Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

18ª SEDUTA

GIOVEDI’ 15 MAGGIO 1997

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

Indice degli interventi

PRESIDENTE
FORLANI
CIRAMI (CCD), senatore
FRAGALA' (AN), deputato
GUALTIERI (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore
MANCA (Forza Italia), senatore
TASSONE (Misto Cdu), deputato

La seduta ha inizio alle ore 20.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito il senatore Cirami a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

CIRAMI, segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta dell'8 maggio 1997.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione, che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta. Pregherei i colleghi di porre una certa attenzione ai documenti che abbiamo acquisito, che motiveranno delle domande ulteriori che formulerò all'onorevole Forlani, che è questa sera con noi e che ringrazio.

Comunico altresì che il senatore Gui ed il senatore Andreotti hanno provveduto a restituire, debitamente sottoscritti, ai sensi dell'articolo 18 del regolamento interno, i resoconti stenografici delle loro audizioni svoltesi rispettivamente il 29 aprile e l'8 maggio scorso dopo avervi apportato correzioni di carattere meramente formale.

 

INCHIESTA SU STRAGI E DEPISTAGGI: SEGUITO DELL'AUDIZIONE DELL'ONOREVOLE ARNALDO FORLANI

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'inchiesta su stragi e depistaggi, il seguito dell'audizione dell'onorevole Arnaldo Forlani. Mi scuso con il nostro ospite e con ì colleghi del ritardo, che è dovuto a due ragioni: personalmente ero impegnato nei lavori della Commissione bicamerale e fino all'ultimo non si è capito se ci sarebbe stato un voto, che poi non c’è stato. Dal canto loro i colleghi deputati sono impegnati alla Camera in un voto di fiducia e penso che arriveranno tra poco. Dò la parola al senatore Gualtieri.

GUALTIERI. Non ero presente alla prima seduta dedicata all'audizione del presidente Forlani: tuttavia ho letto il resoconto stenografico per cui conosco le risposte che sono state fornite. Di questa rivisitazione che da tempo stiamo compiendo degli anni fondamentali del terrorismo e dello stragismo - gli anni della strategia della tensione - mi interessa soprattutto una questione, che voglio porre al presidente Forlani perchè è uno degli uomini che nella fase più importante della storia che stiamo esaminando ha ricoperto incarichi di altissima responsabilità, sia sul terreno politico come uomo di partito, sia sul terreno istituzionale con importanti incarichi ministeriali come la difesa, gli esteri, oltre naturalmente al suo ruolo di Presidente del Consiglio. Il problema che più mi interessa è quello del controllo che il Governo ha dei suoi apparati di sicurezza; sembra quasi una storia infinita visto che si pone sempre negli stessi termini. Mi sembra una domanda legittima interrogando chi è stato a capo del Governo, Ministro della difesa e Ministro degli esteri, nonché segretario del principale partito italiano. Ripeto la questione fondamentale è quella del controllo che la classe politica ha degli apparati di sicurezza, cioè delle sue leve operative. In altri termini, ci può essere un Governo irresponsabile verso il suo braccio operativo, o che non sappia cosa fa il suo braccio operativo?

Alla pagina 21 del resoconto della sua audizione, il presidente Forlani dice: "Noi siamo stati all'interno di un sistema di alleanze fondato su un patto: i servizi segreti hanno uno spazio loro, diciamo di autonomia, per gli aspetti operativi, rispetto al quale la classe politica…". Mi domando fin dove si possano estendere questi spazi di autonomia dei servizi di sicurezza, in quanto ritengo inammissibile che vi sia stato un cambiamento dei Governi, si sia realizzato un meccanismo di rinnovamento della classe politica, mentre per il settore sottostante dell'apparato burocratico e, in particolare per quello che ci interessa, per quello dei servizi segreti, non vi sia stata la stessa profondità di cambiamento, di rinnovamento e di crescita. Mi permetto di farle questa domanda perché l'ho conosciuta e ho per lei il massimo rispetto; penso di essere creduto se le dico che non ho il più piccolo dubbio che quando lei dice - lo ripete più volte nella sua audizione - che il suo scopo come uomo dì Governo è stato quello dì far crescere la democrazia nel nostro paese e di consolidarla; personalmente non ho il più piccolo dubbio su questo. La nostra storia si può leggere come un passaggio dalle difficoltà dei dopoguerra alla fase del centrismo, fino alla spinta innovativa verso il centro-sinistra e la solidarietà nazionale. Insomma, ci sono stati tentativi di far crescere la democrazia nel nostro paese allargandone la base e sono persuaso che lei ha partecipato convintamente a questa fase. Tuttavia il settore sottostante non ha avuto la stessa spinta e siccome voi avevate il controllo di questi apparati, devo dirvi che c'è un'altra storia. Quando infatti si leggono i libri che alcuni illustri storici - alcuni di essi collaborano con la nostra Commissione - hanno dedicato alla storia dei servizi segreti, degli apparati di sicurezza o degli apparati militari, sembra di leggere una seconda storia. Non sembra di leggere la storia della crescita della democrazia, ma una storia in cui questo paese è sempre minacciato, cortocircuitato dai tentativi degli apparati di fare cose diverse da quelle che devono fare, perché la classe politica ha un altro input. E’ per questo che nasce il dubbio se c'era il controllo, oppure se questo controllo era impossibile in quanto c'era quel doppio Stato, che è stato teorizzato, che sfuggiva al controllo del primo Stato. Noi abbiamo interrogato lungamente il presidente Andreotti, un uomo che nel decennio più critico ha ricoperto ininterrottamente incarichi di Governo; il Capo della polizia in quel periodo è stato per quattordici anni il prefetto Vicari. E allora, come si può dire che questi uomini non abbiamo avuto il controllo? Per questo ho chiesto al presidente Andreotti se avesse avuto la percezione che nasceva una strategia della tensione e cosa sia stato fatto per contrastarla. Quando leggiamo la storia dalla nostra parte vediamo che prima c'è un tentativo di golpe; sappiamo anche che il terrorismo nero è iniziato prima di quello rosso e che in seguito si spezza in dire tronconi, il secondo dei quali diventa terrorismo contro lo Stato. Il terrorismo rosso lo abbiamo analizzato cento volte. Ma per quanto riguarda questa strategia, che alcuni leggono come un tentativo di destabilizzare un sistema di alleanze, la nazione che viene indicata come la regista della destabilizzazione dal punto di vista storico - il presidente Pellegrino mi perdonerà se dico questo - aveva tutto l'interesse alla stabilizzazione e non alla destabilizzazione.

Allora, io sto cercando di capire, perché credo sia inutile seguire i singoli episodi e per esempio domandare al presidente Andreotti che cosa sapeva quando ha ricevuto Maletti. Siamo arrivati ad un punto in cui dobbiamo porci le domande di fondo: avevamo il controllo degli apparati di sicurezza o questo ci è sfuggito? E’ questa la prima domanda: avete avuto una simile percezione mentre cercavate di portare avanti un disegno politico che aveva una sua certa nobiltà, cioè di approfondire la democrazia,, di insediarla maggiormente? Il tentativo dal centrismo al centro-sinistra, comunque lo si voglia leggere, fu un tentativo in questo senso, eppure fu contrastato. Si può dire che addirittura il primo semi-golpe, se posso definirlo così, ebbe successo quando con rumore di sciabole fu fermato il primo approfondimento verso il centro-sinistra. E sotto non si prendono mai provvedimenti: gli uomini sono sempre quelli. La storia sottostante è fatta di uomini che dal punto di vista di ciò che hanno fatto - leggendo la loro storia, non quella della Repubblica ma la storia degli apparati segreti - avrebbero dovuto essere spazzati via fin dall'inizio. Se seguiamo cosa è stato l'ufficio Affari riservati del Ministero dell'interno, che nasce ereditando quello di Mussolini nel 1943, che nasce dal Govemo militare di Trieste, coli Beneforti e gli altri, che si spezza in tante parti e diventa il braccio operativo segreto del Ministero dell'interno prima ancora che vengano creati il Sisde per la sicurezza, o l'Ucigos o gli altri apparati, allora ci accorgiamo che questi uomini non sono stati allontanati. Uno dei capi dell'ufficio Affari riservati è diventato il Capo della polizia; un altro, il famoso Federico Umberto D'Amato viene smontato nel 1974, però il Ministro gli dice per dieci anni di continuare a fare ciò che faceva prima. Oggi troviamo negli archivi le tracce che questi fatti non sono rimasti senza significato, ma hanno corrotto la vita democratica ed hanno ingannato anche voi. Noi abbiamo bisogno di capire se questo meccanismo di controllo è funzionante, anche per non vivere di nuovo gli stessi avvenimenti, anche perché andiamo verso dei tempi - mi permetto dì dire - in cui il controllo degli apparati, oggi come oggi, è più importante di quanto lo fosse ieri. Se non abbiamo oggi il controllo degli apparati, la prospettiva non mi sembra buona.

PRESIDENTE. La domanda è chiara, cioè ritengo che colga con molta precisione uno dei temi fondamentali del compito che dobbiamo assolvere. Onorevole Forlani, decida lei se preferisce proseguire in seduta pubblica oppure se ritiene necessario passare in seduta segreta. Penso che ormai si possa parlarne in seduta pubblica, però scelga lei.

FORLANI. Non lo ritengo necessario. Mi sembra che il senatore Gualtieri, e credo ciascuno di noi, riandando a rivisitare - come lui ha detto - un periodo della nostra vicenda politica, che è stato segnato da avvenimenti drammatici, che è stato carico di tensione e di contraddizioni, nel rilevare i difetti o i fatti devianti o le degenerazioni che possono essersi verificati, certo sentiamo tutti l'esigenza di chiarire, di cercare la verità o come garantirsi rispetto alla corrispondenza e alla correttezza dei compiti assolti dai Servizi che presiedono ai dispositivi di sicurezza dello Stato. Però è difficile dare una risposta chiara. I servizi di sicurezza hanno un loro spazio inevitabile dì autonomia e di iniziativa. E’ difficile immaginare una possibilità puntuale, sistematica e minuta di controllo rispetto a tutte le iniziative, le attività e gli impegni di carattere operativo che vengono assunti di volta in volta in relazione ai fatti in larga misura imprevedibili che si determinano. I servizi di sicurezza o non si hanno o, se si ritiene che debbano esserci (parlo soprattutto dei servizi segreti, naturalmente), è logico che si parla da un presupposto: che possano muoversi con una certa autonomia sul piano operativo. Hanno un senso in quanto vi sia cioè il presupposto della fiducia in coloro che vengono incaricati. Quis custodiet ipsos custodes? E’ l'antico problema: chi custodirà i custodi? Il che comporta dei rischi sempre! Bisogna poi poter tenere conto del fatto che anche il periodo al quale si fa riferimento vede, è vero, una certa permanenza di alcuni in modo continuativo in determinati Dicasteri, ma dato caratteristico è sempre quello della instabilità dei governi; una continuità di indirizzo politico ma nella precarietà delle formule e della stessa collegialità dei governi. I governi durano in media un anno o meno di un anno ed è difficile immaginare che possa essere adottato un criterio corrispondente di cambiamento ai vertici dei dispositivi di sicurezza con la stessa periodicità perché ciò finirebbe per determinare una inefficienza totale. Quindi, è logico che chi veniva chiamato ad assumere responsabilità ministeriali, se non si trovava di fronte a fatti evidenti di degenerazione o di comprovata inefficienza doveva consentire la continuità degli impegni. Voglio dire che arrivando un nuovo ministro della difesa o dell'interno non ci può essere ogni volta un cambiamento automatico nei servizi se non di fronte a fatti che lo giustifichino. Su questo ho già detto l'altra volta il mio pensiero, non credo di poter dire dì più, perché darei il via a congetture di fantasia e forse porterei più elementi di confusione che contributi di chiarimento. Rispetto ai fatti intervenuti di destabilizzazione del sistema democratico, rispetto ai fenomeni dell'eversione e del terrorismo, sia di derivazione rossa sia di derivazione nera, credo che la linea complessiva, valutando l'azione dei governi e un impegno dì collegiale responsabilità, sia stata una linea di coerenza e non di compromissione o cedimento. E’ stata seguita una linea risoluta ed energica non solo di contenimento ma di lotta e credo che poi alla fine, pur rilevate le deficienze, le deviazioni o gli aspetti oscuri e contraddittori, gli intrecci vari di vicende - non dimentichiamolo mai - intervenute in un paese che si è trovato al crocevia delle grandi contrapposizioni, che hanno diviso il mondo, il giudizio non potrà. essere negativo nei confronti dell'azione condotta. Certo si sono pagati prezzi anche alti ma i fatti e le pressioni mirate a destabilizzare il sistema democratico e ad alternarne gli equilibri, sono stati contenuti e sconfitti.

PRESIDENTE. Vorrei inserirmi a questo punto, innanzitutto dandole atto del fatto che le sue spiegazioni, pur con qualche comprensibile difficoltà, sono più logiche di quelle che ci hanno dato altre persone. Ad esempio, il senatore Andreotti ha dichiarato, prima alla Commissione d'inchiesta sulla P2 poi a noi, che nel 1959, quando divenne Ministro della difesa, gli venne detto come suggerimento che il Ministro della difesa per avere prestigio non si doveva occupare di servizi segreti né di forniture. Poi, alla domanda chi fossero gli esperti che lo avevano consigliato, ha raccontato che si trattava di un maggiore dei Carabinieri suo amico. Sembra invece piuttosto una scelta politica, tanto che nel 1974 la scelta politica di Andreotti cambia nei confronti dei servizi militari. Abbiamo trovato in questo senso un riscontro nell'audizione del generale Maletti che ha detto che fino al 1974 non era stato spiegato neppure se si doveva o meno definire la Costituzione e le cose cambiarono dal 1974. Ci troviamo dunque di fronte a riscontri che ci consentono di periodizzare un giudizio, che avevo dato nella mia proposta di relazione, di sostanziale delega agli apparati di sicurezza militari. Però, molto opportunamente, il senatore Gualtieri ha richiamato alla sua attenzione il problema dell'amministrazione dell'Interno. Nella mia proposta di relazione avevo più volte fatto l'ipotesi che rispetto ad un sistema di informative clandestine, potevano avere una duplicità di luoghi di imputazione istituzionale: negli apparati militari da un lato e nell'apparato del Ministero dell'interno dall'altro. Ora, una serie di indagini giudiziarie che si stanno svolgendo in questi giorni, hanno consentito di ricostruire con precisione come funzionava l’informativa del Ministero dell'interno che aveva come vertice la divisione che curava la sicurezza interna, una divisione che ha avuto nel tempo diversi nomi tra i quali ufficio degli Affari riservati, Sds, Servizio informazioni generali operazioni speciali, Ucigos. Da questa cellula centrale era stata organizzata una rete informativa che aveva squadre operative nei vari capoluoghi dì regione. Si trattava di squadre operative composte da agenti di polizia che però non avevano sede nella questura, ma in uffici privati. Tali squadre gestivano reti informative, però con una attività non tipica dei compiti di polizia ma dei compiti di un servizio segreto. Queste reti informative, erano composte da operatori pagati, in parte esterni ed in parte interni. Ciò significa che si trattava di infiltrati in vari gruppi terroristici o sovversivi. Le informazioni che queste squadre ottenevano non diventavano rapporti all'autorità giudiziaria, ma risalivano verso il vertice della piramide e tornavano a Roma dove venivano gestite dall'ufficio romano e qui modificate. Era poi l'ufficio romano a rinviarle in periferia spiegando in quali limiti dovessero diventare rapporti per l'autorità giudiziaria. Inoltre, le indagini giudiziarie hanno accertato ormai (e andiamo al di là della prova storica, della probabilità, arrivando alla certezza) che quando il paese è stato funestato da eventi stragistici, la squadra operativa centrale andava in periferia e, anche in virtù del vincolo gerarchico, si sovrapponeva alle squadre locali assumendo direttamente le indagini, le elaboravano di nuovo al centro e poi dal centro venivano ìnviati gli input relativi ai limiti entro i quali le informazioni ricevute potevano diventare rapporti per l'autorità giudiziaria.

Tutta questa vicenda crea una serie di problemi e direi che anche su ciò potremmo utilizzare una formula forse giuridicamente non esatta ma estremamente interessante nella sua descrittività e che il senatore Gualtieri ha utilizzato a proposito di Gladio: quella di una illegittimità costituzionale progressiva. Infatti è certo che tutto ciò era illegale, contrastava con la legalità repubblicana, almeno dal 1978 in poi, perché tutto è durato fino al 1984. In quel momento il monopolio dell'attività di intelligence da parte dei Servizi dell'interno e di quelli militari diventava assoluto e quindi i corpi di polizia non potevano svolgere quella attività. Però, anche in precedenza c'è un rilievo di illegalità, perché quelli che stavano all'interno dì questi uffici privati erano agenti di polizia, quindi avrebbero dovuto immediatamente fare rapporto all'autorità giudiziaria quando le informative diventavano notizie di reato. Invece, tutto era sottoposto alla regia centrale. Vorrei quindi ripetere le domande del senatore Gualtieri, ma nello spirito con cui l'ha fatto quest'ultimo, cioè di un saldo finale positivo per la democrazia. Rispetto a tutto ciò, quale era la vostra posizione? Parlo all'uomo politico della Democrazia cristiana, del partito che ha avuto il monopolio del Ministero dell'interno. Vi è una assunzione di responsabilità? Potreste anche rispondere che tutto ciò è avvenuto perché era la situazione complessiva che spingeva in questa direzione. Però, c'era una forma di delega? Chiedevate di essere informati su quanto avveniva, oppure non lo facevate perché certe cose erano opportune ma forse era ancor più opportuno non saperle? Vi è stata una colpevole omissione di controllo? Qui si risolve il problema di Gladio e potrebbe prospettarsi il problema di una Gladio civile.

Questa rifatti potrebbe sembrare quasi una Gladio civile e allora i Ministri dell'interno ne erano informati? Questo modulo organizzativo lo avevano approvato o non ne sapevano niente e lasciavano fare tutto a strani personaggi? Perché a questo punto tutto torna. Gli elementi ancora una volta si incastrano, perché D'Amato dice: "Io nel 1974 abbandono la Direzione degli uffici riservati, ma per sette anni continuo sostanzialmente a collaborarvi", poi arriviamo al 1984. Quindi fra queste carte, i colleghi rintracceranno fra le nuove acquisizioni alla Commissione, e quella lettera di D'Amato del 1981 c'è un incastro anche temporale. Quindi, è chiaro che D'Amato lascia l'ufficio degli Affari riservati, ma in realtà continua ad esserne il cervello che controlla tutta questa rete e, pertanto, per molti anni i magistrati sanno solo ciò che Federico Umberto D'Amato riteneva che fosse opportuno che sapessero.

L'altro problema gravissimo è sapere che all'interno di gruppi sovversivi ci fossero degli infiltrati del Ministero dell'interno che potevano essere di duplice segno: potevano essere degli infiltrati in senso proprio o potevano essere dei delatori prezzolati; ma ciò rende ancora una volta drammatico un interrogativo: un apparato di sicurezza che penetra così profondamente la sovversione e che la sconfigge alla fine - è vero -, perché ci mette tanto a sconfiggerla? Questo è uno degli interrogativi che ci dobbiamo porre, tenendo presente - Fragalà e Cirami erano presenti ad un dibattito che c'è stato ieri - che in realtà, secondo me, gruppi sovversivi sapevano di essere infiltrati e giocavano spregiudicatamente una loro partita. Tentavano, cioè. di capovolgere il rapporto di strumentalizzazione. Negli ambienti - diciamo - della sovversione di sinistra l'esempio classico che sì faceva era quello di Lenin; Lenin con l'aiuto dei Servizi tedeschi viene mandato in Russia per abbattere il sistema zarista, per indebolire la Russia nel primo conflitto mondiale. Allora il problema diventa: lo zar chi era in questo caso? Stava ancora una volta a Mosca? Era la democrazia parlamentare? Era il contrasto politico ad un partito di opposizione che faceva riferimento all'altra centrale dell'impero? Probabilmente penso che questi obiettivi abbiano in qualche modo convissuto e in alcune persone sono potuti prevalere alcuni e in altre persone altri. Indubbiamente, però, questo è il vero nodo che, a mio giudizio, sta diventando ormai non più un enigma, perché stiamo nell'ambito delle prove giudiziarie, cosa che - io lo preannuncio - rende urgente una audizione da parte di questa Commissione dell'attuale Ministro dell'interno, perché ci sono linee di continuità che devono essere interrotte. Non escludo che da tutto questo possano nascere anche all'interno degli apparati possibilità di ricatto reciproco e di condizionamenti reciproci.

La mia domanda è la seguente: tutto questo è potuto avvenire senza che i Ministri dell'interno dell'epoca ne sapessero niente? Senza che la Democrazia cristiana lo percepisse? Questa è la mia domanda e mi scuso con il senatore Gualtieri.

GUALTIERI. Quello che ha detto il Presidente era in parte ciò che volevo dire anche io. Il mio problema ritorna ad essere questo. Lei ha parlato di spazi di autonomia che i Servizi e gli apparati, non solo quelli segreti ma anche quelli della forze dell'ordine, devono avere. Tuttavia, il problema è il seguente: dove finisce lo spazio dì autonomia e dove finisce la fiducia, perché l'autonomia deve essere indirizzata verso un input di tipo generale, politico; non può essere in contrasto con quella che è la politica generale del Ministero e del Governo. Allora, dal momento che di tutti questi fatti che stiamo elencando adesso, una gran parte non sono spazi di autonomia legittimi ma sono spazi di autonomia illegittimi, è possibile che noi possiamo accettare il fatto che negli ultimi trenta anni non si è capito non ci si è accorti che veniva gestita una politica. Sono d'accordo che si chiami anche l'attuale Ministro dell'interno, a proposito del problema della tenuta degli archivi del Ministero (che comprendono anche quelli delle prefetture), tenuta di cui il Ministro risponde perché fa i decreti di nomina delle Commissioni che sorvegliano gli archivi. Se gli archivi non sono in ordine, il Ministro non può dire di aver lasciato spazi di autonomia, perché la legge gli impone di non lasciare spazi di autonomia sulla tenuta degli archivi. La legge gli impone di non lasciare spazi di autonomia quando tali spazi vengono adoperati contro la Repubblica. Qui, però, abbiamo letto tante volte delle carte (arrivavano ai magistrati delle carte che abbiamo trovato) nelle quali si diceva al magistrato dì vendere questa e non un'altra ipotesi di lavoro, perché la devono dirottare. Le abbiamo viste le carte che partivano per indirizzare i magistrati. L'inchiesta sulla strage di Peteano è stata fatta in questo modo; arrivavano le carte sulle quali si diceva al magistrato di dire che erano i balordi, i triestini o altre persone, e sapevano perfettamente chi era stato. Poi la magistratura lo ha scoperto, ma questo è uno spazio di autonomia? Io domando questo ad una persona che so onesta. Non rivolgerei queste domande se non avessi stima nei confronti del presidente Forlani. Questo, però, non è uno spazio di autonomia.

FORLANI. Quando parlo di spazi di autonomia mi riferisco alla natura ed ai compiti che vengono affidati a questi Servizi. Quindi, è evidente che si parte dal presupposto che negli spazi di autonomia non devono venire meno la legalità e la coerenza rispetto agli indirizzi politici generali. Mi sembra che sia molto difficile poter dare giudizi schematici e sommari rispetto a vicende delle quali non si conoscono molti elementi e passaggi essenziali.

PRESIDENTE. Se ci fosse questo modulo organizzatorio, è pensabile che i Ministri dell'interno non lo sapessero?

FORLANI. No, non credo che mancasse la conoscenza - diciamo - dei criteri operativi; adesso non conosco la questione, non ho assolutamente alcun elemento per esprimere una opinione sulla tenuta degli archivi o su cose riservate di questo genere. Certo farete bene a sentire coloro che hanno avuto una responsabilità più diretta di gestione e di indirizzo.

PRESIDENTE. Dovremmo sentire Taviani.

FORLANI. Io posso dirvi in termini politici che gli uomini che sono andati a guidare il Ministero dell’interno, nelle varie fasi della nostra vicenda cinquantennale, sono persone che certamente davano ogni garanzia dal punto di vista della fedeltà alle regole della democrazia. Quindi, non posso neppure immaginare che ci sia stato un atteggiamento di avvallo o di compiacenza verso criteri o azioni che non fossero corrette rispetto alle esigenze di difesa del nostro sistema democratico. Poi su singoli fatti o su episodi che non conosco, rimasti peraltro in larga misura oscuri o indecifrabili, è difficile giudicare. Non è nemmeno esatto che non vi siano stati cambiamenti per questo settore. Sono state fatte delle riforme e sono stati cambiati gli uomini, e non solo quando sono venuti in evidenza fatti che potevano lasciar ipotizzare delle irregolarità o degli illeciti. Non è che gli uomini non siano stati cambiati. Naturalmente quando gli uomini vengono investiti da un mandato fiduciario si parte sempre dal presupposto che agiscano lealmente.

PRESIDENTE. Però di fronte a dati così eclatanti, al fatto che addirittura nel caso di D'Amato il mandato apparentemente finisce ma sotterraneamente continua, quale potrebbe essere la spiegazione più logica, e la più benevola? Vivevamo in una situazione internazionale che era sostanzialmente di preconflitto; il fine era la tenuta della democrazia, ma il fine era pure quello della tenuta di un ordine politico coerente con il quadro di alleanze in cui eravamo inseriti. Può essersi allora ritenuto che mezzi non leciti venissero giustificati da questo fine superiore; non riuscirei a dare una spiegazione più benevola di questa.

FORLANI. Può darsi che questa sia una spiegazione, tuttavia non me la sentirei di farla mia attualmente nel senso che mi mancano gli elementi per arrivare ad una conclusione di questo genere. Bisognerebbe certo distinguere tra fasi diverse. Infatti il quadro complessivo non è rimasto uniforme, ci sono state fasi diverse: c'è stata una fase abbastanza lunga in cui alla contrapposizione radicale su scala planetaria corrispondeva una contrapposizione marcata al nostro interno; c'è stata un'altra fase in cui i motivi di contraddizione su scala internazionale si sono attenuati e hanno trovato una certa corrispondenza all'interno in un atteggiamento diverso. Quindi non è che sia avvenuto qualcosa di misterioso a livello politico nel segreto delle stanze di coloro che avevano responsabilità di governo o di direzione in singoli Dicasteri. Quando la situazione si è distesa sul piano internazionale, è intervenuto anche all'interno un clima diverso e anche taluni partiti fortemente rappresentativi hanno assunto una posizione di maggiore corresponsabilità nell'impegno di difesa del sistema democratico, e a quanto ne so, anche vicende complicate e controverse sono state oggetto di confronto e di riflessione comune. Su questo terreno le cose sono state affrontate spesso in modo corresponsabile.

PRESIDENTE. Infatti ciò si percepisce. Tutto questo finisce nel 1974; i periodi di maggiore tensione sono quelli che vanno dal 1969 alla metà degli anni '70, periodi cioè in cui la strategia della distensione stava nascendo nel mondo ma era fortemente contrastata. Nel 1990 Andreotti parla di Gladio; proprio perché, ce lo ha detto, a quel punto tutto questo non serviva più. Non è che non riusciamo a storicizzare o a percepire fenomeni di questo genere. A volte notiamo che certe cose sono sopravvissute anche dopo il momento in cui non servivano più.

FORLANI. Ripercorrendo queste cose, ricostruendole oggi, molti aspetti vengono anche amplificati, rivestiti e caricati di significati o di valenze che forse non hanno avuto. Ad esempio con riguardo a Gladio si tratta di cosa comprensibile e normale nel quadro dell'Alleanza Atlantica: cioè una struttura, una organizzazione, costruita nella previsione di un evento, che naturalmente si auspicava da parte di tutti non si verificasse; questi impegni comportavano anche aspetti tecnici concordati in sede di Alleanza Atlantica, non erano limitati al nostro Paese, non scaturivano da un'invenzione, da una fantasia all'interno della nostra realtà.

PRESIDENTE. Anche questo tipo di organizzazione del Ministero dell'interno può essere stato determinato dal quadro internazionale? Perché in questo caso avrebbe più ragione di me il senatore Gualtieri: l’amministrazione dell'Interno con l'Alleanza non c'entrava niente, era un fatto tutto nostro.

FORLANI. Infatti non mi riferivo a questo aspetto di cui non so assolutamente niente.

GUALTIERI. Hanno cominciato ad essere pubblicati i verbali integrali del Consiglio dei ministri dei primi anni del Governo della Repubblica. Ebbene, non c'è nessun Ministro che abbia siglato la nascita di Gladio, non risulta alcuna discussione nel Consiglio dei ministri. Ammettiamo pure che non lo debba sapere il Parlamento, ma il Governo deve sapere che nasce Gladio? Se mi viene detto che vi era la necessità di fare una struttura di un certo tipo, posso dire sì, ma qualcuno deve pure assumersi la responsabilità di una siffatta decisione.

FORLANI. Sono d'accordo, ma immagino che qualcuno lo sapesse.

GUALTIERI. Dai verbali risulta che il Consiglio dei ministri discute sull'opportunità di cambiare la sigla della struttura del servizio della Polizia che si chiamava in un certo modo, decidendo di chiamarla in un altro. Su Gladio non c'è un verbale. Si tratta di volumi in carta patinata elle sta pubblicando la Presidenza del Consiglio dei ministri e di Gladio non vi è traccia. E comunque nelle nostre carte non abbiamo mai trovato l'origine politica di Gladio. E’ vero che Colby nelle sue memorie afferma di averla impiantata per conto degli Stati Uniti d'America in Svezia, Norvegia e Danimarca. In Norvegia ed in Danimarca i Governi erano d'accordo; in Svezia il Governo non era d'accordo ma Gladio fu impiantata lo stesso anche contro il Governo. Dobbiamo allora capire se Gladio è stata impiantata contro il Governo o con il Governo. Avremo ormai il diritto dì saperlo!

FORLANI. La mia opinione personale è che non credo che siano state portate avanti e realizzate queste iniziative all'insaputa dei Governi. So anche che era doveroso contenere attività di questo tipo, inerenti ad impegni con aspetti di integrazione nell'ambito dell'Alleanza Atlantica, in un riserbo più accentuato rispetto ad altre.

PRESIDENTE. Il fatto di organizzare questa rete civile è un aspetto di cui abbiamo trovato una serie di tracce documentali con riferimento all'immediato dopoguerra. In quel periodo era forte una richiesta che veniva dagli alleati di costituire una rete di questo tipo. Vi fu una lunghissima e ripetuta vicenda parlamentare in cui si voleva creare questa sorta di servizio di difesa civile; noi comprendiamo che di fatto, in realtà, era questo tipo di rete che si voleva in qualche modo formalizzare.

FORLANI. Bisogna sempre tenere conto del fatto che si viveva in una situazione nella quale gli elementi di rischio o erano o venivano ritenuti molto alti. Non bisogna mai dimenticare che operavano in un sistema nel quale si riteneva che una parte...

PRESIDENTE. …fosse pienamente inserita nell'ordine democratico e l'altra meno. Questo lo possiamo dire, oggi abbiamo un obbligo di verità. Diciamo pure che per un certo periodo eravamo in una situazione di sostanziale guerra civile.

FORLANI. Certamente il rapporto tra chi aveva responsabilità di governo e chi era all'opposizione non era lo stesso di oggi.

FRAGALA’. Nel 1960 è stato abbattuto un Governo legittimamente democratico con una rivolta di piazza.

PRESIDENTE. E’ caratteristico il fatto che questa era stata fino adesso ritenuta - l'idea di creare questa struttura nel Ministero dell'interno - una delle colpe del Governo Tambroni, come se fosse stato un tentativo dello stesso Tambroni che si fosse fermato poi lì, mentre stiamo constatando che è durata dalla fine degli anni '40 al 1984, cioè è durata trentaquattro anni.

FORLANI. Sono cose che probabilmente vanno avanti anche per forza di inerzia magari ritenute cose utili sul piano informativo, ma non so niente di questa rete capillare.

PRESIDENTE. Quella risposta di D'Amato al ministro Rognoni è esemplare in questo genere, la risposta sembra quasi minacciosa, lui dice: "sia chiaro che quello che ho fatto l'ho fatto perché mi avete detto di farlo", e quindi pone chiaramente in luce una responsabilità politica che poi si arresta.

FORLANI. Torno ad esprimere una considerazione già fatta nell'altra seduta. Non tutto quello che oggi viene detto può essere assunto come oro colato, perché c'è una tendenza generalizzata anche ad accreditare sé stessi, un proprio ruolo avuto nel passato, un'importanza magari maggiore di quella che in realtà poi i singoli personaggi hanno avuto. C'è questo aspetto che credo debba essere considerato.

MANCA. Vorrei dare inizio al mio intervento con alcune osservazioni sulla precedente audizione del presidente Forlani, subito dopo gli rivolgerò alcune domande. A proposito della precedente seduta, dai resoconto risulta abbastanza chiaramente che essa è stata dedicata per buona parte a quello che lo stesso presidente Pellegrino ha definito un appassionante dibattito culturale tra lui e l'onorevole Forlani, cosa che peraltro sta per verificarsi fortunatamente anche oggi. Sono dell'avviso che in questa fase dei nostri lavori un sereno dibattito ed un esame critico delle ipotesi e delle interpretazioni non possa che giovare all'espletamento del nostro mandato e ciò vale più di tanti dettagli marginali alle stesse vicende e talora solo capziosi. Un modo, infatti, inutilmente inquisitorio, di condurre le audizioni non contribuisce, a mio avviso, alla serenità e dunque alla stessa veridicità delle risposte che noi peraltro non possiamo sempre accertare. Devo poi riconoscere che è stato lo stesso onorevole Forlani a ricordarci tutto ciò, e di questo gliene sono grato. A proposito di compiacimento sento il dovere di esprimere un apprezzamento anche per l'impegno assunto dal presidente Pellegrino di "purgare" la sua proposta di relazione conclusiva da quelle tracce di manicheismo della nuova classe politica rispetto a quella precedente, tracce che a mio avviso non consentono, se non modificate, di sottoscrivere il testo attuale.

Vengo ora alla prima domanda per il presidente Forlani, che è relativa all'ipotesi pertinente al golpe Borghese. La domanda ha come riferimento proprio il dibattito culturale tra il presidente Pellegrino e l'onorevole Forlani, ed in particolare le ipotesi che entrambi hanno espresso in relazione al golpe Borghese. Entrambi hanno preso in considerazione in sintesi solo due ipotesi: che il golpe fosse una carnevalata e Borghese fosse uno sprovveduto, oppure che si trattasse di una cosa seria perché sostenuta da servizi segreti stranieri e da settori interni alle nostre Forze armate. Vorrei invece formulare una terza ipotesi e cioè che le agitazioni, se così posso dire, di Borghese, così come quelle pertinenti a Sogno e a Pacciardi, fossero invece ben conosciute e monitorate dai servizi di sicurezza e dalla stessa polizia, e che vi sia stata la decisione politica di lasciarle sviluppare almeno fino ad un certo punto, e ciò allo scopo di screditare la Destra. Non dobbiamo infatti dimenticare che la Democrazia cristiana era molto preoccupata per la crescita del Movimento sociale nelle elezioni regionali del 1970 ed in quelle amministrative del 1971 e che considerò un successo aver contenuto questa crescita all'8,7 per cento nelle elezioni politiche del 1972. L'ipotesi formulata è d'altra parte analoga a quella asserita dal presidente Pellegrino - a proposito però del terrorismo di Sinistra e delle Brigate rosse - e si concretizza nel fatto che nei loro confronti il Governo dell'epoca abbia mostrato inerzia per ottenerne poi degli effetti politici. Venendo poi ai nostri giorni sono addirittura dell'avviso che sia legittimo formulare tale ipotesi anche in relazione all'ultima vicenda dell'Armata Veneta.

La domanda che io rivolgo ora all'onorevole Forlani è questa: cosa pensa delle mie precedenti osservazioni? L'ipotesi cioè relativa all'inerzia del Governo per ottenere effetti politici, vale solo per le Brigate rosse o anche per gli altri casi da me citati? Avrei da porre anche delle altre domande, posso andare avanti signor Presidente?

PRESIDENTE. No senatore Manca, ne ponga una per volta.

FORLANI. Per il golpe Borghese non credo che ci sia stato un atteggiamento di compiacenza, o una strumentalizzazione. Che poi quando è stato possibile vederlo in tutti i suoi aspetti ci siano state ragioni per ritenere tutta l'azione complessivamente cervellotica, scriteriata, preparata in modo strano questo è vero. Ma quando il fatto è intervenuto è stato ragione di allarme reale perché non è stato valutato soltanto in sé, ma in collegamento con tanti altri aspetti inquietanti che pure si erano già manifestati: attentati, fatti eversivi, spinte e sollecitazioni di carattere antidemocratico, possibili collegamenti internazionali. Il fatto ha destato un allarme reale, e per chi aveva responsabilità di direzione politica certamente l'idea di una strumentalizzazione a fini elettorali era la cosa più lontana che si potesse immaginare.

MANCA. Una sottintesa soddisfazione da parte della Democrazia cristiana a far sapere all'opinione pubblica che ci fosse questa tendenza terroristica o eversiva da parte della Destra - anche se sottintesa - lei dunque la esclude?

FORLANI. , la escludo. C'era, naturalmente, dal punto di vista politico la preoccupazione della Democrazia cristiana di uno slittamento a destra degli equilibri politici, ma questo è un dato costante che non può essere applicato, ricondotto a quella particolare vicenda. Nell'altra seduta ho ricordato che per quel fatto la inquietudine, lo stato di allarme, era condiviso anche da chi aveva le responsabilità di direzione nel Movimento sociale italiano. Posso dire che rispetto a quella vicenda non c'era un atteggiamento allarmistico riconducibile alla Democrazia cristiana: c'era un atteggiamento di corresponsabilità, che comprendeva tutto l'arco politico nazionale.

MANCA. Allora era al di fuori dell'arco costituzionale!

FORLANI. Infatti, non mi sono riferito solo all'"arco costituzionale", ma a quello nazionale, ai gruppi rappresentati in Parlamento.

PRESIDENTE. Apprezzo l'ipotesi ricostruttiva del senatore Manca. C'è un punto, però, che non la rende verosimile. Se l'intento fosse stato quello di lasciarli fare per poi poter creare il fatto clamoroso di delegittimare la destra, li avrebbero arrestati con le armi in pugno durante la notte dell'8 dicembre, con le armi che avevano trafugato dal Ministero dell'interno: li avrebbero arrestati nella palestra, avrebbero arrestato immediatamente il comandante delle guardie forestali che li aveva portati in armi a Roma. Invece, tutta quella questione si viene a sapere perché ad un certo punto Maletti, scavalcando la scala gerarchica (ce l'ha raccontato), informa direttamente il Ministro della difesa, date le corresponsabilità, sia pure marginali, di Miceli.

MANCA. Vorrei ora rivolgere altre domande, che sono però pertinenti al periodo in cui lei, presidente Forlani, è stato Ministro della difesa. Questa volta, però, sarò più immediato e farò domande secche, sintetiche e spero anche di un certo interesse, così come ci raccomanda sempre il presidente Pellegrino. Prima domanda. Presidente Forlani, lei ci può dire come valutarono i militari la progressiva accettazione delle spese militari (anno 1973) e poi l'accettazione della Nato (anno 1975) da parte del Partito comunista italiano di Berlinguer? Gli alleati, dì ciò, furono contenti o preoccupati?

FORLANI. Mi scusi...

MANCA. Del fatto dell'accettazione del Partito comunista italiano di Berlinguer prima delle spese militari (anno 1973) ... lei sa meglio di me che prima c'era addirittura uno sbarramento nei riguardi delle spese militari: nel 1973 si iniziano ad accettare tali spese; nel 1975 vi è l'accettazione della Nato, addirittura, e quindi, secondo lei, gli alleati furono contenti di questo atteggiamento del Partito comunista italiano nei riguardi di queste due cose o furono preoccupati? Un'altra domanda. Ricorda lei quale fu l'atteggiamento dei Partito comunista italiano sulle leggi promozionali per l'ammodernamento delle nostre, forze armate che, come lei sa meglio di me, avvenne nel 1975?

Terza domanda. Quale fu l'atteggiamento delle cellule clandestine comuniste, cioè i militari di leva infiltrati nelle nostre Forze armate, organizzate all'interno delle caserme nei confronti dell'agitazione condotta dal movimento dei proletari in divisa, dipendente a sua svolta da Lotta continua? Queste cellule aiutarono i proletari in divisa oppure li denunciarono ai comandanti del reparto?

Ultima domanda. Sulla base dei quesiti che ho fatto, non ritiene che la sottovalutazione dell'estremismo di sinistra e dello stesso terrorismo abbia potuto poi favorire o essere favorito dal desiderio di non mettere in difficoltà il Partito comunista italiano nel momento della sua svolta filo-militare (per quanto ho citato prima quegli eventi), filo-atlantica e antisovietica?

FORLANI. Ogni evoluzione del Partito comunista verso l'accettazione come punto di riferimento essenziale della nostra politica, dell'alleanza atlantica e della cooperazione europea, è stata salutata con favore da noi e nella misura del possibile assecondata in termini oggettivi. Non si è mai interferito nelle scelte interne di questo o di quel partito, ma l'accettazione dell'Alleanza atlantica come quadro di riferimento essenziale per la nostra sicurezza e per una politica di pace è stato un obiettivo sempre perseguito. Sul tipo di rispondenza che questi fatti hanno avuto o ai diversi livelli dell'amministrazione americana vi sono valutazioni diverse, perché anche quella non è un monolite. Ci sono state valutazioni positive e coincidenti con le nostre, ed altre invece improntate più a scettiscism o e a diffidenza. Talvolta sono stati rivolti anche dei moniti in qualche modo (di cui si è avuta conoscenza pubblica), circa un presunto atteggiamento dì arrendevolezza. Noi abbiamo sempre valutato infatti in modo realistico e proprio i fatti hanno dimostrato che questa è stata una linea seguita in modo coerente fino ad esiti che non sono più oggetto di discussione.

MANCA. Presidente Forlani, le ho posto la domanda sull'atteggiamento degli alleati perché una corrente di pensiero sostiene il fatto che in realtà gli americani erano preoccupati solo della potenza del blocco sovietico: del comunismo in Italia a loro interessava poco. In altri termini, c'è qualcuno che dice che gli americani erano comunque contrari e osteggiavano il comunismo e gli appartenenti al patto di Varsavia; altre, invece, dicevano che i comunisti italiani erano visti quasi con neutralità e comunque con discrezione, poiché l'attenzione e le energie americane erano puntate tutte e solo sul "patto di Varsavia". Ecco perché le ho posto quella domanda sull'atteggiamento degli alleati quando c'era questa evoluzione di pensiero anche ideologico, sotto un certo punto di vista, da parte del Partito comunista italiano.

FORLANI. Sono stati atteggiamenti non univoci, che variavano, avevano modulazioni diverse a seconda della gravità delle tensioni internazionali e degli avvenimenti. Nell'amministrazione americana vi sono stati momenti di forte accanimento nell'impegno di contrasto...

GUALTIERI. In che anno gli alleati sono diventati filo-comunisti?

FORLANI. Filo-comunisti proprio, mai!

MANCA. Ho parlato di filo-militarismo da parte del Partito comunista e di filo-atlantismo, negli anni settanta. Dal '73 c'è stato un atteggiamento più permissivo nei riguardi delle spese militari da parte del Partito comunista.

FORLANI. Sì, c'è stato un atteggiamento di maggiore comprensione rispetto agli impegni sul fronte militare.

MANCA. Prima erano contro la Nato, mentre nel '75 la Nato fu accettata; questa è storia, i colleghi più anziani di me dovrebbero ricordarlo. Pare addirittura che le famose leggi promozionali - le uniche leggi promozionali mai esistite per l'ammodernamento delle forze armate siano state volute da uomini del Partito comunista.

FORLANI. Diciamo che non c'è stato lo stesso atteggiamento di contrasto aspro e radicale che provvedimenti del genere avevano avuto nel passato, anche in sede parlamentare; c'è stato un atteggiamento di maggiore riflessività in ordine a questi temi.

GUALTIERI. Non condivido questa tesi.

FORLANI. Strano, perché sei romagnolo e allora ricorderai che il "ministro della difesa" del Partito comunista, Boldrini, aveva certamente un atteggiamento corrispondente al ruolo di opposizione, ma non più dì così radicale contrasto.

PRESIDENTE. In seguito allo strappo di Berlinguer.

MANCA. Anche se mi dispiace fare questioni personali, devo dire che chi allora dirigeva ì lavori della Commissione difesa erano D'Alessio e gli altri membri dei Partito comunista. Addirittura, in quel periodo, chi teneva i rapporti con i parlamentari per le leggi che interessavano il Ministero della difesa ovviamente si riferiva all'area del Governo, ma non otteneva nulla; qualcuno, uno del Movimento sociale, disse che finché queste leggi non fossero state accettate dai rappresentanti in Commissione difesa del Partito comunista non sarebbe successo mai niente. Allora i rappresentanti del Partito comunista erano molto presenti, non soltanto dal punto di vista del lavoro ma anche dal punto di vista decisionale, perché effettivamente vi fu un cambiamento radicale nei riguardi delle Forze armate. Fino a certi anni la soglia dei palazzi delle tre Forze armate non era varcata da nessun personaggio di sinistra, mentre ad un certo punto hanno cominciato a frequentare, a sapere, quindi vi è stato un diverso atteggiamento nei riguardi delle Forze armate, nei riguardi delle spese militari e anche della Nato. Ma questo è ormai acquisito dalla storia, non c'è bisogno che lo ripeta io; mi meraviglio anzi che chi ha fatto politica per tanti anni non lo condivida. Lei presidente Forlani, condivide questo passaggio storico?

FORLANI. C'è stato un passaggio graduale che poi si è tradotto in modo ufficiale e solenne anche in sede parlamentare con l'accettazione dell'Alleanza atlantica: Natta, presumibilmente d'accordo con Berlinguer e con la direzione del suo Partito, firmò quell'ordine del giorno che indicava ]'Alleanza atlantica come quadro di riferimento essenziale della politica estera italiana.

MANCA. Ora siamo in Commissione stragi e non vorrei che il discorso andasse fuori dai nostri obiettivi; ho fatto questa premessa per chiederle se lei condivide la tesi secondo cui dinanzi a questo mutato atteggiamento del Partito comunista nei riguardi dell'istituzione militare e della Nato chi era al Governo - pur a conoscenza di certe situazioni, di atti terroristici per lo meno in nuce da parte della sinistra - cercava di non calcare la mano proprio per non fermare questo mutamento di atteggiamento da parte del Partito comunista.

FORLANI. Non da parte nostra; da parte nostra non c'era una sottovalutazione in virtù del modificarsi dell'atteggiamento della opposizione comunista, mentre forse da parte loro nella fase iniziale una sottovalutazione c'è stata e credo che sia venuta progressivamente meno fino ad assumere una linea di piena corresponsabilità in ordine al contrasto e alla lotta all'eversione.

MANCA. Non avrei altre domande.

PRESIDENTE. Però c'è una domanda a cui non ha risposto, quella sui gruppi proletari.

MANCA. Lei allora era Ministro della difesa e dovrebbe saperlo meglio di me che allora ero tenente colonnello. Era risaputo che alcuni soldati di leva seguivano le indicazioni del Partito comunista.

PRESIDENTE. Lotta continua o Partito comunista?

FORLANI. In che anni?

MANCA. Negli anni '70. Le cellule clandestine comuniste non sono da confondersi con i proletari in divisa, che a loro volta prendevano ordini da Lotta continua. Allora le chiedo, presidente Forlani, anzitutto se queste cellule clandestine comuniste esistevano nelle Forze armate e poi se collaboravano o meno, addirittura referendo ai comandanti l'attività dei proletari in divisa. Vorrei sapere se a lei come Ministro della difesa, o comunque come uomo politico che ha ricoperto sempre incarichi di grande responsabilità, risultava questa situazione, se la condivideva o se viceversa è di avviso contrario.

FORLANI. Talvolta venivano denunciati fatti o rischi di infiltrazione con riferimento in genere a Lotta continua o altri gruppi estremi; rispetto a queste indicazioni le direttive da parte del Governo, del Ministro della difesa e degli Stati maggiori sono state sempre piuttosto di drastica vigilanza.

PRESIDENTE. Ma queste cellule clandestine comuniste che cosa erano?

MANCA. Erano dei soldati di leva...

PRESIDENTE. Che votavano comunista o erano iscritti al Partito comunista.

MANCA. Secondo alcuni queste cellule addirittura si inserivano per fermare o per referire ai comandanti le attività dei proletari in divisa, che invece erano di Lotta continua. Ci sono alcuni comandanti che affermano che da loro si sono recati soldati, o degli avieri o dei marinai, che sembrava appartenessero a quelle cellule per riferire l'attività dei proletari in divisa, che invece erano estremisti in quanto guidati da Lotta continua. Mi meraviglio: queste cose erano abbastanza presenti in quegli anni.

FORLANI. Si tratta di fatti ed episodi che non venivano collegabili a piani sistematici riconducibili a precise responsabilità politiche. Mi sembrava che lei parlasse di cellule guidate dal Partito comunista italiano.

MANCA. Ho parlato di "guida" nel senso che erano iscritti al Partito comunista.

FORLANI. Comunque voglio dire che rispetto a certi fenomeni c'è stata in quel periodo un'azione puntuale di vigilanza, di contrasto, che non mi risulta non fosse condivisa in sede politica anche al di là della maggioranza delle responsabilità di Governo.

TASSONE. Vorrei fare una valutazione molto breve, per la verità, nel corso della quale formulerò anche delle domande. Certamente il processo di democratizzazione del nostro paese (se ci riferiamo al periodo al nostro esame, all'interno del quale stiamo valutando e setacciando alcune vicende e alcuni avvenimenti che pesano ancor oggi) è stato sempre considerato, anche tuttora, un processo molto lento e faticoso. Anche le valutazioni fatte da alcuni colleghi mi trovano d'accordo, però in parte. Se consideriamo ad esempio gli avvenimenti degli anni 1975-1976, le leggi promozionali possono avere anche un'altra lettura. Il nostro armamento era dipendente dagli Stati Uniti d'America; con le leggi promozionali del 1975 e anche quelle successive c'è stato un tentativo, riuscito in parte, di creare momenti di autonomia rispetto alla subordinazione che avevamo per quanto riguardava ì sistemi di armi nei confronti degli Stati Uniti d'America. Questo vale per la legge promozionale della Marina del 1975, ma anche per la legge del 1976 per gli MRCA, per i Tornado, quando ci fu il primo consorzio europeo (anglo-tedesco-italìano).

Ma il problema è questo, presidente Forlani, e mi pongo sulla scia delle domande che le sono state rivolte in precedenza. Chi più, chi meno, abbiamo tutti vissuto queste vicende e molte domande non sono state fatte a mio avviso per pura curiosità, ma perché vogliamo capire il passato, dal momento che ritengo che sia difficile poter avere una contezza piena, una padronanza assoluta di ciò che è avvenuto nei nostro paese. Però sono emerse delle indicazioni. Il processo per la democrazia è stato lento e gli strumenti e le strutture della democrazia erano gracili; certamente, vi era un Governo, vi erano dei partiti e vi era un insieme di mondi che camminavano per proprio conto. Ci saranno state delle connessioni tra il mondo politico, il Governo e questi mondi. Non ho fatto degli studi particolari su tale aspetto (in questa Commissione, invece, ci sono dei cultori di queste vicende e le hanno approfondite), ma mi sono convinto che alcuni avvenimenti hanno superato gli organismi istituzionali preposti al controllo.

La domanda che è stata posta non soltanto a lei, presidente Forlani, ma anche a coloro che sono stati auditi negli ultimi mesi in questa Commissione, di cui mi onoro di far parte, è proprio questa: c'è stata una percezione di tutto ciò? Lei ha risposto a mio avviso con grande onestà intellettuale, che le riconosco. Allora, le rivolgo un'altra domanda sempre in questa ottica: in uno Stato di diritto che attribuisce compiti alla dirigenza dello Stato, agli organismi dello Stato, in cui tutti dovrebbero essere sottoposti alle leggi, queste leggi erano sufficienti, e lo sono oggi? Voglio capire infatti anche il momento in cui viviamo, perché ci sono segnali non incoraggianti e non tranquillizzanti. Queste leggi, per un certo periodo nella storia del Parlamento, sono state approvate in termini di grande compromissione, molte volte, tra maggioranza e opposizione: non si scioglie nessun nodo, non si evidenzia nessun fatto oscuro. Sulla base della sua esperienza di Ministro, di Presidente del Consiglio dei ministri, di segretario del partito di maggioranza relativa, ritiene che queste leggi fossero adeguate a dare al Governo il ruolo che questo dovrebbe avere in un paese civile e democratico?

FORLANI. Sempre rispetto ai Servizi?

TASSONE. Non soltanto rispetto ai Servizi. Faccio varie ipotesi, ma la domanda è unica. Comunque credo che sia calzante la sua richiesta dl precisazione. Mi sono fatto un convincimento che c'è stato e c'è un Governo che è stato scarsamente tutelato dalla legislazione nel controllo degli apparati dello Stato. Mi riferisco alla legge n. 801 ancora in vigore sui servizi segreti, che ha dato ad un Comitato parlamentare la possibilità di un controllo, ma per come è congegnata e architettata non avviene nessun controllo. Eppure noi sappiamo, in fondo, che apparati dello Stato, all'interno del Ministero dell'interno e dei servizi segreti hanno operato in termini sleali nei confronti del potere politico. La domanda è questa: secondo lei, quando era al Governo, era tutelato dalla legislazione nei confronti delle strutture dello Stato alle sue dipendenze? Oppure constatava che c'erano dei limiti, cioè che si trattasse di una tutela ridotta rispetto a quello che doveva essere il dispiegamento di una potestà di controllo, di indirizzo e quindi di esecuzione, che sono proprio compiti del Governo?

Qualcuno ha parlato del Consiglio dei ministri; secondo lei, al di là delle valutazioni ufficiali che venivano fatte nel Consiglio dei ministri, negli organismi di partito (e non mi riferisco soltanto a quelli del partito di maggioranza) c'era questa sensazione? Non c'è dubbio che abbiamo avuto un certo periodo storico in cui qualche forza politica, prima del sequestro e dell'assassinio di Moro, chiese il ridimensionamento della polizia come azione dì tutela e quindi di prevenzione. A questo proposito c'è anche stato un dibattilo in Aula, e c’è stato anche un lungo ostruzionismo. Le chiedo quindi una sua valutazione, alla luce di un'esperienza che tutti gli intervenuti hanno considerato con grande attenzione. Oggi, in un momento in cui si dibatte sulle riforme costituzionali (e il presidente Pellegrino è un autorevole componente della Commissione bicamerale), ci chiediamo se la produzione legislativa tutela o quantomeno garantisce la potestà del Governo. Il Governo è responsabile sempre di tutto, ma le leggi gli consentono di assumersi pienamente la responsabilità di quanto avviene nell'apparato dello Stato? Questa è una valutazione necessaria anche per conoscere la situazione attuale, perché la produzione legislativa è quella che è. Vorrei se possibile una sua valutazione su questi punti. Secondo lei le istituzioni democratiche - certamente sono più forti del passato - sono realmente più adeguate rispetto al passato o c'è un mondo che si muove parallelamente in contrapposizione con le espressioni della sovranità popolare? Vorrei conoscere una sua considerazione, precisando che io sono più interessato a comprendere il presente che il passato. Oggi viviamo una situazione di difficoltà e di pericoli credo sia importante se la nostra Commissione può dare un contributo, attraverso la conoscenza del passato, anche alla situazione attuale. Oggi vi sono fenomeni che evidenziano un malessere e una debolezza forte ad accentuata.

FORLANI. La sua domanda è troppo impegnativa perché possa esaurirla in un'unica risposta in questa sede. Con riferimento al passato non vi è dubbio che si sono avvertiti periodicamente i limiti della legislazione, dei sistema organizzativo e strutturale dello Stato, dei Servizi e così via. Per questa consapevolezza si è provveduto anche a modificare, a strutturare in modo diverso i Servizi e mi riferisco soprattutto a questi perché sono oggetto della attuale discussione perché si tratta del settore in cui sono rilevate periodicamente disfunzioni o devianze pericolose. Credo peraltro che questo valga per tutti i paesi, in tutti i sistemi democratici in questi anni sono stati posti in evidenza più i motivi di critica e di insoddisfazione che non le ragioni di compiacimento. Credo che ogni sistema democratico, valutando oggi le proprie strutture di sicurezza, di indagine e di investigazione, debba porre in evidenza soprattutto difetti e necessità di adeguamento e di correzione. Da mesi siamo alle prese con l'impegno più generale delle riforme istituzionali, e si vede la difficoltà di procedere in laboratori. Voglio dire che le indicazioni dovrebbero venire di volta in volta sulla base dell'esperienza. Per come erano strutturati i Servizi sono state colte talune difficoltà e molti difetti e si è proceduto allora ad una riforma. Oggi vediamo i difetti e i limiti anche di questo nuovo ordinamento e credo che vi sia certamente spazio e necessità di migliorare le cose.

TASSONE. Nella sua esperienza di Governo, lei ha avvertito i limiti dei mezzi a sua disposizione per poter avere contezza delle varie attività?

PRESIDENTE. Se ho ben capito la domanda del collega Tassone, egli vuol sapere se avete mai percepito all’interno degli apparati si potessero muovere forze sotterranee che svolgevano una politica propria non controllabile con i mezzi a disposizione.

FORLANI. E’ una sensazione che si ha quanto più si è stati lontani dai compiti amministrativi di pratica gestione nell'amministrazione dello Stato. Nenni in modo colorito scrive di aver fatto tanto per entrare nella stanza dei bottoni e di essersi accorto, una volta entrato, che la stanza dei bottoni non c'era. Questa è una sensazione che più o meno viene avvertita da tutti. Direi che oggi viene avvertita ancora maggiormente in una società che si è sviluppata attraverso centri sempre più diffusi e pluralistici di potere e di direzione, per riprendere le analisi molto puntuali fatte dal professor De Rita. Credo che oggi dunque questa sensazione sia ancor più acuta. Tuttavia, bisogna misurare e verificare sul campo le possibilità reali di modifica e di miglioramento. E’ il terreno delle riforme istituzionali. Maggioranze omogenee, governi stabili potere diretto del premier nella scelta dei ministri e dei collaboratori, e così via, sono tutte esigenze condivise che derivano dalla difficoltà che abbiamo sperimentato.

PRESIDENTE. Vorrei intervenire per dare in parte ragione al collega Tassone e per difendermi dall'accusa dì manicheismo che mi è stata mossa dal collega Manca. Credo di aver scritto queste cose: secondo me molti apparati hanno fatto una politica propria e, se qualche volta vi può essere stato qualche servizio non regolare reso al vertice politico ciò è diventato un'arma di ricatto per poter continuare ad avere le mani libere; anche nell'ambito del Ministero dell'interno vi sono state lotte di potere alle quali la politica è rimasta estranea, che anzi ha finito per subire. Ho anche la vaga sensazione che tutto ciò continui ad accadere.

FRAGALA’. Onorevole Forlani, la mia prima domanda inerisce un fatto relativo alla cronaca giudiziaria delle stragi, ma di grande attualità per alcuni sviluppi anche recentissimi, uno addirittura di queste ore: ho saputo da una nota di agenzia che il giudice istruttore Mastelloni si sarebbe recato a Palazzo Chigi e sarebbe stato ascoltato dal presidente del Consiglio Prodi sulla vicenda dei 250 informatori dell'ufficio Affari riservati.

PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, però ho voluto parlare pubblicamente in questa sede perché ritengo si tratti ormai di una indagine giudiziaria che ha preso un tale slancio che tra poco probabilmente diventerà palese quel poco che non abbiamo ancora capito.

FRAGALA’. Allora, siccome sono uno di quelli che non ha ritenuto da un anno e mezzo di aver capito tutto ciò che capiremo tra poco - quello che non abbiamo capito per tanti anni -, le pongo questo aspetto della vicenda, perchè lei fin dal 1969 è stato Ministro senza portafoglio, è stato uno dei leader massimi della Democrazia cristiana, nonchè più volte Ministro e Presidente del Consiglio. Il problema della strage di piazza Fontana. Come lei sa dai giornali, nell'audizione del senatore Andreotti, quest'ultimo ha riferito che, a suo modo di vedere, quell'azione, quella bomba a piazza Fontana doveva essere una bomba dimostrativa come quelle di Roma, e che poi, invece, imprevedibilmente per gli esecutori dell'attentato, quel pomeriggio di venerdì la Banca dell'agricoltura, invece di essere chiusa come doveva essere, fu aperta, perché c'era un'occasione di cadenza non normale per la Borsa delle merci. Quindi, il senatore Andreotti ha detto questo. Ora, sappiamo da indagini giudiziarie di quella struttura di cui ha parlato il senatore Pellegrino (la struttura dell'ufficio degli Affari riservati, la quale aveva delle squadre operative che, quando accadevano dei fatti eclatanti, andavano sul luogo nel quale era accaduto un determinato episodio e si affiancavano alle squadre mobili e agli apparati investigativi del luogo per aiutarli o per guidarli nelle indagini), che la cosiddetta pista anarchica di piazza Fontana, cioè Pietro Valpreda, nacque proprio perché la squadra operante dell'ufficio Affari riservati, che fece subito le indagini su piazza Fontana, aveva un anarchico militante che era un proprio informatore, il quale riferì immediatamente che la bomba era stata messa da Valpreda e da quel gruppo di cui lui era naturalmente un militante, ma anche un infiltrato per conto dell'ufficio Affari riservati.

PRESIDENTE. Io questo non l'ho capito: se era un infiltrato o se era un informatore.

FRAGALA’. Adesso glielo spiego. Era un informatore. Ora mi segua, onorevole Forlani. Nel novembre del 1974 nuclei speciali del generale Dalla Chiesa irrompono nel covo di Robbiano di Mediglia, un quartiere di Milano; tra il materiale rinvenuto trovano due grandi borse che contengono dentro delle bobine con un'inchiesta fatta dalle Brigate rosse, un'inchiesta sulla morte di Feltrinelli, con dichiarazioni registrate di coloro che si trovavano ai piedi del traliccio quando l'editore guerrigliero saltò in aria. Naturalmente nel 1974, periodo nel quale eravamo in pieno dominio della propaganda dei mezzi di informazione da parte del Partito comunista, dire che Feltrinelli era saltato in aria, e non era stato invece ucciso dalla polizia come sostenevano Camilla Cederna, "L'Espresso" e tanti giornali dì Sinistra, era particolare. Ebbene, questa borsa, oltre a contenere le bobine di questa inchiesta interna delle Brigate rosse su Feltrinelli, conteneva anche delle bobine con una inchiesta sulla strage di piazza Fontana. Tale inchiesta su piazza Fontana era stata fatta da "Contro Informazione", che - se lei ricorda - era un giornale fiancheggiatore delle Brigate rosse, diretto da Antonio Bellavita che, invece, personalmente era un aderente delle Brigate rosse. Assieme ad Antonio Bellavita, il collaboratore maggiore di questo giornale era Franco Tommei, il quale apparteneva all'area dell'Autonomia di Toni Negri. Ebbene, queste bobine su tale inchiesta interna dicevano, secondo tutta una serie di testimonianze, che la. bomba di piazza Fontana l'aveva messa Valpreda ed il suo gruppo e aggiungevano addirittura che il famoso suicidio di Pinelli, che il dottor D'Ambrosio chiamò per un "malessere attivo" nella questura di Milano, fu invece un suicidio vero e proprio del Pinelli stesso, che era stroncato e abbattuto per il rimorso di quella che doveva essere una azione dimostrativa e che, invece, diventò una strage incredibile, perché gli esecutori non ebbero la previsione di una cosa che peraltro era poco prevedibile.

Queste bobine sono finite nel processo di Catanzaro, anche con la sbobinatura e con le trascrizioni. Lei ricorderà che Craxi ad un certo punto disse che Valpreda era stato un infiltrato, anche egli del gruppo anarchico, utilizzato per mettere la bomba. Adesso abbiamo addirittura un documento ufficiale di tipo giudiziario che riferisce questa vicenda. Ora mi chiedo - perché l'ho chiesto già al senatore Andreotti - come sia stato possibile che la Democrazia cristiana e i Governi dell'epoca, dal 1969 in poi, fossero acquiescenti verso la tesi propagandistica "Valpreda innocente": invece la strage o era di destra o di Stato. Come è potuto accadere che addirittura - l'ho chiesto anche al senatore Andreotti - il senatore Andreotti, per fare un favore al Partito comunista, nel 1972 promulga la famosa legge Valpreda per consentire a quest'ultimo di uscire dal carcere. A voi, cioè, erano noti all'epoca questi elementi, adesso convergenti, che vengono dall'ufficio Affari riservati, dall'interno delle Brigate rosse, da "Contro Informazione"? Tutti, cioè, sapevano come erano andati i fatti a piazza Fontana. Oggi Andreotti ci dice che doveva essere un'azione dimostrativa. Sapevate come è potuto accadere che l'opinione pubblica italiana è stata intossicata per oltre venti anni non solo con le teorie strampalate e strabiche di uno stragismo, di una strategia della tensione che doveva favorire la Destra e invece serviva solo a criminalizzare la Destra, che doveva impedire al Partito comunista di crescere elettoralmente, mentre è servito a questo partito per diventare partito d'ordine, partito della fermezza, partito di Governo, partito dello Stato con l'operazione Moro. Come è potuto accadere tutto questo a vostra insaputa? Se lo avete saputo, perché non avete fatto chiarezza rispetto all'opinione pubblica?

PRESIDENTE, Ma i timers chi li aveva forniti? Sempre Freda o qualcun altro.

FRAGALA’. Anche su questo c'è una risposta. Freda non c'entra niente e mi dispiace per chi deve riscrivere le bozze delle relazioni. Mi risponda, onorevole Forlani, se può. La ringrazio.

FORLANI. No, noi non avevamo notizie diverse, una conoscenza delle cose diversa da quella che ci veniva trasmessa da chi era preposto alle indagini.

FRAGALA’. Quindi, l'ufficio Affari riservati non vi rivelò mai che la pista anarchica nasceva da una informazione interna del gruppo anarchico, che aveva rivelato immediatamente all'ufficio Affari riservati che la bomba era stata messa da Valpreda con la collaborazione del gruppo anarchico? Non vi è stato mai rivelato dall'ufficio Affari riservati quello che adesso risulta da documenti di carattere giudiziario?

FORLANI. Non ho mai avuto rapporti con l'ufficio Affari riservati. E’ da ritenere che tale Ufficio abbia comunicato le notizie di cui era in possesso al titolare di quel Dicastero. Noi non potevamo che recepire le notizie che ci venivano date ufficialmente dal Capo della polizia e da chi era preposto alle indagini. All'epoca mi sembra che il Capo della polizia fosse Vicari. Comunque, fosse Vicari o qualcun altro, è certo che partivano dalla convinzione che ci fosse una responsabilità diretta di Valpreda e in quella direzione operarono l'arresto.

FRAGALA’. Quindi, negli anni successivi tutto questo a lei, che è stato Presidente del Consiglio oltre che Ministro della difesa, non è mai risultato?

FORLANI. Che cosa?

FRAGALA’. Che fin dal primo momento la pista anarchica fu il frutto di una indicazione precisa di un informatore o di un infiltrato dello stesso gruppo anarchico.

FORLANI, No. Si aveva notizia del risultato delle indagini condotte, senza un riferimento specifico all'ufficio Affari riservati.

FRAGALA’. Onorevole Forlani, nella scorsa audizione in questa Commissione lei ha detto che la vicenda di via Gradoli, così strana e così ambigua, è comprensibile solo nel clima di quelle giornate; lei ha detto che erano giornate particolarmente convulse, che le Brigate rosse avevano fornito una capacità di forza, lei ha parlato di "geometria"...

FORLANI. Loro ne hanno parlato.

FRAGALA’. ...lei lo ha riferito... per cui noi credevamo che così come era stato organizzato il rapimento e la strage di via Fani tutto il prosieguo del sequestro Moro dovesse avere quelle caratteristiche. Anzitutto vorrei sapere se lei ha saputo che quella cosiddetta potenza geometrica di tipo militare nel momento della strage di via Fani era una potenza particolarmente sospetta, nel senso che come hanno poi dimostrato le risultanze giudiziarie e le perizie balistiche in via Fani i terroristi delle Brigate rosse nella loro complessità hanno avuto una parte esclusivamente da comparse.

PRESIDENTE. Questo non è affatto vero, può darsi che non fossero sole, a meno che lei non disponga di informazioni diverse da quelle della Commissione.

FRAGALA’. Risulta dalle carte giudiziarie che in pratica in via Fani l'uccisione di tutti i componenti della scorta, ad eccezione naturalmente dell'onorevole Moro, fu fatta da una sola persona che un testimone chiamò Tex Willer, con una sola arma che, come risulta dalla perizia balistica, sparò 91 colpi; una seconda arma sparò 45 colpi e le altre armi praticamente spararono solo 2 o 3 colpi. Tuttavia i colpi che andarono a segno sulle vittime, ripeto che si tratta del risultato della perizia balistica, furono esplosi da questa sola arma usata da un tiratore scelto che un testimone disse sparare come Tex Willer.

PRESIDENTE. Secondo la ricostruzione il cosiddetto Tex Willer ammazza i due uomini nella macchina di Moro ed i brigatisti che sparano dal lato destro della strada uccidono i tre che si trovavano nella macchina dietro.

FRAGALA’. Se lei conosce la ricostruzione allora saprà che l'arma del tiratore scelto spara 91 colpi, la seconda arma 45, le altre solo 2 o 3. Quindi il tiratore scelto è una persona particolare. Ebbene, da alcune testimonianze viene fuori che una persona così esperta nell'uso delle armi in Italia doveva avere un tipo di addestramento eccezionale. Inoltre ieri sera abbiamo partecipato con il presidente Pellegrino alla presentazione del libro: "La borsa del Presidente" di Franceschini ed abbiamo appreso, attraverso la ricostruzione apparentemente romanzata ma in realtà assolutamente puntuale dell'ex terrorista Alberto Francheschini, che l'aver utilizzato delle divise dell'Alitalia da parte dei terroristi che rapirono Moro e l'avere, contro ogni tecnica militare, sparato da ambedue le parti della strada fu dovuto al fatto che chi usò quell'arma che vomitò dalla sua canna 91 colpi era una persona che non conosceva gli altri terroristi.

PRESIDENTE. Questa è la ricostruzione. La testimonianza dello sparatore bravissimo che fa fuoco con l'arma poggiata sull'altra mano effettivamente fa parte del processo.

FRAGALA’. Quindi lo sparatore bravissimo, il Tex Willer, non conoscendo gli altri componenti del commando aveva bisogno di averli visibili attraverso un segno distintivo, come fanno gli eserciti in guerra portando la divisa per evitare di sparare addosso ai propri compagni. La mia domanda è la seguente: durante il sequestro Moro fu analizzato - dato che lei ha parlato, ripetendo le parole delle Brigate rosse, di "potenza geometrica" - come in quel gruppo potesse esserci un personaggio di tale abilità nell'uso delle armi da aver potuto da solo, insieme al secondo tiratore con una posizione assai minore, compiuto l'intera strage senza scalfire la persona dell'onorevole Moro? Il tema del sequestro Moro e della strage di via Fani è proprio questo: come mai il gruppo dirigente o di governo della Democrazia cristiana, che aveva avuto sequestrato il proprio Presidente, non si pose - le chiedo appunto se se lo pose o meno - il problema di capire subito, di fronte ad un'azione di questo livello, chi avesse potuto fornire le persone, i militanti, o addirittura i militari utili per compiere questo tipo di azione militare? Vi siete posti questo problema?

FORLANI. Sono stati posti tutti i problemi che ci si poteva porre in quelle circostanze, in modo più immediato. Anche questo sarà stato oggetto di analisi, di riflessione da parte di chi era preposto alle indagini. Io non ho assolutamente elementi per poter esprimere un giudizio.

FRAGALA’. Onorevole Forlani, le ho rivolto questa domanda perché nella precedente audizione il Presidente ad un certo punto ha detto: "Onorevole Forlani, lei ha risposto fino adesso ad una valutazione personale con una chiarezza che da altri non abbiamo avuto. Lei ci sta dicendo che probabilmente nella fase del sequestro e nella fase della gestione dell'ostaggio le Brigate rosse non erano sole, come poi ritornarono ad essere immediatamente dopo. La forza della prima fase e la debolezza della fase successiva dipendevano proprio da questa interferenza". Quindi l'altra volta lei ha accennato in modo chiaro, tant'è vero che il Presidente le ha fatto questa domanda, al fatto che secondo la sua valutazione le Brigate rosse al momento del rapimento erano in una posizione di forza particolare; questa forza durò per un certo periodo dei sequestro poi scemò e subito dopo il sequestro Moro le Brigate rosse vennero praticamente sbaragliate. Lei poi ha anche detto il perché e su questo le rivolgerò un'altra domanda. Quindi vi siete posti il problema se le Brigate rosse al momento dell'eccidio di via Fani non fossero sole?

FORLANI. Tutte le ipotesi sono state fatte.

FRAGALA’. Ma questa ipotesi è stata fatta e come?

FORLANI. Tutte le ipotesi sono state fatte ma poi non tutti hanno partecipato alle attività di investigazione alle quali presiedeva un comitato ristretto. Mi preme dire che nella scorsa seduta il senso delle mie parole non è stato quello da lei ora riportato; la frase che lei ha letto si riferisce ad un'interpretazione del Presidente che cercava di capire se avessi detto una cosa del genere. Non ho detto che ritenevo che le Brigate rosse non fossero state sole e se vi fosse la presenza di qualcun altro. Non avrei assolutamente elementi per dire ciò.

PRESIDENTE. Lei però ci ha detto qualcosa che poi questo testo, a metà tra fiction e realtà, conferma e cioè che le Brigate rosse erano una cosa, le Brigate rosse più Moretti erano qualcosa di diverso. Questa. è l'impressione che ho ricevuto dalla sua audizione.

FORLANI. No, ho detto che secondo la valutazione del generale Dalla Chiesa - almeno per quello che potevo trarre da un colloquio avuto con lui -, il ruolo di Moretti era particolarmente rilevante tanto che egli prevedeva che sarebbe arrivato rapidamente il momento della fine delle Brigate rosse quando questi fosse stato arrestato. Si tratta insomma di una valutazione che lui espresse con me e che io qui ho ripetuto.

FRAGALA’. Onorevole Forlani, mi permetta, lei, proprio prima dell'interruzione del Presidente, ha. detto che la vicenda di via Gradoli, così strana e ambigua, è comprensibile solo nel clima di quelle giornate. Ora, noi, su via Gradoli abbiamo acquisito una serie di elementi per cui riteniamo che la mancata scoperta del covo in quella via costituisca la chiave di volta per coprire ì misteri del sequestro Moro. Come lei sa, il senatore Andreotti è stato il primo che ha detto, in relazione a via Gradoli, che la storia della seduta spiritica era un'invenzione. L'onorevole Piccoli poi ha aggiunto rispondendo ad una. domanda di un'agenzia: "la storia della seduta spiritica è stata una vergogna". Entrambi hanno fatto riferimento alla copertura da parte del professor Prodi rispetto alla fonte da cui aveva saputo che in via Gradoli vi era un covo. Ora, ci sono altri elementi che si sono aggiunti, per questo io le chiedo di spiegare che cosa intende dire con la frase: "la vicenda di via Gradoli è così strana e ambigua". Le altre vicende sono queste: pare che l'appartamento di via Gradoli al numero civico 96, palazzina A, interno 11, fosse affittata da Morucci fin dal 1976 e poi, senza pare, che questo appartamento e questa strada fossero controllati dall'Ucigos prima del sequestro Moro perché in quella strada, e davanti a quella palazzina, era stato visto un furgone che faceva riferimento al gruppo di Piperno, a Fiora Pirri e al gruppo calabrese di Potere operaio. In più poi, come lei sa, l'ala trattativista delle Brigate rosse per diverse volte diede un segnale, un'indicazione alla polizia affinché venisse scoperto il covo e si impedisse l'uccisione dell'onorevole Moro.

Ieri sera, il presidente Pellegrino era già andato via, mentre io sono rimasto qualche minuto in più, Franceschini ha rivelato un'altra circostanza, di un'importanza enorme. Quando finalmente, probabilmente la Faranda o Morucci, per evitare che si continuasse ad essere sordi ed inetti rispetto alla segnalazione del covo di via Gradoli decidono di mettere il telefono della doccia contro il muro per far allagare l'appartamento, successe una cosa incredibile: prima dei pompieri arrivarono i giornalisti, ed insieme ai primi arrivò la televisione. Franceschini ha rivelato ieri - all'epoca era detenuto in un carcere di massima sicurezza ed aveva sempre la televisione accesa per guardare cosa succedesse - che alle nove e mezza notò l'inizio di una diretta televisiva che durò ore, ore e ore sulla scoperta del covo di via Gradoli. Lo stesso Franceschini ha rivelato che successivamente venne a sapere che quella mattina da via Gradoli alle sette l'ingegner Borghi alias Mario Moretti, era uscito dall'appartamento e aveva preso il treno per Firenze per fare una riunione dell'esecutivo delle Brigate rosse e decidere come comportarsi concretamente in relazione al sequestro Moro. Ebbene Moretti durante l'esecutivo accese anch’egli la televisione attorno alle ore tredici, vide la diretta e disse: "quella è casa mia, se non avessi visto la televisione stasera vi sarei tornato e mi avrebbero arrestato". Franceschini sempre ieri sera ha aggiunto un'altra cosa: nel 1974 quando i carabinieri del generale Dalla Chiesa riuscirono a scoprire un covo delle Brigate rosse, vi erano entrati e avevano arrestato colui che vi era dentro. Si erano poi nascosti nello stesso appartamento per attendere l'arrivo di altri brigatisti arrestandone uno sia il secondo che il terzo giorno mantenendo segretissima la scoperta del covo. Poi arrivò Ognibene, si accorse che qualcosa non andava e sparò colpendo a morte un maresciallo dei carabinieri - rimanendo ferito lui stesso - i quali furono costretti a rivelare che da quattro giorni si trovavano in quel covo. Su via Gradoli, sussistono due gravissimi fatti: la mancata scoperta del covo, nonostante l'ala "trattativista" delle Br ne avesse ripetutamente segnalato agli inquirenti la presenza e l'allagamento provocato appositamente nell'appartamento di via Gradoli - quando ci si stancò di segnalarne inutilmente l'indirizzo - che costrinse i vigili del fuoco ad intervenire sul posto. Questa volta gli inquirenti, stranamente - invece di capitalizzare l'esperienza investigativa del 1974 quando, non rivelando a nessuno la scoperta del covo di Robbiano di Mediglia, poterono arrestare, ogni giorno, il brigatista di turno – fin dalle ore 9,30 del mattino, consentirono che si procedesse ad una incredibile diretta televisiva sulla scoperta del covo, con inquadrature sia dell'appartamento che della palazzina. Ciò consenti a Moretti (uscito dal covo alle 7 del mattino dì quel giorno per recarsi a Firenze), ad apprendere dalla televisione che i carabinieri si trovavano dentro il suo rifugio e che, quindi, non era il caso di farvi ritorno, pena il suo arresto.

La mia domanda è questa, siccome il generale Dalla Chiesa ha ritenuto di venire da lei e lei ha detto: "ricordo perfettamente questa affermazione del generale Dalla Chiesa, il quale mi venne a trovare privatamente a casa ed in borghese, anzi sottolineando che si muoveva in quel modo perché così non veniva riconosciuto. In tema di Brigate rosse aveva la convinzione assoluta che la cattura di Moretti avrebbe segnato la fine delle stesse", per facta concludentia c'era qualcuno che non voleva arrestare Moretti fin quando fosse rimasto in vita l'onorevole Moro. Il generale Dalla Chiesa è venuto ad esternarle questa preoccupazione, ma anche lui evidentemente fu tenuto lontano dalla mischia. Ama ripetere sempre il presidente Pellegrino che quando vi tornò in pochi giorni scopri il covo di via Monte Nevoso e le carte.

FORLANI. Non si può collegare assolutamente questa affermazione fatta da Dalla Chiesa, quando mi venne a trovare, con la vicenda Moro. Il colloquio con me avviene in una fase di molto successiva...

FRAGALA’. Mi scusi, onorevole Forlani se mi permetto di contestarla…

FORLANI. Come può farlo?

FRAGALA’. Glielo spiego subito; ciò non è possibile logicamente perché nella fase successiva delle Brigate rosse dopo l'omicidio Moro, queste subiscono una serie tale di sconfitte e poi, mi scusi, Dalla Chiesa dopo l'omicidio Moro torna ad avere il comando dei nuclei antiterrorismo e quindi quando è venuto a trovarla in borghese ci trovavamo nel periodo del sequestro Moro.

FORLANI. Assolutamente no, all'epoca ero Presidente del Consiglio, altrimenti non sarebbe venuto da me.

FRAGALA’. E che motivo aveva allora?

PRESIDENTE. Moretti lo catturano dopo diversi anni.

FRAGALA’. Sì lo so, ma il fenomeno delle Brigate rosse, dopo l'uccisione dì Moro e la scoperta dei covi di via Montalcini e via Monte Nevoso diventa un fenomeno in grande discesa dal punto di vista dell'allarme sociale e le stesse si sfaldano completamente.

FORLANI. Quando si verificò l'uccisione dell'onorevole Moro io ero Ministro degli esteri, Dalla Chiesa non aveva ragione di aver rapporti con me. Venne a trovarmi quando ero Presidente del Consiglio, quindi per altri problemi dì ordine generale e inerenti all'ordine pubblico.

FRAGALA’. In quale periodo lei fu Presidente del Consiglio?

FORLANI. Dall'ottobre del 1980 al giugno del 1981. Il sequestro Moro e l'assassinio avvengono nel 1978.

FRAGALA’. Dalla Chiesa riprende il comando del nucleo antiterrorismo subito dopo il sequestro Moro.

FORLANI. Questo colloquio con me non aveva alcun collegamento con la vicenda Moro. Parlando di problemi di ordine pubblico, di Brigate rosse, di terrorismo eccetera fece questa affermazione, probabilmente in risposta ad una mia domanda sullo stato di diverse indagini in corso e su come pensavano di arrivare a realizzare risultati decisivi nella lotta contro il terrorismo. Questo era il contesto, e l'affermazione fu fatta in tale circostanza.

FRAGALA’. Quindi, fuori dal periodo del sequestro Moro?

FORLANI. Sì. Sul sequestro Moro credo sia opportuno tener presente una cosa: rispetto a tutte le notizie che pervenivano da varie fonti, più o meno credibili, notizie le più diverse e contraddittorie, la raccomandazione era che non si aggiungessero elementi ulteriori di confusione con interferenze di coloro che non erano preposti ai compiti di indagine.

FRAGAIA’. Però, io non riesco a capire questo: se tutta la Democrazia cristiana - come immagino - era compatta e decisa a liberare in qualunque modo l'onorevole Moro...

FORLANI. Sì.

FRAGALA’. ...non capisco come sia stato possibile che, per esempio, posizioni ambigue come quelle della seduta spiritica di via Gradoli, del professor Prodi, del professor Clò, del gruppo di professori di Bologna siano state fatte passare, scivolare, senza un approfondimento particolare. Adesso Piccoli parla di regime, Andreotti parla di invenzione, lei parla di posizione ambigua, ma la mancata scoperta di via Gradoli è costata, la vita a Moro!

FORLANI. Credo che qui bisognerebbe operare in qualche modo (quanto meno io lo faccio con me stesso) una distinzione nel ragionamento fra ciò che si può dire oggi, alla luce di tutti gli elementi che sono venuti in evidenza e delle cose che si sono acquisite...

FRAGALA’. Perché, lei allora ha creduto alla seduta spiritica? Non credo!

FORLANI. Ci avrò creduto come ci avrà creduto lei!

FRAGALA’. Non ci ho creduto! Ho subito pensato che fosse un'invenzione!

FORLANI. Avrà immaginato che fosse una delle informazioni rispetto alle quali c'era l'impegno dì non scoprire la fonte o comunque che si era in presenza di una fonte non dichiarata. E’ stata considerata come una delle tante notizie che pervenivano in quelle circostanze.

FRAGALA’. Però è stata mantenuta, poi, davanti alla Commissione d'inchiesta sulla strage di via Fani, di fronte alla quale si aveva l'obbligo di dire la verità: tutti i partecipanti a quella seduta spiritica dissero che effettivamente lo spirito di La Pira e lo spirito di Sturzo avevano indicato la parola "Gradoli".

FORLANI. Non ne so niente di questo: neppure lei lo sa!

FRAGALA’. No, io lo so perché ho letto gli atti!

FORLANI. Sì, ma voglio dire che nessuno sa come è avvenuta mente questa cosa!

FRAGALA’. Sono convinto che non è mai avvenuta. Prodi lo sa. Speriamo che ci consentano...

PRESIDENTE. Ma fra quindici persone che tengono il dito su un piattino come si fa a sapere chi era a spingerlo?

FORLANI. Su questo si può immaginare ogni cosa!

PRESIDENTE. Ho letto tutti gli atti di quegli interrogatori...

CIRAMI. Non credo a nessuno di quelli che hanno messo il dito sul piattino, perché scivolerebbero nel ridicolo!

FRAGALA’. E poi perché per i cattolici la pratica spiritistica è una pratica demoniaca: quei cattolici militanti non l'avrebbero mai fatto!

PRESIDENTE. Personalmente ho partecipato a diverse sedute spiritiche ed ho fatto muovere molti piattini e molti tavolini: abbiamo fatto svenire anche qualche signora ed abbiamo fatto fallire qualche matrimonio, perché abbiamo affidato al tavolino qualche informazione che forse bisognava tenere segreta. Questa è la mia personale esperienza, per quanto può valere.

FRAGALA’. Ma lei è un laico! Desidero sapere in che termini lei ha ritenuto ambigua la vicenda di via Gradoli, come ha sostenuto nella precedente audizione.

FORLANI. E’ ambiguo ciò che non può essere chiarito o non è stato chiarito: in quel senso lì.

FRAGALA’. La ringrazio della risposta. Speriamo di chiarirlo con il professor Prodi molto presto. Le pongo adesso un altro problema. Non so se ricorda...

FORLANI. Non sì può che procedere per congetture, per ipotesi, fin quando la cosa non venga chiarita da chi l'ha vissuta direttamente. Non sì può immaginare che taluno abbia voluto dare un'indicazione o meglio abbia avuto un'indicazione di questo tipo e per non scoprirsi l'abbia fatta scaturire da questo marchingegno?

PRESIDENTE. E’ una mia ipotesi. Io ho riletto tutti gli interrogatori. Sono stati sentiti tutti i partecipanti alla seduta e non c'è una contraddizione: raccontano tutti la stessa storia, con molti particolari ed estrema precisione. E’ difficile pensare che non ci sia stata la seduta spiritica, ma è facilissimo pensare che uno abbia affidato al piattino un segreto di cui si voleva liberare. Questa è una valutazione sul caso Moro che è stata già data dalla relazione di minoranza socialista, che quindi era di polemica, contro quella di maggioranza. Se i colleghi vogliono vedere una valutazione che io condivido pienamente basta che esaminino una valutazione vecchia, ormai di più di dieci anni. Se poi, invece, qualcuno riesce a sapere chi era la fronte, per rispondere all'onorevole Fragalà, tutto acquisterebbe un senso diverso.

FRAGALA’. Infatti il problema è quello di individuare e di ricostruire la fonte, perché io penso che adesso molti dei protagonisti di quell'epoca sono disponibili a raccontare come sono andati i fatti e ne stiamo avendo qualche prova in questi giorni. Desidero ora porle delle domande e chiedere una sua valutazione sul problema delle lettere del Papa, di Paolo VI, alle Brigate rosse e su alcune iniziative del Vaticano per liberare Moro. Se lei ricorda, onorevole Forlani, Moro scrisse una famosa lettera alla moglie, "mia carissima Noretta", in cui affrontò questo tema. Scrisse che "nel risvolto del giorno ho visto con dolore ripreso dal solito Zizzola un riferimento all'Osservatore romano (Levi): in sostanza, no al ricatto. Con ciò la Santa Sede, espressa da questo signor Levi, e modificando precedenti posizioni, smentisce tutta la sua tradizione umanitaria e condanna oggi me; domani saranno i bambini a cadere vittime per non consentire il ricatto. E’ una cosa orribile, indegna della Santa Sede. L'espulsione dallo Stato è praticata in tanti casi, anche in Unione Sovietica: non si vede perché qui dovrebbe essere sostituita dalla strage di Stato. Non so se Poletti può rettificare questa enormità, in contraddizione con altri modi di comportarsi della Santa Sede. Con questa tesi si avalla il peggiore rigore comunista e al servizio dell'unicità del comunismo". Poi continua con la famosa frase, che poi si è rivelata una profezia amara in cui Moro dice: "Il mio sangue ricadrà sui democristiani. La Democrazia cristiana finirà dopo la mia morte".

Ebbene onorevole Forlani, in questa lettera l'onorevole Moro dice che in pratica il problema era di mandare qualcuno all'estero e che questo comportamento che veniva usato anche allora dall'Unione Sovietica e che era nella storia umanitaria della chiesa non si capisce perché non dovesse essere adottato per il suo caso e addirittura che questo era il simbolo del peggiore rigore comunista e al servizio dell'unicità del comunismo. Moro, anche in un'altra lettera, quando parla di scambio di prigionieri, non dice che qualcuno doveva essere liberato in cambio della sua vita, ma dice che qualcuno doveva essere mandato all'estero senza mai entrare in prigione. Evidentemente c'era una trattativa non per scambiare brigatisti detenuti con la vita di Moro, ma per consentire a qualcuno dei brigatisti di andare all'estero per liberare Moro. Questo è un buco nero nella vicenda Moro cui nessuno ha potuto mai rispondere. Lei, che è stato uno dei massimi esponenti della Democrazia cristiana e che ha seguito questa vicenda da vicino, mi può dire perché Moro in questa lettera - come in un'altra - non parla di scambio di prigionieri detenuti con la sua vita, ma di mandare qualcuno all'estero? Chi doveva essere questo esponente che doveva andare all'estero in cambio del salvataggio della vita di Moro?

FORLANI. Non lo so. L'interpretazione che allora veniva data è che si facesse riferimento ad una liberazione di detenuti.

FRAGALA’. Invece sia questa che la precedente lettera parlano di una persona che doveva essere mandata all'estero.

FORLANI. La cosa non mi pare così chiara.

PRESIDENTE. Il problema è linguistico. Moro non dice che qualcuno, anziché restare in galera deve andare all'estero; Moro dice che qualcuno, anziché andare in galera, vada all'estero, come se parlasse di qualcuno che in galera ancora non ci stava.

FRAGALA’. Lo dice chiaramente: "L'espulsione dallo Stato è praticata in tanti casi, anche nell'Unione sovietica. Non si vede perché qui dovrebbe essere sostituita dalla strage di Stato". Lui dice che la sua ucciione sarà una strage di Stato voluta per ubbidire al peggior rigore comunista e al servizio dell'unicità del comunismo. Questo lo dice chiararnente in questa lettera.

FORLANI. Non credo che sia molto chiaro.

FRAGALA’. L'espulsione dallo Stato cosa significa?

FORLANI. Le lettere dì Moro bisogna leggerle tutte e non c'è dubbio che sono state scritte in quel particolare stato. L'obiettivo era certamente anche quello di farci capire delle cose che probabilmente non abbiamo capito e comunque di dialettizzare il rapporto in modo tale da consentire il maggior tempo possibile a disposizione per arrivare ad un risultato. Che tutti i passaggi delle lettere siano così chiari e interpretabili con sicurezza mi pare difficile poterlo dire.

FRAGALA’. E’ un'ipotesi che desidero confrontare con lei.

PRESIDENTE. Ma cosa ci può dire di questa trattativa del Vaticano? Ora un biografo di Paolo VI ha addirittura individuato l'alto prelato che portava avanti la trattativa, un certo don Curioni che era il capo dei cappellani delle carceri. Voi in sede politica avete mai percepito che ci fosse un canale tra la famiglia di Moro, il Vaticano e le Brigate rosse? Lei avrà letto dalla proposta di relazione che in questo senso io sottolineo il significato del fatto che don Mennini ha rifiutato di venire in Commissione.

FORLANI. Che ci fosse un pluralismo di iniziative, di interventi, dì interessamenti è sicuro così come è altrettanto sicuro che da parte di chi doveva seguire responsabilmente le indagini ci fosse anche la raccomandazione di non interferire, per non peggiorare le cose e creare ulteriore confusione.

PRESIDENTE. Questo è importante: chi indagava, pur nella linea della fermezza, aveva l’input di non impedire una trattativa che potesse non riguardare direttamente lo Stato. Ad esempio l'idea di pedinare don Mennini non veniva attuata perché poteva ostacolare una trattativa diversa?

FORLANI. Non lo so, questo dovete chiederlo a chi aveva la responsabilità delle indagini. La sensazione che ho tratto in quelle giornate è che in realtà nessuna iniziativa che avesse un qualche fondamento o una qualche credibilità veniva impedita. Questo è vero sia nei confronti della famiglia, sia nei confronti del Vaticano o di altri.

PRESIDENTE. Questa è la valutazione che dà la relazione di maggioranza della Commissione Moro; il partito della fermezza, che però in realtà resta fermo, non pensa tanto all’azione militare per liberare Moro anche per non impedire che si potessero completare diverse vie di trattativa. Questa è la valutazione di fondo della relazione di maggioranza.

FORLANI. La seconda parte la condivido pienamente, cioè che si arrivasse al risultato in qualche maniera. Però non penso che siano rimasti fermi quelli che dovevano agire ed avevano la responsabilità delle indagini.

FRAGALA’. Voi non vi siete posti il problema che Moretti, o comunque il gruppo di comando durante il sequestro Moro, facesse parte di una struttura eversiva europea, fosse collegato con l'IRA, fosse addestrato in Cecoslovacchia, avesse collegamenti con i gruppi eversivi tedeschi, cioè che vi fosse un collegamento di tipo internazionale, europeo o addirittura mondiale rispetto a questi personaggi che in Italia hanno gestito il sequestro e l'uccisione di Moro? Lei è stato il Ministro degli esteri per tanto tempo...

FORLANI. Anche in quel periodo.

FRAGALA’. Avete attivato questo tipo di canali?

FORLANI. Tutti e in tutte le direzioni.

FRAGALA’. E quale è stato il risultato?

FORLANI. Non abbiamo rilevato elementi comprensibili di collegamento tra questa azione e altre realtà.

PRESIDENTE. Se dovessimo dare valore oracolare - mi parrebbe esagerato - al libro di Franceschini, che pure è stimolante e intelligente, il riferimento abbastanza scoperto che Franceschini fa nel suo libro è all'Hyperion, che poi era la vecchia idea dell'onorevole Craxi. Per la verità; anche questa non sarebbe una novità, a parte alcuni enigmi linguistici su cui gli enigmisti si sono esercitati, cioè che vi sia un collegamento con la struttura dell'Hyperion. Non è emerso niente al riguardo?

FORLANI. So che tutti i canali e tutti i collegamenti dei quali si poteva disporre in sede internazionale sono stati sperimentati ed utilizzati.

FRAGALA’. Quindi, per esempio, non avete analizzato eventuali collegamenti di questo gruppo di comando delle Br, che lei e il senatore Pellegrino avete chiamato "Moretti più qualche cosa", se per caso significava "Moretti più il Kgb"? Non avete avuto nessuna notizia?

PRESIDENTE. Mi sembrerebbe collegato più alla Cia, per la verità, piuttosto che al Kgb. La mia domanda è un'altra: nella sua responsabilità di Ministro degli esteri, avete mai avuto l'impressione che ci potesse essere un partito trasversale della guerra fredda contro la distensione, cioè che da parte dei due opposti imperi ci potesse essere qualche intesa per evitare la distensione?

FORLANI. A livello di congetture, di ipotesi e di fantasia tutte queste cose sono state considerate e valutate. E’ stata prevalente la convinzione conclusiva che la questione fosse incentrata e delimitata al caso italiano delle Brigate rosse.

FRAGALA’. Non avete mai fatto l'ipotesi concreta che il "Tex Willer" di via Fani del 16 marzo 1978 fosse un tiratore scelto del Kgb?

FORLANI. Successivamente, certo, ho sentito anche ipotesi come questa.

FRAGALA’. E che questa persona non conoscesse gli altri brigatisti?

FORLANI. Questo non lo so. Il fatto della divisa non è di per sé un elemento decisivo. Anche tra gente che si conosce in azioni del genere, per non sbagliare si possono avere accorgimenti dì questo tipo ...

FRAGALA’. Però andare a compiere un'azione terroristica in divisa è pericolosissimo, perché ci sì rende riconoscibili anche per le forze dell'ordine. Quindi avete fatto o no l'ipotesi che nel gruppo di fuoco delle Br ci fosse il killer professionista?

FORLANI. Non militante delle Brigate rosse?

FRAGALA’. Esatto.

FORLANI. L'ipotesi fu fatta.

PRESIDENTE. Fu fatta e immediatamente si pensò a Giustino De Vuono, per la verità, un uomo della Legione straniera, ma fu solo una traccia.

FRAGALA’. Passiamo ad un altro argomento. Onorevole Forlani, il senatore Andreotti nella scorsa audizione ci ha detto che l'operazione dì spaccatura del Movimento sociale italiano del 1976 e la creazione del gruppo di Democrazia nazionale fu un'operazione voluta e realizzata dall'onorevole Amintore Fanfani; addirittura mi sembra che il senatore Andreotti abbia detto che fu fatta contro di lui. Lei, che allora era considerato uno dei capi, l'esponente di spicco della corrente fanfaniana, cosa può dire su questa operazione dì spaccatura della destra e della creazione del gruppo di Democrazia nazionale?

FORLANI. Non ne so niente. Fanfani mi ha talvolta parlato anche di cose riservate, ma non mi ha mai informato su questi fatti.

FRAGALA’. Andreotti ha detto che c'è stato anche l'aiuto di Zaccagnini. Quindi lei non ha mai saputo nulla di uno dei fatti politici più eclatanti degli anni Settanta, come la spaccatura in due di un partito, operata dal suo maestro politico?

FORLANI. Se così fosse, certo sarebbe singolare.

FRAGALA’. Lo ha detto Andreotti, Mi pare strano che abbia detto una bugia, perché non ne avrebbe avuto motivo. Mi pare strano che lei non lo sappia.

FORLANI. Andreotti avrà fatto riferimento a qualche voce corrente.

FRAGALA’. No, anzi ha detto che avrebbe voluto non parlare dì queste cose. Poi il Presidente gli ha chiesto di farlo. Tra l'altro, Andreotti era Presidente del Consiglio dell'epoca e quindi non poteva non rendersi conto di chi avesse organizzato la spaccatura di un partito politico dall'oggi al domani.

FORLANI. I partiti si spaccano anche quando non c'è un organizzatore esterno.

FRAGALA’. Ma in quel caso si spaccò senza motivo; quando invece non c'è l'organizzatore esterno, c'è un motivo grave.

FORLANI. Siamo i testimoni viventi che i partiti possono dividersi.

PRESIDENTE. La componente che ne uscì era la ex componente monarchica, se non sbaglio.

FRAGALA’. No.

FORLANI. Quando avvenne esattamente?

FRAGALA’. Nel 1976 uscì la componente capitanata addirittura dal segretario generale della Cisnal, l'onorevole Roberti, dal capogruppo alla Camera dei deputati, onorevole De Marzio, e da una serie di deputati e senatori tra i più in vista e i più conosciuti. Invece al Movimento sociale rimasero la componente dell'onorevole Almirante e quella dell'onorevole Romualdi. Quindi si trattò di una spaccatura verticale del partito, di un fatto politico eclatante e infatti l'onorevole Andreotti ovviamente, da Presidente del Consiglio dell'epoca, ne ha riferito i motivi. Ci ha anche detto che questa operazione fu utilizzata da Fanfani perché si temeva che dopo la dichiarazione del Partito comunista che non avrebbe più votato per il Governo, si voleva creare un Gruppo parlamentare succedaneo per dare il voto al Governo.

FORLANI. A sostegno del Governo presieduto da Andreotti?

FRAGALA’. Sì, esatto.

FORLANI. Quanto sarebbe stato solidale Fanfani nei confronti di Andreotti!

FRAGALA’. Ma infatti Andreotti ha detto che fui fatto contro di lui.

FORLANI. Ma come, se era stato fatto per sostenerlo! Dovete compiere un approfondimento con lui.

PRESIDENTE. La spiegazione che lui ne dava è che aveva assunto un impegno in base al quale, nel caso in cui la non sfiducia del Partito comunista fosse finita, avrebbe dovuto rimettere il mandato e che quindi si faceva questo per costringerlo invece a continuare quell’esperienza dì Governo. Vado a memoria, ma mi sembra che più o meno sia stata questa la sua ricostruzione.

FRAGALA’. Sì, ha detto questo. Quindi, lei non ne sa nulla?

PRESIDENTE. Però questo non mi sembra decisivo rispetto all'oggetto dell'inchiesta.

FRAGALA’. E’ decisivo per la ricostruzione del motivo per cui vi è stata una strategia della tensione rivolta contro la destra; vi è stato il capovolgimento della politica di Andreottì nel 1972, il licenziamento di Maletti nel 1976, la spaccatura del Movimento sociale, il Governo di unità nazionale e il sequestro e l'uccisione di Moro. Anche questo episodio politico va inserito nell'ambito di questo quadro generale. Un'ultima domanda, onorevole Forlani. Sulle stragi di Ustica e di Bologna, abbiamo acquisito una serie di elementi come il famoso verbale rimasto sepolto per quindici anni del Cis, del 5 agosto 1980. All'interno del Comitato dì sicurezza della Presidenza del Consiglio, tra il Presidente del Consiglio e i ministri e una serie di capi di polizia, di generali e di esponenti dei Servizi, si disse che Ustica era stato un avvertimento del terrorismo libico e Bologna era stata la vendetta perché avevamo finto dì non capire l'avvertimento del 27 giugno 1980. Poi c'è tutta una serie di elementi anche giudiziari, come la testimonianza del ministro, Baume, allora ministro dell'interno dei Governo Schmidt socialdemocratico, che riferì all'onorevole Bisaglia che la mano, il movente e gli esecutori delle stragi di Ustica e di Bologna erano proprio i libici. Rispetto a queste due tremende stragi lei ricorderà che nel 1992 l'allora Presidente della Repubblica Cossiga chiese scusa alla destra per avere anche lui pensato per tanti anni, sul depistaggio dei Servizi, che la strage di Bologna fosse stata di destra. Lei è stato Presidente del Consiglio dal 18 ottobre 1980 al 28 giugno 1981 e poi uno dei massimi esponenti della Dc. Su questa vicenda anche il sottosegretario Zamberletti ha scritto un libro intitolato "La minaccia e la vendetta" sulla connessione di queste due stragi e sull'unico movente e gli unici esecutori, tutti attribuibili al terrorismo internazionale libico. Cosa può dirci in proposito?

FORLANI. Niente.

FRAGALA’. Non ha saputo mai nulla?

FORLANI. Per gli argomenti portati e le informazioni date, ho sempre ritenuto che anche queste fossero ipotesi non certificate, non convalidate.

FRAGALA’. Lei è stato nominato Presidente del Consiglio nell'ottobre del 1980. Il 5 agosto 1980 un comitato di sicurezza decide di segretare il verbale di una riunione, verbale che rimane segreto per quindici anni e che il giudice Priore ha scoperto per caso nel corso di una perquisizione un anno e mezzo fa. Lei è diventato Presidente del Consiglio pochi mesi dopo queste due gravissime stragi e non ha saputo nulla dì quella riunione, di quel verbale, di quelle che lei chiama ipotesi?

FORLANI. So soltanto che c'era una direttiva precisa da parte del Presidente del Consiglio e del Governo perché non solo non si frapponessero ostacoli di alcun genere alle indagini, ma in cui si diceva che non ci si sarebbe mai avvalsi del segreto per alcuna ragione, perché il nostro interesse era quello di arrivare ad accertare la verità.

PRESIDENTE. Ad un giudicato si è arrivati, Fragalà non ne è convinto, ma è così.

FRAGALA’. C'è l'istituto processuale della revisione, proprio perché i giudicati possono essere rivisti. Non è uno scandalo.

PRESIDENTE. Non dobbiamo essere prigionieri dei giudicati, ma non possiamo neppure far finta che non esistano.

FRAGALA’. Io voglio solo sapere come sia possibile che rispetto a questo verbale...

FORLANI. Quale verbale?

FRAGALA’. Il verbale del Ciis del 5 agosto 1980, cioè di una data di qualche mese anteriore alla sua nomina a Presidente del Consiglio. In quella riunione si decise che sulla pista libica - lo dice Bisaglia - per le stragi di Bologna e Ustica non bisognava dire nulla ai magistrati. Ora lei sta dicendo che avevate deciso il contrario. Dai verbali segreti emerge la verità, dalle audizioni pubbliche emerge un'altra verità.

FORLANI. Sono diventato Presidente del Consiglio nell'ottobre del 1980 e da quel periodo in poi non ho avuto notizia di tale verbale.

PRESIDENTE. Ringraziamo l'onorevole Forlani e consideriamo conclusa la stia audìzione.

 

SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE

PRESIDENTE. Vorrei comunicare ai colleghi che il presidente Cossiga e il senatore Taviani si sono dichiarati disponibili per essere ascoltati all'inizio del mese di luglio. La prossima settimana vorrei convocare una riunione della Commissione, che mi auguro maggiormente frequentata rispetto a quella di oggi., per fare il punto stillo stato dei lavori e sulla eventuale prosecuzione delle inchieste o sul passaggio alla fase di discussione sulla relazione. Io ho un limite temporale che mi viene dalla legge e un limite personale che mi viene dal mandato a me concesso dai presidenti di Camera e Senato. Ricevo ogni giorno interessanti richieste di atti di inchiesta e di audizioni. Per procedere in tale senso occorrerebbe più tempo rispetto al termine di fine ottobre. Per prendere questa strada ho bisogno di un voto della Commissione, anche per un fatto di mia responsabilità verso i presidenti di Senato e Camera. Diversamente, verrei meno ad un dovere istituzionale. Con un voto la Commissione può raggiungere un'intesa nel senso di non concludere entro ottobre. A fronte di tale voto, non potrei che prendere atto della situazione e valutare poi se continuare o meno nell'espletamento del mandato, dopo aver sentito i presidenti del Senato e della Camera. Però - ripeto - ho bisogno di un voto della Commissione altrimenti verrei meno alle condizioni politiche dell'incarico che mi è stato affidato. Si tratta anche di un rapporto di correttezza nei confronti di tutte le forze politiche che so essere d'accordo sulla mia conferma, ma in una logica di chiusura. Se tale logica vuole essere abbandonata dalla Commissione, è necessario un voto; dopo di che rimetterò il mandato ai Presidenti dei due rami del Parlamento; se vorranno confermarlo lo faranno, ma adesso ho questa necessità.

Non facendosi osservazioni, così resta stabilito.

La seduta termina alle ore 22,50.

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