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COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA

SUL CICLO DEI RIFIUTI E SULLE ATTIVITA’

ILLECITE AD ESSO CONNESSE

59.

SEDUTA DI GIOVEDI’ 22 OTTOBRE 1998

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO SCALIA

INDICE

 

Audizione di rappresentanti dell’ANPA, dell’ENEA, dell’ISPESL e dell’Istituto superiore di sanità in materia di radioprotezione, in relazione al rischio radiologico connesso con la chiusura del ciclo nucleare:

 

La seduta comincia alle 14.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità della seduta sia assicurata anche attraverso gli impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Avverto che verrà redatto e pubblicato il resoconto stenografico della seduta.

Audizione di rappresentanti dell’ANPA, dell’ENEA, dell’ISPESL e dell’Istituto superiore di sanità in materia di radioprotezione, in relazione al rischio radiologico connesso con la chiusura del ciclo nucleare.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione di rappresentanti dell’ANPA, dell’ENEA, dell’ISPESL e dell’Istituto superiore di sanità in materia di radioprotezione, in relazione al rischio radiologico connesso con la chiusura del ciclo nucleare.

La materia che dobbiamo affrontare è quella dei rifiuti radioattivi e dello smantellamento degli impianti nucleari in generale, sulla quale a Commissione ha attivato un gruppo di lavoro ad hoc e sta predisponendo un documento, con una proposta di articolato. Prima di esaminare tale documento, la Commissione vorrebbe disporre delle informazioni più complete possibile e per tale motivo sta svolgendo una serie di audizioni di esperti e professionisti, segnatamente in merito alla distribuzione dei radionuclidi attualmente presenti in Italia per tipologia e, sulla base dell’esperienza internazionale ed Italiana, e ai problemi radioprotezionistici da affrontare nelle diverse fasi attuali e future: penso, tra quelle più "semplici" alla solidificazione con diverse tecnologie dei liquidi radioattivi presenti sia alla Trisaia sia a Saluggia, e alla sistemazione degli elementi di combustibile irraggiato, operazioni complesse che configurano rilevanti aspetti radioprotezionistici.

Inoltre, nella previsione della costituzione di un’agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi, dobbiamo affrontare il problema del sito – che amo definire "storico" – che ci pone di fronte la questione dei tempi concepibili, nel senso di gestire per 350 anni un sito nel quale deporre le scorie radioattive che hanno vita media breve, lasciando aperto il ragionamento, come accade in tutti i paesi d’Europa, sulle scorie radioattive con vita lunga o lunghissima, un problema aperto alla sperimentazione e alla ricerca.

Questo è, in estrema sintesi, l’oggetto della discussione del gruppo di lavoro, in merito al quale vorremmo da voi alcune notizie.

RENZO DELIA, Rappresentante dell’ISPESL. Immagino che conosciate benissimo il problema della disattivazione di un impianto nucleare, collegato con l’articolo 55 del decreto n. 230 del 1995, in base al quale le operazioni connesse devono essere autorizzate, oltre che dal Ministero dell’industria, anche dai Ministeri dell’ambiente, dell’interno, del lavoro e della sanità, dall’ANPA, dalle regioni e dalle province, su richiesta del titolare della licenza. Per quanto riguarda la parte della radioprotezione, ai sensi del comma k) dell’articolo 6 della legge n. 833, l’ISPESL deve esprimere un parere (precedentemente era l’Istituto superiore di sanità) ma il Ministero della sanità può comunque intervenire.

Per quanto riguarda le richieste che ci sono pervenute, relative al decommissioning delle città nucleari, abbiamo esaminato la documentazione che ci è stata inviata dall’ENEL. Possiamo dire che abbiamo esaminato la formula di scarico che loro hanno modificato secondo l’attuale normativa e le diverse tipologie possibili dei gruppi critici della popolazione.

PRESIDENTE. Le formule di scarico di che cosa, non avendo più impianti in esercizio?

RENZO DELIA, Rappresentante dell’ISPESL. Pur non essendo in esercizio, le centrali ancora hanno del combustibile, per cui vi è sempre una possibilità di contaminazione verso l’esterno o, nelle normali manutenzioni, potrebbero essere creati dei rifiuti. Abbiamo, quindi, delle centrali che non vengono utilizzate ma nelle quali, secondo me, devono essere presenti tutte le persone in grado di sopperire alle necessità che potrebbero sopravvenire, perché i combustibili sono ancora in sito e non sono ancora stati inseriti nella piscina a ciò predisposta.

Il punto fondamentale è quello del trasferimento del combustibile nella piscina, operazione ancora non realizzata per la centrale di Caorso, che comunque è stata già autorizzata con il decreto di esercizio. Il problema è dovuto al fatto che al momento nella piscina vi sono le barre della precedente ricarica, ferme lì da 14 anni e che dovrebbero essere eliminate e poste in adatto contenitore.

Nell’ambito del decreto di esercizio di ogni centrale, del quale si è interessato l’Istituto superiore di sanità – l’ISPESL non era ancora nato – non vi era alcuna disposizione in merito né al tempo di durata delle barre nelle piscine, né ad altre remore. Oltre ad avere esaminato questo progetto, noi abbiamo esaminato quello della prima fase, relativo alla disattivazione dell’impianto, che prevede un trasferimento delle barre nell’impianto della piscina. La parte radioprotezionistica, e quindi l’impatto verso la popolazione, i lavoratori e i gruppi critici, ci è sembrata idonea per eliminare tutti i rischi.

Abbiamo anche esaminato la documentazione pervenuta, nella quale si è ipotizzato che nella piscina le barre dovrebbero restare al massimo 5 o 6 anni, per poi essere messe in contenitori speciali. L’uso di questi contenitori speciali per lo stoccaggio delle barre – gli stessi utilizzati in ambito mondiale – consente un deposito di sicurezza praticamente illimitato.

Ai sensi degli articoli 6, comma k), e 23 della legge n. 833, l’istituto deve dare una risposta che ancora non è stata data in maniera ufficiale, perché stiamo concludendo l’esame di alcune parti. Però, esaminati i documenti dell’Istituto superiore di sanità per la parte riguardante il nulla osta all’installazione del sito e le carte successive presentate dall'ENEL, ritengo che non vi sia un eccessivo pericolo, anzi che si dovrebbe procedere in tempi brevi almeno con riferimento all’eliminazione delle barre e la loro immissione in speciali contenitori di stoccaggio.

PRESIDENTE. Chiederei al rappresentante dell'Istituto superiore di sanità di fornirci ulteriori notizie anche nella prospettiva che ricordavo prima, cioè non solo riguardo alla prima fase di custodia protettiva passiva, ma anche agli sviluppi successivi ed alle altre operazioni in corso (penso alla Trisaia) o programmate (penso a Saluggia) che riguardano il ciclo complessivo del combustibile nucleare.

EUGENIO TABET, Dirigente di ricerca dell'Istituto superiore di sanità. Immagino che quando il dottor D'Elia ha parlato di istanza di autorizzazione, si riferisse a quella del 1971 per la costruzione di Caorso. L'istituto interviene de facto, non de iure, come consulente del Ministero della Sanità in diverse vicende che riguardano impianti nucleari, in particolare ci è stato richiesto il parere sulla disattivazione dei primi impianti arrivati a questa fase.

Nell'esaminare questi progetti di disattivazione degli impianti si coglie il fatto che, al di là delle differenze specifiche tra impianto ed impianto, c'è una linea comune: la scelta dei tempi della disattivazione. Gli argomenti degli esercenti sono diversi, in particolare ci è interessato quello del carico di dose collettiva associato ad una modalità di disattivazione. Se si tiene conto di diversi fattori, il radionuclide di riferimento, i tempi oramai intercorsi dallo spegnimento degli impianti, le modalità previste in tutte e due le procedure di disattivazione, la conclusione è che il problema della dose collettiva associata alla disattivazione non è fondamentale nell'analisi delle diverse soluzioni. Innanzitutto le stime degli esercenti vanno riviste verso il basso, perché i tempi ormai superano il decennio, e comunque si tratta di dosi collettive che sono nel range dei valori ai quali gli esercenti ci hanno abituato quando gli impianti erano in esercizio, quindi non costituiscono un elemento di novità tale da impensierire la struttura sanitaria che si occupa della protezione.

PRESIDENTE. Probabilmente lei sarà al corrente dei risultati della commissione tecnico-scientifica insediata dalla regione Emilia Romagna per rispondere alla richiesta del Ministero dell'industria in ordine al piano globale di disattivazione dell'ENEL. In essa si configura una richiesta di riduzione del tempo di riferimento per il decommissioning, che nella letteratura scientifica internazionale viene considerato dell'ordine di trent'anni. Vi chiedo se, sulla base degli studi che avete portato avanti, esista una correlazione tra dose collettiva e tempo in cui si pensa di effettuare queste complesse operazioni.

EUGENIO TABET, Dirigente di ricerca dell'Istituto superiore di sanità. Il fatto di avere una dose piccola (si potrebbe quantificare, ma richiederebbe un'analisi impianto per impianto) si riferisce essenzialmente ad un processo di cui si vede la prima fase, quella di messa in custodia protettiva passiva, che dura circa 10 anni; c'è poi una seconda fase che dura almeno altrettanto. In questo ambito temporale l'analisi dice che le dosi collettive sono molto vicine a quelle che l'esercente dichiara come ragionevoli ed accettabili per la disattivazione differita.

PRESIDENTE. Quindi non c'è una dipendenza significativa della dose collettiva dai decenni.

EUGENIO TABET, Dirigente di ricerca dell'Istituto superiore di sanità. C'è una parte che non si elimina e si guadagneranno molte vite medie essenzialmente sul cobalto, che è quello che conta in queste procedure. Se si rimane con una dose di 1 siver a persona, non si ha un termine di riferimento assoluto con cui paragonarla, ci sono però degli obiettivi di dose dell'esercente e dei valori del passato all'interno dei quali si può stare. Nelle procedure di disattivazione e nella scelta dei tempi mi sembra quindi che l'elemento della dose sia da tenere in considerazione come in ogni buona pratica radioprotezionistica, ma non sia fondamentale.

Vorrei fare alcune osservazioni sulla bozza di testo predisposta dalla Commissione. In uno degli articoli si parla di livelli di clearance, cioè di rilascio condizionato di materiale radioattivo; mi sembra che in questo caso si dovrebbe rivendicare che questi livelli vengano fissati dalla struttura sanitaria, naturalmente d'accordo con l'ANPA , mi sembrerebbe improprio infatti attribuire questo potere ad una struttura di gestione, sia pure di concerto con altri.

Nella proposta manca quasi completamente la procedura per la scelta del sito a monte della scelta dell'Angerir; c'è l'enunciazione di principio che bisogna seguire i criteri fissati dall'ANPA, ma i meccanismi sostanziali e formali che precedono questa fase finale di qualificazione di dettaglio di un sito già prescelto mi sembrano molto importanti da un punto di vista tecnico e politico. Su questo, se la Commissione è interessata, possiamo avanzare suggerimenti.

PRESIDENTE. I suggerimenti sono assai graditi. Prego anzi tutti i presenti di accennare in questa sede i punti salienti, ma poi di farci avere documenti scritti che sono sempre estremamente utili, in quanto consentono una riflessione più approfondita.

EUGENIO TABET, Dirigente di ricerca dell'Istituto superiore di sanità. Mi sembra che lo stesso progetto della Commissione preveda il passaggio da un set di siti possibili analizzati dall'ENEA ad un set di siti candidabili fino a uno o due siti prescelti per un esame di qualificazione ambientale. Su questo vi manderemo delle proposte.

Lo stesso dicasi per la questione del deposito. Una volta scelto il sito e progettato un deposito, nella proposta non è chiarito quali siano le procedure autorizzative né se sia opportuno un intervento di altre parti dell'amministrazione dello Stato oltre l'ANPA.

Un altro punto richiede una raccomandazione da parte del nostro istituto. Noi abbiamo vissuto nel passato con una certa fatica, anche rispetto ai colleghi, il problema di una valutazione della sicurezza degli impianti nucleari che desse un margine per ciò che riguarda la possibilità di gestire le conseguenze di gravi incidenti nucleari. Il motivo di discussione nasceva dal fatto che gli incidenti ai quali ci riferivamo avevano sempre percentuali di rischio molto inferiori ad uno, ma non erano impossibili.

PRESIDENTE. Sta parlando del cosiddetto rischio residuo.

EUGENIO TABET, Dirigente di ricerca dell'Istituto superiore di sanità. Oggi si chiamano incidenti severi, domani si chiameranno in un altro modo. Man mano si affermò l'idea che questi eventi si fronteggiano, oltre che attraverso sicurezze impiantistiche, dando una configurazione territoriale ed ambientale aggiuntiva intorno all'impianto, creando cioè zone di esclusione, zone di rispetto, zone di sviluppo sorvegliato. La stessa raccomandazione vorremmo farvi per ciò che riguarda la metodologia che sarà utilizzata per la scelta e la selezione del sito per il deposito. La scala dei trecento anni non è mineraria, ma raccomanderemo fortemente elementi di sicurezza ambientale aggiuntivi a quelli di sicurezza impiantistica: non seguiamo al cento per cento l'orgoglio degli ingegneri, fermiamoci al novanta!

PRESIDENTE. L'interesse della Commissione per questa raccomandazione è forte perché nel sopralluogo al deposito francese furono gli stessi uomini dell'ANDRA a dirci che probabilmente, pur essendo il Governo francese forse più disinvolto di quello italiano in materia nucleare, in tempi più recenti ci sarebbero state difficoltà maggiori a qualificare quel sito di quando è stato qualificato a suo tempo.

EUGENIO TABET, Dirigente di ricerca dell'Istituto superiore di sanità. Come abbiamo detto al Ministero della sanità, le azioni condotte nell'attesa che il Governo definisca una strategia nazionale per la disattivazione, azioni parziali come il trasferimento del combustibile in piscina, sono ovviamente fondamentali; pensiamo quindi che debbano essere supportate in tutti i modi.

PRESIDENTE. Sarebbe bene che su questo ognuno di voi ritornasse poi brevemente, perché è mia personale convinzione che aver aspettato per vari motivi, che non voglio specificare perché sarei indotto ad usare espressioni polemiche, oltre 11 anni prima di procedere all’autorizzazione per il rilascio degli elementi di combustibile per poterli collocare nella piscina di stoccaggio per alcuni aspetti crea di sicuro una situazione particolarissima, perché non credo vi siano esperienze confrontabili a livello di altri impianti nel mondo; non parlo di una situazione sperimentale, ma di una situazione che può essere fonte di preoccupazioni, il che mi fa ritenere che, una volta che preoccupazioni di vario genere, anche di tipo sociale e non solo sanitario ed ambientale, siano state affrontate, come mi sembra sia accaduto perché, se ben ricordo, l’autorizzazione era datata 10 febbraio 1998, credo che poi – in questo senso penso che la Commissione possa svolgere un qualche ruolo – si debba procedere allo stoccaggio, cioè continuare a mantenere gli elementi di combustibile in centrale è una soluzione che non esito a definire sbagliata, è una non soluzione. Su questo, che è un elemento particolarissimo, che comunque va affrontato, vorrei il conforto della vostra opinione.

GIAN FELICE CLEMENTE, Direttore della funzione centrale rapporti con le istituzioni dell’ENEA. Desidero innanzitutto portare i saluti ed i ringraziamenti del vicepresidente dell’ENEA, professor Leòn, per questa convocazione. Se mi verrà consentito, pregherò tra breve di intervenire il dottor Giuseppe Tarroni, direttore dell’istituto di radioprotezione del dipartimento ambiente dell’ENEA, il quale illustrerà brevemente un recentissimo documento elaborato proprio in occasione del convegno di Saluggia, sulla situazione della radioprotezione in Italia, documento predisposto insieme con l’AMPA, con l’ENEA esercente e con l’ENEL esercente. In quel documento vi è un quadro aggiornato ad oggi, al mese di ottobre, della situazione italiana. Il dottor Tarroni parlerà delle attività dell’istituto di radioprotezione con particolare riferimento ai collegamenti tra attività di ricerca, di servizio e di qualificazione e ciò che l’istituto di radioprotezione fa in materia di misurazione della contaminazione ambientale da radionuclidi, le attività di radioprotezione e soprattutto di servizio per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, nonché per i problemi del sito dei rifiuti.

GIUSEPPE TARRONI, Direttore dell’istituto per la radioprotezione del dipartimento ambiente dell’ENEA. Nel ringraziare la Commissione ed il dottor Clemente, vorrei far presente che il quadro di riferimento contenuto nel citato rapporto e che penso sia molto utile è il frutto di un’impresa che ha richiesto molto impegno e molto lavoro, per cercare di chiarire la situazione di quello che abbiamo chiamato il sistema radioprotezione del nostro paese, del suo grado di affidabilità e delle sue potenzialità, sistema che, come è scritto nel rapporto, comprende la componente AMPA la componente ENEA prevalentemente per quanto riguarda gli aspetti di qualificazione e ricerca, l’ENEA esercente e l’ENEL esercente. Questo rapporto è firmato congiuntamente da tutti gli enti che ho ricordato ed è attualmente in via di ulteriore sviluppo, perché sono in corso contatti sostanziali con l’Istituto superiore di sanità per dare maggior risalto soprattutto alla componente ricerca, che risulta alquanto minoritaria. Speriamo – è questo l’impegno che ci è stato richiesto – di presentare il rapporto finale in occasione dello svolgimento, alla fine del mese di novembre, della conferenza nazionale energia ed ambiente. Si tratterà, quindi, di un rapporto che si pone lo scopo di presentare un quadro del sistema radioprotezione, del suo stato attuale, delle sue potenzialità ed esigenze.

Per quanto riguarda la componente ENEA, credo utile, sia pur brevemente, dare un’idea di cosa essa rappresenti, di quali siano le sue potenzialità, nonché della sua utilità per il sistema paese. Nel 1993 l’ENEA decise di accorpare tutte le attività di radioprotezione in un’unità che fu chiamata istituto per la radioprotezione, intendendo con questa denominazione un’unità che aveva uno scopo ben definito e, per così dire, una ragione sociale molto precisa. Ovviamente creare sulla carta un’unità di questo tipo non vuol dire disporne effettivamente e quindi da allora è iniziata una serie di operazioni piuttosto complesse, che comunque si ponevano sempre l’obiettivo di accorpare tutte le competenze, di rinnovarle laddove erano in difficoltà e di inserirle nel contesto europeo. Su questo punto vorrei insistere perché almeno nel campo della radioprotezione il contesto europeo non è qualcosa in più, ma è qualcosa di assolutamente obbligatorio, perché certe competenze non hanno possibilità né di confronto né di qualificazione a livello nazionale, e questo non vale solo per l’Italia, tant’è vero che alcune azioni di qualificazione vengono fatte esclusivamente a livello europeo.

Attualmente l’ENEA, pur rimanendo alcuni problemi marginali, si trova ad avere tutte le attività di radioprotezione inserite in questa unità; questa incorpora sia le attività di sorveglianza fisica di radioprotezione per la funzione esercente sia le attività di qualificazione e ricerca. Il fatto di mettere insieme queste due componenti ci ha portati a meditare a lungo sul significato di questa scelta, che tuttavia riteniamo assolutamente indispensabile per due motivi principali: in primo luogo, perché l’operazione di qualificazione e ricerca deve avere una possibilità obbligata di verifica e di messa in atto del risultato dell’indagine; nello stesso tempo, questo dovrebbe garantire – e garantisce – all’attività di ricerca e qualificazione autonomia finanziaria, nel senso che tale attività (questo è un altro aspetto che riguarda tutte le attività di radioprotezione) deve presentare alcune caratteristiche fondamentali: l’affidabilità, la credibilità ed un’immagine di trasparenza ed indipendenza, nel senso che nessuno deve mettere in dubbio che i risultati della valutazione dell’esperto qualificato, il quale riassume tutti i dati provenienti dal servizio di radioprotezione, possano essere modificati sulla base di indicazioni che non siano rigidamente di tipo professionale e basati su conoscenze scientifiche. Quindi, dal mio punto di vista, vedo la necessità di avere fonti di finanziamento diversificate, in modo che nessuno dei soggetti che ho ricordato abbia il potere di imporre la propria linea. Ritengo che si tratti di un dato fondamentale sia per la sostanza sia per l’immagine.

Per le attività di radioprotezione ritengo, inoltre, che l’immagine sia un attributo tutt’altro che secondario perché alla fine il destinatario delle attività di radioprotezione è l’individuo, è la popolazione ed essa deve essere sicura che, quando arriva un dato dal sistema di radioprotezione nazionale, tale dato è affidabile. Quando il sistema sostiene che non vi è rischio, vuol dire che effettivamente non c’è; quando dice che un rischio esiste, è in grado di valutarne la dimensione e di suggerire i rimedi.

Questo porta ad un’altra considerazione che riguarda il modo in cui un sistema di radioprotezione possa essere collocato nell’ambito degli aspetti tecnico-scientifici di cui ci occupiamo in ENEA. Anche in questo caso ritengo essenziale che, sotto il profilo sia sostanziale sia dell’immagine, risulti che non vi è dipendenza da questa che è un’attività di garanzia del lavoratore e quindi che essa non debba dipendere direttamente dai responsabili delle attività stesse. Voglio dire che l’esercente dell’impianto ha come fine principale quello della gestione dello stesso in tutti i suoi parametri, ingegneristici, economici, e così via; il sistema di sicurezza e garanzia di radioprotezione non deve dipendere in nessuna maniera da questo. Posso dire che questa azione in ENEA si è avviata, ha percorso un processo piuttosto lungo, che dura tuttora e che spero arrivi a conclusione in tempi abbastanza brevi per garantire autonomia a questo tipo di attività rispetto alla linea esercente e per offrire garanzie agli utilizzatori finali. Si tratta di un aspetto molto importante che tocca alcuni processi di riorganizzazione interna e di ciò a mio avviso si deve tener conto perché può costituire davvero un aspetto molto importante.

Passerei ora a dare le dimensioni di ciò che noi siamo.

PRESIDENTE. Mi scusi, tuttavia poiché l’ENEA ci consegna una ponderosa relazione, avremo modo di conoscere i dati che lei stava per fornire; piuttosto, ci interesserebbe che lei calasse i principi ed i criteri che stava esponendo nelle problematiche di brevissimo, breve, medio e lungo periodo.

GIUSEPPE TARRONI, Direttore dell’istituto per la radioprotezione del dipartimento ambiente dell’ENEA. L’aspetto tipico è rappresentato dalle attività di qualificazione e ricerca, attività che l’ENEA in alcuni casi svolge da oltre un ventennio, in altri da oltre un quinquennio e credo che a questo punto sia importante e fondamentale arrivare al chiarimento dei ruoli. Intendo dire che la componente radioprotezione dell’ENEA ha sempre svolto quest’attività su base volontaria sia da parte degli operatori sia da parte di chi era il destinatario dell’attività stessa e per questo ritengo che essa debba assumere una collocazione formale più sostanziale. In particolare, va chiarito il contributo che al sistema di radioprotezione debbono fornire gli enti che su questo sistema operano.

In proposito, vorrei fornire solo qualche dato: noi siamo in tutto 80, 20 addetti sono impiegati nelle attività di qualificazione e ricerca; ritengo quindi che l’ENEA debba fare un investimento significativo soprattutto in funzione del servizio paese. Quanto ai nostri costi annuali di rinnovo strumentazione essi si aggirano attorno a 2 miliardi e mezzo, 3 miliardi e penso che le risorse per arrivare a regime non siano rappresentate da numeri significativamente diversi da questi.

Venendo al tema specifico, ritengo che un sistema di radioprotezione articolato in responsabilità ben individuate rappresenti una base essenziale per qualsiasi progetto che abbia aspetti rilevanti e significativi di radioprotezione. I problemi legati allo smantellamento impianti ed al trattamento di rifiuti radioattivi non sono di classe diversa da quelli che attualmente si stanno affrontando nel paese e tuttavia presentano una serie di particolarità che vanno affrontate in tempi utili e che, a mio avviso, sono perfettamente affrontabili nel sistema Italia una volta che risulti chiaro chi deve fare cosa, in particolare chi deve mettere le risorse che, lo ripeto, non sono assolutamente di dimensioni ingenti.

PRESIDENTE. L’ENEA è il solo ente incaricato dal Governo di portare avanti una ricerca sul deposito storico per le scorie radioattive. Ovviamente un elemento fondamentale di questa ricerca per la qualificazione del sito che dovrà ospitare le scorie radioattive a vita media è quello – lo ricordava prima il professor Tabet – radioprotezionistico. Vi è stata una correlazione tra tale ricerca, che avrà seguito criteri di carattere geologico, geochimico, idrogeologico, e l’aspetto radioprotezionistico?

GIAN FELICE CLEMENTE, Direttore della funzione centrale rapporti con le istituzioni dell’ENEA. Per il modo in cui siamo organizzati, che non ritengo sbagliato, nel sistema che abbiamo messo in piedi, l’aspetto strettamente radioprotezionistico è esaminato a progetto definito, cioè quando si arriva alla scelta del progetto. Nel caso specifico finora non siamo stati coinvolti; abbiamo idee e raccogliamo informazioni ma non sul progetto specifico.

GIUSEPPE GROSSI, Direttore del dipartimento rischio nucleare e radiologico dell’ANPA. Vi ringrazio per questa occasione d’incontro, alla quale mi accompagnano l’ingegner Roberto Mezzanotte, assistente del direttore dell’ANPA in materia di sicurezza nucleare e radioprotezione, e l’ingegner Carlo Rollo, capo del settore della radioprotezione impianti dell’ANPA.

Con la massima sincerità, debbo dire che eravamo preparati a questo incontro per parlare di qualcos’altro. In sostanza, avevamo interpretato la vostra chiamata come un invito a rassicurare oppure a mettere alcuni punti di attenzione sullo stato della radioprotezione in Italia per quanto riguarda gli impianti in cui vengono detenuti rifiuti radioattivi e le operazioni che si stanno svolgendo oggi per la sistemazione dei radioattivi e del decommissioning. Prendendo spunto da questo, stiamo parlando delle quattro centrali dell’ENEL (Garigliano, Latina, Trino e Caorso), del deposito di combustibile a Rogadro di Saluggia, degli impianti sperimentali dell’ENEA, Eurex, Itrec, Plutonio e Opec e dell’impianto FN di Bosco Marengo. Questo è il corpus di ciò di cui vogliamo parlare in maniera più completa.

PRESIDENTE. Chiederò direttamente all’ANPA e agli altri enti coinvolti di avere un work in progress. L’ANPA, in un convegno di pochi mesi fa, ha presentato la classificazione dei radionuclidi presenti sito per sito. Per avere un inventario il più possibile completo, francamente a me sembra che la relazione svolta in quel convegno dall’ANPA necessiti di un approfondimento.

Vorrei quindi capire quale sia lo stato dell’arte, perché nel momento in cui pensiamo di sistemare i rifiuti radioattivi anche provenienti dallo smantellamento delle centrali, abbiamo la necessità di conoscere la fotografia della situazione attuale.

GIUSEPPE GROSSI, Direttore del dipartimento rischio nucleare e radiologico dell’ANPA. Se permettete, vorrei spendere alcune parole sullo stato attuale della radioprotezione, come lo vediamo noi in qualità di ente di vigilanza. Esercitiamo la vigilanza sulla radioprotezione attraverso i nostri ispettori che periodicamente (in media ogni quadrimestre, ma in situazioni particolari con molta più intensità, come sta avvenendo adesso a Caorso per le operazioni di scarico del nocciolo) verificano lo stato della radioprotezione.

PRESIDENTE. Lei ci sta dando una notizia: il nocciolo si sta scaricando.

GIUSEPPE GROSSI, Direttore del dipartimento rischio nucleare e radiologico dell’ANPA. No, si stanno svolgendo le operazioni preliminari per il primo spostamento di barra di combustibile, previsto per la metà della prossima settimana.

Un altro modo in cui controlliamo lo stato della radioprotezione è quello delle esercitazioni di emergenza che, mediamente una volta all’anno, vengono fatte in questi impianti in condizioni simulate. In tal modo possiamo verificare l’efficienza dei sistemi radioprotezionistici. In proposito l’ingegner Rollo potrà fornirvi una serie di dati rassicuranti.

PRESIDENTE. Questa parte è presente nel documento?

GIUSEPPE GROSSI, Direttore del dipartimento rischio nucleare e radiologico dell’ANPA. No.

PRESIDENTE Vi sollecito, allora, a farci pervenire documenti scritti che possono essere utili alla Commissione.

GIUSEPPE GROSSI, Direttore del dipartimento rischio nucleare e radiologico dell’ANPA. Un altro modo per vigilare sulla radioprotezione è quello dei controlli sulla densità ambientale. Sapete bene che vi è una rete nazionale di 21 centri regionali di riferimento, uno per ogni regioni o provincia autonoma, dotati di strumentazioni per la misura dei radionuclidi nell’ambiente e negli alimenti. Oltre a questi vi sono almeno altre 10 strutture nazionali adeguatamente attrezzate che fanno parte di una rete che prevede anche un complesso di 10 centri per la misura in continuo della radioattività artificiale nell’aria, rilevata e comunicata giornalmente all’ANPA. Vi è poi la rete ANPA che stiamo costituendo e che consta di sette sistemi automatici di misura della radioattività alfa, beta e gamma in aria e di 50 punti di misura della dose gamma in aria e, ovviamente, del relativo sistema centralizzato.

PRESIDENTE. La rete ANPA si giova di reti, seppure parziali, preesistenti dell’ENEA e dell’Istituto superiore di sanità?

GIUSEPPE GROSSI, Direttore del dipartimento rischio nucleare e radiologico dell’ANPA. No, la rete ANPA si sta attrezzando ora ed è completamente nuova ed autonoma. Ciò non significa che non possano essere collocati e messi in rete… anzi la nostra ambizione maggiore è che la nostra rete sia interconnessa con analoghe reti di paesi confinanti come l’Austria, la Slovenia, la Svizzera in modo da avere il controllo in tempo reale di eventi che dovessero venire dall’estero.

GIAN FELICE CLEMENTE, Direttore della funzione centrale rapporti con le istituzioni dell’ENEA. Ogni centro ENEA attualmente ha una sua rete di sorveglianza della radioattività ambientale.

GIUSEPPE GROSSI, Direttore del dipartimento rischio nucleare e radiologico dell’ANPA. Ci sono poi le reti locali situate in ciascun sito dell’impianto, sulle quali abbiamo tutti i dati che possono essere forniti alla Commissione.

Dobbiamo dare rassicurazioni ma anche mettere in guardia sui problemi che si possono verificare anche a breve termine e che riguardano il personale dal punto di vista non della qualità ma della quantità. Siamo ridotti ai minimi termini e riusciamo a stento a governare la vigilanza in maniera da essere all’altezza dei compiti che ci sono affidati.

PRESIDENTE. Lo sta dicendo rispetto al dipartimento?

GIUSEPPE GROSSI, Direttore del dipartimento rischio nucleare e radiologico dell’ANPA. Sì. Inoltre, le valide persone che oggi lavorano e detengono un patrimonio di conoscenza cospicuo hanno un’età media di 55 anni e, se non si provvede rapidamente alla loro sostituzione, non brutale ma graduale – solo così si può trasferire il know how - , rischiamo di avere un sistema di radioprotezione in futuro non più adeguato alla gestione dei rifiuti radioattivi e al decommissioning.

PRESIDENTE. Questo problema è ben presente alla Commissione, ma lei fa bene a ribadirlo.

GIUSEPPE GROSSI, Direttore del dipartimento rischio nucleare e radiologico dell’ANPA. Il primo cenno che voglio fare riguarda l’inventario. A novembre dello scorso anno è stato presentato un inventario cumulativo che però deriva da una serie di addizioni e di somme di cui abbiamo i parametri. In sostanza, non si tratta di numeri stimati nella loro globalità, non sono ordini di grandezza, sono somme di numeri parziali che, impianto per impianto, vengono sommati per dire, ad esempio, che il totale per l’Italia è di 24 mila metri cubi.

PRESIDENTE. Alla Commissione interessa avere anche i termini della somma.

GIUSEPPE GROSSI, Direttore del dipartimento rischio nucleare e radiologico dell’ANPA. Abbiamo i dettagli di ciascun impianto in termini di partite omogenee, cioè di fusti che hanno lo stesso tipo di rifiuti all’interno e che sono caratterizzati da radionuclidi guida. Nella definizione di un inventario è importante stabilire la radioattività totale e scegliere alcuni radionuclidi guida, attraverso i quali, sapendo la provenienza dei rifiuti, con opportune correlazioni, si può arrivare alla definizione di altri radionuclidi di molto più difficile rilevabilità. Questa è una prassi normale in ambito internazionale.

Prima distinguiamo lo stato fisico. Sui rifiuti liquidi, che sono, in termini di sorgente, cioè come radioattività totale, quasi l’80 per cento, abbiamo una determinazione analitica estremamente dettagliata che riguarda la composizione chimica e radiochimica. Ciò vale per i rifiuti liquidi di Saluggia e Trisaia, per i quali abbiamo una caratterizzazione non stimata attraverso correlazioni, ma determinata attraverso misure chimiche distruttive, quindi con prelievo di campione.

Per quanto riguarda i rifiuti solidi, dobbiamo distinguere due categorie: i rifiuti appena prodotti, cioè i rifiuti tecnologici, e quelli condizionati. Questi ultimi (che sono ad esempio quelli che provengono da processi di supercompattazione o condizionati all’estero come parecchie migliaia di fusti che da Caorso sono andati in Svezia o in Belgio o in Austria) sono caratterizzati fusto per fusto, perché sono stati misurati con sistemi non distruttivi.

Nel mondo oggi esistono dei sistemi di misura non distruttivi, costituiti da sistemi di gamma scanning o di interrogazione neutronica che permettono di misurare correttamente la qualità, oltre che la quantità, dei radioattivi presenti. Vi è in Europa una rete, denominata network europeo, di laboratori di caratterizzazione, di cui fa parte un laboratorio dell’ENEA e nella quale siamo presenti come osservatori, che ha il compito di omogeneizzare questo tipo di misure in modo da dare una sorta di certificazione europea sul metodo di misura per poter avere una definizione esatta del contenuto dei radionuclidi. Questo però si fa sui rifiuti dopo il condizionamento, perché quando, ad esempio, si inceneriscono 100 fusti di resine, se ne ottiene uno, sul quale viene fatta l’analisi, sapendo in partenza che ognuno di quei 100 ha una radioattività stimata confidente in quanto è stata misurata a livello della dose e si conosce il radionuclide guida. Questo è lo stato dell’inventario.

Per quanto riguarda i rifiuti liquidi, abbiamo dati precisissimi sulla composizione dei radionuclidi; per quanto riguarda i rifiuti solidi condizionati abbiamo la caratterizzazione fusto per fusto, mentre per quelli non condizionati abbiamo la misura di dose, la misura del radionuclide guida e una stima della presenza di altri che può essere fatta attraverso codici di calcolo.

La stessa cosa vale per i rifiuti provenienti dal decommissioning. Nei piani di disattivazione che abbiamo ricevuto dall'ENEL è contenuta una ponderosa parte di stima della radioattività totale del materiale che dovrebbe essere dismesso; anche questa valutazione si basa su codici di calcolo perché si conoscono il tipo di materiale ed il flusso neutronico ricevuto. Questo però andrà verificato nel momento in cui si faranno le operazioni.

L'altra questione importante è quando si faranno queste operazioni: entriamo così nel discorso più specifico della strategia nazionale del decommissioning. Condivido totalmente la posizione espressa dall'Istituto superiore di sanità e dalla regione Emilia Romagna sul fatto che oggi parlare di decommissioning differito adducendo come pretesto la dose non ha senso. E' un alibi che va smontato per due motivi fondamentali: il primo è che sono passati più di vent'anni da quando le centrali erano in funzione (Garigliano si è fermata nel 1978) e la curva di decadimento dopo i primi 10 anni comincia ad andare a un asintoto; se ammettiamo che la prima fase di custodia protettiva passiva occupa circa altri 10 anni, in sostanza siamo già ai trent'anni che sembrano essere il numero magico che permette le operazioni. Un altro motivo è che oggi la tecnologia del decommissioning ha raggiunto livelli elevatissimi. Potrebbe essere utile alla Commissione vedere cosa fanno i tedeschi: oggi le tecniche di decontaminazione spinta remodizzata sono all'ordine del giorno, non c'è più l'operaio con la sega, quindi è possibile ridurre al massimo il carico di dose per queste operazioni.

Resta in piedi la questione del sito per la quale dobbiamo distinguere due aspetti. In primo luogo non si può sostenere che, poiché non c'è ancora il sito, non si devono condizionare i rifiuti, non si può ridurre il volume o non si possono rendere disponibili aree che si possono predisporre facilmente senza un grosso carico di produzione di rifiuti né di impegno di dose per chi lo fa. Queste operazioni vanno comunque fatte. Inoltre ,il confezionamento dei rifiuti è un'operazione che va fatta secondo certe regole e farla in parallelo a tutte le operazioni che mirano alla caratterizzazione e alla identificazione del sito aumenta il livello di sicurezza di ciascun deposito, perché trasforma il rifiuto da grezzo a condizionato e lo rende già pronto per essere portato nel sito. A nostro parere, quindi, il fatto di dover comunque accelerare le operazioni è importante e riteniamo che, anche attraverso un'interpretazione anche un po' forzata dell'articolo 55 del decreto legislativo n. 230, si dovrebbero poter avviare certe operazioni.

PRESIDENTE. Il gruppo di lavoro della Commissione che prima richiamavo non esamina solo una serie di documenti ed un articolato per istituire l'agenzia nazionale per i rifiuti radioattivi, ma si occupa anche della revisione dell'articolo 55 in ordine a punti evidenziati nell'audizione del ministro dell'industria che collimano con quanto dice lei.

GIUSEPPE GROSSI, Direttore dell'ANPA. La questione Caorso finalmente oggi è arrivata ad una soluzione che - badate bene - è temporanea. In Italia c'è stato un arresto completo della policy del combustibile: fino al 1994 si rimandava al riprocessamento (infatti le ultime spedizioni risalgono a quell'anno, con questo sistema si sono svuotati quasi interamente Latina, Trino e Garigliano), c'è poi stato un momento di incertezza sull'opportunità di avviare una nuova politica per lo stoccaggio a secco del combustibile. Finché questa non si è definita, secondo noi era poco prudente autorizzare la scarica del nocciolo in quanto, se non ci fosse stato un impegno serio ,determinato e certificato dell'ENEL a realizzare entro 5 anni contenitori a secco, avremmo corso il rischio di creare nell'edificio del reattore un deposito di queste barre a tempo indefinito. E' chiaro che il passaggio dal nocciolo in piscina già riduce i rischi, se non altro perché imponiamo di mettere questi combustibili in una configurazione intrinsecamente sottocritica e vi è la possibilità di ispezionarli in maniera più diretta. Il momento in cui l'ENEL si è impegnata in maniera serissima a realizzare questi contenitori è il dicembre 1997, quando il direttore generale Poggi ha mandato una lettera all'ANPA e al Ministero dell'industria assumendolo solennemente.

Confidiamo che questo impegno venga rispettato e confidiamo anche nella tecnologia dello stoccaggio a secco che riteniamo provata a livello internazionale; abbiamo costituito al nostro interno un gruppo di lavoro per emettere i criteri di sicurezza che riguardano la realizzazione di questi caschi e riteniamo che il problema sia stato avviato a soluzione in maniera corretta.

PRESIDENTE. Vi chiederei di farci avere il quadro completo del combustibile irraggiato di tutti gli impianti nucleari italiani proprio in considerazione del fatto che, a seconda che siano stati avviati in impianti esteri per essere condizionati o siano rimasti in Italia, manca un quadro definitivo.

Vorremo inoltre capire cosa è stato fatto alla Trisaia, dove sono presenti combustibili liquidi di alta attività (mi riferisco a quelli che stanno intorno o sopra 1,9 curie per litro o chilo) e per i quali è stata configurata - e credo si stia andando avanti su autorizzazione dell'ANPA - una solidificazione che ci ha posto alcuni problemi. La macchina utilizzata, il MOVA, era stata usata propriamente per la cementazione dei liquidi di bassa attività, ma le perplessità nascevano dal fatto che era stata pensata per una funzione diversa e perché tutto il ciclo di lavorazione dal punto di vista del rischio di irraggiamento per i lavoratori professionalmente esposti richiedeva delle modifiche ed in prima battuta sembrava che questo implicasse una sorta di dismissione di questi liquidi ad alta attività e quindi una contaminazione di volumi molto significativi. La Commissione vorrebbe quindi sapere cosa sta accadendo: abbiamo già rivolto la domanda al presidente dell'ENEA, ma ci interessa il punto di vista dell'ente vigilante.

GIUSEPPE GROSSI, Direttore dell'ANPA. Il problema della solidificazione dei rifiuti liquidi lo abbiamo posto noi per primi agli esercenti, ritenevamo fosse di prima priorità in quanto questi rifiuti erano stoccati in contenitori da oltre vent'anni. Fin dall'inizio abbiamo avuto maggiore sollecitudine per Saluggia in quanto era il sito in cui ce ne era di più, quindi era più rilevante in termini di sorgente, e soprattutto aveva scarsissime ridondanze…..

PRESIDENTE. In termini di radioattività totale però non c'era molta differenza…..

GIUSEPPE GROSSI, Direttore dell'ANPA. Stiamo parlando di circa 120 metri cubi ad una attività media di 2 curie per litro contro 2.7 metri cubi ad un'attività di 6 curie per litro quindi le proporzioni sono molto diverse.

Mentre Saluggia non presentava ridondanze in termini di riserva di serbatoi, la situazione di Trisaia era molto meno negativa perché c'era un nuovo parco serbatoi inutilizzato. E' chiaro però che l'esigenza di solidificazione restava, avendo dovuto scartare a priori la soluzione che poteva sembrare più logica, cioè di spedire questi 2.7 metri cubi dove ce ne erano altri 120.

PRESIDENTE. Mi pare che ci sia stata una forte opposizione al trasferimento da parte della regione.

GIUSEPPE GROSSI, Direttore dell'ANPA. I problemi non sono solo politici, ma anche tecnici, per esempio l'identificazione di un contenitore idoneo a questo tipo di trasporto.

PRESIDENTE. Mi risulta che fosse tra le strategie dell'ENEA la disponibilità di carri di trasporto costruiti mi pare in Francia.

GIUSEPPE GROSSI, Direttore dell'ANPA. Stiamo parlando di dieci anni fa. Io le posso dire come è stato gestito il problema oggi, quando ci siamo trovati in una situazione in cui non era possibile effettuare una spedizione e bisognava svolgere l'attività in loco. Le faccio presente che l'impianto tedesco di Karlsruhe, che è un impianto di riprocessamento più o meno come quello dell'Eurex dove ci sono decine di migliaia di curie, ha dovuto scegliere la soluzione in loco, pur avendo i tedeschi costruito a spese loro un impianto di vetrificazione in territorio belga, proprio per la difficoltà di trasportare questi rifiuti da un sito all'altro. Ovviamente in quel caso ciò è avvenuto anche per l’opposizione del governo belga che non voleva che venissero introdotti nel suo territorio rifiuti provenienti da altre nazioni.

In questa situazione l’ENEA ha compiuto la scelta di una gestione unitaria di tutti i rifiuti che provengono dalla decontaminazione e dai lavaggi dei serbatoi attualmente contaminati; una gestione complessa ed integrata di questi rifiuti fa sì che si arrivi ad una composizione mediata di un liquido che permette di arrivare ad un prodotto cementato la cui attività è circa 20 volte superiore a quella prodotta cementando solo i rifiuti di bassa attività; questo ovviamente comporta dei carichi di dosi più elevate. Dal punto di vista concettuale il processo non è da condannare perché con la cementazione si arriva ad attività ben superiori. Per quanto riguarda i valori relativi ad un fusto di circa una tonnellata, siamo certamente in ambito internazionale in una pratica del tutto legittima, perché la scelta del vetro è dettata in maniera preponderante per quei rifiuti che presentano un’elevata potenza di emissione termica. Infatti, si procede alla vetrificazione quando un rifiuto supera i due kilowatt per metro cubo, mentre qui siamo a livelli molto più bassi. Quindi, ribadisco che dal punto di vista concettuale la cementazione è un processo lecito. Sotto il profilo gestionale, se anche globalmente può apparire che vi sia un aumento di volume, in realtà così non è, in primo luogo perché, se avessimo dovuto realizzare un impianto di vetrificazione a Trisaia, avremmo prodotto…

PRESIDENTE. Credo che questo concetto sia già stato metabolizzato dalla Commissione; il problema è che, nel momento in cui il prodotto finale di una lavorazione è costituito da fusti che hanno un’attività, come lei diceva, venti volte superiore a quella dei fusti di bassa attività, indubbiamente i lavoratori sono esposti ad una dose maggiore di radioattività.

GIUSEPPE GROSSI, Direttore del dipartimento rischio nucleare e radiologico dell’ANPA. Intanto bisogna dire che il "cuore" della macchina MOVA già di per se è tarato a radioattività ben superiori di quella di cui stiamo parlando e quindi i serbatoi interni della MOVA sono garantiti per radioattività elevate. Il problema ovviamente è quello del piping, dell’handing del fusto: proprio in questi giorni a Trisaia si stanno svolgendo le prove di caratterizzazione di tutto il processo, alcuni nostri ispettori stanno controllando con quadruple lenti di ingrandimento tutto il processo ed essi sono lì a garantire che, per l’appunto, tutte le ottimizzazioni fatte per ridurre al minimo il carico di dose siano state realizzate secondo progetto e diano risultati tali da garantire l’esecuzione del processo in maniera esente da carichi di dose eccessivi.

GIAN FELICE CLEMENTE, Direttore della funzione centrale rapporti con le istituzioni dell’ENEA. La misura delle dosi viene effettuata dall’istituto di radioprotezione in modo assolutamente indipendente dall’esercente, quindi da chi gestisce attualmente tale attività. Quindi, abbiamo l’istituto di radioprotezione che misura le dosi e vi è poi il controllo dell’ANPA su tutte le attività di radioprotezione. Vorrei far presente che la riforma del 1993 è stata fatta per rendere tutte le attività di sorveglianza fisica sugli impianti indipendenti dalla figura dell’esercente.

PRESIDENTE. Gioisco di questo, tuttavia dal punto di vista istituzionale un’indipendenza reale vi è soltanto quando sono garantite altre condizioni. Non sto mettendo in dubbio che nel caso di specie vi sia indipendenza, però istituzionalmente esistono condizioni diverse per avere la certezza formale dell’indipendenza, il che non toglie che sia del tutto apprezzabile l’aver voluto separare in strutture diverse funzioni diverse.

Nel ringraziare nuovamente i nostri ospiti, ribadisco nuovamente la richiesta, di natura formale provenendo da una Commissione d’inchiesta, di avere la documentazione che di volta in volta ho sottolineato, nonché valutazioni e suggerimenti che possano venire dagli enti che rappresentate.

La seduta termina alle 15,45.

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