Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

2ª SEDUTA

MERCOLEDI’ 23 OTTOBRE 1996

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

Indice interventi

PRESIDENTE
GUALTIERI (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore

 

La seduta ha inizio alle ore 20,20.

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

PRESIDENTE. Comunico che è in distribuzione l'elenco dei documenti pervenuti dopo la ricostituzione della Commissione. Comunico altresì che in data 23 ottobre 1996 il Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Commissione il senatore Angelo Staniscia, in sostituzione della senatrice Silvia Barbieri, dimissionaria. Il senatore Staniscia è con noi e gli do il benvenuto.

 

DIBATTITO SULLO STATO DELLE INCHIESTE, CON RIFERIMENTO ALL'IPOTESI DI RELAZIONE CONCLUSIVA

PRESIDENTE. La seduta di questa sera è stata "funestata" da un incrocio dei lavori parlamentari del Senato, che sono terminati poco fa, e dalla modifica dei lavori della Camera che è impegnata addirittura in un voto dì fiducia. Avremmo anche potuto sconvocare questa riunione, ma dato il pochissimo tempo che abbiamo prima della scadenza del termine previsto dalla legge, dopo essermi sentito con i membri dell'Ufficio dì Presidenza, si è concordato uno svolgimento diverso di questa riunione. Farò una breve esposizione orale che non sarà una relazione, ma una serie di flash sulle ragioni che hanno spinto la Commissione nella scorsa legislatura a mettere allo studio una relazione di sintesi e conclusiva su quelle che possono essere considerate le linee portanti che ispirarono la proposta di relazione, che fu in tale prospettiva redatta.

Di quel che dirò distribuiremo poi a tutti i colleghi, anche ai non presenti, il resoconto stenografico, in maniera che dalla prossima seduta i commissari e i Gruppi presenti in Commissione diventino i protagonisti della vicenda, pronunciandosi innanzitutto sul destino della Commissione. Pertanto vorrei che i Gruppi esprimessero con chiarezza se a loro giudizio (che è un giudizio ovviamente anche politico) la Commissione è, entro il 31 dicembre, in condizione di chiudere in tutto o in parte i propri lavori e se quindi si ritiene possibile che la Commissione rassegni, almeno per una parte degli oggetti che le sono stati assegnati dalla legge, delle conclusioni definitive (almeno nei limiti del significato di definitività che è proprio delle conclusioni di Commissioni parlamentari d'inchiesta).

Dicevo nella seduta dell'altra volta che, se oggi dovessimo fare una rivisitazione anche in sede di inchiesta parlamentare della P2, probabilmente finiremmo per dire una serie di cose che sono in parte diverse da quelle scritte nella relazione Anselmi, perché c'è stata una serie di nuove acquisizioni, un processo si è celebrato (anche se non ancora interamente, perché quel processo è ancora in corso). Quindi è evidente che quando dico definitive lo dico come conclusione di un'inchiesta parlamentare che non ha la sacralità del giudicato, ma semmai partecipa dell'intrinseca possibilità di mutamento nel tempo di un giudizio politico e dello stesso giudizio storico. Pertanto vorrei che i Gruppi si pronunciassero su questo con chiarezza, e cioè se noi abbiamo la possibilità, almeno su una serie di punti, di consegnare al Parlamento conclusioni definitive; occorre individuare poi i punti su cui non siamo ancora in grado di farlo e per i quali necessariamente è opportuno che continui un'attività di inchiesta parlamentare da parte di una Commissione nuova.

Io escludo, almeno a mio parere, che la Commissione sia in condizione di chiudere complessivamente tutte le inchieste che ha aperto. Ad esempio, sulla vicenda di Ustica non siamo in condizioni di esprimere ancora un giudizio conclusivo, che vada al di la di quelli già espressi dalla Commissione sotto la presidenza del senatore Gualtieri.

Un'ulteriore prospettiva potrebbe essere quella di dire che in realtà, in tempi abbastanza brevi, su moltissimi oggetti di inchiesta potremo avere una serie di novità importanti perché, per esempio, si chiuderanno tutte le istruttorie fatte con il vecchio rito, non soltanto quella di Ustica, e questo potrebbe consentirci, diciamo entro un altro anno, una rivisitazione complessiva di tutta la materia di cui la Commissione sì è occupata nelle scorse legislature. Si potrebbe allora chiedere una proroga, però breve, per esempio di un anno, che avvenga nella logica di una proroga in senso proprio, cioè con oggetti inalterati. Comunque questa non è una decisione che può prendere la Commissione. La Commissione può soltanto fare una valutazione complessiva dello stato delle inchieste. Sui risultati del dibattito io poi riferirei ai Presidenti di Camera e Senato. Dovrebbero essere quindi le forze politiche a valutare i risultati del dibattito in Commissione per assumere le iniziative parlamentari più opportune.

Detto questo, come avevo ricordato brevemente l'altra volta, per due legislature la Commissione sotto la presidenza del senatore Gualtieri ha proseguito nella logica delle inchieste separate, secondo le linee tracciate da un'evoluzione normativa che ha finito nel tempo per ampliare gli oggetti di inchiesta della Commissione. Non vorrei sbagliare, ma la Commissione era già nata quando sorse il caso Gladio, che fu poi attribuito alla competenza della Commissione stessa.

Ad un certo momento, però, nasceva il problema di quale esito dare ad una serie di relazioni che la Commissione aveva prodotto, che avevano tutte la caratteristica di essere relazioni non definitive. Infatti, molte di queste inchieste erano legate a vicende giudiziarie che sono ancora in corso e che è difficile prevedere che possano approdare all'esito finale del giudicato se non fra moltissimi anni, al dì là dì questa legislatura, probabilmente della prossima.

Sorse quindi, all'interno prima dell'Ufficio di Presidenza e poi della Commissione nella scorsa legislatura, la volontà di esplorare una strada diversa e cioè di provare a fare dei vari oggetti di inchiesta un esame complessivo, che tenesse conto soprattutto di un fatto: moltissime delle vicende su cui la Commissione indagava avevano avuto uno svolgimento sostanzialmente contemporaneo, in un periodo che noi possiamo datare dalla fine degli anni '60 (penso alla strage di piazza Fontana), alla strage del treno 904, quindi al 1984. Terrorismo, parte centrale delle vicende Gladio, stragi insolute, sono tutte vicende che si situano nello stesso ambito temporale e quindi all'interno dello stesso contesto storico-politico che ha interessato tragicamente il Paese. Questo perché già in relazioni precedenti e ancor più nel dibattito svoltosi in Commissione, vi erano numerosi spunti che dimostravano come i singoli oggetti di inchiesta tendevano ad illuminarsi l'uno con l'altro e che mettendo insieme tessere che, considerate una per una, non davano un risultato chiaro, le stesse, ove inserite nella logica di un esame complessivo, consentivano perlomeno il delinearsi per grandi linee di uno schema abbastanza preciso. Questa prospettiva di lavoro fu esplorata con la nomina di uno staff di consulenti che hanno lavorato in sinergia; è stata poi esplorata ulteriormente con una serie di atti di inchiesta specifici, che però obbedivano sempre a questa prospettiva di insieme. Il risultato di questo lungo lavoro è stato la proposta di relazione che il Presidente, su incarico della Commissione, ha redatto alla fine della scorsa legislatura. Mi auguro che voi l'abbiate già letta.

Lo schema di insieme mi sembra abbastanza chiaro. Tutte le vicende che fanno parte di quel periodo difficile della storia del Paese - si è parlato a proposito di "notte della Repubblica" - non sono facilmente comprensibili se non tenendo conto della particolare situazione interna e internazionale che ha caratterizzato la storia d'Italia. Voglio dire subito che questo non è un tentativo di trovare a tutti i costi delle giustificazioni o di escludere che ci siano state delle responsabilità di tipo politico, oltre alle evidenti responsabilità penali, ma è un modo per cercare anzitutto di capire perché molti fatti, secondo me, non sono comprensibili se non proiettati nella dimensione di una situazione internazionale, che naturalmente risale ad un'epoca anteriore a quella degli eventi di cui parlavo prima, e cioè all'immediato dopoguerra. Occorre infatti risalire all'immediato dopoguerra, in un momento in cui il mondo andava dividendosi in due. Come emerge ormai da basi documentali abbastanza precise, alcune delle quali acquisite dalla Commissione nella scorsa legislatura, quando effettivamente abbiamo avuto dal Ministero dell'interno una collaborazione che ha consentito a nostri consulenti di accedere ad archivi riservati, in questo periodo si sono costituite una serie di strutture, a vertice militare ma a base civile, che in qualche modo possiamo considerare l'albero genealogico di Gladio. Della realtà storica di questi episodi non si può dubitare, perché sono ormai in gran parte documentalmente provati.

Il caso più eclatante è quello della divisione Osoppo, che poi confluisce addirittura in Gladio, sia pure probabilmente in maniera parziale. Le finalità di queste strutture erano chiare nella loro duplicità. Avevano un fine che era quello dello "stare indietro"; cioè nell'ipotesi di una probabile invasione da Est del territorio nazionale queste strutture si sarebbero dovute attivare con compiti di controinsorgenza, di intelligence e di organizzazione di una resistenza alle spalle dell'esercito invasore. Ma, nella logica del mondo diviso in due, avevano anche una chiara e abbastanza documentata finalità dì contrasto interno all'espansionismo del Partito comunista. In una situazione che secondo me va valutata storicamente per quello che era e cioè, almeno fino all'attentato Pallante, una situazione di potenziale guerra civile. Infatti, probabilmente solo con l'attentato Pallante all'interno dell'allora Partito comunista si attiva un confronto politico, anche alto ed aspro in sé, e probabilmente soltanto da quel momento in poi quella parte dei PCI che non aveva ancora fino in fondo introitato gli istituti e i valori della democrazia parlamentare finisce per diventare recessiva. Queste strutture, questo albero genealogico di Gladio, continuano a segnare praticamente tutta la vita della nostra Repubblica fino all'esplodere del caso Gladio. La loro storia, però, è stata a mio avviso, almeno fino alla fine degli anni ‘60 quella di una sostanziale potenzialità operativa. Cioè, queste strutture erano pronte ad entrare in azione. Avevano ovviamente una loro vita, però non risulta che si siano mai effettivamente attivate sia perché non c'è stata un'invasione dell'esercito straniero sia perché anche la situazione politica italiana di quegli anni non determinava allarmi democratici che giustificassero l'entrata in attività di queste strutture. Ciò però non significa che non abbiano influito sulla storia del paese. A mio avviso, tutte le vicende del generale De Lorenzo e del Piano Solo sono esemplari in questo senso. La struttura non si attiva ma la sua presenza, il fatto stesso che ci fosse, influisce in qualche modo sulla vita delle istituzioni. Cioè, quella crisi politica del 1964 si conclude in un certo modo perché questa potenzialità operativa finisce comunque per essere percepita ed avvertita. Quindi, non si attiva ma incide.

E’ evidente che in questo tipo di ricostruzione la proposta di relazione utilizza una serie di categorie che fanno ormai parte del bagaglio culturale della storiografia contemporanea. Penso alla categoria del doppio Stato o a quella della sovranità limitata. Cioè, tutte queste categorie con cui chi indaga sulla storia recente del mondo tenta di spiegare la complessiva fenomenologia di un mondo che viveva diviso in due, sotto l'influsso di due imperi diversi e dove probabilmente una serie di fenomeni si replicavano da una parte e dall'altra della cortina di ferro. Penso ad esempio al grande sviluppo dei servizi segreti e degli apparati di sicurezza, alla forte autonomia anche politica che gli apparati di sicurezza hanno avuto e quindi alla capacità di questi di finire per svolgere alla fine una politica propria. Penso che questa sia stata una caratteristica non solo del blocco occidentale, ma che fenomeni dello stesso tipo si sono verificati anche dall'altra parte. Certo, nel dare come è nostro dovere un giudizio, noi dobbiamo ammettere che alcuni fenomeni che si sono verificati anche in altri paesi di democrazia occidentale, nel nostro paese hanno avuto un carattere più intenso. Penso, ad esempio, al problema del limite della sovranità, al problema della sostanziale indipendenza degli apparati di sicurezza. Questi che possono essere stati per larghe linee fenomeni non solo italiani, hanno avuto nel nostro paese indubbiamente un'accentuazione maggiore.

Questo richiama il problema delle responsabilità politiche. Vorrei dire sul punto che la relazione è scritta in modo da aprirsi ai contributi che verranno da parte della Commissione. Non volevo precostituire una posizione netta, cioè esprimere già un giudizio definitivo rispetto al quale la Commissione era poi tenuta a dialettizzarsi. Ma nel momento in cui ho detto che il profilo della responsabilità politica in qualche modo si stempera nella prospettiva di un giudizio storico non intendevo ovviamente con questo escludere il profilo della responsabilità politica. Volevo soltanto dire che ad un giudizio di responsabilità politica che segue a tanta distanza di anni dal fatto fonte della responsabilità medesima, è difficile far seguire l'aspetto della sanzione politica, tipico di ogni giudizio di responsabilità. Attribuire la responsabilità politica ad un Ministro significa, innanzitutto, chiederne le dimissioni o sfiduciarlo se è ancora in carica; se non lo è, significa esprimere un giudizio di responsabilità politica sul Gruppo o sul partito cui egli appartiene.

Ma rispetto a fatti degli anni '60, quali sarebbero gli aspetti sanzionatori del giudizio di responsabilità politica? E non perché le responsabilità politiche non ci siano state (poi farò alcuni esempi), ma perché oggi possono essere soltanto affermate, ma non più sanzionate.

Per riprendere il mio excursus, vi è quindi questo sistema di strutture clandestine che precede Gladio e in parte vi confluisce, ma in parte con ogni probabilità continua ad esistere al di fuori di Gladio: penso alle recenti indagini sui Nuclei per la difesa dello Stato, struttura che ormai possiamo affermare essere esistita e che aveva dimensioni enormemente più ampie della stessa Gladio. Su quest'ultima, poi, anche i recenti risultati dell'istruttoria in corso da parte della procura di Roma, che hanno portato ad un limitato rinvio a giudizio, mi sembra combacino perfettamente, confermino il giudizio che questa proposta di relazione dà, recuperando peraltro in pieno il giudizio che in due precedenti relazioni aveva dato la Commissione sotto la presidenza del senatore Gualtieri. Questa idea di una Gladio che progressivamente nel tempo si allontana sempre più da un parametro di legittimità (tanto che con espressione innovativa nelle relazioni Gualtieri si parlava di una "illegittimità costituzionale progressiva") mi sembra sia condivisa dalla procura di Roma che giunge allo stesso tipo di risultato, anche nei limiti in cui ritiene di non poter più tradurre in responsabilità penali questa illegittimità costituzionale, anzi questo scarto progressivo da un parametro di legittimità che anche in sede giudiziaria è emerso con chiarezza. Non spetta certo a noi domandarci se quella valutazione di rilevanza penale sia giusta o meno, perché questo è un ambito proprio della magistratura; ma dobbiamo prendere atto che c'è una coincidenza di valutazioni tra quello che la Commissione ha già indicato nelle due relazioni Gualtieri (e indica ora nella parte della proposta dì relazione che è relativa a Gladio), e le conclusioni, anche se non definitive, maturate in sede giudiziaria.

Durante gli anni '60, però, due sono i fatti che mi sembrano meritevoli di essere sottolineati e che secondo me possono affermarsi in termini di tranquillante certezza. Il primo è che questo tipo di struttura viene progressivamente ad essere innervata da elementi appartenenti all'area politica della destra radicale. Il secondo è che mano a mano che una serie di tensioni sociali cresceva nel Paese, la tendenza di questo sistema a passare ad una fase operativa si accentua. Ci è sembrato (uso il plurale perché ovviamente il lavoro di stesura della relazione l'ho fatto avvalendomi della collaborazione dello staff di consulenti.) che il punto nodale di questa fase sia da individuare nel convegno che si tenne a Roma nell'hotel Parco dei Principi nel maggio del 1965, organizzato dall'Istituto Pollio, che era un istituto di cultura storico-militare, espressione di ambienti ai massimi vertici delle forze armate. Oggetto di questo convegno organizzato dall'Istituto Pollio era la "guerra rivoluzionaria": il presupposto del convegno era che nel mondo si stesse combattendo una guerra non convenzionale, che il nemico da battere fosse il comunismo e che bisognasse in qualche modo organizzare una strategia di contrasto contro l'offensiva rivoluzionaria già in corso.

Al convegno partecipano i vertici militari ed ambienti politici non esclusivamente di destra, questo va sottolineato: ci sono esponenti dì quella che oggi chiameremmo un'area di centro. Però vi partecipano anche Rauti, Giannettini, Merlino, Delle Chiaie, cioè molti di quelli che saranno i protagonisti foschi della stazione successiva. Se si analizzano gli atti di quel convegno, che sono pubblici (c'è un libro che per un certo periodo si poteva trovare nelle librerie e che oggi si può trovare nelle biblioteche), si scopre che viene in gran parte ipotizzato e descritto quello che sarà lo scenario del decennio successivo.

Ho voluto fare questo esempio per richiamare il discorso delle responsabilità politiche. Certamente noi non possiamo pensare che un fatto di questo genere, che non era clandestino o occulto, ma che apparteneva alla storia visibile del Paese, non sia stato percepito dal vertice politico, dal Presidente del Consiglio, dal Ministro della difesa, dal Ministro dell'interno. Era un fatto ufficiale e, poiché la responsabilità politica è sotto molti profili di tipo obiettivo, non c'è dubbio che per essere restati inerti di fronte ad un fatto indubbiamente allarmante, una responsabilità dei vertici politici di allora va riconosciuta. Ma Presidente del Consiglio era l'onorevole Moro; ministro dell'interno era l'onorevole Taviani; ministro della difesa era l'onorevole Andreotti: affermare la responsabilità politica è dovuto, ma porsi il problema della difficoltà di tradurre questo giudizio di responsabilità in una sanzione politica mi sembra altrettanto doveroso.

Sul finire degli anni '60 il Paese viene attraversato dalla ventata della contestazione studentesca e poi dall'"autunno caldo". Analizzando questi fenomeni mi sembra sia dovuto riconoscerne la matrice genuina. Nel ‘68. nell'"autunno caldo", c'è una cultura di sinistra, anche una cultura di liberazione, che scende in campo, ma che determina folli tensioni sociali. Sembra quasi che lo scenario che qualche anno prima i convenuti all'hotel Parco dei Principi delineavano come possibile, si attualizzi nel Paese. E questa attualizzazione, a mio avviso, ha con ogni probabilità spinto apparati e strutture ad attivarsi. Quel che avviene negli anni della cosiddetta "strategia della tensione" è una controspinta a questi momenti dì forte mutamento che la società vive. Peraltro, con interazioni di causa ed effetto, perché non c'è dubbio che rispetto ad alcune evoluzioni della contestazione studentesca e operaia in forme, di terrorismo e di eversione armata, la logica del contrasto a prospettive golpiste abbia avuto forte influenza: basti pensare a Feltrinelli, che vive nella ossessione del golpe militare e compie una serie di scelte politiche e di vita proprio in funzione del contrasto a questa possibilità. Sono fenomeni che, se visti tutti insieme, si spiegano a vicenda.

E’ quindi nel decennio degli anni '70 che si situano le tre grandi stragi insolute, dì cui non sono stati individuati i responsabili per motivi su cui la Commissione è chiamata a pronunciarsi: la strage di piazza Fontana, la strage dì Brescia e la strage dell'Italicus. L'ipotesi che la proposta di relazione fa è che perlomeno non ci siano elementi sufficienti ad affermare che ci sia stata un'unica centrale che abbia deliberatamente compiuto i tre attentati. Esiste però una serie dì indizi, rilevanti ai fini di un giudizio storico-politico, sufficienti ad affermare che le tre stragi si situano all'interno di un medesimo contesto eversivo con la possibilità addirittura di fare una distinzione tra la prima e le altre due stragi, perché la fase storica è lievemente diversa.

La strage di piazza Fontana e tutti gli attentati che la precedono, che poi sono stati uno dei fili conduttori della sentenza che ha affermato con un giudicato la responsabilità di Mambro e Fioravanti per la strage dì Bologna, tutti gli attentati della primavera-estate del 1969 sembrano chiaramente rivolti a determinare una tensione che doveva essere favorevole ad un pronunciamento militare. Cito nella relazione un articolo che apparve sul giornale "Epoca" in cui il pronunciamento militare veniva quasi annunciato proprio come conseguenza ineludibile (vista quasi come una forma di salvezza democratica) di una tensione e di un disordine sociale che salivano giorno per giorno. Una tendenza verso un pronunciamento militare che trova, a mio avviso, un momento di acme proprio nel golpe dell'Immacolata, che però è un golpe che parte e in qualche modo si ferma e abortisce.

Qui un discorso sui meriti e sulle responsabilità della magistratura italiana secondo me diventa possibile: la magistratura ha avuto meriti enormi, però ha avuto anche la sua parte di responsabilità. Pensiamo al girare come una trottola del processo di piazza Fontana e a quanto tutto ciò abbia finito per influire e per allontanare il possibile accertamento della verità. Pensiamo anche alla conclusione estremamente deludente delle vicende giudiziarie sul golpe Borghese, che viene inquadrato in una prospettiva minimalista a mio avviso assolutamente ingiustificata.

Però, se il golpe dell'Immacolata non riesce, secondo me è perché spinte contrarie a quella golpista, all'interno di quel mondo, finiscono per prevalere. E negli anni successivi (con la cosiddetta guerra dei generali, con Maletti che sconfigge Miceli ma nello stesso tempo ne copre le responsabilità perché era preoccupato delle responsabilità politiche che potevano essere connesse al suo operato) sono a mio avviso estremamente chiare e pienamente leggibili. Anche per questo, alla ricerca di una possibile conferma di questa analisi, nella scorsa legislatura la Commissione aveva deliberato di sentire il generale Maletti; aveva già programmato un viaggio a Johannesburg, ma il generale Maletti ebbe un incidente in Svizzera, il viaggio saltò e non fu possibile sentirlo. Io ritengo che Maletti sia una figura chiave proprio perché segna un passaggio di fase all'interno di questo mondo: da una fase più rozzamente golpista ad una più sofisticata, in cui le istanze golpiste vengono sconfitte, però si coprono le responsabilità del periodo anteriore. Infatti è Maletti che estrada Pozzan; a Maletti è attribuibile buona parte di quella attività di copertura che ha impedito un possibile accertamento della verità sulla strage di piazza Fontana.

Quindi, probabilmente le stragi di Brescia e dell'Italicus sono configurabili in una logica lievemente diversa da quella di piazza Fontana; più o meno nella logica dell'attentato di Peteano confessato da Vinciguerra. Diciamo che i soldati di quelle formazioni si sentono traditi dall'abbandono del progetto golpista e quindi reagiscono innescando nuovi elementi di tensione. Quindi, il contesto eversivo è lo stesso, ma quella che il contesto vive è una fase a mio parere abbastanza diversa. Alla metà degli anni '70 poi cambia tutto: cambia il quadro internazionale, prevalgono probabilmente, anche in ambito atlantico, spinte diverse da quelle che erano state più forti nel periodo precedente e tutto ció che avviene nella seconda metà degli anni '70 finisce per essere non pienamente sovrapponibile agli stessi fenomeni che si erano svolti nella prima metà del decennio. Lo stesso terrorismo di sinistra finisce per cambiare radicalmente e per diventare molto più aggressivo e sanguinario.

Sul terrorismo di sinistra il giudizio che la proposta di relazione dà è quello di non disconoscerne la matrice; si riconosce che si è trattato, in fondo, di una parte estrema della storia della sinistra italiana; si riconosce altresì che le forze democratiche presenti in Parlamento seppero fare argine - a cominciare dal PCI - al fenomeno; si ritiene però che l'azione di contrasto da parte degli apparati di sicurezza dello Stato abbia lasciato adito a molte perplessità, non perché non abbia avuto momenti dì estrema efficacia, ma perché l'impegno non è apparso costante. Più volte si arriva quasi al limite di dare alle Brigate rosse e alle altre formazioni il colpo definitivo, ma poi improvvisamente l'azione repressiva si arresta e si dà tempo al terrorismo di sinistra di riorganizzarsi e di colpire prendendo di mira bersagli sempre più alti, fino al rapimento e all'uccisione dì Moro. Anche in questo caso la proposta di relazione aggiorna le conclusioni a cui arrivò la prima Commissione d'inchiesta sul caso Moro, avvalendosi di una serie di acquisizioni che erano venute nel frattempo in sede giudiziaria. La conclusione è che non ci sono elementi che possono spingerci a dire che le Brigate rosse fossero eterodirette. Probabilmente le Brigate rosse prendono prigioniero Moro, lo processano e giungono fino all'esecuzione in una logica loro interna, che non poteva portare ad un esito diverso. Però a mio avviso non c'è dubbio che le modalità del sequestro sono tali da lasciare fortemente perplessi sul fatto che uno Stato moderno non sia riuscito ad inseguire uno dei tanti postini che entrava ed usciva dal carcere del popolo, in cui Moro era rinchiuso. Quindi si resta fortemente perplessi sul perché Moro non sia stato salvato, cosa che invece qualche anno dopo avviene per il generale Dozier. Infatti, una volta che il Presidente degli Stati Uniti dice di essere stanco del fatto che in un paese dell'Alleanza "quattro straccioni vagabondi" - è la traduzione letterale - rapivano un generale, la risposta degli apparati di sicurezza italiani diventa ferrea e Dozier viene trovato e liberato senza spargimento di sangue. Da quel momento in poi è la fine del terrorismo di sinistra. E’ vero che erano anche cambiate le condizioni sociali: la grande ristrutturazione industriale che segna il passaggio tra gli anni '70 e gli anni '80 finisce per far venir meno quel mondo della fabbrica in cui poi una parte dell'estremismo di sinistra era nato e cresciuto. Però la differenza di intensità di risposta è evidentissima.

Ecco, fino a questo periodo, esprimendo un mio personale punto di vista, la Commissione potrebbe consegnare al Parlamento un giudizio storico-politico ormai abbastanza netto e preciso. E’ chiaro che molte tessere del mosaico ancora mancano, che molte vicende nel futuro potranno essere meglio chiarite, capite e spiegate, però il quadro di insieme risulta in termini di tale chiarezza che, a mio avviso, solo per una forma di pigrizia mentale in proposito continuiamo a parlare di misteri d'Italia. Infatti, trovo che fino all'inizio degli anni '80 la storia del paese non sia misteriosa. Può essere che non tutto sia chiarito, che una serie di responsabilità penali non siano ancora state accertate, però la storia del paese - sia pure per grandi linee - può essere secondo me consegnata, anche in sede parlamentare, ad un giudizio abbastanza definitivo.

Più difficile, invece, è giungere alla stessa conclusione per vicende successive. Comincia a divenire percepibile con il caso Moro, ma poi diviene sempre più percepibile con la stessa vicenda di Bologna, tutto un mondo che nella proposta di relazione è definito come una "zona grigia", un intreccio in cui la componente affaristica tende a divenire prevalente sulla componente militare, rispetto ai fenomeni eversivi del decennio precedente. Pensiamo a tutto il mondo che si è articolato intorno alla banda della Magliana: intreccio di schegge di Servizi, di loschi affaristi, di criminalità organizzata, di vera e propria mafia. Pensiamo alla figura di Pippo Calò, estremamente attivo sul finire degli anni '70 a Roma sotto la falsa identità di Mario Aglìaloro. E’ questo un mondo su cui è possibile esprimere già una serie di giudizi, ma non con la nettezza che ritengo possibile per il periodo precedente.

Questo in fondo è il limite dell'accertamento della verità intorno alla stessa vicenda della strage di Bologna. Qui abbiamo un giudicato di condanna che, come tutti i giudicati, merita rispetto ma di cui non può essere esclusa una valutazione critica. A me è sembrato di dover riconoscere che ci sono seri indizi di colpevolezza per Mambro e Fioravanti e che la sentenza li sottolinea, inserendoli però in un quadro di riferimento storico e cioè nella storia della destra eversiva, con un'operazione che se fosse stata effettuata per piazza Fontana, per Brescia e per l'Italicus avrebbe portato probabilmente anche lì a dei giudicati di condanna. Mi è sembrato giusto sottolineare un metodo giudiziario diverso. Da una parte, quello seguito nei primi processi di considerare il fatto in sé e quindi, come nel caso di Brescia, riconoscere che ci sono indizi fortissimi, ma affermare che non raggiungono la dignità di prova, perché l'episodio viene considerato chiuso in se stesso, dall'altra, quello della vicenda della strage di Bologna dove vi sono degli indizi che raggiungevano invece la dignità di prova, perché ormai un quadro storico complessivo della destra radicale è stato delineato, e in esso viene inserita la vicenda specifica. Un fatto, però, è certo: la sentenza lascia il dubbio sull'identità dei complici di Mambro e Fioravanti. Quindi non tutto è chiaro. Quali erano le reali finalità di quella strage? Possiamo pensare nel 1980, con Pertini al Quirinale, ad una voglia golpista o anche a nostalgie golpiste? Hanno ragione i familiari delle vittime della strage di Bologna a sottolineare più volte con forza che anche in questo caso vi sono stati depistaggi da parte dei Servizi. Ma mentre per la strage di piazza Fontana e nella fase iniziale delle indagini su Brescia i depistaggi andavano nella direzione rossa, per coprire la probabile matrice nera della strage, nella vicenda di Bologna il depistaggio va verso la destra radicale. E’ un depistaggio più sofisticato? Oppure c'è un intreccio più complesso in cui la vicenda si inserisce, che non è stato ancora capito? Ciò vale anche per la strage del treno 904, dove il filone mafioso sembra riaffiorare nella responsabilità di Calò, ma dove pure il quadro di insieme non è a mio avviso sufficientemente scandagliato e chiarito sì da poter portare a conclusioni definitive.

Sulla vicenda di Ustica ho già chiaramente espresso il mio pensiero. Si tratta di una vicenda sulla quale non penso che la Commissione allo stato possa andare al di là delle già ottime relazioni che produsse sotto la presidenza Gualtieri. Ma ancora siamo alla soglia di probabili novità importanti. Dovremo capire come anzitutto il giudice Priore chiuderà la sua inchiesta. Poi, da quel momento si aprirebbero spazi per un'inchiesta parlamentare che, come è avvenuto anche in altre vicende, potrebbe avvalersi di nuovi flash che illuminano lo scenario, che però resta al momento ancora abbastanza buio. Devo dire che nella scorsa legislatura sull'episodio tutto sommato collaterale del Mig caduto in Calabria facemmo della buona attività indagativa, che potrebbe portare anche a conclusioni parziali. Però, tutto sommato non mi sentirei di dire che per quanto riguarda la vicenda di Ustica nel brevissimo spazio temporale di cui disponiamo fino al 31 dicembre la Commissione sia in condizioni di rassegnare al Parlamento conclusioni diverse da quelle che ha già rassegnato con le due relazioni sotto la presidenza Gualtieri.

Avrei finito questo rapidissimo e sommario excursus, forse frammentario e non preciso. Mi riservo di riguardare e correggere il resoconto stenografico, perché il mio è stato un intervento a braccio dopo una giornata parlamentare molto pesante; è quindi possibile che qualche espressione abbia tradito l'effettiva intenzione di chi parlava. Distribuirò quindi a tutti i membri della Commissione il resoconto stenografico di questo mio intervento e vorrei che per la riunione che convocheremo per la prossima settimana, voi, membri della Commissione, diveniate protagonisti.

Questa è una Commissione che ha avuto momenti alti. Molte delle cose che ho scritto in questa proposta di relazione vengono dai dibattiti della Commissione, che soprattutto nella X legislatura, furono dibattiti molto approfonditi e culturalmente avanzati. Mentre oggi una proposta di relazione come la mia sta all'interno di acquisizioni anche metodologiche della storiografia, il dibattito della Commissione nella X legislatura era, per più profili, anticipatorio. Cioè, si dicevano cose che non erano ancora universalmente accettate, ma che erano ancora abbastanza in discussione. Quindi, mi auguro che cominciando a discutere dello stato dell'inchiesta la Commissione possa, nel dibattito collettivo, prendere coscienza di un compito che, anche se vicino all'esaurimento, resta un compito alto, cioè quello di dare un giudizio su un periodo difficilissimo della storia del paese, su di una democrazia che era giovane e che è stata in pericolo, e che però è riuscita tutto sommato ad uscire fuori da quella temibile prova.

Anche questa valutazione mi è stata contestata come una forma di volontà di assoluzione. Penso invece che sia un omaggio dovuto alla verità e alla storia. Noi dobbiamo ammettere che ci sono paesi che hanno pagato un prezzo molto minore alla situazione internazionale che ho descritto. Pensiamo alla Francia, alla stessa Germania, un paese quest'ultimo addirittura diviso in due, dove però non si sono verificati fenomeni patologici della stessa intensità dei nostri. Dobbiamo però dire che paesi come la Grecia e la Turchia hanno pagato un prezzo maggiore, perché là le istituzioni democratiche non hanno tenuto.

Quindi, ancora una volta è la volontà di aderire all'oggettività storica che spinge a certe valutazioni tutto sommato positive, che non escludono ovviamente il profilo dì responsabilità politiche cui ho innanzi accennato; ma su questo vorrei un contributo da parte di tutti i commissari.

GUALTIERI. Signor Presidente, vorrei sapere dalla Commissione se vi è accordo sul fatto che all'inizio della nostra prossima riunione si decida sul destino della Commissione stessa, come del resto lei ha proposto; oppure se si accetta il fatto, che lei per due volte ha ribadito nel suo intervento, che abbiamo a disposizione tempi strettissimi, appena sufficienti per far leggere a tutti coloro che non l'abbiano ancora fatto la proposta di relazione e venire qui a votarla. Il tutto con i tempi di lavoro parlamentare che ci aspettano da qui al 31 dicembre, che saranno sicuramente drammatici. Se stabiliamo che lo spazio temporale di lavoro a nostra disposizione è questo, personalmente non sono molto interessato. Lo dico chiaramente: in questi termini io non approvo la sua relazione, così come non l'avrei approvata nella legislatura scorsa, perché a mio avviso non è questo il compito della Commissione.

Se invece la Commissione vuole preparare il terreno per un lavoro successivo, magari presentando un disegno di legge come abbiamo fatto tutte le volte che siamo arrivati in prossimità della scadenza, e quindi l'opera di questa Commissione si proietta nella legislatura appena iniziata e ci diamo una prospettiva di lavoro, il mio atteggiamento cambia perché in questo modo potremmo portare avanti le inchieste cui siamo tenuti e mandare di volta in volta al Parlamento le relazioni che la Commissione potrà produrre.

Vorrei fare solo due esempi su fatti che sono emersi nelle ultime settimane. Come sappiamo la Commissione ha cessato di funzionare da oltre otto mesi.

PRESIDENTE. Dai primi di gennaio.

GUALTIERI. In pratica quindi non si lavora da quasi un anno ed anche nel periodo immediatamente precedente si lavorò poco per l’approssimarsi della campagna elettorale. In questo anno si sono verificati fatti molto rilevanti a proposito di due casi cui siamo drammaticamente interessati: il caso di Ustica e la strage di piazza Fontana. Abbiamo abbandonato i magistrati nel loro cammino giudiziario: finora avevamo marciato insieme con una doppia indagine, la nostra riguardante più propriamente le responsabilità amministrative, quella dell'autorità giudiziaria impegnata a ricercare le responsabilità penali. Da un anno noi non ci occupiamo più del caso di Ustica e nelle ultime settimane il magistrato ha avviato delle indagini sui documenti della NATO, dopo aver ottenuto a Bruxelles il permesso di accedere a questa documentazione segreta dalla quale dovrebbe risultare se il cielo di Ustica al momento della tragedia era o meno affollato. Vorrei ricordare a tutti coloro che siedono per la prima volta in questa Commissione che ci è sempre stato dichiarato che quella sera attorno al DC9 dell'Itavia non c'era alcun altro aereo: il cielo era limpido, pulito. Dopo anni e anni si è invece quasi riusciti a scoprire - e i tabulati della NATO dovrebbero confermarlo - che il cielo era affollatissimo proprio nelle ore della tragedia e nei pressi dell'aereo. Questo cambia tutto!

Ma la parte più sconvolgente viene ora, perché dalle ultime intercettazioni dei magistrati di La Spezia vengono fuori elementi che il giudice Priore sta acquisendo per capire se questa società Mediterranean Survey Service, che nel corso delle nostre indagini avevamo appurato essere operante in quel periodo, è davvero scesa nel fondale per recuperare qualcosa - si parla di un carico di uranio - ben prima che vi scendessero i mezzi ufficialmente incaricati del recupero del relitto. Queste rivelazioni dovrebbero essere associate alla dichiarazione che ad un certo punto fece il sottosegretario Amato, il quale disse: "Mi è stato detto da Bucarelli che gli americani sono scesi nel fondale un anno prima". Amato allora era il numero due del Governo. Il magistrato, che poi venne "allontanato", disse di non aver detto niente di simile, ma Amato ce lo confermò, anche se non poteva provarlo perché la frase era stata pronunciata in un colloquio informale verificatosi nella sua stanza. Queste dichiarazioni Amato le ha rese molto prima che venissero fuori le intercettazioni dei magistrati di La Spezia secondo le quali alcuni mezzi di questa società sarebbero scesi nel fondale di Ustica un anno prima delle operazioni di recupero ufficiali. Vogliamo seguire questa pista, che oltretutto evidenzia gravi responsabilità amministrative? Non possiamo lasciare i magistrati da soli in questa vicenda. Abbiamo bisogno di sapere come stanno le cose e quindi occorre fare subito alcuni accertamenti. Non siamo chiamati a stare qui ad approvare relazioni, ma a fare le indagini che la legge ci ha assegnato.

Per quanto riguarda la strage di piazza Fontana, alla procura di Milano si è creata una situazione insostenibile, della quale si sta occupando il Consiglio superiore della magistratura. Il giudice istruttore titolare dell'inchiesta sulla strage di piazza Fontana è ormai praticamente fuori gioco: la procura di Milano gli ha tolto l'inchiesta e l'ha affidata al magistrato Pradella. Così oggi abbiamo due filoni di inchiesta ed il giudice titolare è stato estromesso da quello principale.

Nel frattempo, il ROS ci ha mandato in questi giorni una documentazione di mille pagine, di cui settecento solo di allegati. Credo che non le abbia ancora lette nessuno. Vogliamo esaminare la documentazione inviata dal ROS, firmata da questo capitano che non ha neanche la controfirma di Salvini, non ha la firma della procura di Milano, del titolare dell'inchiesta? Se quella documentazione del ROS è veritiera si dimostra che ci sono responsabilità dello Stato italiano, di uno Stato alleato nella strage di piazza Fontana. Perché non dobbiamo indagare su queste carte?

PRESIDENTE. Perché il termine dei nostri lavori è fissato per il 31 dicembre e noi dobbiamo chiudere. Per appurare i fatti da lei indicati sarebbero necessari anni. Dobbiamo aprire un dibattito per assumere una decisione.

GUALTIERI. La prossima volta esamineremo la sua relazione con attenzione, ma dobbiamo prendere prima una decisione sul destino di questa Commissione.

PRESIDENTE. Se si vuole iscrivere a parlare sin d'ora per la prossima seduta, può farlo. Non siamo d'accordo su questo fatto perché abbiamo una visione diversa dei compiti di una commissione d'inchiesta: io non penso come lei che una commissione d'inchiesta abbia il compito di seguire in parallelo le indagini...

GUALTIERI. Certo non ha il compito di scrivere relazioni storiche.

PRESIDENTE. ...della magistratura. In questo senso c'è solo un precedente nel nostro ordinamento, cioè la Commissione antimafia, un organismo che tende ad istituzionalizzarsi. Salvo questo, non vi è alcun altro precedente. Questa è la scelta di fondo da fare. Ma se la nostra è stata ed è una commissione d'inchiesta come lo sono state la Commissione Anselmi sulla P2, quella sul caso Moro, quella sul disastro del Vajont, quella sulla ricostruzione dopo il terremoto in Irpinia, allora lei ha torto ed io ho ragione. Se invece la nostra deve diventare una sorta di commissione permanente così come è la ommissione antimafia, che ogni volta si rinnova per l'intera legislatura e segue i vari filoni generali della lotta alla criminalità organizzata, legandosi in modo stretto all'attualità, allora ha ragione lei. Noi però siamo legati all'attualità di inchieste che riguardano vicende del 1969: Salvini, Giraudo ci scrivono volumi che confermano l'impianto della mia relazione a proposito dell'Aginter-Press e di Guerin-Serac. Mi domando se il Parlamento, luogo centrale di una democrazia, occupi proficuamente il suo tempo continuando ad inseguire vicende giudiziarie che probabilmente finiranno tra quindici anni. Se dovessi fare una previsione, su quando le indagini della dottoressa Pradella e del dottor Salvini porteranno ad un giudicato, potrei dire che occorrerebbero almeno quindici anni. Allora noi dobbiamo pensare che per quindici anni dovremmo attendere un giudicato e tenere aperta una inchiesta parlamentare. Si tratta di una scelta che la Commissione può fare, ma che mi lascia fortemente perplesso.

GUALTIERI. Lei ha fatto l'esempio della Commissione antimafia, commissione d'inchiesta che si è resa permanente, ma ha le stesse nostre scadenze. Questa Commissione non fa la storia della mafia perché possiamo andare a comprarla in tutte le librerie dal momento che ci sono decine di volumi su questo argomento. La Commissione antimafia deve fare inchieste sulla mafia di oggi.

Lasciando da parte il problema delle stragi, per quanto riguarda la nostra Commissione devo dire che per esempio due mesi fa i ROS hanno arrestato venti terroristi di gruppi anarchici che preparavano degli attentati. Una Commissione come la nostra, sul terrorismo, si occupa o no di queste cose? Se fossimo oggi in Francia con tutto ciò che avviene in quel paese, in relazione per esempio ai problemi della Corsica, ci occuperemmo o meno di terrorismo?

PRESIDENTE. Senatore Gualtieri, di queste cose abbiamo parlato tante volte, le nostre posizioni non sono conciliabili. A mio avviso questa Commissione non lo può fare perché la legge non lo consente. Se guardassimo gli oggetti indicati nella legge istitutiva, vedremmo che non ci è consentito di occuparci di fatti recenti. Se io potessi, mi piacerebbe molto occuparmi di una serie di vicende di cui si stanno interessando i giudici di La Spezia e di Aosta. Potremmo pure farlo se Camera o Senato approvassero un ordine del giorno e ci investissero del problema.

GUALTIERI. Ma chi lo dice che non possiamo occuparcene? Questo non è scritto nella nostra legge istitutiva.

PRESIDENTE. Comunque l'Ufficio di Presidenza ha stabilito questo calendario: la prossima volta ci vedremo e discuteremo del destino della Commissione. Lei potrà fare le sue proposte, poi sarà la Commissione a decidere. Io, lo ripeto, mi sento vincolato da un mandato che ho ricevuto dai Presidenti di Camera e Senato che, se me lo consente, vanno molto più nella mia direzione che non nella sua.

GUALTIERI. Se volete chiudere le Commissioni, ditelo pure!

PRESIDENTE. Non vogliamo chiudere la Commissione, bensì chiudere un'inchiesta. Questo è il punto perché questo è il nostro dovere. Non possiamo fare un'inchiesta infinita. Non riesco a capire che interesse possiamo avere nel sapere se poi queste reti clandestine, che probabilmente sono alla base della strategia della tensione, avevano un riferimento maggiore nella CIA o nella NATO. Lasciamo questo alla passione degli storici.

GUALTIERI. Su quello che lei ha detto poco fa ci sono dieci libri che possiamo leggere tranquillamente.

PRESIDENTE. Trovo appunto strano che ci sia una Commissione d'inchiesta su problemi su cui gli studenti fanno le tesi di laurea. Comunque, è bene che sia la Commissione ad assumere le sue decisioni. Se la Commissione mi dirà che ritiene inutile esaminare la relazione, che preferisce fare atti di inchiesta sull'attualità in una logica di proroga, io ne prenderò atto e riferirò, quando il 31 dicembre dovrò fare la relazione, ai Presidenti di Camera e Senato, che tale è stata la decisione di un organo democratico che decide a maggioranza.

La seduta termina alle ore 21,25.

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