Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

32ª SEDUTA

MERCOLEDI 18 FEBBRAIO 1998

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

indi del vice Presidente MANCA

Indice degli interventi

PRESIDENTE
PANNELLA
CORSINI (Sin.Dem.-l'Ulivo), deputato
MANCA (Forza Italia), senatore
MANTICA (AN), senatore
PACE (AN), deputato
PALOMBO (AN), senatore

La seduta ha inizio alle ore 20,20.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito il senatore Palombo a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

PALOMBO, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta precedente.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione, che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.

 

INCHIESTA SU STRAGI E DEPISTAGGI - SEGUITO DELL’AUDIZIONE, DELL'ONOREVOLE MARCO PANNELLA

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione dell'onorevole Marco Pannella. Ringrazio l'onorevole Pannella per la sua rinnovata disponibilità.

MANTICA. Signor Presidente, vorrei soltanto far sapere alla Presidenza di codesta Commissione e ai colleghi presenti che, a mio giudizio, è avvenuto in questi giorni un fatto certamente non "simpatico". Due giornalisti, tali Pasqualetto del "Giornale Nuovo" e Pietrangelo Buttafuoco de "Il Foglio" sono stati chiamati da uno dei pubblici ministeri che affianca il giudice Salvini nell'inchiesta sulla strage di Piazza Fontana, esattamente dal dottor Meroni (collega della dottoressa Pradella): uno è stato invitato a non interessarsi più della strage di Piazza Fontana e del processo Salvini - cosa che ha pubblicato sul Giornale Nuovo -, e all'altro è stato chiesto come si fosse permesso di scrivere articoli in cui ha dichiarato l'innocenza di Carlo Maria Maggi (anche questo articolo pubblicato su Il Foglio con il commento del direttore Giuliano Ferrara). Non chiedo commenti alla Commissione, perché volevo soltanto informarla del clima nel quale si opera in questo momento.

PRESIDENTE. Senatore Mantica, accetto il suo invito a non fare commenti soltanto per ora; tuttavia le pregherei di dare rimedio ad una mia colpevole disinformazione facendomi avere questi articoli e la documentazione. Se le cose stessero come lei ha detto, non mi esimerei dal fare commenti.

MANCA. Signor Presidente, vorrei chiedere preliminarmente se preferisce che io esponga tutte le domande che intendo rivolgere all'onorevole Pannella oppure che le faccia una alla volta: lascio a lei la scelta. Per me potrei rivolgerle tutte insieme perché credo che l'onorevole Pannella conosca bene gli argomenti in esame, tanto che non vi è il timore che non possa più ricordare il tema della prima domanda.

PRESIDENTE. Dato il tipo di audizione, va bene anche così; fosse un'audizione di tipo diverso, sarebbe preferibile rivolgere all'onorevole Pannella una domanda per volta.

MANCA. Con il permesso del presidente Pellegrino, con la mia prima domanda vorrei reintrodurre l'argomento P2 e, in particolare, vorrei conoscere il pensiero dell'onorevole Pannella sul rapporto che sembra sia esistito tra il Banco Ambrosiano del piduista Calvi e il Partito comunista italiano. E' inutile aggiungere altri particolari sui finanziamenti nel 1978 di Calvi al Paese Sera e così via...

CORSINI. Tutte storie segrete! Tutte cose nuove!

MANCA. Se mi fossi riferito ai rapporti tra Calvi e il Movimento sociale, saremmo tutti entusiasti della domanda! E’ noto quello che ha scritto Gualtieri o Pellegrino, ma dobbiamo ascoltare comunque il parere. Altrimenti il passato è tutto conosciuto!

PRESIDENTE. Né io né Gualtieri abbiamo mai scritto nulla in relazione ai finanziamenti del Banco Ambrosiano al Movimento sociale italiano: non fa parte dei contenuti delle proposte di relazione, né delle relazioni approvate.

MANCA. Onorevole Pannella, nel resoconto della sua precedente audizione - cui purtroppo non ho potuto partecipare perché stavo poco bene - ho letto che lei ha parlato, a proposito della chiave di lettura della strategia della tensione, di un confine dell'ordine di Yalta presente in Italia e ha parlato anche di un partito di Yalta e di un partito partitocratico. Ci vuole spiegare meglio cosa ha inteso dire con queste espressioni? In secondo luogo, la bozza di relazione Pellegrino accoglie la lettura della P2 essenzialmente come luogo di oltranzismo atlantico. Lei condivide questa lettura oppure la considera del tutto riduttiva? A questo proposito, per altro, basta pensare alla "poliedricità" dei personaggi che ne facevano parte. In terzo luogo, a suo parere cosa ha rappresentato in Italia il potere dell'ENI? E’ possibile, in particolare, leggere la vicenda Mattei esclusivamente come la guerra del Davide italiano contro il Golia delle sette sorelle? Ci può dire, inoltre, come legge il ruolo dell'ENI nella nascita del PSIUP e del progetto politico cui si diede vita con esso? Cosa pensa, infine, del grande accentramento di potere nelle mani di Cefis, presidente dell'ENI e poi della Montedison?

Ultima domanda: nel corso della precedente audizione lei ha illustrato e ha delineato uno scenario che sarebbe stato conseguente alla conclusione del rapimento del magistrato D'Urso; ha parlato di P2, di Pci, di P-Scalfari, di P38, di "governo dei capaci e degli onesti", collegando la scoperta di Castiglion Fibocchi alla liberazione di D'Urso. Ritiene verosimile che l'effetto di Tangentopoli sia stato quello che lei presupponeva essere quello della P2-Pci e cioè quello di ripulire il regime non per abbatterlo, ma per farlo rivivere? In altre parole, lei ritiene corretta la seguente equazione: CAF (è inutile che spieghi cosa sia), come alternativa all'assetto del dopo D'Urso, e attuale regime, come alternativa a Tangentopoli con Craxi però, ad Hammamet?

PRESIDENTE. Se il presidente Manca consente, poiché sono stato chiamato in ballo, vorrei ricordare a tutti come ho formulato il quesito sulla P2 e l'oltranzismo atlantico nel sottoporlo ai nostri consulenti, di cui tutti ricordiamo le modalità di nomina: ho detto che era "anche" un luogo di oltranzismo atlantico. Sempre ai fini di un'informazione complessiva, vorrei rendere noto alla Commissione che recentemente sono stato sentito come testimone in un processo per diffamazione a mezzo stampa che aveva come parte lesa il conte Sogno. Ho chiesto, tramite gli uffici della Commissione, l'acquisizione degli atti di quel dibattimento perché vi sono dichiarazioni di Sogno che sembrano molto interessanti. Parlando come testimone sotto giuramento, alla precisa domanda se ritenevo che l'oltranzismo atlantico stesse dietro le stragi, la mia risposta - cito a memoria - è stata di questo tipo: "Ritengo di sì, ma ritengo anche che dall'oltranzismo atlantico vennero gli inputs che impedirono che il disegno strategico cui le stragi erano funzionali si realizzasse". Quindi, per un'informazione più completa, questa è l'idea, anche arricchendo e in parte modificando il concetto espresso nella proposta di relazione, che mi sono fatto, alla stregua peraltro dell'attività d'inchiesta che abbiamo condotto nell'attuale legislatura. Do ora la parola all'onorevole Pannella.

PANNELLA. Rispondo alla prima domanda relativa alla questione P2-Banco Ambrosiano-Pci. Ho sentito che, mentre formulava la domanda, al senatore Manca è stato fatto osservare con un commento ironico che si tratta di cosa del tutto ignota, di cosa nuova. Vorrei semplicemente dire che questa vicenda è stata evocata moltissime volte, raramente trattata e soprattutto è sempre restata una citazione avulsa da analisi politiche complessive; non si è cioè contestata la verità abbastanza complessa e grave dei fatti (IOR e tutto un sistema). Quando un problema di questa natura, inerente a rapporti tra politica e affari, è emerso nella politica italiana, vi sono stati, direi comprensibilmente, comizi, riunioni, congressi, linciaggi di uomini politici e di forze politiche. A quanto mi risulta, tranne problemi pubblicistici, nel caso in questione ciò non è stato fatto in sede di grandi dibattiti politici e di valutazioni politiche. Ritengo che vi sia una ragione politica, la stessa per la quale per un'intera legislatura - è questo un fatto pacifico - non sono stati attivati strumenti parlamentari di interrogazione all'Esecutivo sulla realtà P2; mentre quattro deputati radicali, entrati per caso nel 1976, fra i loro primi atti parlamentari interpellarono il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'interno (lo fecero subito, quasi come un manifesto d'ingresso in Parlamento) intorno alla natura dei rapporti tra l'allora presidente del Consiglio Andreotti e "tal Gelli", capo di una loggia che ricordo nell'occasione di aver definito pseudomassonica con risvolti golpisti eccetera. Anche su questo si è discusso poco. Era un fatto che era accaduto, cioè che una forza marginale come la nostra si occupasse della questione. Mi è stato ricordato nei mesi scorsi un mio comizio tenuto in piazza del Parlamento esplicitamente contro un signore che si chiamava D'Amato e che menzionavo. Ho sottolineato la stranezza, l'inaccettabilità del fatto che dinanzi alla Commissione allora competente, quando tutti i segretari dei vari partiti - quindi anch'io - furono interrogati, il segretario del Partito comunista dichiarò di non aver avuto sostanzialmente contezza dell'esistenza e dell'importanza della P2 (peraltro coerentemente con il fatto che non era mai stata presentata un'interrogazione sulla materia da parte del Pci, quando invece della P2 discutevamo, lottavamo e cercavamo d'interpellare da anni) se non praticamente in occasione della scoperta di Castiglion Fibocchi, che aveva qualcosa a che vedere con il salvataggio di D'Urso e il disegno non realizzato del "governo dei capaci e degli onesti"; Castiglion Fibocchi è poi l'anello più debole, quello piduista in senso stretto, di quella coalizione. Avvenne invece che agli onori del potere si trovarono ad essere lasciate finalmente le indagini della magistratura, com'era giusto, oltre che l'indagine politica. Non so altro in più rispetto a quanto è già negli archivi di questa Commissione o di quanto da giornali e giornalisti è stato acclarato, come sottolineava il deputato Corsini. Diciamo che si conosce tutto e non si sa nulla, nel senso che tutte queste cose restano avulse e ognuno resta per conto suo. Ricordo che vi fu un'iniziativa di Roberto Calvi che venne a Roma e chiese di incontrare tutti gli esponenti politici di tutti gli ambienti; ed erano tanti. Normalmente, in una storia italiana, quando si dice tutti si vuol dire quasi tutti, tranne i radicali. In quel caso erano veramente tutti, perché chiese di incontrare anche me. Pregai allora il senatore Spadaccia di incaricare due esponenti del nostro partito di andare a vedere che cosa voleva e volutamente non andai. Comunque c'era questo giro di incontri.

PRESIDENTE. Vorrei capire bene la domanda...

PANNELLA. Non la risposta?

PRESIDENTE. La domanda e la risposta. Quello che si sa è che il Banco Ambrosiano aveva finanziato "Paese Sera". Vedere un legame tra tutti i finanziamenti del Banco Ambrosiano e la P2 forse è eccessivo, anche se non ho dubbi che Calvi, nel finanziare "Paese Sera", volesse anche acquisire una benevolenza dall'area politica cui quel quotidiano era riferibile. Resta però un fatto accertato che non vi sono iscritti al Pci, e nemmeno al Partito radicale, che fossero anche iscritti alla P2. Resta accertato che quando Calvi cadde sotto il rigore dell'iniziativa giudiziaria forze politiche precise ne assunsero la difesa. Resta accertato che conti bancari successivamente scoperti, come il conto "Protezione", non erano riferibili a uomini del Pci. Ciò per ricondurre la vicenda nei suoi esatti confini, anche se chi conosceva Calvi non ha dubbi che tendeva ad avere buoni rapporti con tutte le forze politiche; non forze come il Partito radicale, non forze politiche minori, però non mi risulta nemmeno che il sistema delle cooperative rosse o tutte le imprese che avevano sicuramente un riferimento o erano addirittura sotto il controllo del Partito comunista abbiano mai firmato lettere di patronage come quelle che firmò lo IOR, cosa che pure avrebbero potuto fare data la loro consistenza patrimoniale.

MANCA. E i contatti che Calvi aveva con Minucci, il responsabile dei rapporti con la stampa e della propaganda del Partito comunista? C'è ampia documentazione al riguardo.

PRESIDENTE. Aveva rapporti con tutte le forze politiche. Non voglio esprimere un giudizio, voglio ricondurre il discorso nei suoi giusti confini.

PANNELLA. Devo ringraziarla per le sue capacità maieutiche, che sono note, ma in questo caso sono enormi. Solo questa cosa, la cito così, alla rinfusa, perché anche i modi importano Ricordo che fui un pochino sconvolto dalla bellezza "estetica" della cosa, all'idea che quello che era poi il sacrario del comunismo italiano, Botteghe oscure, fosse stato dato (attraverso una forma o un'altra di sostegno alla proprietà) in quel momento come garanzia per 27 o 28 miliardi, non so se per "Paese sera" o per altre cose. Torno a dire che c'è una bellezza estetica nelle cose. Diciamo quindi che sono sospetto di essere un esteta, però in quel momento tutti erano prudenti e tutti, Presidente, sapevano cosa fosse la P2. Fra gli antifascisti o, in modo più legittimo, i liberali autentici con senso dello Stato invece...

PRESIDENTE. Sì, però la P2 non era l'Ambrosiano. Io all'epoca ero fuori dalla politica, facevo parte di un consiglio di amministrazione di una banca e ricordo che a un certo punto discutevamo col direttore: "ma qui, da questa impasse, ne dobbiamo uscire", c'era un certo problema e il direttore - che era una bravissima persona, il senatore Manca lo conosce, il dottor Carmelo Montinari - disse: "ma, per uscire da una vicenda di questo genere ci vorrebbe il miglior banchiere d'Italia, Roberto Calvi". Aggiungo che qualche anno dopo assistevo come avvocato una ereditiera della nostra zona, proprietaria di una banca; questa banca aveva dei problemi e questa signora, che viveva a Roma, ogni tanto diceva: "guarda, io tramite una persona conosco Roberto Calvi, gli vado a chiedere consiglio" e io che ero un avvocato dicevo: "fai bene, mi hanno detto che Roberto Calvi è il miglior banchiere d'Italia". Questo non fa parte della storia, fa parte della cronaca del mio vissuto.

PANNELLA. Continua le funzioni maieutiche per le quali la ringrazio. D'accordo, Calvi era uno dei migliori banchieri.

PRESIDENTE. No, passava per uno dei migliori banchieri. Poi si è scoperto che faceva la più antica delle truffe: era diventato proprietario della sua banca con i soldi dei depositanti. Perché in fondo tutto l'imbroglio dello IOR, delle lettere di patronage, era banale.

PANNELLA. Bene, Presidente. Qui affiora poi oltre che il maieuta anche l'avvocato, giganteggia subito. In quel periodo, Presidente, abbiamo avuto una serie di vicende. Quando si dice: "i contatti, Minucci e altri", benissimo, lei dice: "con tutte le forze politiche"; però era un periodo nel quale noi eravamo gli unici a contestare, a non essere soddisfatti del grado di "diversità" che il leader comunista affermava essere una caratteristica del partito comunista. Era diverso, ma qui era estremamente simile. Ci fu una vicenda di un anno e mezzo, che credo potreste utilmente andare a scavare per comprendere, in relazione anche alle stragi di Stato: si chiamava emendamento "ammazzadebiti" e significava il salvataggio di aziende che dovevano essere salvate dopo essere state acquistate dall'ambiente P2. E’ una torbida vicenda attorno al Corriere della Sera, Tassan Din con Di Bella ed altri. Diciamo che negli anni immediatamente successivi, Di Bella, certo uomo di tradizioni tutt'altro che di Sinistra, era letteralmente di casa in via delle Botteghe oscure; Tassan Din era indicato e linciato come personaggio che aveva scalato, tolto di fatto ad Angelo Rizzoli la gestione della più grossa realtà editoriale - e quindi anche un po’ politica - italiana. In questa vicenda di salvataggio delle aziende del settore imprenditoriale con delle leggi incredibili noi fummo assolutamente soli ad opporci, ma avendo un coacervo di forze, che erano il consiglio di redazione, il comitato di redazione del "Corriere della Sera, che più o meno è quello anche di adesso. Vi sono molte continuità: ecco perché, quando lei ha accennato nei mesi precedenti che forse potremmo consegnare alla storia, come fa un paese civile come l'America, fatti gravi io mi permisi subito di dirle che temo che, al contrario che in America, in Italia tutto questo non è presente solo nella memoria ma negli attori, nelle continuità, nelle responsabilità penali possibili e in molte altre cose a livelli molto alti della politica, diciamo, di unità nazionale. Quindi, se lei mette in relazione il fatto che nessuno strumento di interrogazione parlamentare fosse stato presentato da parte di circa 450 parlamentari di Sinistra tra Camera e Senato (con una forza politica che aveva una grande tradizione di opposizione radicale, paiettiana anche, eccetera) con quello che in quegli anni - poi abbiamo saputo acclarato - erano i rapporti fra tutti i capi di Stato maggiore e i capi dei Servizi... Per esempio, a Trastevere una cena con la quale si dava atto al senatore Pecchioli… con i tre capi dei maggiori Servizi e due comandanti generali di armi... per carità, una cena privata del tutto legittima, in un determinato ristorante, con menù poi controfirmato, che dimostrava una dimestichezza che... per carità, non possiamo incolpare nessuno, ma la dimestichezza non era né tra giocatori di golf, né tra giocatori di scopone; probabilmente qualcosa d'altro c'era, era salvare la patria, salvare l'assetto. Io ho sempre detto che nella P2 probabilmente la quota di imbecilli del mio stampo era alta, cioè di gente che stesse lì magari pensando davvero che salvava la patria: imbecilli, probabilmente. C'era addirittura una quota di questo tipo, non ho mai voluto criminalizzare una posizione. Certo, però, era indubbio il carattere criminale rispetto a chi avesse senso dello Stato di questo uomo, di questa organizzazione, dell'uso che ne veniva fatto o potenziato, rispetto ai valori costituzionali del nostro Paese, rispetto alle limpidità democratiche. Non vorrei annoiarvi e quindi mi limito a questo.

Sono i dati che parlano di un atteggiamento pienamente "politico" di valutazione dell'opportunità - e l'opportunità fa parte della moralità politica - di non rompere, di non lottare contro la P2 da parte del PCI e di non essere diverso rispetto a tanti altri che si erano sbagliati nel sottovalutare la gravità - magari Andreotti - della P2. In questo caso la diversità è difficilmente evocabile a favore della politica del PCI: non parlo di persone come Minucci, Pecchioli, gli altri, ma del segretario che, ripeto, uomo di quella statura, civile, politica, culturale, attenta all'idea di professionalità, deve dichiarare che lui della P2 non sapeva nulla tranne dopo Castiglion Fibocchi, quando - lo ripeto - Tassan Din, "Corriere della Sera"... lì ci sono state occasioni nelle quali l'appoggio del "Corriere della Sera" all'unità nazionale è venuto proprio nel momento nel quale poi quel quotidiano era il massimo, come dire, del piduismo. Sugli emendamenti ammazzadebiti ci fu uno scontro terrorizzante e li si marciò. Allora - non voglio estendere ad altri esempi - un'operazione finanziaria, normale o non normale, ma comunque consueta, è quella; poi ci fu anche quell'altra, poi, per carità, perché non si dà per garanzie Botteghe Oscure per ottenere del denaro certo. Come mai però tutto questo non ha avuto valenza politica, non ha avuto dignità di considerazione politica? Perché quello che è concretamente accaduto nel Parlamento italiano viene sottovalutato? Una distrazione può essere quella di un segretario o di una direzione di partito, ma una distrazione di quattrocento parlamentari non esiste. Se la distrazione è opera di quattrocento parlamentari, non è più una distrazione, è un indirizzo, una linea.

PRESIDENTE. Visto l'andamento ideologico che ha assunto la discussione, non voglio fare la difesa d'ufficio del PCI, non mi interessa e commetterei un errore istituzionale se lo facessi...

PANNELLA. Io non vorrei fare l'accusatore.

PRESIDENTE. Appunto. E’ il metro di valutazione che mi lascia perplesso perché, personalmente, non ritengo affatto di poter addebitare a Craxi e alla dirigenza del PSI connivenze con gli aspetti antidemocratici, o con l'oltranzismo atlantico, che indubbiamente era annidato nella P2, anche se la P2 non era soltanto oltranzismo atlantico. Ma se dovessimo usare questo metro di giudizio dovremmo, invece, pronunciare una sentenza di condanna fortissima: c'è la difesa di Calvi fatta da Craxi; c'è il conto Protezione; c'è il fatto che molti iscritti alla P2 erano anche alti dirigenti del PSI. Malgrado ciò, non mi sentirei affatto di sostenere che o la Democrazia cristiana o il PSI o il CAF stessero nella P2, ne conoscessero fino in fondo l'esistenza, la utilizzassero e facessero valutazioni di opportunità politica sul fatto che non bisognava intervenire. Se usiamo questo metro di giudizio per il PCI, nei confronti del PSI che metro di giudizio dobbiamo utilizzare?

PANNELLA. Presidente, su questo argomento le cito un aneddoto. Non vorrei però bloccare i lavori della Commissione, visto che siamo solo alla prima domanda del senatore Manca. Ricordo che dopo il caso D'Urso (che vivemmo per un mese con una drammaticità immensa e credo giustificata, a posteriori, se andiamo a vedere la storia di quelle settimane) mi recai all'hotel Raphael a trovare Bettino Craxi (non avendolo visto né sentito al telefono), perché entrambi davamo una lettura positiva del salvataggio di D'Urso e, inoltre, io gli dovevo una certa gratitudine. Infatti, all'inizio di dicembre (quando feci un intervento sul caso D'Urso rivolgendomi ai compagni assassini, con una lettera che suscitò nelle Brigate Rosse qualche reazione, che sul momento parve per noi pericolosa), alla vigilia di Natale, dicevo, Craxi intervenne per accelerare la conclusione del trasferimento dei detenuti dell'Asinara dicendomi di poterlo fare per le pressioni costanti ricevute in quel senso dal generale Dalla Chiesa. Gliene fui molto grato anche perché la notizia venne data il giorno di Natale dalla direzione del PSI. La ritenni una cosa importantissima. In seguito mi disse: "Guarda non posso fare un solo passo in più perché altrimenti mi sparano, però questo l'ho potuto fare perché Dalla Chiesa lo chiedeva da tempo e non si poteva non farlo perché lo volevano anche i brigatisti". Mi recai quindi, a vicenda del "Governo dei capaci e degli onesti" conclusa, e trovai Craxi piuttosto contento di vedermi, quasi allegro, come per dire: "Bene questa è andata; fosse andata così anche la vicenda Moro". Mi disse poi: "Sai cosa sta succedendo? Questi adesso sono tutti passati, - quasi ante marcia - con noi. Pensa che ha chiesto di vedermi e di conoscermi perfino... sai… "quello"…" "Quello chi?" "Gelli".

Dunque, da questo aneddoto ne traggo semplicemente il ricordo che Craxi, fino al febbraio 1981, non solo non lo aveva mai visto, ma aveva addirittura dovuto fare i conti con l'ostilità di "quello", che in effetti era favorevole ad una politica di unità nazionale in sintonia con Minucci e gli altri (il "Corriere della Sera" che attaccava e Rizzoli che veniva fatto fuori, sospetto amico di Martelli ed altri). Comunque, conoscendo il mio amico, gli dissi: "Ti vuole vedere? Tu non ti permettere di incontrarlo, perché altrimenti chissà che capperi combini". In seguito, comunque, lo vide.Io però rispondo di quella fase che va dal 1977-1978 al 1981. Qual è la differenza? Lei ci ha portato proprio all'argomento definitivo. Nei cosiddetti partiti borghesi o imborghesiti esisteva una situazione nella quale c'era qualche ladro, qualche debole, qualche arrivista: esisteva poi la diversità comunista. La diversità comunista era data dal fatto che il Partito comunista faceva passare le leggi sul finanziamento pubblico per moralità, ne era convinto. Incontravamo solo il Partito comunista nelle piazze, nelle strade e per difendere il referendum. Faceva passare un linea, mentre gli altri erano vagamente a favore, ma poi non osavano Quello che voglio dire è che lì non c'era nemmeno un comunista, lì c'è l'alleanza tra il Partito comunista e quella forza. Non voglio ora parlar addirittura della categoria del reato di omissione, ma il fatto che quattrocento parlamentari, in tre anni, non avessero presentato un'interrogazione parlamentare, all'epoca e su quell'argomento (con dei "grilli parlanti" che sollecitavano il Ministro e il presidente del Consiglio a rispondere alle interrogazione presentate all'inizio della legislatura e che costantemente accusavano sul Corriere della Sera, De Benedetti, editore di Repubblica, di avere strane assonanze con il partito degli editori, ma al servizio di Tassan Din e di quella componente, che all'epoca era chiara e veniva indicata come massonica), non può che essere l'espressione di una politica consapevole, di una precisa scelta. Dall'altra parte, invece, c'era chi ci andava. Poi c'era chi si trovava dalla parte di Salvini, che era nemico di Gelli, e così via. C’era la nostra marmellata, la marmellata borghese dei soliti partiti. Qui, invece, c'era la moralità ferrea, l'unità di un'organizzazione diversa, nella quale non ce n’era nemmeno uno iscritto, anche perché nessuno era così imbecille probabilmente. Quanti imbecilli, invece, si sono iscritti senza nemmeno accorgersene! Su questo mi permetto di ribadire quanto dicevo al senatore Manca. E’ interessante, al fine di vedere le politiche che portarono a stragi (non solo di legalità), chiedersi come mai tanti episodi eloquenti, o suscettibili di essere eloquenti, nel momento in cui hanno riguardato il problema PCI e P2, non hanno avuto rilevanza politica né giudiziaria, mentre sappiamo quanto - ancora due anni fa - questa linea, che è quella del piano Gelli, diventi ancora un modo per incriminare una linea politica.

Per quanto riguarda la questione Yalta, il presidente Pellegrino, molto più felicemente di me, aveva sintetizzato un'osservazione da me fatta, vale a dire, siamo certi che dinanzi al sospetto, alla possibilità o alla convinzione che il partito americano, che poi è divenuto una frangia di estremismo filo americano (e questo è già un passaggio importante, tant'è che il Presidente ci informa adesso di quella sua dichiarazione molto esplicita fatta in occasione del processo di cui si parlava), in Italia esistesse invece un partito, che ha guidato e può spiegare molto, e che esisteva oggettivamente, non soggettivamente, cioè un partito di Yalta. Il partito di Yalta è per esempio quello che ha garantito a partire dal 1949, non solo con Cucchi e Magnani ma con altri, la difesa contro Tito, cioè uno schierarsi non con Tito che rompeva con il Cominform e con gli altri. L'atteggiamento naturale sarebbe stato da parte di noi italiani: ben venga, ci mettiamo un po' d'accordo, vediamo un po’ l'America e l'Inghilterra se ci fanno trovare per Trieste la soluzione. Invece no, in quel caso c'è stata una politica a quel punto di estrema durezza, di nessuna facilitazione delle eventuali trattative sulla questione di Trieste. Era una manifestazione del partito di Yalta, cioè non si doveva con l'Italia aiutare una scissione di Yalta. Quello che era chiaro in quel caso era che la Jugoslavia doveva stare dall'altra parte e che noi non dovevamo in nessuna misura essere strumento che facilitasse lo slittamento ad Occidente della realtà jugoslava. In realtà il partito di Yalta significava poi assegnare all'Occidente l'Italia, lasciarla libera. Poi ci poteva essere qualche estremista della CIA, del Pentagono e via dicendo. Significava in realtà un'Italia libera anche dalla politica di unità nazionale, scelta che poteva essere gradita o no e che era quella che già negli anni ‘50 era presente in Parlamento.La caratteristica degli anni ‘50 è che nella democrazia italiana l'80 per cento dei poteri decisionali attribuiti nei paesi occidentali all'Esecutivo si trasferirono nel Parlamento e nelle decisioni prese all'unanimità nelle Commissioni legislative dello stesso. Questioni che all'estero sarebbero state risolte con una circolare di un capo servizio, ad esempio del Ministero delle finanze francesi, da noi venivano risolte con una leggina e questo spiega le 80.000 leggi di quel periodo. Quindi Yalta non in quanto partito operante come tale, ma come una situazione quasi di solitudine: l'Italia sia libera. La strategia di Togliatti era chiaramente nazionale, non tendeva ad aspettare la rivoluzione, ma a concorrere alla formazione di uno specifico italiano che è stato quello partitocratico e delle 200.000 leggi, dell'intangibilità dei codici Rocco, del serbare, d'intesa con una parte della Destra, tutto l'armamentario fascista dello Stato per vent'anni, del non consentire i referendum, del non votarli; tale politica ha avuto dei riflessi che sono durati fino al 1979-1980, quanto meno, con poche parentesi. Per quanto riguarda il luogo di oltranzismo, la terza domanda, vi ha già risposto in modo molto chiaro il presidente Pellegrino.

PRESIDENTE. Quanto alla risposta alla seconda domanda vorrei ribadire ciò che ho detto nel presentare la sua audizione. Indubbiamente lei propone alla Commissione un’ipotesi di lettura della storia nazionale con la quale la Commissione ha il dovere di confrontarsi. E’ una lettura più difficile e complessa, che atterrebbe quasi ad un piano più sotterraneo ed ultimo delle cose. Ripeto, noi dobbiamo anche esaminare questo tipo di ipotesi; ovviamente, prima di farla nostra dovremo trovare una serie di risposte, capire come la strategia della tensione si sia inserita in tutto questo.

PANNELLA. Mi scusi, Presidente, io sono per il metodo Pellegrino. Lei non ha presupposto che esistesse un partito americano, anzi ha avuto un approccio iniziale molto diverso. E’ giunto a rilevare ed a offrirci una serie di eventi che puntualizzavano agli occhi di molti l'effettiva esistenza - sulla consistenza si potrà poi discutere - di questo soggetto nell'economia generale nell'evoluzione italiana. Perché D'Amato? Io ne parlo nei comizi: una piccola forza che non ha rapporti con i Servizi, intuisce, legge e parla di D'Amato, che poi aveva ottimi rapporti con degli ex Radicali come quelli de "L'Espresso" e con altri. C'è poi il resto, la grande opposizione, quelli che hanno una parte dei Servizi, che "hanno" un senso di lealtà nel confronti della Sinistra, come l'unica che vuole forse salvare la Costituzione e la democrazia - non importa se poi sia vero o meno - che invece non sa nulla. Non c'è niente da parte della Sinistra contro D'Amato in quel momento, Il quale, se era "francese", era anche molto "americano".

PRESIDENTE. Il tutto però nella specificità di questo Paese, dove nella stessa casa, allo stesso desco familiare, sedevano un Ministro della Repubblica ed un capo del partito guerrigliero che ha attentato al cuore dello Stato. C'è il rischio di smarrirsi dietro a queste cose.

PANNELLA. Il rischio di smarrirsi c'è anche se inseguiamo il golpe di Borghese e la sua vicenda; lei giustamente ha voluto correre questo rischio.

PRESIDENTE. Quello che lei ci ha detto l'altra volta sulle confidenze di Romualdi lo ha confermato.

PANNELLA. Certo. Alcune evidenze hanno il solo torto di essere così evidenti da essere accecanti, per cui hanno indotto artificialmente troppe persone a chiudere gli occhi e a far finta che Calvi è una cosa a sé stante, Tassan Din è un'altra questione, quello che abbiamo sentito da Mario Moretti in televisione l'altro giorno, un'altra ancora; cioè sarebbero tutte questioni diverse. Questo non è possibile, specie quando vi è stata questa grande, tragica convergenza e molto spesso univocità della nostra storia. Cioè, il Partito comunista italiano ha assunto su di sé il salvataggio della democrazia e del regime in Italia. Lo ha fatto secondo un rigore non moralistico del dividere in qualche misura e di giocare con alleanze ed ostilità con le varie componenti dei poteri borghesi, più o meno ridotti ad una marmellata, e lo ha fatto con grande machiavellismo ma anche con grande capacità politica. A mio avviso ha una sola colpa: ha sbagliato, come spesso accade, nello scegliere i valori di base. Questo ai miei occhi, ma devo dire che tale lettura di un Partito comunista con tutti i dirigenti che se ne vanno "a nanna" fuori casa, ma che non si accorge di nulla e, poi, quando scoppia davvero la questione Cefis tutti sanno di chi si tratta.... Certo, Mattei sarà antiamericano, come lo era Mossadek ed altri, ma era anche il grande iniziatore della corruzione politica nel nostro sistema italiano; allora c'era la Sicilia, c'era Verzotti, il caso Milazzo e bisognerà di certo chiamare Macaluso. Io credo, Presidente, che l'unica cosa che posso tentare di fare è di essere un testimone quasi giudiziario, cioè di parlarvi non attraverso i sentito dire. Io, come ho fatto per il caso del generale Mino e per quanto riguarda Craxi, ho riferito fatti precisi che mi ricordavo; potrei citare altro, però non vorrei dare l'impressione di fornire una lettura ideologica, né divenire avvocato di alcune tesi cui mi sono affezionato. Però, per quanto riguarda il caso D'Urso, il mese precedente l'assassinio di Galvaligi, la solitudine di Senzani, il fatto che i giudici ed i magistrati italiani in quelle ore stavano per arrestare il direttore de "L'Espresso", se non l'editore, le frasi di Pertini all'Accademia di San Luca e la riunione in una casa privata; di tutto ciò non ho parlato al condizionale, me ne assumo la responsabilità. Cerco di fare questo puzzle utilizzando delle cose che non credo né di avere sognato, né che siano frutto di una lettura faziosa e troppo partigiana della realtà. Perché cerco di fare questo puzzle, di inserire delle questioni che non credo siano né cose che ho sognato, né frutto di una lettura faziosa e troppo partigiana della realtà. Certo, alle volte ti rendi conto che per vent'anni dici tutti i giorni cose semplici e non ti ascoltano; per esempio, sulla vicenda del generale Mino non mi hanno mai ascoltato, a me e ad altri; quando io ho detto in pieno Parlamento, dopo la sua morte, di vigilare perché venti o quaranta giorni prima il generale Mino mi aveva detto che non prendeva più gli elicotteri altrimenti lo ammazzavano, è mai possibile che né il Parlamento, né la giustizia né altri ne abbiano tenuto conto? Sul caso Masi (ma non era un "caso", quello Masi) vi è un personaggio chiave in tutta questa storia così italiana, appunto così, diciamo, Yalta, eccetera (e, per la resa, ancora più italiana): mi riferisco a Francesco Cossiga, che dagli omissis relativi al 1964 non ha smesso un minuto; sottosegretario, ministro, presidente del Consiglio, presidente della Repubblica, "picconatore" come istituzione, per cui legibus solutus per moralità: orbene, lui sa tutto.

CORSINI. Quindi supponiamo che Pannella sarà un grande oppositore di Cossiga e dell'UDR.

PANNELLA. Voi potete supporre giustamente, perché Pannella, da questo punto di vista, nella sua storia non riserva sorprese. Io chiesi conto al Partito comunista del perché, come con la P2, nei confronti di Cossiga fece solo finta di accettare la nostra richiesta di incriminazione (ripeto, fece solo finta: adesso non l'ha nemmeno fatto).

PRESIDENTE. Si riferisce all'impeachment?

PANNELLA. Certo.

PRESIDENTE. Ci fu un dibattito estremamente...

PANNELLA. Sì, negli ultimi sei mesi, signor Presidente, quando fu consentito, ma per sei mesi...

PRESIDENTE. Io ero già in Parlamento.

PANNELLA. Sì. E quando poi noi chiedemmo almeno, nella legislatura successiva, di regalare al Parlamento, con le firme di 140 parlamentari, la possibilità di avere due giorni di dibattito in Aula prima di liquidare questa vicenda, si fecero ritirare le firme raccolte, anche di molti compagni. Allora ci sono cose che continuano a venire fuori. Certo, quando mi si fanno domande sul potere ENI…

PRESIDENTE. Però lei sa chi ci mise in minoranza all'interno del Comitato per i procedimenti di accusa, è scritto nei verbali; io c'ero ed ero del parere che la formula dell'archiviazione fosse sbagliata...

PANNELLA. Certo.

PRESIDENTE. ...e che bisognasse dare un giudizio perlomeno negativo su tutta la questione delle esternazioni.

PANNELLA. Benissimo.

PRESIDENTE. Parlai di una "zona grigia" che si situava fra ciò che era legittimo, l'attentato alla Costituzione e una serie di prassi che potevano essere censurate, pur non potendo portare a un processo penale.

PANNELLA. Anche perché ormai poi c'era la Costituzione materiale. Questa fu la tesi. Presidente, a lei capita spesso di continuare ad essere un po' radicale nella sua vita...

PRESIDENTE. Non sono il solo: c'era anche un ministro...

PANNELLA. Sono i momenti nei quali la ascoltano poco. Rispetto a quella questione, noi raccogliemmo le firme, ma furono fatte ritirare 32 firme di parlamentari di sinistra solo per avere due giorni di dibattito in Aula, perché non ci restasse. Nel 1964 noi rendemmo pubblici i finanziamenti redazionali, quelli che sono vietati adesso, dell'AGIP e vedemmo in un anno 180 milioni destinati a un organo come "Voce Repubblicana", vedemmo 250 milioni a "Lo Specchio" (me lo ricordo ancora), vedemmo 160 milioni a "Paese Sera" e poi anche 15 milioni a "Il Mondo" (che, poveretto, c'era cascato, per un convegno al ridotto dell'Eliseo) e questo proseguiva da anni; accadde l'episodio di Ravenna (ho ricordato questo episodio l'altro giorno al senatore Gualtieri) ed era chiaro a Ravenna chi c'era andato, chi era e con quali soldi e per fare che cosa e vi racconto che Lami mi diede del denaro come Partito radicale e mi disse: "Guarda, non continuare, è tanto un buon compagno, quello, della Resistenza"...

PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, onorevole Pannella: non ripetiamo l'audizione dell'altra volta.

PANNELLA. No, ma allora dico, a proposito del potere ENI, che c'è Rocca, Allavena, eccetera; io le ricordo, onorevole Manca, che c'è un resoconto stenografico...

MANCA. Io l'ho letto.

PANNELLA. ...e mi limito a dire che (non è un caso) mi pare che nei confronti dell'AGIP, dell'ENI e di tutta quella componente, fortissima nei suoi collegamenti e nelle sue influenze sui servizi italiani in quel periodo, come è noto (è documentato e conosciuto), anche su quello, nessuna ostilità sia stata mostrata dal Partito comunista italiano, anzi. Quindi, l'interpretazione a mio avviso è che il Partito comunista italiano ha compiuto una scelta strategica che spiega, nel bene e nel male, l'evoluzione in quei lustri della realtà italiana; ma che siccome non si vuole rispettare questa politica e leggerla per ciò che realmente è stata, continuiamo a vedere in un modo troppo falsato tutto quello che è accaduto e possiamo allora vedere solo degli spezzoncini.

MANCA. Scusi, onorevole Pannella, la prima parte della mia domanda era relativa a come lei legge la vicenda Mattei: come il Davide italiano contro il Golia, oppure può essere data una lettura diversa?

PANNELLA. Guardi, siccome quella vicenda è veramente frutto delle mere speculazioni di una persona, devo dire che in quel momento non ero in condizioni di seguirla, nel senso che io qui sto parlando di cose che ho vissuto e questa l'ho vissuta ma come spettatore; di conseguenza, ricordo semplicemente, per esempio, nella scissione liberale, quella da cui nacque il Partito radicale, l'atteggiamento dell'onorevole Cortese, che doveva costituire con noi il Partito radicale; egli non ci seguì e poi vedemmo la posizione che il Partito liberale e il ministro dell'industria Cortese avevano assunto nel confronti dell'AGIP, cioè una posizione molto favorevole, che era molto in contrasto, formalmente, con quella di Malagodi e della Confindustria. Ecco, ricordo dei piccoli spezzoni di questo genere. Per quanto riguarda l'accertamento su Cefis è la stessa cosa: qui noi abbiamo questo gruppo dirigente. Io vorrei rendere omaggio, ma forse l'ho già accennato, ad un grande magistrato, che era il procuratore generale Di Giannantonio, che tentò alcune operazioni di verità su questo settore e lo pagò praticamente con il suo "siluramento" proprio in relazione a queste vicende; e anche qui io credo che sarebbe interessante analizzare il comportamento dell'"Unità" su tutte queste questioni, ivi compreso il comportamento sugli scioperi del SlLP, cioè gli scioperi dei lavoratori del petrolio, che sono arrivati fino a fare delle marce dall'EUR a Piazza Venezia e a Botteghe Oscure senza che l'"Unità" ne pubblicasse un rigo di cronaca, con solo noi che li accompagnavamo. Poi vi è la vicenda D'Urso. (Il presidente Pellegrino si leva in piedi a fianco dell'onorevole Pannella). Vederla in piedi, Presidente, accentua i miei rimorsi.

PRESIDENTE. No, non si preoccupi, sto in piedi perché sto più comodo.

PANNELLA. Sì, ma accentua i miei rimorsi nell'audizione. D'altra parte, le domande del senatore Manca sono così interessanti.

MANCA. La mia era una domanda che inizialmente sembrava pleonastica e invece pare fosse una domanda che apriva un dibattito. Apprezzata, se non ho capito male, anche dal presidente Pellegrino, su cui noi mediteremo, faremo delle meditazioni, delle riflessioni, delle considerazioni.

PANNELLA. Affatto: guardi che a mio avviso quella domanda riguarda la storia d'Italia di questi vent'anni. Punto e basta. Infatti la sua domanda riguarda la parte "carsica", che per me è quella maggioritaria, della storia d'Italia, è la parte della storia d'Italia che per il momento ancora non affiora. Tangentopoli ha portato alla luce tutto, ma le cose importanti riguardanti la vita, le stragi e via dicendo, purtroppo no; e, diciamo, la capacità di lottare lucidamente contro le politiche che consentivano le stragi o le permettevano evidentemente non c'è stata. Circa D'Urso, mi richiamo a quello che ho detto la volta precedente; ripeto che vi è una connessione strettissima fra il caso D'Urso e il caso Cirillo, data non solo dal soggetto Senzani, ma dalla continuità del progetto; fallisce a Roma, riprende ma in un modo più legato anche alle cooperative rosse. Anche a questo riguardo, Presidente, mi si è ricordato che io facevo dei comizi in Piazza del Parlamento allora - quando D'Amato non era ancora stato trasferito all'ufficio della polizia delle frontiere o stava per andarci - facevo dei comizi, dicevo, contro Gelli, abbiamo fatto un'opera per la quale noi abbiamo salvato la vita anche di Cirillo, perché c'erano delle forze che invece non lo volevano, le stesse che volevano la morte di D'Urso. Allora io parlavo in molti comizi, sicuramente dal 1975, di una cosa per la quale i miei amici credevano che io avessi la balbuzie o stessi starnutendo, cioè la CCC, dicendo che si andava in Arabia, si andava in Somalia, si andava in Sicilia, si andava a Reggio Calabria, e via dicendo, ma se c'erano delle sigle FIAT o dintorni, le vedevo sempre citate, e vi era una CCC che invece non lo era mai. Volevo solo segnalare una curiosità. Ora è emersa, a carico di Cirino Pomicino in uno dei processi che lo riguardano, una dichiarazione dei due grandi pentiti, Alfieri e Galasso, di Napoli. Costoro mi pare dicessero - era il periodo del terremoto, quello dei soldi, delle spartizioni - che a loro, alla camorra, le spartizioni arrivavano attraverso alcune persone della Lega delle cooperative, che poi le redistribuivano ad Almirante, a Gava e a De Lorenzo, cioè alle tre forze di opposizione della Giunta Valenzi due. La cosa viene amputata da questo seguito e posta a carico di Cirino Pomicino, dicendo che i soldi passavano da alcune cooperative bianche, che invece non c'entravano nulla. Su questo, su D'Urso e su quello che accadde in Italia tra dicembre e il 10 gennaio e poi tra il 10 febbraio e la fine del caso Cirillo, mi auguro che vi sia un'ampia analisi. La strage di legalità è stata immensa, ma credo sia stata anche foriera di quella lunga strage, relativa al caso Cirillo, per cui dodici persone sono state una dopo l'altra uccise, non a caso tutti coloro che potevano essere testimoni su quel caso: forse per continuare a lasciar dire che c'entravano Scotti o qualcun altro.

MANCA. Vorrei ringraziare l'onorevole Pannella e dichiarare che mi ritengo soddisfatto delle risposte fornite alle mie domande.

CORSINI. Signor Presidente, nel corso del mio intervento seguirò due linee: da un lato, mi sforzerò di discutere l'interpretazione complessiva che l'onorevole Pannella ci ha offerto del fenomeno stragistico e terroristico e, dall'altro, farò invece riferimento ad alcuni dati di carattere più strettamente fattuale che meritano un’ulteriore approfondimento e rispetto ai quali mi auguro che l'onorevole Pannella ci dia ulteriori delucidazioni. Sulla questione dell'interpretazione, lo credo che l'onorevole Pannella già in altre occasioni - penso al dibattito svolto nel convegno promosso da Radio Radicale - abbia fornito o comunque in qualche misura squarciato una sorta di orizzonte investigativo nuovo, proponendo quella lettura - col punto interrogativo - legata al partito americano, al partito di Yalta, al partito partitocratico. Si tratta del tentativo di fornire una lettura del fenomeno considerato in questa sede, per certi versi nuova, anche se, sostanzialmente e nei riferimenti di fatto, trae spunto da prese di posizione che Pannella ha già adottato in altre occasioni. Sono andato, per esempio, a rileggermi il resoconto dell’audizione che l'onorevole Pannella ha svolto nella Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, dove sostanzialmente i riferimenti sono analoghi a quelli che sono stati poi riprodotti nella conversazione tenuta con noi la scorsa audizione: una lettura che, peraltro, ha avuto in passato una sua solidificazione ed una sua dignità politica e storiografica nella relazione di minoranza, o controrelazione, che l'onorevole Teodori ha steso in occasione della conclusione dei lavori sulla P2.

Presidenza del vice presidente MANCA

Anche in quel documento ritornano alcuni dei luoghi tipici della riflessione di Pannella. Nella prima parte, ad esempio, viene riprodotta una dichiarazione di Berlinguer sulla P2; l'onorevole Teodori costruisce un capitolo che utilizza gli identici riferimenti fattuali e gli stessi argomenti di Pannella per quanto riguarda l'interpretazione del caso D'Urso. Quindi, il fatto che alcune tesi non siano nuove evidentemente non ci esime dall'interrogarci e dall'esprimere una valutazione.

Cominciamo dalla tesi di fondo, quella che fa riferimento alla triade evocata e chiamata in causa appunto da Pannella, cioè la P-Scalfari, la P2 e il PCI. Io penso che ci sia una divaricazione di fondo nell'interpretazione dei fenomeni che qui stiamo affrontando nella lettura mia ed in quella dell'onorevole Pannella. In realtà - e questa è la tesi anche del professor Teodori - all'origine di tutto c'è la partitocrazia, un luogo classico della cultura dei radicali italiani, ma a me pare che ci sia un rovesciamento del rapporto causa-effetto. In sostanza, io ritengo che, preso atto che vi è stato in Italia un sistema retto sul principio partitocratico, in realtà la partitocrazia rimanda ad una causa a monte, e in questo sta parte della verità che Pannella ci riferisce. Indubbiamente è esistito un sistema legato a Yalta, dentro il quale ha operato - al di là di alcune tentazioni incorse verso la fine degli anni Quaranta - anche il PCI, il partito di opposizione, accettando appunto tale sistema. Qual è la verità sulla democrazia bloccata nel nostro paese? Io propendo - Pannella lo sa perché abbiamo già avuto modo di discuterne - per un'interpretazione sistemica della storia politica italiana. Quindi, al di là del giudizio che ciascuno può dare, al di là del fatto che a qualcuno possa piacere e ad altri possa non piacere, resta il fatto che il sistema di Yalta ha imposto una democrazia bloccata e il mancato sblocco della democrazia ha determinato lo sviluppo del regime partitocratico. Come si inserisce dentro questa lettura l'interpretazione del fenomeno piduista? Per Teodori - e anche per Pannella, che dà l'interpretazione politica anche sul piano divulgativo delle testi storiche e storiografiche di Teodori - la P2 è soprattutto espressione della partitocrazia e per questo tutti i partiti sarebbero uguali nel loro rapporto con essa, compreso appunto il PCI. Credo di non dare una lettura forzata e che questa in realtà sia la conseguenza della interpretazione che Pannella e la cultura radicale hanno proposto.

PANNELLA. Sono appassionatamente interessato a quello che lei sta dicendo e quindi la interrompo brevemente. Devo dire però di no, è diverso: di fronte alla marmellata dei partiti borghesi, che sono stati inquinati, il PCI ha perseguito una politica di alleanza con una parte, che forse riteneva la più razionalizzante, del sistema borghese.

CORSINI. Al di là delle sfumature e sottolineature, l'impianto tuttavia è sinteticamente quello che riferivo. A me pare che questa interpretazione sia suscettibile di una lettura diversa sul versante della P2 e del PCI. Indubbiamente, sul versante della P2, è un dato assolutamente incontrovertibile la natura fortemente anticomunista di quella loggia massonica, di presidio occidentale e nazionalista. La P2 non è solo espressione del regime partitocratico, è qualcosa di molto più complesso e magmatico, che chiama in causa ed evoca molte altre responsabilità, forze e componenti. Che ci fosse questa identità fortemente anticomunista è acquisito, al di là del dibattito che anche Teodori ha istituito nella Commissione presieduta dall'onorevole Anselmi in ordine all'informativa Cominform e al riconoscimento in una certa fase della resistenza di un'attività filocomunista di Gelli; resta appunto il fatto che anche Teodori parla di un Gelli che assolve ad un ruolo stabile e fisso - cito testualmente - in senso anticomunista.

PANNELLA. Come agente doppio.

CORSINI. Ruolo assunto da Gelli, continuamente ribadito e proclamato e confermato dal fatto che la trimurti "Gelli-Sindona-Ortolani" fondò la propria battaglia ideologica e politica sul principio dell'anticomunismo. Certo, c'è l'episodio di Paese Sera e la vicenda dei finanziamenti, ma perché la P2 persegue un progetto che ha una sua riconoscibilità politica. Siccome è un mix di compressione antidemocratica e di eversione - appunto, il venir meno del senso dello Stato, nella teorizzazione per molti versi paradossale di un altro Stato, quale quello riconoscibile nel piano di rinascita nazionale o nel memorandum della situazione politica che Pannella sicuramente conosce - c'è un intento di liquidazione del sistema dei partiti che passa anche attraverso l'integrazione subalterna di tutte le forze politiche, compreso appunto il PCI. Giustamente il presidente Pellegrino ricorda - se vogliamo mettere sul piatto le connivenze e le responsabilità - che non c'è un solo comunista iscritto alla P2, che l'eredità politica, o meglio la battaglia per...

PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, ma potrei essere rimproverato di una presidenza "latitante" se non la invitassi a rivolgere le sue domande all'onorevole Pannella.

CORSINI. Deve concedermi il piacere di una discussione con l'onorevole Pannella!

PRESIDENTE. Anche a me sarebbe piaciuto farlo, senza dovermi limitare soltanto a tre o quattro domande!

CORSINI. Ho la presunzione di non affermare cose banali. Qui non stiamo soltanto cogliendo la preziosa opportunità della presenza dell'onorevole Pannella per verificare alcuni dati fattuali (in realtà Pannella, più che dati fattuali, ci ha fornito una lettura globale del fenomeno), perché credo che possa essere utile alla Commissione svolgere una serie di valutazioni.

PRESIDENTE. Si tratta, però, di un'audizione e non un dibattito!

CORSINI. Tra breve, comunque, verrò alle domande e anche io richiamerò alcuni dati attuali.

Stavo dicendo che, anche in ordine al caso Calvi, non mi pare che le amicizie politiche, le frequentazioni di quest'ultimo e l'eredità di tale esperienza in qualche misura siano riconducibile al Pci. Esaminiamo ora alcuni dati come, ad esempio, la questione del Corriere della Sera. Non sono più tanto giovane, però ho qualche ricordo delle letture di quel periodo. La P2 arriva al Corriere molto prima della stagione della solidarietà nazionale (intorno al 1974). Per mio interesse sono andato a rileggere il dibattito tra Pannella e i commissari comunisti dell'epoca; c'era ad esempio un parlamentare, Antonio Bellocchio (infatti, le replicarono in particolar modo Bellocchio, Petruccioli e Occhetto), che all'epoca le citò una serie numerosa di articoli, pubblicati sul Corriere della Sera da alcuni giornalisti di quella testata, che erano stati vigorosamente anticomunisti; non si può parlare, infatti, di una piega filocomunista prima degli anni della Società nazionale. A me pare che l'onorevole Pannella dimentichi alcuni dati che mi sembra siano riscontrabili. In realtà, fin dal 1974 (quindi molto prima della scoperta degli elenchi di Castiglion Fibocchi), vi furono interpellanze ed interrogazioni sulla questione della P2 presentate da esponenti comunisti - cito, ad esempio, quella dell'onorevole Natta alla Camera dei Deputati e un'altra della senatrice Giglia Tedesco al Senato -. Nel 1976 su l'Unità vennero pubblicati articoli di Franco Scottoni, dopo l'omicidio Occorsio, nei quali si denunciava il connubio P2-estremismo di destra, che fu all'origine - appunto - del delitto Occorsio. Nel 1977 vennero presentate interpellanze ed interrogazioni e poi vi fu (mi farà piacere, onorevole Pannella, regalarle una fotocopia) un'inchiesta pubblicata su l'Unità nel 1980 - il primo articolo è dell'11 novembre - di un giornalista a me molto caro, che ho avuto modo di conoscere e di frequentare in un certo periodo, personaggio certamente non secondario tenuto conto anche dei rapporti stretti che aveva con l'allora segretario Berlinguer: sto parlando di Ugo Baduel, che nel novembre e nei mesi successivi di quell'anno ha pubblicato una serie di articoli proprio dedicati alla P2. Quello dell'11 novembre del 1980 si intitola ad esempio "C'è in Italia un potere occulto" (mi sono permesso di fare una piccola ricerca in proposito); vi è poi un articolo di qualche giorno dopo, del 13 novembre, sempre di Ugo Baduel, intitolato "Quel burattinaio chiamato massoneria" e non si sta parlando della Massoneria in generale, ma degli insegnamenti di una insolita intervista giornalistica relativa a Salvini, Gelli, P2, codice segreto e così via (potrei leggervi i brani). Un ulteriore articolo, e potrei continuare a ricordarne altri, intitolato "Tutti i segreti portano a Sindona". C'è, quindi, da parte dell'organo ufficiale del Pci una serie di prese di posizione che mi sembrano significative per affermare che non si possono leggere alcuni fatti, come la cena di Pecchioli o cose del genere, perché la vita politica italiana anche oggi è costellata di pranzi a base di crostate o di altri menù!

Presidenza del presidente PELLEGRINO

(Segue CORSINI). Sono convinto che probabilmente le denunce avrebbero potuto essere più ferme, magari più circostanziate, ma allora le conoscenze erano abbastanza frammentarie. Faccio presente all'onorevole Pannella che le stesse denunce del Partito radicale erano abbastanza generiche. Poc'anzi lo stesso Pannella ha affermato - riconosco la sua onestà intellettuale e politica - che quando parlò di Gelli disse "un certo signor Gelli". Il fenomeno P2, proprio perché si trattava del partito occulto - come lo ha definito un notevole interprete del pensiero giuridico italiano, Stefano Rodotà -, del partito che si qualificava come l'anti-Stato democratico, proprio perché era l'insieme di quelle forze che tenevano coniugate pulsioni eversive, compressioni antidemocratiche e destabilizzazione del sistema democratico, proprio perché era circondato da una sorta di oscurità melmose e magmatiche, impedì anche al Partito radicale di intervenire con quella lucidità e quella chiarezza di riferimenti che i Radicali e Pannella stesso oggi rimproverano al Pci; infatti, moltissimi settori politici e giornalistici - sicuramente non accusabili di connubio e di connivenze filopiduiste - osservarono quello che oggi può essere interpretato in modo sconcertante e sconcertato una sorta di scrupoloso silenzio, pur avendo certamente informazioni più ampie e circostanziate di quelle a disposizione del Partito comunista. Mi sembra che la lettura dell'onorevole Pannella (che ha tanto scandalizzato il mio collega di partito, senatore Staniscia, che ha avuto una reazione abbastanza risentita) meriti una smentita solo sul piano dei riferimenti fattuali e sull'interpretazione complessiva del fenomeno: lo merita tanto sul versante della P2, che certamente non è mai stata filocomunista, tanto sul versante della gestione del rapporto con la P2 che Pannella - appunto - attribuisce al Pci. Ripeto che questi elementi si possono desumere in filigrana anche da una serie di passaggi che la relazione Teodori - che indubbiamente va riconosciuta come il testo più approfondito e lineare di lettura del fenomeno da parte radicale - mette in luce e riconosce.

Veniamo ora alle domande. Partirci da una domanda che mi sorge spontanea alla luce della lettura della sentenza-ordinanza di Salvini (solo da poche settimane trasmessa alla Commissione), che propone tutta un'altra interpretazione rispetto a quella di Pannella e alla quale offre il supporto di una serie di riscontri documentali e testimoniali e che, a mio giudizio (al di là di sfumature o di suggestioni che possono essere approfondite o ulteriormente indagate sotto il profilo della ricostituzione dell'insieme del fenomeno) è particolarmente significativa e rilevante; non dico che essa sia del tutto convincente, ma che costituisce una pietra miliare dalla quale nessuno potrà scostarsi se non altro per gli interrogativi che susciterà in futuro rispetto alla rilettura che faremo insieme di questo fenomeno.

Le domande sono sostanzialmente le seguenti: Pannella è stato sicuramente un protagonista privilegiato - qui, a mio giudizio, è stato più un interprete che un testimone - di quanto è avvenuto in Italia e quindi anche degli eventi tragici che si sono susseguiti per oltre 25 anni. Le chiedo pertanto, sempre stimolato dalla lettura di Salvini, se è vero che vi sia stata una consociazione nella storia dell'Italia repubblicana. Per il momento io, che mi sento un apolide di questa Repubblica e che quindi non appartengo a nessuna seconda Repubblica fino a quando non sarà costituzionalmente sancita, non ho dubbi a riconoscere che c'è stato un sistema consociativo, nel senso che la DC ha gestito le funzioni del governo politico e il Pci ha gestito il controllo della dinamica sociale, della leva e della lotta sindacale; ma c'è stata anche un'altra significatica consociazione, quella tra apparati di Stato, anti-Stato che vuole diventare Stato, settori della destra estrema radicale, servizi segreti e così via. Chiedo ora all'onorevole Pannella, per quanto riguarda le stragi che hanno insanguinato l'Italia tra il 1969 e il 1980, se era a conoscenza o qual è il suo giudizio in relazione al comportamento di corpi, non dico separati, perché in realtà si trattava della norma e non dell'eccezione (soprattutto per i sevizi segreti); se sia vero o no, cioè, che hanno sabotato istruttorie, che hanno tenuto comportamenti omissivi, che sono stati depistanti? E perché? Per input politico, per suggerimento, per suggestioni o disposizioni di natura internazionale? Forse perché anche questo serviva per destabilizzare l'ordine di Yalta, per far sì che in Italia le cose cambiassero affinché nulla cambiasse? Qual è la sua lettura di questo fenomeno? Le cose che ci dice il giudice istruttore Salvini, che richiama testimonianze e le cui argomentazioni si basano sulla verifica dei fatti, evocano responsabilità che richiamano questi soggetti. Ancora, le responsabilità vanno ricercate soltanto in queste logiche omissive, compromissorie, depistanti, inquinanti, gestite dal Servizio segreto militare italiano, dall'Ufficio Affari riservati del Ministero dell'interno, oppure l'onorevole Pannella ritiene possibile che vi siano altre corresponsabilità che evocano, ad esempio, il ruolo che alcune potenze straniere possono aver giocato? Siccome reputo che quella americana sia una grande democrazia, al di là di quello che possano aver fatto singoli personaggi o apparati, ritengo che la democrazia americana mai abbia pensato di far imboccare al nostro paese la via che si tentò in Grecia o in altri paesi dello scacchiere europeo nel corso degli anni della grande guerra civile contemporanea mondiale. Un'altra domanda che mi sorge spontanea, avendo letto Salvini, riguarda un riferimento al presidente del Consiglio Mariano Rumor. Ho letto nella rassegna stampa che il senatore Taviani smentisce radicalmente anche la possibilità di pensare a tale ipotesi. Quella di un Rumor in un primo tempo impegnato a proclamare lo stato d'emergenza per poi, di fronte alla coralità della risposta popolare, tirarsi indietro dopo la grande strage milanese è un'ipotesi che le sembra plausibile alla luce delle sue conoscenze? Per quanto riguarda l'assassinio di Aldo Moro, dirò una cosa che può suonare blasfema alle orecchie di taluno, cioè che sul piano fattuale non vi sono ancora molti segreti in ordine a tale vicenda; ritengo invece che i grandi interrogativi investano l'uso politico del caso Moro. Questo credo sia l'interrogativo di fondo che ancora possiamo porci. Tornando però alla questione fattuale, quali valutazioni può esprimere, onorevole Pannella, ad esempio sul comportamento delle forze di polizia? Lei sa che il comitato di crisi che lavorò intorno al caso Moro era sostanzialmente tutto piduista. Che ruolo può avere avuto la P2 nella gestione della vicenda, nel momento in cui essa si svolse, e successivamente al fine di orientarne l'uso politico? Avendo letto la sua audizione presso la Commissione d'inchiesta sulla P2, ricordo che affermò che la polemica radicale contro quella loggia massonica, già iniziata nel 1969, individuò pericoli nell'ex Sifar, nei ricatti, in alcuni incartamenti; nell'occasione citò Carmelo Spagnuolo, Licio Gelli e il gran maestro dell'epoca Salvini. Crede vi siano legami tra la strategia della tensione e le attività e le iniziative di questi personaggi?

Ho poi una curiosità che non vuole essere una provocazione né personale né politica. Lei, onorevole Pannella, ha fatto un sacco di illazioni sul Pci; io non faccio alcuna illazione sul tentativo di candidatura di Gelli da parte del Partito radicale, al quale riconosco di aver fornito un contributo rilevante alla vita civile del paese, alla laicizzazione del costume, al venir meno di rapporti di tipo deferenziale rispetto ad istanze di tipo autoritario che sono invalse nella società italiana; è una parte meritoria quella che ha svolto il Partito radicale. Tuttavia mi è sempre rimasto un interrogativo: mentre per certi versi ho capito le ragioni della candidatura di Toni Negri, mentre ho capito - anche se personalmente mi è costato molto - le ragioni della candidatura di Ilona Staller, mi piacerebbe capire quale fu il senso che i radicali attribuirono alla candidatura di Licio Gelli. Ovviamente non penso assolutamente ad un connubio tra Gelli ed il Partito radicale.

PANNELLA. In che anno?

CORSINI. Mi pare intorno alla metà degli anni Ottanta.

PANNELLA. Fu nel 1987.

CORSINI. Questo chiarirà le ragioni della sua tentata candidatura. Faccio ora riferimento al generale Mino ed a Giorgiana Masi. Lei sapeva che il generale Mino era aderente alla P2 quando lo incontrò oppure fu messo al corrente in un altro momento? Aveva quanto meno subodorato che gravitasse intorno a quell'area? E’ possibile conoscere le istintive riflessioni che le vennero all'indomani della morte del generale Mino, all'indomani di quell'" incidente "?

PANNELLA. Urlai, alla Camera e ovunque. Ci sono gli atti parlamentari.

CORSINI. E’ possibile che lei possa scavare nella sua memoria e portare alla luce qualche sintomo, qualche elemento che possa aiutarci a capire meglio che cosa c'è dietro questo "incidente"? Qualche allusione che il generale Mino possa averle fatto, qualche pista che possa averle aperto? Un'ultima questione, del tutto personale. A metà degli anni Settanta insegnavo all'università e, come sempre mi è capitato finché ho potuto insegnare, avevo un rapporto con gli studenti; ricordo che vi fu una grande emozione nell'ambiente giovanile in ordine al caso di Giorgiana Masi.

PANNELLA. Due anni dopo.

CORSINI. Esattamente. Lei issò quella bandiera, fu uno dei pochi a far sentire una vox clamans in deserto in ordine a quella morte. Qual era il significato che aveva attribuito alla vicenda? Vorrei che tornasse su questo argomento perché mi procura un'emozione che intendo coltivare.

PANNELLA. Dinanzi a tutte queste domande, ovviamente vorrei scappare da qui per guadagnare un luogo dal quale parlare molto a lungo. Mi consenta prima alcune considerazioni. Le sono innanzi tutto molto grato perché, pur essendo necessariamente sommario nel ricordare, mi dà l'occasione di dire che anche in quei periodi di lotte, nella nostra vita di lotta, difficilmente eravamo armati della capacità e della possibilità di documentarci a fondo. Lei mi ha fornito ora una splendida verifica di quello che pensai, dissi e continuo a pensare. Lei ha detto che nel corso della legislatura che va dal 1976 al 1979 perfino Natta, allora Presidente del Gruppo del Pci, aveva presentato un'interpellanza in qualche misura attinente anche alla P2; e aveva inoltre utilizzato altri strumenti parlamentari. Lei ha quindi voluto ricordarmi che il Presidente del Gruppo parlamentare del Pci (ma anche altri parlamentari, mi pare di ricordare Flamigni, ed alcuni giornalisti rispetto ai quali lei arriva al 1980) fece le dichiarazioni che lei ricorda pochi mesi prima della sua morte. Dunque lei conferma che il segretario del Partito comunista italiano...

CORSINI. Possibile che si occupasse di altre cose?

PANNELLA. …dinanzi all'esistenza, all'opera del mondo P2, della P2, era informatissimo da sempre; per necessità, per riflessione, per cercare di comprendere la realtà italiana, che cosa accadeva nel suo mondo del potere e del sottopotere, perché il partito comunista l'aveva individuato da moltissimi anni, dal momento del Sifar, dal momento di De Lorenzo, dal momento dei riscontri tra il capo della massoneria Salvini e Celli, l'ex sindaco di Trieste che era un altro grande dignitario massonico Cecovini con le altre cose, con le denunce di Piazza del Gesù contro il Palazzo... Io nel 1969 feci un comizio in piazza del Pantheon, sotto piazza Giustiniani, per denunciare il degrado violento, purulento, della realtà massonica e della storia della massoneria, nel suo pensiero e nelle sue tradizioni. Insomma, Ernesto Natta per me... ecco. Quindi, questo è incredibile. Cosa accade? Lei mi ha chiesto la mia interpretazione: si può spiegare quello che accade tra il 1976 e il 1979-1980 semplicemente come una scelta politica. Una scelta politica grave dinanzi alla constatazione, quale? Scusi, quando c'è un comitato di crisi sul caso Moro tutto targato P2, io vorrei conoscere meglio i nomi. Voglio dire, sono qui, non l'avrei fatto se avessi avuto il tempo professionalmente di dedicarmici. Nella P2 c'erano sia Miceli che Maletti. Contemporaneamente erano associati - credo all'insaputa l'uno dell'altro - in tutti i settori bancari, dei boiardi di Stato, dei militari, i capi delle cosche nemiche. Allora, nella cellula di crisi, che questi fossero tutti targati non mi basta. Era una piovra per modo di dire: in realtà se la piovra si muove con i tentacoli e via dicendo, ha come copertura questo schieramento di quasi tutto il ceto dirigente militare, dell'apparato dello Stato, dei boiardi di Stato che confluiscono lì dentro. Il problema mi pare quindi essere chiaro da questo punto di vista. Proprio perché nel 1980 Baduel scrive quegli articoli e lo fa ben prima che Berlinguer debba dichiarare, debba adottare una linea dinanzi alla Commissione P2: "no, di questo no, perché io non ne ho saputo... non ne abbiamo mai discusso come di un elemento importante". Allora di che cosa hanno discusso? Quando ho da dire delle dimestichezze di Pecchioli, dei diversi riflessi - malgrado il suo carattere romagnolo e via dicendo - di Boldrini, di Bulof e di Minucci dall'altra parte, costantemente non c'è a priori nessuno che abbia zone di corruzione individuale; no, c'è una linea politica, un dover essere che ricerca cosa si fa, come si può fare dinanzi alla fatiscenza di questo Stato, di questa classe, dinanzi al precipitare delle cento...

CORSINI. Onorevole Pannella, c'è un elemento che lei non può trascurare. Tutta la battaglia politica di Berlinguer, dalla seconda metà degli anni '70 fino alla sua morte, è incentrata sulla questione morale come grande questione dello Stato. Non è soltanto un problema di etica personale evidentemente.

PANNELLA. Proprio per questo trovo incomprensibile che poi, appunto, la diversità del partito comunista si esplicava su mille cose tranne che su Calvi, lo IOR e le altre questioni. Noi avevamo bisogno di molto denaro; quando Calvi parlò con Spadaccia, presumibilmente si potevano aprire delle possibilità anche oneste, serie. E’ proprio li che è mancata la diversità e Tangentopoli è cresciuta...

CORSINI. Lei sa che, per quanto riguarda il finanziamento, fu tutto restituito al Banco Ambrosiano.

PANNELLA. Guardi, io questo non lo so nemmeno. So che questa è la tesi. Ma non è questo: diciamo che erano in affari assieme, ognuno per le sue ragioni. Ma io devo correre invece verso le sue domande. Chiedo scusa al Presidente ma mi riesce impossibile saltarne alcune.

Vorrei parlare di una questione di fatto. Lei dice che io ho soprattutto dato una interpretazione. No, io mi sto sforzando di versarvi dei ricordi personali di fatti e di periodi. Quando vi dicevo: "ma come è possibile, eravamo quelli che eravamo"; i massimi dirigenti comunisti si diceva che andavano in giro a dormire altrove, conoscevano tutto, una parte dell'apparato dello Stato gli era fedele (non come partito, ma come ideale antifascisti e via dicendo), tanto questo è risaputo che per quella motivazione annulliamo una marcia antimilitarista per fare i dieci giorni di lotta in difesa del diritto in Italia a Roma, eccetera, li mobilitiamo, diciamo che questa estate è annunciato qualcosa di grave, avviene l'Italicus e andiamo al Ministero dell' interno dopo due ore? Non è possibile, l'intelligenza storica di un grande corpo politico che funziona non può essere a tal punto inesistente da trovarsi in una situazione così sfasata rispetto alle intuizioni di quattro ragazzi, di quattro uomini o di quattro persone, che hanno dalla loro solo la tradizione azionista, la tradizione liberale e le mani nude di qualsiasi potere, di qualsiasi informazione di potere. Per quanto riguarda l'interpretazione sistemica, è proprio quanto io le chiedo e che chiedo alla Commissione, onorevole Corsini. L'interpretazione sistemica è: per vent'anni non si concede al popolo italiano il diritto al referendum. L'interpretazione sistemica è: non si tocca il codice Rocco. L'interpretazione sistemica è: dopo che la Corte costituzionale, Branca, Bonifacio in parte, hanno toccato i referendum (contro il Parlamento che non voleva farlo e contro la prima Magistratura democratica che con noi fa la prima raccolta di firme per l'abolizione dei reati di opinione nel 1971) dopo tutto questo noi abbiamo sempre questi ambienti contro qualsiasi variazione del codice Rocco Fino a quando poi arrivano i peggioramenti dell'unità nazionale, con i decreti Cossiga e Reale e tutte le altre cose prima, lasciamo stare la Bartolomei. Noi questo lo denunciamo, diciamo che stiamo andando distruggendo il corpo dello Stato, perché addirittura peggioriamo i codici fascisti per molti versi e distruggiamo il processo penale, creiamo delle eccezioni che individuavamo essere parti di un disegno. Allora, interpretazione sistemica: quale era la politica economica, la giungla delle pensioni, la giungla delle categorie, la giungla delle leggine corporativiste e corporative, la difesa degli enti di Stato a gestione boiardesca ma associata, il sindacato che non difende i diritti degli operai nel settore pubblico, oppure nella FIAT accadono alcune cose strane mentre nel settore privato accadono le cose che accadono. Bene, in una interpretazione sistemica di scontro di classe, con una lettura però liberale e non necessariamente marxista, anche, è ben strano: la sovrastruttura giuridica viene difesa assieme, per inerzia, dalla DC; per prudenza, per paura, dal Partito comunista che è consapevole. Non si toccano quel codici, non si fanno i referendum, si è nemici dei referendum anche abrogativi, si cerca di impedire anche quello nel 1974 dopo essere riusciti a rimandarlo di due anni; dal 1976 comincia la lunga marcia per abolire di fatto il diritto di esercizio. Noi chiediamo che si faccia l'abolizione dei codici fascisti prima del referendum, chiediamo che si faccia l'abolizione del concordato clerico-fascista - e secondo una lettura della Costituzione ciò era possibile - e raccogliamo le firme, ma troviamo l'unica forza intelligente, rigorosa, forte, non debole, il Partito comunista, che fa blocco a questi nostri tentativi. Noi abbiamo sempre preso di sorpresa i partiti borghesi e la DC. Sul divorzio abbiamo preso di sorpresa anche il partito comunista, che non credeva che ce l'avremmo fatta. Anche sull'aborto e su tante altre cose. Ma quello che ha dato l'illusione di un rilancio giacobino della difesa della libertà e della democrazia negli atti dell'unità nazionale è però un giacobinismo vestito della cultura degli anni '30, '40 e '50 sia in Italia che altrove. E’ un dramma del quale si è consapevoli nel momento in cui lo si vive. La sconfitta, se di questo si tratta, ma direi meglio la scomparsa della forza politica (diciamo piuttosto della nostra possibilità di concorrere al governo del paese, della nostra storia, dei nostri gruppi, pur così presenti molto spesso nel cuore degli eventi, ai quali hanno dato qualche luce), è quello che paghiamo. E lo paghiamo nello scontro, perché la conventio ad escludendum, da quel momento gioca solo contro di noi e non anche nei confronti del MSI, a tutti i livelli, umani, personali e ancora adesso. Fatta eccezione per Emma Bonino con Berlusconi, sono stato con il qui presente senatore Pace, perché gli altri erano andati tutti in galera, presidente di una circoscrizione. Nella mia vita però non ho mai potuto dare un apporto al mio paese, e me ne sono andato da lì cacciato dalla Sinistra, perché altrimenti sarei restato. Emma Bonino, ad esempio, non ha mai avuto una menzione. Perché? Non mi dolgo. Però dico questo: lo scontro è stato così chiaro, così limpido, così profondo che continua ancora adesso. La chiusura di radio Radicale non è voluta da nessuno, ma solo nelle viscere di un certo segno si sta riuscendo probabilmente a provocarla.

Tornando alle domande relative alle stragi del 1969 e del 1980, lei afferma che si tratta di corpi separati. Appunto. Tutta questa storia di stragi, di legalità e di stragi materiali, come si può pensare di attribuirla solamente, in presenza di grandi forze politiche che possono mutare leggi, fare riforme, contrattare in qualche misura il formarsi dei gruppi dirigenti nei vari settori... come è immaginabile che un paese che ha una sua opposizione, che non si può muovere sul piano della politica estera, che nella sua posizione vigorosa su queste cose non può mutare i codici fascisti, non può mutare certe visioni. Anche la lentezza, la timidezza mostrata per anni e anni nella smilitarizzazione...

PRESIDENTE. Ma cosa c'entra con le stragi materiali? Siamo una Commissione che indaga sulle stragi.

PANNELLA. C'entra con la sua domanda. Il fatto che lo Stato italiano, il Parlamento nello svolgimento delle sue funzioni, non sia riuscito a portare alla luce la verità, rappresenta una responsabilità comune di opposizione e di Governo. Tutti sapevano che c'era un D'Amato, che c'era un ufficio Affari riservati e che questo serviva in una politica che probabilmente era quella che cercava di comprendere dove fosse il nocciolo duro della borghesia, ovvero se nelle sue componenti "democraticistiche" o in quelle "efficientistiche", più o meno militari, si potesse realizzare, nella moralità, il compromesso con quella forza, per riuscire a mutare, nel bene e per quanto possibile, la situazione. Ricordo un solo no nei confronti di Malizia per i suoi precedenti, nel 1944. Rispetto a questi altri militari non ne ricordo uno. E questo mentre noi gridavamo, manifestavamo su Henke per le strade, venivamo denunciati, carcerati e isolati dalla vita del nostro paese, fino a diventare dei dissidenti con quattro deputati. Nelle stragi non è quindi un problema di corpi separati. E’ lo Stato, che voi chiamate consociato, uno Stato delle fazioni, della proporzionale, nel quale la ragion di partito non consentiva il senso dello Stato e la moralità. Non crediate, ricordo personaggi nobilissimi, non creda che non capisca questa cosa o non la condivida. Vi sono persone che Dio sa quanto io abbia stimato e sia stato anche ricambiato, come Ugo La Malfa o Riccardo Lombardi. Cosa dicevano costoro? L'amministrazione dello Stato ci è ostile. In realtà non funzionerà mai; se noi non prendiamo i soldi per i nostri partiti e le nostre correnti non abbiamo forza. A ciò si potrebbe rispondere: ma perché, quando la Sinistra liberale o quando il partito d'Azione ha chiesto che, invece di dire: "Tutto è confermato tranne quello che è abrogato", si potesse avere un minuto di rottura di continuità... Quindi la risposta è che tutto era interno allo Stato, poi potevano esserci anche quelle cose che voi, nel loro meccanismo, siete riusciti ad individuare. Era tutto e si sapeva tutto lì dove si conosceva la politica; si sapeva cosa fosse Cefis, Eni e Agip, lo sapeva il partito Comunista, lo sapeva Lami, la politica di Milazzo e nelle pieghe di tutto questo potevano esserci poi le impunità per i servizi deviati, le informazioni sessuali sul candidato... e via dicendo. Il problema era questo: si mandava in galera un generale dei Carabinieri se era più di sinistra o più di destra. Non si diceva questo è impossibile. C'era tuttavia una cosa e la dico per coloro che allora erano nel MSI. Quando il sistema era spremuto qualcuno tirava lo sciacquone e lo si faceva proteggere dall'immunità parlamentare eleggendolo nel Movimento Sociale Italiano. E il MSI pagava queste cose duramente, perché non erano persone appartenenti al suo dna. Il sistema ha funzionato e bene. Quindi la mia risposta è che queste stragi erano implicite, necessarie al degrado dello Stato, al peggioramento cinico, stupido del diritto, all'illusione di tutta la serie che va dalla legge Reale, ancora comprensibile, alla marea di decreti dell'unità nazionale, alle bestemmie che individuavamo.

PRESIDENTE. Questo però porterebbe ad una conseguenza assurda - me lo lasci dire - ovvero che il terrorismo e le stragi sarebbero esistiti solo per poter realizzare le leggi dell'emergenza.

PANNELLA. Io non ho detto questo e non intendo dire questo, ma affermo una cosa diversa. Abbiamo avuto una cultura politica nella quale le scelte politiche e storiche sono state fatte da forze politiche che non avevano nel loro dna nessun senso dello Stato. Avevano senso di parte e di partito e hanno espulso dal loro interno quanto ci fosse di sensibilità liberale. Questo è valso perfino nel partito liberale italiano, perché allora il corporativismo, per denunciare un altro aspetto che è strutturale alle bardature corporative, al proseguire dell'illusione gentiliana, corporativista, ma tutta antidemocratica e antiliberale... Voglio dire che quando le contraddizioni di una società, gli istinti di una società... Scusate ma io credo che l'America sia ancora la più grande democrazia del mondo e anche la più umana, e i suoi presidenti muoiono ammazzati continuamente. Non voglio dire quindi che lo si fa per difendere la grandezza americana; no, ma quando non c'è senso liberale dello Stato, ci si difende con concezioni emergenzialiste dal 1975 in poi e, fino a quella data, si difende il corpo dei fratelli Rocco - splendido corpo - e lo si fa da parte del partito comunista e di tutto il Parlamento, negando in Italia quel referendum con il quale i radicali vogliono far fuori all'80 per cento il Concordato e una serie di altre cose, come dicono i sondaggi. Si impedisce di progredire. Quando si perdono grandi confronti ideali, predominano le risse. Il fatto che l'Italia sia stata depauperata di grandi confronti, di grandi partiti, di spoil system veri, ha fatto sì che con chiunque, un po’ di più un po’ di meno, D'Amato restasse e restassero quelli che durante il caso D'Urso hanno agito, al di fuori dello Stato, indisturbati, senza domande, l'Espresso, Scalfari, De Benedetti, con i magistrati che si fermavano perché si spaventavano a vedere quel che poteva venir dopo.

Seconda domanda: Rumor plausibile? Plausibile, non posso dire di più. Però c'è una cosa che probabilmente vi farà ritenere Pannella assolutamente incorreggibile e quindi inutilizzabile. Le dimissioni del presidente Rumor dalla carica di Presidente del Consiglio, attribuite alle minacce di rivolta sociale e di grandi conflitti, si verificarono invece per un altro motivo: fu il Presidente del Consiglio cattolico e veneto che rifiutò di controfirmare il referendum sulla cosiddetta legge Fortuna, cioè quella relativa al divorzio. Lui si è dimesso in tempo e non lo ha controfirmato. Lui era davvero un uomo di partito, quindi avrebbe messo in crisi il Governo perché c'erano i rischi della rivolta sociale e degli scioperi? E’ da ridere, ma è passata come la verità ufficiale. La verità era che Rumor era un cattolico che non intendeva mettere quella firma; in alcuni articoli de "L'Osservatore Romano", di non ricordo chi, forse padre Concetto, si descriveva come un cattolico si sarebbe dovuto comportare al momento in cui avesse dovuto controfirmare un provvedimento del genere.

PRESIDENTE. Su questa vicenda di Rumor vorrei dire una cosa. Può darsi che la mia lettura delle carte del giudice Salvini non sia esatta ma l'impressione che ho è che lui non dica mai da nessuna parte che Rumor avesse promesso di dichiarare lo stato di emergenza. Lui dice che in determinati ambienti c'era il convincimento che lo avrebbe potuto fare, il che però è una cosa diversa.

PANNELLA. Io non conosco affatto il giudice Salvini perché non ho avuto la possibilità tecnica di conoscerlo; ho sempre ritenuto che le dimissioni di Rumor non avessero nulla a che vedere con questa storia, conflitti sociali, richieste di dichiarazioni di stati di emergenza eccetera, ma molto più semplicemente, molto più italianamente, seriamente e bellamente erano motivate dall'indisponibilità di coscienza ad apporre quella firma. Per il resto confesso tutta la mia ignoranza, non conosco nulla di Salvini. Allora quel gesto di Rumor non mi sorprese, me lo aspettavo. Per quanto riguarda poi l'uso politico di Aldo Moro, ritengo che il primo Governo Andreotti-Cossiga e l'altro più di unità nazionale abbiano dato molto spazio ad un disegno sostanzialmente e formalmente eversivo e golpista. Anche qui cito dei fatti: i decreti che si susseguivano ed erano ferocemente difesi in Aula solamente dal Partito comunista italiano in modo efficace, dandogli vigore morale e legittimità politica sotto il clima della necessità, dinanzi al pericolo di "Annibale alle porte", anzi, già dentro l'Italia. Vi erano decreti fatti per poter, indipendentemente dalla circostanza che il Parlamento li avesse poi utilizzati o meno, creare subito la possibilità tecnica che il Ministero dell'interno, e magari D'Amato, chiedesse ai giudici informazioni coperte dal segreto istruttorio sulle indagini inerenti il terrorismo e le stragi. Lo dicemmo allora come esempio e si è verificato per due di questi. In effetti, non appena approvato il decreto, dal Ministero dell'interno ed ovviamente in esecuzione di questo si chiesero delle informazioni a Milano e ad Ancona, mi sembra (vi chiedo scusa della mia imprecisione ma credo abbiate gli strumenti per verificare questi dati). Era una valanga di decreti incostituzionali, alcuni a livello scolastico.

E veniamo al caso di Giorgiana Masi, che richiamo perché diverso: è una provocazione estrema. In queste cose Cossiga ha sempre detto di essersi consultato in coscienza con i comunisti, lui a volte ha detto di essersi consultato proprio con Enrico Berlinguer sul vari problemi, d'altra parte ciò era evidente dallo svolgimento dei lavori d'Aula e nelle nostre Conferenze dei Capigruppo con Ingrao alla Camera dei deputati. C'è un decreto emesso a seguito di comportamenti "purulenti" delle forze dell'ordine a Roma. Noi affermavamo da Radio radicale che, ad esempio, era chiaro che un corteo che veniva da Via dei Volsci era protetto nel suo percorso dalla Polizia e chiedevamo perché non si intervenisse; era prevedibile, erano scortati ed erano tutte manifestazioni vietate.

PRESIDENTE. Questo ce lo ha detto l'altra volta, però in quella occasione lei disse che tutto sommato questa escalation della tensione era funzionale ad un disegno che doveva poi portare Visentini a...

PANNELLA. Si tratta di due periodi un po' diversi.

PRESIDENTE. Però la vicenda di Giorgiana Masi attiene al secondo periodo.

PANNELLA. No, la vicenda di Giorgiana Masi è aperta a quel periodo ma anche ad altri.

PRESIDENTE. Allora la mia domanda è: Cossiga in tutta questa vicenda che ruolo aveva? Lui partecipava ad una specie di congiura o di golpe....

PANNELLA. Presidente, lo stavo spiegando un minuto fa e mi sono assunto la responsabilità di dire che ritengo esistessero disegni soggettivi eversivi e stavo spiegando a partire da quali dati ho ritenuto di dover fare questa affermazione in Commissione.

PRESIDENTE. La cosa strana è che lui è venuto qui in Commissione ed ha difeso il suo partito; invece, secondo questa tesi, complottava per abbatterlo.

PANNELLA. Certo, queste sono delle cosiddette scorie della storia. Ciò che a me importa è di continuare ad assumermi la responsabilità di dare adesso questa risposta dicendo: sì, noi abbiamo avuto tali comportamenti a livello soggettivo da parte dei massimi poteri dello Stato italiano. Probabilmente non è che si riunivano in Consiglio dei ministri per approvare queste scelte, ma comunque era chiaro che dolosamente si cercava di uscire fuori dalla situazione del Paese, che ciascuno giudicava come giudicava, attraverso un disegno eversivo di sospensione della Costituzione, che si realizzava anche con lo stato di necessità. Ciò avviene ad esempio quando il presidente della Camera Ingrao è d'accordo nell'impedire l'esercizio di poteri di indirizzo che spettano al Parlamento sul caso Moro e lo impedisce fino in fondo; o quando si costringe di fatto, per accordo dei partiti, a rispondere all'attentato di Via Fani ed al pericolo delle Br, anziché con la constatazione che c'è un Ministro dell'interno ed un Governo che hanno reso possibile questa situazione e quindi si deve alzare la bandiera della democrazia nominando un Governo diverso, con la creazione di un Governo senza dibattito, un Governo che non si sarebbe fatto senza Via Fani. Era noto che alle due di notte, dinanzi all'elenco dei Ministri, Natta ed altre persone avevano detto che non si poteva dare più la fiducia ad Andreotti. In quella circostanza noi chiedemmo un dibattito approfondito: l'Italia deve rispondere ai brigatisti e agli altri con un grande dibattito per fare un Governo adeguato. No, con toni giacobini si risponde di no perché "Annibale è alle porte". Ma Annibale chi? Quei quattro lì, li avete visti. Questo fu un tradimento della Costituzione.

PRESIDENTE. Erano quei quattro lì che però avevano vinto cinque-zero a Via Fani.

PANNELLA. Ma noi abbiamo sempre detto, e lo ha detto Sciascia e lo abbiamo detto noi in altre relazioni, che dalle Br all'interno erano venuti moniti e preavvisi su questa operazione, preavvisi diretti all'interno dello Stato, di uno Stato piduista e antipiduista, di uno Stato di corrotti che erano nella P2 (non che tutti i piduisti fossero corrotti; diciamo di democratici corrotti) e di comunisti lucidi che tentavano di perseguire l'obiettivo della salvezza del paese, eccetera, attraverso l'individuazione in quel nocciolo duro efficientista della borghesia e con i contatti che c'erano, si gioca anche quella carta. Ma voglio arrivare a parlare di quando si emana il decreto che sospende i diritti di manifestazione a Roma, i diritti delle forze non violente. Stiamo raccogliendo le firme sui referendum, tutti quelli contro i decreti e via dicendo, importantissimi (c'era anche poi altra "robetta", cioè l'aborto e altre cose); ebbene, a quel punto a Roma ci si impedisce la raccolta delle firme, i tavoli e via dicendo. Noi il 12 maggio, nell'anniversario della vittoria, come sempre, facciamo qualcosa a piazza Navona. Quindici giorni prima vado da Cossiga, vado da Ingrao, eccetera, e sollevo il problema di questo decreto riferendomi al 12 maggio; intanto gridiamo che quel decreto sospende la democrazia e che se, quindi, si arriva all'uso della forza, qualcuno ammazza qualcun'altro delle forze di polizia, noi temiamo che il decreto lo estendano a tutta l'Italia. Lo diciamo subito che non è costituzionale, ma viene emanato e lo schieramento di Unità nazionale lo conferma, anche con urla contro di noi in Parlamento, quando noi facciamo questa critica. Il 12 maggio riusciamo ad ottenere alla fine l'avallo a quella convocazione anche dei sindacati, con i quali avevamo un pessimo rapporto, e con grosso interessamento del presidente Ingrao. Siamo in assoluta mancanza di legalità. Quel pomeriggio tutto era stato organizzato in modo da creare una strage, e io non conosco la tentata strage ma conosco, secondo il codice italiano, una strage. Abbiamo predisposto un libro bianco che lo ritengo clamoroso, da questo punto di vista, e abbiamo avuto subito assegnato al tandem D'Angelo-Santacroce (che poi qualcuno ha conosciuto in altre occasioni subito dopo), prevedendolo, l'accertamento delle verità su quel pomeriggio. L'andamento di quel pomeriggio è chiaro; c'è stato un solo fatto: quasi per miracolo e per caso siamo riusciti ad impedire una strage che doveva sicuramente scattare alle quattro del pomeriggio a piazza San Pantaleo, a Campo de' Fiori, in cui c'è stato oltraggio al Parlamento, il Ministro ha dichiarato il falso al Parlamento tre volte, dicendo che la polizia non avrebbe mai sparato (abbiamo dato per fortuna un pezzo filmato con la polizia che sparava); si è detto che da parte dei manifestanti vi erano degli armati che sparavano contro la polizia: state attenti, è vero, e riuscimmo ad ottenere solo da "II Messaggero", perché il "Corriere della Sera" e "La Stampa" di Torino si rifiutarono per cinque giorni di pubblicarla, la pubblicazione della foto di un membro della polizia (ecco perché in Italia non è proprio la storia, Presidente); il capo della squadra mobile di allora a Roma era il dottor Masone e questi aveva accettato che i suoi uomini si armassero, vestiti o travestiti da autonomi, fossero di fronte alla polizia e sparassero; a riprova di ciò avevamo una foto che riuscimmo a malapena (ecco il clima d'Italia allora) a vedere pubblicata sul "Il Messaggero", perché non c'erano i venti o trenta morti. Quel pomeriggio con una voce che arrivava o dalla Questura di Roma o dal Ministero che noi registrammo e demmo ai magistrati...

PRESIDENTE. Questo ce l'ha detto già l'altra volta, onorevole

PANNELLA. Sì.

PRESIDENTE. Speriamo di poter finire questa sera l'audizione.

PANNELLA. La ringrazio, Presidente. Le chiedo scusa, ma era un riferimento correlato alla domanda. Quindi dico che in quel caso, per esempio, vi è stata sicuramente una scelta politica del Presidente del Consiglio, del Ministro dell'interno, del Partito comunista, in tutto il periodo nel quale si è compiuto quello che sicuramente è un atto anticostituzionale, cioè si è impedito al Parlamento di esercitare il suo potere-dovere di indirizzo, non si è consentito nessun dibattito, mai, si son fatte cose dell'altro mondo, non si è permesso nelle televisioni di dare atto di un qualsiasi dissenso di impostazione. Noi, nemici di Moro, dicevamo, come ho ricordato, "Moro presidente del Consiglio", "Moro presidente della Repubblica", per salvarlo, sapevamo che doveva mantenere un valore, e una voce ci diceva nel Transatlantico: "Deve morire, perché ormai lui... ", e via dicendo. E’ stato tutto coerente e coerenti poi sono state tutte le storie che abbiamo visto, che conosciamo, che poi sono venute e che non ripeto. Quindi sì, c'è stato un disegno eversivo, in gran parte lo si è realizzato; se è eversivo, si deve sospendere e mutare, anche contro la Costituzione, il funzionamento delle istituzioni. Circa le responsabilità, sono quelle che Cossiga poi ha dichiarato quando era presidente della Repubblica e che rispondeva, quando gli chiedevano: "Ma con chi faceva queste cose?" dicendo: "Con Berlinguer". Conosciamo i drammi di coloro (è stato citato prima Gughi Baduel, io posso citare Franco Salvi) che allora erano più vicini a Moro e che erano più vicini anche a Zaccagnini; in quei giorni chi ha avuto la grandezza storica di fare le sue scelte e la sua lotta era il Partito comunista, e infatti il Partito comunista aveva il prestigio, e l'ha avuto morale, per essere il referente al quale persone della grandezza anche di Zaccagnini, Salvi, eccetera, hanno chiesto quotidianamente come reggere la situazione, come condurla. Devo dire che nelle Aule del Parlamento c'era la testimonianza di tutte le richieste di difesa rispetto ai decreti, eccetera, delle nostre iniziative, dei referendum del 1980. Quindi io credo che sia stato uno Stato fuori legge, uno Stato che non ha creduto alla legge, per il quale la legge non ha avuto senso, nel quale la legge è stata questa, cioè ha avuto forza di legge la "non legge" e la forza politica e sociale di organizzazioni di partito che si sono assieme unite e hanno assieme rissato. Circa il comportamento delle forze di polizia...

PRESIDENTE. Se la posso interrompere un attimo, onorevole Pannella, ho letto un bellissimo romanzo di Marquez che si intitola "Cronaca di una morte annunciata": ebbene, io più rifletto sul caso Moro più mi vado convincendo che sia una tragedia dello stesso tipo.

PANNELLA. Assolutamente.

PRESIDENTE. Cioè, nella storia di Marquez alla fine il protagonista viene ucciso da quelli che avevano lanciato segnali chiarissimi che lo volevano uccidere e avevano fatto di tutto per farsi fermare, però alla fine tutti i protagonisti della tragedia finiscono, sia pure staccati l'uno dall'altro, proprio con un senso di tragedia greca, per agire in maniera tale da rendere ineludibile la fine tragica.

PANNELLA. Certo, poi...

PRESIDENTE. Mi faccia dire, onorevole Pannella. Io mi vado convincendo che in quella vicenda di Moro poi in fondo ognuno nel suo ruolo assunse posizioni che alla fine portarono verso quell'esito tragico, perché il partito della fermezza poi non assumeva i comportamenti conseguenti, cioè le azioni di polizia che dovevano servire per liberarlo, perché si terrorizzava probabilmente delle conseguenze politiche che sarebbero potute venire fuori da un'azione militare in cui Moro sarebbe morto; il partito della trattativa non diede nessun contributo; cioè, si assistette al cinismo istituzionale del PSI, che tratta con Pace (abbiamo sentito la Faranda l'altro giorno, ci ha spiegato come andò la trattativa) ma non pensa che sia suo dovere andare a dare informazioni alla magistratura, ai corpi di polizia, su quello che sta avvenendo; e forse anche la famiglia, in qualche modo, era in possesso di informazioni che non dava ai corpi di sicurezza perché non si fidava; se questa mia lettura fosse esatta, anche il suo ruolo, onorevole Pannella, e del Partito radicale avrebbe contribuito a questa tragedia, perché pensare che viene rapito Moro e come prima cosa non si debba formare il Governo a me sembra una stranezza; io mi domando i corpi di polizia come si sarebbero sentiti all'idea che era stato rapito Moro e intanto il Parlamento italiano dibatteva se formare un Governo diverso da quello annunciato: non mi sembrava una buona idea, ci si sarebbe trovati in un momento di crisi con uno Stato acefalo, insomma.

CORSINI. Pannella oggi sottovaluta la presenza, il pericolo, l'incidenza, il consenso di cui le Brigate Rosse disponevano in quella stagione: non erano quattro scalzacani come si vuole far credere, insomma.

PANNELLA. Lo credo: quando lo Stato dimostrava contro di loro di essere uno Stato come loro avrebbero voluto che fosse, credo che in effetti fosse difficile che noi creassimo davvero nel nostro paese...

PRESIDENTE. Io rispetto la sua posizione, onorevole Pannella, ma la mia impressione però che lei riporti oggi qui da noi (che invece saremmo impegnati nel tentativo di fare chiarezza) i contenuti di antichissime, e ancora vive, però, nella sua memoria, polemiche politiche. Forse le polemiche politiche non giovarono in quel caso.

PANNELLA. Signor Presidente, infatti continua anche lei a essere portavoce della stessa risposta politica di allora. Io affermo semplicemente che il cittadino Moro, il deputato e presidente del Consiglio democristiano aveva il diritto di non vedere sospeso lo statuto del suo partito. Le regole dello Stato servono nei momenti gravi o quando non sono necessarie? Le regole si sospendono quando c'è il nemico alle porte? Questa è la concezione prevalente in Italia: le regole liberali, le regole dello Stato, le regole democratiche valgono se il momento non è grave; altrimenti non valgono e ci si sbarazza di loro, ricorrendo all'emergenza. Questa è la cultura di Cossiga, questa è la cultura del Partito Comunista di allora (non parlo del PDS). Non sto dando un'interpretazione, dico semplicemente che in termini di diritto vi è stata una violazione di diritto ed una violazione della Costituzione quando il Parlamento non ha potuto esprimere il suo potere di indirizzo. Non parlo solo della legittima scelta, che io tuttavia ho ritenuto gravissima, di costituire il Governo in poche ore: non dico che fosse una scelta illegittima, è stata una scelta politica. Avevamo un Ministro dell'interno ed un Governo che ci avevano portato a questi begli esiti e in quarantotto ore viene rinnovata la fiducia con un Governo peggiorato e alle stesse persone! Per carità, ripeto, non ho detto che era illegittimo, ma sottolineo il livello della politica italiana, sottolineo il contenuto dell'accordo tra DC e comunisti nel Parlamento. Io contesto la legittimità della sospensione dello statuto della DC mentre un nostro collega chiedeva che si rispettasse almeno la Costituzione - così scriveva Moro dal carcere - e che si discutesse di come doveva morire, perché avesse almeno l'onore di essere menzionato negli atti del Parlamento.

PRESIDENTE. Non sarebbe stato più giusto discutere di come lo si doveva salvare, cioè andare a rintracciare la prigione e liberarlo?

PANNELLA. Questa è stata la nostra tesi. Noi affermavamo che se discutevamo ancora guadagnavamo tempo per cercare di controllare e di raggiungere le brigate rosse. E si poteva farlo, tant'è vero che poi abbiamo visto quello che è successo, mentre l'amore dello Stato e il salvataggio della Repubblica comportava per il Partito Comunista e persino per Zaccagnini in quel momento la messa a morte delle regole e la stessa morte di Moro. Poi non vi meravigliate se a Via Gradoli sono arrivati con le sirene spiegate senza sfondare la porta! Personalmente - ci tengo, signor Presidente, altrimenti dovrei solo chiederle scusa e andarmene - non sono qui a difendere una tesi.

PRESIDENTE. Sto accettando il dialogo.

PANNELLA. E’ vero, la nostra può anche essere una interpretazione ideologica. Ma se uno afferma che la Repubblica si difende alzando la bandiera delle leggi, non smentendole astutamente dinanzi all'eversore, all'assassino, questo è vero, non è un'ideologia.

PRESIDENTE. All'interno della difesa delle leggi sono stati compiuti, in quei cinquantacinque giorni, alcuni atti che - sarà un mio limite - non riesco a capire. Per esempio, come sono stati costituiti i comitati di crisi? Che c'entrava il professor Vincenzo Cappelletti, direttore dell'Isitituto dell'Enciclopedia Italiana nel comitato di crisi che doveva salvare Moro? Qual è la sua risposta?

PANNELLA. La mia risposta è che non c'entrava nulla, ma dava tutte le garanzie al Partito Comunista e alla DC di non rompere l'anima: punto e basta. Che fossero piduisti di destra o di sinistra (anche se non significava nulla), in quel momento era la garanzia che si trattava tutto al di fuori delle sedi a ciò deputate: è stato un atto di rivolta, un golpe contro la Costituzione italiana. E’ come se lei mi dicesse che, dato che gli jugoslavi ci attaccano, a un certo punto viene sospesa completamente la democrazia italiana, al di là delle clausole costituzionali a tutti note sulla proclamazione dello stato di guerra. Questo modo di procedere continua ancora oggi: questa è la verità, signor Presidente. All'onorevole Corsini che mi chiede se, oltre al comportamento delle forze di polizia, vi siano state altre responsabilità - ed io aggiungo soggettive, per aggravare la sua domanda - io rispondo di sì. Noi abbiamo avuto un lungo disegno golpista, realizzato dall'unità nazionale, che si è fondato sulla violazione dei principi costituzionali ed ha provocato una legislazione della quale siamo tutti molto lieti per il successo dell'amministrazione della giustizia nel nostro paese.

Per quanto riguarda Mino, quando l'ho incontrato non sapevo che era della P2. Sapevo - l'ho già detto - che era un personaggio particolare. Io ricordavo l'esistenza di un colonnello Mino perché con l'ammiraglio Spigai era stato indicato, all’inizio della presidenza Saragat, come uno dei "generali del Presidente". Era l'epoca del SIFAR, De Lorenzo, eccetera. Però ho già detto che nell'ingenuità del suo modo di fare, questa persona - che io non conoscevo - mi fece capire di essere un anticlericale e un po' massone, così, discorsivamente, parlando male di "questi preti"; non ricordo cosa disse, ma il tono era quello di chi pensava che un radicale fosse necessariamente massone. Tutto lì. A posteriori ho riflettuto ma allora il mio riflesso era non chiedermi se uno avesse una targa oppure un'altra, ma cercare laicamente di valutare quanto mi veniva proposto.

Per quanto riguarda la domanda su Licio Gelli e la sua candidatura nel 1987, devo dire che, Gelli è stato potente, la sua organizzazione della politica è stata quanto meno rispettata dalle grandi forze politiche e dai poteri italiani. Quell'anno - Gelli era da almeno un anno in una giungla, irrintracciabile - nella nostra sete di verità io pensai e dissi pubblicamente che eravamo disposti ad andare al disastro elettorale - perché non avremmo avuto modo di spiegarci agli italiani, grazie all'assenza di democrazia e di rispetto dei diritti in Italia per quello che ci riguarda - pur di offrire a Gelli l'immunità parlamentare dietro la garanzia che lui avrebbe raccontato la verità. C'era stato un precedente e vi ho già fatto cenno: il generale De Lorenzo, che era stato attaccato soprattutto da L'Espresso e dai radicali, ad un certo punto chiese a Franco De Cataldo di difenderlo. Dopo averne parlato con me personalmente, Franco De Cataldo gli rispose che l'avrebbe difeso se egli avesse raccontato quello che sapeva, cambiando linea difensiva; e le cose che si seppero in quel momento, emersero proprio in base a questo impegno di De Lorenzo. Quindi, la nostra idea - lo dicemmo pubblicamente - era di offrire l'immunità al fuggiasco, a colui che poteva essere ammazzato da un momento all'altro. Ormai Gelli non faceva più comodo a parecchie persone e infatti scappava perché pensava che qualcuno avrebbe potuto ucciderlo. Abbiamo tentato di avere la garanzia che, in cambio dell'immunità parlamentare, ancorché relativa, Gelli si impegnava con noi a raccontare la sua verità; ma avemmo la sensazione che non poteva o non voleva dare questa garanzia e quindi non se ne fece nulla. Voglio sottolineare ancora che questa notizia la demmo noi.

PALOMBO. Vorrei ringraziare l'onorevole Pannella, anche a nome del collega Fragalà (che questa sera non può essere qui presente per "disservizi della compagnia di bandiera"): egli rappresenta indubbiamente uno spaccato reale della vita italiana per le battaglie, condivisibili o meno, che con grande coraggio e fermezza ha condotto in questi ultimi anni. Vorrei rivolgere all'onorevole Pannella cinque domande dirette e brevi: con il permesso del presidente Pellegrino, vorrei formularne prima tre, alle quali spero che l'onorevole Pannella riterrà opportuno rispondere, e poi altre due.

PRESIDENTE. Collega Palombo, lei è un esperto di interrogatori!

PALOMBO. Forse servono a qualcosa 39 anni di servizio nell'Arma! Vorrei sapere dall'onorevole Pannella, innanzi tutto, quali sono stati i collegamenti tra Licio Gelli, il Partito Comunista Italiano e i servizi segreti dell'Est, con particolare riferimento a quelli della Romania. Vorrei chiedere poi se e per quale motivo, a suo avviso, sarebbe utile audire l'onorevole Pietro Ingrao in merito al rapimento Moro e, sempre relativamente a tale vicenda, quali sono stati i rapporti tra l'ENI, Moro e il mondo arabo.

PANNELLA. In merito ai collegamenti tra Gelli, Pci e Romania, non so nulla; so quello che tutti abbiamo letto, ad esempio sul libro di Piazzesi e Giustiniani, con le polemiche e gli ulteriori aggiornamenti e che - appunto - non hanno mai dato luogo ad un dibattito politico. A ciò non potrei aggiungere nulla. Proprio perché so quelle cose, ritengo che qualificare Gelli come un agente doppio - anche a lungo - nella sua attività non mi sembra a priori arbitrario, tutt'altro!

PRESIDENTE. Neanche a me!

PANNELLA. La seconda questione - e mi rivolgo anche al senatore Corsini - riguarda il fatto di usare l'anticomunismo...

PRESIDENTE. Le recenti rivelazioni su Hass dimostrano che è diffusa la pratica della spia e della controspia o dell'agente al servizio di due sistemi.

PANNELLA. E’ indubbio che ufficialmente la P2 abbia creato il suo impero con l'appello anticomunista e d'altra parte lo si è fatto con l'appello antifascista e magari antircorruzione democristiana; il problema è quale uso si fa della forza che così si ottiene! Nel 1976 troppo a lungo dichiarai che dieci milioni di italiani votarono Andreotti contro Berlinguer e altri 10 milioni votarono Berlinguer contro Andreotti per essere tutti e 20 milioni, non proprio turlupinati, ma insomma... Certamente hanno cercato di avere la forza nell'anticomunismo per trattare con il potere italiano. Per quanto riguarda Ingrao, la sua audizione sarebbe interessante; tuttavia, a mio avviso, la domanda da formulare dovrebbe essere non quella sul Governo che appartiene alla legittimità politica, ma la seguente: perché il potere di indirizzo non è stato consentito alla Camera dei Deputati? Era un potere-dovere, ma è stato vietato, non è stato consentito. O ancora, perché, ad esempio, quando Moro gli ha scritto, lui ha passato la cosa all'autorità giudiziaria invece che al Parlamento? In questo modo, formalmente, si è affermato che il Parlamento non se ne può occupare e che la questione riguarda l'autorità giudiziaria. Questa è una visione da anni '30 e non una visione democratica!

Per quanto riguarda l'ENI e Moro, non so nulla in particolare. Come noto, sono sempre stato un filoisraeliano convinto. La politica di Moro, come d'altra parte quella di Fanfani e buona parte di quella cattolica (non quella degasperiana), mi è apparsa molto sensibile al mito mediterraneo e al mondo arabo; sappiamo che il colonnello Giovannone era molto importante, ma non so nulla di specifico in proposito. Potrei soltanto dare rappresentazioni e interpretazioni, ma non fatti.

PALOMBO. In una dichiarazione lei ebbe a dire: "E’ importante non liquidare vicende che nascondono scheletri negli armadi del Partito Comunista Italiano e non solo, dicendo che sono vicende marginali e di nessuna importanza". Le sarei molto grato, onorevole Pannella, se ci spiegasse in modo un po’ più approfondito questo concetto.

PANNELLA. Abbiamo aperto l'audizione di stasera in questo modo, quando l'onorevole Corsini ha interrotto il collega Manca affermando che si trattava di questioni note: ecco, qui ci sono tante cose che si sanno, ma che non sono mai state riconosciute nella loro possibile significanza politica complessiva.

CORSINI. Vorrei fare una considerazione: in questo paese non c'è storia di partito politico più studiata ed indagata di quella del Pci.

PANNELLA. Non dalla politica, ma dagli studiosi e comunque neanche da tutti e non ha riguardato tutta la storia perché la situazione degli archivi...

CORSINI. Non credo vi sia sistema archivistico più aperto di quello del Pci.

PANNELLA. Sì, c'è quello del Partito radicale!

PRESIDENTE. Ho stima del senatore Palombo, a cui voglio preannunciare che, come Presidente di codesta Commissione, cercherò in tutti i modi di impedire che accada una cosa: ormai siamo in possesso di una serie di verità; può darsi che non siano le verità ultime o che vi siano strati ancora più sotterranei e ulteriori chiavi di lettura delle vicende, però codesta Commissione, a mio giudizio, ha il dovere di iniziare a rivelare queste verità. Infatti, non possiamo iniziare con un gioco di specchi ad aprire scenari infiniti, rispetto ai quali dovremmo cominciare da zero per trovare riscontri, affinché ciò serva a non dire le cose ormai accertate, o semmai ad ascoltare un appello come quello di Dario Fo - che io rispetto ma che secondo me non ha senso - che la storia della strategia della tensione e la storia della divisione Pastrengo all'interno di quella strategia è stata scritta ormai negli atti giudiziari: perché allora non dobbiamo dirlo agli italiani? Poi faremo altre indagini, però abbiamo il dovere di dire: oggi abbiamo accertato questo! Vi potranno essere altri accertamenti, ma - ripeto - quello che abbiamo accertato rimane tale; oppure dobbiamo andare sempre a ricasco dell'autorità giudiziaria per dimostrare questa incapacità del Parlamento di dire quanto già sa con sufficiente chiarezza?

PALOMBO. Non sono d'accordo con la sua osservazione, ma credo che essa non abbia alcuna attinenza con la domanda che ho rivolto all'onorevole Pannella: credo, infatti, che siamo andati un po' fuori tema.

PANNELLA. Io, pero, le ho risposto: le ho detto che sono assolutamente convinto che la storia italiana di questi dieci o quindici anni è stata piena di cadaveri di ogni tipo, che stanno tutti nell'armadio della verità storica italiana.

PALOMBO. L'ultima domanda che intendo rivolgerle forse potrà sembrare ingenua ed è già stata formulata ma lei, onorevole Pannella, è un personaggio molto interessante...

PRESIDENTE. Su questo sono d'accordo.

PALOMBO. …che sa tante cose e le dice (si deve darle atto di questo perché ha sempre dette le cose che pensa!). La domanda è la seguente: cosa è accaduto realmente negli anni intercorsi tra il 1969 e il 1974? Che possibilità vi erano di portare a termine colpi di Stato in funzione anticomunista con un Partito comunista forte, che aveva la possibilità - come, d'altra parte, ha attualmente la sinistra al Governo - di mobilitare grandi masse di militanti? Chi avrebbe potuto organizzare un colpo di Stato e quali potevano essere le possibilità di riuscita? Non le sembra che affidarsi alle dichiarazioni, senza prove di riscontro, di funzionari, di pentiti, di ufficiali e anche di carabinieri (magari amareggiati per non aver ottenuto un posto di prestigio dopo il collocamento in congedo) possa essere pericoloso e riaccenda e sobilli rancori? In questo caso, mi riferisco all'allucinante vicenda della signora Franca Rame: la tristissima vicenda di violenza subita dall'attrice, nonostante gli anni trascorsi, non può che suscitare indignazione e ferma condanna. C'è però da dire questo: non sarebbe più importante, secondo lei, prendere in esame solo fatti facilmente riscontrabili invece di dare spazio a gente amareggiata o, peggio ancora, a dichiaranti che poi si scopre essere trafficanti di droga o grosse canaglie? Una maggiore moderazione non gioverebbe alla politica, al paese, a tutelare la memoria di chi non c'è più e che quindi non si può neanche difendere, soprattutto a tutelare un'istituzione come l'Arma dei carabinieri verso la quale è in atto il tentativo strisciante, ma non più di tanto, di colpevolizzare l'istituzione, guarda caso sempre nel momento in cui il Parlamento ha all'esame proposte legislative di primaria importanza per il ruolo che l'Arma stessa dovrà assumere nei prossimi anni nel sistema di sicurezza nel nostro paese? Mi riferisco a dichiarazioni come quelle riportate dal quotidiano "la Repubblica" in un sottotitolo dove, dopo l'affermazione "II generale gioì per lo stupro", viene riportata virgolettata la seguente frase: "Avete violentato Franca Rame. Era ora!". A chi ha rivolto questa frase, agli autori della violenza? Un giornale come "la Repubblica" che scrive queste cose in questo modo mi preoccupa. Si legge ancora che in caserma c'era euforia: "Pensai che fosse solo questione di cattivo gusto". Me lo immagino l’appuntato pugliese che lavora a Milano con uno stipendio di 200.000 lire al mese che gioisce perché è stata violentata Franca Rame! Questo generale Bozzo parla di ritardi nella carriera; ma era un miracolato, veniva chiamato Lazzaro perché fu messo in pensione, poi riciclato ed infine posto a capo di una divisione! Ed ora infanga l'Arma e la stampa riporta queste cose, si arriva a scomodare il Presidente della Repubblica. Ma chi le ha dette queste cose? Pittaresi, che è stato arrestato perché è un trafficante di droga, perché è una grossa canaglia. Eppure si dà risalto a queste cose. Quando finiremo di chiudere la nostra inchiesta se si aprono nuove finestre attraverso dichiarazioni di gente inqualificabile, impresentabile e di altri che purtroppo sposano la causa di queste persone? Sono amareggiato per questi fatti che portano il nostro paese sempre alla ribalta per certi motivi. Esprimo la massima solidarietà a Franca Rame che stimo per la sua capacità e per la sua arte. Questo è solo uno dei casi, ma ce ne sono stati tanti altri in cui si è dato ascolto a persone che poi si sono rivelate inattendibili ed inqualificabili. Quindi le chiedo, onorevole Pannella, se può dirmi cosa è avvenuto realmente negli anni che ho indicato e che possibilità vi erano per questo colpo di Stato in Italia. Ho vissuto quei momenti, ero in uniforme e posso giurare sul mio onore che non ho mai sentito né ho avuto la sensazione che vi fosse un solo preparativo in tal senso. Come dicevo nell'audizione del senatore Andreotti, nel momento in cui si sarebbe dovuto compiere questo famoso colpo di Stato avevamo pochissimi carri armati; in un battaglione ce n'erano sei e per farne andare due bisognava cannibalizzare gli altri. C'è stata gente che ha sbagliato, ma perché buttare questo fango, perché sollevare questo allarme continuo? Il paese ha bisogno di serenità, di spinte per lavorare, la gente ha bisogno di stare tranquilla e non è possibile buttare veleno in continuazione. Per questo rivolgo all'onorevole Pannella queste domande in quanto sicuramente egli potrà dirmi qualcosa per togliermi di dosso le angosce che mi porto dietro.

PANNELLA. Rispondo con un fatto. Perché il presidente Giovanni Leone si dimise? Per lo scandalo Lockheed? Per altre nostre denunce puntuali? Vi fu qualche seguito istituzionale? No. Ricordo quando noi riportammo il 43 per cento dei consensi in condizioni di esclusione peggiori del fascismo e del comunismo da parte delle televisioni e dappertutto. Fu l'anno del bavaglio. Allora vi erano soltanto due telegiornali e ricordo quando il principale di essi alle ore 13 disse: "Questa mattina si sono aperte le urne. Votano sì ai referendum i radical-fascisti e i terroristi. Votano no ... " Fu un giornalista ora scomparso a dirlo, Rocco. Così affrontammo il referendum e in quelle condizioni prendemmo il 43 per cento, unico partito a sostenerlo perché anche il Movimento sociale italiano era favorevole al finanziamento pubblico; e il Partito comunista, ancora una volta il partito dell'intelligenza e della battaglia storica, decise che bisognava mollare qualcosa a questo paese che dava il 43 per cento dei consensi ad un partitino dell'1,1 per cento, senza libertà.

PRESIDENTE. Di quale referendum parla?

PANNELLA. Quello sul finanziamento pubblico dei partiti. Non avemmo alcuna possibilità di difenderlo, venimmo linciati dappertutto.

PRESIDENTE. Che c'entra con le dimissioni di Leone?

PANNELLA. Sostengo che si decise di mollare d'urgenza all’opinione pubblica qualcosa. Non avendo voluto svolgere sulla Lockheed un'indagine seria, avendo preso solo quattro polli, poverini, socialdemocratici, si pretesero in realtà le dimissioni di Giovanni Leone. E’ una cosa di cui ancora mi vergogno per il nostro paese, non certo per le battaglie che facemmo. Per la Lochkeed già funzionò l'unione nazionale e si fece pagare a Tanassi ed a Gui. Cosa intendo dire? A un inizio di risposta: un Presidente della Repubblica che certamente fu l'ultimo - e tutti sanno quanto ho adorato ed appoggiato Pertini - ad agire sicurissimamente nel rispetto della Costituzione è stato costretto a dimettersi, apparendo quindi all'opinione pubblica come qualcuno che doveva confessare una propria indegnità. Non ha avuto il diritto democratico di essere processato ed assolto. Fu un atto di protervia dell'unità nazionale e del Pci. Un solo colpo di Stato era possibile; è stato fatto ed ha avuto successo: quello di liberare dalle ipoteche - rivoluzionarie in fondo in questa nostra società - liberali lo Stato concepito dai costituenti. Questo è stato portato a termine con la violazione della Costituzione (golpe) e la negazione dei diritti costituzionali, con un ordine giudiziario che è stato totalmente omogeneo, per cultura, a questa liquidazione dello Stato liberale. Questo sì, ma nessuno in Italia poteva immaginare, nessuno poteva essere così idiota, imbecille o pazzo da pensare di realizzare con successo un golpe che mettesse fuori legge il Pci. E Borghese sicuramente non aveva questo disegno. Quindi la risposta è che si è trattato di un golpe strisciante, pubblico, ufficiale, continuo, finalizzato alla liquidazione di quelle parti della Costituzione italiana che erano di pretta derivazione liberale.

PRESIDENTE. La domanda di Palombo era: a quale disegno erano funzionali le stragi?

PANNELLA. E’ quello di eliminare l'autorità formale dello Stato. Alcune le ha spiegate lei, signor Presidente, quelle che abbiamo ricostruito. Spero che ricostruiate anche le altre.

CORSINI. C'è un problema cronologico, nel 1969 chi realizza la strage di piazza Fontana lo fa pensando che dopo qualche anno ci sarebbe stata l'unità nazionale?

PANNELLA. Non ho letto Salvini. Rispondo che certamente queste persone non erano di grande intelligenza perché era chiaro che ogni attentato all'umanità della vita della nostra società sarebbe invece servito come ulteriore rafforzamento della necessità di unirsi contro la barbarie. Questo è pacifico. D'altra parte, per la terza volta vorrei sapere, per esempio, se è vero o è un errore di memoria che la prima sede del Partito radicale visitata quella sera della strage di Milano fu quella di via Lanzone n.1, e se è vero che il capitano della celere, Margherito, fu processato per avere detto a Peschiera di aver avuto sostanzialmente l'ordine di ammazzarmi, di liberarsi di me, durante una marcia...

CORSINI. Questo non mi scandalizza nemmeno un po'. Le posso dire come testimonianza personale che la prima abitazione perquisita il pomeriggio stesso dopo la strage di piazza della Loggia è quella che un ex partigiano comunista, Bailetti. Perché questo è il meccanismo spontaneo e la cultura introiettata da anni dalla polizia italiana.

PANNELLA. No, ma li c'era un tentativo molto più lungo: dietro quella visita c'erano stati tentativi da tempo di attribuirci Valpreda, di attribuirci Pinelli, di attribuirci, attribuirci, attribuirci... Era andata male. Devo dire alcune cose che mi sembrano pertinenti. Noi eravamo già allora dei liberali, mi pare; questo era il senso della nostra presenza. Il tentativo di vedere se si riusciva ad accollare la responsabilità a noi, per ingenuità eventuali che non ci sono state, è stato perseguito a Roma, a Milano, costantemente; noi che combattevamo contro l'unità nazionale, che avevamo alcuni punti di riferimento: noi che rappresentavamo - le chiedo scusa - il rischio, se non ci fosse stata una Corte costituzionale che stabiliva che dopo quello sul divorzio non si potevano fare i referendum sui codici fascisti e quindi sul concordato (i sondaggi di allora, imperfetti, davano il 75 per cento di sì a questa nostra iniziativa) di una rivoluzione italiana. Quali furono le forze politiche? Tutte, ma le assicuro che la DC non ha mai avuto in quel momento la forza di fare checchessia anche nei momenti del divorzio: le leggi Bozzi, Carrettoni, eccetera, per far fuori i referendum non venivano dalla DC o dalla Chiesa, non ce la facevano. Noi abbiamo fatto il referendum il 12 maggio 1974 perché siamo riusciti miracolosamente ad impedire l'approvazione di quelle leggi che il Partito comunista promuoveva: della Carrettoni...

CORSINI. La legge sul divorzio l'abbiamo votata.

PANNELLA. Scusi, ma perché mi fa dire una stupidaggine: non ho mai detto che non è così.

PRESIDENTE. Onorevole Pannella, lei è una persona intelligente e come tutte le persone intelligenti non possiamo piegare poi i fatti alle nostre ricostruzioni. Che cosa sappiamo con certezza? Prescindiamo da Salvini. Noi sappiamo con certezza che una serie di persone, tra le quali mi risulta difficilissimo che ci fosse l'unità nazionale - Freda, Ventura, Pozzan, Giannettini, Delle Chiaie - sono state a un certo punto, non voglio dire se giustamente o ingiustamente (le indagini della Magistratura si indirizzavano su di loro come possibili autori della strage di piazza Fontana) aiutate dai nostri apparati di sicurezza per sfuggire alle indagini giudiziarie e rifugiarsi in Spagna. Una deputazione di questa Commissione è andata a interrogare l'uomo che allora reggeva i Servizi; può darsi che sia riuscito a ingannarmi, ma non ho avuto affatto l'impressione che Maletti fosse un golpista. Mi assumo la responsabilità di quello che dico. Può darsi che sia riuscito a ingannarmi ma la mia impressione non è stata quella. Allora mi domando perché Maletti ha protetto queste persone. Probabilmente voleva coprire legami che queste persone avevano avuto e che veniva ritenuto politicamente opportuno non emergessero. Questa è la storia semplice che noi dovremmo raccontare agli italiani. Io sono d’accordo con Palombo: in Italia non c'erano le concrete possibilità di un golpe militare. Questo non toglie che frange estremiste e schegge delle istituzioni abbiano potuto coltivare questo progetto, non ispirato dall'unità nazionale. E infatti le stragi non sono servite affatto a determinare poi il golpe e persone che indubbiamente non erano golpisti, erano uomini d'ordine, avevano maggiore preparazione, maggiore intelligenza, maggiore cultura, anche maggiore senso dello Stato - però devo dire che Maletti ci ha detto con grande chiarezza: "fino al 1974 non mi avevano spiegato che dovevo difendere la Costituzione" - hanno finito per pagare "prezzi" maggiori rispetto agli autori delle stragi. Questa è una delle caratteristiche di tutta questa vicenda: Maletti si è visto condannato a 12-14 anni di carcere per una vicenda che a me sembra poi non gravissima, anche se illecita, come quella del rapporto Mi.Fo.Biali. Ci possono essere poi valutazioni politiche più complesse, i limiti dell'opposizione del Partito comunista... su questo potremmo discutere moltissimo, però c'è ormai un livello di realtà così facilmente percepibile che non vedo perché dobbiamo fare questo sforzo per dare una lettura diversa, che poi finisce per farci perdere di vista queste cose che sappiamo con certezza.

PANNELLA. Presidente, quando lei ha questo tono di estrema ragionevolezza...

PRESIDENTE. Lei diffida, ho capito.

PANNELLA. …io sto un po' attento. Si dice: "perché dobbiamo esagerare, via, abbiamo già trovato delle cose così importanti, che vogliamo ancora?". Lei è partito da una premessa che è quella che usiamo tutti quando troviamo dinanzi a noi una verità che ci pare avere una sua dignità ma che è paranoica, paranoide, quindi tende sempre a ricondurre ad una sola spiegazione tutto quello che accade nella vita; e la conosciamo, no?

PRESIDENTE. Questo è sbagliato.

PANNELLA. Questo ovviamente è sbagliato, ma forse non è in questo caso del tutto azzeccato attribuire solo a questo le cose che stavo tentando di dire. Non è infatti solo il senatore Staniscia, ma perfino qualcuno che ha delle caratteristiche del tutto diverse, come l'onorevole Corsini, che quando io dico: "A" capisce: "antiA". Ho forse detto che non c'è stato il voto dei comunisti italiani per vincere quel referendum? Ho detto una cosa diversa e il processo verbale glielo dimostrerà: ho detto che per ottenere quel referendum abbiamo dovuto lottare innanzitutto e soprattutto contro il Partito comunista italiano che voleva impedirlo, tutto qui. E questo, Presidente, non è voler spiegare tutto. Stavo dicendo che c'è stato un momento nel quale l'ipoteca liberale forse è apparsa pericolosa, ed è proprio quando c'è stato quel referendum che il Partito comunista voleva assolutamente impedire sostenendo la legge Carrettoni che doveva superare la legge Fortuna e impedire che si tenesse il referendum, la legge di Aldo Bozzi che doveva superare... eccetera; ma non arrivarono a tempo, quel referendum fu fatto. Ho detto che in quel momento i sondaggi dicevano che se si fossero fatti anche i referendum - noi stavamo raccogliendo le firme ed eravamo arrivati al quorum prestabilito - per l'abolizione del concordato (quindi l'articolo 7 della Costituzione) e dei codici Rocco, perché il Parlamento non li aveva toccati, c'era una maggioranza del 75 per cento. Sarebbe stato forte che con l'1 per cento noi, con Loris Fortuna e con altri... In quel momento la cosa è stata liquidata, inventando le interpretazioni della Corte costituzionale sulla ragionevolezza dei quesiti; altrimenti fino ad allora si andava secondo Costituzione al confronto. Quel pericolo liberale è stato profondo: ha sconvolto la Chiesa, ha sconvolto l'ordine: soprattutto ha fatto emergere per un momento, in qualche misura, una candidatura di leadership, per coloro che in fondo credevano con Croce che questo è un paese che non ha mai avuto le riforme e sarebbe stato forse ora di farle. Siamo stati liquidati in due o tre anni e ancora adesso, quando dico: "non volevano i referendum" lei, onorevole Corsini, mi risponde istintivamente: "ma abbiamo votato tutti noi". Cosa c'entra, io dico che allora fu possibile che il popolo comunista inducesse poi alla fine anche il Partito comunista che non voleva il referendum dal 1922.

Ma dove sta scritto, presidente Pellegrino, che uno può tentare di fare colpi di Stato, eccetera, solo per il grande scopo di battere il comunismo e non per regolare anche al proprio interno degli altri gruppi di potere o scontri di gruppi di potere? Non sta scritto in nessun posto, è solo un pregiudizio. Allora, in uno Stato partitocratico, cioè con culture di fazione e non senso dello Stato ma con ragion di partito, l'aggregazione c'è stata e abbiamo compiuto in quegli anni una vera e propria rivoluzione. Cioè noi abbiamo peggiorato i codici Rocco, abbiamo peggiorato la concezione stessa e la realtà dell'amministrazione della giustizia e oggi facciamo i conti con tutto questo. Quando il presidente Pellegrino afferma che non dobbiamo schiacciarci sulle verità degli accertamenti giudiziari, mi domando se su Peteano Vinciguerra abbia detto tutto sui tre carabinieri assassinati, sulle responsabilità di un colonnello, poi divenuto generale dei Carabinieri, sull'imbarazzo dell'onorevole Almirante in quella situazione. Tutto ciò è qualcosa che nessuno sembra ricordare, perché la spiegazione suggestiva e sicuramente in gran parte Vinciguerra...

PRESIDENTE. Ci sono sentenze su questo.

PANNELLA. Certo, ci sono sentenze di una magistratura che non sono convinto abbia indagato tutti gli aspetti della vicenda, perché si son date coperture anche a destra, in alcuni casi.

CORSINI. Vorrei sollevare due obiezioni che ritengo rilevanti. Lei ignora (io ho pubblicato degli studi e ho usato una documentazione, dei materiali di prima mano e delle fonti che provengono da ambienti precisi) che a partire dalla costituzione del centro sinistra in Italia c'è tutto un mondo - posso citarle a memoria articoli di giornali "Moro e Fanfani i cavalli di Troia del comunismo italiano" - che si muove, e che percepisce che sta cambiando qualcosa (ci sarà il '64, la ripresa del movimento sindacale, il '68, il '69). C'è tutto un mondo che percepisce questo sommovimento della società italiana come una minaccia, come un rischio cui bisogna contrapporre qualcosa. C'è tutta una teorizzazione che non è semplicemente quella dei filosofi, dei politologi, degli studiosi di scienza della politica, perché le parole ad un certo punto diventano pietre, perché qualcuno a quelle parole crede, perché qualcuno quei disegni li vuole perseguire. Questi sono dati oggettivi, assolutamente riscontrabili. Quando ho chiesto al senatore Mantica...

PANNELLA. Scusi ma non vedo il rapporto.

CORSINI. Il rapporto è che non si può negare che a partire dalla costituzione del centro sinistra, e in ragione dell'evoluzione della società italiana, in modo particolare nell'ultimo biennio degli anni '60, qualcuno ipotizzi e persegua la necessità di una sorta di contro rivoluzione postuma, perché percepisce questo sommovimento come un dato rivoluzionario. Questo è un dato di fatto.

PANNELLA. Se siamo d'accordo su questo dato di fatto poi cosa succede?

CORSINI. Lei sta negando un dato che...

PANNELLA. Io sto negando che esistesse davvero la strategia... scusi ma così se la prende con quello che dico e non con quello che non dico, consistente nel mettere fuori legge il partito comunista italiano. Semmai volevano mettere fuori legge Riccardo Lombardi. Quando Cossiga si reca insieme a De Lorenzo da Segni, quest'ultimo è malato e gli viene il "coccolone" mentre gli spiegano i fatti. Vi sono dei dati che conosciamo, ma lei non spiega così vent'anni di storia...

CORSINI. In quegli anni il partito comunista viene percepito come una forza, che all'interno di un sottomovimento più generale della società, sta portando una sorta di minaccia all'ordine costituito. Contro questa minaccia si reagisce.

PANNELLA. Guardi che in quegli anni il pericolo, il linciaggio era rappresentato da una parte dei democratici, non solo dai comunisti. Contro di loro avviene lo scontro, perché a nessuno viene in mente di fare.... nemmeno al conte Sogno, malgrado Violante. A Sogno non viene in mente di mettere fuori legge...

CORSINI. Questo eventualmente può essere lo strumento per il raggiungimento di un fine, il disegno comunque è di battere quel movimento.

PRESIDENTE. In quel processo da lui promosso come querelante, Edgardo Sogno ha affermato che era pronto a prendere il mitra.

CORSINI. Non solo. Recentemente in un convegno ha dichiarato che nell'estate del 1974 stavano preordinando il tentativo. Sulla questione del PCI - voglio essere assolutamente onesto - lei afferma una mezza verità quando sostiene che all'interno del partito Comunista, tra il 1972 e il 1974, vi fu un dibattito molto acceso...

PANNELLA. Del tutto segreto.

CORSINI. No, no, del tutto pubblico. Gli atti della direzione del partito Comunista sono pubblici e li può leggere nei resoconti sull'Unità e sui giornali. In tale dibattito rispetto allo strumento vi erano componenti che avevano dei dubbi e altre componenti, che facevano capo a esponenti che lei ha personalmente conosciuto, che non avevano alcuna difficoltà a riconoscere che quello strumento, vale a dire il referendum, potesse essere la soluzione del problema che i radicali e la cultura liberale e socialista avevano posto.

PRESIDENTE. Era fatale, data la personalità dell'audito, ma stiamo trasformando l'audizione in un dibattito.

PANNELLA. Quanto al problema dei Carabinieri, parlando di Mino ho ricordato i tre carabinieri di Peteano e il capitano della celere Margherito. Sono vent'anni che cerco di avere gli atti di quel processo senza riuscire ad ottenerli. Era proprio all'interno di quelle marce antimilitariste che vi fu lo stupro di Franca Rame. Quel periodo lo ricordo molto bene e l'ho vissuto veramente. Mi ritrovai con la testa spaccata ad opera della seconda Celere di Padova, inviata a tale scopo a Udine; solo che avevo la testa molto più dura del previsto. Abbiamo vissuto quegli anni e devo dire che il colpo di Stato, la violazione della Costituzione che si compì non si configurò come un golpe classico. Noi non siamo una società sudamericana e non possiamo temere lo stesso tipo di golpe che si potrebbe avere in Sud America o in Grecia. Il risultato lo abbiamo ottenuto: abbiamo liquidato quanto di liberale i nostri costituenti avevano inserito nella nostra Costituzione e per farlo vi sono stati dei costi: stragi di legalità che hanno avuto qualche connessione con le stragi di persone.

PACE. Cercherò di essere breve. Rivolgerò all'onorevole Pannella tre domande iniziali ed infine una quarta, di carattere più generale. Volevo sapere qualcosa circa i rapporti tra l'Italia e il mondo arabo e, in particolare, tra l'Italia e la Libia. Alcuni di questi rapporti passavano attraverso l'Eni e vorrei sapere dall'onorevole Pannella se non ritenga che l'Eni abbia condizionato in parte la politica estera nazionale. Un'altra domanda riguarda il caso D'Urso e in particolare l'intervista di Senzani a l'Espresso: fu un'operazione editoriale? Di che tipo? Il caso D'Urso - ne abbiamo parlato anche la scorsa volta - che tipo di operazione politica fu? La terza domanda. Il caso D'Urso ebbe un seguito nel caso Cirillo. Non ritiene che fallito il tentativo di far fuori D'Urso ci abbiano poi provato con Cirillo? L'ultima domanda, di carattere più generale, si riallaccia ad alcune questioni, quali il cosiddetto partito di Yalta, la relazione Teodori e il cosiddetto corporativismo gentiliano. A mio parere definire il partito di Yalta come il partito americano o soltanto il partito americano, è riduttivo, perché se il partito di Yalta aveva come obiettivo - altrimenti lo definiremmo in un'altra maniera - il mantenimento dello status quo a livello internazionale, faceva comodo non solo agli americani ma anche al blocco che si contrapponeva ad essi.

PRESIDENTE. Questa è la chiave di lettura.

PACE. La mia curiosità, anche intellettuale, è la seguente: quando nasce il partito di Yalta e quando finisce? Si potrebbe pensare che il partito di Yalta finisca con il crollo del muro di Berlino e la fine dell'impero sovietico. Quando nasce? Mi viene in mente un libro che scrisse Canfora, credo dieci o dodici anni fa, che non può essere tacciato di essere storico e scrittore di Destra perché era un uomo di Sinistra. In quel libro si parlava dell'assassinio di Gentile e in esso Canfora citava dei brani importanti della relazione di Teodori e faceva riferimento ad un particolare importante riferendosi all'ultima guerra: a Berna era operativo il cosiddetto Ufficio delle operazioni coperte degli alleati occidentali; questo durante la guerra civile. Con questo Ufficio avevano rapporti importanti alcuni esponenti del Partito comunista italiano. Attraverso tali rapporti venne poi fuori la creazione dei Gap e da questo ufficio e a seguito anche dei rapporti che ebbero con questo esponenti comunisti italiani fu deciso anche l'assassinio di Giovanni Gentile, che poi come tutti sanno fu eseguito. Quindi, probabilmente questo partito di Yalta nasce durante la guerra civile italiana ed ovviamente nel periodo in cui ci fu l'accordo di Yalta. Vorrei quindi sapere cosa pensa l'onorevole Pannella di tale questione.

PANNELLA. Rispondo seguendo l'ordine delle sue domande. E’ chiaro che l'influenza sull'ENI è stata enorme e che non dico "la" ragione ma ottime ragioni hanno potuto indurre la politica italiana, quindi non necessariamente pressioni dell'ENI, a difendere dalle multinazionali e in particolare dalle situazioni americane l'autonomia del nostro Paese per ciò che riguardava tutta la politica energetica e via dicendo.

PRESIDENTE. Più che influire sulla politica estera diciamo che fu un momento che determinò una politica estera italiana dotata di una certa autonomia.

PANNELLA. Io ho appunto detto che Yalta ha significato un'Italia lasciata alla sua libertà, mentre nell'interpretazione del partito americano (ma non nell'accezione delle frange estremistiche citate dal presidente Pellegrino ma in altre letture che ci sono state) l'Italia era un paese a sovranità limitata perché vi era la presenza americana. Evidentemente non era così, quindi mi sembra evidente che noi abbiamo avuto a che fare anche poi con sensibilità diverse, così come ad esempio nel 1914 dovevamo fare i conti in Italia con le posizioni filo-Londra, filo-Parigi, con quelle dei democratici e dei liberali e quelle dei clericali, cattolici e via dicendo; ci sono vecchie tradizioni italiane e sensibilità che sono affiorate in quegli anni. Io dico che l'ENI è stata importante non per quanto ha condizionato la politica estera, credo che tale influenza sia stata poca o nulla, ma per quanto ha condizionato la politica interna dell'Italia: la sua corruzione attiva, la sua spinta alla nascita dello PSIUP o il prendere o meno il "taxi" del Movimento sociale italiano. Quello è stato davvero il momento massimo, il grande salto di qualità nella corruzione della nostra politica.

Per quanto riguarda il caso D'Urso, la nostra lettura è che quello che vedevamo in quell'arco di 40 giorni doveva essere un deterrente, la miccia per realizzare una grande operazione politica formale che era stata preannunciata e che passò attravero il carattere del presidente Pertini; Scalfari ne chiese quasi l'impeachment con un articolo di fondo. Si era convenuto che se dopo quello di Moro fosse venuto anche il cadavere di D'Urso, a quel punto, ed era in carica il Governo Forlani, si sarebbe fatto questo nuovo "Governo dei capaci e degli onesti" che, torno a dire, includeva il PCI, la P2, la P-Scalfari, ma non la P38. Esso prosegue con il caso Cirillo nel senso che soggettivamente Senzani si sposta su Napoli. A Napoli c'è l'operazione Cirillo che diviene poi un fatto nazionale -, "Repubblica" lo tratta in un certo modo. Ripeto, noi riteniamo non solo di aver salvato la vita di D'Urso ma anche quella di Cirillo mostrando alla stampa, all'interno dei nostri uffici di Montecitorio, un orrendo documento che Senzani ci aveva fatto avere ufficialmente: era un appello di quel poveretto di Cirillo. In quel caso affermammo che non avremmo mostrato tale documento alla nostra televisione; nel caso però in cui costoro avessero assassinato Cirillo lo avremmo fatto vedere ai giornalisti e, a nostre spese fatto mandare in onda da tutte le televisioni napoletane giorno e notte per tre-quattro giorni; era un deterrente che usavamo contro l'inumanità e la bestialità di quella vicenda.

Quando sento parlare di Bozzo mi viene in mente sempre un altro Bozzo, che fu il decimo o il dodicesimo assassinato o suicida nelle carceri, essendo un testimone delle varie vicende connesse al caso Cirillo e da parte dell'ordine giudiziario italiano, della magistratura napoletana, ancora con uno degli ultimi episodi noti di quella strage, di testimoni, il dottor Vicini, l'ho ricordato... Come diceva Sciascia: quando vuoi essere sicuro se una cosa è un affare di mafia o di camorra vedi se quelli cercano subito di smistarterlo come un affare di "pelo". Quindi, la mia risposta è che c'è continuità con il caso che prende il nome ingiustamente e impropriamente di Giorgiana Masi e l'uso da parte del potere dello Stato anche di fatti criminali con gradi diversi di partecipazione.

Per quanto riguarda la questione di Yalta ho già detto. Credo che Yalta significhi semplicemente l'assenza di sovranità limitata per l'Italia. C'è stato un partito di Yalta che ha operato quando vi è stata la rivolta di Tito in Jugoslavia. L'Italia poteva scegliere un atteggiamento che aiutasse l'evoluzione e l'avvicinamento all'Europa ed all'Occidente di Tito, invece scelse poi una posizione...

PACE. Con la Cecoslovacchia?

PANNELLA. Sì, ma allora vi erano anche forze liberali, ad esempio Mario Pagi; insomma, la destra azionista, non solo Cucchi e Magnani.

PRESIDENTE. Capisco l'Ungheria, ma perché la Cecoslovacchia?

PACE. Sempre in relazione all'ipotesi di lavoro del partito di Yalta, se questo ha come obiettivo il mantenimento di certe situazioni a livello internazionale è evidente che un paese occidentale non può...

PRESIDENTE. Capisco l'Ungheria, ma per la Cecoslovacchia tutti condannarono l'invasione, compreso il Partito comunista.

PANNELLA. Per l'Ungheria fu determinante.

PACE. Come anche per i patti di Berlino.

PANNELLA. Certamente. Così come per la spiegazione dell'assassinio di Gentile, io ho sempre usato questo termine...

PACE. Mi sono dimenticato di ricordare una cosa. Sempre Teodori nella sua relazione ci dice che il capo responsabile di questo Ufficio di Berna risultò poi iscritto alla massoneria.

PANNELLA. Io ho ricordato che Ernesto Nathan era il grande maestro della massoneria e ho sempre detto che se avessi vissuto in un altro paese, diverso da questo nostro sicuramente avrei, come accade in America, avuto un bel distintivo massonico. In Italia la partitocrazia in questi 40-50 anni ha corrotto la mafia, la massoneria e tutto il resto. Forse è una boutade, ma non troppo. Cioè ho sempre ritenuto che nel 1969 la massoneria italiana nelle sue espressioni organizzate fosse qualcosa di una desolante corruzione delle tradizioni e di ciò che poteva rappresentare. Quindi sono ovviamente anche contro le criminalizzazioni dei massoni, di qualsiasi massone, ma da questo punto di vista lo Stato liberale oggi si manifesta poco: mi risulta che esista, per le Amministrazioni dello Stato, il divieto di essere iscritti alla massoneria, ma non all'Opus Dei: io non voglio che ci sia il divieto per l'Opus Dei, ma vorrei che non ci fosse nemmeno quello per la massoneria, cioè voglio giudicare la persona se compie atti criminali, massone o non massone, o se realizza un'associazione per delinquere. Quindi credo che l'episodio della morte di Gentile non possiamo liquidarlo semplicemente dicendo che c'era uno scontro; io, come ho sempre detto quando si negava che i brigatisti rossi potessero essere, come lo li definivo, dei compagni assassini, richiamavo l'attenzione sul fatto che nella storia di tutti i movimenti, in particolare quelli di sinistra, l'attentato terrorista in un certo quadro ha avuto molto spesso legittimazione anche morale; l'assassinio dell'avversario ha fatto parte di una storia e di una cultura, non posso inventarmi la storia non violenta e gandhiana della sinistra di riferimento per me. Tutto qui. E’ un episodio tragico, drammatico, ma non credo che possa questo suffragare nessuna lettura...

PRESIDENTE. Ma è stato così per tutte le uccisioni dei filosofi. A questo punto non ci resta che ringraziare l'onorevole Pannella, e vorrei aggiungere un’ulteriore motivazione a questo ringraziamento per renderlo non rituale: ci ha consentito di anticipare qualcosa che, a mio avviso, dovremmo cominciare a fare abbastanza presto, cioè un dibattito fra noi sulle risultanze dell'inchiesta alle quali siamo già pervenuti, perché altrimenti corriamo il rischio di avvitarci su noi stessi. Con l'onorevole Pannella abbiamo svolto un buon dibattito. Devo dire che l'audizione della Faranda, che abbiamo tenuto la scorsa settimana, ci ha lasciati al punto di partenza, non abbiamo acquisito nuovi elementi di conoscenza. Molte cose le sappiamo, diverse chiavi interpretative ci sono state proposte, da ultime quelle dell'onorevole Pannella: è bene che inizi un dibattito nella Commissione. Ma di questo parleremo nei prossimi Uffici di Presidenza.

Salutiamo quindi di nuovo l'onorevole Pannella.

PANNELLA. Se posso ringraziarla, signor Presidente, dico solo due parole. Volevo solamente dirle che se in effetti, in tutte queste ore, l'unica cosa che io sono riuscito a fare è stato portare tesi e interpretazioni piuttosto che anche cercare di consentire l'acquisizione di fatti, ritengo di avere corrisposto molto male alla fiducia della quale sono stato onorato con questo invito.

PRESIDENTE. No, io le ho rivolto un doppio ringraziamento: un ringraziamento che rivolgiamo a tutti gli auditi per gli elementi di conoscenza che ci hanno fornito e un altro perché ci ha consentito l'anticipazione di un dibattito che quanto prima dovremo intraprendere.

PANNELLA. La ringrazio, signor Presidente.

La seduta termina alle ore 23,40.

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