissione. Recentemente abbiamo instaurato anche un rapporto di collaborazione con una serie di uffici e di strutture dello Stato.

La fotografia aggiornata del fenomeno che abbiamo ribattezzato ecomafia (siamo responsabili di questo neologismo e, se possibile, vorrei spiegarlo brevemente, perché è stato in qualche caso frainteso) figura nella ricerca del 29 gennaio 1997, l'ultima prodotta dalla nostra associazione, che lascerò agli atti della Commissione.

Come dicevo, il termine "ecomafia" è un neologismo e l'esigenza che avevamo era quella di spiegare in maniera semplice ed immediatamente comprensibile, innanzitutto ai mass media e all'opinione pubblica, la gravità dei fenomeni di cui ci occupavamo, in particolare gli smaltimenti e i traffici illegali di rifiuti che hanno interessato il nostro paese. Ma dietro questo termine vi è in realtà un fenomeno complesso, che si articola in tre direzioni sostanziali: la criminalità organizzata, la criminalità economica e quella ambientale, oltre ad un humus rappresentato dall'illegalità diffusa in campo ambientale.

Sono già stati citati alcuni elementi contenuti nella nostra ricerca, per la quale abbiamo raccolto dati statistici da tutte le forze dell'ordine (Arma dei carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e Polizia di Stato): nel periodo 1994-1996 sono state accertate complessivamente, nel nostro paese, oltre 77 mila violazioni di carattere penale alla normativa ambientale.

Nel Mezzogiorno esiste una realtà che ci ha particolarmente allarmato, in quanto nelle regioni del sud si concentra circa il 40 per cento di tutti i reati penali accertati in questi anni in Italia dalle varie forze dell'ordine per quanto riguarda i rifiuti ed il ciclo connesso, unitamente a quello, già evocato, del cemento (le cave, le attività estrattive). Vi è quindi una pressione molto forte derivante dall'illegalità ambientale diffusa nel Mezzogiorno.

Abbiamo anche valutato il giro d'affari potenziale dell'ecomafia, che risulta nel dettaglio nella ricerca di cui vi ho parlato; non l'abbiamo fatto per aggiungere cifre alle tante che si ascoltano (ne avrete sentite anche voi molte) ma per evidenziare in maniera puntuale, in particolare nel settore dei rifiuti, il fatturato potenziale che viene sottratto ad un sistema moderno, compatibile con la tutela dell'ambiente, tecnologicamente avanzato di recupero, riutilizzo, trattamento e smaltimento dei rifiuti nel nostro paese.

Occorre tenere conto di diverse voci: la penetrazione della criminalità organizzata nel sistema di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti del sud; i traffici illegali di rifiuti dal nord al sud del paese; gli smaltimenti illegali di rifiuti, in particolare pericolosi, che avvengono ancora oggi in Italia. L'insieme di queste attività determina un giro d'affari potenziale che stimiamo in circa 6 mila miliardi di lire annui nel settore dei rifiuti. Questa cifra tuttavia - lo ripeto - viene evidenziata soprattutto per esaltarla in positivo, nel senso che si tratta di un mercato che deve essere recuperato ad un sistema legale di gestione e di controllo.

Che cosa è accaduto da quando abbiamo iniziato la nostra attività? Al riguardo, intendo sottolineare alcuni aspetti positivi per poi passare a quelli che permangono negativi.

Quanto agli elementi positivi, dopo i nostri primi dossier su quella che allora ribattezzammo la rifiuti SpA, abbiamo avuto modo di verificare concretamente un'importante azione, almeno nel biennio 1994-1995, della Direzione nazionale antimafia, la quale ha avviato un'attività di monitoraggio, che però nell'ultimo periodo non è stata sviluppata come avremmo potuto attenderci sulla base delle indicazioni e dei materiali a disposizione. Questo è dovuto ad una serie di difficoltà obiettive che riguardano i poteri della stessa direzione (avete già ascoltato il procuratore nazionale aggiunto, Alberto Maritati). Tuttavia, temiamo anche una sottovalutazione in senso lato, che permane nella magistratura, dei fenomeni di cui ci stiamo occupando. Registriamo inoltre:il potenziamento del nucleo operativo ecologico dell'Arma dei carabinieri, che ci auguriamo prosegua (il NOE ha aperto altre sedi regionali nel nostro paese, ed è importante che vi sia una struttura investigativa specializzata nel settore); una maggiore attivazione di nuclei di polizia ambientale del Corpo forestale dello Stato, mentre originariamente le attività di indagine di questa struttura erano essenzialmente concentrate in Lombardia, e in particolare nel bresciano, ed oggi sono più diffuse; ancora, più recentemente, l'attivazione del servizio centrale operativo della polizia di Stato, con il quale abbiamo avuto modo di collaborare (è stata ieri comunicata un'iniziativa condotta a Salerno), nell'attività di formazione, di alfabetizzazione, perché la materia rifiuti fino a poco tempo fa era sostanzialmente estranea alla stragrande maggioranza delle forze dell'ordine del nostro paese, anche ai reparti che debbono occuparsi in modo specifico di criminalità organizzata; ancora, un'attivazione - già registrata in un documento ufficiale, cioè la relazione sulla politica informativa e della sicurezza presentata al Parlamento nel primo semestre del 1996 - dei servizi di sicurezza, e in particolare del SISDE. Riteniamo questa attivazione importante: nel nostro paese, si è parlato molto spesso dei servizi di sicurezza per tutt'altre ragioni, per cui registrare che questi servizi, aprendo una finestra specifica definita di sicurezza ambientale, cercano di svolgere un ruolo in una vicenda giustamente percepita come una minaccia alla sicurezza del paese (perché di questo si tratta) è assai positivo. Registriamo anche, per ora limitatamente ad attività a carattere ricognitivo e di ricerca, il ruolo della Direzione investigativa antimafia. Inoltre, alcuni enti locali, e mi riferisco in particolare alla regione Basilicata e, più recentemente, alla provincia di Caserta e a quella di Salerno e a diverse amministrazioni provinciali del Piemonte, hanno cominciato ad attivare strumenti che ci sembrano estremamente utili, cioè gli osservatori su ambiente e legalità, ovvero ambiti nei quali diversi soggetti sono chiamati a confrontare le informazioni di cui sono a conoscenza, dando un segnale all'esterno di una maggiore attivazione dei controlli di carattere amministrativo, che alle regioni e alle provincie competono.

Passo ora agli aspetti negativi. Ancora oggi Legambiente deve denunciare un'assoluta carenza nelle attività di controllo di carattere istituzionale e amministrativo. Nella relazione sullo stato dell'ambiente, per quanto riguarda in modo specifico i rifiuti pericolosi e tossico-nocivi prodotti nel nostro paese nel biennio 1993-94, emerge che una quota rilevantissima di tali rifiuti prodotti nel paese viene smaltita fuori regione. Addirittura, risulta che l'intera produzione di rifiuti pericolosi della Sicilia e della Sardegna è smaltita fuori regione. Si arriva a percentuali dell'80-90 per cento in tutte le regioni meridionali; molto spesso, le regioni non sono in grado di indicare qual è il sito finale di arrivo. Se tutte le regioni d'Italia smaltiscono fuori regione i rifiuti che producono, è chiaro che questo è un dato macroscopico, clamoroso, ed è francamente ipocrita far finta che non sia acquisito. E' un dato già acquisito che denuncia una patologia gravissima.

In qualche caso, i controlli potrebbero essere anche relativamente semplici. La Sicilia e la Sardegna sono isole, per cui, se smaltiscono i rifiuti fuori regione, significa che sono utilizzati i porti. Sarei curioso di sapere quale traffico ci sia dai porti di queste regioni e verso quali porti d'Italia e del mondo, e quali tipologie di rifiuti siano trattate. Pensate che la regione Sicilia stima che la produzione di rifiuti pericolosi sia di 98 mila tonnellate annue; in Sardegna, tale produzione è di 250 mila tonnellate annue. Ci sono casi ancora più eclatanti, come quello della Campania: la regione stima di produrre 164 mila tonnellate annue di rifiuti pericolosi, ma sa dire che fine facciano soltanto 15 mila tonnellate, mentre del resto non si sa nulla.

Questa mancanza di controllo è gravissima, perché è impensabile che, nonostante l'impegno di tutte le associazioni ambientaliste, delle forze dell'ordine e della magistratura, se manca questo primo livello di controllo, si riesca a ricostruire la rotta ex post dei rifiuti, e in particolare di quelli pericolosi, vista anche la capacità criminale sviluppata in questi anni dai soggetti che questi rifiuti trattano.

La seconda preoccupazione rilevante riguarda, nonostante le dovute eccezioni, che pure esistono e stanno cominciando a diffondersi in diversi uffici giudiziari del paese, come le procure presso i tribunali e le procure distrettuali antimafia, la scarsa attenzione complessivamente registrata da parte della magistratura su queste vicende, per tre ragioni sostanziali. La prima è che non esistono nel nostro codice penale i delitti contro l'ambiente. E' già stato citato il lavoro della commissione ecomafia presso il Ministero dell'ambiente, che ha elaborato alcune proposte; è nelle intenzioni di questa Commissione - e lo registriamo con grande soddisfazione - sviluppare questa specifica iniziativa, partendo però da una garanzia che vorremmo avere, e cioè che è doveroso introdurre i delitti contro l'ambiente nel nostro codice penale. Vi sono altri paesi europei che lo hanno fatto prima di noi in maniera efficace, e sarebbe veramente incredibile arrivare all'appuntamento europeo con il codice penale che sancisce con contravvenzioni oblabili e cancellabili in due anni ciò che in Spagna, per esempio, è considerato un delitto che comporta l'emissione di ordinanze di custodia cautelare.

GIOVANNI LUBRANO DI RICCO. Noi non abbiamo questi delitti.

ENRICO FONTANA, Responsabile dell'osservatorio ambiente legalità di Legambiente. No, nel nostro codice penale vi sono alcuni titoli che sono stati utilizzati dalla magistratura con molte difficoltà.

GIOVANNI LUBRANO DI RICCO. Ma sono nati con altri scopi.

ENRICO FONTANA, Responsabile dell'osservatorio ambiente legalità di Legambiente. Esattamente, come per esempio il disastro ambientale, che si fa derivare dall'ipotesi di disastro doloso. Si incontra una difficoltà obiettiva nell'indagare quando si tratta di contravvenzione, per la banale ragione che ad esempio non si possono utilizzare tutti gli strumenti d'indagine cui si ricorre di fronte alla criminalità, come per esempio le intercettazioni ambientali e telefoniche e gli arresti in flagranza. Se nel Parlamento, nelle forze politiche vi è una consapevolezza così forte - e questo è l'aspetto più positivo di questo periodo -, da portare all'istituzione di una Commissione bicamerale d'inchiesta (mentre nella precedente legislatura ve ne era una monocamerale), sarà necessario trarne le dovute conseguenze. Mi auguro perciò che questa Commissione possa dare un contributo forte affinché i delitti contro l'ambiente entrino al più presto nel nostro codice penale.

La seconda ragione della scarsa attenzione di cui ho parlato consiste in una sottovalutazione delle connessioni esistenti tra i delitti ambientali e la criminalità economica. Cito un esempio assai banale. Qualunque impresa che acquisisce rifiuti urbani, ospedalieri e financo industriali dichiarando all'ente pubblico o al privato che è in grado di smaltirli correttamente e poi li avvia ad un circuito illegale di smaltimento, secondo uffici giudiziari come la procura di Rimini, che hanno fatto indagini in tal senso, commette una serie di reati economici: truffa, truffa aggravata, false fatturazioni, falsificazione dei bilanci ed altro. Questi delitti già esistono nel nostro codice penale. Bisogna comprendere bene che i rifiuti, nel momento in cui escono dal ciclo produttivo, sono una merce, e come tutte le merci vanno trattati. Si presentano, infatti, come una merce e poco importa se siano destinati ad essere smaltiti anziché riutilizzati. Questa filiera di crimini economici connessi ai crimini ambientali non è stata ancora adeguatamente sviluppata: è un'applicazione che suggerisco fortemente anche in sede di valutazione delle fattispecie penali specifiche, dei delitti specifici che si possono individuare.

Il terzo elemento che determina gli scarsi risultati che ancora riscontriamo sul fronte dell'accertamento delle responsabilità penali dei singoli è costituito da un approccio all'attitudine dei clan criminali a sviluppare proprie filiere imprenditoriali nel settore dei rifiuti sostanzialmente, anzi, quasi esclusivamente, legato alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Non è stata ancora sviluppata come si potrebbe fare, sulla base delle attività che le forze dell'ordine già svolgono sul territorio attraverso i sequestri di aree adibite a discariche, un'attività di indagine specifica su questi territori per vedere se, tra i proprietari delle aree, i titolari degli automezzi sequestrati al momento dello smaltimento illegale e i clan della criminalità organizzata esistano o meno connessioni. Questo ha fatto sì che in alcune aree del nostro paese - e mi riferisco in particolar modo alla Campania - si indaghi sulle stesse ipotesi delittuose e magari sullo stesso clan ma in alcuni territori sì ed in altri no, perché il collaboratore di giustizia che contribuisce alle indagini sa cosa è accaduto in un certo punto e non sa cosa è successo in una zona limitrofa. Credo che su quest'ultimo aspetto, visto che si tratta quasi esclusivamente di atti e documenti pubblici, questa Commissione potrebbe indicare e sviluppare alcune attività specifiche.

Un altro elemento negativo è rappresentato dalle nuove filiere dei traffici illegali. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che, da quando abbiamo fotografato il fenomeno, caratterizzato da grandi discariche abusive in diverse aree del Mezzogiorno e da grandi discariche pseudolegali del nord (si possono fare molti esempio, come quelli di Pitelli), chi criminalmente sfrutta i rifiuti per lucrare profitti - credo che questi soggetti debbano costituire l'obiettivo prioritario anche dell'attività di questa Commissione - ha modificato le tipologie. Ne abbiamo già denunciate alcune in tutte le sedi istituzionali utili. Mi riferisco all'industria del falso che si sta sviluppando nel settore del riutilizzo, del riciclaggio di rifiuti. Il caso cui faceva riferimento poc'anzi l'amico Benedetto del WWF è proprio di questo tipo: si millantano riciclaggi di rifiuti che non si è in grado di effettuare. Ma guardate che il fenomeno è vasto, e noi lo abbiamo segnalato pubblicamente e, brevi manu, al procuratore capo di Milano, dottor Borrelli, e alla procura nazionale antimafia. Lo abbiamo monitorato attraverso gli strumenti che abbiamo, cioè i nostri circoli ed il controllo puntuale dei mass media, che però potrebbe essere meglio approfondito - e ci auguriamo che questo accada - da parte di chi dispone di ben altri strumenti per indagare. In questo caso riteniamo che siano in azione vere e proprie associazioni a delinquere che, oltre a violare in lungo e in largo le normative ambientali (purtroppo ancora senza conseguenze di carattere penale), si applicano a tutta la serie di reati di carattere economico-finanziario di cui ho parlato prima.

Questa attitudine esiste anche per tipologie di rifiuti industriali: ci è stata segnalata, in diverse aree, un'improvvisa esplosione di impianti di lombricoltura. Onestamente, non credo che nel nostro paese vi sia urgenza di consumare enormi quantitativi di lombrichi. Le indagini giudiziarie hanno infatti accertato che questi impianti svolgono esclusivamente attività di copertura.

L'ultimo elemento di grande preoccupazione che abbiamo è costituito dal passaggio dalla grande discarica alla microdiscarica. E' già accaduto in diverse operazioni giudiziarie, anche qui nel Lazio, di cui si è parlato sui giornali, che in terreni di piccole dimensioni che erano stati affittati per trarne terriccio da utilizzare in rilevati connessi all'alta velocità siano stati rinvenuti rifiuti urbani e industriali. La preoccupazione è forte, perché è chiaro che, se la criminalità organizzata, l'ecomafia, si evolve e modifica i suoi atteggiamenti criminali, distribuendo sul territorio in modo ancora più occulto l'esito finale di questi traffici - cioè lo smaltimento illegale dei rifiuti - date le difficoltà che ancora si incontrano per individuare tutte le grandi discariche degli anni passati, la minaccia all'ambiente sarà davvero micidiale e ancor più difficilmente controllabile.

Avviandomi alla conclusione, concordo pienamente con quanto ha detto Benedetto sull'aspetto scientifico. Quando si sviluppano attività di indagine in generale - lo abbiamo appreso lavorando e frequentando chi svolge queste attività per compiti istituzionali e professionali - bisogna utilizzare gli strumenti più idonei. Quindi, se ho di fronte a me fenomeni di criminalità economica, avrò bisogno di esperti in grado di valutare bilanci, passaggi di denaro, transiti da conti corrente e altro. Lo stesso accade nel settore dei rifiuti: è impensabile che qualsiasi attività di indagine produca esiti positivi se manca un adeguato supporto tecnico-scientifico. L'esempio del sistema LARA del CNR è uno, ma vi sono altre strutture dello Stato, come il Servizio geologico nazionale e l'Istituto nazionale di geofisica, oltre alla stessa ANPA e le diverse realtà territoriali in cui funzionano le ARPA, per le quali la dotazione di un supporto tecnico-scientifico per chi svolge attività di indagine nel settore è fondamentale, sia per individuare i siti sia per qualificare i rifiuti che sono oggetto di questi traffici. Insieme all'introduzione nel codice dei nuovi delitti contro l'ambiente, alla valorizzazione in sede giudiziaria e investigativa dei crimini economici connessi a queste attività, questa è la terza gamba per fare in modo che le indagini giudiziarie si sviluppino e le responsabilità penali si accertino.

E' assai improbabile, infatti, che nel nostro paese si possa sviluppare un sistema sano di gestione di una materia così complessa se i soggetti che per anni hanno avuto modo di accumulare contatti, collegamenti, connessioni, collusioni e competenze tutti finalizzati ad attività criminali e illecite non vengono esclusi dal mercato. L'industria del falso di cui ho parlato prima ci preoccupa in maniera fortissima, perché è evidente a tutti che quella della raccolta differenziata e del riciclaggio è una delle politiche virtuose più importanti nel settore dei rifiuti; ma mi chiedo, se in questo mercato operano già oggi, in maniera diffusa, soggetti criminali, come possano le imprese sane, che producono occupazione stabile e sicura, svilupparsi, poiché hanno in casa una concorrenza tremenda, in grado di agire sui costi, sulle autorizzazioni e sui controlli per svolgere la sua attività in modo apparentemente legale, senza che nessuno se ne accorga.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Fontana, anche per gli interrogativi stimolanti che ha proposto e, ovviamente, per il ruolo che Legambiente ha svolto in tutti questi anni e che ha avuto molti riconoscimenti.

LUCIA VENTURI, Coordinatrice scientifica di Legambiente. Sarò brevissima, presidente, perché molte cose sono state già dette da chi mi ha preceduto, a partire dal dottor Benedetto del WWF e dal collega Fontana. Non ho intenzione di tediare questa Commissione sul pensiero di Legambiente a proposito dell'impianto previsto dal decreto Ronchi. Il pensiero di Legambiente è già stato espresso più volte in altre sedi, come le Commissioni ambiente della Camera e del Senato, che hanno agli atti i nostri documenti sul tema.

Sarò breve anche perché alcuni punti che volevo segnalare alla Commissione d'inchiesta hanno già avuto una risposta. Ho appreso infatti che sono stati costituiti dei Comitati su alcuni temi, che dovranno seguire e monitorare non solo le attività, ma anche le difficoltà che le amministrazioni degli enti pubblici dovranno affrontare nell'applicazione corretta del decreto Ronchi. In questo senso anch'io mi associo alle preoccupazioni espresse, sottoponendo all'attenzione di questa Commissione la problematicità del sistema dei controlli che in qualche modo viene accresciuto in seno alle province dal decreto Ronchi(in termini sia di controllo sia di coordinamento sull'attuazione del decreto stesso). E' un punto di particolare importanza, perché il controllo preventivo dovrebbe essere più efficace - o, almeno, questo ci auguriamo - rispetto alla repressione successiva.

Sempre in tema di amministrazioni e di governi locali vorrei segnalare alla Commissione che attualmente due regioni del sud stanno operando in regime di ordinanza di urgenza: mi riferisco alla Campania ed alla Puglia. Per una terza regione, la Calabria, il decreto di emergenza è già stato varato dal Consiglio dei ministri: deve essere soltanto pubblicata l'ordinanza di nomina del commissario. Noi riteniamo che la possibilità data a queste regioni di operare in emergenza - anche in deroga all'iter burocraticoprevistodal regime ordinario -, nonché i finanziamenti messi a disposizione dall'amministrazione centrale dello Stato dovrebbero essere utilizzati per avviare seriamente una fase di amministrazione ordinaria. Ci auguriamo che questo avvenga nel più breve tempo possibile, ma siamo preoccupati perché in realtà gli elementi di cui disponiamo non ci fanno ben sperare.

Un altro punto che non è stato toccato riguarda uno dei decreti attuativi previsti dal decreto legislativo n. 22, che mi risulta si trovi già all'esame del Consiglio di Stato. Non ne conosco precisamente i contenuti, ma vorrei ricordare alla Commissione quali erano le preoccupazioni a partire dalle quali erano state compiute determinate scelte. Si tratta del decreto che identifica e cataloga i rifiuti pericolosi che possono essere smaltiti in discarica.

All'atto della definizione del decreto era palese una preoccupazione, resa manifesta dal Servizio acque, rifiuti e suolo del Ministero dell'ambiente: la nuova classificazione dei rifiuti introdotta dal decreto legislativo n. 22 semplificava il quadro preesistente superando la definizione di "tossico-nocivi" ed introducendo la dizione "pericolosi"; però finiva per emergere una notevole quantità di rifiuti pericolosi nel nostro paese. In precedenza - come sappiamo bene - molto facilmente i rifiuti tossico-nocivi diventavano "speciali" e così, in qualche modo, non esistevano più; con la nuova classificazione i rifiuti pericolosi si gonfiavano (ecco la preoccupazione del Servizio ARS) e tale quantità, divenuta eccessiva, veniva finalmente a galla.

Le modalità con cui ci si accingeva ad arginare il problema non ci avevano convinto fino in fondo e non davano garanzie: la fase transitoria avrebbe dovuto essere gestita, secondo le intenzioni, utilizzando le discariche di tipo 2B, le quali sarebbero state riammodernate per ospitare questi rifiuti. Come già abbiamo avuto modo di rappresentare in precedenza, vorrei ancora segnalare alla Commissione la necessità di effettuare - prima ancora di poter autorizzare queste discariche ad accogliere i rifiuti catalogati e identificati come pericolosi - un censimento per verificare lo stato di salute delle discariche stesse e per evidenziare quali di esse sono adeguate per accogliere questi rifiuti. E' necessario, inoltre, un trattamento preliminare di questi rifiuti prima del deposito e dello smaltimento in discarica.

Resta fermo, d'altra parte, che a nostro avviso la modalità di affrontare il problema dovrebbe essere un'altra: occorrerebbe attenersi alla gerarchia prevista dal decreto legislativo n. 22 per tutti i rifiuti. Mi auguro che la Commissione voglia vigilare su questo adempimento. E' chiaro che nel decreto legislativo n. 22 sono stati previsti organismi di vigilanza (mi riferisco all'osservatorio nazionale sui rifiuti) sull'effettivo rispetto - da parte dei consorzi e del CONAI - degli obblighi previsti in ordine al riciclaggio ed al recupero dei rifiuti. E' bene che questa attività di controllo e di vigilanza sia compiuta su tutti i rifiuti, affinché la gerarchia sia rispettata.

Un ultimo punto di fondamentale importanza riguarda l'opportunità di dar vita in tempi brevi al decreto per la definizione degli standard, dei limiti e delle caratteristiche tecniche per le bonifiche. E' un altro atto previsto dal decreto legislativo: sarebbe fondamentale per ripristinare molti pezzi di territorio del nostro paese.

PRESIDENTE. Vi ringrazio per il contributo offerto attraverso le vostre ampie esposizioni. Ovviamente terremo ampiamente conto degli elementi che ci avete fornito ed anche della documentazione che vorrete inviarci. L'audizione odierna ha consentito di rinnovare ed intensificare il rapporto esistente fra l'istituzione parlamentare e le associazioni ambientaliste che si interessano di queste tematiche direttamente sul campo. Ribadiamo lo spirito di collaborazione che abbiamo più volte manifestato: la Commissione resta a disposizione delle associazioni ambientaliste e di tutti i cittadini che vogliano rivolgersi ad essa per affrontare i problemi di settore.

Il problema dei controlli e quello dei rifiuti pericolosi sono nel cuore e nella mente dei componenti della Commissione, perché sono le questioni di gran lunga più sentite da tutti i cittadini, visti i danni ambientali e sanitari che possono derivare da una carenza di controlli e dalla mancanza di un adeguato intervento su tutti gli aspetti della bonifica.

Devo dire che tali tematiche potrebbero suggerire ai commissari, come componenti dei vari gruppi parlamentari, di proporre interventi nella legge finanziaria. Mi domando se non sarà possibile produrre emendamenti o ordini del giorno - con le firme dei rappresentanti di tutti i gruppi - per sottolineare l'importanza di procedere nella direzione che qui è stata proposta. In tal senso si potrebbero trovare risposte sia nei provvedimenti collegati sia nella stessa legge finanziaria (come è già accaduto in passato in altre esperienze).

FRANCO GERARDINI. Mi permetto si segnalare che il Consiglio dei ministri ha approvato uno schema di decreto legislativo di modifica del decreto legislativo n. 22, sul quale le Commissioni competenti della Camera e del Senato sono chiamate, in un periodo di tempo limitato, ad esprimere il loro parere. Alcune questioni sollevate nel corso di questa audizione potranno trovare ospitalità dal punto di vista legislativo nello schema di decreto legislativo, in particolare le questioni sollevate dal rappresentante del WWF.

Segnalo questo aspetto perché credo che la Commissione d'inchiesta, anche a seguito delle audizioni svolte fino ad oggi, può mettere insieme alcuni suggerimenti e trasfonderli in emendamenti da inserire nel contenitore costituito dal parere delle Commissioni ambiente del Senato e della Camera. Alcune questioni potranno dunque trovare subito ospitalità nel provvedimento legislativo in corso, al di là della giusta proposta, avanzata dal presidente, di verificare quali ulteriori spazi per esse si potranno aprire in sede di discussione della legge finanziaria, che ha tuttavia una sua problematicità, e forse quest'anno ne ha più delle altre volte.

PRESIDENTE. La ringrazio del suggerimento, anche perché ci fornisce l'occasione per discutere in sede di ufficio di presidenza, che si riunirà la prossima settimana, la possibilità di porre all'ordine del giorno della nostra Commissione una seduta per la valutazione dello schema di decreto legislativo ed eventualmente per una presa di posizione - l'unica forma mi sembra possa essere quella di una lettera del presidente ai presidenti delle competenti Commissioni della Camera e del Senato - sull'argomento. E' ovvio poi che i singoli parlamentari membri delle Commissioni di merito potranno decidere di far propria tale presa di posizione.

FLORIANO VILLA, Presidente di Italia Nostra. Siccome ha parlato di gruppi di lavoro nell'ambito della Commissione, sarebbe interessante sapere quali sono e di che cosa si occupano.

PRESIDENTE. Le invieremo senz'altro l'elenco dei Comitati costituiti ai sensi della legge istitutiva della nostra Commissione.

Nel ringraziare i rappresentanti delle organizzazioni intervenute all'odierna audizione per il notevole contributo che hanno fornito ai lavori della Commissione, dichiaro conclusa l'audizione.

Avverto che la Commissione tornerà a riunirsi giovedì prossimo, 23 ottobre 1997, alle 13,30, per ascoltare il prefetto di Roma, alcuni magistrati e rappresentanti della regione Lazio e del NOE dei carabinieri.

La seduta termina alle 15,15.

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