Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

52a SEDUTA

Martedì 25 maggio 1999

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

Indice degli interventi

PRESIDENTE
SINISI
BERTONI (Dem. di Sinistra-l’Ulivo), senatore
BIELLI (Dem. di Sinistra-L’Ulivo), deputato
BONFIETTI (Dem. di Sinistra-l’Ulivo), senatrice
DELBONO (Pop.e Dem. - l'Ulivo), deputato
FOLLIERI (PPI), senatore
GRIMALDI (Comunista), deputato
MANTICA (AN), senatore 1 - 2
PARDINI (Dem. di Sinistra-l’Ulivo), senatore
RUZZANTE (Dem. di Sinistra-L’Ulivo), deputato

 

La seduta ha inizio alle ore 20,10.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito la senatrice Bonfietti a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

BONFIETTI, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del 20 aprile 1999.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE.

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l’ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione e che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell’inchiesta. Fra i predetti documenti mi sembra opportuno segnalare, nell’ordine cronologico di acquisizione:

Informo che in data 10 maggio 1999 il Presidente della Camera dei deputati ha chiamato a far parte della Commissione il deputato Valter Bielli, in sostituzione dell’onorevole Paolo Corsini. Do il benvenuto fra noi al collega Bielli.

Comunico altresì che il consulente della Commissione, professor Virgilio Ilari, ha fatto pervenire un elaborato relativo al contesto storico delle stragi impunite.

Comunico inoltre che il dottor Giovanni Moro e l’onorevole Claudio Signorile hanno provveduto a restituire, debitamente sottoscritti ai sensi dell’articolo 18 del regolamento interno, i resoconti stenografici delle loro audizioni, svoltesi rispettivamente il 9 marzo 1999 ed il 20 aprile 1999.

Comunico infine che, su iniziativa del Sindaco di Brescia, domani, nella Sala conferenze dell’ex hotel Bologna, si svolgerà una breve cerimonia commemorativa del 25° anniversario della strage di Piazza della Loggia in Brescia. La cerimonia consisterà nella proiezione di un filmato di quel tragico evento. Alla proiezione sono stati invitati, oltre a tutti i membri della Commissione, i Presidenti dei Gruppi parlamentari del Senato e della Camera, i parlamentari bresciani, il Presidente dell’Amministrazione provinciale di Brescia ed il Presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage. L’invito è stato esteso anche ai Presidenti dei due rami del Parlamento.

 

AUDIZIONE DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO PER L'INTERNO, ONOREVOLE GIANNICOLA SINISI, SUI RECENTI GRAVI FATTI DI TERRORISMO E SULLE MISURE DI PREVENZIONE.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sottosegretario di Stato per l'interno, onorevole Giannicola Sinisi, sui recenti gravi fatti di terrorismo e sulle misure di prevenzione. L'onorevole Sinisi è con noi, lo ringrazio per la sua disponibilità e per suo tramite ringrazio il Governo.

La nostra Commissione si occupa del terrorismo nel suo aspetto ormai storico, come abbiamo fatto sicuramente negli ultimi tempi; però, siccome ha nel suo oggetto: "i risultati conseguiti e lo stato attuale nella lotta al terrorismo in Italia", non abbiamo mai mancato di seguire anche le insorgenze di tipo terroristico che potessero venire dall'attualità. Nell’altra legislatura ci occupammo a lungo sia della vicenda della Uno bianca (come i colleghi presenti ricorderanno), sia di quella della Falange armata. In questa legislatura, proprio all’inizio, ritenemmo di fare una specie di "giro di orizzonte di insieme" e in data 18 dicembre 1996 audimmo il prefetto Carlo Ferrigno, Direttore centrale della polizia di prevenzione del dipartimento della pubblica sicurezza.

I colleghi ricorderanno che fu un’audizione molto densa e importante. In particolare per ciò che riguarda il terrorismo di matrice di sinistra extraparlamentare il perfetto Ferrigno ci diede una serie di informazioni puntuale, precisa. Ci parlò di una serie di dati oggettivi che già allora, nel dicembre 1996, "dicevano" che c’erano indizi di una ricostituzione di gruppuscoli eversivi che si richiamavano non tanto all’intera esperienza delle Brigate rosse, quanto a quella dell’ala militarista delle BR, alle BR-Partito comunista combattente, che avevano iniziato ad operare sotto diverse sigle che il prefetto Ferrigno ci enumerò con precisione, facendo anche riferimento a episodi specifici che avevano destato allarme e consentivano questa analisi. La sigla era "Nuclei territoriali antimperialisti" e veniva già da allora segnalato un attentato che era stato rivendicato con questa sigla, che aveva riguardato un militare statunitense in servizio presso la base di Aviano. Il prefetto, inoltre, fece riferimento ad una serie di comunicati con cui questa continuità ideologica tra le BR-Partito comunista combattente e questi nuovi gruppuscoli era divenuta chiara. Ci parlò dei Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo e ad un’associazione che ne costituiva quasi l’emanazione verso l’esterno, l’«Associazione di solidarietà proletaria», spiegandoci addirittura che essa vedeva il problema sotto il profilo internazionale e aveva organizzato giornate di incontro: sembrava, quindi, un’attività pienamente seguita e monitorata. Ci parlò dei possibili rapporti di interazione che ci potevano essere tra questi gruppuscoli e sacche di esclusione sociale riconducibili sia all’autonomia, sia ai centri sociali autogestiti e a lungo si soffermò anche su rapporti che potevano esserci fra queste nuove insorgenze e invece gruppi di estremismo anarchico.

Alla fine dell’audizione, a una mia precisa domanda che riguardava il fatto se ci fosse solo una continuità ideologica o anche soggettiva, e cioè se potevano essere ex militanti delle BR-Partito comunista combattente, il prefetto Ferrigno rispose in questo secondo senso e in risposta all’ipotesi che potessero essere persone che avessero in quel momento 40 o 50 anni rispose "sì, anche se si contano sulla punta delle dita".

Voglio segnalare al signor Sottosegretario che tale relazione sembrava fondarsi su un corredo informativo abbastanza spesso, denso, preciso e che evidentemente (qui vorrei "fare" un’assunzione di responsabilità) dopo il tragico evento dell’assassinio di D’Antona sono pentito di non aver dato retta ai consigli di un saggio amico - che purtroppo non è più con noi -, Libero Gualtieri, il quale più volte mi aveva segnalato l’opportunità che noi facessimo delle sedute di aggiornamento sulla questione, perché era personalmente allarmato, aveva paura che le cose potessero andare avanti.

Però, anche rapporti che conoscevamo, che acquisivamo agli atti della Commissione - quelli semestrali sullo stato dell’informazione e della sicurezza che il Governo fa alle Camere - ci davano (o per lo meno mi davano) sufficiente fiducia sul fatto che un’attività di polizia di prevenzione continuasse.

La domanda che vorrei porre al sottosegretario Sinisi è soprattutto la seguente. Non condivido le critiche che sono state fatte in questi giorni ai Servizi, secondo le quali essi si sono limitati a delineare scenari, cioè quasi a fare analisi di tipo sociologico-culturale. Dalle cose che ci disse Ferrigno mi sembra che si possa dire il contrario, cioè che c’era un corredo informativo preciso. Per fare un esempio, monitorata l’attività di questa Associazione di solidarietà proletaria, chiarito che c’era stata una serie di incontri e di dibattiti tenutisi in diverse città italiane che hanno offerto l’occasione per il rilancio della propaganda di solidarietà a favore dei detenuti politici, sono portato a pensare che siano state attentamente seguite queste giornate di incontri, che i personaggi che vi partecipavano siano stati individuati e fotografati: che si sia determinato, cioè, un corredo informativo importante. Quindi, pur capendo che non tutto ciò che è prevedibile è prevenibile (soprattutto quando gli obiettivi possono essere svariati, moltissimi e quindi è quasi impossibile proteggerli tutti), la continuità che vedo tra le cose che ci ha detto Ferrigno e i contenuti del documento rivendicativo delle BR, tutte le cose che Ferrigno ci diceva già da allora e che emergono oggi con grande precisione, mi fa porre questa domanda al Governo: in questi tre anni che si è fatto? Questa attività di polizia di prevenzione, cioè, è proseguita? E soprattutto essa è diventata rapporto all’autorità giudiziaria ordinaria, cioè ha innescato la fase ulteriore dell’attività di polizia giudiziaria?

Perché un gruppo terrorista è un delitto in sé, per il semplice fatto che si costituisca: non abbiamo bisogno che compia attentati, e soprattutto attentati gravi per meritare di essere investigato, indagato, individuato e punito. Il punto che penso ci dobbiamo porre in sede parlamentare è se ci sia stata, in qualche momento, una qualche caduta, una qualche cesura, una non sufficiente attenzione. Da queste carte non mi sembrerebbe che ciò sia addebitabile né all’attività di intelligence né a quella della polizia di prevenzione, perché il corredo informativo era tale da farmi dire che semmai, se ci può essere stata qualche caduta, essa è consistita nella mancata informativa all’autorità giudiziaria o in un’inefficiente azione di polizia giudiziaria.

Affermo questo, perché penso che di fronte ad un fatto grave come quello dell’omicidio di D’Antona credo sia giusto anche un riconoscimento di responsabilità, di errori che si sono commessi, perché riconoscere gli errori significa non commetterne altri: io l’ho fatto, da parte mia, e vorrei però aggiungere solo questo prima di dare la parola al signor Sottosegretario. Riconosco che avremmo fatto meglio ad occuparci anche di questo problema, ma non ritengo affatto inutile il tipo di attività che abbiamo continuato a svolgere, perché sono convinto che oggi una serie di debolezze che abbiamo in questa azione di contrasto dipende dal fatto che non conosciamo tutto ciò che dovremmo conoscere dell’esperienza del passato. Se sapessimo veramente come i Carabinieri sono arrivati al covo di via Monte Nevoso, perché il dottor Russomanno "passa" al giornalista Isman i verbali dell’interrogatorio di Peci, da quale fonte (e non dallo spirito di La Pira) nasce l’informazione su Gradoli, che poi viene portata all’autorità di prevenzione, se Moretti ci dicesse chi era l’ospite attivo presso cui il Comitato esecutivo delle Brigate rosse si riuniva a Firenze, oggi certamente avremmo una serie di conoscenze in più che sarebbero sicuramente utili in un’azione di contrasto.

Secondo la riflessione mia personale, ma penso condivisa anche da diversi membri della Commissione nel passato, ci sono stati momenti di contrasto non sufficiente che però avveniva in un determinato contesto storico-politico nazionale che oggi non c’è più: sarebbe grave se oggi questi difetti nell’azione di contrasto dovessero riproporsi. Preferirei che il Sottosegretario ci parlasse di questo e non ritengo prudente formulare domande sullo stato degli accertamenti e delle indagini che certamente vivono un momento di delicatezza; se il Sottosegretario riterrà di parlarne lo pregherei di chiedere alla Presidenza di procedere in seduta segreta.

Ritengo invece che a questa prima domanda il Sottosegretario possa e debba rispondere in seduta pubblica, perché si tratta di sapere non cosa si stia facendo dopo l’omicidio D’Antona, ma che cosa si è fatto ed in che limiti si è agito prima di tale omicidio.

Mi scuso per l’ampia introduzione e lascio la parola al sottosegretario Sinisi.

SINISI. Signor Presidente, signori commissari, la domanda che mi è stata posta dal Presidente rivoluziona l’ordine di presentazione della relazione introduttiva che avevo predisposto, però ritengo doveroso rispondere per ragioni di continuità logica, oltre che storica, rispetto alla citata audizione del prefetto Ferrigno, avvenuta all’epoca in cui questi era direttore centrale della polizia di prevenzione; credo anche che sia necessario corrispondere all’esigenza di avere precisazioni sul tipo di attività che viene compiuta ed in particolare su chi in concreto la svolga.

PRESIDENTE. Signor Sottosegretario, poiché subito dopo l’audizione un’iniziativa giudiziaria, riguardante sempre oggetti di indagine di questa Commissione, costrinse l’amministrazione a spostare il prefetto Ferrigno vorrei anche sapere chi sia a questi succeduto nell’incarico. Ricordo comunque che il prefetto Ferrigno è stato poi completamente assolto dall’ipotesi di reato che era stata formulata a suo carico.

SINISI. Sì, il prefetto Ferrigno è stato completamente prosciolto dalle accuse che erano state a lui mosse e che erano state formulate a seguito di un’attività di indagine, espletata nei suoi confronti, riguardante alcune risposte che sarebbero state date alla stessa autorità giudiziaria in ordine agli archivi che erano custoditi, più o meno diligentemente, presso il Ministero dell’interno. Il ministro Napolitano ritenne opportuno spostare dall’incarico allora rivestito il prefetto Ferrigno assegnandolo prima ad una funzione sostanzialmente senza incarico e poi successivamente alla prefettura di Asti, dove attualmente è ancora in carica. Immediatamente, però, venne sostituito e della sua funzione fu incaricato il prefetto Andreassi. Desidero solo ricordare che quest’ultimo è persona che ha rivestito incarichi nello stesso settore del prefetto Ferrigno, proprio negli anni più bui del terrorismo: se non ricordo male proprio negli anni più difficili della lotta al terrorismo era il responsabile della DIGOS a Roma. Si scelse, quindi, una persona particolarmente competente nella prosecuzione del tipo di attività alle quali la polizia di prevenzione è specificamente deputata: si tratta infatti della direzione centrale che ha preso il posto del più noto UCIGOS, quindi un organismo che ha sempre svolto attività di prevenzione antiterrorismo.

In proposito desidero sottolineare che l’attività relativa al contrasto dell’eversione per i profili di sicurezza è svolta, ovviamente, attraverso una forma di collaborazione tra i servizi di informazione e la polizia di prevenzione, che si raccorda immediatamente con le attività di polizia giudiziaria quando le analisi si collegano ad eventi criminosi eclatanti o noti; tale attività sfocia, ovviamente, ogni volta in una segnalazione, secondo le formule di rito, all’autorità giudiziaria perché questa svolga le attività investigative e giudiziarie di competenza. L’apparato svolge un’attività di analisi tanto più selettiva se si associa ad elementi documentali e ancora più se si collega ad elementi di fatto che convergono verso un’unica elaborazione e trova un momento di snodo tra l’attività di analisi informativa, che è quella svolta dai Servizi, e quella informativa-investigativa svolta invece dalla polizia di prevenzione.

A tale proposito, reputo strategica una scelta compiuta nel nostro paese dal Ministero dell’interno, che posso riferire con tranquillità perché non appartiene alla responsabilità di questo Governo né di quello che lo ha preceduto, ma risale a tempi molto più remoti e che considero tanto più oggi una scelta responsabile: mi riferisco alla decisione di non modificare mai nel tempo gli apparati deputati al contrasto del terrorismo nel paese. Nonostante negli anni – come è noto – vi sia stata una eclatanza maggiore dei fenomeni di criminalità organizzata specialmente di stampo mafioso, vi è stata la precisa volontà di mantenere sostanzialmente inalterati gli apparati di polizia deputati al contrasto dell’eversione; per questo è rimasta la funzione della direzione centrale della polizia di prevenzione ed è restato attivo presso il ROS quello che è noto come "reparto eversione" dell’Arma dei carabinieri.

In proposito desidero precisare e chiarire subito che le direttive del ministro Napolitano del marzo 1998 che riguardavano ROS, GICO e SCO non interessavano affatto l’antiterrorismo, posto che venne espressamente escluso dal novero di quelle direttive ogni intervento riguardante l’unità nazionale operativa del ROS o la direzione centrale della polizia di prevenzione, cosicché l’Arma dei carabinieri ha ancora all’interno dei suoi ROS l’unità operativa centrale rappresentata dal reparto eversione che ha sempre continuato a svolgere le sue attività di ricerca, analisi ed investigazione a livello nazionale, senza alcun mutamento delle sue competenze o delle sue attività. Questi reparti, ovviamente, si sono raccordati ed hanno una prassi consolidata di collaborazione con i Servizi informativi di sicurezza nazionali, con i quali svolgono periodici incontri ed hanno uno scambio di segnalazioni. Ogni volta che tale attività di analisi si traduce in una notizia di reato, tanto più se è associata ad una notizia di reato conclamata, ne deriva un’informativa all’autorità giudiziaria contenente la comunicazione di una notizia di reato che prelude ad una attività di indagine cui sono deputati per legge i pubblici ministeri.

PRESIDENTE. Onorevole Sottosegretario, in questo caso scatta però, il limite del carattere diffuso dell’organizzazione giudiziaria: se, ad esempio, vengono bruciati un motorino o un’automobile a Pordenone e quest’atto viene rivendicato con un documento recante la stella a cinque punte, il rapporto relativo si presenta alla procura della Repubblica di quella città; se dopo 15 giorni un documento simile viene trovato a Roma, dove è stato compiuto un atto analogo, il rapporto per questo secondo caso verrà presentato ad altra autorità giudiziaria. Come viene assicurato il collegamento fra le indagini?

SINISI. Principalmente attraverso una consolidata esperienza degli organismi investigativi. Come dicevo, il mantenimento delle unità nazionali operanti nella lotta al terrorismo costituisce, ovviamente, un supporto diretto alle autorità giudiziarie competenti per territorio a svolgere le indagini, le quali hanno poi gli strumenti previsti di coordinamento e collegamento per raccogliere nella sede competente più indagini, qualora sussistano i presupposti di connessione previsti ancora oggi dal codice di procedura penale.

Desidero svolgere una piccola considerazione preliminare: l’attività di contrasto dell’eversione è basata molto sull’attività preventiva di analisi che ha bisogno di grandi capacità elaborative a prescindere dalla sussistenza o meno del reato, circostanza che invece vede nettamente in campo l’autorità giudiziaria. Tale attività di analisi è parte integrante, se non assolutamente preponderante, dell’azione di contrasto del terrorismo che ovviamente è attività che viene svolta essenzialmente dai Servizi di informazione e dalla polizia di prevenzione in funzione di supporto. Non sta a me giudicare o suggerire se esistono formule giudiziarie diverse e più efficaci per contrastare questo fenomeno.

PRESIDENTE. Io facevo questa osservazione perché dall’analisi che noi abbiamo fatto del contrasto negli anni ’70 proprio alle Brigate Rosse i migliori risultati in campo giudiziario si ottennero quando i vari sostituti procuratori, quasi d’iniziativa personale, cominciarono ad incontrarsi, a girare l’Italia e a fare una serie di scambi d’informazioni. La mia preoccupazione è che in questi anni, siccome i singoli episodi criminosi non erano gravi ciò non sia avvenuto e questo abbia potuto portare ad una debolezza della risposta.

SINISI. Presidente, non vorrei anticipare alcuna valutazione rispetto alla sintomatologia di questi ultimi anni. Debbo dire che l’apparato giudiziario sicuramente ha fondato i suoi successi su una grande collaborazione, non voglio dire spontaneistica ma sulla scia di una grande determinazione che nel nostro paese è scattata in quegli anni e che ha visto tutti quanti potentemente desiderosi di trovare una soluzione al terrorismo; quindi ciascuno ha fatto tutto ciò che poteva. Ricordo soltanto per mia memoria personale, a prescindere dall’incarico che svolgo, le significative banche dati che sono state costituite presso alcune procure della Repubblica; in particolare voglio ricordare la procura della Repubblica di Roma, giusto per fare un esempio della capacità di soluzione giudiziaria ai gravi reati che si consumavano in quegli anni e che ha costituito a lungo un punto di riferimento. Analogamente hanno svolto la loro attività di elaborazione e di costituzione di banche dati gli organismi di polizia che si sono occupati di questi fenomeni.

Io credo che oggi valga la pena fare un punto di analisi sulla situazione attuale, se lei mi permette, sorvolando sulla dinamica degli avvenimenti, anche perché è stata abbondantemente pubblicata su molti organi di stampa. Quindi, mi permetterei di presentare proprio un punto di analisi con riferimento a quel supporto documentale e informativo del quale il Ministero dell’interno si è potuto dotare in questi anni di attività. Se lei mi permette, procederei direttamente in questa direzione. Vorrei però partire dall’omicidio del professor D’Antona perché credo che sia comunque utile partire da questo avvenimento, il più grave in assoluto, dal quale bene o male sono emerse tutte una serie di attività e di valutazioni che vale la pena di fare in questa occasione.

PRESIDENTE. Mi dica lei se ci sono momenti in cui desidera passare in seduta segreta.

SINISI. Presidente, con il vostro consenso e accettando anche i vostri elementi di valutazione e suggerimento, preferirei che per tutta la parte di analisi che mi accingo a svolgere, ancorchè non vi siano probabilmente significativi motivi di riservatezza, la seduta venga segretata; sono considerazioni che preferisco fare nella riservatezza della Commissione.

PRESIDENTE. D’accordo.

(Commenti fuori microfono dell’onorevole Grimaldi).

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 20,43

…omissis…

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 21,13.

PARDINI. Vorrei soffermarmi su quanto è emerso nel corso delle ultime audizioni sul caso Moro, per riallacciarmi a quanto il Presidente ha detto nell’introduzione, poiché anch’io ritengo che l’approfondimento sugli avvenimenti del passato non sia inutile e che anzi ogni sforzo vada compiuto anche in questo momento, a tanti anni di distanza da fatti - come le stragi - avvenuti nel nostro paese. Infatti, solo la perfetta o, quanto meno, l’approfondita conoscenza dei fatti del passato ci permette se non di prevenire - come purtroppo non si è potuto fare questa volta -, quanto meno di capire, di leggere meglio i fatti attuali.

Nel corso delle ultime audizioni sul caso Moro, Franceschini ha parlato di un duplice periodo della storia delle Brigate rosse. Ci sarebbe stato un periodo "eroico" di un brigatismo idealista - se vogliamo usare dei termini assolutamente impropri data la materia -, durante il quale vengono rifiutate collaborazioni offerte da servizi segreti stranieri. Ad esempio, egli ci ha parlato dei servizi segreti israeliani, che offrirono, praticamente in cambio di nulla, mezzi, coperture ed armi purchè le Brigate rosse continuassero nella loro azione terroristica. Franceschini ha giustificato il rifiuto di queste collaborazioni proprio con il fatto che loro erano molto giovani e che il brigatismo di questo primo periodo si trovava in una fase idealistica.

PRESIDENTE. Siamo nella fase del nucleo storico.

PARDINI. Sì, erano ragazzi molto giovani, di 22-23 anni. Franceschini però non esclude che in un secondo periodo le Brigate rosse fossero diventate più trattativiste anche da questo punto di vista e che potrebbero essere insorte forme di interferenza. Franceschini ci ha parlato a lungo della figura degli agenti provocatori, diversi dagli infiltrati, e del fatto che probabilmente era inevitabile che le Brigate rosse fossero fortemente infiltrate all’epoca.

Leggendo il resoconto stenografico dell’audizione del prefetto Ferrigno, a 3 anni di distanza, con un certo raccapriccio vediamo citate frasi che oggi sono contenute nel documento delle Brigate rosse. Tenuto conto che l’ultima evoluzione delle Brigate rosse era monitorizzata in maniera molto precisa, che tipo di approfondimento viene fatto o si ha intenzione di fare circa l’eventuale inferenza di gruppi stranieri, di servizi stranieri e non, per quanto riguarda l’attività di questo tipo di terrorismo rosso nel nostro paese? Non devo ricordare a nessuno che siamo in una fase storica molto particolare: il nostro paese è in prima linea e quindi c’è una particolare attenzione dei paesi della comunità non solo occidentale al ruolo strategico dell’Italia in questo momento. Vorrei perciò sapere se vi è da parte dei servizi di intelligence del nostro paese un’attenzione su questo tema, cioè la possibilità che questi gruppi terrroristici, che oggi forse non hanno alcuna ragione di accreditarsi di alcun connotato idealista come invece il gruppo storico, possono essere se non controllati o manovrati, quanto meno infiltrati o conosciuti da servizi segreti italiani e non.

SINISI. Signor Presidente, vorrei chiedere la segretazione della risposta.

PRESIDENTE. Bene, allora passiamo in seduta segreta.

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 21,20.

…omissis…

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 21,26.

DELBONO. Lei, onorevole Sinisi, ha richiamato, senza approfondire, senza sottolineare in modo particolare, i riferimenti che nel documento delle Brigate rosse si fanno all'attività specificamente di produzione legislativa che veniva seguita dal professor D'Antona. Questi riferimenti appaiono, nonostante sia per certi aspetti facile il recupero di questa documentazione, abbastanza emblematici perché si fa riferimento ad alcuni testi che sono già legge e quindi di pubblico dominio, ma si fa riferimento in modo specifico anche ad alcuni provvedimenti in itinere (la legge sulla rappresentanza sindacale), ad altri che hanno concluso l'iter (la legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali di cui si discute, la legge sulla rappresentanza sindacale nel pubblico impiego che è quella sulla quale si è concentrata maggiormente l'attenzione, i riferimenti allo studio della Commissione Onofri). La cosa che però più colpisce è che, per la data in cui è stato scritto questo documento, vi è un aggiornamento direi abbastanza particolare, cioè il riferimento al collegato ordinamentale e, in modo specifico, a ben sette deleghe. Ora, chi ha seguito l'iter della discussione in Parlamento sa che il numero delle deleghe di volta in volta è variato, proprio perché alla Camera ci fu una trattativa tra la maggioranza e l'opposizione per estromettere alcune di queste deleghe; in più, ovviamente, questa legge non era ancora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, non era pubblicata in Internet perché non era ancora stato fatto l'aggiornamento, le fonti e i riferimenti tra l'altro anche della stampa "tecnica" sono stati per qualche giorno ancora un po' nebulosi. Non c'è dubbio che questo dovrebbe far concentrare l'attenzione su un recupero di queste notizie e anche dell'intelligenza che guida la scrittura del documento, che è secondo me non vastissimo dal punto di vista dei possibili destinatari di questa attenzione: certamente persone che lavorano intorno al mondo - diciamo così - dell'attività del Ministero del lavoro e dell'attività parlamentare, che hanno delle informazioni di prima mano e che leggono i documenti prima, perché per elaborare un documento così non solo bisogna avere fisicamente in mano i testi, ma bisogna averli letti, approfonditi, bisogna aver fatto una valutazione di natura tecnica, e mi pare che in qualche modo tutto questo si possa recuperare dalla documentazione. Questi sono aspetti su cui vale la pena probabilmente che lei, Sottosegretario, ritorni.

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 21,30.

…omissis…

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 21,35.

MANTICA. La prima domanda è rivolta al Presidente, nel senso che sono abbastanza perplesso su questa riunione di una Commissione che ha compiti istitutivi molto precisi e non so quanto possa contribuire questo confronto con il signor Sottosegretario, né credo che siamo in grado di dare consigli o suggerimenti agli apparati dello Stato. Comunque, siccome credo che la cosa interessi singolarmente i parlamentari, ringrazio per l’occasione dataci di fare un dibattito politico, perché credo che questo sia il tono dell’audizione di questa sera.

Non mi sento, quindi, di fare analisi su documenti delle BR. Vorrei solo ricordare a me stesso, e forse anche al signor Sottosegretario, due questioni che sono emerse nelle nostre audizioni. La prima fu un’affermazione di Franceschini, che io condivido molto, secondo la quale il fiume (di un movimento politico, qualunque esso sia) comunque esiste: prima di parlare di deviazioni, di Servizi segreti, di talpe infiltrate, di agenti provocatori credo che si debba prendere atto che esiste un fiume politico di dissenso verso un’azione, per così dire, "riformista" della Sinistra e che certamente tale fiume contiene molta acqua, che non è solo rappresentata dagli assassini delle Brigate rosse, ma da un contesto molto più ampio, dove si può andare dall’intellettuale, che una volta si definiva radical-chic, che resta nel suo salotto (faccio riferimento ogni tanto al famoso misterioso uomo delle Brigate rosse che stava a Firenze, che qualcuno sostiene essere stato il cervello dell’operazione Moro) fino ai manovali dell’assassinio. Questo fiume, allora, è un fatto politico. Credo che non si possa dimenticare che in questo momento esiste una vastissima area di contestazione verso una certa serie di provvedimenti politici che il Governo e le istituzioni stanno assumendo. Né voglio qui criminalizzare (come qualcuno dice che noi di Alleanza nazionale facciamo) i centri sociali. Voglio solo citare un banale episodio che mi riguarda.

Vivendo a Milano, che è una città nota per essere stata devastata dai "graffitari" (quelli che scrivono sui muri), tutti noi milanesi, ormai travolti dall’idea di trovare sempre muri molto "conciati" con questi segni, non ci siamo accorti che da uno o due mesi apparivano le stelle a cinque punte delle Brigate rosse e che molti scritti delle Brigate rosse erano nascosti in mezzo ai graffiti. Con questo non voglio dire che i graffitari scrivono, ma solo che la cosa ormai è diventata quasi un vezzo, o comunque c’è una qualche attenzione particolare.

Questo è il fiume. E’ un problema politico che credo interessi tutte le forze politiche e anche gli apparati di sicurezza. Vorrei chiedere a questo punto al signor Sottosegretario quale sia l’estensione del controllo su questo ambiente. Credo che non si possa più accettare (credo che non l’accetti nemmeno la Sinistra) che cortei o manifestazioni che nascono anche da motivazioni certamente legittime dal punto di vista politico trovino ormai da molto tempo minoranze armate che devastano le città, perché siamo di fronte a questi fenomeni ed avendo vissuto gli anni ’70 devo cominciare a registrare che ormai un weekend sì ed uno no c’è un corteo (oggi la guerra offre poi molte occasioni) dove certamente la protesta non è pacifica e democratica, perché quando si usano i porfidi o le spranghe di ferro credo che si siano raggiunti alcuni livelli di guardia a cui le forze di sicurezza dovrebbero prestare attenzione.

Questo mi porta a svolgere una seconda osservazione. Qualcuno, molto più bravo di me, disse che "il pesce si muove nell’acqua". Supponendo che il pesce sia il terrorista (questo è un problema che riguarda poi - evidentemente - gli apparati di sicurezza, i Servizi e i carabinieri), l’acqua – torno a dire – è un problema su cui, credo, si possa e si debba operare perché la cintura di salvaguardia nei confronti del terrorismo non è solo, a mio avviso, nei confronti del terrorista, ma di tutto l’ambiente che gli consente di vivere. Ricordo che Mario Moretti, interrogato dal procuratore Marini, disse: "Lei non ha idea di quante centinaia di collaboratori e di aiuti noi abbiamo". Questo credo sia normale. Fare il latitante, vivere in clandestinità, a parte il denaro - forse c’è anche questo da valutare: chi li paga, poi, sostanzialmente? - determina anche un problema di aiuti, di abitazioni, di riferimenti, di procacciatori di armi e così via.

La domanda, però, non è tanto sul fatto specifico dell’omicidio D’Antona, che mi sembra essere purtroppo un segnale di risveglio di questo fiume e di questa massa d’acqua.Mi scuso, peraltro, per essere arrivato in ritardo, ma avevo un problema parlamentare su una cosa diversa; forse lei ha già detto molto su questo, ma vorrei sapere cosa intenda fare il Ministero competente per controllare, se non per reprimere, perché poi si tratta di reprimere, questo fenomeno che, ripeto, non concerne il terrorismo, ma l’ambiente nel quale questo terrorismo certamente vive, trova alimento e sostanza non solo di carattere culturale-ideologico, ma anche in termini di strumentazione per svolgere le sue azioni.

SINISI. Senatore Mantica, uno degli elementi di valutazione che era stato svolto dal Ministero dell’interno in ordine all’evolversi della situazione riguardava proprio il tipo di manifestazioni pubbliche che registravamo. Mi riferisco al fatto che ormai negli ultimi tempi sostanzialmente ogni manifestazione di protesta o anche di gioia si traduceva in manifestazione violenta.

PRESIDENTE. Come la festa per la vittoria della Lazio!

SINISI. Mi limito a riferire che si tratta di un sintomo che avevamo registrato, al quale avevamo dedicato una soglia particolare di attenzione e che ovviamente abbiamo monitorato e tenuto da conto perché sapevamo e sappiamo che uno dei metodi che viene utilizzato è quello dell’infiltrazione nelle manifestazioni per generare delle situazioni violente e creare non solo il disordine, ma anche le condizioni per una frattura fra lo Stato e chi vuole manifestare pacificamente, per fini o di proselitismo o di allontanamento dall’organizzazione pacifica e non violenta della manifestazione. Senatore Mantica, mi limito a dirle che la circostanza che lei ha riferito non solo è vera, ma costituisce uno degli elementi sintomatici che abbiamo valutato e sui quali abbiamo concentrato la nostra attenzione.

MANTICA. Sottosegretario Sinisi, la mia domanda era diversa, le ho chiesto infatti che cosa sia stato fatto in concreto di fronte a questo fenomeno, su cui conveniamo; non basta, infatti, registrare quanto avviene e se un assessore di un grande comune del Nord – intendo uno a caso, non uno in particolare – sfila alla testa di manifestazioni violente vi è un problema di natura politica. Non si può sempre far finta di niente, perché si rischia anche una legittimazione di alcune situazioni da parte di rappresentanti delle istituzioni, che evidentemente rinforza e rincuora chi compie tali manifestazioni. Attorno a questi fenomeni deve essere posta una cintura di sicurezza e devono essere presi provvedimenti; ad esempio, se a Milano qualcuno prova a dire soltanto che i ragazzi del centro sociale Leoncavallo urlano un po’ viene denigrato e gli viene risposto che non afferma il vero e che si tratta di bravi ragazzi che semplicemente comprano la birra con lo sconto e ascoltano il jazz. Ebbene, non è così e questo è un dato di fatto di fronte al quale non noto provvedimenti conseguenti.

SINISI. Proprio negli ultimi avvenimenti che ho citato non soltanto sono stati adottati provvedimenti di identificazione dei soggetti, ma sono stati anche eseguiti alcuni arresti; mi limito soltanto a riferire il dato relativo ad una serie di manifestazioni che a Roma si sono trasformate in azioni violente. Ovviamente, quando affermo che questa circostanza aveva richiesto la nostra specifica attenzione perché era stata valutata come elemento sintomatico della degenerazione, intendo dire che erano state svolte tutte quelle attività che poi in molti casi si sono tradotte in denunce all’autorità giudiziaria e in alcuni provvedimenti custodiali. Mi riferisco in particolare – come ho detto – ai fatti di Roma.

Rispetto a quanto affermato dal senatore Mantica desidero precisare che non mi riferivo a "manifestazioni violente": la nostra attenzione si è rivolta a manifestazioni pacifiche e legittime che si sono trasformate, per infiltrazioni al loro interno, in manifestazioni violente, spesso non soltanto all’insaputa, ma addirittura in netta contrapposizione con gli organizzatori delle stesse manifestazioni, perché non era affatto nelle loro intenzioni un epilogo violento. E’ questo l’elemento sintomatico che abbiamo valutato; in sé e per sé la manifestazione che inizia come violenta e si esprime come tale si colloca tra gli elementi non sintomatici, è un’espressione rozza del fenomeno della manifestazione. Mi riferivo invece a manifestazioni "normali".

PRESIDENTE. Certamente l’argomento è delicato; capisco la preoccupazione del senatore Mantica e ritengo che non ci sia dubbio che nel documento che abbiamo tanto a lungo commentato vi sia una tendenza al proselitismo e ci si rivolga ad ambienti abbastanza precisi: tutto il messaggio critico sullo spontaneismo mi sembra manifesti chiaramente la ricerca di un’interlocuzione con gli ambiti cui accennava il senatore Mantica.

Mi rendo conto, d’altra parte, che un eccesso di repressione potrebbe non solo non scoraggiare il proselitismo, ma addirittura agevolarlo e pertanto il Governo è impegnato nella ricerca della difficile strada tra il lassismo e l’eccesso di repressione. Per esempio, rileggendo gli atti dell’audizione del prefetto Ferrigno, mi domandavo se non potesse essere prevista un’estensione della cosiddetta legge Mancino; rispetto alla possibile nascita di cellule neonaziste, per esempio, negli ambiti violenti delle tifoserie (come tante volte gli striscioni esposti negli stadi possono far temere) i provvedimenti previsti nella legge Mancino hanno avuto, come ha riconosciuto lo stesso prefetto Ferrigno nella sua audizione, un effetto favorevole.

MANTICA. Signor Presidente, per usare un riferimento che ha poco a che fare con il terrorismo, il treno in cui sono morti i tifosi qualche giorno fa, è partito da Piacenza per arrivare a Salerno ed ha viaggiato 12 ore, durante le quali sono state devastate 8 stazioni e sono rimasti solo 12 poliziotti sul treno. Mi domando: cosa hanno fatto i questori e i prefetti che sembra fossero stati informati? Se tutto viene considerato solo una manifestazione di poca importanza, se in casi come questo si riduce tutto a concetti quali: "I tifosi sono solo un po’ eccitati poiché la Salernitana va in serie B; hanno solo fumato uno spinello" possono avvenire eventi drammatici. Certamente nessuno voleva uccidere quattro persone, ma la dinamica ed i meccanismi posti in atto portano poi a queste conseguenze. D’altronde, anche questa Commissione ha constatato che alcune volte qualcuno non voleva compiere una strage, ma a furia di giocare con gli ordigni può capitare che avvengano le tragedie.

PRESIDENTE. Per rispondere all’osservazione iniziale del senatore Mantica, che mi sembra meriti una risposta, all’inizio dell’audizione ho richiamato la legge istitutiva della nostra Commissione, secondo cui siamo impegnati ad accertare i risultati conseguiti nello stato attuale della lotta al terrorismo in Italia: ecco perché mi è sembrato giusto creare un’interlocuzione ed ho addirittura ammesso un mio senso di responsabilità per non avere invitato, dopo l’audizione del prefetto Ferrigno, il Governo per un’audizione volta all’aggiornamento dei dati che il prefetto ci riferì.

BONFIETTI. Signor Presidente, interessa anche a me questo aspetto del problema: credo che con il sottosegretario Sinisi dovremmo parlare più di questo che dell’analisi del documento di rivendicazione delle BR, ossia, ancora una volta, dello stato degli organi preposti alla prevenzione, il che costituisce un nostro compito. Mi interessano anche gli eventi che stanno accadendo a Bologna, sui quali chiederò al Sottosegretario elementi ulteriori rispetto a quelli resi noti dai giornali. Ricordo che nelle varie audizioni che abbiamo tenuto con i responsabili del SISDE e del SISMI ad un certo tipo di osservazioni e di contestazioni da noi formulate gli auditi hanno risposto drammaticamente: "Quando avviene il fatto vuol dire che noi abbiamo fallito". E’ inutile girare il dito nella piaga: anche questa volta è avvenuto il fatto; non voglio dire che qualcuno ha fallito, però mi preoccupo, anche come componete di questa Commissione, di capire se è stato compiuto tutto il possibile - come si usa dire - e che tipo di monitoraggio è stato realizzato.

Lei prima ci ha detto che vi erano stati attentati ad Udine e alcuni fatti che davano una certa avvisaglia, un certo "brodo di coltura" come diceva prima il senatore Mantica, nel quale poi certe manifestazioni che sono purtroppo arrivate fino a questo punto già si vedevano. Ma si era arrivati anche a denunciare al Governo stesso la gravità del momento che si stava attraversando? Cioè, si stava capendo che stava succedendo qualcosa di più grave o si monitorava, si vedeva e si capiva che vi erano alcune formazioni che si stavano muovendo e tutto era nella norma? Vi era stata anche da parte dei Servizi una consapevolezza, una considerazione che le cose si stavano aggravando fino a questo punto, cioè fino ad avere persone che nel breve periodo sarebbero riuscite a realizzare tutta una serie di azioni? Perché vi è l’omicidio D’Antona, ma anche quello che inizialmente avevo detto rispetto a Bologna.

Vorrei anche capire, dopo tre attentati in questi ultimissimi giorni nelle varie sedi dei Democratici di sinistra, oltre a quelli che lei ha già detto esserci stati in tutta Italia in questo periodo e a questa perquisizione che è stata fatta oggi - anche questa finita miseramente - non c’entrano i Servizi ma credo fossero le Forze di polizia: erano arrivati in questa sede e il fatto che una di queste ragazze impedisse l’entrata dei poliziotti e degli organi investigativi ha fatto sì che uno di questi che stava nella casa è potuto fuggire; questi fatti che accadono, a Bologna e nelle altre parti d’Italia, come sono monitorati? Io credo che è di questo che vorremmo sentir parlare. Avevate ed avevano i Servizi, il SISDE e gli organi competenti, una sensazione di aggravamento prima di questo omicidio? Che tipo di moritoraggio è stato fatto? Ed anche a Bologna cosa vogliamo attendere ancora? Rispetto a Bologna cosa si dice? Si sapeva che vi era in una certa area, un certo tipo di possibilità di arrivare fino a queste azioni oppure è tutto analizzabile dopo che i fatti sono già avvenuti? Perché farlo dopo è veramente sempre troppo comodo. Io credo che l’azione di prevenzione che si vuole dal SISDE e dagli altri organi debba essere maggiore. Ancora una volta, nei primi commenti che venivano a caldo rispetto a quanto avvenuto l’altro giorno, mi chiedevo – il Presidente all’inizio di seduta ha detto che non era molto d’accordo su queste critiche che qualcuno ha fatto – se i servizi segreti avevano visto, capivano, stavano prevenendo e che tipo di prevenzione e di monitoraggio c’era rispetto a questa situazione.

SINISI. Come ho detto, si era registrato, soprattutto dagli organismi deputati all’attività di informazione e prevenzione, un aggravarsi della minaccia portata avanti proprio attraverso la tipologia delle manifestazioni che si registravano e il contenuto dei documenti che venivano individuati. L’analisi che era stata fatta ha portato verso l’individuazione di settori dai quali la minaccia sembrava appunto particolarmente elevata. Non sta a me dire a questo punto se si poteva immaginare che vi fosse un così repentino balzo in avanti. Non vi è dubbio che il passaggio tra i fatti che si erano registrati e l’omicidio del professor D’Antona è un salto notevolissimo. Però un aggravamento della situazione era stato registrato ed erano stati anche indicati i settori. In questo senso, così come avevo detto, erano state svolte delle attività preventive e di supporto alle indagini specifiche, in particolare circa alcuni collegamenti tra alcune città italiane, più precisamente tra Roma ed alcune località che ho citato in precedenza. Quindi, c’era un’attenzione mirata.

Mi si permetta adesso una sola considerazione. L’apparato di sicurezza di un Paese riposa su due elementi: il primo è la prevenzione, il secondo la repressione. Noi confidiamo, ovviamente, che il massimo sforzo della prevenzione riduca l’attività di repressione al minimo possibile, ma nessuno di noi credo possa oggi immaginare che si possa fare a meno dell’attività di repressione. In definitiva ogni reato che si commette nel nostro Paese è un fallimento dell’attività di prevenzione, che si tratti di terrorismo o di un furto in campagna; è il passaggio delle consegne dall’attività di prevenzione a quella di repressione.

Gli elementi che sono stati fin qui raccolti e valutati lasciano immaginare che un’attività di repressione di questo crimine, in particolare se ben supportata da un’attività di analisi focalizzata per individuare il settore allargato in cui è maturata la decisione di uccidere il professor D’Antona, una fase di repressione focalizzata su questo tipo di attività, che oggi sono quelle conclamate, possa favorire la prevenzione generale di questi fenomeni nel futuro.

Ovviamente, l’auspicio per ciascuno di noi è che non vi sia bisogno di ricorrere a questa seconda fase. Ma oggi abbiamo il dovere non soltanto di confidare, ma di confidare con fiducia nella capacità che gli organi deputati a questo punto all’attività di repressione sappiano con la massima tempestività individuare il novero dei soggetti interessati a questa attività eversiva e cicatrizzare questa ferita che è stata provocata in maniera così terribile nel nostro Paese negli ultimi giorni.

FOLLIERI. In definitiva i Servizi non hanno mai immaginato che potesse accadere ciò che è accaduto? Ho capito bene?

SINISI. Dagli elementi di conoscenza in mio possesso erano state fornite delle note informative che individuavano una recrudescenza in un settore che può essere quello al quale oggi noi riconduciamo la maturazione dell’omicidio del professor D’Antona. Ma ovviamente aver svolto quest’attività, anche piuttosto selettiva nell’analisi, non ha significato purtroppo impedire che questo evento si realizzasse.

FOLLIERI. Io ho usato il termine "immaginare", non "impedire".

SINISI. Era previsto un aggravamento, quale che fosse poi la forma di espressione, che fosse un omicidio o un attentato di carattere generale questo…

FOLLIERI. Volevo sapere un’altra cosa. Io questa mattina ho letto un titolo, senza leggere l’articolo, che diceva che bisogna riformare i servizi segreti; mi sembra che lo dicesse l’onorevole Mattarella, vice presidente del Consiglio. Quindi, significa che qualcosa non funziona nei servizi segreti?

PRESIDENTE. Cerchiamo di non entrare nel campo di altri organi; non siamo il Comitato di controllo sui Servizi.

SINISI. E’ da lungo tempo in corso una discussione nel nostro Paese su questo argomento.

GRIMALDI. Ho detto che siamo in un clima quasi salottiero perché ci stiamo scambiando delle idee ma non credo che potremo risolvere il problema o perlomeno trovare soluzioni.

Io volevo fare una prima annotazione, che potrebbe sembrare superflua: il terrorismo chiaramente si inserisce in un contesto particolare, favorevole. Certamente è impensabile che ci possa essere il terrorismo in Lussemburgo o in Liechtenstein o nel Principato di Monaco; non mi pare che in questi paesi possa trovare terreno favorevole. Invece nel nostro paese c’è un contesto che potrebbe favorire la recrudescenza del terrorismo, questo perché la conflittualità sociale è quella che è, ci sono i problemi della guerra. Tutto questo potrebbe aver dato l’esca. Possiamo immaginare un piccolo gruppo o, quanto meno, un gruppo più ramificato o più sofisticato riprendere quell’attività terroristica, come viene indicato nel documento di rivendicazione. Vorrei però fare molta attenzione a non porre sullo stesso piano il fenomeno del terrorismo, che cerca comunque di riprendere l’attività che è stata svolta per un certo periodo, con l’area dei centri sociali, dell’emarginazione, della protesta, che può anche dar luogo a fenomeni di violenza sotto vari aspetti, sia negli stadi che nei cortei, ma che determina quel contesto particolare nel quale il terrorismo può naturalmente inserirsi e tentare di diffondersi. Il problema è dunque quello di porre un argine preciso ad un area che è certamente di contestazione, anche violenta in alcuni momenti, al terrorismo che in quest’area può far leva e cercare di diffondersi. Il terreno di coltura ci può essere anche, ma non significa inevitabilmente che ci sia questa identificazione.

Inoltre, e mi rivolgo al collega Mantica che sollecita la sinistra: in questo momento nel mirino è la sinistra, non siete voi del Centro-destra, ma noi, e il motivo è che si vuole impedire tutta l’operazione di riforma. Su questo il documento è chiarissimo, dalla lettura emerge il motivo per cui l’attacco è rivolto: D’Alema, il riformismo, l’attacco è a questo. Vanno fatte allora due considerazioni, indipendentemente dal voler suggerire agli organi investigativi o ai servizi quello che devono fare (ci auguriamo che i servizi sappiano operare meglio di quanto hanno fatto in passato): il problema politico che ci riguarda è innanzitutto quello di alzare un argine in tutti i settori in modo che non ci sia permeabilità. Mi sembra che ciò stia già avvenendo: il Leoncavallo di Milano ha fatto una precisa dissociazione (certo ci saranno delle frange perché questi ceti sono più permeabili rispetto ad una forza politica che magari è più attenta), lo hanno fatto anche i Cobas affermando: ci si è impadroniti delle nostre parole d’ordine, ma state attenti perché noi facciamo attività politica democratica, fuori da queste azioni terroristiche. Altra cosa sono coloro che possono alimentare, dare la sensazione che il terrorismo nel nostro paese può diffondersi. Non a caso abbiamo parlato dei cattivi maestri che anche oggi potrebbero esserci, come vi sono stati in passato, che spingono alla contestazione totale, all’antagonismo totale, portando fino a fenomeni di attacco violento e di terrorismo. Dunque, in questo momento, occorre stare attenti comunque al voler restringere l’area della repressione e del ricorso a strumenti particolari perché questo, a mio avviso, è l’obiettivo del terrorismo, lo favorisce e non lo indebolisce, per cui l’azione deve essere di vigilanza democratica in tutti i settori. Ciò non esclude naturalmente che i servizi tengano sotto controllo queste aree dove è più facile che il terrorismo si possa insinuare e fare proseliti.

Non escludo anche che ci possano essere, non immediatamente ma successivamente, interessi di altri, che il terrorismo possa essere, come è avvenuto in altre occasioni, eterodiretto e quindi indirizzato a forme di destabilizzazione. Ricordiamo che il nostro paese è anomalo rispetto al contesto europeo, è l’unico paese che si sta muovendo in maniera diversa rispetto agli altri paesi europei anche per quanto riguarda la vicenda dei Balcani. Tutto questo va tenuto presente: ci si deve chiedere perché spunta il terrorismo dopo l’elezione di Ciampi che ha visto maggioranza e opposizione d’accordo nell’eleggere il Presidente della Repubblica al primo scrutinio, perché dopo che ci sono state altre manifestazioni e il paese si indirizza verso processi diversi improvvisamente spuntano questi fenomeni. Non a caso questo va agganciato ai fenomeni di aggressioni alle sedi dei DS fino alla manifestazione di Bologna dove, sotto il palco, si gridava "DS assassini" e cose di questo genere, più che valutare quel documento che potrebbe dare adito a varie interpretazioni. E’ chiaro che tutto è schiacciato sul problema sindacale, sul riformismo, sulla concertazione e sul fatto che c’è un attacco perché si ritiene che il governo attuale stia limitando i poteri del sindacato, l’autonomia della classe: da qui lo sviluppo della contestazione. Questi sono i due punti che vengono messi in risalto ma, a mio avviso, è un’operazione che debbono fare le forze politiche e gli organi dello Stato per conto loro.

MANTICA. Vorrei dare ragione al collega Grimaldi leggendo un pezzo dell’audizione di Franceschini: "facemmo il sequestro Amerio, che era un dirigente del personale della FIAT di Torino: fu il primo sequestro rilevante, perché durò tutta una settimana; prima c’era stato il sequestro Macchiarini, durato soltanto poche ore. Noi gestimmo tutto il sequestro contro il compromesso storico. Apparve su Rinascita un articolo di Enrico Berlinguer che lanciava il compromesso e noi interpretammo il contratto FIAT di quell’epoca come la prima verifica di questa possibile strategia politica". Ancora: "Pochi mesi dopo la fine del sequestro, attraverso Piero Morlacchi, che era un compagno di Milano clandestino, legato al PCI (…), ci contattarono dicendoci di consegnarci ai magistrati perché ormai le cose si facevano pesanti e ci sarebbero stati arresti di massa. Quindi, io e Morlacchi dovevamo consegnarci. Questa informazione ci veniva dal PCI perché eravamo considerati compagni di fiducia e affidabili". Ritengo che l’attacco è certamente alla sinistra; infatti, non ho detto che era rivolto a noi ma che è il problema di un fiume contro un riformismo, che in questo momento è la linea politica di gran parte della sinistra. Ma le altre affermazioni dimostrano che l’acqua nella quale allora vivevano quelle che erano chiamate le Brigate rosse era talmente conosciuta che gli organi del partito comunista poterono informare due compagni affidabili che avevano appena fatto il sequestro Macchiarini dicendo loro che le cose andavano in un certo modo. Prima accennavo al problema della cintura di sicurezza, non mi sto riferendo ai DS, ma sto dicendo che tutti i partiti, tutte le forze politiche (i Cobas e i centri sociali magari in prima linea) o rompono immediatamente questi fili, se mai esistono, o il problema ci riporta al 1974 perché quel pezzo sembra, cambiati gli anni, applicabile ad alcune cose che avvengono oggi.

BERTONI. Non voglio partecipare al dibattito politico che si sta svolgendo in questa sede, perché credevo dovessimo avere delle risposte a delle curiosità che ci scaturiscono dalla lettura del documento. Vorrei che il Sottosegretario risponda alle mie seguenti domande.

Ho letto sui giornali - non so se sia esatto o meno - che Internet viene usato per comunicazioni tra gruppi terroristici. La domanda che le rivolgo è la seguente: Internet è utilizzato anche da terroristi rossi detenuti (detenuti veramente o formalmente detenuti, ma con benefici, in libertà)? Questa è la prima domanda.

Per quanto riguarda la seconda domanda, il documento comincia con un riferimento alle operazioni belliche in corso. E’ pacifico - credo che sia un dato acquisito - che le Brigate rosse erano finanziate dall’Est. In questo inizio del documento, in questo riferimento alla guerra è intravista la possibilità dell’esistenza di un collegamento che porti anche ad un finanziamento del rinascente brigatismo da parte di movimenti, di gruppi ed anche di paesi che non sono nella NATO e nell’ Occidente?

La terza domanda è la seguente. A mio modo di vedere, il documento sembra scritto per una parte, anzi per la gran parte, nello stesso modo usato dai brigatisti, ossia in modo rozzo e senza rispetto nemmeno dell’ortografia - il brigatismo non è quella cosa che si è esaltata; non è stato né eroico né brillante: a mio giudizio, è stato solo assassino - e poi, in altra parte, è scritto in modo tecnico, con riferimento specifico ed anche con nomi che non sono stati in passato patrimonio del linguaggio brigatista. Allora, vorrei sapere se si è vista e se si vede in questo documento, da parte del Governo e del Ministero, una doppia mano, ossia anche la mano di un esperto di cose giuridiche, o comunque di un esperto diverso da quello che appare l’autore di tutto il documento stesso.

Per quanto riguarda la quarta domanda, devo dire che il Sottosegretario non ha risposto ad un quesito rivolto dalla senatrice Bonfietti, al di là delle considerazioni che aveva premesso, in merito al motivo in base al quale la perquisizione effettuata in un centro sociale a Bologna non ha avuto effetto ed ha anzi consentito ad una ragazza di far fuggire uno che stava in quel centro. A queste quattro domande, che sono domande punto e basta, vorrei avere una risposta pubblica; se non può essere pubblica, non la voglio.

PRESIDENTE. Sottosegretario Sinisi, risponda nei termini in cui può farlo pubblicamente.

BERTONI. Altrimenti non mi interessano le risposte. Poiché sono quattro domande precise, o la risposta è pubblica o è inutile.

SINISI. Il problema della risposta pubblica o riservata non è una mia scelta di privilegio.

BERTONI. Rivolgo ciò al Presidente.

SINISI. Non è né un mio gusto personale, né un privilegio che richiedo alla Commissione.

BERTONI. Esprimo solo un mio desiderio.

PRESIDENTE. Sottosegretario, cominci a rispondere dalla quarta domanda.

BERTONI. O a tutte e quattro le domande, o a nessuna.

PRESIDENTE. Senatore Bertoni, consenta al Presidente di disporre delle domande da lei formulate. Le ricordo che la quarta domanda si riferisce al motivo in base al quale la perquisizione nel centro sociale di Bologna è stata fatta in maniera così tenue da aver permesso che l’opposizione di una ragazza abbia consentito la fuga, probabilmente, di un latitante.

SINISI. Al riguardo posso rispondere pubblicamente, perché in questa sede posso solo dire che non sono in grado di rispondere, dal momento che ho solo notizie giornalistiche che mi sembra offensivo riportare al senatore Bertoni.

PRESIDENTE. Ci può però assicurare che il Governo, se ci sono state delle responsabilità, le punirà.

BERTONI. Capisco che non può rispondere, però questa domanda può essere una sollecitazione.

SINISI. Non vi è dubbio che la situazione di Bologna è oggetto di specifica attenzione da parte del Governo, non fosse altro che per una serie di episodi che si sono verificati.

In merito alla terza domanda, relativa al fatto se il documento è stato esteso a più mani, il giudizio che abbiamo dato è che non si tratta di un documento stilato da una sola persona. Ci sono stati contributi diversi, di natura diversa.

In merito alla seconda domanda sui finanziamenti dall’Oriente, l’unica cosa che le posso dire è che la minaccia terroristica eclatante, che è quella accaduta la settimana scorsa e che riguarda l’omicidio del professor D’Antona, certamente non esaurisce il novero delle minacce terroristiche a cui è soggetto il nostro Paese in questo momento. Ovviamente ci sono altri tipi di minacce che evito di enucleare, perché non voglio avvantaggiarmi in un secondo momento per aver detto di avervi fatto riferimento. Tuttavia, vi è una serie di minacce destinatarie di specifica attenzione. La risposta, però, alla sua domanda, non può essere precisa, perché non sono in grado di fornirgliela in questo momento.

PRESIDENTE. Non so con certezza se le BR siano state finanziate dall’estero, c’è però questo grosso sospetto ed è certo che si autofinanziavano. Vorrei sapere se ci può confermare la notizia che il latitante Scarfò è stato fotografato durante una rapina in banca.

SINISI. Posso dire che vi è certezza, non incertezza, che in passato le Brigate rosse sono ricorse ad autofinanziamento attraverso delle rapine e dei rapimenti. Vorrei ricordare da ultima quella del 1987, consumata qui a Roma, che fu l’ultima operazione di autofinanziamento significativa, nel corso della quale morirono anche dei poliziotti.

PRESIDENTE. Ma questo Scarfò è stato fotografato davvero nella rapina in banca?

SINISI. Presidente, in questo momento non le posso dire niente.

BERTONI. Non mi riferivo agli autofinanziamenti, perché sono troppo noti. Mi riferivo, invece, ai finanziamenti che allora - ricordo che eravamo in tempi di guerra fredda - venivano dall’Est ed è inutile che io dica da dove.

SINISI. Presidente Bertoni, io faccio il Sottosegretario al Ministero dell’interno; il novero delle risposte è: sì, no, può darsi e non lo so. Quindi, non posso risponderle sì, se non lo so con certezza; non posso risponderle no, se non lo so con certezza; non posso dirle può darsi, perché violerei gravemente i miei doveri di dare in questa sede semplicemente indicazioni precise. La verità è che non sono in grado di rispondere in questo momento alla sua domanda. Posso soltanto dirle che, dal mio punto di vista, per i dati di nostra conoscenza, che sono non soltanto fonti informative, ma fonti probatorie, vi era un ricorso consolidato all’autofinanziamento attraverso attività delittuose, quali le rapine e i sequestri. Posso dirle che questo è così, perché lo so ed è conclamato.

BERTONI. Io volevo sapere se lo stato di guerra che c’è attualmente possa far ipotizzare qualcosa di simile a quello che accadeva allora, dato lo stato di guerra fredda che c’era allora. Questa era la domanda.

SINISI. Ho risposto prima: non abbiamo elementi in questa direzione. Per quanto riguarda la domanda relativa ad Internet, abbiamo contezza di messaggi intimidatori lanciati via Internet.

PRESIDENTE. La domanda riguardava il fatto se ci sono detenuti che possono avvalersi di Internet.

SINISI. Ovviamente le comunicazioni che oggi possono essere impiegate sono oggetto di una nostra specifica attenzione. Posso dirle solo questo.

BERTONI. Non mi può dire, quindi, se ci sono detenuti terroristi e brigatisti in libertà o in semilibertà…

SINISI. Non in questo momento, perché la sua domanda impone una risposta con l’elencazione di nomi, cognomi e luoghi da cui comunicano con Internet. Non sono in grado di farlo adesso, come non sono in grado di dirle chi sono i brigatisti in carcere e quelli fuori che possono utilizzare Internet. Presumo che chiunque sia fuori dal carcere ed abbia un computer ed un contratto per una linea telefonica possa impiegare Internet.

BERTONI. E nel carcere?

SINISI. Se ci sono delle carceri che hanno questo tipo di…

BERTONI. Ma sono anch’io in grado di ragionare a livello di ipotesi.

SINISI. Ma ho detto con chiarezza che non sono in grado di rispondere adesso. La domanda che lei mi ha posto impone che le risponda specificando nome, cognome e luogo. Posso solo riservarmi di risponderle in un momento successivo, ma adesso non sono in grado di farlo.

BERTONI. Vorrei soltanto che lei dicesse se ci sono dei detenuti brigatisti, magari in semilibertà, che possono accedere ad Internet. Mi basterebbe questo, non desidero conoscere nomi e cognomi.

PRESIDENTE. Ma se sono in regime di semilibertà, come potrebbe esserne a conoscenza il Sottosegretario?

BERTONI. No, mi riferisco a quelli che stanno dentro.

PRESIDENTE. Ma il Sottosegretario non può saperlo, perché potrebbero andare dappertutto.

SINISI. Ad esempio, esistono anche gli Internet cafè.

BIELLI. Vorrei riproporre il tema relativo al contesto internazionale, già suggerito da altri colleghi, ponendo una domanda specifica. Il Sottosegretario ha detto che, per quanto riguarda l’Italia, siamo di fronte non al prosieguo delle stesse metodologie delle Brigate rosse, quanto alla riproposizione di una strategia con connotati diversi. Negli altri paesi europei, dove non abbiamo avuto sentore di episodi come quello che ha riguardato Massimo D’Antona, ci sono stati fatti che richiamano in qualche modo il tema del terrorismo?

Con questa domanda intendo proporre la seguente riflessione. Mentre l’Italia ha una sua specificità, il contesto europeo è contrassegnato da un dato generalizzato, ad esempio dal punto di vista dell’orientamento politico dei Governi, che è diverso da quello del passato. In altri paesi, come la Germania, il terrorismo si manifestava con un elemento simile ma non uguale a quello presente nel contesto italiano, che, come hanno detto l’onorevole Grimaldi ed altri colleghi, puntava su un humus culturale per galleggiare e trovare alimento. In Germania, invece, il terrorismo aveva finalità diverse: era l’atto in sé, che poi poteva risvegliare chissà che cosa. Può dirci qualcosa di più rispetto a quanto ci ha detto finora a proposito di questi elementi e del contesto internazionale?

SINISI. Signor Presidente, vorrei passare nuovamente in seduta segreta.

PRESIDENTE. Va bene.

I lavori proseguono in seduta segreta alle ore 22,22.

…omissis…

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 22,24.

RUZZANTE. Pur non avendo avuto il tempo di leggere tutto il documento delle BR-Partito comunista combattente, anch’io ho avuto l’impressione che si tratti di un documento non solo scritto a più mani, ma anche frutto di una mediazione politica, per certi versi. Anche nel documento si specifica che la sigla Partito comunista combattente-Brigate rosse è il frutto della riunificazione di diverse sigle o di diversi gruppi terroristici che si sono resi attivi nel corso di questi ultimi anni.

La mia domanda è stata già in parte esposta, però vorrei ricevere qualche precisazione da parte del Sottosegretario. Si ritiene che esistano delle interconnessioni certe tra questa catena di attentati nei confronti delle sedi dei Ds, della CGIL ed in qualche caso anche di alcune caserme (in modo particolare nel Nord) ed il commando che ha colpito Massimo D’Antona? Più precisamente, si sta battendo questa pista perché si ritiene che questi fatti possono essere comunque il frutto di un’elaborazione comune, pur essendo diverse le mani che hanno colpito le sedi dei Ds o del sindacato da quelle che hanno ucciso Massimo D’Antona? E’ evidente che la risposta a questo interrogativo pone dubbi estremamente inquietanti, perché si dimostrerebbe la diffusione di un’organizzazione più capillare di quella che molti di noi ritengono possa essere alla base di questo documento. Ciò rappresenterebbe un elemento non solo di pericolo, ma anche di forte preoccupazione proprio per la capillarità di questi attentati incendiari.

Vorrei poi rivolgerle una seconda domanda, suggerita da alcune notizie apparse sui giornali, a proposito delle quali vorrei ricevere qualche precisazione da parte sua. Ci sono segnali precisi sulla volontà di colpire Massimo D’Antona con qualche giorno di anticipo? In questo, infatti, sarebbe evidente l’elemento di possibile collegamento con l’elezione del Presidente della Repubblica, cioè la volontà di questo gruppo terroristico di intervenire fortemente rispetto ad un momento delicato della vita democratica del paese. Ci sono elementi precisi in questa direzione?

SINISI. Signor Presidente, chiedo la segretazione della mia risposta.

I lavori proseguono in seduta segreta alle ore 22,26.

…omissis…

I lavori proseguono in seduta pubblica alle ore 22,31.

PRESIDENTE. Non ci sono altre domande, quindi credo che possiamo ringraziare il Sottosegretario per questa lunga audizione.

Vorrei chiudere - se i colleghi me lo consentono - con un auspicio che è insieme una valutazione. Mi hanno fatto piacere gli accenni che ci sono stati nell'intervento del collega Bielli ma anche in qualcosa che aveva detto lei, che confermano come in realtà oggi non ci sia grande paese dell'Occidente che possa dirsi al riparo del rischio del terrorismo. Mi ha fatto piacere perché una mia valutazione sul carattere endemico che il terrorismo sta assumendo nelle democrazie occidentali non ha avuto l'adesione di un caro amico, suo collega di Governo, il sottosegretario Bassanini, che in televisione dissentì da questa mia valutazione.

Il problema però sta nella rapidità con cui noi sapremo dare risposta a questo. Tutti i grandi paesi negli ultimi anni hanno avuto attentati terroristici: la Francia, gli Stati Uniti, il Giappone (addirittura attentati con gas nervini); lì però nessuno ha ritenuto che la democrazia fosse in pericolo, non ci sono stati appelli all'unità nazionale, ma la risposta è stata immediata, in brevissimo tempo la repressione ha funzionato. Quindi, direi che la partita che noi giochiamo è su questo. Se - come mi auguro - noi potremo rivederci entro breve tempo con un'attività repressiva che avrà sortito gli effetti che tutti ci auguriamo, allora il pericolo che stiamo ritornando negli anni di piombo potrà ritenersi superato; se invece questo non dovesse avvenire, indubbiamente la valutazione diventerebbe molto negativa.

Non le nascondo che in qualche modo tutti siamo stati presi di sorpresa. Ecco perché fin dall'inizio ho voluto, per quel poco che mi riguardava, assumermi la mia parte di responsabilità. Penso che, tutto sommato, anche il Governo abbia finito per scontare un clima culturale: questo era un paese che sperava che vicende di questo genere facessero parte di un passato morto e passato in giudicato, tant'è vero che l'atteggiamento di reazione che c'è stato è stato un atteggiamento di incredulità e di sorpresa.

In questi anni - per lo meno è stata l'impressione che abbiamo avuto in Commissione - è sembrato che questa nostra fatica venisse quasi quasi sentita come una specie di fissazione, che ci fosse un organismo parlamentare che continuasse ad interrogarsi su chi fosse l'anfitrione di Firenze, come avevano fatto i carabinieri ad arrivare in Via Monte Nevoso, come avevano fatto degli spiriti a suggerire a dei professori universitari il nome di Gradoli, perché un funzionario dell'UCIGOS passa alla stampa gli interrogatori del primo brigatista che si era pentito; siamo stati anche autorevolmente invitati da grossi opinionisti a lasciar perdere. Ecco, su questo vorrei - e lo chiedo a lei - un maggior impegno del Governo. Credo che fare chiarezza sul passato sia essenziale per metterci in condizione proprio di combattere meglio questa nuova insorgenza. Il precedente titolare del Viminale venne qui in Commissione dicendo: "Ma questo non è un problema che riguarda me, c'è la magistratura, sono fatti del passato, c'è la Commissione d'inchiesta". Ecco, io non condivisi allora e non condividerei nemmeno oggi un atteggiamento di questo tipo, perché fare chiarezza sul passato oggi più di prima mi sembra invece utile, e utile nell'attualità, non solo per completare i libri di storia ma per consentire a questo paese di diventare veramente quella democrazia "normale", che non riesce ad essere immune dagli atti di terrorismo però sa reagire e, dove la prevenzione non ha funzionato, fa funzionare poi la repressione in maniera efficace. Con questo auspicio, ringraziandola di essere venuto, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle ore 22,35.

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