Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

23ª SEDUTA

MERCOLEDI’ 25 GIUGNO 1997

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

Indice degli interventi

PRESIDENTE
DELFINO
CALVI (Sin.dem.-l'Ulivo), senatore
CORSINI (Sin.Dem.-l'Ulivo), deputato
DE LUCA Athos (Verdi-l'Ulivo), senatore
FRAGALA' (AN), deputato
GUALTIERI (Sin.dem.-l'Ulivo), senatore
MANTICA (AN), senatore

La seduta ha inizio alle ore 20,45.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito il senatore Palombo a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

PALOMBO, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del 18 giugno 1997.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione, che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.

 

INCHIESTA SU STRAGI E DEPISTAGGI: AUDIZIONE DEI GENERALE FRANCESCO DELFINO

PRESIDENTE. Come i colleghi ricorderanno, perché ne abbiamo parlato recentemente nell'audizione del giudice Arcai, sia dal generale Delfino che dal giudice Arcai ho ricevuto due lettere. Quella del giudice Arcai era una lettera in cui si rilevavano, in ordine alla proposta di relazione che voi conoscete, sia alcune inesattezze sia una leggerezza di giudizio proprio in ordine all'attività che nella vicenda di Brescia ebbe l'allora capitano Delfino, oggi generale. Il generale Delfino invece, in data 4 maggio 1996, mi indirizzò una lettera, inviata per conoscenza al Presidente del Senato e al Presidente della Camera, estremamente dura, direi offensiva, non propria del rapporto che un alto ufficiale dell'Arma dovrebbe avere con un organismo parlamentare. Ho riletto più volte questa lettera e mi sono però reso conto che il suo tono dipende probabilmente da un equivoco di fondo e cioè dal fatto che il generale ha ritenuto che quella proposta di relazione fosse un mio documento privato, arbitrariamente reso pubblico e come tale utilizzato poi da parti imputate nel processo in cui il generale Delfino risulta essere parte lesa. Questo mi onera nei confronti del generale Delfino di una spiegazione preliminare.

Signor generale, il Parlamento è un organo complesso che ha molte funzioni, ma nel modo e nei procedimenti mediante i quali svolge queste funzioni esso è sempre, in un certo senso, influenzato dalla sua funzione principale: fare le leggi. Voglio dire che una Commissione d'inchiesta come questa agisce con i poteri della magistratura e secondo una logica che sostanzialmente somiglia molto a quella giudiziaria: compie atti istruttori; acquisisce documenti; fa audizioni; potrebbe anche effettuare sequestri, ispezioni e così via ed alla fine deve giungere a delle conclusioni. La logica di tali conclusioni tuttavia non è la logica tipica del giudizio: non ci riuniamo un giorno in camera di consiglio per discutere tra noi ed emettere infine una sentenza che magari in seguito dobbiamo motivare. Il procedimento di formazione dell'atto finale segue invece lo schema tipico dell'attività legislativa. Nella scorsa legislatura l'Ufficio di Presidenza di questa Commissione decise di provare a redigere e giungere all'approvazione di una relazione conclusiva che riguardasse l'intero periodo 1969-1984. L'Ufficio di Presidenza nominò uno staff di consulenti e diede incarico al Presidente di redigere una proposta di relazione.

Questa proposta di relazione è, rispetto alla relazione finale, quello che un disegno di legge è rispetto alla legge definitiva: un atto sì ufficiale che però, impegna soltanto il proponente. Non è una legge, ma un atto del Parlamento. Io adempii a quest'incarico e, poiché crediamo in una democrazia aperta, una delle prime cose che feci fu sottoporre questa proposta di relazione, in un incontro pubblico che fu verbalizzato, a tutte le associazioni dei familiari delle vittime delle stragi. Quella fu l'occasione in cui quel documento, non privato, non riservato, ma un documento parlamentare, entrò in quel circuito di conoscenza da cui poi derivarono quegli esiti di cui lei, generale, si è lamentato.

Della natura di quella proposta di relazione abbiamo avuto conferma in questa legislatura perché il Presidente del Senato e il Presidente della Camera mi hanno nuovamente nominato Presidente di quest'organismo parlamentare, ipotizzando che quella proposta di relazione potesse essere una base per il lavoro conclusivo della Commissione.

Voglio formulare l'auspicio che il generale Delfino, date queste sue precisazioni, ribadisca, ovviamente, il suo diritto di dissentire dalle conclusioni cui quella proposta di relazione giungeva, ma riconosca anche che il tono del dissenso, soprattutto per un alto ufficiale dell'Arma come lui è, non è quello più opportuno, per come si è evidenziato in quella lettera. Si può dissentire fermamente, asserire che il giudizio è sbagliato, che una serie di documenti avrebbe dovuto essere valorizzata, il tono del rapporto però non può non essere diverso.

Discuteremo poi, comunque, dei punti di dissenso che il generale ha manifestato nella lettera. Il nostro compito però è quello di cercare di fare luce e chiarezza, vorrei perciò che innanzitutto il generale Delfino ci precisasse il senso - proprio per consentirci di acquisire conoscenze ulteriori - della parte finale di quella sua lettera. Nella stessa il generale ci segnala un fatto che indubbiamente non rientrava nella mia conoscenza e non so se era rilevabile dall'enorme mole di acquisizioni documentali che la Commissione ha, ossia che il giudice Arcai, nei giorni 20-22 ottobre 1974, senza dare avviso a nessuno e senza essere accompagnato da un cancelliere, si reca a Roma e ha incontri col Ministro della difesa, una conversazione di un'ora e mezzo, con il Ministro dell'interno, conversazione di un'ora e tre quarti, con il generale Maletti del Sid, conversazione di due ore, e con l'ammiraglio Casardi, capo del Sid, conversazione di un'ora. Il generale trae la conclusione che, essendo già arrivato al vertice il dottor Arcai, non vi era stato quell'impedimento cui faccio riferimento nella proposta di relazione ad uno svolgimento da parte del dottor Arcai dell'indagine sul Mar di Fumagalli. Il generale poi aggiunge una frase che è all'origine della mia domanda: "Se vero è, secondo la tesi degli autori del libro Strage a Brescia, Potere a Roma, che il golpe del Fumagalli e dei suoi associati era bianco, se ne deve dedurre che il potere era da identificarsi in eminenti politici ormai da decenni al potere e se non sia quindi giunto il tempo che questi segreti della prima Repubblica, conservati per lungo tempo, siano oggetto di approfondita indagine". Ora questa è una frase che, se venisse da un privato cittadino, costituirebbe soltanto un'ipotesi, un'ipotesi che è stata avanzata da più parti. Però, generale, viene da lei, cioè da un uomo che negli ultimi dieci anni è stato impegnato sempre in prima linea contro l'eversione di Sinistra e di Destra, contro la criminalità organizzata nazionale e internazionale, da un uomo che ha il suo curriculum e che è giunto dove è giunto. Quindi non posso non dare enorme importanza a questa sua frase, al fatto cioè che lei ritenga verosimile che dietro Fumagalli ci fosse il potere politico dell'epoca, un potere politico in sella da decenni. Sulla base di quali dati, allora, di quali esperienze, lei ritiene che sia giunto il tempo che i segreti della prima Repubblica, conservati per lungo tempo, siano oggetto di approfondita indagine? Nella sua attività che cosa le ha fatto percepire la natura di questo segreto? Il dottor Arcai - che noi abbiamo sentito - ci ha detto chiaramente che dietro Fumagalli c'era una parte del ceto politico di centro; ha fatto i nomi di Taviani, di Pacciardi, di Sogno sostenendo che, in realtà, Adamo Degli Occhi, gli uomini della maggioranza silenziosa, erano un secondo livello, non molto importante, ma che dietro c'era un terzo livello con responsabilità politiche e istituzionali. Ci ha fatto il nome del generale Palumbo. Ci ha detto che nell'epoca in cui Fumagalli era processato a Lucca, era latitante, incontrava i vertici dell'Arma di Milano, era amico del commissario Calabresi, frequentava la questura e era ritenuto un latitante d'oro.

La frase che ho citato è stata quel che mi ha colpito di più della sua lettera, perché su quello che già sappiamo possiamo discutere, quel che ci interessa però è quello che non sappiamo e che vorremmo sapere. Venendo da un uomo che ha il carico e il merito delle sue esperienze, il segnale che lei ha lanciato alla Commissione che cosa vuol dire? Ce lo può esplicitare? C'era veramente una strategia della tensione dietro alla quale si trovava il potere politico dell'epoca e, quindi, i vertici istituzionali che sembrano in qualche modo coinvolti in questa strategia della tensione agivano perché coperti a livello politico? Noi dovremmo sentire tra poco anche il senatore a vita Taviani, le risposte che lei ci darà, pertanto, sono molto importanti. Lascio a lei decidere se prendere la parola in seduta pubblica o se proseguire invece in seduta segreta.

DELFINO. Le chiedo cortesemente di consentirmi di secretare alcuni aspetti.

PRESIDENTE. Prego, generale.

DELFINO. Anzitutto, signor Presidente, la ringrazio per avermi convocato, così come ringrazio l'onorevole Corsini, che conosco, già sindaco di Brescia, per la possibilità che mi viene offerta di parlare di fronte a questo alto consesso, che, contrariamente a quanto lei dice, Presidente, stimo moltissimo. La lettera a lei inviata scaturisce dalla "rabbia" di non essere stato convocato e per non aver potuto dare il contributo di quelle mie idee basate su esperienze di anni, particolarmente nel settore specifico del terrorismo, che avrebbero potuto e possono consentire di raggiungere quella verità che in molti vogliamo. Il suo documento - desidero specificarlo - l'ho considerato un atto privato. Non mi sarei mai permesso di attaccare un membro del Parlamento, del Senato. Quando però vengo informato dal mio avvocato, che faceva parte di questa Commissione, che quel documento era stato utilizzato da qualcuno, che io ho citato in giudizio, quale elemento di prova contro di me e che quel documento, a quanto mi diceva il mio avvocato, non era mai stato discusso né approvato, ho reagito perché intendo reagire tutte le volte che vengo toccato come ufficiale dei Carabinieri.

Abbiamo dato un contributo di sangue notevole a difesa delle istituzioni di questo paese. Io faccio parte di quel gruppo che si è battuto per la difesa delle leggi e per uno Stato democratico. I fatti che lei mi propone come prima domanda gradirei, se lei mi consente, esplicitarli nel corso della deposizione.

Intendo anzitutto - con il suo permesso, Presidente - tracciare brevemente la mia vita militare perché anche questa è stata oggetto di notizie false, in quanto tutto andava inquadrato nella mia attività di ufficiale dei Carabinieri ma fu falsamente per anni attribuito alla mia qualità di appartenente ad altri organismi.

Sono nato a Platì, in provincia di Reggio Calabria, il 27 settembre 1936; sono figlio di un maresciallo dell'Arma (di cui Corrado Alvaro in un suo scritto parla); iscritto all'Università di Messina alla facoltà di giurisprudenza; sono andato a fare l'allievo sottufficiale dei carabinieri nel 1957. Poi sono stato a Firenze da dove, uscito come vicebrigadiere, sono andata a Rho, provincia di Milano. Entrato in Accademia nel 1961 ed uscito da Modena nel 1963. Sono stato due anni alla Scuola Ufficiali di Roma e poi sono stato destinato a comandare la tenenza di Verola Nuova nel bresciano per un anno. Dopo tre anni a Luino sono stato destinato in Sardegna in epoca di banditismo, prima alla compagnia di Sorgono poi al Nucleo Investigativo di Nuoro. Nell'ottobre del 1972 fui destinato a Brescia fino al 1977, e successivamente al Nucleo investigativo di Milano fino al giugno 1978 quando, in brevissimo tempo, perché condannato a morte dalle Brigate rosse, sono stato costretto ad espatriare e vivere per dieci anni all'estero, occupato in attività di intelligence internazionale. Sono laureato in giurisprudenza...

PRESIDENTE. Mi chiarisca se le attività di íntelligence le ha svolte sempre nell'Arma o meno, e in che anni.

DELFINO. Nei Servizi, dal 1978 al 1987. Sono stato in Turchia, Brasile, Belgio, New York e, in ultimo, tre anni al Cairo. Sono rientrato e dopo pochi mesi a Roma, sono stato destinato a Palermo; da qui alla legione di Alessandria. Da generale di brigata ho comandato la Regione Piemonte-Val d'Aosta. Da Torino sono stato destinato a comandare il secondo servizio della Direzione del Servizio centrale antidroga, quindi al centro Alti Studi per la Difesa, poi, per pochi mesi, sono stato vice ispettore delle Scuole e dal 14 settembre 1996 sono ispettore delle Scuole dell'Arma dei Carabinieri. Sono decorato di due medaglie d'argento al valore civile: una per il Mar di Fumagalli e l'altra per la cattura di Semeria e di altri componenti del nucleo storico delle Brigate rosse. Sono stato promosso per meriti eccezionali, unico caso nella storia dell'Arma del dopoguerra, per dieci anni di attività investigativa in Sardegna e in altre località della Lombardia. Ho ricevuto diciannove encomi solenni, sei citazioni sul fogli d'ordine, un compiacimento a livello di Ministro e Comandante generale per la cattura di Riina. Ho diverse decorazioni, tra le quali due estere: chevalíer de la couronne belga e quella della Repubblica araba d'Egitto del V grado.

Ho detto questo anche per fugare subito qualsiasi ritorno di attacco al capitano Delfino che, all'epoca dei fatti che sono in narrativa, avrebbe fatto parte di questi famosi Servizi deviati che ho conosciuto non per mia volontà ma perché inviato all'estero a seguito di quanto ho detto. Dunque entro a far parte di una intelligence a partire dal 1978. I fatti in narrativa non hanno nulla a che vedere con quelli oggetto di questa indagine. Ho lasciato la Sardegna e, giunto a Brescia per la prima volta, incomincio ad interessarmi di attività eversiva, che non avevo mai trattato prima, quando vengo inviato, a seguito dei risultati che avevo ottenuto in Sardegna, in Valtellina per una serie di attentati ai treni tra l'agosto e l'ottobre del 1972. Il mio primo contatto con l'eversione fu in quella occasione quando riuscii ad identificare i due fratelli responsabili del furto dell'esplosivo.

PRESIDENTE. Chi erano i due fratelli?

DELFINO. Erano i fratelli Romeri che poi compariranno nelle indagini sul Mar Fumagalli. Nel 1973 vi era un notevole fermento nel bresciano che risentiva un po' di Salò e di Verona senza comunque manifestazioni eclatanti fino a quando una serie di attentati, con firme di colori variopinti, incominciano a destare una certa preoccupazione anche perché ci furono notizie, a livello di responsabili (il sindaco di Salò, che mi pare fosse l'onorevole Frao, il segretario del Movimento sociale italiano di Brescia e altri personaggi) che lamentavano che vi era in atto una complessa attività paramilitare di addestramento con le armi in zone non precisate del bresciano. Sulla base di queste vaghe indicazioni avvio con pochi uomini (al nucleo investigativo di Brescia erano quattordici uomini) un'attività di ricerca, senza giungere ad alcun risultato positivo. Il 23 novembre 1973 si presenta spontaneamente a me tale Maifredi, mai conosciuto prima, il quale mi chiede se effettivamente ero alla ricerca di traffici di armi o di campi paramilitari. Egli inizia a collaborare, o meglio verbalizzare pagine relative ad un'attività paramilitare, con addestramento alle armi, della quale lui si denunciava essere l'istruttore. Fu un lungo verbale che, notte durante, portai immediatamente a casa del procuratore della Repubblica di Brescia. Da lì iniziano le indagini.

PRESIDENTE. Chi era, il procuratore capo?

DELFINO. Proprio il procuratore capo, non c’era nessuno. Il primo ad essere incaricato di seguire la vicenda era stato il dottor Zappa. Con una operazione della quale sono orgoglioso per i miei uomini, concludiamo l'arresto di Kim Borromeo e del suo compagno, che trasportavano l'esplosivo in Valtellina per uno scambio di armi.

PRESIDENTE. Ci spieghi bene questa operazione. Come lei sa, in ordine al modo e al luogo della conclusione dell'operazione c'è un'ampia polemica.

DELFINO. Su questo fatto?

PRESIDENTE. Le spiego. L'ipotesi che viene fatta, e che ci è stata ripetuta recentemente, è che in realtà tutta l'organizzazione del Mar fosse nota negli ambienti dell'Arma, in particolare negli ambienti milanesi, già dagli anni '70, che fosse stata sempre monitorata e seguita e poi, attraverso l'infiltrazione di Maifredi, venne seguito quel percorso di armi che si ferma nel bresciano perché si voleva spostare la competenza giudiziaria da Milano a Brescia. A Milano infatti non sarebbe stata tollerata "ambientalmente" una vicenda giudiziaria che coinvolgesse Fumagalli, visto che questi era il latitante d'oro e aveva i rapporti di cui accennavo prima con il generale Palumbo e con il commissario Calabresi. Questa è stata la versione di recente ribadita alla Commissione nell'audizione del dottor Arcai. Sarebbe interessante conoscere questa iniziativa che, indubbiamente, ebbe successo. Ma perché ebbe successo in quel momento e in quel luogo? Questo è il punto.

DELFINO. Se il dottor Arcai ha detto questo mi pare che lavori molto di fantasia.

PRESIDENTE. E’ una tesi, come lei sa, non solo del dottor Arcai. E’ una tesi ampiamente riportata anche nella pubblicistica che si è occupata della questione.

DELFINO. Per quanto mi riguarda, io riferisco fatti che ho vissuto, per i quali non ho avuto tentativi di condizionamento di sorta. L'operazione nasce con l'arrivo di Maifredi nel mio ufficio, mai conosciuto. Il problema da sollevare forse è il seguente, e qualche altro magistrato recentemente me lo ha chiesto: chi l'ha mandato?

PRESIDENTE. Questa è una domanda che le farò dopo.

DELFINO. Non sono in grado di dire chi l'ha mandato. Fatto sta che si è presentato e ha reso quel verbale. Noi concludiamo l'operazione il 9 marzo 1974. Quindi - ripeto - non ho avuto alcun tentativo di condizionamenti durante la mia attività, né allora né successivamente.

PRESIDENTE. Non vorrei interromperla ma è un punto rilevante. Le leggo uno stralcio dell'audizione di Arcai: "Questo è il punto! Infatti i carabinieri sapevano che l'esplosivo era a Milano, anzi credo che prima o poi salterà fuori anche questo dato. Infatti, Clara Tonoli durante il processo ne ha fatto cenno e ne ha parlato anche Orlando nelle dichiarazioni rese al giudice Grassi e al capitano Giraudo. Ora, quell'esplosivo veniva da Rovereto, era stato conservato una notte a Brescia, per poi essere trasportato a Milano, poi da qui fatto riportare nel bresciano. In tal senso, la mia considerazione era la seguente: se questo esplosivo doveva essere consegnato al comunista - perché il concetto dei servizi segreti era "picchia subito a sinistra" - perché sono passati dalla Val Camonica e non attraverso Lecco, che è la via più diretta che da Milano porta in Valtellina? Delfino aveva imposto che l'operazione dovesse farsi passando dal bresciano, perché a Brescia bisognava catturarlo. Ma automaticamente (...) la competenza a giudicare su una quantità tale di esplosivo era a Milano. Voi carabinieri sapevate che l'esplosivo era a Milano; lo avete mandato da Rovereto (...) a mezzo di Gianni Maifredi; ha pernottato a Brescia e poi il giorno dopo è stato portato a Milano per essere riportato nel bresciano".

In altre parole, il dottor Arcai dice che è stato fatto tutto a regia, non l'operazione in sé ma piuttosto lo svolgimento per far concludere l'operazione con la cattura nel bresciano, in modo da radicare a Brescia la competenza delle indagini e sottrarla quindi alla magistratura di Milano. Poiché questa operazione si è svolta tramite Maifredi, che lei aveva opportunamente infiltrato nel Mar di Fumagalli, vorrei che ci descrivesse meglio il percorso dell'esplosivo, quella specie di gita turistica. Perché si segue quel percorso e perché si interrompe in Val Camonica?

DELFINO. Innanzitutto, se mi consente Presidente, le farei una domanda. Queste notizie il dottor Arcai le ha avute in veste di giudice istruttore o da privato? Quando le ha avute? L'inchiesta l'ha portata avanti lui?

PRESIDENTE. Ce le ha riferite come fatti risultati dal tipo di inchiesta condotta.

DELFINO. Sarebbe interessante sapere se il dottor Arcai...

PRESIDENTE. Insomma, perché lo catturate in Val Camonica? Vi telefona Maifredi che vi dice che stavano passando di là? Vi informano?

DELFINO. Guardi, basta leggere. Mi consenta, Presidente, è un'opera d'arte investigativa.

PRESIDENTE. Io vorrei che lei oggi qui potesse opporre la sua verità a quella del dottor Arcai.

DELFINO. Se mi dà il tempo arriveremo a tutto, sono sicuro di questo. Il problema è questo: le indagini si arenavano perché, d'accordo con la magistratura, dovevamo trovare fatti concreti. Il verbale di Maifredi non era sufficiente per incriminare nessuno. Quando chiediamo a più riprese che cosa bolle in pentola, a Milano Segrate trecento metri di distanza dal traliccio di Feltrinelli...

PRESIDENTE. Questo lo sappiamo.

DELFINO. Mi permetto di ripeterlo. Ad un certo punto Maifredi ci dice: "Sono in possesso di esplosivo".

FRAGALA’. Sono chi?

DELFINO. L'organizzazione, l'ingegnere Fumagalli è in possesso di esplosivo. Io mando a Genova un mio brigadiere.

PRESIDENTE. Ma è già Fumagalli al momento di Maifredi o è ancora Jordan?

DELFINO. Jordan, ha il nome di battaglia Jordan. Ripeto, mando a Genova il brigadiere Arli con istruzioni precise. Se noi facciamo una telefonata - perché avevamo mandato dei messaggi dicendo che il Maifredi era in contatto con arabi che erano intenzionati a scambiare armi, così, vagamente - di sicuro qualcuno chiederà da dove si telefona. L'operazione è riuscita perché Arli chiama l'officina di Fumagalli, dice un nome convenzionale che avevamo stabilito e dall'altra parte Jordan risponde: "Mi lasci il suo numero che io chiamerò". Quando ha sentito prefisso 010, che era un bar, è avvenuta la prima trattativa per lo scambio di armi in cambio di esplosivo.

PRESIDENTE. Perché, Fumagalli cedeva esplosivo e quelli gli davano armi?

DELFINO. L'arabo, che era il mio brigadiere, dava armi in cambio di esplosivo. In altre parole, d'accordo con la magistratura noi cercavamo l'elemento determinante per iniziare l'attività.

PRESIDENTE. Quindi potrebbe essere che sia stato il procuratore di Brescia a dire di prenderlo a Brescia perché così avrebbe potuto continuare a guidare le indagini.

DELFINO. No, assolutamente no.

PRESIDENTE. E allora perché lo prendete in Val Camonica?

DELFINO. Se mi fa finire, Presidente. Dal momento in cui avevamo noi in mano l'operazione con l'arabo che dettava le condizioni per la consegna, dovevamo dare l'indicazione di una strada e di un posto tale per cui non c'era possibilità di fuga e lo stesso Jordan poteva controllare l'eventualità di presenze arabe o di persone interessate in zone che lui conosceva, cioè Sondrio. La nostra finalità era portarlo a Sondrio. Le indicazioni erano: portate le armi a Sondrio, a Sondrio nel tale albergo ci sarà uno che cammina con "L'Unità" o con 1"'Avanti!" - non ricordo - in tasca...

PRESIDENTE. Sì, questo ce lo ha detto pure Arcai.

DELFINO. Nel momento in cui Maifredi è costretto ad accompagnare il Borromeo con l'esplosivo dovevamo constatare che effettivamente l'esplosivo fosse nella macchina. Quindi, io ero vicino al lago d'Iseo, con l'autista, intento a pescare, un altro era più avanti. Il segno convenzionale era il lancio di un pacchetto vuoto di sigarette dalla macchina che sarebbe servito ad avere la certezza che l'esplosivo era sull'autovettura.

PRESIDENTE. In sostanza, lei sta dicendo che il luogo viene scelto in funzione sia delle esigenze di Fumagalli sia delle vostre come luogo adatto allo scambio esplosivo-armi.

DELFINO. Tanto è vero che costeggia il lago di Iseo e, quando lancia il pacchetto di sigarette vuoto nel luogo dove io mi trovavo, dò l'allarme alla caserma di Breno (che non sapeva niente, ma l'ha saputo solamente in quel momento) di bloccare l'autovettura. Quindi non c'è nessuna tesi precostituita o scelte di procure. Debbo solo affermare, cosa che ho già fatto nel corso di un interrogatorio che ho svolto come teste sul caso Calvi...

PRESIDENTE. E’ vero che lei, primo ufficiale dei Servizi che arriva a Londra...

DELFINO. Sono il primo e l'ultimo. L'unico. Vuole sapere altro?

PRESIDENTE. No.

DELFINO. Poi ho arrestato Carbone in Svizzera, ho localizzato Pazienza a New York e Gelli ad Acapulco. Se vuole sapere altro sono in grado di rispondere.

PRESIDENTE. Volevo avere solo una conferma.

DELFINO. Come ho già deposto nel caso Calvi, c'è un altro procedimento, un aspetto e cioè che in Italia possiamo venire a conoscenza dell'evolversi dei fatti dopo sei o sette anni. Mi spiego. Non ho mai conosciuto il capitano Labruna. Mai. Non l'ho mai incontrato, non so, se non attraverso le cronache. Dopo l'operazione Fumagalli, il commento che mi era stato riportato da un altro ufficiale era il seguente: "Labruna ha detto che avete rotto le uova nel paniere". Nel 1974 ho interpretato questa frase nel senso di una competizione investigativa e cioè: "siete arrivati voi prima di noi". Quando nel 1981 - allora mi trovavo in Belgio - è stato reso noto l'elenco della Loggia P2, ho capito il motivo per cui avevo rotto le uova nel paniere. E’ una motivazione politica quella che io offro e leggendo i nomi contenuti in questo elenco, per quanto riguarda l'Arma dei carabinieri, ho compreso il caso Zicari e tanti fatti sui quali sono in grado di rispondere se verranno poste delle domande. Quindi, l'operazione Fumagalli nasce senza alcun preconcetto, contrariamente a ciò che oggi sostiene il dottor Arcai, giudice istruttore al quale ho consegnato su un vassoio d'argento un'organizzazione, l'unica organizzazione eversiva che è stata condannata dal vertice alla base, passando dai ventidue anni di condanna assegnati a Fumagalli ai sei anni assegnati all'avvocato della maggioranza silenziosa, o rumorosa, a seconda dei punti di vista. Oggi poi il dottor Arcai sostiene che era a conoscenza, d'altronde era il giudice istruttore, il deus ex machina, avrebbe potuto svolgere qualsiasi indagine e non l'ha mai fatto. Pertanto, l'ipotesi avanzata dal dottor Arcai è solo una sua ipotesi, e saremmo ben lieti di conoscere in quale epoca è stata acquisita.

L'arresto di Spedini e di Kim Borromeo, quindi, suscita una grande reazione da parte dei mass media e nell'ambiente bresciano, ma riusciamo a mantenere segreto tutto il piano che già si delineava quando ci accorgiamo che, per il giorno dello svolgimento del referendum, era in atto qualcosa. Si verifica intanto l'episodio di Pian del Rascino, dopo il giorno della strage, anzi, questo episodio avviene successivamente. Si verifica però intanto qualcosa che ci spinge ad un'azione, in accordo con il dottor Arcai e con il dottor Trovato, il quale subentra al dottor Zappa. Il dottor Trovato infatti si trovava presente perché quella sera era il magistrato di turno e quando quel giorno arriva nell'ufficio, gli presento il verbale sui due arrestati e sull'esplosivo e lui comincia a sollecitare di fare qualcosa. Io gli chiedo se non sapesse niente ed egli mi risponde che effettivamente non sapeva niente, questo perché essendo sostituto di turno non era stato messo al corrente. Le notizie erano in possesso del procuratore Maiorana - mi sembra che questo fosse il nome - e del dottor Zappa. Quindi, il dottor Trovato subentra solo perché era il sostituto di turno. Non c'è nessuna macchinazione; è stata un'operazione - mi consenta di affermare con un po' di presunzione - brillantissima di polizia giudiziaria, che si conclude poi con l'arresto del Fumagalli e degli altri, con il sequestro di armi, di Land Rover e con qualche lettera in cui l'avvocato Adamo Degli Occhi dice: "caro Carlo, è ora di passare dalle parole ai fatti; i mitra ce l'abbiamo. Tuo Adamo Degli Occhi". Questa è l'operazione che noi conduciamo. In questo contesto bresciano avviene l'episodio Ferrari e poi la strage del 28 maggio.

PRESIDENTE. Mi scusi, generale, lei però redige un primo rapporto in cui tutta questa complessa operazione di intelligence e di polizia viene sostanzialmente taciuta. Cioè lei redige un primo rapporto in cui l'arresto di Borromeo e di Spedini sembra un fatto casuale. Almeno questo è stato sostenuto dal dottor Arcai.

DELFINO. Questo è vero. Io non avevo l'obbligo - d'accordo con il magistrato - di portare a conoscenza di tutti gli avvocati ciò che bolliva in pentola. Si trattava di un'esigenza processuale.

PRESIDENTE. Lei afferma di aver fatto questo d'accordo con il dottor Trovato?

DELFINO. Sì, con il magistrato; non è che il dottor Trovato fosse il solo a trattare la questione, ma anche il procuratore Maiorana era coinvolto, anzi le riunioni...

PRESIDENTE. Però poi lei ha redatto un secondo rapporto in cui tutto questo viene quasi completamente rilevato.

DELFINO. Viene riportato tutto. Esisteva un'esigenza investigativa che non ci consentiva di mettere sulla piazza tutto ciò che avevamo scoperto.

FRAGALA’. I rapporti di polizia giudiziaria rimanevano segreti sino al deposito degli atti da parte del giudice istruttore. Quindi il suo rapporto sarebbe rimasto segreto per anni.

DELFINO. C'era stata la volontà di procedere per direttissima nei confronti di Spedini e di Borromeo.

PRESIDENTE. Quindi il processo per direttissima nasceva dal verbale.

DELFINO. Certo, ma all'epoca è stata compiuta una scelta che può essere criticata come si vuole, ma non c'era nessun secondo fine. In quel momento avevamo deciso di procedere in quel modo. Signor Presidente, mi consenta di dire che oggi siamo seduti qui e discutiamo di fatti che sono avvenuti anni fa: ma è certo che se avessimo operato con la luce di oggi, avremmo camminato con i registratori in tasca, con un taccuino, descrivendo ciò che si decideva ad ogni ora. C'è stata soltanto la volontà di non portare a conoscenza di nessuno ciò che bolliva m pentola.

PRESIDENTE. All'inizio però le avevo posto un'altra domanda. Sono passati tanti anni, ma che cosa c'era dietro? Lei ha scritto questa lettera nel 1996 e quindi penso che l'abbia potuto fare anche sulla base di una serie di conoscenze e di cognizioni che ha acquisito successivamente. Qual è il ruolo che lei ha avuto? Tenga presente che la Commissione opera sulla base di questa ipotesi che ha avuto anche qualche riscontro importante: fino al 1974 tutto questo mondo dell'estremismo nero o, come nel caso di Fumagalli, dell'estremismo bianco o bianco-nero...

FRAGALA’. O bianco-rosso, perché c'era anche Feltrinelli.

PRESIDENTE. Sto riferendo le parole del dottor Arcai. Questo mondo aveva rapporti istituzionali e coperture politiche. Nel 1974 il mondo cambia e un alto ufficiale dei Servizi ha sostenuto che per la prima volta gli spiegarono che dovevano difendere la Costituzione e, quindi, l'input era quello di dare addosso e di recidere questi rapporti diventati ormai pericolosi. Lei prima mi chiedeva chi fosse realmente Maifredi e la domanda la pongo io adesso. Lei mi mette in allarme per il fatto che il dottor Arcai è andato a parlare con Taviani, poi il dottor Arcai afferma che Maifredi sosteneva di essere persona estremamente vicina a Taviani ed addirittura di avergli salvato la vita. Sembrano indizi che tendono a convergere su questo fatto e cioè che si voleva troncare una serie di rapporti che fino a quel momento erano stati invece tollerati. Se vuole possiamo passare in seduta segreta, ma vorrei che lei esplicitasse il senso di quella pagina finale della sua lettera.

DELFINO. Cortesemente, se può completare, perché la frase non è finita.

PRESIDENTE. Questo è vero ma il resto faceva parte della polemica; comunque concludo la lettura: "Omettendo di esprimere giudizi nei confronti di un ufficiale dell'Arma dei carabinieri che ha servito lo Stato con fedeltà, abnegazione e spesso a rischio della vita". Le do atto che ha svolto questo servizio anche a rischio della vita; però mi domando cosa abbia saputo per cui scrivendo al Presidente del Senato e della Camera - non solo al Presidente della Commissione stragi - fa un'affermazione di tale gravità.

DELFINO. Se avessi avuto qualche elemento, rispetto a quelli che avevo acquisito, sarei andato alla magistratura. Faccio il seguente discorso: se è vero, il golpe bianco, nella sua tradizione e definizione, non appartiene mai al militari. Non so se è vero e quali elementi avevano i due autori del libro "Strage a Brescia e potere a Roma": se è vera questa ipotesi, allora non va ricercato tra i militari, ma tra i politici.

PRESIDENTE. Dopo tanti anni di distanza dall'Italia in cui lei ha cominciato a operare (l'Italia a cavallo tra gli anni '60 e '70), si è fatto un'idea che sia verosimile che ci potesse essere una copertura politica dietro questo mondo di eversione? In altre parole ritiene che ci fossero settori politici che in quegli anni coltivavano volontà di svolte autoritarie? Lei ha fatto riferimento alla P2, ma mi sembra sfumato per quanto riguarda Fumagalli.

DELFINO. No, non mi pare che sia molto sfumato, perché basta leggere l'elenco e tutto quello che ruotava attorno. Lei ha fatto riferimento alla divisione di Milano e vedrà che - giornalisti o meno - erano tutti nella stessa barca.

PRESIDENTE. Quindi lei ritiene che questa ipotesi sia almeno verosimile.

DELFINO. Io ci credo; non ho elementi per dimostrarla. Chiedo al Presidente di passare in seduta segreta.

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 21,38.

... omissis ...

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 22,00.

PRESIDENTE. La ringrazio, generale, torniamo ora in seduta pubblica. Su questo personalmente non ho alcun dubbio. Purtroppo questa mia idea non è universalmente condivisa nemmeno dalla Commissione. Dò ora la parola al senatore Gualtieri.

GUALTIERI. Presidente, non sono iscritto e non voglio portar via tempo. Intervengo sull'ordine dei lavori. Siamo qui per sentire il generale sul tema principale che è la strage di Brescia e i fatti che attorno a questa strage sono ancora da chiarire anche in relazione agli altri interrogatori fatti. Il generale aveva cominciato a raccontare come lui aveva affrontato quel periodo e cosa aveva fatto nella sua veste. Aveva iniziato a dire di essere arrivato a Brescia nel 1972, poi è stato interrotto varie volte. Vorrei sapere, prima di fare domande e contestazioni, se il generale può esaurire il suo racconto sulla sua attività dal periodo in cui è stato a Brescia fino a quando si è allontanato per i noti motivi, perché soltanto dopo che ci avrà fatto tutto il suo racconto potremo fargli le contestazioni sulle cose apprese da altre fonti, che teoricamente non dovrebbe neanche conoscere o conoscere solo parzialmente. Non ho domande da fare, vorrei solo che il generale completasse il racconto mettendo gli eventi in ordine con le date e con l'attività svolta, anche per sapere come a Brescia, in quel periodo, si comportavano i carabinieri, la magistratura, la polizia e se c'erano interferenze tra questi corpi. Questo ci interessa sul periodo che stiamo analizzando, dopo di che gli faremo le contestazioni.

PRESIDENTE. Mi sembra giusto. Eravamo partiti da una mia domanda che riguarda le coperture istituzionali e politiche che poteva avere un personaggio come Fumagalli e un movimento come il Mar. Ritengo esaurita questa domanda e nel rispondere il generale Delfino è arrivato alla conclusione dell'operazione che ha portato all'arresto di Kim Borromeo. Siamo sostanzialmente alla vigilia della strage di piazza della Loggia, il generale Delfino può continuare nella sua esposizione.

CALVI. Proprio nello spirito della richiesta del senatore Gualtieri, vorrei inserirmi anch'io ricordando che poco fa si è interrotto un discorso che invece aveva molto interesse, quello dell'arresto di Adamo Degli Occhi e la telefonata di Zicari, dopo di che le domande e il racconto hanno preso altre vie. Nello spirito di questa ricostruzione storica, vorrei che il generale portasse a termine anche questo discorso.

PRESIDENTE. Generale Delfino, tenga presente anche quanto ha giustamente detto il senatore Calvi. Del resto le due cose si intrecciano. L'inchiesta sul Mar Fumagalli e l'inchiesta sulla strage di piazza della Loggia si intrecciano.

DELFINO. Il contesto socio-politico della strage di Brescia: avviene la cattura di molti componenti del Mar di Fumagalli, la morte di Silvio Ferrari con la lambretta, la strage di piazza della Loggia. Mi trovavo in Sardegna dove per la terza volta ero stato convocato dal Presidente della Corte d'Assise di Sassari. Allora i sequestri di persona venivano trattati in Corte d'Assise. Per due volte non mi ero potuto recare in Sardegna a seguito di intervento del dottor Arcai, il quale mi riteneva indispensabile.

PRESIDENTE. Per dare un senso alla sua esposizione: lei ci sta spiegando i motivi per cui il giorno della manifestazione non era a Brescia.

DELFINO. Certo, anche perché c'è chi dice che ho lavato la piazza, c'è chi dice...

PRESIDENTE. No, questo è stato escluso. E’ accertato che lei non ci fosse. La domanda però è come mai non fosse a Brescia pur sapendo che ci sarebbe stata quella manifestazione.

DELFINO. La manifestazione è stata indetta in tempi brevissimi, o il 25 o il 26.

PRESIDENTE. Quindi lei quando andò via da Brescia non sapeva della manifestazione.

DELFINO. Non sapevo niente. Depongo a Sassari, non prendo l'aereo, mi pare di ricordare a causa del vento, e prendo la nave per rientrare. Arrivo in ritardo a Genova e quindi arrivo in ritardo a Milano. Quando arrivo a Milano per cambiare il treno, telefono al nucleo investigativo per farmi venire a prendere al treno. Sento una voce che non conoscevo e credo di aver sbagliato numero. "No - mi si risponde -, lei non sa niente? C'è stata una strage". Quindi arrivo a Brescia, tutti gli uomini sono fuori e stavano perquisendo la pizzeria Ariston per conto del dottor Arcai. Non conoscevo i motivi di questo. Fatto sta che il 29 mattina, quando vado in procura, incontro il dottor Arcai che mi dice: "Subito dopo la strage si è presentato a me tale Bonati Ugo - che io non conoscevo ma che stavamo ricercando per il furto del Romanino - dicendomi che lo aveva mandato il Buzzi, il quale era rimasto nel cortile, per dirmi di invitare il capitano Delfino a non proseguire nelle indagini sul Romanino, se no lo avrebbero bruciato". Aggiunge Arcai: "II Bonati era pallido in volto, eccetera, e ho l'impressione...". E qui inizia l'attività investigativa sul Buzzi. L'inchiesta sulla strage di Brescia non è stata preceduta da alcuna indagine di polizia giudiziaria. Molte indagini sono state fatte sulle segnalazioni anonime che erano arrivate, decine e decine, che addebitavano la strage ora a questo ora all'altro.

PRESIDENTE. Ora alla sinistra, ora alla destra.

DELFINO. C'era un po' di tutto. Quindi espletavamo le indagini su ogni singolo anonimo e riferivamo alla magistratura. La polizia giudiziaria ha fatto delle segnalazioni sulle quali i magistrati inquirenti, PM e GI, hanno condotto l'indagine, delegando la polizia giudiziaria a compiere singoli atti consistenti prevalentemente in informazioni, perquisizioni o sequestri. L'indagine sulla pista Buzzi è nata con una breve segnalazione del nucleo investigativo dei carabinieri del 31 gennaio 1975. Ce l'ho con me ed è il foglio n. 187/259-1974 del 31 gennaio 1975: "All'illustrissimo signor giudice istruttore del Tribunale di Brescia, consigliere dottor Vino, all'illustrissimo signor giudice istruttore del Tribunale di Brescia, dottor Simoni (il magistrato che conduce le indagini). Il signor Papa Luigi, la persona che giorni fa presentò una circostanziata denuncia contro il Buzzi Ermanno, in atto detenuto, e con cui sono coimputati i figli, Papa Raffaele e Michelino, è stato citato dalla Signoria Vostra, dottor Simoni, per essere interrogato in merito ai fatti esposti per le ore 15 odierne. La cìtazione, per motivi di urgenza veniva recapitata dal maresciallo Arli Carlo, di questo nucleo investigativo, al quale il Papa Luigi narrava dei fatti nuovi per cui il sottufficiale, considerata la gravità del caso, riteneva opportuno che lo stesso Papa Luigi mettesse a verbale le sue dichiarazioni nonché confermasse le stesse in sede di interrogatorio dinanzi al giudice istruttore. Pertanto il Papa Luigi dichiarava al citato maresciallo Arli di aver appreso dal figlio Papa Domenico, che il 28 gennaio corrente era stato a colloquio con i fratelli detenuti, che il Buzzi Ermanno era già venuto a conoscenza delle denunzie a suo carico e rimproverava il padre perché c'era da temere una vendetta da parte dello stesso Buzzi in quanto - secondo lo stesso Papa Domenico - sarebbe colui che il 28 maggio 1974 consumò la strage di piazza della Loggia occultando sei bombe che poi esplosero. Sempre secondo lo stesso, il Buzzi era anche responsabile di un attentato al locale notturno "Blu notte", sito in via Italia angolo via Milano di Brescia, consumato lo stesso maggio 1974. Il verbale con le dichiarazioni rese dal Papa Luigi viene trasmesso al signor giudice istruttore, dottor Simoni per unione agli atti dei procedimenti penali a carico di Buzzi Ermanno e altri e al signor giudice istruttore, dottor Vino, per quanto dì competenza sulla strage di Brescia. Al signor giudice istruttore si fa presente che sin dal periodo immediatamente seguente la morte di Silvio Ferrari sorsero sospetti su Buzzi Ermanno conosciuto per la sua ideologia nazista: porta sul dorso di una mano un tatuaggio col fregio delle SS naziste, per la sua capacità a delinquere in reati di qualsiasi specie e perché dalla sua ultima scarcerazione, 10 aprile 1974, eresse il suo nuovo quartier generale presso la pizzeria Ariston sita al termine di viale Venezia di questa città, stesso locale che era assiduamente frequentato dal defunto Silvio Ferrari e da altri estremisti di destra già noti alla Signoria Vostra. Si segnala inoltre che immediatamente dopo la strage di piazza della Loggia il Buzzi portò per lungo tempo una vistosa fasciatura ad una mano, non perchè si fosse ferito ma per nascondere il tatuaggio di cui si è detto".

Questa è l'unica segnalazione che la polizia giudiziaria, cioè il nucleo investigativo di Brescia, inoltra all'autorità giudiziaria di iniziativa.Da quella segnalazione tutta l'indagine è stata condotta dai magistrati inquirenti che hanno assunto tutte le testimonianze e individuato gli imputati che sono stati portati al giudizio della Corte d'Assise di primo grado di Brescia.Quanto all'invenzione del testimone Bonati è da precisare che il collegamento tra Bonati e la strage fu fatto dal giudice istruttore dirigente del Tribunale di Brescia, dottor Giovanni Arcai, il quale la stessa mattina in cui venne commesso il misfatto, andò dicendo a tutti, compreso il sottoscritto, che un tale Bonati, verso le ore 10-10.30 del 28 maggio 1974, si era presentato nel suo ufficio trafelato e pallido dicendo di essere stato mandato dal Buzzi Ermanno per parlargli del furto di un quadro del Romanino. Conoscendo il Buzzi, il dottor Arcai ebbe l'impressione che il Bonati si fosse recato nel suo ufficio per creargli un alibi in relazione alla strage consumatasi quel mattino. Il giudice Arcai non fece alcuna relazione scritta sull'accaduto. Ma in data 6 giugno 1974, nell'ambito dell'inchiesta sul Mar di Fumagalli Carlo, chiedeva al nucleo investigativo dei carabinieri di Brescia, comandato dal sottoscritto, di accertare i movimenti di Buzzi Ermanno, Bonati Ugo, Carrera Natale e Pedersani Paolo dal 19 maggio, giorno della morte di Silvio Ferrari, al 28 maggio, giorno della strage, e successivamente. Si tratta di documenti, signor Presidente, che potrò consegnarvi, se lei ritiene.

PRESIDENTE. Senz'altro.

DELFINO. A detta richiesta il nucleo investigativo ha risposto con la sola segnalazione precedentemente indicata del 31 gennaio 1975.

I primi interrogatori dei componenti della famiglia Papa davano conferma dei sospetti nel confronti del Buzzi quale autore della strage. Il giudice istruttore dottor Vino chiedeva al dottor Giovanni Arcai di deporre sull'incontro avuto con il Bonati il mattino del 28 maggio, ottenendone un netto rifiuto. Poiché era necessario escutere il Bonati al quale contestare detto incontro e chiedere i motivi dello stesso, il dottor Arcai, in data 4 febbraio 1975, sentiva in qualità di teste nell'ambito dell'istruttoria Mar il Bonati stesso. In seguito, il dottor Arcai inviava al dottor Vino una relazione su Buzzi Ermanno, datata 16 maggio 1975 e in data 10 luglio 1975 un'altra relazione: dalle stesse emerge chiaramente che se vi è stata invenzione del teste Bonati, siffatta invenzione è tutta opera non del capitano Delfino, ma del giudice istruttore. Nel corso dell'istruttoria l'allora capitano Delfino non ha avuto mai alcun contatto con il Bonati il quale è stato sempre escusso dal giudice istruttore in presenza del pubblico ministero e con l'ausilio del cancelliere, né componenti del nucleo investigativo dei carabinieri di Brescia hanno assunto a verbale dichiarazioni del Bonati o partecipato a interrogatori espletati dal giudice istruttore. La missiva del 6 febbraio 1975, inviata dal giudice istruttore al procuratore generale di Brescia, indica tutti gli atti compiuti relativi al Bonati. Il giudice istruttore precisa a chiusura della nota che a tutti gli atti istruttori ha partecipato soltanto il pubblico ministero. L'unica indagine condotta dal nucleo investigativo da me comandato in relazione a Bonati Ugo quale testimone sulla strage è contenuta nel rapporto del 22 maggio 1975, con il quale si risponde ad una richiesta a verbale del giudice istruttore: questo atto conferma come l'istruttoria sia stata gestita interamente dai giudici inquirenti che si sono avvalsi dell'ausilio della polizia giudiziaria soltanto per informazioni o singoli atti delegati. E’ significativo come il dottor Arcai, pur non essendo il giudice istruttore incaricato....

PRESIDENTE. Non vorrei far dispiacere al senatore Gualtieri, ma la interrompo un momento per chiederle se il lavoro al fianchi di Buzzi lo ha svolto lei.

DELFINO. Certamente.

PRESIDENTE. Ma cosa significava quel lavoro?

DELFINO. Innanzitutto voglio fare una precisazione: confermo interamente tutti gli atti a mia firma, compresi i verbali di interrogatorio dinanzi alla Corte d'Assise di Brescia. Quando si è voluto sollevare il polverone si è cominciato a discutere sul lavoro ai fianchi di Buzzi. Ho chiaramente indicato che il lavoro ai fianchi di Buzzi significava conoscere in quale contesto Buzzi stesse lavorando. Tanto è vero che non si è proceduto né ad interrogatorio, né a fermo o ad alcuna attività se non quella di cercare di conoscere come un ladro di opere d'arte, quale era ritenuto Buzzi anche con tutte le ideologie che aveva dimostrato, potesse essere diventato un responsabile della strage.

PRESIDENTE. Peraltro vostro confidente.

DELFINO. No, se mi fa finire le dirò di chi è il confidente. Le confidenze del Buzzi erano queste: rubava nelle chiese poi, simulando la voce, ci telefonava dicendo di andare perché avremmo trovato merce interessante. Siamo corsi una volta in un confessionale di una chiesa alle porte di Brescia, dove trovammo dei fascicoli processuali sottratti alla procura della Repubblica. Non è stato il mio confidente: era il confidente del dottor Arcai. Tant'è vero che posso dimostrarle come nella perquisizione abbiamo trovato uno scritto del dottor Arcai in cui si diceva "caro Buzzi": confidente non è stato dunque né mio né dei miei.

MANTICA. Essendo un ladro conosciuto a Brescia per questo frequentava la procura: non ci vedo nulla di scandaloso.

DELFINO. Non è nulla di scandaloso, ma se mi si attribuisce il fatto che era mio confidente io rispondo di no.

MANTICA. Non si può neanche attribuire ad altri.

DELFINO. Io lo dimostro, se me lo consente. Il giudice Arcai, in data 25 maggio 1974, invia a me, capitano dei carabinieri, una nota, che depisiterò, nella quale chiede che si svolgano indagini in relazione ad un proclamato pestaggio a suo danno organizzato da Ferrari Fernando nella pizzeria Ariston. La notizia gli è stata data da Buzzi Ermanno, il quale nella fattispecie era confidente. Il Buzzi Ermanno appare tanto legato al giudice Arcai da sentirsi autorizzato a inviare al mattino del 28 maggio 1974 il Bonati, come ho già detto, a fare confidenze su un furto di un quadro del Romanino. In quella data il giudice Arcai ordina una perquisizione nella pizzeria Ariston per acquisire prove nel processo del Mar: si accerterà poi che in detto locale è stata fatta la proclamazione della strage. Nel corso di una perquisizione in casa del Buzzi, marzo 1975, è rinvenuta una lettera inviata dal giudice Arcai al Buzzi in cui quest'ultimo viene chiamato "caro Buzzi". Dopo una perquisizione il dottor Arcai esige che i carabinieri gli mostrino tutti gli atti sequestrati in casa Buzzi, ritenendoli utili nelle indagini del Mar. In data precedente all'apertura dell'istruttoria sulla pista Buzzi il dottor Arcai interviene personalmente per salvare il Buzzi da un'aggressione di facinorosi che stava per verificarsi nella pizzeria Ariston. "La proprietaria telefona a nome di Buzzi al giudice Arcai", questo è negli atti, "il quale immediatamente dà ordine alla questura di provvedere tempestivamente", quando sarebbe stata sufficiente una telefonata al 112 e la questura sarebbe intervenuta. Quindi il Buzzi non è confidente né dell'allora capitano Delfino, né dei componenti del nucleo investigativo.

PRESIDENTE. Però, processualmente questa natura di confidente emerge da dichiarazioni di carabinieri durante un dibattimento. Questo ce lo conferma o lo esclude?

DELFINO. Che cosa?

PRESIDENTE. Il dottor Arcai ci ha detto, se vuole le leggo il passo…

DELFINO. Sì, mi dica.

PRESIDENTE. Comunque, la natura di confidente del Buzzi emerge a livello processuale per dichiarazioni dei carabinieri o nemmeno questo è vero?

DELFINO. Questo non mi risulta. Se qualcuno lo ha detto non lo so, non conosco tutti gli atti. Quello che le posso dire è che il Buzzi veniva da noi denunciato, arrestato: se qualcuno ha ricevuto qualche confidenza non era il capitano Delfino.

PRESIDENTE. Va bene, vada avanti.

DELFINO. Mi scusi, presidente Gualtieri, vuole sapere qualche altra cosa?

GUALTIERI. Vorrei solo che lei ci facesse un racconto dei fatti.

PRESIDENTE. Scusi, generale, tutti questi fatti sono noti. Su queste vicende ci sono state valutazioni giudiziarie contrastanti, libri contrastanti, valutazioni storiche contrastanti. Noi siamo una Commissione parlamentare. Pertanto, dopo aver letto una proposta di relazione che in piccolissima parte riprende valutazioni bibliografiche contenute in sentenze, capisco che lei si difenda e che dica: non è vero, se ci sono responsabilità queste non sono della polizia giudiziaria ma dei magistrati che dirigevano la polizia giudiziaria.

DELFINO. No, no, assolutamente. Innanzitutto non mi sento in difesa perché ritengo di non dovermi difendere, assolutamente.

PRESIDENTE. Vuole chiarire.

DELFINO. Non mi sento sotto accusa, da parte di nessuno.

PRESIDENTE. Ci troviamo di fronte ad un'inchiesta complessivamente fallita perché oggi ci stiamo ancora occupando di una strage insoluta. Sono state fatte ipotesi giudiziarie contrastanti e nessuna di queste ipotesi ha retto al vaglio del dibattimento. Nel complesso le indagini non hanno avuto successo. C'è un rimpallo - se mi consente - legato piuttosto ad una vicenda provinciale tutta bresciana di responsabilità reciproche tra il dottor Arcai, che ritiene che la responsabilità sia degli organi investigativi e anche degli altri magistrati, e lei, che invece sta dicendo che la responsabilità è del dottor Arcai.

DELFINO. No, no. E’ meglio chiarire.

PRESIDENTE. E allora chiarisca.

DELFINO. Lei mi ha detto che mi sto difendendo: io non mi sto difendendo.

PRESIDENTE. Va bene, lei non si sta difendendo, sta chiarendo. Ci sta dando una sua versione dei fatti.

DELFINO. Io dico quello che ho fatto, e in pratica tutto quello che ho fatto con i miei uomini dopo quella prima segnalazione è stato fatto su incarico dei magistrati, indagini delegate. Circa la conclusione di tutta l'istruttoria, mi pare che dopo ventitre anni si ritorni a parlare del Buzzi e la sentenza di Venezia non dice...

PRESIDENTE. Dice che il Buzzi non era un cadavere da assolvere, ma era un cadavere da condannare. Però, se entriamo in questo campo tutto giudiziario, non ne usciamo più perché il dottor Arcai ci ha anche sottolineato che la Corte d'Appello di Venezia, con questa pronuncia, va al di là dei paletti che aveva posto la Cassazione la quale, nel rinviare, aveva confermato invece la valutazione della Corte d'Assise d'Appello di Brescia secondo cui Buzzi era un cadavere da assolvere. Una Commissione come la nostra, nel momento in cui si trova di fronte a valutazioni giudiziarie contrastanti, può non prendere partito né per l'una né per l'altra, oppure può scegliere una o l'altra, oppure ancora può fare una terza ipotesi. Che il Buzzi sia un personaggio enigmatico, a più facce, non c'è dubbio. Che oggi un'altra volta vengano fatte ipotesi che ne fanno addirittura un fiduciario della Cia è cosa che alla Commissione, sia pure indirettamente, risulta. Il gruppo che si organizza intorno a Buzzi, secondo la prima inchiesta, a mio avviso resta un gruppo come tale poco credibile. Sembra strano, cioè, che una strage come quella di Brescia sia stata da loro organizzata. Forse Buzzi ci poteva entrare, forse sapeva, forse muore perché sapeva e Concutelli e Tuti lo uccidono per questo, oppure no. E' certo però che quell'indagine non ha retto al vaglio istruttorio, tant'è vero che alla fine non ci sono state condanne (anche Buzzi non poteva essere condannato perché in qualche modo altri tribunali lo avevano giudicato e condannato alla massima pena).

DELFINO. Mi pare che ci siano due insufficienze di prove con il vecchio rito.

PRESIDENTE. Sì, quella di Angiolino Papa...

DELFINO. Ci sono due insufficienze di prove. Comunque, al di là del merito, sto dicendo a lei, signor Presidente, e ai commissari quello che abbiamo fatto. Se adesso, a distanza di ventitre anni, questi fatti, come leggo, vengono scaricati in una Commissione riportando delle accuse come fa il dottor Arcai o io rispondo a queste accuse....

PRESIDENTE. Questo è giusto.

DELFINO.alla documentazione oppure, mi consenta, la Commissione non deve prendere atto né delle sue né delle mie.

PRESIDENTE. La Commissione non ha espresso alcun giudizio perché il giudizio contenuto nella proposta di relazione impegna solo me. Tuttavia è evidente che la Commissione potrà scegliere tra le varie versioni che sono state date e le varie valutazioni che sono state fatte e nella sua autonomia potrà farne propria una. Questo è fatale. Oppure potrà dire che, tutto sommato, polizia giudiziaria e giudici abbiano fatto flop in questa vicenda. La mia impressione è che si sia andati abbastanza vicino alla verità, non solo a Brescia, ma anche con l'Italicus e a Milano: è una mia valutazione personale. Però qualcosa non ha funzionato, ha mancato.

DELFINO. Lei, oltre ad essere Presidente di questa Commissione, è anche un brillante avvocato. Era un processo indiziario in cui non c'era niente. A Brescia non avevamo niente, avevamo soltanto dal 29 mattina un'ipotesi di lavoro, data dal dottor Arcai, che il pallido Bonati inviato dal Buzzi non era altro che un alibi per...

PRESIDENTE. ... per coprire la responsabilità di Buzzi.

DELFINO. E quindi siamo partiti da questo. Certo, se la legge sui collaboratori di giustizia fosse nata nel 1974 (agli atti ci sono cinque o sei confessioni), credo che le indagini e l'istruttoria sulla strage di Brescia avrebbero avuto un altro esito. Ora, in un complesso di indagini fatte non seduti a tavolino ma, come dicevo prima, sul campo, i magistrati sulla base degli interrogatori che portavano avanti davano incarico alla polizia giudiziaria di procedere a tutti quegli accertamenti che ritenevano opportuno, appunto, delegare alla polizia giudiziaria.

PRESIDENTE. Oggi, a tanti anni di distanza, quale delle due istruttorie si è avvicinata di più alla verità: quella originaria che coinvolgeva Buzzi o la seconda tutta mirata soprattutto su Ferri come autore materiale della strage?

DELFINO. Dico che tutte e due vanno bene: ripeto ciò che ho dovuto scrivere in quella lettera e cioè che sono stato io a porre in stato di fermo il Ferri ed è stato poi scarcerato. C'è il verbale che io ho allegato a testimoniarlo. Io ho posto in stato di fermo il Ferri ed è stato scarcerato. Naturalmente a distanza di due anni, dopo che era scappato in Grecia, era difficile ricostruire il tutto e, signor Presidente, deve sapere che in due anni e mezzo io e miei uomini, insieme ai magistrati, non abbiamo dormito una notte perché abbiamo girato tutta l'Italia per raggiungere una verità che volevamo ottenere. Ora, se dovessi tornare indietro al 1974, ripartirei dalla stessa indagine, senza ombra di dubbio.

PRESIDENTE. Vorrei porle un'altra domanda perché questo mi è sembrato in qualche modo significativo, ma può darsi che sia un'errata impressione. Nella lettera che lei mi ha scritto, mi addebita di aver parlato di quattro istruttorie e relativi procedimenti, mentre, sostanzialmente, secondo lei le istruttorie sono state tre.

DELFINO. Ma poi c'è stata una successiva quarta istruttoria.

PRESIDENTE. Secondo la sua lettera, le istruttorie sarebbero state tre e cioè l'istruttoria Vino, che poi conduce al primo processo contro Buzzi, da condannare o meno secondo le diverse valutazioni; la seconda sarebbe l'istruttoria Zorzi-Besson che è l'istruttoria contro Ferri e Stepanov e la terza sarebbe quella di Zorzi. In realtà io ho sostenuto che si trattava di quattro istruttorie perché ho considerato (secondo me non sbagliando) - anche se non porta al processo, come d'altronde non lo fa la terza istruttoria cioè quella che secondo lei sarebbe la terza mentre per me è la quarta, l'istruttoria di Zorzi - l'istruttoria di Besson che è quella che distrugge la testimonianza di Bonati. Lei stranamente mi addebita di aver considerato questa istruttoria che è quella che, demolendo la testimonianza di Bonati, in realtà determina il fallimento di tutto il processo. Perché secondo lei quella non sarebbe un'istruttoria da considerare?

DELFINO. E’ possibile che nei conteggi i numeri siano sbagliati.

PRESIDENTE. Lei però mi ha addebitato il fatto di aver contato male.

DELFINO. Secondo me, le istruttorie sono quelle che le ho indicato. Per quanto riguarda invece il Bonati, non mi sembra che egli Bonati venga assolto dall'accusa di strage, ma la settima sezione del tribunale di Brescia, dove improvvisamente ci troviamo imputati o meglio, da cui io ho avuto una comunicazione giudiziaria...

PRESIDENTE. Quelli sono i processi figliati da questa vicenda e su cui lei ha richiamato giustamente l'attenzione.

DELFINO. In qualità di ufficiale dei carabinieri, devo assistere al fatto che una sentenza del tribunale di Milano passa in giudicato alla Cassazione e mi sembra che quella sentenza aggiunga qualcosa a quanto possa dire...

PRESIDENTE. E’ quella che sottolinea il fatto che nei suoi confronti non era stata nemmeno sollevata un'azione penale.

DELFINO. In pratica, assolvendo tutti gli imputati che avevano chiamato in causa il figlio di Arcai e il Gussago, sostiene che questi avevano detto la verità. Il tribunale di Milano - ho qui con me la sentenza - in pratica sostiene che tutti gli imputati accusati di calunnia avevano detto il vero. Io non sono un giurista ma leggendo attentamente e ripetutamente quella sentenza ho potuto riscontrare che questo è ciò che in essa si afferma.

PRESIDENTE. Allora perché ritiene che tutte e due le inchieste erano da coltivare? In realtà, la colpevolezza di Ferri renderebbe estremamente marginale tutto quel mondo che ruotava intorno a Buzzi, compreso il figlio di Arcai.

DELFINO. Signor Presidente, teniamo presente che al gruppo Buzzi - cioè a quelli dell'incontro di Rovato, in cui Pisanò e l'onorevole Tremaglia si incontrano alla mia presenza con il dottor Arcai - definito da Pisanò un gruppo di ladri e di pederasti, però poi si aggiungono De Amici e Nando Ferrari, quindi l'elemento milanese del De Amici nel collegio di Salò. Io, nella mia deposizione dinanzi alla Corte d'Assise di Brescia, ho ripetuto che se l'ufficiale di polizia giudiziaria, in quel momento, avesse avuto la possibilità di arrestare per falsa testimonianza il rettore di quella scuola, avremmo avuto un altro seguito.

PRESIDENTE. Di quale scuola?

DELFINO. La scuola dove c'era De Amici, sull'alibi in base al quale aveva dormito o meno, perché ad un certo punto era necessario preservare l'immagine di un collegio della società bene. Lo sostengo nella mia deposizione. Pertanto, il componente nucleo Buzzi non è solo il componente bresciano. Noi alleghiamo anche la componente milanese, mentre non è stato trovato niente sulla componente veronese. Oggi, leggendo i giornali, mi è venuta in mente una cosa. Infatti bisognava capire se il Buzzi diceva la verità o meno quando era interrogato dai magistrati; mi sembra che in alcune deposizioni il Buzzi abbia affermato che era in collegamento con un certo Pasetto. Abbiamo girato tutto il Veneto per trovare questo Pasetto e oggi leggo nella strage di piazza Fontana...

PRESIDENTE. Ma questo darebbe ragione a Corsini. Tutte queste inchieste avevano un limite e cioè che finché non si ricostruiva con chiarezza qual era il complesso del contesto eversivo, le responsabilità istituzionali e quelle politiche che c'erano dietro, non si poteva raggiungere la verità perché processualmente scaturivano delle ipotesi deboli che ovviamente, in un paese come l'Italia che fortunatamente gode delle garanzie processuali, finivano per non reggere poi al vaglio del dibattimento. Sono convinto che spezzoni di verità erano presenti nella prima e nella seconda inchiesta, così come spezzoni di verità si trovavano nelle varie inchieste che erano state svolte su tutti questi fenomeni. Ma nel momento in cui ci si arrestava al piano degli operativi, o come nel caso di Brescia si chiudeva l'indagine al mondo bresciano, alla verità non si giungeva perché tutto diventava processualmente debole.

DELFINO. Ma Ferri non è bresciano, come non lo è De Amici. Mi consenta di completare perché secondo me questo è importante. Mi sembra di aver letto che esisteva un certo Pasetto e vedo nominato sui giornali - non so se è vero - anche un certo Minetto; si è accesa allora una lampadina.

PRESIDENTE. Non so se le nuove indagini porteranno a giudicati di condanna, ma devo dire che per come le ho lette, esse danno un quadro credibile perché collegano i vari episodi e soprattutto individuano una matrice. Questo per rispondere all'onorevole Mantica. Ed è questo il vero punto.

DELFINO. Signor Presidente, io non vorrei contraddirla ma il punto è che siamo qui a discutere su un materiale raccolto ventitre anni fa, vero o non vero, aderente o meno, materiale che si sta esaminando e collegando. Si metta nei panni di alcuni magistrati.

PRESIDENTE. E’ ciò che lei ha detto prima. E’ chiaro che emerge una serie di ostacoli istituzionali e forse politici che hanno fatto in modo che la verità non si potesse raggiungere fino in fondo.

DELFINO. Personalmente devo dire che non ho avuto nessun condizionamento. Nessuno si è permesso di tentare di condizionarmi. Quindi noi siamo andati avanti sulla base di ciò che raccoglievamo in una indagine indiziaria.

PRESIDENTE. Mi scusi generale, non vorrei che l'audizione diventasse disordinata. A questo punto lascerei spazio ai colleghi per porre delle domande, perché ormai il quadro è stato ricostruito nel complesso.

CORSINI. Anch'io ringrazio il generale Delfino della disponibilità che ha reso a questa Commissione accettando l'invito all'audizione. Prima di passare alle domande su vicende specifiche, su personaggi ed episodi particolari, vorrei soffermarmi sulle osservazioni finali con le quali lei ha sostanzialmente concluso la sua esposizione: cioè la convinzione, che lei ribadisce a ventitre anni di distanza, che le piste che per comodità potremmo chiamare Ferri e Buzzi sono tali da non escludersi reciprocamente, bensì complementari. Credo che a questa osservazione bisogna aggiungere una sorta di ampliamento dello sfondo sul quale la vicenda si muove, che è quello più generale della eversione radicale di destra che rimanda ad ambienti veneti e milanesi. A mio avviso Buzzi all'interno di questo quadro è un personaggio sicuramente di secondo piano, il che tuttavia non esclude che possa avere collegamenti, che possa essere stato utilizzato e in questo modo i vari tasselli del mosaico - sulla base delle mie impressioni e convincimenti - vengono sostanzialmente ricomponendosi.

Lei ha qualcosa da dire rispetto a questo quadro che molto sinteticamente le ho proposto e che fa riferimento a notizie apparse anche sui giornali sulla ripresa delle indagini e sulla deposizione di recenti sentenze-ordinanze? Le pare plausibile questa raffigurazione, che in qualche misura anche lei ha avvalorato, cioè che sullo sfondo di una eversione cospirativa improvvisamente si decide di accelerare i tempi di esecuzione dei piani? Ritiene validi i collegamenti su un triangolo che congiunge Brescia, Verona e il Veneto e Milano? Anche da un punto di vista geografico e territoriale, Brescia è un crocevia di questa strada; sulla base delle indagini che lei ha condotto e dei riscontri di cui disponeva allora e di quanto anche lei, come me, apprende oggi dai giornali, le pare che questa raffigurazione possa avere un qualche fondamento di veridicità?

DELFINO. Anzitutto, se avessi avuto qualche elemento di prova sarei andato dal magistrato. Oggi, a distanza di anni nel corso dei quali è stato possibile acquisire una nutrita documentazione di tutti questi monumenti di personaggi, trovo una chiave di lettura. Ricordiamoci che, dopo la morte di Silvio Ferrari, Brescia viene invasa dai veronesi e veneti.

CORSINI. C'è una cosa che mi ha sempre stupito e per la quale non ho mai trovato una spiegazione; sui muri di Brescia apparve una scritta - per dire di Verona e del Veneto - "Pasetto vive". E’ una scritta che molti hanno avuto modo di constatare, rispetto alla quale non sono mai riuscito a darmi una spiegazione plausibile. Visto che prima anche lei si interrogava su questo nome, ha qualche elemento per spiegare l'apparizione di questa scritta?

DELFINO. Il Pasetto è un nome che circolava frequentemente e non abbiamo trovato nulla al riguardo. Oggi, a distanza di ventitre anni, non ho altri elementi, ma leggo su un giornale che si parla di un veneto, un certo Minetto, e allora dentro di me si accende una lampadina: non è che il Buzzi o la scritta sul Pasetto sia un nome di battaglia di Minetto? E’ solo una mia considerazione, ma che ci fosse stata una confluenza di interessi eversivi estremisti su Brescia, questo è certo. Anzi io, pur senza avere elementi e dati precisi, sono arrivato al punto di ipotizzare che Buzzi e il gruppo bresciano abbiano voluto fare lo scherzo ai sindacati, senza accorgersi - alcuni - che l'altro gruppo (quello politicizzato eversivo, milanese e molto probabilmente veneto-veronese) invece sapeva cosa si andava a fare. Questo perché c'è stato un momento dell'indagine in cui era apparso da qualche cosa che l'errore del collegamento della bomba su un pilastro con il cestino attaccato non era a conoscenza di quei quattro - Buzzi forse compreso - per i danni che avrebbe potuto procurare, ma che il gruppo politicizzato sapeva. Ricordiamoci anche che ci sono le due missive che purtroppo arrivano a conoscenza a strage avvenuta; sono due missive scritte con una macchina che abbiamo recuperato, che certamente annunciano la strage: è quello che arriva al "Giornale di Brescia". Allora faccio la considerazione che a Brescia e nell'area bresciana era in atto il preparativo di qualcosa di grosso e viene colta l'occasione della riunione improvvisa e a breve scadenza concordata dai sindacati. Quindi, non escludo che ci siano state due diverse configurazioni nell'attentato, quella di chi voleva lo scherzo ai rossi, come scrivevano sul muri, e quella di chi invece, sapendo che veniva fatto lo scherzo, ha voluto la strage.

PRESIDENTE. Però sei bombe erano uno scherzo pesante: era difficile pensare che non facessero morti.

FRAGALA’. Proprio nel posto dove stavano i carabinieri.

PRESIDENTE. Questa è l'altra domanda che volevo farle.

CORSINI. Veniamo adesso al riferimento di carattere fattuale e non interpretativo. Voglio poi arrivare ad una domanda suggeritami dalle considerazioni rese dal dottor Arcai nel corso della sua audizione. Lei ha conosciuto i familiari di Maifredi, è stato qualche volta nell'abitazione di Maifredi? Ha visto se in casa avesse una telescrivente o una radio trasmittente?

DELFINO. Il Maifredi l'ho conosciuto esclusivamente nel mio ufficio; e dal 1974 al 1992 l'ho sentito una sola volta, perché un giorno mi ha rintracciato a Torino chiedendomi se lo potevo aiutare perché non gli davano più il porto d'armi. Non sono mai stato a casa del Maifredi, non ho mai visto niente. L'incontro con Maifredi avviene esclusivamente nel nucleo investigativo.

CORSINI. Lei ricorda che nel dibattimento del Mar, la convivente del Maifredi raccontò di essersi lamentata con lei per la sua assiduità con il Maifredi e che lei avrebbe detto - così riferisce anche il dottor Arcai - che deve fare quello che fa perché altrimenti va in galera. Vuole precisare la vicenda di questa sorta di intimazione che Arcai riferisce?

DELFINO. Anzitutto vorrei il riferimento all'atto processuale, perché non lo ricordo assolutamente.

CORSINI. Ho riletto l'intervento del dottor Arcai e lui cita questo episodio

DELFINO. Ma lo cita in base a quali elementi? E’ riportato in qualche atto processuale? Un episodio del genere non lo ricordo e poi non capisco quale influenza possa avere in una indagine. L'interrogativo è chi ha mandato Maifredi da me; questo è l'interrogativo al quale non ho saputo rispondere, non so rispondere e al quale spero qualcuno riesca a rispondere.

PRESIDENTE. Io su questo, però, le ho fatto un'ipotesi: è possibile che le veniva mandato per poter troncare qualche legame con tutto questo gruppo di Fumagalli? Cioè che avesse un'ispirazione politica o istituzionale elevata?

DELFINO. Nell'Arma lo escludo assolutamente. Ho riferito l'episodio di Labruna, che a mio avviso è molto significativo. Secondo me in quel periodo esistevano due gruppi politici contrapposti, perché la frase di Labruna nel 1974, nell’immediatezza...

PRESIDENTE. Cioè che: "Ci avete rotto le uova nel paniere".

DELFINO. Sì, la frase "Delfino ha rotto le uova nel paniere", da me interpretata come la concorrenza investigativa di un collega, a distanza di anni, come mia ipotesi, diventa che era in atto qualcosa e che un altro gruppo ha voluto farla finita. Ma non sono in grado di dire quali fossero i gruppi contrapposti.

FRAGALA’. Lei intende il gruppo Miceli e il gruppo Maletti?

DELFINO. No, io mi riferisco soltanto ad aspetti di gruppi organizzati. Certamente c'era la prevalenza politica; non so di che colore.

FRAGALA’. Quindi, sono o meno gruppi dei servizi segreti?

DELFINO. Non so cosa c'era, perché se Labruna dice: "Avete rotto le uova nel paniere", e lui faceva parte dei Servizi, che cosa significa? Io non sono in grado di dirlo. A loro ho dato una spiegazione; dopo l'elenco ne ho data un'altra. Può darsi pure che mi sbaglio, ma la mia convinzione è questa.

CORSINI. Vorrei tornare un attimo alla questione della perquisizione della casa di Bonati e alla ricerca del quadro del Romanino, perché lei nel marzo 1974 chiese l'autorizzazione, appunto, a perquisire l'abitazione di Bonati alla ricerca del furto. Ma mi si dice (avanzo questa come ipotesi, evidentemente con beneficio di inventarlo) che i carabinieri suoi dipendenti non eseguirono la perquisizione. Per quali motivi?

DELFINO. Queste sono illazioni pure e semplici. C'è stato un processo, c'è stata un'istruttoria condotta dal dottor Simoni. Quello che ricordo con esattezza è che i miei uomini, che si recano a perquisire la casa del Bonati, trovano la sorella del Bonati che dice, quando inizia la perquisizione (quindi la perquisizione è stata fatta): "Ma per caso cercate un quadro dove è raffigurato un cane?". A quel punto la madre - risulta agli atti - si gira e dà uno schiaffo alla figlia: cioè, la sorella del Bonati - e questo, ripeto, è riportato negli atti - dice: "II quadro è stato in casa nostra. La perquisizione è stata fatta". Se esiste poi un altro documento in cui si dice che non è stata fatta tale perquisizione e c'è stata un'istruttoria e ci sono state delle condanne, io non so quando fosse ancora venuta fuori questa novità.

CORSINI. In base a quali nuovi elementi lei denunciò, nel gennaio 1975, una prima volta Bonati e Buzzi quali autori del furto e invece una seconda volta Bonati, Buzzi e Flavio Romagnoli?

DELFINO. Innanzi tutto c'è una vicenda che forse sarà oggetto di una sua domanda successiva. Intanto rispondo alla prima. Avevamo già in mano gli elementi, ma non eravamo riusciti a recuperare il quadro. La dichiarazione del dottor Arcai del 29 maggio, giorno dopo della strage di Brescia, che parla di Bonati che va da lui e gli parla del Romanino, diventa l'ultima ciliegia investigativa che mi consente di spedire un rapporto giudiziario che arriva in procura, viene timbrato; dopo dieci minuti o un quarto d'ora vengo chiamato al telefono dal dottor Risciotto, il quale mi dice: "Ritira subito quel rapporto, perché il dottor Arcai non intende assolutamente parlare o dichiarare quello che tu hai scritto". Le mie resistenze non sono valse a nulla. Per cui ritiro il rapporto, che conservo in cassaforte e che penso di avere qui con me, cancello la frase riportata e mando un nuovo rapporto. Nel corso del processo a Brescia in Corte d'Assise, questo rapporto diventa l'elemento secondo alcuni determinante per la soluzione del caso. "Delfino ha imbrogliato". Ho aperto la valigetta, ho estratto l'originale di un rapporto con il timbro della procura della Repubblica con la cancellazione ed è stato acquisito agli atti. Allora vivevo in Turchia; arrivo a Roma a prendere l'aereo per rientrare e leggo sui giornali che il fatto veniva addebitato ad un altro magistrato, cosa che non era corretta. Ho preso carta e penna (un foglio dell'Alitalia) e dall'aeroporto ho scritto al presidente della Corte d'Assise dicendo: "Ieri non ho detto il nome, non mi ricordavo perché non volevo; il nome è quello di Lisciotto". Quindi è stato tutto risolto, chiarito, con l'esibizione di un documento originale che mi era stato restituito con un timbro, invitandomi a cancellare quella parte che si riferiva e quindi aveva interesse, sia per la strage che per il quadro del Romanino. Infatti ho qui con me un verbale da me reso al dottor Simoni, dove riferisco i fatti.

CORSINI. Buzzi poi non fu nemmeno rinviato a giudizio per il furto. Bonati e Romagnoli furono invece condannati a miti pene per la ricettazione del marzo 1974. Io adesso devo farle una domanda piuttosto antipatica, ma è una domanda che scaturisce da voci e anche da articoli che sono stati scritti. E’ forse vero che l'accusa del furto fu un aspetto del lavoro ai fianchi di Buzzi per incolparlo della strage di Brescia?

DELFINO. E’ una tesi infondata.

CORSINI. Questa è una tesi che è stata sostenuta da alcuni.

DELFINO. Ma di tesi ce ne sono tante. Se solo lei in ventitre anni avesse avuto modo, o ha avuto modo come sindaco di Brescia e anche come onorevole, di seguire chi ha sollevato polveroni per distogliere l'attenzione della magistratura e delle forze di polizia dal nocciolo centrale, che era Buzzi, denunciando le coppole e tutti i fatti che avvenivano! Ogni giorno c'era un polverone nuovo che è servito soltanto a distrarre l'opinione pubblica dalla ricerca della verità, cercando di addebitare ad altri omissioni o travisazioni di fatti che in effetti non ci sono mai stati; mai!

CORSINI. Volevo tornare un attimo su Fumagalli. Vorrei ripercorrere una domanda che le è stata posta dal senatore Pellegrino e rispetto alla quale lei ha già dato una risposta, per quanto parziale. Non apparendo possibile a una persona normale, che valuta gli effetti di quelle che possono essere determinate scelte, che Fumagalli volesse (a meno che non fosse un totale mitomane) dare vita ad una sorta di guerra civile da solo, lei è riuscito ad accertare (su questo piano anche Arcai ha proposto alcune sollecitazioni) quali fossero non soltanto i suoi referenti politici, dei quali ha parlato Arcai, ma eventuali referenti in sede militare?

PRESIDENTE. Integro la domanda: lei è a conoscenza delle deposizioni di Orlando al giudice istruttore di Bologna e al giudice istruttore di Milano?

DELFINO. No, non conosco le deposizioni di Orlando. Ho cercato invano di catturarlo, ripetutamente, ma era all'estero. Su quanto riguarda la domanda precedente (e rispondo parzialmente alla domanda, per quello che so), una cosa è certa: che oltre alla guerra civile, secondo me, nel giorno del referendum, era la costituzione della Ridotta della Valtellina. Si tornava al vecchio discorso della Ridotta della Valtellina cioè una Repubblica presidenziale che aveva dei confini geografici che coincidevano con l'epoca di Salò. Quando è venuta fuori tutta questa vicenda, sono stato attaccato dall'onorevole Pacciardi, il quale mi imputava di essere contrario alla Repubblica presidenziale. Io risposi di non essere contrario alla Repubblica presidenziale, purché nascesse dal voto popolare e non attraverso le bombe; ma della Repubblica presidenziale della Valtellina era secondo me l'elemento primario.

PRESIDENTE. Lei quindi condivide un giudizio di questo tipo, che cioè il Mar potesse contribuire da detonatore alla strategia della tensione, soprattutto con gli attentati al tralicci in modo da creare una richiesta di svolta autoritaria specie nel periodo più prossimo al progetto della Rosa dei venti. Le sembra una ricostruzione credibile?

DELFINO. Non conosco la "Rosa dei venti" perché l'ho letta solo sui giornali. Anzi, con Arcai siamo andati, perché lui doveva interrogare Miceli, all'ospedale di Verona in una notte di nebbia nella quale lo accompagnai ma non assistei all'interrogatorio. Ritengo che se si fosse guardato attentamente a tutti i collegamenti nati dal Mar Fumagalli con tutte le organizzazioni, si sarebbe visto che il problema era più vasto di quello di Fumagalli. Rileggendo quindi dall'istruttoria, a posteriori, perché l'istruttoria la fece Arcai, il pubblico ministero e quindi le mie conoscenze su molti fatti giungono a posteriori perché non so che cosa dichiaravano a verbale.

CORSINI. Mi scusi possiamo tornare alla mia domanda? Lei era a conoscenza di rapporti con ambienti militari da parte di Fumagalli?

DELFINO. Ritorno al discorso perché Orlando ha parlato di rapporti con ufficiali dell'Arma e con ufficiali della Nato. L'unica deduzione che traggo, che ho già detto prima, è quella della P2.

CORSINI. Lei ha conosciuto personalmente il generale Palumbo? Che impressione ne ha tratto, che giudizio darebbe di questa figura?

DELFINO. Ho conosciuto il generale Palumbo e le dico una cosa che mi ha sorpreso. Era comandante della divisione di Milano nel momento in cui abbiamo portato a compimento l'operazione Fumagalli. Quindi veniva costantemente informato di tutto quello che facevamo e, quando richiedevamo rinforzi, anche dei motivi. Non ritengo, almeno né ufficialmente né indirettamente ho avuto mai la sensazione di incontrare ostacoli, anzi al contrario ho avuto la sensazione di compiacimento per quello che dovevamo fare. Debbo solo precisare un aspetto che forse serve a dare una chiave di lettura. E’ difficile in una istituzione come l'Arma dei carabinieri che un capitano tutte le mattine alle sei chiami il comandante generale per aggiornarlo su quanto è successo la notte e al mattino.

PRESIDENTE. Mi scusi, non la seguo.

DELFINO. Tutta la vicenda Fumagalli avviene nel periodo in cui c'è il comandante generale Mino il quale viene ripetutamente a Brescia, moltissime volte. E in ogni occasione vuole vicino il capitano Delfino per sapere come vanno le cose, al punto che pubblicamente - per pubblicamente intendo nella struttura dell'Arma - alla presenza del generale Palumbo, del generale comandante di brigata e comandanti di legione dice: "Tutte le mattine il capitano Delfino deve aggiornarmi su tutte le vicende successe chiamandomi a questo numero di casa mia".

PRESIDENTE. Saltando quindi le catene gerarchiche.

DELFINO. La catena gerarchica era a conoscenza, perchè poi io riferivo.

CORSINI. Mi scusi, ma per vicende successe nell'area territoriale di Brescia o generali?

DELFINO. Sul Mar Fumagalli, strage di Brescia, io tutte le mattine - e non ne ho saltata nessuna - chiamavo: "Eccellenza, buongiorno". "Delfino, hai dormito?". "No, non ho dormito, eccellenza". "Io debbo andare dal Presidente del Consiglio, debbo riferire i fatti " - perché Brescia era giustamente al centro dell'attenzione politica - "Debbo riferire al Presidente del Consiglio, quindi tu mi devi dire di prima mano che cosa è successo durante la notte e cosa avete in programma". Quindi io riferivo a sua eccellenza quanto avevamo fatto.

PRESIDENTE. Lei che spiegazione si dava di questa richiesta?

DELFINO. Mi sono convinto nel 1981, dopo aver letto l'elenco di questa P2 che c'era qualcosa di molto più grosso di quello che potessi aver immaginato allora da capitano.

FRAGALA’. Non nel 1977, nel 1981?

DELFINO. Nel 1981 è uscita la lista della P2.

FRAGALA’. Mino è stato abbattuto nel 1977.

DELFINO. Sull'abbattimento non ho alcun elemento, perché leggendo cinque giornali non si riesce a capire nemmeno l'ora in cui è avvenuto il fatto.

PRESIDENTE. L'onorevole Pannella ne diede subito una certa interpretazione in tempo reale.

DELFINO. Onorevole Corsini, voglio dirle un altro particolare che forse la può illuminare. Dopo la strage di Brescia, il 2 giugno 1974 compare - e quindi è disponibile, se non lo trova glielo do io perché sono anche un raccoglitore di fatti, perchè cerco di capire quello che è successo sulla mia testa o anche dietro di me - sul Corriere della sera, in prima pagina, un articolo nel quale si dice che grazie ad un pugno di uomini comandati dal capitano Delfino si è verificato qualcosa. Non si è verificata cioè, il giorno del referendum, quella costituzione eccetera. Chi scrive - e spero di non riportare in maniera inesatta le cose dal momento che ho buona memoria - è in grado di riferire nelle sedi competenti ciò che sa o ciò di cui era a conoscenza; firmato Zicari. Mentre ritornavo alla Procura della Repubblica di Brescia - allora non c'erano telefonini - sono stato avvertito da qualcuno arrivato urgentemente, di mettermi in contatto con il comandante della legione, il colonnello Morelli. Vado nel suo ufficio e il colonnello Morelli mi dice: "Dobbiamo chiamare urgentemente il generale Palumbo perché ti vuole parlare". Chiamiamo il generale Palumbo il quale mi dice: "Rintraccia immediatamente Giorgio Zicari e digli che nel pomeriggio deve venire da me".

CORSINI. Palumbo non poteva cercarselo da solo?

DELFINO. In quel periodo Zicari era a Brescia. Quindi rintraccio Giorgio Zicari e riferisco il messaggio. Lungi da me, giovane capitano con degli ideali che ancora ho, il pensiero che alle mie spalle vi potessero essere congiure. Alla mia richiesta Giorgio Zicari dà in escandescenze. "Questi mi vogliono uccidere". Sento dire che i miei ufficiali vogliono uccidere Zicari e gli chiedo: "Ma tu da che parte arrivi?". "Non vado a Milano se non accompagnato da te". Gli dico che non posso andare a Milano perché ho da fare e tra l'altro non sono stato invitato a quest'incontro. Tutt'al più se vengo autorizzato mando il mio autista con la mia macchina per accompagnarlo. Mi sorge però il sospetto che la faccenda avesse qualcosa che non riuscivo a decifrare e do l'incarico ad alcuni dei miei uomini di pedinare Zicari per vedere - una volta affermato: "I tuoi mi vogliono uccidere" - che cosa aveva in animo di fare. E mi riferiscono che era entrato in quel negozio vicino piazza della Loggia...

CORSINI. So qual è.

DELFINO. ...e aveva comprato un registratore. Mi precipito quindi alla legione e avverto il generale Palumbo che Zicari si era munito di un sofisticato, per l'epoca, registratore. Verso l'una di notte suona all'ingresso della mia abitazione in Piazza Tebaldo Brusati, Giorgio Zicari. Rientra da Milano, entra in casa e dice: "Qui siamo alla fine. Mi hanno detto di stare attento quando attraverso la strada perché spesso i camion perdono i freni". Ora, che cosa era significato quel viaggio, che è documentato? Non è che io stia parlando - come qualche altro fa - senza riferirmi a documenti. E’ negli atti del Mar. Infatti poi viene interrogato Palumbo. Non so che cosa. Erano atti istruttori. Giorgio Zicari dice: "Sono stato ricevuto non al comando divisione, ma in un negozio dove apparentemente si vendevano prodotti di bellezza". Evidentemente era un ufficio coperto di Milano per un'attività di íntellígence.

PRESIDENTE. Un ufficio dell'Arma?

DELFINO. Non era dell'Arma. Non so se l'Arma avesse questi uffici. Io ho ritenuto fosse dei Servizi. Concludo, onorevole Corsini, solo un'aggiunta. In pratica lui affermava - e mi pare che sul problema ci sia stato un grosso dibattito, non vorrei sbagliarmi - che, secondo quello che è emerso, nel corso del colloquio era venuto fuori che il generale Palumbo, o chi lo aveva interrogato, Calabresi o non so chi, gli avesse detto: "Per ordine di Andreotti" oppure "Andreotti ci ha detto di dirle così". Quelli hanno negato di aver nominato Andreotti. Basta rileggersi gli atti del Mar Fumagalli. Questo è quello che ho vissuto io. Diverso è quello di cui sono venuto a conoscenza attraverso le letture. Su quello non posso essere preciso. L'episodio che ho vissuto io è quello che vi ho riferito.

CORSINI. Questo episodio conferma che Andreotti sembrerebbe essere una sorta di deus ex machina di tutti i misteri d'Italia.

DELFINO. Io le riferisco quello che è stato il dibattito. Quale sia stata la verità non sono in grado di dirlo perché non ero presente.

PRESIDENTE. In che anno sarebbe avvenuto tutto questo?

DELFINO. Il 2 o il 3 giugno 1974. A pochissimi giorni dal fatto.

CORSINI. Signor generale, visto che era presente, può ricostruire e darci la sua versione dell'incontro a Rovato con Pisanò e con, lo apprendo da lei, Tremaglia?

DELFINO. E’ negli atti del processo.

CORSINI. Non mi ricordo però se Arcai citasse Tremaglia.

MANTICA. Sì, lo faceva.

DELFINO. Non capisco il motivo per cui il dottor Arcai si sia tanto impuntato su questo. Il dottor Arcai mi chiama la sera prima e mi chiede di passare, da solo, la mattina con la macchina perché deve "incontrare un confidente". Io gli chiedo perché debba essere io a guidare la macchina visto che abbiamo un autista. Finora nessun elemento del nucleo investigativo ha dato adito a comportamenti lesivi della riservatezza e della segretezza e non capisco. Andiamo a prenderlo sotto casa e partiamo. Su suo invito imbocchiamo l'autostrada e, lungo l'autostrada, prima di arrivare a Rovato, il dottor Arcai ci dice di uscire per Rovato stesso. Lì troviamo un'autovettura e ho riconosciuto uno dei due occupanti. Non ricordo se Pisanò o Tremaglia. Ci siamo scambiati i saluti e i convenevoli e ad un certo punto uno dei due dice che potremmo parlare di quello che è successo a Brescia. Gli domando perché dobbiamo farlo in mezzo alla strada quando c'è una stazione dei carabinieri a Rovato. Andiamo e ci trasferiamo nella stazione dei carabinieri. C'era un registratore, non portato da me, mi pare che l'abbia portato il dottor Arcai o che ce lo avesse chiesto a noi, non era però stata iniziativa mia portarlo, anche perché neppure sapevo chi fossero le personalità che avremmo incontrato. Chiedo anzi scusa all'onorevole Tremaglia e non voglio accusarlo di essere un "confidente", ma era stata un'espressione per spiegare che la faccenda era delicata. Andiamo quindi nella caserma di Rovato e loro parlano. Quando ho sentito Pisanò dire ad Arcai: "Avete arrestato quattro poveri ragazzi del Mar di Fumagalli, questi sono quattro contrabbandieri", la cosa non mi è piaciuta. Ho detto che a mio parere si cominciava male e me ne sono uscito. Però ogni tanto rientravo. In una di queste mie entrate nell'ufficio sento espressamente Pisanò che fa questa dichiarazione: "Ma la strage di Brescia" - mi scuso per l'espressione - "è imputabile a quattro pederasti, a quattro ladri". Poi ha proseguito. Ritorniamo a Brescia, mi affida il nastro per decifrarlo e qualche maresciallo, non so chi, comincia a riportare in chiaro il contenuto della registrazione. Mi pare poi che il giorno dopo, era una faccenda lunga, giunse una telefonata del dottor Arcai per dire di riportare tutto senza fare niente. In quel momento ho fatto la copia. Restituiamo il nastro quindi e una copia la porto al procuratore della Repubblica che non sapeva niente, come non sapeva niente nemmeno il sostituto. Dico loro: "Non vorrei che un domani qualcuno mi portasse le arance in carcere per aver soppresso qualche cosa. E' successo questo". E il procuratore della Repubblica dispone che quel nastro, conservato in busta sigillata, con timbri della Procura, sia conservato nella cassaforte del comandante della legione dei carabinieri di Brescia, colonnello Morelli. La mia deposizione nessuno l'ha mai contraddetta, mi consenta di dirlo Presidente, perché tre giorni di interrogatorio in Corte d'Assise di Brescia non sono stati smentiti da nessuno, solo da illazioni. Vengo interrogato e sembra che questo nastro originale non contenesse più le dichiarazioni. Ricordo allora l'episodio e dico al Presidente che c'è un'altra copia del nastro. Viene presa quest'altra copia e, se non vado errato, conteneva esattamente quello che sto dicendo io.

PRESIDENTE. Il dottor Arcai però ci ha detto che non è questa la versione. Lui sostiene che c'era un cancelliere, un verbale, che tutto era firmato e trascritto.

DELFINO. Prendiamo gli atti della Corte d'Assise di Brescia e mi si denunci per aver detto il falso. Lì c'è un mio verbale...

PRESIDENTE. Lui questo lo dice. Sostiene però che il pubblico ministero non le fece le contestazioni che le avrebbe dovuto fare.

DELFINO. A me?

PRESIDENTE. Questo è quello che ci ha detto il dottor Arcai.

DELFINO. Qui, se mi consente, Presidente, il problema è un altro. Se giustamente, come lei dice, una Commissione come quella da lei presieduta deve non entrare nei particolari, almeno si deve basare su fatti che sono stati scritti e redatti in maniera inequivocabile allora. Se il dottor Arcai ha la possibilità di dimostrare o di dire che questo è falso...

PRESIDENTE. Non vorrei sembrarle sgarbato ma la storia tra lei e il dottor Arcai sembra quella di un bel romanzo dal titolo "I duellanti" da cui è stato tratto anche un bel film. Voi avete a lungo collaborato, poi per quella vicenda del figlio questo rapporto si è interrotto: da allora sono passati circa ventitre anni non fate che rimpallarvi queste accuse reciproche.

DELFINO. Rispondo alle falsità.

PRESIDENTE. Trovo interessantissima la sua audizione ma per il quadro generale che ci propone.

DELFINO. Allora non mi faccia le contestazioni del dottor Arcai.

PRESIDENTE. Non gliele sto facendo io ma l'onorevole Corsini. Vorrei passare brevemente in seduta segreta.

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 23,26.

...omissis ...

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 23,32.

CORSINI. Vuole ricostruire come lei è arrivato alla figura di Cesare Ferri? Mi pare che si avvalesse allora del maresciallo Toaldo.

DELFINO. Il Toaldo era un personaggio di chiesa, un sottufficiale che conosceva tutti i parroci: faceva opere di bene anche a casa degli arrestati e conosceva tutti, anche la madre di Buzzi ecco perché forse il dottor Arcai riferisce che qualcuno aveva come confidente il Buzzi. Quando Toaldo viene a dirci...

PRESIDENTE. Era uno strano personaggio.

DELFINO. Forse è diventato strano dopo con gli anni, dopo che è stato interrogato. Quando eravamo insieme era un tipo molto posato che raccoglieva notizie specie in campo ecclesiastico. Portò la notizia che il sacrestano della chiesa vicino a piazza della Loggia aveva riconosciuto nella fotografia del Ferri colui il quale la mattina prima della strage era in chiesa con una busta o una borsa in mano. Abbiamo portato subito la notizia alla magistratura.

CORSINI Risulta agli atti del dibattimento Mar un rapporto del colonnello Morelli datato 30 maggio1974 diretto al procuratore della Repubblica che indizia quale autore della strage il gruppo di Giancarlo Esposti. Lei ricorda qualche elemento di questa segnalazione?

DELFINO. Il colonnello Morelli ha fatto un rapporto?

CORSINI. Sì, è presente negli atti del dibattimento.

DELFINO. Guardi, veramente è la prima volta che sento che il colonnello Morelli ha fatto un rapporto perché tutte le volte che è stato interrogato dopo le conferenze stampa che ha reso ha detto sempre: "Chiedetelo a Delfino, non so niente". E’ un fatto del quale non so nulla.

CORSINI. Mi si dice - ma riferisco solo quello che mi si dice - che nel maggio 1974 gli ufficiali della legione di Brescia dovevano fare una gita di istruzione ad uno stabilimento di Mantova, come al solito per il giorno di sabato. Questa gita di istruzione sarebbe stata poi rinviata al 28 maggio, quando fin dal 21 maggio era giunta al giornale di Brescia quella famosa minaccia di attentati che avrebbero colpito comunisti, socialisti e forze dell'ordine. Lei era stato avvertito di questa minaccia? E’ al corrente del motivo per cui questa gita venne spostata? Ha fondamento questa voce?

DELFINO. La voce ha un fondamento visto che ogni anno, con il contributo dei comandanti delle scuole, viene stilato un programma di aggiornamento professionale per gli ufficiali, che vengono accompagnati a visitare, ad esempio, lo stabilimento di Melfì per vederne l'attrezzatura. Quella gita rientrava nel quadro di un aggiornamento professionale, ma non ne conosco i termini. Mi pare che il dottor Zorzi se ne sia interessato, mi pare di aver letto qualcosa nella sua ordinanza, ma non conosco i fatti perché, come comandante del nucleo investigativo, non partecipavo a quelle gite a meno che non fossi libero da impegni, e veramente di impegni ne avevo tanti. Quindi non ero interessato e non sono in grado di dirle se era prevista una visita che poi è stata rinviata.

CORSINI. E’ noto che in piazza della Loggia quella mattina c'era un reparto dei carabinieri al comando di un ufficiale e di alcuni sottufficiali. Tale reparto, a causa della pioggia, fu spostato per far posto alla folla. Risulta che lei avrebbe assunto a verbale il maresciallo di pubblica sicurezza De Lorenzo, che dettò poi gli identikit, ma non interrogò quell'ufficiale e quei sottufficiali che erano vicini al cestino al momento dell'esplosione. E’ vero questo?

DELFINO. Io non ho mai interrogato nessuno.

CORSINI. Non sto parlando di lei. Risulta che lei ha assunto a verbale il maresciallo di pubblica sicurezza De Lorenzo. O no?

DELFINO. Io non ho assunto a verbale nessuno.

PRESIDENTE. Questo fatto che i carabinieri dovevano posizionarsi dove poi si mise la folla è vero?

DELFINO. In base alla ricostruzione fatta, a causa della pioggia i carabinieri si sono messi in un altro posto.

CORSINI. Secondo lei può avere fondamento la teoria da alcuni sostenuta che, in realtà, i destinatari della bomba fossero i carabinieri e non i cittadini?

DELFINO. Possiamo passare in seduta segreta, per favore?

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 23,38.

... omissis ...

I lavori proseguono in seduta pubblica dalle ore 23.53.

DELFINO. Colui che sostiene queste tesi deve pure raccontarle per bene. Dopo la strage di piazza della Loggia, nel 1974 giunse a Brescia l'allora tenente colonnello Franciosa, che faceva parte del gruppo antiterrorismo del generale Dalla Chiesa, per svolgere accertamenti - non con me, ma nell'ambito della magistratura - in quanto, secondo una fotografia, risultata poi non aderente alla verità, sembrava che Curcio stesse assistendo alla manifestazione o ai funerali. Quindi, lo stesso Franciosa ha contattato i personaggi che raccontano queste cose i quali hanno sostenuto che non si trattava di Curcio. D'altronde non sono stato io a compiere le indagini.

PRESIDENTE. C'è un punto a cui lei non ha risposto. Corsini le ha domandato se le possa sembrare credibile che l'obiettivo nel 1974 fossero i carabinieri, lasciando perdere le conflittualità interne all'Arma.

DELFINO. Per deduzione, se la strage di piazza della Loggia è una conseguenza delle attività repressive condotte esclusivamente dai carabinieri, nel Mar Fumagalli e anche nelle indagini sulla morte di Silvio Ferrari, io affermo, sempre a livello di deduzione, che non è escluso che l'ordigno fosse stato diretto ai carabinieri.

PRESIDENTE. Non potrebbe sussistere un'altra spiegazione e cioè che si attaccassero i carabinieri perché qualche alta solidarietà che i carabinieri avevano precedentemente avuto con questi gruppi nel 1974 era venuta meno?

DELFINO. Partendo dal presupposto che l'organizzazione della manifestazione è stata così improvvisa, non penso che gli ordini - sempre che siano stati dati ordini - da parte di un'organizzazione nazionale avrebbero avuto il tempo di cogliere questi aspetti, perché ciò sarebbe stato possibile in altri momenti.

PRESIDENTE. Mi sembra un'osservazione puntuale.

CORSINI. Lei ha mai avuto rapporti con l'ufficio D del Sid o con l'ufficio Affari riservati del Ministero dell'interno?

DELFINO. Non ho mai conosciuto né D'Amato, né l'ufficio degli Affari riservati, né il Sid.

PRESIDENTE. Dopo il '78 lei entra in forza al servizio militare.

DELFINO. Ma non nell'ufficio D, nell'ufficio R.

PRESIDENTE. In effetti il generale Maletti ci ha detto di non conoscerla.

DELFINO. Meno male che qualche volta si incontra qualche amico.

CORSINI. Lei ha presente quella famosa frase di Giancarlo Esposti a suo padre: "Hanno preso il vecchio, i carabinieri hanno tradito". Come interpreta questa frase?

DELFINO. Riconduciamola alla risposta che ho dato prima: chiediamo a Labruna cosa significava che il capitano Delfino ha rotto le uova nel paniere. Labruna era un capitano dei carabinieri, quindi...

FRAGALA’. Ma non si presentava così, Labruna era sempre in copertura, non si presentava come capitano dei carabinieri.

DELFINO. Non lo so, non l'ho mai conosciuto. Ma lo sapevano che era capitano dei carabinieri.

PRESIDENTE. Vorrei dare la parola al senatore Mantica, che se non sbaglio non è mai intervenuto nella nostra Commissione.

MANTICA. Ringrazio il Presidente e non farò domande specifiche, ma cercherò di aiutare il capitano Delfino di allora a capire alcune cose, premesso che del generale Delfino ho una stima superiore a quella che lui stesso si è dato, nel senso che lo ritengo uno dei più brillanti ufficiali dell'Arma dei carabinieri.

Spiego ora il mio ragionamento. Sono stato segretario giovanile del raggruppamento del Movimento sociale italiano negli anni dal '69 al '71, i cosiddetti anni di San Babila. Vorrei ricordare a questa Commissione, ma soprattutto al generale, due episodi che danno il clima di quegli anni e forse spiegano il perché il segretario provinciale del Movimento sociale italiano - come ha ricordato il capitano Delfino - segnalava al carabinieri alcuni episodi inquietanti o comunque particolari. Il 24 maggio 1970, dopo un comizio dell'onorevole Almirante, ci fu un episodio sgradevole, che ovviamente nulla ha a che fare con Brescia, ma sto cercando di spiegare il clima di quegli anni. I reparti di polizia aggredirono, sparando ad alzo zero i candelotti lacrimogeni, la folla che defluiva dalla piazza. Due reparti dei carabinieri che sostavano di fronte al portoni del duomo si rifiutarono di intervenire, per cui si assistette ad un episodio incredibile, cioè che mentre la polizia operava, il pubblico applaudiva l'Arma dei carabinieri. 12 aprile '73, via Bellotti, agente Marino. Quando qualcuno pensò che era bene far sapere cosa era successo, non si pensò di andare alla Digos, che era il reparto della polizia notoriamente addetto a questa funzione, ma Loi e Murelli furono mandati da un colonnello dei carabinieri, perché - si diceva - i carabinieri sono amici. Allora, generale Delfino, i rapporti che l'estrema destra ufficiale e l'estrema destra eversiva avevano in quegli anni con l'Arma dei carabinieri erano di grande attenzione, che se a livello ufficiale si traduceva nel rispetto verso l'Arma, che si sentiva meno guidata dalla politica, nel mondo non ufficiale, - quel mondo che circondava le attività di partito (siamo nel periodo '69-74, poi la situazione cambia) - i carabinieri erano più o meno i destinatari di una speranza, che era quella che prima o poi sarebbero intervenuti, nei secoli fedeli, e avrebbero rimesso le cose a posto. Generale Delfino, voglio dire che lei non poteva non conoscere allora, se non altro come informazione di ambiente, questo particolare rapporto che vi era nel confronti dell'Arma da parte della Destra radicale eversiva e - se mi consente - anche degli sbandati o dei presunti rivoluzionari che circondavano questo ambiente. Le dico questo perché troppe volte nella storia di quegli anni ci fu da parte della Destra, soprattutto di quella radicale, un atteggiamento di grande confidenza con i carabinieri: le cose si dicevano ai carabinieri, non alla Digos e non alla polizia, e non credo di sbagliare se dico che questo clima era conosciuto anche dall'altra parte: ricordo il generale De Lorenzo, il golpe del '64, sto parlando di un clima, di un ambiente, non di fatti. Questi elementi forse molte volte sfuggono all'attenzione della Commissione nella ricostruzione storica, anche se non sto parlando del primo livello e del comando, ma della manovalanza, che serviva - e uso la parola servire esplicitamente - a fare determinate cose. Torno a dire che il segretario provinciale del Movimento sociale, che era Umberto Scaroni, parlava con i carabinieri e questo tra l'altro era noto anche a noi. Così non è un caso che quando il senatore Pisanò e l'onorevole Tremaglia decidono di parlare con Arcai, quest'ultimo chiede la presenza del capitano Delfino perché davanti ad un carabiniere avrebbero parlato e davanti ad un poliziotto no. Dico queste cose per averle vissute, anche se a mia difesa dico che non ho parlato mai né con carabinieri né con la polizia. Allora, questo è il clima ed è assolutamente conosciuto, un clima nel quale si muovono alcune situazioni. Non ho una mia opinione sulla strage di Brescia basata sui fatti, ma posso ritenere credibile che le varie piste o le varie ipotesi si confondano: era molto facile trovare matti disponibili a fare certe cose. Quando il generale Delfino dice che Buzzi porta un emblema delle SS sulla mano, ricordo a me stesso, al generale e ai colleghi della Commissione, che vi era una ricerca anche nell'abbigliamento. La Destra radicale usava i Rayban che non erano usati dalla Sinistra, usava i camperos, che oggi non conosce più nessuno, ma che erano degli stivali con la punta di legno; ovviamente non usava l'eschimo, non usava la sciarpa e vi erano alcune situazioni - cito il gruppo Alfa a Milano - che per distinguersi da una realtà populista della Sinistra veniva alle manifestazioni con pullover di cashemere bianco, calzoni di panno bianco da cavallerizzo e stivali da cavallerizzo. Quindi, c'è anche un ambiente non politicizzato, non strettamente legato a obiettivi politici, che fa però manovalanza e può fare molte cose: dal furto di polli al furto di quadri fino allo sfruttamento della prostituzione. Allora lei deve dirmi se questa rappresentazione iconografica di una situazione che le giuro che è vera, nel senso che l'ho vissuta nella parte ufficiale della vicenda, non poteva non essere conosciuta a Brescia, né tantomeno sconosciuta da un ufficiale di grande intelligenza e sensibilità come lei è certamente. Allora, quando prima ho reagito sulla questione Buzzi confidente, non è stato perché io pensi che sia un confidente dei carabinieri organico, come probabilmente non erano organici molti altri; né mi stupisce che lei citasse la pizzeria Ariston, che io non conosco, perché mi pare ovvio che ci siano dei punti di aggregazione di questa gente. La città di Brescia, che invece conosco bene, certamente non è una città tentacolare con dieci milioni di abitanti. All'epoca poi, ricordo, c'erano zone della città che erano destinate ad alcune situazioni politiche. A Milano, a San Babila, c'eravamo noi; corso Europa era terreno neutro; piazza Santo Stefano era dell'organizzazione di sinistra. Non fu mai fatto alcun patto al trentottesimo parallelo, ma le giuro che in corso Europa non andava nessuno dei due, né qualcuno di noi pensava di andare a prendere una pizza a piazza Santo Stefano o viceversa qualcuno dalla sinistra pensava di venire a prendere un aperitivo al Gin Rosa. Quindi, anche queste situazioni territoriali erano perfettamente conosciute. C'erano in tutte le città ed erano delle situazioni normali. Allora, in questo clima, mi domando: come può, generale, ancora oggi sostenere: «Viene da me Maifredi». E’ un caso? Lei vuole sapere perché. Viene da lei Papa. A un certo punto lei dice: «Papa viene da me e mi racconta questa cosa».

DELFINO. No, non da me. Va dal nucleo investigativo.

MANTICA. Qui inserisco la domanda ultima di Corsini. «I carabinieri hanno tradito», era un fatto gravissimo per quell'ambiente. Voglio farle capire che se avesse detto: «I poliziotti mi hanno tradito», era un fatto normale; «la Digos mi ha denunciato», era un fatto quotidiano. «I carabinieri hanno tradito», è un fatto clamoroso in quella logica, in quel tempo, in quella situazione, in quella cultura. Una frase del genere non può essere stata buttata lì. In questo clima, in questo quadro, con collegamenti tra Brescia, Milano, Verona, Pavia, Cremona, mi pare ovvio capire e sapere che ci sono questi tipi di comunicazione; mi pare ovvio che l'Arma dei carabinieri conoscesse anche persone che si muovevano, perché queste cose non avvenivano nel segreto, avvenivano nelle piazze, nei bar, nei ristoranti, nel luoghi di aggregazione. E’ per questo che parlo di eventi accaduti fino al 1974: ben diversa la cultura e la mentalità del terrorismo successivamente; terrorismo che si organizza, si attrezza, si dà una organizzazione paramilitare, ha le sedi segrete. Fino al 1974 bastava venire a San Babila e fermarsi due ore per sapere tutto quello che stava accadendo. Quindi, ripeto, torno a dire, mi pare che questo tipo di realtà non poteva non essere conosciuta da voi carabinieri e quindi la mia non è una domanda specifica quando dico: «Come può ancora oggi sostenere, in questo quadro che lei certamente ha conosciuto, isolare i fatti per se stessi: Buzzi, Papa, Ferri»? C'è un ragionamento organico. Io allora affermo che all'epoca una struttura, come ad esempio il Mar di Fumagalli, non era inserita nel nostro mondo. Non dimentichi che a capo del Mar di Fumagalli ci sono i partigiani bianchi e allora avere anche un rapporto con un partigiano bianco era un tradimento. Oggi, ben altro è il mondo; allora, tra partigiano bianco e rosso non c'era alcuna distinzione tant'è vero che, semmai ci fu qualcuno, questi erano manovalanza bassissima, realtà quasi inesistenti, non conosciute. Ritorno a dire: non capisco come oggi, nel 1997, lei che ha vissuto quel periodo, che l'ha certamente analizzato, ha cercato di capirlo, possa venire in questa Commissione isolando i fatti per se stessi, non riuscendo a ricostruire una realtà, una cultura, un ambiente che ormai è conosciuto, è accettato da tutti. Per cui, mi ha dato la sensazione (glielo dico con grande onestà) che lei fosse come capitato in mezzo ad una tempesta non capendo bene da che parte tirasse il vento. Tutto ciò francamente provoca la mia incredulità di fronte alle sue dichiarazioni. Io non posso pensare che una persona certamente brillante (non credo si diventi generale dei carabinieri con facilità; io ho problemi a capire la carriera militare) non abbia rianalizzato questa situazione e ancora oggi venga a dire: «Isolando le questioni, individuando il rapporto con il giudice, piuttosto che Buzzi, Romanino, il maresciallo Toaldo», e così via. Io credo cioè, e concludo il mio intervento facendo un'affermazione, che anche il nucleo investigativo dei carabinieri di Brescia, inserito in assoluto rispetto delle istituzioni (perché - ripeto - i carabinieri dovevano difendere evidentemente la Repubblica italiana da chi immaginava cose diverse), era perfettamente a conoscenza di questo tipo di realtà. Posso pensare che la polizia giudiziaria di Brescia, intesa come carabinieri al suo comando, non facesse parte di alcun disegno strategico, anche se non poteva «non sapere che» (espressione che si usa molto oggi). Non a caso lei ha rapporti con certi personaggi: non a caso (le dico io qualcosa di più) certamente il segretario provinciale del Movimento sociale italiano di allora veniva a lamentarsi di realtà giovanili che non poteva controllare (penso al gruppo di Riscossa, di cui abbiamo parlato con l'onorevole Corsini durante l'audizione di Arcai) e di situazioni che sfuggivano al controllo del Movimento sociale italiano, che preoccupavano i responsabili del Movimento stesso e quindi le dava sicuramente una serie di informazioni che lei non poteva non acquisire, non archiviare, non memorizzare, per capire quale era la situazione di Brescia nella quale viveva. Ecco il motivo per cui ho voluto intervenire, siccome questo quadro, almeno per quanto mi riguarda, credo di conoscerlo bene. Ho conosciuto Giancarlo Esposti, ho conosciuto molti di questi personaggi. Credo di avere anche qualche responsabilità politica, perché alcune cose non si sono potute fare per evitare che degenerassero in situazioni di questo tipo. La mia non era una domanda, generale, era solo per dirle che non è possibile, nel 1997, ricostruire, e le giuro che lo sto ricostruendo con grande fatica anche se fa parte della mia vita; però immaginavo fosse possibile descrivere, oggi con maggiore serenità, un percorso ormai storico. Questa Commissione credo abbia ormai rinunciato a scoprire chi ha messo la bomba, perché è ormai difficile, ci sono depistaggi; sono passati ventritre anni, sono morti molti attori. Ma è difficile capire la logica e il ruolo dei vari soggetti. Generale Delfino, lei ad un certo punto nella sua esposizione ha detto: "La macchina che passa per il lago d'Iseo, ero d'accordo che qualcuno buttasse un pacchetto di sigarette vuoto, perché questo avrebbe significato che vi erano gli esplosivi". Su quella macchina erano in due: Kim Borromeo e Spedini. Dietro chi c'era? Maifredi dov'era?

DELFINO. L'ho detto: c'era Maifredi. Era Maifredi che era...

PRESIDENTE. Faccia finire la domanda, perchè dopo voglio dire io una cosa che vorrei restasse a verbale.

DELFINO. Vorrei rispondere al senatore Mantica. Non è solo una domanda la sua.

MANTICA. Non è una domanda; è un'osservazione!

DELFINO. E’ più che una domanda.

MANTICA. Non è possibile che queste cose non siano acquisite anche dal generale Delfino e che forse alla luce di queste cose non sia riconducibile o ricostruibile la storia di Brescia; non i singoli fatti, ripeto, la storia, la logica, in maniera meno frazionata, meno approssimativa, meno superficiale di quanto io l'ho avvertita - mi dispiace, generale - nella sua esposizione.

PRESIDENTE. Vorrei che restasse a verbale che io non ho vissuto quel periodo, ma ritengo che il quadro generale descritto dal senatore Mantica sia non solo verosimile, ma vero. Questo sulla base della conoscenza che io ho avuto in questi anni e della documentazione che ho potuto leggere.

CORSINI. Mi associo anch'io a questa sua osservazione.

PRESIDENTE. Mi sembra non una domanda, ma un contributo estremamente importante per cambiare il clima di questa Commissione. Se ragioniamo sul piano del senatore Mantica, penso che non dovremmo avere delle difficoltà nel dire al paese cosa è successo in quegli anni.

DELFINO. All'inizio della mia descrizione, senza sapere, perché non conoscevo o non ricordavo che lei appartenesse al Movimento sociale, ho dato atto che il segretario...

MANTICA. C'è il rapporto Mazza, con due pagine.

DELFINO. Ora che ha fatto il cognome mi ricordo. Ho dato atto che proprio il segretario provinciale del Movimento sociale italiano di Brescia era preoccupato di possibili sviluppi anche in senso estremistico del movimento politico bresciano. I due fratelli Fadini, contrariamente a quanto è stato detto in questa Commissione, sono stati assolti dal reato di cospirazione politica e sono stati invece condannati a sei mesi per altri motivi. Innanzitutto, mi consenta di fare una precisazione perché lei tocca l'Arma dei carabinieri.

MANTICA. Con grande rispetto.

DELFINO. Non mi pare dal suo intervento che vi sia molto rispetto. Scusi onorevole, ma sono abituato a parlare chiaro e ad esprimere i miei giudizi. Quando lei dice che noi eravamo quasi in combutta, lei cancella la storia dell'Arma dei carabinieri, i sacrifici e i morti sopportati dall'Arma. Il capitano Delfino sgomina quell'organizzazione che sta portando lutti in Italia. Le rispondo che non escludo che vi fossero a livello personale ufficiali, sottufficiali che avessero idee da una parte e dall'altra.

MANTICA. Mi scusi non ho detto questo, tengo a precisarlo. E’ il mondo della destra che vide i carabinieri in una valutazione ... Voi siete lo Stato, le istituzioni, gli unici capaci di riportare in questo Stato - allora giudicato corrotto, comunista, venduto alla Russia - ordine e legge. Questa è la logica.

DELFINO. Mi scusi la logica non la può individuare nell'Arma dei carabinieri.

PRESIDENTE. Quello che vuole dire il senatore Mantica, che ha espresso meglio di me quanto io stesso volevo dire, è che la verità sulle singole stragi non si raggiungeva perché tutto il quadro generale veniva in qualche modo rimosso e tutto si chiudeva su una serie di fatti particolari che poi non reggevano al vaglio dibattimentale. Questo è quanto volevo dire in precedenza e il senatore Mantica lo ha espresso meglio di me.

DELFINO. Prendo atto che il senatore Mantica non voleva dire questo, ma il solo fatto che l'allora capitano Delfino smantella un'organizzazione che aveva una tendenza politica non significa che altri, ma singolarmente, guardassero verso un mondo... il famoso rapporto Mazza e i due estremismi dei quali abbiamo avuto notizia diretta. Ora conoscere la situazione locale - lei giustamente dice che non si può venire in Commissione oggi, dopo ventitre anni - è importante. In primo luogo, se ventitre anni fa lei, senatore Mantica, fosse stato interessato a descrivere quello che stava succedendo a Brescia o a Milano e se non avesse fatto parte di un entourage politico, sarebbe stato in grado di descriverlo? In secondo luogo i miei compiti non erano politici. Ero un ufficiale di polizia giudiziaria che sulla base di un preciso articolo del codice di procedura penale aveva l'obbligo di riferire i fatti e non di giudicarli. Guai nel momento in cui l'ufficiale giudica. L'ufficiale deve riferire i fatti, assicurare le prove e ricercarle. Nel contesto storico in cui si sono verificati quei fatti, dopo ventitre anni siamo in grado di disquisire sulle varie componenti, su ciò che si agitava. Allora avevamo otto morti e centodue feriti per i quali dovevamo dare, come ufficiali di polizia giudiziaria, una risposta all'autorità giudiziaria. Ora, in questo contesto di gioia o di acclamazione - come mi sembra di avere intravisto nelle sue espressioni quando affermava che i carabinieri che non intervenivano venivano applauditi - ... Oggi, dopo ventitre anni, possiamo dare giudizi più aderenti a quella realtà che tutti abbiamo vissuto, chi a Brescia chi a Milano. Ricorda via Larga, e le dichiarazioni del Governo su quanto era accaduto la sera di sabato nella quale furono distrutte macchine, negozi. Il Governo disse che non era successo nulla e quando si parlò di un intervento che tutti sapevamo come attuare perché attraverso le vie perpendicolari a via Larga vi era la possibilità di intervenire, la risposta fu: «E se muore qualcuno di loro, cade il Governo?».

PRESIDENTE. Loro chi?

DELFINO. I manifestanti. Se muore un manifestante cade il Governo. Morivano i carabinieri, morivano i poliziotti e il Governo non cadeva. Quindi l'analisi che lei fa oggi dopo ventitre anni la riporti nel clima politico di allora in cui la destra - ho dato atto prima ancora che lei intervenisse che noi abbiamo avuto contributi di idee e di notizie anche dal Movimento sociale - era un porto. Guai al giorno in cui l'ufficiale di polizia giudiziaria va dal prefetto a dire che ha commesso un omicidio e chiudiamo. Il mondo della polizia giudiziaria è una ricerca - come dicono gli inglesi - in un ambiente pessimo ma fatto da gentiluomini, cioè la ricerca della notizia, nessuno poteva non sapere. Oggi. Allora cercavamo prostitute, estremisti, chi dava notizie; ma per fare che cosa? Non un'analisi politica che non mi competeva giudicare i comportamenti politici. I compiti che avevamo erano quelli di riferire all'autorità giudiziaria.

PRESIDENTE. Guardi generale, lo dico in seduta pubblica, anche se c'è stato riferito in seduta segreta ma non capivo il senso di quella scelta. L'onorevole Forlani ci ha detto una cosa molto importante. Quando nel 1974 dice in un comizio la famosa frase: «Abbiamo sventato uno dei tentativi più forti che ci siano stati contro la democrazia in Italia», egli ci ha riferito che l'allarme gliel'aveva dato Almirante. E’ evidente quindi che c'era una sensazione a livello della struttura ufficiale del Movimento sociale di un mondo marginale che sfuggiva al controllo. Ma, se lei mi consente, non poteva essere Giancarlo Esposti la minaccia alla democrazia italiana. E’ evidente che Almirante e Forlani capivano che ci potevano essere forze molto più forti che utilizzavano quella manovalanza. Questo è il senso della storia del Paese.

DELFINO. Ci sono dei quadri ma io non posso andare oltre i fatti. Alcune sono deduzioni, ma dopo ventitre anni. Se allora avessi avuto la possibilità di fare deduzioni, le avrei esposte in un rapporto nel quale indicavo l'esito dei miei compiti che erano quelli di ufficiale di polizia giudiziaria. Oggi possiamo discutere tranquillamente, ma io ho fatto la premessa del contributo che è stato dato...

PRESIDENTE. Ma stasera stiamo parlando non con il capitano Delfino, ma con il generale Delfino.

DELFINO. E allora io debbo riferire i fatti. Mi pare che abbiamo tenuto segrete tante cose e il mio giudizio non mi sembra lontano da quanto lei dice.

PRESIDENTE. Ritengo che la verità sia diffusa, stia nelle carte. Non bisogna fare indagini specifiche, se mettiamo insieme tutto quello che sappiamo, il quadro di insieme viene fuori con grande chiarezza.

DELFINO. Mi pare di aver abbondato nei particolari.

FRAGALA’. Signor generale, prendo spunto dall'attualità per una domanda retrospettiva. Lei stasera ha illustrato alla Commissione un curriculum militare, investigativo e di intelligence di grandissimo livello. Lei ha il petto pieno di decorazioni, ma, nonostante questo, ha lamentato una condizione di persecuzione giudiziaria.

PRESIDENTE. Temo, onorevole Fragalà, che lei si stia richiamando a delle cose che ci sono state dette in seduta segreta.

FRAGALA’. Sì, ha ragione. Passiamo in seduta segreta, Presidente.

I lavori proseguono in seduta segreta alle ore 00,25.

... omissis ...

I lavori riprendono in seduta pubblica dalle ore 1,05 del 26 giugno.

DE LUCA Athos. Penso che lei non sia venuto qui soltanto in virtù di questa querelle con il giudice Arcai...

DELFINO. Scusi onorevole, io non ho chiesto niente.

PRESIDENTE. E’ stata una mia iniziativa: mi è sembrato giusto che il generale Delfino venisse ad esporre il suo punto di vista una volta che Arcai aveva chiesto di essere sentito.

DE LUCA Athos. Credo che lei sia venuto qui non soltanto per ribattere le questioni sollevate del giudice Arcai, ma anche mosso da qualche altro intento. In questa lunga audizione sono emerse anche cose interessanti. Ci ha fatto intravedere che in alcuni momenti della sua brillante carriera è stato scomodo e per questo veniva trasferito; il punto sul quale riscontriamo una singolare analogia tra il comportamento dei leader politici venuti in questa Commissione ed il comportamento di un grande personaggio che viene dall'Arma, è che il livello politico rimane sempre fuori dalla nostra analisi. E’ evidente che partiamo da un atto di ingenuità, perché pretenderemmo che persone che vivono al secolo possano, in questa sede, fare dei riferimenti più precisi a responsabilità politiche. Lei ha detto che in molte situazioni ha visto delle nebbie, o che comunque non c'erano chiarezze. E’ possibile che un uomo che ha avuto il suo potere, che era il terminale in moltissime informazioni, che ha vissuto a fianco a persone importanti non sia in grado di indicare alla Commissione delle responsabilità politiche degli uomini che in quel momento governavano il paese? Le faccio una domanda particolare su Taviani, che ascolteremo fra pochi giorni: quale è stato il ruolo di Taviani rispetto a questo porto delle nebbie, espressione che è stata usata per la procura di Roma? E’ vero che il Maifredi aveva avuto occasione di salvare la vita all'onorevole Taviani? Le risulta qualche cosa? Quando lei accompagnò il giudice Arcai con l'onorevole Pisanò, quali erano le finalità dell'incontro? Le chiedo ancora: lei ha mai conosciuto Walter Beneforti? Le è mai stato offerto di aderire alla massoneria? Ha avuto modo di conoscere il Filippi, coinvolto nel conflitto a fuoco di Pian del Rascino in cui morì Giancarlo Esposti? Quale fu il ruolo dei super testi Bonati Ugo e Ombretta Giacomazzi nella prima istruttoria? I testi erano completamente affidabili o subirono pressioni? Ancora, con il giudice Arcai abbiamo discusso del famoso lavaggio della piazza. Lei ha saputo perché avvenne quell'intervento da tutti giudicato inopportuno? Infine le chiedo se ha qualcosa da dirci sulla morte del generale Mino.

DELFINO. Sulla morte del generale Mino non so perché dovrei conoscere qualche cosa; all'epoca comandavo Milano. Sulla morte di Mino penso che si siano intrecciate ipotesi sulle quali non si è arrivati a nessuna conclusione diversa da una caduta accidentale. Se avessi avuto un solo elemento, sarei andato dal magistrato. Su Taviani posso dire che l'ho incontrato due volte dopo il 1974. Un giorno, quando comandavo Alessandria o il Piemonte sono andato ad una manifestazione; Taviani mi vede e mi dice: «nella mia vita sono stato salvato due volte dai carabinieri, una volta in guerra e una volta da lei, capitano Delfino». Gli chiesi dove ma non me lo seppe dire. L'ho incontrato un'altra volta per caso e mi disse la stessa cosa.

PRESIDENTE. Lei lo avrebbe salvato senza rendersene conto. Domanderemo al senatore Taviani.

DELFINO. Poi lei mi ha fatto una domanda su un certo Filippi, io neanche lo conosco.

DE LUCA Athos. E’ un maresciallo.

DELFINO. Mi pare che dopo l'intervento di Pian del Rascino, per una questione di medici fosse venuto a Brescia appoggiandosi alla legione; mi pare sia lui, ma non l'ho mai conosciuto.

PRESIDENTE. Ma insomma, quello di Pian del Rascino fu un combattimento o un'esecuzione?

DELFINO. Presidente, ma quale esecuzione! Sulla base di quali elementi si può parlare di esecuzione? Secondo lei c'è oggi un uomo che possa ricevere un ordine da un suo superiore per uccidere una persona? Il superiore si metterebbe in questa situazione? Quando parliamo di trame...

PRESIDENTE. Generale, lei ha lavorato nei Servizi, ambienti nei quali la vita di un uomo non vale tanto.

DELFINO. Anzitutto i Servizi italiani, che tutti dicono esser deviati - ma tolti quattro o cinque, speriamo che qualcuno tiri fuori i nomi -hanno un carattere difensivo, hanno cioè il compito di raccogliere elementi per la difesa. Gli altri Servizi quello sovietico, quello americano e quello israeliano sono offensivi.

PRESIDENTE. E vi fu un conflitto a fuoco.

DELFINO. E’ un conflitto a fuoco del quale conosco le modalità apprese subito dopo, quando sono andati i magistrati con i miei uomini. Non ho mai avuto alcun elemento che quel conflitto a fuoco fosse stato causato da suggerimenti di esecuzione. Mai saputo questo.

DE LUCA Athos. Lei ha avuto mai contatti e rapporti per qualsiasi questione, con il Presidente del Consiglio dell'epoca?

DELFINO. Quale Presidente del Consiglio? Chi era? Ne abbiamo avuti tanti. Comunque, non ho mai conosciuto alcun Presidente del Consiglio. Se lo avessi incontrato in qualche cerimonia e lei per conoscenza intende: «Buon giorno, signor Presidente!», allora ne ho conosciuto qualcuno.

DE LUCA Athos. Quindi non ha mai partecipato a riunioni.

DELFINO. Riunioni per che cosa? A livello di capitano?

DE LUCA Athos. Nell'ambito delle sue funzioni.

DELFINO. Non sono stato mai ad alcuna riunione con alcun Presidente del Consiglio.

DE LUCA Athos. Lei ha mai conosciuto Walter Beneforte?

DELFINO. Certo! A Milano chi è che non conosceva Walter Beneforte! Non solo a Milano; nel Nord Italia. Per conoscenza a che cosa si riferisce?

DE LUCA Athos. In che occasione, per esempio?

DELFINO. A Milano? Ma in qualsiasi occasione. Se mi dice ora di fotografare le occasioni, come posso farlo? Beneforte era un ex funzionario di polizia, che poi si è messo nella sua società; non so che tipo di investigazioni faceva. Ma a Milano non c'era persona, nell'ambito delle forze di polizia, che non lo conoscesse.

DE LUCA Athos. Sull'incontro con Pisanò che cosa può dirmi?

DELFINO. Mi pare di aver spiegato che la sera prima il dottor Arcai mi telefonò dicendo: «Domani da solo venga con l'autovettura perché mi debbo incontrare con un confidente». Ripeto, questa espressione non vuole essere un'offesa per qualcuno; voleva essere una tutela. Siamo partiti. Non ero io che avevo chiesto di incontrarlo. Io mi sono trovato di fronte a Pisanò e Tremaglia, che avevano preso contatti con il dottor Arcai.

DE LUCA Athos. Le hanno mai offerto di aderire alla massoneria?

DELFINO. Mi sono domandato perché nessuno me lo abbia mai chiesto.

PRESIDENTE. E’ una domanda che mi faccio io ogni tanto.

DELFINO. Nessuno me lo ha chiesto.

DE LUCA Athos. E alla P2? Le hanno mai chiesto di aderire alla P2?

DELFINO. Nessuno me lo ha mai chiesto. Io non faccio parte di queste elíte.

DE LUCA Athos. Io non ho detto che lei ne faccia parte o ne abbia fatto parte.

DELFINO. Non facevo parte di questa gente nella scelta. Lì vogliono gente che dice sì; se trovano qualcuno che dice no saltano i meccanismi.

DE LUCA Athos. Cosa può dirmi della faccenda del lavaggio della piazza.

DELFINO. A prescindere che qualche giornalista da strapazzo, ha scritto che io ho lavato la piazza; quando è successo l'episodio io non c'ero.

PRESIDENTE. Però questa non è una notizia accreditata. In genere si dice che sia stato il commissario di polizia. Arcai ci ha detto invece che fu un errore della magistratura inquirente.

DELFINO. Io non so, perché sono arrivato dopo e le polemiche sono sorte dopo un po' di tempo, chi avesse dato l'ordine. Mi pare ci siano gli atti istruttori dell'interrogatorio. Non so che cosa abbiano detto coloro i quali hanno lavato la piazza. E’ una notizia di cronaca, ma io escludo, nel modo...

PRESIDENTE. L'ultima versione che abbiamo avuto è stata questa: arriva il procuratore capo; non compie un banalissimo atto dovuto di polizia giudiziaria e di inchiesta, cioè di bloccare tutto, di fare fotografare, di fare rilievi e così via, per cui la cosa viene lasciata sostanzialmente a se stessa e sono i pompieri che fanno lavare la piazza.

DELFINO. Non conosco come sono andati i fatti, ma escludo nel modo più categorico che ci sia stata la volontà di qualcuno che ha dato l'ordine di lavare per far scomparire le tracce. Che ci siano stati poi, nel corso delle indagini, dei depistaggi...

PRESIDENTE. Anche in questo la sua versione e quella di Arcai coincidono. Però Arcai individua un momento di caduta, cioè un procuratore della Repubblica che non fa bene il suo mestiere. Sembra quasi che di fronte al fatto grave della strage perdano il controllo della situazione.

CORSINI. Lei arriva il 29?

DELFINO. No, io arrivo il 28.

PRESIDENTE. Però arriva la sera.

DELFINO. No, verso le 14,30 o le 15.

DE LUCA Athos. Al di là del fatto che lei ritiene non ci sia stato dolo in questa azione, comunque lo ritiene un intervento opportuno?

DELFINO. Adesso, seduti qui, come dicevo prima, possiamo criticare tutto, se hanno fatto bene o meno. Lei si riporti in quel clima, nel clima sociale che si era creato e che l'effetto giustamente aveva creato, quanti errori possono essere stati compiuti? La cosa interessante è che gli errori siano colposi e non dolosi. Che sia sfuggito a qualcuno dire che era necessario un sopralluogo, un verbale...

PRESIDENTE. Non muovere le vittime, chiamare i periti.

DELFINO. Le faccio un esempio: ancora oggi noi abbiamo un centro investigazione scientifica, che è un gioiello, dove arrivano esperti ad effettuare il sopralluogo, dove raccolgono tutto e dove si scoprono spesso dei fatti. Tante volte qualcuno non chiama nessuno e fa da solo il sopralluogo. Dopo tre mesi scopriamo...

PRESIDENTE. Noi, come Commissione parlamentare, dobbiamo dare anche un giudizio sulle inefficienze. In queste storie di cui ci occupiamo verifichiamo momenti di inefficienza incredibile. Uno è questo; l'altro è quello del Mig che cade in Calabria, che sembrava una specie di happening. Fosse stato un incidente con il ciclomotore avrebbero fatto degli accertamenti immediatamente; avrebbero fatto fotografie, misurato i reperti.

DE LUCA Athos. Inoltre le avevo chiesto: i supertesti Bonati Ugo e Ombretta Giacomazzi, quale ruolo ebbero nella prima istruttoria?

DELFINO. Come quale ruolo? Bonati era ricercato. Una volta catturato, viene interrogato dai magistrati.

PRESIDENTE. Lei ha idea di che fine abbia fatto Bonati?

DELFINO. Non ho mai avuto notizie, né qualcuno mi ha mai interessato in proposito, né ero in attività per dire di cercarlo, né avrei saputo dove cercarlo. Quindi io con Bonati non ho avuto alcun contatto.

DE LUCA Athos. Un'ultima domanda le pongo su un'affermazione che mi ha colpito. Lei ha detto che ha indagato anche sulle vicende della droga; inoltre ha fatto cenno agli editori del settore. Queste dichiarazioni sono a verbale; conferma quanto ha detto?

DELFINO. Le dico che ho fatto anche uno studio molto approfondito. Gli interessi nella droga sono del 13.000 per cento. Gli interessi nell'eroina sono del 13.000 per cento.

FRAGALA’. Per interessi che cosa intende? I profitti?

DELFINO. Sì, i profitti. Quindi sono capitali che provengono da tutti i settori. Un chilo di droga grezzo nel triangolo della morte, Cambogia, Thailandia, eccetera, costa 25 dollari. Da un chilo di droga grezzo vengono estratti 106 grammi di droga pura, che costano 180 milioni. Ma dove costano 180 milioni? All'ultimo anello della catena, perché prima di essere trasferita allo spaccio viene tagliata al 50 per cento. Quindi sono 380 milioni. Moltiplichi 25 dollari per 380 milioni.

PRESIDENTE. Lei ci vuole dire che tutti i settori dell'economia hanno degli interessi.

DELFINO. Adesso non generalizziamo, perché c'è gente onesta. Non ci sono settori non interessati ad investimenti, almeno non direttamente; non è necessario andare al cartello di Cali, ci sono mediazioni internazionali che trovano sbocchi in questa enorme massa di denaro. Se si facesse, senatore De Luca, un giro negli ex paesi baltici, che io ho visitato come delegazione, dopo Villnius, passa a Riga e poi c'è Tallin. A Riga c'è la più grande concentrazione di banche che detengono miliardi di dollari. Fuori si fa la fame, il dipendente di una qualsiasi struttura prende 250 mila lire al mese, il dipendente di una finanziaria o di una banca a livello di segreteria, prende 3.000 dollari. Questo a Riga. Da dove arrivano questi capitali? Dalla mafia italiana, dalla mafia russa? Da tutte e due? Dalla droga? Dal riciclaggio? Fino a quando in Italia non ci sarà qualcuno che in televisione spiegherà al 70 per cento degli italiani che riciclaggio o lavaggio di denaro, non significa mettere quest'ultimo nella macchina della biancheria, molta gente continuerà a ritenere che vi siano delle macchine nelle quali si mettono i soldi, si lavano e poi ritornano puliti. Bisogna dire che questo giro di riciclaggio avviene attraverso le banche. Si tratta di banche estere o italiane? E una mia domanda, non un'affermazione. Banche europee o solo thailandesi, di Hong Kong o di Bangkok? Ho constatato personalmente - non ho elementi precisi -che una piccola capitale che nasce da un'esperienza sotto l'impero sovietico improvvisamente esplode con banche con miliardi di dollari (così mi è stato riferito dal Ministro dell'interno). C'è da chiedersi da dove provengano.

MANTICA. Aveva ragione Bertold Brecht quando affermava: «Non so se è più delinquente chi fonda una banca o chi la rapina».

PRESIDENTE. Quindi bisognerebbe liberalizzare le droghe per risolvere i problemi.

DELFINO. Personalmente le dico che fin quando non sarà tolto dalle mani dell'organizzazione il monopolio - intendendo con ciò che per un certo tempo il giovane ragazzo viene introdotto all'uso della droga con droghe leggere, poi scomparsa dal mercato la droga leggera, compare quella pesante - ... io sono per la liberalizzazione ma in modo tale che lo Stato non diventi venditore di morte, ma per i casi espressamente giustificati dalle situazioni mediche. Pensi che in Italia, come in tutto il mondo, ci vogliono una dose e un quarto di grammo... In Italia abbiamo 400.000 drogati noti, anche se esistono sfere della società nelle quali non trapela chi si droga. Noi vediamo i ragazzi agli angoli della strada, ma dietro i palazzi quanti altri si drogano? Comunque, teniamo fermo il dato di 400.000. Quanti chili di droga ci vogliono al giorno? In un mese 3.100 kg di droga. In un anno 36-37.000. Qual è il business? Togliamo il monopolio dalle mani dell'organizzazione e assistiamo esclusivamente quelli... Ripeto io sono per la liberalizzazione.

PRESIDENTE. Penso che possiamo chiudere la seduta. Ringrazio il generale Delfino e mi scuso per l'orario.

La seduta termina alle ore 1,30 di giovedì 26 giugno.

 

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