Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

54a SEDUTA

MERCOLEDI' 6 OTTOBRE 1999

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

indi del vice presidente MANCA

Indice degli interventi

PRESIDENTE
MARTINI
BIELLI (Dem. di Sin.-L'Ulivo), deputato
DOLAZZA (Lega Nord - Padania ind.), senatore
FRAGALA' (AN), deputato
MANCA (Forza Italia), senatore
PARDINI (Dem. di Sin.-L'Ulivo), senatore
TARADASH (Misto-P.Segni-RLD), deputato
TASSONE (Misto), deputato

La seduta ha inizio alle ore 20.10.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta. Invito il senatore Pardini a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

PARDINI, f.f. segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del 27 luglio 1999.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato. E' approvato.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE.

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l’ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti – fra i quali in particolare la sentenza-ordinanza del giudice Priore – il cui elenco è in distribuzione e che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell’inchiesta.

Essendo stati restituiti, con le correzioni, gli stenografici degli interventi svolti nella seduta del 27 luglio scorso, si è proceduto alla pubblicazione della relazione sul caso D’Antona (Doc. XXIII, n. 33). In merito comunico che l’Ufficio di Presidenza ha concordato, nella recente riunione, di incontrare il Procuratore della Repubblica di Roma per conoscere lo stato delle indagini, e, in successione, anche gli altri uffici di procura che, ci auguriamo in maniera coordinata, stanno proseguendo le indagini su questa emersione del terrorismo di sinistra.

Informo altresì che il senatore Follieri (il quale mi ha consegnato una lettera per scusarsi della sua assenza alla seduta odierna, in quanto impegnato in Commissione giustizia) ha depositato il 29 settembre 1999 la proposta di relazione su "Gli eventi eversivi e terroristici degli anni fra il 1969 ed il 1975". I colleghi dovranno esaminarla, dopodiché verrà discussa, in tempi ragionevoli, dalla Commissione, per consentire ai Gruppi di poter proporre documenti integrativi o alternativi o parzialmente correttivi.

Ricordo inoltre che sono stati avviati nuovi ed ulteriori rapporti di collaborazione e consulenze specializzate (dottor Silvio Bonfigli, signora Katia Carmelita, dottor Sandro Iacometti, signor Pier Angelo Maurizio, dottoressa Giovanna Montanaro, dottor Gian Paolo Pelizzaro, dottor Iacopo Sce; al professor Victor Zaslavsky è stato invece rinnovato l’incarico di studio per ulteriori quattro mesi). Poiché i nuovi collaboratori sono presenti alla seduta, do loro il nostro benvenuto.

Comunico che il Presidente del Consiglio è stato informato con una mia lettera personale dell’orientamento, unanimemente emerso in sede di Ufficio di Presidenza allargato della Commissione, in merito alla emanazione delle disposizioni per il riordino e la gestione degli archivi dei Servizi. L'Ufficio di Presidenza ha convenuto con me che ipotesi di distruzione di documentazione e di archivi, che non abbiano almeno un momento di controllo parlamentare, sia pure da parte di un organo ristretto come il Comitato dei Servizi, ad avviso delle forze politiche presenti nell'Ufficio di Presidenza, non sembravano consigliabili. In questo senso ho scritto una lettera al Presidente del Consiglio. A questo proposito, nell'odierno question time alla Camera dei deputati l'onorevole Mattarella ha fatto presente che il Governo sembrerebbe orientarsi in tal senso, cioè a non procedere alla distruzione di documenti se il Parlamento dovesse essere non d’accordo con questo modo di procedere.

Do notizia, infine, del comunicato stampa del Comitato parlamentare per i Servizi – emanato in esito alla riunione odierna – che ascolterà, il prossimo martedì 12 ottobre, il Vicepresidente del Consiglio sulla documentazione consegnata dall’ex agente Mitrokhin agli organismi di intelligence britannici nel 1992, nonché sugli indirizzi recentemente impartiti sul riordino degli archivi dei Servizi. Vi do questa notizia perché l'Ufficio di Presidenza ha deliberato su questo stesso oggetto anche l'audizione dell'onorevole Mattarella. L'intesa con l'onorevole Frattini è stata che il Vice Presidente del Consiglio si sarebbe recato prima presso il Comitato per i Servizi e poi nella nostra Commissione, presumibilmente la settimana successiva.

Da ultimo informo che, sia pure dopo qualche perplessità, la dottoressa Barbara Balzerani ha comunicato con lettera in data odierna di non accettare l'invito all'audizione. Questo ci pone di fronte ad un problema che dovremo esaminare in una sede più specifica, nell'Ufficio di Presidenza. Io avevo scritto una lettera alla dottoressa Balzerani, della quale desidero dare lettura di modo che resti a verbale. Comunicavo che l'Ufficio di Presidenza, nella riunione del 20 settembre 1999, aveva nuovamente deliberato l'audizione della dottoressa Balzerani nell'ambito dell'inchiesta sugli sviluppi del caso Moro. Aggiungevo: "Nell'adottare tale deliberazione, l'Ufficio di Presidenza ha tenuto conto dell'intervista da lei rilasciata al giornalista Mario Scialoja su 'L'Espresso' del 29 luglio 1999, in cui ella aveva manifestato la sua disponibilità a venire in Commissione con l'intendimento di compiere una ricostruzione politica veritiera della vicenda delle Brigate rosse e a limitarsi a fare un'analisi dei fatti senza indicare nomi o circostanze che possano coinvolgere penalmente qualcuno". Avevo quindi avuto cura di assicurare la dottoressa Balzerani che, se fosse venuta, non avremmo preteso - d'altra parte non avremmo avuto modi per costringerla - di denunciare qualcuno. Volevamo confrontarci ed ascoltare una sua possibile ricostruzione, certamente ponendole alcune domande, sia pure di scenario, alle quali ci saremmo aspettati risposte logiche, comunque tali da dare un contributo a dissipare dubbi o a colmare lacune nel quadro complessivo. La risposta che abbiamo ricevuto è del seguente tenore: "Io sottoscritta Barbara Balzerani, non ritenendo la Commissione da lei presieduta disponibile a recepire una mia ricostruzione politica della storia delle Brigate rosse estranea alla logica dietrologica ed eterodiretta, reclino l'invito all'audizione da lei fattami pervenire in data 4 ottobre 1999". Penso che alcuni elementi emergeranno anche dall'audizione che si svolgerà con l'ammiraglio Martini. Più i punti di contestazione, sia pure di scenario, diventano precisi da parte nostra, più c'è un rifiuto dei capi storici delle Brigate rosse di accettare un confronto con la Commissione, salvo poi rilasciare interviste, tenere conferenze in televisione, spiegare urbi et orbi che la storia delle Brigate rosse è pienamente chiarita e non c'è altro da tenere segreto.

 

AUDIZIONE DELL'AMMIRAGLIO FULVIO MARTINI, GIA' DIRETTORE DEL SISMI, SU RECENTI NOTIZIE CONCERNENTI ATTIVITA' SPIONISTICHE COLLEGATE A FENOMENI EVERSIVI E SUL CASO MORO

PRESIDENTE. E’ con noi l’ammiraglio Martini, che ringrazio per la sua presenza. L’ammiraglio Martini è stato già audito più volte da questa Commissione e cioè in particolare nella X legislatura il 15 novembre 1990 nella inchiesta su Gladio, e sempre nella stessa inchiesta e su richiesta dell’ammiraglio Martini l’11 luglio 1995 nella XII legislatura. Ancora nella XII legislatura l’ammiraglio Martini è stato audito, su richiesta della Commissione, il 17 gennaio 1996 nell’inchiesta su Ustica dopo il ritrovamento del cosiddetto archivio Cogliandro. L’interesse ad una nuova audizione dell’Ammiraglio è nato in me ed anche in altri membri della Commissione dalla recente pubblicazione di un suo libro autobiografico "Nome in codice: Ulisse" in cui racconta la sua esperienza nel Servizio segreto militare, dove l’Ammiraglio ha operato in ruoli di rilievo dal novembre ’69 al settembre ’78 e poi, come Direttore del Servizio e Autorità nazionale per la pubblica sicurezza, dal 5 maggio ’84 al 26 febbraio ’91.

Le devo dire che personalmente ho trovato il suo libro molto interessante, però condivido il giudizio che ne ha dato più autorevolmente di me il senatore Francesco Cossiga, cioè un libro che spesso sembrava accennare ad alcuni argomenti senza poi svilupparli fino in fondo, come se ci fosse ancora un’area di riservatezza. Pertanto è nata da parte mia, condivisa dall’Ufficio di Presidenza, l’esigenza di sentirla per vedere se ormai a distanza di tanti anni dalle vicende che lei ha narrato è possibile, semmai passando in seduta segreta, avere dei chiarimenti ulteriori su alcuni argomenti. Naturalmente l’interesse della Commissione a questa sua audizione si è acceso dopo la nota vicenda dell’archivio Mitrokhin e dopo alcune sue interessanti interviste apparse sulla stampa. Seguendo un modello operativo che lei già conosce, comincerò io stesso a rivolgerle alcune domande che, per la verità, riguarderanno molto poco l’archivio Mitrokhin, salvo l’ultima. Penso che poi su tale argomento saranno posti molti quesiti dagli altri commissari che a quel punto diventeranno i protagonisti dell’audizione.

Cominciamo con una prima domanda. Lei, a pagina 25 del suo libro autobiografico, scrive: "La nostra guerra fredda non è stata quindi molto fredda. Come minimo è stata tiepida, in molte missioni anche calda". E’ un giudizio che io condivido pienamente, pur non avendo avuto ruoli esposti come il suo in quegli anni. Ho sempre pensato infatti, e ho anche scritto, che l’Italia in quegli anni viveva non solo una condizione di frontiera, ma di tragica frontiera, faceva cioè parte di una guerra che, pur combattendosi a bassa intensità, era sempre una guerra, non era un puro conflitto ideale o politico. Però, poi nel libro lei aggiunge: "Se lo ricordi qualcuno". Ecco, questo invito, questo ammonimento a chi è rivolto? Chi è che ha dimenticato questo carattere "tiepido", non freddo, della guerra che si combatteva in quegli anni?

MARTINI. Devo dire la verità, non avevo alcuna intenzione di scrivere il libro. Come tutti sanno, anche le procure che mi hanno inquisito, nessuno mi ha fatto una perquisizione a casa per il semplice motivo che io non ho un pezzo di carta: non mi sono portato dietro niente tranne qualche ricordo personale, lettere di amici o di colleghi. Quando, mi sembra, nel 1994 vi fu la serie di bombe nel nostro paese, via dei Georgofili…

PRESIDENTE. Era il 1993.

MARTINI. …molta stampa accusò i Servizi di aver messo le bombe, compreso il Servizio militare dove io avevo militato per anni. Avevo un vecchio debito con il colonnello Giovannone che, secondo me, è un individuo che ha risparmiato a questo paese un certo numero di operazioni terroristiche, che probabilmente avremmo subito senza la sua opera.

PRESIDENTE. E a cui lei dedica il libro.

MARTINI. E a cui dedico il libro, anche perché alcune missioni le abbiamo fatte insieme. Ho deciso quindi di scrivere il libro. Mi sono fatto dare un registratore dalla mia vecchia ditta, ho parlato per una ventina di giorni, non ho scritto una riga; poi una mia collaboratrice ha svolto i nastri, abbiamo messo tutto in un dischetto ed è venuto fuori il libro. Questa è stata la molla. Nella frase riportata dal Presidente intendevo dire che per il resto del mondo politico e militare la guerra fredda è stata un evento di confronto tra il Patto occidentale e il Patto orientale. Non mi riferivo in particolare ai Servizi italiani, ma a Servizi dove ci sono stati dei morti, alle scaramucce che ci sono state attorno al muro di Berlino: c’è gente che ci ha lasciato la pelle. Alcune missioni, comprese alcune fatte insieme al colonnello Giovannone e altre che io ho fatto in compagnia di Servizi alleati, potevano andare a finire male perché in Medio Oriente c’era un certo numero di pallottole vaganti. La frase "qualcuno se lo ricordi" era destinata a una certa parte della stampa e dell’opinione pubblica italiana che non aveva capito che i Servizi in fondo non avevano fatto la vita turbolenta e misteriosa di cui erano spesso accusati, ma avevano servito questo paese evitando un certo numero di massacri.

PRESIDENTE. Quindi è rivolta alla pubblica opinione.

MARTINI. Si, non mi riferivo a nessuno in particolare.

PRESIDENTE. Nel descrivere, però, la specificità di questa situazione italiana nel periodo della guerra fredda lei, a pagina 100 del suo libro, riferisce di un allarme che nel 1976 sorse nell’Alleanza sul – e qui cito testualmente – "cosa fare se nel Governo Andreotti ci fosse stata un’imbarcata di ministri comunisti o simpatizzanti tali", atteso che "l’Italia partecipava alla pianificazione generale e anche a quella con la più elevata classifica di segretezza". Vorrei dirle subito che ritengo questa preoccupazione legittima e giustificata. Ho conosciuto, sia pure nella fase del tramonto, il gruppo dirigente del PCI di allora e sarei portato a pensare che se fossero entrati nel Governo ministri comunisti, questi sarebbero diventati più filoatlantici di lei, come d’altra parte è successo adesso nell’operazione dei Balcani: è infatti difficile trovare un ministro più filoatlantico di Fassino. Tuttavia riconosco che l’Alleanza in un settore così delicato aveva il dovere di diffidare e quindi, conoscendo il rapporto che esisteva tra il PCI e Mosca, era legittimamente preoccupata della possibilità che ministri comunisti o simpatizzanti tali potessero entrare a conoscenza di elementi di elevata classifica di sicurezza, cioè di elementi essenziali per la difesa NATO. Lei infatti specifica che ciò su cui era necessario mantenere il segreto era la politica nucleare dell’Alleanza, l’accesso ai documenti segreti, la sopravvivenza dell’organizzazione Stay Behind, il problema delle macchine per cifrare e decifrare i messaggi segreti della NATO. In più aggiunge che in tutta questa vicenda lei svolse un ruolo delicatissimo perché fece da ponte - dice quasi come Michele Strogoff, il corriere dello zar - fra i vertici dell’Alleanza da una parte (il Segretario generale della NATO, il presidente del Comitato militare Hill-Norton, il generale tedesco Capo dello stato maggiore della NATO, il capo dell’intelligence e il capo dei Servizi di sicurezza) e il capo del SID, che allora era l’ammiraglio Casardi, il Presidente del Consiglio, che era Andreotti, il Ministro della difesa e il Capo di stato maggiore della difesa dall’altra. Poi dice che per fortuna questo pericolo non ci fu. Nel 1976 infatti si formò il Governo della non sfiducia, non un Governo con la partecipazione di ministri comunisti. Tuttavia in questo suo fare il corriere dello zar a quali misure pensaste per potere mantenere eventuali ministri comunisti all’oscuro dei segreti della NATO?

MARTINI. L’unico che non pensava ero io. Adesso devo fare una breve premessa. Gli incarichi NATO che non sono mai stati dati all’Italia erano due, il primo dei quali era l’incarico, che è stato affidato recentemente all’ammiraglio Venturoni, di presidente del Comitato militare. Il secondo incarico che non è mai stato dato (adesso probabilmente l’organizzazione è diversa da quella al tempo della guerra fredda) era quello di capo della divisione intelligence. Nel 1976 – perché nel mio libro c’è scritto anche questo – io ero stato designato capo della divisione intelligence della NATO: ero il primo e unico italiano che avesse mai avuto una tale designazione e devo aggiungere che avevo avuto una designazione corale. Quando si formò il Governo di solidarietà nazionale io fui chiamato dalla NATO dove stavo per arrivare come capo della divisione intelligence e le stesse persone citate prima mi chiesero quello che poi è passato alla storia come il giuramento di doppia fedeltà. Il capo della divisione intelligence della NATO aveva allora accesso ai documenti top secret nazionali americani e inglesi. Mi chiesero se io ero disponibile, una volta accettato l’incarico, a non riferire al Governo italiano alcune cose che avrebbero potuto dispiacergli. Io gli dissi che non avevo alcuna intenzione di accettare questo. Il comandante supremo della NATO, che era l’ammiraglio Hill-Norton di Sua Maestà britannica, che aveva una serie infinita di gradi, dato che era ammiraglio della flotta, si alzò e mi disse: "mi congratulo con lei, ero sicuro della risposta e sicuramente se lei avesse detto che avrebbe accettato solo per l’incarico mi sarebbe scaduto un po’".

PRESIDENTE. E lei questo lo racconta nel libro. Però la mia domanda è un’altra: quali cautele si pensò di poter assumere?

MARTINI. Era un rapporto verbale: io non pensavo, non prendevo iniziative e non suggerivo assolutamente niente. Io andavo lì, sentivo cosa mi dicevano, riprendevo l’aereo, tornavo a Roma, riferivo a questo gruppo di persone, questi mi davano una risposta, qualche volta scritta, qualche volta orale, ed io tornavo e facevo la spola. Il punto critico era il sistema di cifratura, ma soprattutto il Nuclear Planning Group. Poi c’era un altro punto: la NATO aveva dovuto affrontare l’anno precedente, nel ‘73 o inizi ‘74, il problema del governo comunista in Portogallo.

PRESIDENTE. E anche questo lo scrive nel libro.

MARTINI. Il Portogallo non partecipava a niente, e quindi non faceva parte del Nuclear Planning Group, che era forse il punto più delicato, cioè era la targhettatura degli obiettivi sovietici che sarebbero stati bombardati con le bombe atomiche¸ quindi evidentemente per loro questo era un punto basilare. Poi c’era la questione dei codici cifrati. Tra l’altro noi, come Italia, avevamo un problema molto terra terra, perché su 1.100-1.200 macchine cifranti, 750 più o meno erano di proprietà della NATO, quindi il giorno che le avessimo restituite saremmo rimasti con solo 350-400 macchine cifranti. Ma i punti cruciali erano questi.

PRESIDENTE. Questo l’avevo capito leggendo il libro. La mia curiosità è questa: che cosa si sarebbe potuto fare, se alcuni ministri comunisti fossero entrati nel Governo, per tenere una parte del Governo all’oscuro di questi segreti?

MARTINI. Uno dei punti di discussione è stato questo: la Costituzione italiana prevede che il Consiglio dei Ministri prenda delle decisioni collegiali. In alcuni paesi, ad esempio in Inghilterra, ma anche in altri paesi, il Governo è diviso in due parti. Cioè, per la ordinaria parte amministrativa il Governo assume decisioni collegiali; per alcuni problemi di sicurezza, di servizi segreti, di politica estera il Governo si riunisce in un gruppo ristretto che si chiama il Gabinetto. E’ cosa che da noi in teoria potrebbe essere vista come il vecchio CIIS della legge n. 801, cioè alcuni problemi di politica intelligence o anche di politica estera una volta (adesso non so come sia perché io sono fuori da quasi dieci anni) venivano discussi dal CIIS. Il CIIS è composto dal Presidente del Consiglio, dal Vice presidente del Consiglio, se c’è, e dai Ministri degli esteri, interno, difesa, giustizia, finanze e mi sembra dell’industria: quello è il Gabinetto. Però, evidentemente, conoscendo il nostro paese, gli alleati non si fidavano molto: siamo considerati un po’ ciarlieri. Ecco, questo era il punto.

PRESIDENTE. Ho capito e la sua spiegazione mi sembra logica. Cioè, una delle possibilità sarebbe stata una legge di organizzazione della Presidenza del Consiglio che distinguesse dalla collegialità del Consiglio un cabinet a cui partecipassero soltanto i Ministri più direttamente impegnati sul tema della sicurezza, perché effettivamente un comunista in quanto Ministro dell’agricoltura sarebbe venuto a conoscenza di segreti rilevanti per la NATO soltanto partecipando al plenum del Consiglio. Visto che abbiamo accertato questo, lei adesso mi deve spiegare come possiamo credere che Aldo Moro, Presidente del Consiglio più volte, Ministro degli esteri più volte, non fosse a conoscenza di segreti NATO? Eppure questa è la dichiarazione che la NATO fa immediatamente non appena le BR lo prendono prigioniero. A lei sembra verosimile questo?

MARTINI. Dovrei aggiungere allora un particolare, ma prima fare una piccola premessa. Io ho scritto questo libro per questi motivi, non pensavo che esso avrebbe ottenuto il relativo successo che ha avuto, onestamente. Però, scrivendo il libro e non avendo carte, mi sono comportato da ufficiale gentiluomo, tenendo presenti tre punti. Il primo punto è che sono passati troppi pochi anni, per cui un certo numero di persone sono ancora vive. Se noi passassimo in seduta segreta potrei raccontare una cosa.

PRESIDENTE. Se lei me lo chiede e con l’auspicio che rimanga tale.

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 20,38.

…omissis…

I lavori riprendono in seduta pubblica alle ore 20,39.

PRESIDENTE. La domanda che io le ho fatto è un’altra. Cioè, visto il modo con cui lei ci ha descritto il rapporto fra Governo e Alleanza atlantica, è credibile che una persona che ha rivestito più volte la responsabilità di Presidente del Consiglio e di Ministro degli esteri non fosse a conoscenza di qualcuno di quei segreti di cui vi preoccupavate che potesse venire a conoscenza un Ministro dell’agricoltura comunista? Questa è la domanda. Non le chiedo di raccontarmi un fatto, ma di farmi, con la sua esperienza e la sua autorevolezza, una valutazione: se è credibile che non sapesse niente.

MARTINI. Moro evidentemente, essendo stato ministro degli esteri, quelle che potevano essere le informazioni correnti relative alla politica estera le sapeva. Tant’è vero che, essendo ministro dell’interno il presidente Cossiga ed essendo Ministro della difesa l’onorevole Ruffini, io fui incaricato dopo il rapimento Moro di accertare se ci fossero dei segreti sensibili che potessero essere da Moro raccontati alle Brigate rosse. Portai un pezzo di carta siglato dall’allora Segretario generale e Capo di stato maggiore della difesa a questi due signori, nell’ufficio di Cossiga, in cui ognuno dei due affermava che i segreti più sensibili non erano….. Per esempio, che Moro non conosceva l’esistenza di Stay Behind…..

PRESIDENTE. Moro nel memoriale parla di Stay Behind, se vuole le cito la pagina. "Noi non abbiamo mai attribuito eccessiva importanza ad una struttura Nato". E’ uno dei ritrovamenti del covo di Via Monte Nevoso nel 1990.

MARTINI. Esatto, sono stato interrogato dal sostituto procuratore Ionta che mi ha fatto leggere una delle pagine, ma questo avveniva prima.

PRESIDENTE. Lei ci vuole dire che l’informazione che fu data non era veritiera? Cioè che poi si scoprì che Moro sapeva ciò che in quella fase si diceva non sapesse.

MARTINI. Poiché in quel periodo non sapevo dell’esistenza di Stay Behind, quando il Capo di stato maggiore della difesa mi disse che non c’era alcun segreto sensibile che potesse essere trasmesso alle Brigate rosse e lo stesso mi disse il Segretario generale della Farnesina non ho fatto altro che prendere il pezzo di carta e portarlo a chi me lo aveva richiesto.

PRESIDENTE. Non ho capito bene. Chi glielo aveva chiesto?

MARTINI. Il Governo, attraverso il Ministro dell’interno e della difesa. Ho fatto una specie di Michele Strogoff un'altra volta nella vita……

PRESIDENTE. Non sono riuscito a capire chi le chiese di accertare se Moro fosse o meno a conoscenza di segreti Nato.

MARTINI. Cossiga e Ruffini.

PRESIDENTE. E lei a chi va a chiedere se ne fosse a conoscenza?

MARTINI. Mi dissero anche di accertare presso il Ministero degli affari esteri e presso il Ministero della difesa, per cui chiesi al Segretario generale e al Capo di stato maggiore della difesa, che era allora il generale Viglione.

PRESIDENTE. Mi sembra un’assicurazione un po’ debole. Il Ministro della difesa poteva chiedere egli stesso al segretario generale della difesa, al direttore generale del Ministero. Ho trovato un po’ singolare che nel suo libro, che pure copre tanti episodi della storia nazionale, alla vicenda Moro si accenni assai poco. Non vorrei che mi dicesse che non vi siete occupati di Moro perché era un problema di sicurezza interna.

MARTINI. Personalmente con l’affare Moro non ho mai avuto a che fare. Quando è stato rapito Moro ero capo delle operazioni del vecchio SID e mi occupavo di estero, non dell’interno, per cui di Moro non me ne sono occupato. Ma poiché, nella fattispecie, il capo delle operazioni estere era anche quello che teneva i contatti con i servizi collegati, mi occupai stranamente di un episodio, diciamo marginale, allorché il presidente Tito scrisse al presidente Pertini dicendo di avere tra le mani tre persone della Baader Meinhof che avevano avuto contatti con le Brigate rosse, precisando di inviare qualcuno se il fatto fosse ritenuto interessante. Hanno preso me e mi hanno inviato in Jugoslavia, ma quando sono arrivato, mentre stavamo discutendo le modalità dell’interrogatorio, è entrata una persona dicendo che avevano trovato Moro morto nella nota Renault rossa. La mia missione finì. Non mi sono mai poi occupato di Moro, quindi sono diventato capo del controspionaggio…

PRESIDENTE. Successivamente lei racconta che negli anni ’70 è andato in Cecoslovacchia per trovare prove del rapporto tra servizio segreto cecoslovacco e Brigate rosse.

MARTINI. Sì, per un semplice motivo. Questo rientrava nella sfera della mia attività di capo delle operazioni estere del vecchio SID. Avevamo fatto un tentativo per accertare se nella zona di Karlovy Var ci fossero campi di addestramento delle Brigate rosse, ma l’operazione fu un insuccesso. Quando divenni capo del servizio, alla caduta del muro, uno dei primi rapporti che avemmo con i servizi minori di oltrecortina fu con il servizio cecoslovacco da cui derivò poi il caso Orfei. In quella occasione sparsi la voce a Praga che ero disposto a pagare eventuali documenti che portassero all’individuazione dei veri rapporti tra il servizio cecoslovacco e le Brigate rosse, ma la risposta fu di non sapere niente delle Brigate rosse, ma di quello che faceva la stazione cecoslovacca a Roma e da lì nacque il caso Orfei.

PRESIDENTE. Oggi sappiamo sia dalla documentazione di provenienza cecoslovacca sia, a conferma, dalla recente documentazione Mitrokhin che invece questi rapporti c’erano ed erano in realtà malvisti anche dal KGB, il quale sembra preoccupato che proprio la vicenda Moro potesse far affiorare il rapporto tra BR e servizio segreto cecoslovacco. Ma lei, in questi 55 giorni, manteneva rapporti con i servizi alleati, come attesta ampiamente nel libro? A sua memoria, quale valutazione i servizi alleati davano della vicenda Moro? Erano allarmati?

MARTINI. Erano preoccupati come lo eravamo anche noi, ma non ci furono particolari segnali che ora io possa ricordare. Ero in Stay Behind alle riunioni al Viminale quando venne fuori la storia che Moro era detenuto in una isoletta greca o nel castello del Tirolo e mi chiedevano di stare pronto per recarmi in Grecia o in Austria perché ero la persona che aveva i rapporti con i servizi vicini. Oltre a questo non ho assistito ad alcune…

PRESIDENTE. Ma partecipava ai diversi comitati di crisi?

MARTINI. Non partecipavo, non avevo titolo, partecipava il direttore del servizio.

PRESIDENTE. E quando è diventato il direttore del servizio?

MARTINI. Non mi sono mai occupato di Moro, mi sono occupato di Brigate rosse nel senso che seguivo l’attività dei profughi delle BR in giro per il mondo.

PRESIDENTE. Risulta dagli atti della Commissione Moro che, per esempio, viene dal servizio segreto militare un’informativa sulla possibilità che Igor Markevitch fosse l’intellettuale che andava ad interrogare Moro nella prigione del popolo con la specificazione che tale informazione era stata ritenuta poco attendibile. Lei di questa vicenda sa nulla?

MARTINI. Assolutamente niente, ho saputo dell’esistenza di questo pianista solo dopo che la notizia è apparsa sulla stampa.

PRESIDENTE. Quindi, del rapporto del SISMI del 1978 non sa niente?

MARTINI. No, pur essendo in quella data direttore, non mi ricordo. Non avevo mai sentito nominare il pianista Markevitch fin tanto che la notizia non è apparsa sui giornali.

PRESIDENTE. Sempre nel libro, per dare un senso a questa sua esperienza umana, afferma che quando lascia il servizio, anche per cortesia, scrive ai corrispondenti dei servizi esteri e riceve da alcuni lettere formali ma da molti attestazioni piene di calore, stima e amicizia, in particolare le viene inviato da Israele un biglietto in cui veniva citato un proverbio che recita testualmente: "Che i tuoi amici siano molti ma il tuo amico fidato (cioè io) sia solo uno tra migliaia". Questo mi fa pensare che il suo rapporto con il servizio israeliano, il Mossad, fosse di particolare vicinanza. Infatti lei, parlando del Mossad, riferisce che si tratta di un servizio eccellente, molto motivato e ben organizzato. E poi aggiunge che bisogna però ricordare che Israele è ancora in uno stato di guerra, sicché il suo servizio può organizzare e concludere azioni spesso spettacolari, non consentite ad altri servizi che operano con regole del tempo di pace, agevolato dal fatto che, essendo il servizio della nazione ebraica, può ricorrere a tutti gli ebrei sparsi nel mondo, uniti da un legame diverso e più forte, derivante dal contenuto religioso delle loro leggi, dal loro comune modo di pensare, dai loro quotidiani atti di vita. Ho citato testualmente il suo libro. Alla stregua di queste valutazioni voglio porle la seguente domanda. Se durante il sequestro Moro vi furono – com’è estremamente probabile che vi siano state – delle basi brigatiste operative nel ghetto ebraico, non è abbastanza improbabile che il Mossad non ne fosse avvertito, visto questo modus operandi?

MARTINI. C’è un fatto che ho trovato sempre alquanto singolare, cioè che il ghetto ebraico di Roma fosse un ambiente con forte intonazione di sinistra, che andassero a fare le manifestazioni con la kefia palestinese, quando invece per Israele la principale minaccia veniva dal mondo arabo, dietro al quale stava l’Unione Sovietica. Non so quale tipo di rapporti il Ministero dell’interno o il servizio potessero avere con i servizi israeliani durante il caso Moro. In quel momento ero il capo delle operazioni, facevo l’operativo e non seguivo una certa politica del servizio. Quindi onestamente non sono a conoscenza di questi fatti. Immagino che in quel momento il Mossad, se avesse avuto degli elementi, probabilmente avrebbe aiutato il Governo italiano, poiché questo era anche nel suo interesse.

PRESIDENTE. Ma cosa ci può dire sulla possibilità che gli sia stato chiesto l’aiuto e che questo ci sia stato dato?

MARTINI. Non ero io, nella mia posizione, che avrei dovuto chiedere o pretendere l’aiuto. Ero a un livello in cui questo genere di cose generalmente non si sanno.

PRESIDENTE. Franceschini a questa Commissione ed altri brigatisti (Peci e Bonavita) all’autorità giudiziaria hanno raccontato una storia, cioè che ad un certo momento sono stati contattati da agenti del Mossad, i quali avevano detto loro che erano interessati ad aiutarli, non perché condividessero i loro fini, ma perché avevano interesse che nello scacchiere del Mediterraneo l’Italia fosse un paese agitato, perché questo avrebbe determinato una maggiore attenzione degli Stati Uniti nei loro confronti. Questo lo affermano Peci e Bonavita all’autorità giudiziaria e ce lo ha raccontato a lungo Franceschini. Lei, in base alla sua esperienza, che valutazione fa di questa vicenda? Vorrei però che lei mi rispondesse non solo da amico del Mossad. Del resto, lei ha dimostrato anche, in alcuni momenti, che malgrado questa amicizia ha assunto posizioni a favore dello Stato italiano. Voglio ricordare l’episodio, che lei racconta, della cattura di Pazienza. Pazienza era sicuramente un amico del Mossad, almeno se è vero quello che ha raccontato in un recente libro di memorie, cioè che egli, avendo avuto il sospetto che il dottor Sica fosse in vacanza con la sua fidanzata (cioè dello stesso Pazienza), fa venire in Italia agenti del Mossad, i quali infatti scoprono Sica e la sua fidanzata che soggiornavano all’hotel Saturnia. Non so se questo sia vero o no; ma se è vero, Pazienza deve essere persona molto vicina al Mossad. Eppure lei è l’ufficiale italiano che riesce a convincere la CIA a farcelo catturare. Penso che Pazienza restò malissimo quando scoprì che la CIA…

MARTINI. Non credo che mi ami molto!

PRESIDENTE. Vorrei che lei oggi dimenticasse per un attimo, se fosse possibile, questo suo buon rapporto con il servizio israeliano e mi rispondesse alla domanda che le ho posto, cioè che valutazione dà di quello che hanno detto Franceschini, Peci e Bonavita?

MARTINI. Ho qualche problema a credere a questi tre. Ho meno problemi a credere che, attraverso questi tre, attraverso questa specie di offerta, il Mossad abbia cercato di infiltrare le Brigate rosse. La mia amicizia con il Mossad nasce da un episodio particolare, avvenuto nel 1971, ed è proseguita con la missione a Damasco, che ho fatto con il colonnello Giovannone (abbiamo risolto un grosso problema ed Israele era traumatizzato dalla guerra del Kippur). La mia cooperazione con il Mossad non era dovuta a una particolare simpatia, anche se evidentemente il Mossad…

PRESIDENTE. Il biglietto però è affettuoso.

MARTINI. Ma questo è giustificato dal fatto che loro mi dovevano qualche cosa. Sono l’uomo che, insieme a Giovannone, nel 1975, fece di persona la ricognizione di tutta la retrovia siriana per il nuovo schieramento radar fornito dai sovietici. E questa non era cosa da poco.

PRESIDENTE. Di questo le do atto. Vorrei anche che lei dicesse adesso alla Commissione quello che mi diceva poco fa, cioè che secondo lei l’ipotesi del dottor Mastelloni sull’Argo 16 non regge. Non ho prevenzioni, però per il ruolo che occupo devo spaziare a 360 gradi.

MARTINI. Sono in eccellenti rapporti personali con il giudice Mastelloni e gli ho sempre detto che non poteva essere il Mossad per una questione di date. Ma torniamo indietro ai primi anni Settanta. Il mondo occidentale, a parte una simpatia o non simpatia verso Israele, aveva il complesso dell’olocausto, su questo non c’è dubbio. Inoltre, dal mio punto di vista, bisogna considerare il fatto che il nemico di Israele si chiamava blocco sovietico. Quando facevo un favore ad Israele, facevo un non favore al blocco sovietico. Il mio obiettivo era il Patto di Varsavia, e quindi, quando operavo in Medioriente, difendevo l’Italia non direttamente, ma indirettamente, facendo essa parte del blocco occidentale.Ad un certo punto, quando c’è stato l’affare Vanunu, ho minacciato di espellere il capo centro israeliano a Roma, fin tanto che un emissario del Governo israeliano non venne a spiegare al Governo italiano come era andata la faccenda.

PRESIDENTE. Capisco la logica di ciò che lei dice, in questa logica occidentale, giusta e legittima nel nostro sistema di alleanze, in cui quindi era anche coerente alla fedeltà occidentale essere amici di Israele. Le volevo fare però un’altra domanda. La possibilità di "concludere azioni spesso spettacolari, non consentite ad altri servizi che operano con le regole del tempo di pace", è stata consentita al Mossad anche in territorio italiano, cioè un po’ di ammazzamenti.

MARTINI. Durante il mio periodo non ci sono stati ammazzamenti. C’è stato il rapimento Vanunu, che poi è stato risolto per le vie…

PRESIDENTE. Quindi questo libro, "Vendetta. La storia vera di una missione dell’antiterrorismo israeliano", di George Jonas, che racconta come diversi agenti di Al Fatah siano stati uccisi a Roma nel territorio urbano…

MARTINI. Uno è stato ucciso prima che arrivassi io. E’ stato ucciso in via Veneto. D’altra parte se il Governo di Israele autorizzava questo tipo di operazioni… Anche i francesi durante la guerra di Algeria fecero saltare…

PRESIDENTE. Ammiraglio Martini mi sto misurando con questo problema laicamente. Forse facevano anche bene dal loro punto di vista e probabilmente coloro che lo facevano rischiavano la vita. La mia domanda però intendeva conoscere in base a che tipo di intese un Servizio segreto può ammazzare della gente in territorio italiano con noi che facciamo finta di niente.

MARTINI. Non è che facciamo finta di niente, perché quando Vanunu dichiarò, mostrando la mano al di là del finestrino, che era stato rapito a Roma si ebbe quasi una rottura delle relazioni diplomatiche tra noi ed Israele. Evidentemente Israele non si comportò bene in quell’occasione. Se poi Israele – sempre precedentemente al periodo in cui sono stato capo del Servizio – ha ammazzato qualcuno a Roma io non posso saperne nulla.

PRESIDENTE. Il 16 ottobre 1972 muore assassinato a Roma Wael Zwaiter, un agente di Al Fatah. E’ vero che fu ucciso per volontà del Mossad?

MARTINI. Di quest’episodio del 1972 non ricordo nulla. E’ troppo distante nel tempo; io non c’ero.

PRESIDENTE. Quindi questo libro di Jonas, edito da Rizzoli, lei non l’ha letto.

MARTINI. No. E’ anche vero che a Roma Gheddafi ha eliminato un certo numero di persone. Quindi che il nostro sia un paese non molto severo dal punto di vista della sicurezza e che presenti un certo numero di falle è evidente. Questa è una delle ragioni per le quali ho difeso il colonnello Giovannone. L’Italia sarebbe stata il terreno ideale per le operazioni dei palestinesi tant’è vero che nonostante il Sismi una settimana prima avesse detto a tutti che Fiumicino sarebbe stato attaccato tra il 25 e il 31 dicembre 1985, gli unici che mandarono dei tiratori scelti furono gli israeliani.

PRESIDENTE. Questo lei lo racconta nel suo libro, affermando che gli israeliani furono gli unici che risposero subito al fuoco mentre la polizia italiana sembrava non aver preso troppo sul serio la segnalazione. Può essere che Moro abbia parlato di qualcosa del genere alle BR?

MARTINI. Quando furono trovate le carte a via Monte Nevoso, Ionta mi interrogò chiedendomi se quella frase si riferisse allo Stay Behind e io risposi di sì.

PRESIDENTE. Volevo sapere se Moro secondo lei parlò delle azioni del Mossad in territorio italiano.

MARTINI. Non credo che Moro si occupasse di queste cose o ne fosse a conoscenza. Il colonnello Giovannone era la guardia del corpo di Moro. So che in Medio Oriente Moro fu più volte scortato da Giovannone, ma non credo che Moro sapesse qualcosa.

PRESIDENTE. Le rivolgo un’ultima domanda. Lei racconta che nel settembre del 1978 lasciò il servizio giurando di non tornarci mai più e poi spiega anche il perché di questa decisione, anche se la spiegazione non è chiara. Parla di una forte delusione che la spinse a prendere tale decisione sulla quale tornò successivamente. Vorrei sapere se essa non ha niente a che fare con vicende legate al dopo Moro, ad esempio all’incarico dato in quello stesso periodo al generale Dalla Chiesa.

MARTINI. No, anzi sotto questo punto di vista è esattamente il contrario. Avrei dovuto essere il primo direttore del Sisde Tutto questo avveniva attorno al Natale del 1977. Per diverse ragioni feci resistenza. La decisione era stata presa dal ministro dell’interno Cossiga, da Andreotti e da Ruffini. Assieme al colonnello Giovannone avevo risolto, con un certo successo, un’operazione di terrorismo internazionale: il dirottamento dell’aereo della Lufthansa iniziato a Roma e terminato a Mogadiscio con l’intervento delle teste di cuoio tedesche. Noi ritardammo il tragitto dell’aereo sfruttando alcune divergenze palestinesi e demmo così tempo ai tedeschi di arrivare a Mogadiscio. Poiché era un momento di difficoltà per il Governo, con una traslazione pura e semplice che non aveva niente di reale ed era assolutamente balzana, fui designato, dopo essere stato promosso contro ammiraglio, a diventare primo capo del Sisde.. Feci alcune difficoltà e la cosa andò per le lunghe. Sostenni che non era una nomina opportuna tant’è che sulla stampa apparvero alcuni articoli nei quali prefetti, questori e generali dei carabinieri si mostrarono furiosi verso l’intrusione – giusta sotto un certo punto di vista – di un ammiraglio che aveva fatto intelligence esterna e quindi un mestiere completamente diverso. Il terrorismo in Italia era di tipo domestico con uno Stato, un Governo, delle leggi, una magistratura e delle forze di polizia assolutamente in grado di occuparsene ed era completamente diverso da quello di cui si occupa un agente operativo che agisce all’estero in perfetta illegalità e che pertanto è sempre vulnerabile trovandosi al di là della legge. In Italia poi non sapevo nulla di Brigate rosse e non avevo alcuna esperienza in materia; era come chiedere ad un elettricista di fare il falegname. Ebbi quindi un certo numero di problemi che poi si acuirono sul piano personale con il ministro della difesa Ruffini. Ad un certo punto capii che era meglio cambiare aria e quindi decisi di tornare in Marina e dissi la famosa frase che uno non dovrebbe mai dire "Non tornerò mai più". Sono tornato solamente perché mia moglie stava morendo. L’alternativa per me, che ero a due anni dalla pensione, era fare il capo di Gabinetto di Spadolini, il che significava non avere la possibilità di seguire gli ultimi giorni di questa donna.

PRESIDENTE. Perché ha detto il contrario quando le ho parlato di Dalla Chiesa?

MARTINI. Perché essere direttore del Sisde per un giovane contro ammiraglio che sarebbe stato nominato immediatamente prefetto di prima classe con un certo numero di vantaggi era un bel traguardo. Del resto avevo tirato la carretta per tutta la vita.

PRESIDENTE. Tornando all’archivio Mitrokhin, volevo chiederle se lei oggi, anche dopo la lettura di quello che è apparso sui giornali, conferma il giudizio dato sul rapporto del servizio sovietico con il Partito comunista italiano. Lei scrive che il modus operandi del servizio sovietico era di norma molto corretto verso il partito comunista italiano; evitava accuratamente di contattare e compromettere personaggi noti o legati in maniera ufficiale al PCI; si limitava in genere per le sue informazioni a utilizzare elementi di sinistra poco conosciuti o personaggi dell’ultra sinistra. Direi che le informazioni verso le quali dimostrava un maggiore interesse erano quelle di carattere scientifico, industriale, economico e così via . Aggiunge altresì: "…Invece in Italia l’interesse del KGB per i problemi politici nazionali è stato sempre molto modesto. D’altra parte - è inutile fare della stupida ipocrisia - i rapporti che il Partito comunista italiano aveva con il Partito comunista sovietico soddisfacevano ampiamente le necessità dell’Unione Sovietica in quel settore". Afferma inoltre che il tutto era compensato dai finanziamenti.... Lei, ammiraglio Martini oggi conferma queste dichiarazioni?

MARTINI. Signor Presidente, penso che quello che ho scritto nel libro corrisponda più o meno alla realtà. Teniamo presente che a parte l’attenzione verso determinate questioni di carattere tecnico-industriale che interessavano il KGB - ma soprattutto il GRU che era il servizio militare – cercavano, attraverso una via più rapida, di arrivare a dei risultati tecnici, ad esempio per quanto riguarda i materiali compositi, le plastiche, i microchips, settori in cui loro non erano molto progrediti e invece noi particolarmente bravi. Dal punto di vista politico non mi sembra che la gente che hanno reclutato… Si parla del Ministro, certo bisognerebbe fare un riscontro nelle liste, ma non credo…

PRESIDENTE. Debbo dire che personalmente faccio la stessa valutazione rispetto all’azzardo di ogni previsione. Ritengo che quando sapremo i nomi dell’archivio Mitrokhin ci accorgeremo che abbiamo gonfiato questa vicenda al di là di ogni limite. Personalmente ritengo si tratti di persone modeste, certamente pericolose, ma non note al grande pubblico.

MARTINI. Teniamo presente che qui avevano una stazione di una trentina di persone che si doveva guadagnare il pane e che quindi doveva arruolare un po’ di gente. Non so quale sia il numero complessivo delle persone riportate nella lista, i giornali parlano di sessanta, ottanta persone adesso pare siano addirittura di più; tuttavia siccome si parla di un periodo di quasi di trent’anni di storia non mi sembra che il suddetto numero di persone sia eccessivo. La mia idea …

PRESIDENTE. A noi sembravano pochi seicentoventidue gladiatori in trenta anni.

MARTINI. No, signor Presidente, i seicentoventidue gladiatori…

PRESIDENTE. La mia era solo una battuta, ammiraglio.

MARTINI. Va bene, tuttavia seicentoventidue gladiatori accentrati in una determinata zona potevano essere utilizzati come nucleo per operazioni successive.

PRESIDENTE. Infatti, noi stiamo lavorando proprio su questo aspetto, per capire come funzionavano da nucleo ed è questo l’aspetto che ci sta interessando. In ogni caso se ne parlassimo adesso rischieremmo di uscire dal tema in oggetto della presente seduta.

MARTINI. Comunque, secondo alcune informazioni, non avevano lo stesso numero della cosiddetta Gladio rossa, che erano molto più numerosi.

TARADASH. Chi è che sta lavorando su questo?

PRESIDENTE. Io personalmente, onorevole Taradash, se lei mi dà la libertà di pensare ai temi di esame della Commissione.

TARADASH. Lei ha detto che stiamo lavorando!

PRESIDENTE. Diciamo che ho usato un plurale di modestia.

MARTINI. Comunque, in base ad una archiviazione inequivocabile che è stata effettuata da tre magistrati - che non possono essere certo accusati di essere di destra - si riferisce che dal febbraio 1972 nessuna azione penalmente rilevante è stata compiuta da Gladio e credo che questo elemento tagli un po’ la testa al toro. A parte il fatto che è stata recentemente rilasciata una dichiarazione da parte del senatore Andreotti che definisce questo gruppo come una banda di gentiluomini.

PRESIDENTE. Il che giustifica la prefazione al suo libro. Sembra quasi che lei e il senatore Andreotti abbiate fatto pace.

MARTINI. Abbiamo avuto quello che definirei un divorzio consensuale.

PRESIDENTE. E vi frequentate?

MARTINI. Non voglio dire che andiamo a spasso insieme, comunque, c’è stato un periodo in cui evidentemente il senatore Andreotti ha riflettuto su alcuni aspetti e mi ha chiesto di avere una chiacchierata con lui, cosa che si è verificata ed ora siamo in rapporti normali, non ci siamo ancora fidanzati.

MANCA. Anch’io vorrei unirmi ai ringraziamenti rivolti dal Presidente all’ammiraglio Martini per aver accettato, anche con molta celerità, il nostro invito; infatti credo che sia stato contattato solo pochissimi giorni fa ed oggi è già qui con noi. Per quanto mi riguarda, dal momento che ora non mi sento troppo bene e quindi desidero recarmi presso la mia abitazione ed altresì perché il presidente Pellegrino è ricco di domande, di allocuzioni e commenti ed essendo in definitiva il tempo quello che è, a noi tocca, nell’economia generale del tempo a disposizione, fare presto e lo faccio volentieri. Desidero porle poche domande al fine di arricchire le nostre conoscenze e, se lei lo consente, per quanto riguarda alcuni quesiti, la vorremmo considerare una specie di nostro consulente e dalle questioni che le porrò lei capirà certamente perché ho fatto questa premessa. Desidero anzitutto porle una domanda d’obbligo su Mitrokhin che invece il Presidente aveva lasciato come ultima.

PRESIDENTE. Lo facevo per introdurre le vostre domande.

MANCA. Ammiraglio, ai suoi tempi – a meno che lei non sia in condizioni di parlare anche di "questi tempi" – quali erano le procedure che regolavano i rapporti fra i servizi collegati quando uno di essi veniva in possesso di notizie che potevano insistere rispetto alla sicurezza dello Stato? In altri termini, i servizi segreti della Gran Bretagna vennero a conoscenza di alcuni elementi rispetto alle spie del KGB in Italia. Ebbene, ai suoi tempi queste conoscenze le avrebbe comunicate subito, avrebbe aspettato molto tempo per farlo, oppure avrebbe scelto di non darne notizia? Infatti, so che esiste una specie di gentleman agreement tra i servizi collegati, anzi, si ritiene che appena uno viene a conoscenza di qualcosa ne riferisca subito. In tal senso lei ritiene che tutta la "vicenda Mithrokin" sia stata riferita subito ai servizi segreti italiani collegati? Lei come si sarebbe comportato, se avesse saputo queste cose, rispetto alla Presidenza del Consiglio? Inoltre, nell’ipotesi che tutta questa documentazione fosse top secret si giustificherebbe, a suo avviso, il fatto che un capo di servizio, avendone riferito al Presidente del Consiglio, fosse autorizzato a dichiarare poi di non saperne nulla?

MARTINI. Ho un’esperienza da raccontare al riguardo che, a mio avviso, rappresenta la prassi. Vasili Mitrokhin ha "saltato il fosso" con un certo numero di carte, ed evidentemente – almeno per quanto è a mia conoscenza, sono andato via nel 1991 – il governo britannico…

MANCA. Questa vicenda è del 1992.

MARTINI. Ripeto, il governo britannico lo ha "spremuto" di quanto poteva dire e per fare questo ci ha impiegato un certo numero di anni, perché doveva fare tutta una serie di riscontri del caso nei limiti delle sue possibilità. Ad un certo punto il governo britannico passò una lista a quello italiano. Mi sono trovato a beneficiare immediatamente di un grosso transfuga in mano al servizio britannico, mi riferisco a Gordievskij, colui che ha scritto la storia del KGB e che dopo che era stato "spremuto" delle notizie in suo possesso è passato al professor Andrew. Gordievskij era una fonte particolarmente importante perché era il capo centro del KGB a Londra, aveva cominciato a lavorare prima per gli inglesi e veniva trattato con particolare segretezza. Bisogna infatti considerare che eravamo ancora in tempi di guerra fredda e non in quelli attuali. Interrogai Gordievskij a Londra - fui uno dei primi a farlo - alla ricerca della "grande talpa"- qualora fosse esistita – dopo di che man mano che Gordievskij rilasciava le sue dichiarazioni raccoglievo dei documenti top secret dagli inglesi di cui riferivo al Ministro della difesa per tutte quelle cose che potevano interessargli. Io non ho mai ricevuto liste di questo genere, ho ricevuto la lista di Iurcenko rispetto a quattro o cinque giornalisti italiani e ne andai a riferire, ma si trattava di questioni minori che non avevano l’impatto politico della vicenda attuale.

Presidenza del vice presidente MANCA

(segue MARTINI). In un caso del genere, il modus operandi dovrebbe essere il seguente. Prende la lista, va dal Ministro della difesa che secondo la legge è il suo immediato superiore, gli fa mettere una sigla, se ci riesce. Io ci sono sempre riuscito. Hanno firmato tutti, anche Stay Behind. C'è stata l'eccezione di Fanfani ma poiché la cosa non era importante, non gliel'ho portata, non perché avessi sfiducia in Fanfani, come è stato detto anche in quest'aula. Va poi dal Presidente del Consiglio; in un caso particolare, siccome si trattava di un documento che riguardava la Presidenza della Repubblica, io andai anche dal Capo dello Stato. A questo punto, il capo del Servizio aveva esaurito il suo compito. Il capo del Servizio è un funzionario con dei compiti ben specifici, deve occuparsi del servizio segreto, deve farlo funzionare, deve portare a casa dei risultati ma non ha alcuna veste decisionale, non è questo il suo mestiere, in quanto è un funzionario dello Stato. Chi deve prendere una decisione politica, e mi permetto di dirlo visto che sono un libero cittadino pensionato, è un'altra persona. Quando è stato risposto, almeno secondo la stampa - le mie notizie provengono tutte dalla stampa - che noi non avevamo ricevuto la lista, ero in Inghilterra ed avevo parlato anche con il professor Andrew, in quanto avevo partecipato ad Oxford ad un seminario sull'intelligence. Secondo Andrew, il Governo britannico non aveva gradito molto le prime smentite. Il Governo italiano poteva dire di aver ricevuto la lista e, nella sua completa autonomia, poteva aver deciso di non farne niente oppure poteva aver deciso di metterla sotto il tappeto.

PRESIDENTE. La ringrazio moltissimo perché ci ha fornito una consulenza di alto livello sulle procedure e sulla logica…

MARTINI. Sulla mia procedura che poi non è altro che una procedura di comune buon senso.

PRESIDENTE. Le vorrei rivolgere un'altra domanda come ipotesi. Un'autorità politica può coprirsi dinanzi al fatto che questo documento era segreto o segretissimo, per cui, quando era stata interpellata dai giornalisti, anche se ne era a conoscenza, poteva dire di non averne mai sentito parlare? Magari poi, messa alle strette, poteva dichiarare di aver agito così perché si trattava di un documento segretissimo. Per di più in questo materiale pare che ci fosse una notitia criminis perché, come sembra, c'erano persone che avevano commesso reati gravissimi. Pertanto, come si configura il comportamento di un politico che, ammesso che questi sia stato interessato dal tecnico, dal funzionario dello Stato, dal direttore del Servizio, avendo visto segreto, abbia deciso di non dire nulla ed anche, dinanzi alle domande dei giornalisti, di negarne la conoscenza, mentre, in un secondo momento, abbia dichiarato di averlo conosciuto ma di averne negato la conoscenza in quanto si trattava di un documento segreto?

MARTINI. Ritengo che un politico possa anche rispondere ai giornalisti con un no comment, chiudendo così la partita. Se dice di non saperne nulla, non può dopo ammettere di sapere qualcosa ma di aver negato perché era segreto. Avrebbe fatto meglio a rispondere nessun commento.

PRESIDENTE. Come lei sa, seguo molto il caso Ustica, così come dovrebbe seguirlo ogni italiano. Con il permesso del presidente Pellegrino, vorrei rivolgerle una domanda su Ustica. Nella sentenza - ordinanza su Ustica, depositata dal giudice Priore, a pagina 1294, si legge che nel 1987, a seguito di richieste avanzate dal giudice Priore, il direttore della direzione consulenza giuridica del Sismi Giorgio Lehmann, redasse un appunto nel quale suggeriva di evitare di esibire documentazione attinente ad attività informativa propria del Servizio. Il capo del Servizio in calce a quel documento, pone un sì.

MARTINI. Bisogna vedere di che cosa si parlava.

PRESIDENTE. Il giudice istruttore rileva che questi comportamenti hanno portato grave nocumento - è importante il giudizio del giudice istruttore - all'inchiesta ed aggiunge: "Al giudice non sono stati trasmessi documenti di grande interesse per l'inchiesta che, se tempestivamente inviati, avrebbero sicuramente attirato l'attenzione degli inquirenti". Come giustifica questo atteggiamento del Servizio che all'epoca era diretto da lei?

MARTINI. Sono amico del giudice Priore, tra l'altro ho collaborato non ufficialmente con lui facendo la traduzione del giornale di chiesuola della Saratoga. Ho letto la frase e mi è molto dispiaciuto perché noi abbiamo mandato tutte le carte inerenti Ustica. Bisogna vedere in quello specifico momento cosa chiede il giudice Priore. Il giudice Priore nell'ordinanza dice che la distruzione di alcune carte dei centri periferici, prevista dalla circolare Goria, ha fatto un nocumento all'inchiesta. In realtà, non ha fatto alcun nocumento. Il giudice Priore avrebbe potuto chiedere alla centrale, poiché si trattava di duplicati di pezzi di carta che erano alla centrale. Quando feci un'audizione alla Commissione affari costituzionali dissi che il Servizio aveva tra i 15 e i 20 milioni di pratiche e che bisognava, prima o dopo, eliminare tutta questa cartaccia. Non esisteva allora l'attuale sistema informatico. Tra tutti i miei Presidenti del Consiglio, ben cinque, quattro dei quali mi hanno autorizzato l'extension, per cui sono rimasto cinque anni oltre il limite di età, quello che apprezzo di più è Goria perché finalmente ha avuto il coraggio di emanare una circolare che ci autorizzava a eliminare le cartacce che non servivano a niente, soltanto a complicare la vita di poveri cristi che per cercare una pratica dovevano diventare matti. Visto che siamo sull'argomento, trovo non esatto l'appunto del giudice Priore perché ad un Servizio oberato da tante carte bisogna rivolgere domande mirate.

PARDINI. Il giudice Priore non aveva chiesto tra le tante carte una bolla di accompagnamento dell'ultima risma di carta che era stata comprata, ma chiedeva documenti su un avvenimento che rappresentava qualcosa di più rispetto a quindici milioni di pratiche: la caduta di un aereo civile con tantissimi morti. Per questo, non può dire che il giudice Priore non poteva chiedere una pratica perché doveva andarla a cercare in mezzo a milioni di pratiche. Vorrei sapere a quali documenti si riferiva il giudice Priore quando diceva di non averli avuti.

MARTINI. Credo che il giudice Priore si riferisse ad una informativa del centro di Verona. Egli accusa il Servizio di aver distrutto delle carte in base alla circolare Goria e credo che il punto sia l’informativa del centro di Verona. A tale riguardo bisogna finalmente dire come stanno le cose. Innanzitutto, l’informativa del centro di Verona non è stata distrutta, è stata consegnata; forse in quel momento nelle carte di Verona sperava di trovare altre cose. Abbiamo avuto uno scambio telefonico in cui ho detto che non ero affatto contento di come lui aveva detto alcune frasi, secondo me in maniera abbastanza avventata. In secondo luogo, un’informativa di un centro CS non rappresenta assolutamente niente perché deve essere almeno confermata da altre due fonti, altrimenti è un pezzo di carta di nessun valore. In questo Stato esiste il vezzo di un certo numero di sostituti procuratori della Repubblica i quali hanno libero accesso alle carte del Servizio (ai miei tempi, grazie a Dio, questo non succedeva), si mettono a cercare e trovano qualcosa di piccante o di interessante da sviluppare. Le carte che non sono confermate, che non diventano notizia ma sono la soffiata di un tizio qualsiasi, non rappresentano niente nella vita di un Servizio. Questo è un aspetto da tenere presente.

PRESIDENTE. Ammiraglio, mi piacerebbe continuare a parlare di Ustica fino a domani però credo che dovremo rivederci ancora se il destino ci riserva la fortuna di sentire in questa sede il giudice Priore. Quindi, per quanto mi compete, potremmo richiedere nuovamente la sua presenza. Vorrei farle un’ultima domanda…

TARADASH. E’ già la seconda ultima domanda.

PRESIDENTE. Il Presidente ne ha fatte una ventina, caro collega. Tuttavia, poiché tutto voglio fare fuorché fare torto al collega, mi ritengo soddisfatto per aver fatto un quinto delle domande che dovevo rivolgere e passo la parola al collega Fragalà il quale vorrà tener conto della mia generosità. Sono stato breve e conciso ma non vorrei dovermene pentire e continuare a fare domande per non essere da meno.

Presidenza del presidente PELLEGRINO

PRESIDENTE.. Prima di dare la parola all’onorevole Fragalà, ho ascoltato la sua risposta, ammiraglio, all’ultima domanda del senatore Manca e, anche per il verbale, vorrei riportare una mia opinione personale che non impegna la forza politica in cui milito. C’è un punto del suo libro su cui sono d’accordo: a mio avviso dovremmo andare verso una strutturazione degli uffici inquirenti in modo per lo meno da centralizzare su Roma il rapporto con i Servizi. Ammetto che un Servizio segreto si trovi un po’ in difficoltà a dover ricevere visite da diverse procure; spesso un magistrato può non capire la delicatezza dell’attività di intelligence, mentre un ufficio specializzato funzionerebbe sicuramente meglio. Questa, se non sbaglio, è un’osservazione critica contenuta nel suo libro che io condivido, anche se il nostro sistema non è questo. Nel momento in cui c’è un’informativa di un centro periferico sono d’accordo con lei che sul piano istruttorio non significa nulla, ma questa valutazione non deve farla il Servizio, bensì il magistrato perché per il magistrato quella potrebbe essere non una prova, non un indizio, ma la traccia di una possibile indagine.

DOLAZZA. Con il senno di poi, però.

PRESIDENTE. Nel momento in cui la carta viene negata, uno spiraglio di attività futura finisce per essere negato. Il problema è chi si assume la responsabilità di decidere quali carte sono tracce che devono essere date e quali no. Gli archivi della nostra Commissione superano il milione di pagine: siamo pieni di atti che vengono dall’amministrazione, non soltanto dall’intelligence - cosa ancora più grave - che spesso vengono trattati prima di essere passati al magistrato. I magistrati che in questi anni hanno indagato su tutte queste vicende hanno dovuto fare sempre un doppio lavoro, quella che gli antichi giuristi chiamavano la duplex interpretatio, cioè, prima di capire che cosa gli veniva raccontato, si dovevano domandare se il documento era integrale, se era vero, se era modificato, se era tagliato. Giorni fa in un colloquio con il giudice Priore ho portato un esempio eclatante. C’è una lettera di Federico Umberto D’Amato al Ministro dell’interno, da quest’ultimo trasmessa all’autorità giudiziaria e alla Commissione di inchiesta sulla P2 in fotocopia che abbiamo accertato essere un falso, un falso materiale addirittura perché quando poi abbiamo avuto l’originale di quella lettera abbiamo visto che non era composta da cinque pagine e quattro righe, ma da otto pagine. E’ stato mandato alla Commissione di inchiesta e alla magistratura un documento falsificato, sia pure per soppressione perché una parte del documento non era stata accertata. Nel momento in cui i giudici segnalano – e la sentenza di Priore è piena di tali segnalazioni – questa difficoltà del rapporto con l’amministrazione, forse unendo due elementi che non sono uguali, l’amministrazione e i Servizi di intelligence (do atto che quest’ultima è un’attività tutta particolare, anche per ciò che riguarda il carattere della documentazione), tutto ciò, secondo me, spiega come ha funzionato l’Italia per un certo numero di anni. Voglio augurarmi che la vicenda dell’archivio Mitrokhin non debba convincerci che l’Italia continua a funzionare nello stesso modo. Non vorrei che quella vicenda si chiudesse con l’accertamento che poi, in fondo, nelle carte di Mitrokhin non c’era niente di così grave e quindi il vero problema non sarà ciò che dicono le carte di Mitrokhin ma il modo con cui l’intera vicenda sarà gestita tra autorità politica e Servizi di intelligence. Vedo che il dottor Mancuso sorride. La storia di questo paese è piena di vicende simili: il problema non era la carta ma ciò che succedeva intorno alla carta. Vorrei che qualcuno mi spiegasse perché la lettera di D’Amato di cui parlavo prima è stata tagliata: nelle tre pagine successive non si diceva niente di eclatante o di così grave; si facevano un paio di nomi che evidentemente qualcuno in qualche posto, mai trasparente, mai accertato, ha deciso che non era il caso che venissero a conoscenza del giudice, forse perché aveva un rapporto di amicizia con una di quelle persone.

FRAGALA’. Ammiraglio, il presidente Pellegrino ha detto che praticamente in Italia non è cambiato niente.

PRESIDENTE. Ho fatto un augurio.

FRAGALA’. Come l’attuale Governo sta trattando il caso Mitrokhin è sintomatico di questa situazione. Lei è stato pochi giorni fa a Londra e ha dichiarato adesso di aver saputo, anche attraverso il professor Andrew, che il Governo inglese si è assai lamentato dell’atteggiamento omertoso del Governo italiano che ha dapprima negato recisamente di aver ricevuto l’archivio Mitrokhin. Una settimana fa, però, l’attuale Ministro dell’interno britannico ha dichiarato ufficialmente che già dal 1996 queste carte erano state trasmesse dal Servizio segreto inglese ai Servizi alleati. Nel 1996 era Presidente del Consiglio l’onorevole Prodi e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi l’onorevole Micheli; entrambi da alcuni giorni smentiscono di non aver mai ricevuto e saputo dell’archivio Mitrokhin. Come se lo spiega nella sua veste di ex direttore dei Servizi?

MARTINI. Intanto premetto che non è che Andrew sia un’autorità costituita.

FRAGALA’. No, lo ha dichiarato il Ministro britannico degli interni.

MARTINI. Io dico che Andrew era lo speaker ufficiale dell’apertura del seminario a Oxford, e visto che lì c’era un libro, che era quello di Mitrokhin, l’ho sfogliato, tra l’altro ho guardato se c’ero pure io; a parte questo, lui mi ha detto che il Governo britannico gli sembrava un po’ seccato. Poi lui non rappresenta nessuno. Sul fatto che il Presidente del Consiglio e il Sottosegretario destinato ai servizi abbiano fatto questa dichiarazione, devo dire di essere stato leggermente sorpreso. Però il discorso potrebbe avere una spiegazione. Cioè, io riporto come mi sarei comportato in un caso del genere. Il giorno che l’inglese fosse venuto a portarmi la lista, dopo avergli dato un’occhiata, sarei andato dal Ministro della difesa, che è il naturale superiore per legge, visto che la legge n.801/77 è ancora vigente, e gli avrei detto: questa è la lista che mi è stata data, vuole che la porti al Presidente del Consiglio? Se lui mi avesse detto: no, ci penso io, io avrei chiesto di mettermi una sigla, magari avrei fatto una fotocopia della lista per tenerla nella cassaforte del servizio e basta. Io lo spiego così. Cosa sia successo nell’ambito governativo è cosa che innanzitutto non so, anche perché non ho elementi (io sono un privato cittadino in pensione con una certa esperienza, ma niente di più); poi non so quali sono gli attuali meccanismi all’interno del Governo. Io ho vissuto con un certo tipo di governi nei quali, ad esempio, il CIIS operava in maniera abbastanza regolare. Mi risulta che adesso il CIIS non è così attivo come era in altri tempi. Anche in passato ci sono stati dei periodi che sembrava un cocktail in piedi, ma comunque molte volte si sedevano e non intervenivano altro che in casi particolari i capi dei servizi. Il segretario del CIIS era il Sottosegretario alla Presidenza.

FRAGALA’. Ammiraglio Martini, allora è certo, secondo la prassi, che la lista delle 124 spie della rete spionistica del KGB contenuta nell’archivio Mitrokhin sia stata dal direttore dei servizi nel 1996 consegnata all’onorevole Andreatta, allora Ministro della difesa.

MARTINI. Io questo non lo so.

FRAGALA’. Ma la prassi è questa.

MARTINI. Certo, se non fa niente è un suicida o è uno in fase terminale di cancro.

FRAGALA’. Quindi dobbiamo chiedere all’onorevole Andreatta se ha ricevuto questa lista e se l’ha consegnata all’onorevole Prodi?

MARTINI. Non è che adesso voglio farmi un nemico in più con tutti quelli che ho già.

PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, lei è un grosso avvocato penalista; noi in realtà dovremo chiederlo prima al generale Siracusa. Poi se Siracusa ha la carta firmata da Andreatta, vuol dire che gliel’ha data Andreatta. Se no, avremmo sola la parola di Siracusa e quella di Andreatta; e, come ci ha detto l’ammiraglio Martini, se Siracusa non si è fatto firmare la carta è stato un ufficiale imprudente.

FRAGALA’. Lei, ammiraglio Martini, sapeva di una rete del KGB operante in Italia in quegli anni?

MARTINI. A parte il fatto che ne ho beccato qualcuno col lardo al collo, lo avevo anche immaginato. Cioè, i 40 più quelli dei satelliti che operavano a Roma si dovevano guadagnare il pane, perché il padrone non è che fosse dolce. Quindi è chiaro che qualcosa dovevano fare, ma qui ci sono stati dei casi clamorosi. Si ricordi che una parte di questi non sono stati mai pubblicizzati per il fatto che non era possibile portare in tribunale un personaggio coperto da immunità diplomatica. La vita dei servizi è una vita del tutto particolare. I sovietici non avevano solamente quelli coperti dall’immunità diplomatica; c’erano quelli coperti da una quasi immunità diplomatica, non effettiva, ma comunque reale. Ed erano, ad esempio, il corrispondente della TASS, il corrispondente del IZVESTIJA, le compagnie aeree. Vi dirò un caso. Noi abbiamo buttato fuori un capo scalo dell’Aeroflot, di cui forse non siamo stati capaci di individuare il livello. Però il livello doveva essere elevato perché quando è stato imbarcato sull’aereo di linea dell’Aeroflot che lo riportava a Mosca, non ha toccato il suolo italiano. In questo senso: da quando è stato beccato e si è messa in moto la macchina, lui è andato a vivere nella residenza dell’ambasciatore sovietico; è uscito dalla residenza con una macchina con targa diplomatica ed è stato portato sotto la scaletta del velivolo dell’Aeroflot dove due persone lo hanno preso in braccio e lo hanno messo sul primo gradino della scaletta dell’aereo, che era considerato territorio sovietico. Quando nel 1990 io andai a Mosca, e fui fra i primi ad andarvi dopo il crollo del muro di Berlino, c’era stato un tentativo di attentato sventato contro la squadra di calcio sovietica da parte di estremisti palestinesi che volevano rapire degli atleti oppure ammazzarli. Noi lo scoprimmo ed io andai a Mosca dopo un colloquio fra Andreotti e Gorbaciov. Da quando io andai a Mosca stabilimmo una linea di comunicazione tra di noi, anche perché tra questi estremisti palestinesi ce n’erano alcuni che si stavano addestrando a Cuba ed io a Cuba non avevo nessuno, mentre loro avevano qualche cosa. In quella occasione mantenemmo la linea. A un certo punto arrivò qui a Roma un giovanotto, che si vede che voleva far carriera e ha cominciato ad agitarsi un po’ troppo: è sparito in 24 ore. Perché attraverso la linea io dissi al mio corrispondente moscovita: senti, questo qua è meglio che te lo riporti a casa. Neanche 24 ore passarono e quello tornò via. Poi ci furono invece dei casi che andammo fino in tribunale, ma coinvolgevano anche cittadini italiani.

FRAGALA’. Ammiraglio, le chiedo come lei spiega e se è rimasto sorpreso dalla dichiarazione dell’ammiraglio Battelli, attuale responsabile dei servizi, sui rapporti KGB, Gladio rossa, finanziamenti al Partito comunista. Lei sa che già con le carte avute a Mosca dall’autorità giudiziaria italiana e dal giudice Ionta si erano ricostruiti non soltanto i rapporti fra KGB, Gladio rossa e finanziamenti al PCI, ma addirittura si era anche scoperta, senza individuare i siti, una rete di località dove erano sotterrati depositi di armi e le famose ricetrasmittenti che il KGB aveva dato alla rete spionistica italiana gestita dal PCI. Ora, io le chiedo, in seguito ad una lettera che il presidente della commissione stragi Pellegrino ha mandato all’ammiraglio Battelli in cui chiedeva se dalle notizie di stampa in cui risulta la scoperta di depositi clandestini di armi creati nel territorio austriaco, anche negli Stati Uniti, eccetera, se questi fatti si sono anche verificati in Italia, se in Italia vi erano questi depositi. L’ammiraglio Battelli, contro il vero, ha risposto al senatore Pellegrino che, dalle ricerche in atto, non sono emersi elementi di riscontro a quanto riferito dalla stampa in ordine ai depositi di armi costituiti in territorio austriaco dagli Stati Uniti e dall’allora Unione Sovietica; nessun elemento inoltre in relazione ad analoghe attività poste in essere dall’allora Unione Sovietica nei confronti dell’Italia fatta eccezione per un’informativa risalente al 1950. Lei sa che i ROS dei Carabinieri una settimana fa hanno scoperto un deposito di armi e di ricetrasmittenti a Rieti e oggi hanno scoperto un deposito di armi e di ricetrasmittenti a Orvieto, peraltro in località che già comparivano nelle carte di Mosca del 1992 dell’archivio del PCUS sulla rete spionistica in Italia. Chiedo dunque come sia possibile che l’ammiraglio Battelli neghi l’evidenza anche ad una richiesta istituzionale della Commissione stragi sulla rete spionistica del KGB, ma soprattutto sui depositi di ricetrasmittenti e di armi.

PRESIDENTE. Per capire meglio la domanda: secondo lei anche indipendentemente dall’archivio Mitrokhin la risposta avrebbe dovuto essere positiva?

FRAGALA’. Certo, nel rapporto sulle carte del PCUS, su cui il giudice Ionta ha impostato l’indagine sulla Gladio rossa, vi erano i riferimenti sui depositi di armi e di ricetrasmittenti della rete spionistica in Italia

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Fragalà, non nel sistema dell’interramento, perché altrimenti mi chiedo il motivo per cui abbiamo scritto una lettera a Battelli. Se sapevamo già dalle carte di Ionta per quale motivo dovremmo sapere da Battelli la conferma? In realtà, le carte di Ionta rendevano probabile una vicenda del genere, poi la notizia apparsa su "L’Espresso" di quanto era successo in Austria ci fece ritenere – ricordo che ne parlammo prima di scrivere quella lettera – probabile che questo fosse avvenuto anche in Italia, ma non certo solo sulla base di quelle carte, altrimenti non aveva senso scrivere quella lettera se già era stato raccontato dalla procura di Roma.

FRAGALA’. Le dico di più, è sulla base degli atti di Ionta che il giornalista Gian Paolo Pellizzaro ha scritto il libro "Gladio rossa" dove sono indicati tutti i punti, adesso coincidenti con i ritrovamenti del Ros, degli interramenti delle ricetrasmittenti e delle armi. Anche in un libro pubblicato in libreria letto da tutti c’erano quelle indicazioni. Nell’archivio Mitrokhin quelle indicazioni sono coincidenti e confermate e infatti gli inglesi parlano di notizie tutte confermate. Come è possibile che il nostro Servizio, che allora era diretto da lei ed ora è diretto da Battelli, non sapesse questi fatti e soprattutto lo negasse quando era stato accertato?

MARTINI. La domanda invece di farla a me andrebbe fatta all’ammiraglio Battelli. Io avrei dato una risposta se non altro più prudente, devo dire la verità: il problema, secondo il mio punto di vista, è duplice. Il fatto che si siano state trovate armi nel reatino è un’operazione targata KGB, ma se trovassimo delle armi nella cosiddetta Combact zone, cioè il nord-est, potrebbero essere anche non targate KGB, disposte con il loro aiuto ma non proprio loro, sarebbero invece depositi di armi Spetsnatz, che è di tipo militare, non c’entra niente con le spie, il KGB, il partito comunista. Che ci fossero delle armi, a parte un’informativa del 1950, qualche altro documento all’interno del servizio potrebbe esserci, in questo momento non mi viene in mente niente, ma, tenuto conto della mia venerabile età e del fatto che sono via dal servizio da un certo numero di anni, può darsi. Credo che anche intorno agli anni ’70 c’è stato il ritrovamento di una ricetrasmittente, mi sembra di ricordare. Comunque, sarei stato più prudente, ma la domanda va fatta all’ammiraglio Battelli perché non posso entrare nella sua mente: avrà avuto le sue buone ragioni o si sarà distratto, cosa vuole che le dica.

FRAGALA’. Lo chiederemo all’ammiraglio Battelli ma è importante che lei ci dica che il ritrovamento nel reatino, e anche quello di oggi, siano sicuramente targati KGB. Ho avuto una notizia un’ora fa che ad Orvieto c’è stato un ritrovamento.

MARTINI. Il discorso è diverso: se qualcuno di voi ricorda la storia sa che nel gennaio 1944 i tedeschi scatenarono l’offensiva delle Ardenne che non aveva possibilità di sfogo perché erano ormai allo stremo, ma dal punto di vista militare fu estremamente brillante. Alcuni reparti speciali tedeschi, in parte SS, in parte regolari dell’esercito, composti di persone che parlavano perfettamente l’inglese fecero operazioni di disturbo, furono paracadutati oltre le linee americane, spostarono i cartelli stradali, interruppero alcune strade e così via. La dottrina sovietica era eminentemente offensiva mentre quella della NATO era difensiva: nelle operazioni offensive i sovietici decisero di utilizzare questa trovata tedesca e misero in atto dei reparti d’assalto con conoscenza della lingua del paese dove avrebbero dovuto operare, che si chiamavano Spetsnatz che sono una realtà. Nella mia vita di capo del servizio ho interrogato un colonnello capo degli Spetsnatz: erano organizzati dai militari; il KGB, il partito comunista e tutta la parte estremistica non esisteva per niente, semmai il KGB dava indicazioni su qualche località dove magari c’erano più simpatizzanti di sinistra, era più o meno sicura, ma comunque gli Spetsnatz avrebbero operato nella Combact zone, cioè nel Nord-est, dove c’era anche l’accentramento di Stay Behind.

FRAGALA’. Mi interessava questa conferma. Lei è convinto che invece il ritrovamento nel reatino è targato KGB?

MARTINI. Penso. E’ difficile che possa avere elementi. D’altra parte questo paese negli anni passati aveva depositi d’armi di tutti. Inseguendo Abu Nidal ho interrogato – anche se non io personalmente – un palestinese condannato a morte in Pakistan che è stato giustiziato alle 4 di mattina. Dalle 10 di sera alle 2 di notte ha raccontato ai miei dove erano i depositi di armi di Abu Nidal in Italia: li ho trovati tutti, erano intorno alla zona di Bracciano.

FRAGALA’. Era prassi e lo è ancora, al cambio dei vertici Sismi, avere particolare cura che i documenti più riservati siano comunicati al successore? Quando va via un direttore del Ssmi vi è un passaggio di consegne?

MARTINI. Quando un direttore di banca è sostituito generalmente dice quanti soldi sono in cassa. Il direttore del Sismi quando ho preso le consegne dal generale Lugaresi, mi ha detto quanti soldi c’erano in cassa, e ho chiamato il capo dell’ufficio amministrazione. Lo stesso ho fatto con Luccarini, in quanto non sono stato sostituito dal generale Ramponi ma dal mio vice che, dopo sei mesi, ha passato le consegne al generale Ramponi. Inoltre c’è un verbale (che tra l’altro ho tirato fuori questa sera perché volevo quasi portarlo in Commissione), in cui dico ciò che lascio a Luccarini in quella che era la mia cassaforte personale di capo del servizio. Tra l’altro, questa lista – che ho riletto questa sera – inizia con il dossier Mauritius e prosegue con un elenco anche delle operazioni riservate, che venivano da me effettuate ai margini della legge – diciamo così – internazionale. Infatti, non ho mai microfonato un cittadino italiano senza avere avuto la preventiva autorizzazione della magistratura, che generalmente me la concedeva in sei ore.

PRESIDENTE. E’ noto che la magistratura italiana è generosa in quanto ad intercettazioni!

MARTINI. Ma era per operazioni di controspionaggio. Invece, contro istituzioni straniere, ad esempio le ambasciate, operavo un po’ ai margini della legalità.

FRAGALA’. Quindi, il generale Siracusa ha certamente dato le consegne all’ammiraglio Battelli per quanto riguarda i dossier più riservati e, casomai, le liste di una rete spionistica.

MARTINI. Lo spero per lui!

FRAGALA’. Lei ha detto adesso che addirittura nella sua cassaforte personale di capo del servizio stava il dossier Mauritius, per intenderci quello che riguardava l’investigazione sul ministro Maccanico e che ha diradato completamente il sospetto - soffiato da un noto personaggio - ai danni di questo galantuomo. Ma chi era l’altro personaggio politico, adesso deceduto, che fu investigato insieme al ministro Maccanico dal Sismi e dalla Cia?

MARTINI. Veramente, conosco solo il caso Maccanico, che poi è una microriproduzione del caso Mitrokhin. Spiego subito cosa c’è in comune con questi due casi. Il mio predecessore aveva smantellato il raggruppamento di controspionaggio Centri di Roma.

FRAGALA’. Cioè quello comandato dal colonnello Cogliandro.

MARTINI. Sì, che però era già andato in pensione quando sono arrivato io. Quindi il carteggio del raggruppamento Centri era stato riportato alla centrale. Quando divenni capo del servizio, ricostituii immediatamente il raggruppamento Centri e lo misi alle mie dirette dipendenze. Il carteggio, che era stato distribuito, ritornò nella vecchia sede. In quell’occasione emerse il piccolo file che riguardava il caso Mauritius. Mitrokhin fu l’archivista incaricato di trasferire l’archivio dalla Lubianka alla nuova sede del primo direttore. Quel documento venne trovato per caso.

PRESIDENTE. Ma chi ha passato la notizia al "Corriere della Sera"? Voi dite che non c’entra niente con l’archivio Mitrokhin; perché il dossier è venuto fuori adesso?

FRAGALA’. In effetti, lo aveva il direttore del Sismi o il Ministro con la delega per i servizi segreti. Allora, chi aveva il dossier Mauritius, se questo stava nella cassaforte personale del direttore del Sismi?

MARTINI. Ma con il passare degli anni credo che il numero delle persone che ne era a conoscenza si sia allargato a dismisura.

FRAGALA’. Ma un dossier così riservato da stare nella sua cassaforte personale si può poi divulgare?

MARTINI. Quando ho affrontato il problema, ne erano a conoscenza quattro persone. Poi ci sarà stato una specie di passaparola. Il fatto che il dossier sia sempre stato nella cassaforte non significa che quelli che erano stati informati non possano averne parlato.

FRAGALA’. Come avrà letto su Il Giornale di Mario Cervi, in un’intervista, l’onorevole Maccanico sostiene che si è voluto a bella posta creare un polverone, tirando fuori questo dossier contro di lui, per coprire la vera talpa, la vera spia del KGB.

MARTINI. Non sono in condizioni di dirlo. L’unica cosa che posso dire, secondo il mio punto di vista - se a qualcuno interessa -, è che la versione Cossiga è quella più aderente ai miei ricordi. Il presidente Cossiga, a parte le parole di apprezzamento nei miei riguardi (che vi consiglio di dimenticare), ha detto ciò che effettivamente io ricordo dell’affare.

PARDINI. Ma proprio perché era passato tutto questo tempo dalla distruzione del dossier, proprio perché tante mani l’avevano toccato e tante persone ne erano venute a conoscenza, è ipotizzabile che lo stesso Maccanico – che non era l’ultimo sprovveduto, poiché prima di diventare Ministro aveva ricoperto incarichi di alto livello – non ne fosse a conoscenza?

MARTINI. Questo lo deve chiedere a lui.

FRAGALA’. Ma perché a lui non è stato detto?

MARTINI. Perché i politici hanno deciso di non dirglielo. Non ero certo io che dovevo dirglielo. Ho chiuso il caso nel 1987, ho sigillato il dossier con l’ordine del Presidente della Repubblica, che era intervenuto nella faccenda perché inizialmente Maccanico era segretario generale.

PRESIDENTE. Scusate se vi interrompo, ma perché questo interessa alla Commissione? In base al nostro regolamento, dovrei decidere quali domande ammettere e quali non ammettere. Che cosa ci interessa il dossier Mauritius? Capisco il desiderio di comprendere lo scenario, il contesto, ma io ho posto una sola domanda su questo argomento. Sappiamo quali sono gli oggetti della nostra inchiesta. Lascerei l’indagine su questi aspetti alla sede propria, cioè al Comitato dei servizi, e non farei domande su ciò che pensa l’ammiraglio Martini. Se volessimo avvalerci di lui come consulente, dovremmo porgli una sola domanda, l’unica che non possiamo fare a nessun altro. Altrimenti, ove decidessimo che questo fa parte della nostra competenza e non volessimo fare confusione con il Comitato dei servizi, potremmo convocare Mattarella ed Andreatta per rivolgere loro questo quesito. La domanda che dovremmo rivolgere all’ammiraglio Martini è la seguente: secondo lei, perché gli inglesi hanno impiegato quattro anni a trasmetterci il dossier? E’ pensabile che abbiano utilizzato questi quattro anni per fare controspionaggio? Questa mi sembrerebbe la spiegazione logica.

FRAGALA’. E’ inesatto ciò che lei dice, Presidente. Il Ministro dell’interno inglese, la settimana scorsa, ha dichiarato ufficialmente (come è stato divulgato sul "Times") che, prima di passare a tutti i servizi alleati il dossier Mitrokhin, hanno compiuto per quattro anni una serie di investigazioni, di riscontri.

PRESIDENTE. Ma io ho detto la stessa cosa! Ho detto che probabilmente avranno fatto controspionaggio e ciò significa che avranno fatto delle verifiche sulle spie. Perché mi interrompe affermando che non è vero ciò che sto dicendo? Abbiamo fatto la stessa considerazione.

FRAGALA’. Non avevo capito.

PRESIDENTE. E’ possibile questo, ammiraglio, cioè che abbiano utilizzato questi quattro anni per fare controspionaggio?

MARTINI. Non è che hanno preso questo dossier, lo hanno spulciato e hanno disseminato notizie. Potevano trovarsi anche in una situazione abbastanza difficile. Hanno voluto fare una cosa ponderata facendo i riscontri che era possibile fare. Ma ciò era già stato fatto in passato. Con Gordievskij erano stati più veloci ed io avevo avuto la possibilità di interrogarlo subito. Tra l’altro gli inglesi in quel caso dimostrarono una certa benevolenza nei nostri riguardi perché si trattava di una questione segretissima. Anche il prodotto c’è stato inviato abbastanza di frequente. Lui però parlava di politica, quindi io dovevo prendermi cura di "disguisare" il nostro prodotto prima di inviarlo al Governo e al Ministero degli affari esteri. E’ comunque una tecnica utilizzata. Certo, una volta spolpato è andato al professor Andrew.

FRAGALA’. I giornali, nei giorni scorsi, hanno pubblicato una lettera riservata di Yuri Andropov, datata gennaio 1970, due anni dopo l’invasione di Praga, in cui il direttore del KGB scrive al comitato centrale del partito comunista sovietico chiedendo l’autorizzazione affinché la rete spionistica gestita dal Partito comunista italiano in Italia e per la quale il KGB aveva approntato una serie di radio trasmittenti e addestrato delle persone a fare da marconisti, potesse avere contatti diretti con il KGB senza passare attraverso il partito comunista bulgaro, come era prassi per tutti i partiti comunisti europei nel caso di gestione di reti spionistiche. Le chiedo se lei, come direttore del Servizio, ha mai preso visione di questa lettera di Andropov del 1970 e se ha mai saputo di questa rete spionistica gestita in Italia direttamente dal partito comunista in collegamento con il KGB attraverso una serie di radio trasmittenti dislocate in territorio italiano di cui Andropov fa l’elenco in questa lettera.

MARTINI. A parte che non ho mai visto questa lettera, il fatto che il partito comunista avesse avuto dall’Unione sovietica un certo numero di elementi da utilizzare come marconisti e alcune ricetrasmittenti era cosa nota. Erano infatti emersi un paio di casi già all’inizio degli anni ’70. Non ricordo bene e sarebbe opportuno controllare le carte del Servizio relative a quell’epoca. Quando ero a capo del Servizio ero in ottimi rapporti con il senatore Pecchioli, che era responsabile di una sorta di rete di sicurezza. Il partito comunista italiano – almeno così mi risulta – aveva il timore di essere oggetto di un fatto repressivo tipo "Piano Solo", tanto per intenderci. Questa rete di ricetrasmittenti serviva anche come misura di sicurezza per una certa nomenclatura e come rete di protezione del Servizio. In ogni caso sullo spionaggio fatto in questa maniera ci credo poco.

PRESIDENTE. Mi sembra che nelle domande dell’onorevole Fragalà si sovrappongano sempre diverse questioni, una delle quali riguarda la rete di sicurezza. E’ anche vero che queste radio trasmittenti poi venivano interrate e, d’altra parte, una spia non può certo trasmettere via radio.

MARTINI. Le tecniche usate dai sovietici erano abbastanza complicate. In Italia avevano "gli illegali" che non rispondevano. Avevano una trasmittente molto potente a onde lunghe nella zona siberiana, oltre gli Urali. Gli illegali, come si vede anche in qualche film tipo "Il quarto protocollo", ricevevano ma non rispondevano mai, o meglio solo in casi di emergenza quando gli veniva richiesto. Generalmente rispondevano usando un sistema molto semplice: scrivevano una cartolina ad una ragazza in Svizzera dicendo, ad esempio, "Spero che tu venga presto in Italia" oppure "Arrivo dopodomani". Il destinatario inoltrava poi il messaggio attraverso un corriere diplomatico o lo consegnava direttamente. Non posso fare però un corso accelerato di spionaggio in Commissione stragi.

FRAGALA’. Vorrei capire questo: se la cosiddetta vigilanza diretta dall’onorevole Pecchioli era devoluta ad una attività di salvaguardia della nomenclatura del partito comunista in caso di repressione, come mai le radio trasmittenti e i marconisti venivano concessi ed addestrati dal KGB? Vorrei sapere se un servzio di spionaggio si occupa anche di queste cose.

MARTINI. Certo, tant’è vero che anche Stay Behind aveva un servizio di esfiltrazione; anzi, era uno dei suoi compiti principali. Evidentemente Stay Behind era gestito dal Servizio italiano. E’ una cosa assolutamente normale rispetto alla quale non ci trovo nulla di strano.

TARADASH. Ammiraglio Martini, il Presidente della Commissione ha fatto una battuta che secondo me corrisponde ad un po’ di falsa coscienza che molti esponenti della sinistra italiana oggi dimostrano quando …

PRESIDENTE. Perché deve essere scortese con il Presidente della Commissione? Non ho mai parlato di falsa coscienza da parte sua, e, anche se ogni tanto mi viene di pensarlo, ho sempre evitato di dirglielo.

TARADASH. Evidentemente in questa situazione io preferisco usare un po’ più di franchezza. Lei ha detto che se nel 1976 i ministri comunisti fossero entrati al Governo probabilmente sarebbero stati più fedeli e ligi alla NATO degli altri. Nel 1976 era questa l’opinione comune del Servizio di sicurezza italiano e della NATO?

PRESIDENTE. Ho anche affermato che era legittimo e doveroso che il Servizio segreto italiano e i Servizi segreti della NATO pensassero il contrario e questo è contenuto nel verbale.

FRAGALA’. Ma nel 1976 c’era il muro di Berlino e lei lo ha taciuto.

PRESIDENTE. Io ho detto che era legittimo e doveroso che i Servizi sospettassero. Presumevo che tutti voi sapeste che esisteva il muro di Berlino, se poi vi debbo informare che nel 1976 esisteva ancora il muro di Berlino… In ogni caso, onorevole Taradash evitiamo i riferimenti personali.

TARADASH. Signor Presidente, non posso evitare riferimenti personali perché lei è il Presidente della Commissione stragi e quando introduce queste convinzioni personali a mio avviso dà un’impronta alla Commissione inaccettabile su questo come su un altro aspetto che tratterò tra breve. Nel 1976 alla NATO era diffusa l’opinione che i Ministri comunisti sarebbero stati ligi alleati di questa Alleanza?

MARTINI. No. Tuttavia, siccome evidentemente la cosa poteva succedere - considerato che il presidente Andreotti poteva ad un certo punto prendere un paio di ministri comunisti – e data la nostra gestione collegiale del Consiglio dei Ministri si preferiva che ministri dichiaratamente comunisti non facessero parte dell’Esecutivo. Questo mi sembra ovvio.

TARADASH. Sembra ovvio anche a me ed evidentemente sembra ovvio a tutti. Nel 1976 il Partito comunista italiano riceveva finanziamenti molto congrui da parte dell’Unione sovietica e ne avrebbe ricevuti fino al 1979; inoltre, nel 1976 venivano addestrati in Unione sovietica uomini del Partito comunista per operazioni - forse puramente difensive - da esponenti dei servizi segreti del blocco sovietico che non erano addetti ad operazioni puramente difensive nei confronti dell’Italia. Quindi è bene ricordare che al di là dei dossier c’è una storia politica di un partito in Italia che ha lavorato per anni e anni, per decenni, fianco a fianco con il blocco sovietico e da questo è stato finanziato.

Seconda questione. Anche in questo caso, presidente Pellegrino, mi rivolgo a lei. Lei sta conducendo delle personali indagini che secondo me hanno un qualche cosa che giudico indecente, cercando di attribuire la responsabilità – o delle responsabilità – rispetto al rapimento Moro al servizio segreto israeliano. Infatti, non abbiamo nessun elemento che vada in questa direzione mentre sappiamo benissimo dei rapporti tra le Brigate rosse, i servizi segreti dell’Est europeo ed i terroristi dei paesi arabi. Di questo argomento noi abbiamo notizia; sappiamo che c’erano dei depositi di armi – ce lo ha confermato questa sera l’ammiraglio Martini – dei terroristi palestinesi in Italia; ci sono altresì noti i contatti tra gruppi di terroristi. Eppure, nonostante ciò, l’orientamento della Commissione nella persona del suo Presidente è quello di andare a trovare possibili, eventuali compromissioni israeliane nei confronti del caso Moro. Giudico tutto ciò indecente, così come giudico indecente il riferimento al ghetto ebraico di Roma quale possibile luogo di protezione delle Brigate rosse da parte degli ebrei romani. Ora desidero far presente che il ghetto ebraico di Roma non esiste, o meglio esiste dal punto di vista architettonico, ma non c’è un ghetto dove abitano gli ebrei; nel ghetto di Roma vi abitano i romani che possono acquistare o affittare un alloggio in questo quartiere ed anche le Brigate rosse potevano farlo senza per questo motivo avere rapporti di nessun genere con gli ebrei. Ebbene, io trovo tutto questo francamente inaccettabile.

PRESIDENTE. Onorevole Taradash, mi consenta di risponderle. Ebbene, è una mia personale invenzione quello che ci ha riferito Franceschini a proposito dei rapporti con il Mossad? E’ una mia personale invenzione quello che il generale Delfino ha scritto sul ruolo del Mossad? Debbo dire la verità, non ho preferenze tra il Mossad e i servizi cecoslovacchi; in ogni caso, qualcuno ha recepito gli originali del documento Moro. Per quanto mi riguarda metto il Mossad e i servizi cecoslovacchi sullo stesso piano ed indago sia in una direzione che nell’altra e se non lo facessi sarei indecente perché partirei da un apriorismo.

TARADASH. Lei ammiraglio, parlava dei contatti tra il Mossad e Franceschini dicendo che poteva anche trattarsi di un tentativo di infiltrazione nelle Brigate rosse, il che è un’ipotesi tra le altre. Inoltre, lei ha precedentemente affermato che rispetto alla vicenda dell’Argo 16 non ritiene che ci fosse una compromissione del Mossad per motivi di tempi. Vuole chiarirci meglio questo aspetto?

PRESIDENTE. Onorevole Taradash, questo è un aspetto di cui ho informato la Commissione perché l’ammiraglio me ne aveva parlato riservatamente. Può riferirne ammiraglio, dal momento che non ho nessun motivo per nasconderlo, soprattutto non ho rigurgiti di antisemitismo, spero che almeno mi sia riconosciuto che questo non fa parte della mia storia, cosa che non possiamo dire di tutti qui dentro.

FRAGALA’. Altri no? Tutta la sinistra italiana non lo può dire, è stata sempre anti israeliana e filoaraba.

PRESIDENTE. Io parlo per me. Ammiraglio Martini, spieghi con precisione quanto mi ha riferito e che mi sembra molto interessante.

MARTINI. Premetto che quello che ho riferito al presidente Pellegrino l’ho detto anche al giudice Mastelloni con cui ho un rapporto di amicizia da anni. Non credo alla teoria della partecipazione israeliana all’incidente dell’Argo 16. Tra l’altro, il figlio del pilota deceduto, che è un ufficiale d'aeronautica, accetta pienamente le conclusioni a cui è giunta la commissione d’inchiesta rispetto alla morte di suo padre. I tre terroristi palestinesi furono trasportati dall’aereo Argo 16 - non ricordo precisamente in quale giorno, credo verso la fine del settembre 1973 – a Malta e da qui mandati in Libia con un aereo dell’Aeronautica militare ed accompagnati dal vicedirettore del Servizio di allora, il generale Terzani, deceduto successivamente per malattia. Il Servizio allora non possedeva aerei e quindi utilizzava un aereo del SIOS che effettuava delle missioni speciali e che si chiamava Argo, così detto, come notizia generale, perché effettuava in quel periodo le misure elettroniche nell’Adriatico contro la rete radar jugoslava e quindi veniva definito "Argo dai cento occhi". L’ordine di portare via i tre terroristi venne dato dal Governo e il SIOS con l’aereo ed i Servizi hanno rappresentato semplicemente i vettori, non hanno alcuna responsabilità. Inoltre, ritengo che ammazzare quattro poveri cristi e buttar giù un vecchio aereo non avesse senso, e ipotizzarlo significa anzi offendere l’intelligenza del Mossad. In ogni caso, subito dopo scoppiò la guerra del Kippur e l’aereo ricordo che cadde alla fine del conflitto, mi sembra ai primi di novembre, non lo ricordo con precisione. Durante la guerra Israele e il Mossad hanno accumulato tali e tanti debiti nei riguardi dell’Italia e del servizio italiano che pochi conoscono. In quel periodo ero imbarcato ed avevo il comando del Vittorio Veneto ed avevo lasciato il Servizio per effettuare il mio anno di imbarco; successivamente, alla fine del 1973, sono tornato al Servizio ad occupare il posto che avevo prima. Durante la mia assenza il mio Ufficio ha lavorato ventiquattr’ore su ventiquattro, per fornire informazioni che agli israeliani sono servite in maniera assolutamente vitale durante i primi giorni dell’offensiva egiziana. Ci sono stati dei momenti in cui non hanno neanche vagliato le notizie che gli abbiamo fornito decidendo delle operazioni militari soltanto sulla base dei nostri dati. Al riguardo, posso dare un altro particolare che non credo rappresenti un segreto di stato: gli israeliani rimasero a corto di munizioni per i cannoni da 76 imbarcati sulle loro motovedette, e noi provvedemmo a fornire il munizionamento per ordine del Governo italiano – ovviamente – per le motovedette israeliane. Tenete presente che una cosa del genere non è stata fatta mai per nessuno, del resto nessuno si era mai trovato in una situazione del genere. Quando sono stato sbarcato mi hanno invitato in Israele dal momento che avevo espresso un parere in merito ad un possibile attacco egiziano; allora c’era la Commissione Agranat che stava studiando gli eventuali errori compiuti. Infatti la guerra del Kippur è stata uno shoc per Israele perché per la prima volta i Servizi informativi hanno funzionato malamente. Subito dopo, Israele ha utilizzato il vecchio SID per alcune missioni estremamente riservate che non era in condizione di fare. Mi domando: in nessun Servizio del mondo, neanche in quello del Biafra, ammesso che ne abbia uno, si butta giù un aereo dopo aver accumulato tutti questi crediti nei riguardi di un Servizio. Questa è la ragione.

TARADASH. Le risulta che sia stato trovato, nella lista ufficiale del KGB, il nome della persona che ha fatto la traduzione ufficiale delle carte che poi sono state trovate a Praga nel 1990? Le risulta che fosse la moglie di un agente del SISMI?

MARTINI. E' la prima volta che lo sento. Ma di quali carte parla, di quelle che io comprai per il caso Orfei?

TARADASH. Sì.

MARTINI. Vuole sapere il nome della persona che fece la traduzione qui in Italia?

TARADASH. Sì.

MARTINI. Non so chi fece la traduzione, anche perché avevamo allora una certa difficoltà a trovare un traduttore di slovacco che potesse farlo. Comunque, quando misi le mani sugli oltre mille fogli, avevo dubbi sulla loro autenticità. Il Servizio italiano è modesto, anche se ogni tanto fa dei colpi di mano eccezionali, ma non ha la disponibilità di altri Servizi. Mandai alcuni "bocconcini" ai Servizi inglese e americano perché mi dessero un'idea di quello che avevo acquisito. Non avevo speso cifre folli, solo qualche decina di milioni in marchi e dollari. Tutti mi dissero che i documenti erano autentici, dopo l'esame sia della carta sia dell'inchiostro sia dello stile. Loro avevano la possibilità di confrontare con altri documenti che io non avevo. Comunque, gli oltre mille fogli erano assolutamente autentici; non potevo giurare sull'autenticità di quello che c'era scritto in essi per un semplice motivo. Ci fu un transfuga cecoslovacco che approdò al Servizio inglese il quale, ad un certo punto, mi confermò che le carte erano autentiche perché il transfuga che in quel momento era nelle loro mani aveva firmato talune pagine. Il transfuga ricordava perfettamente di aver firmato quelle carte e che la sua firma era autentica.

TARADASH. Di interessante c'era solo questa notizia che riguardava Orfei e gli altri quattro o c'era altro?

MARTINI. C'era anche qualcosa che riguardava il Vaticano. Interesse primario del Servizio della stazione cecoslovacca che contava una quindicina di persone a Roma era di fare da guardaspalla ai sovietici nelle operazioni a Roma e in Vaticano.

TARADASH. Lei è stato amico dei libici, oltre che degli israeliani. Ha intrattenuto buoni rapporti con i Servizi segreti libici in certi periodi della sua attività. Non è lei responsabile delle uccisioni libiche in Italia perché in quel periodo lei aveva lasciato il Servizio. I Servizi italiani consegnarono ai Servizi libici i nomi degli oppositori libici in Italia e i Servizi libici provvidero alla pulizia di questa rete di resistenza libica attraverso assassinii nel nostro paese. Questa è una prassi normale dei Servizi?

MARTINI. Durante la mia attività al SID e poi al SISMI non mi sono mai occupato della Libia dal punto di vista dei rapporti, delle amicizie. La Libia cominciò a diventare un target dal punto di vista informativo verso la fine degli anni '70 quando girò verso il materiale sovietico. Ci fu - il mio libro cerca di spiegarlo ma è difficile crederlo - un rapporto molto strano, che può avvenire solo tra gente dei Servizi. Durante il mio settennato la Libia era diventata uno dei più importanti target delle mie operazioni. Ho avuto uno strano rapporto con un capo del Servizio libico, poi diventato Ministro degli esteri, recentemente ammazzato in Libia, che si chiamava El Bishari. El Bishari cambiava aereo a Roma quando si recava a Parigi; parlava perfettamente francese avendo studiato alla Sorbona. Avevamo uno strano tipo di rapporto: tra un aereo e l'altro qualche volta lui chiedeva di fare una chiacchierata con me, non c'erano rapporti tra Servizi, con una sola eccezione. Quando qualche personaggio libico - ma poi entriamo nella politica del doppio binario - veniva a Roma e incontrava qualche personaggio italiano, generalmente non si fidava né della polizia né dei carabinieri, ma della mia gente. Quindi, io sapevo perfettamente quando Jallud, all'una di notte, incontrava qualcuno, anche perché erano i miei che lo scortavano, ma a questo punto posso scrivere la storia della mia vita. Con El Bishari risolvemmo molti problemi. Ebbi l'autorizzazione del Presidente del Consiglio a proseguire; ebbi anche la benedizione di alcuni Servizi alleati, i quali avevano il loro interesse che io avessi questo tipo di rapporto. Liberai alcuni italiani ed alcuni pescherecci. Il potere di El Bishari su Gheddafi era alternativo. Quando Gheddafi era in buona, El Bishari aveva un grande potere, mentre alcuni giorni tutto andava storto. Aiutai a risolvere il problema dei visti diplomatici a inglesi che rappresentavano nella nostra ambasciata gli interessi britannici, una volta rotte le relazioni per i noti fatti di Londra. Tra l'altro, ebbi qualche altra cosa che interessava molto questioni di terrorismo internazionale.

TARADASH. Non mi ha dato una risposta molto precisa alla domanda sull'operazione…

MARTINI. Mentre prima non mi sono mai occupato della Libia se non in maniera offensiva, e ho fatto alcune operazioni in Libia, durante i miei sette anni, prescindendo da quelli che potevano essere i rapporti del Servizio dei quali si occupava il capo e non io (ad esempio, non mi sono occupato di una operazione terroristica dell'armata rossa giapponese in Libia, Abu Nidal era tranquillamente in Libia, ci furono vari problemi di terrorismo), quando sono diventato capo del Servizio la situazione è ulteriormente peggiorata. La Libia, da obiettivo di secondo livello, era diventata obiettivo di primo livello, data la presenza sovietica. Con El Bishari ho avuto uno strano rapporto, che ho cercato di spiegare ma che forse per i non addetti ai lavori è difficile da capire.

TARADASH. C’era questa politica del doppio binario, come lei la definisce, che corrispondeva a una doppia politica, o politica del doppio binario, anche dei Governi italiani. Negli anni 1979-80 c’è il massacro della resistenza libica in Italia e si crea una situazione di tensione tra l’Italia e la Libia, dopo che per molti anni invece c’era stato un rapporto molto buono che, tra l’altro, aveva portato all’ingresso dei capitali libici nella FIAT e a un notevole import ed export, soprattutto export di armamenti italiani o di veicoli in Libia. Si determina inoltre tensione in relazione ai rapporti tra l’Italia e Malta. Nel 1980 c’è la strage di Bologna, preceduta dall’abbattimento dell’aereo su Ustica. Noi abbiamo chiesto all’attuale direttore del SISMI, ammiraglio Battelli, che cosa avesse fatto il SISMI in quell’anno per valutare la possibilità che sia l’incidente di Ustica, sia l’attentato di Bologna fossero da mettere in relazione ad eventi internazionali e non a fatti di terrorismo nostrano. La risposta è stata che non è stato fatto nulla; il SISDE ci ha informato che esisteva una direttiva secondo cui bisognava soltanto fare ritagli di stampa, mentre al SISMI non si è trovata neppure questa direttiva. Non è strano che all’interno di una cornice internazionale così complessa dei rapporti Italia-Libia nessuno al SISMI abbia avuto la richiesta o abbia di sua iniziativa fatto qualche riflessione sulla possibilità che questa serie di attentati fosse da mettere in relazione ai rapporti tra Italia e Libia che in quel periodo erano tesi?

MARTINI. Ho risposto più volte in questa Commissione a domande più o meno simili. Vorrei chiarire subito alcuni punti. Sono diventato direttore del Servizio il 5 maggio 1984. In quella fase non mi sono mai occupato di Ustica, tranne che per un passaggio di carte, fino a quando nel 1986 il presidente della Repubblica Cossiga ricevette una delegazione di parenti delle vittime capeggiata dalla senatrice Bonfietti e scrisse una lettera a Craxi dicendo di riprendere in mano la cosa. Premetto anche che in questa Commissione c’era l’onorevole Zamberletti, il quale sollevò la questione di Malta. Nelle carte del SISMI che io ho visto non c’è un particolare irrigidimento a causa di Malta attorno agli inizi degli anni ’80. Probabilmente la cosa interessò più il Ministero degli esteri che i Servizi, in quanto la crescita dell’interesse informativo sulla Libia non era legata in particolare alla questione di Malta. Nel 1986, quando c’era anche una terza ipotesi, quella del cedimento strutturale, l’onorevole Amato, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, mi scrisse una lettera chiedendomi a titolo quasi personale: lei che è fuori dal problema (perché io nel 1980 non c’ero) dalle carte che ha in mano (ma non avevo le carte che aveva la magistratura, solo un po’ di carte del Servizio) per quale delle tre ipotesi propende? Come è agli atti della Commissione e comunque è riportato nei verbali, risposi che in base alle carte che avevo in mano non potevo esprimere un parere. Fui il primo a scrivere una lettera ufficiale chiedendo il recupero dell’aereo perché pensavo che l’aereo avrebbe potuto parlare più di quello che poi ha fatto; ha parlato solo dopo il secondo recupero.

TARADASH. Quindi lei conferma che il SISMI non se ne è occupato.

MARTINI. Un momento, teniamo presente che nel frattempo c’è stata la morte di un caposervizio, il generale Santovito, che si era occupato della vicenda e si è portato nella tomba un certo numero di segreti, quello che era stato fatto al momento dell’incidente, perché molte cose non ci sono. Non sono stati trovati documenti di particolare rilevanza dell’anno 1980. E’ stato gestito più dall’Aeronautica militare.

TARADASH. Lei conferma quanto ha dichiarato il generale Paolo Inzerilli a suo tempo e cioè che rispetto alla documentazione che era stata raccolta dal SISMI sulla cosiddetta "Gladio rossa" molti documenti vennero distrutti nel 1974 quando si procedette alla distruzione dei fascicoli del SIFAR?

MARTINI. Questo non glielo posso dire per il semplice motivo che in quel periodo non c’ero. Non ho mai sentito parlare di distruzione di carte della Gladio rossa nel 1974. Può darsi che ci sia stata, ma io non lo so.

TARADASH. Lo ha detto il generale Inzerilli.

MARTINI. Se lo ha detto vuol dire che lui lo sapeva.

TARADASH. Nel suo libro lei parla molto poco della Gladio rossa. Era ritenuto normale che il Partito comunista italiano avesse una struttura clandestina con collegamenti con l’Unione sovietica fatti di denaro, di ricetrasmittenti, di incontri frequenti tra dirigenti? Evidentemente era una cosa ritenuta normale.

MARTINI. No, non era ritenuta normale. Nel mio libro - non avendo documenti da consultare andavo sulla memoria – riportavo fatti di cui sono stato protagonista o comunque uno dei protagonisti. Della Gladio rossa nella mia vita operativa non mi sono mai occupato e nella mia vita di capo del Servizio era un problema che era stato in parte accertato e messo da parte; poi c’è stata l’archiviazione. La cosa mi ha molto disturbato perché, invece, non c’è stata l’archiviazione della "Gladio bianca", questa è stata tardiva. In quel momento - parliamo del 1989-1990 - il Presidente del Consiglio ritenne opportuno - cosa che io invece non ritenni opportuna - mettere in piazza Stay Behind alterando quelle che secondo me dovevano essere le regole: eventualmente doveva essere interessato il Comitato parlamentare di controllo e non la Commissione stragi, perché questa contiene la parola "stragi" che non era il caso di associare a quella vicenda. La Sinistra in crisi si mise a pompare il problema fino a farne quello che abbiamo visto a Samarcanda che era una cosa vergognosa. Oltretutto, come è detto nel mio libro, la pubblicazione dei nomi dei seicentoventidue è stata una cosa estremamente scorretta per non dire di peggio.

TARADASH. Per metterla a verbale, cito la frase del generale Inzerilli, il quale, a proposito della richiesta da parte degli inquirenti della documentazione sia sulla Gladio che sulla Gladio rossa, rispose: "Per la seconda debbo dire che ricordo ben poco poiché le richieste degli inquirenti si esaurirono in poco tempo. Ricordo però che il materiale trasmesso alla magistratura riguardante l’apparato paramilitare comunista era sparpagliato negli archivi di Forte Braschi sotto diverse catalogazioni. Le ricerche durarono a lungo anche perché gran parte del materiale sulle organizzazioni clandestine comuniste venne distrutto nell’agosto del 1974 insieme ai fascicoli riguardanti il presunto spionaggio politico del SIFAR".

Lei nel suo libro dice di aver avuto un rapporto di stima e di amicizia con il senatore Pecchioli, che era un po’ l’organizzatore di questo apparato paramilitare. Ci può spiegare che tipo di rapporti di amicizia e di stima? Era come con un capo dei servizi libici o di altro genere, o era un rapporto di natura diversa?

MARTINI. Quando io arrivai, da capo del servizio cercai di instaurare un rapporto diverso con il Comitato parlamentare di controllo, che era allora presieduto dall’onorevole Gualtieri. Pecchioli era uno degli otto membri del Comitato, come pure il Presidente Violante. Allora il Comitato parlamentare di controllo non registrava, come fa adesso, e quindi si parlava a braccio; naturalmente il capo del servizio doveva essere autorizzato dal Presidente del Consiglio per andare al Comitato parlamentare di controllo. Io, tra l’altro, dissi, su domanda, che avevo chiesto all’ambasciata americana di non far entrare Mike Ledeen in Italia: era un tizio che lavorava ai margini della CIA. Naturalmente questa mia uscita dopo un paio di giorni fu riportata su un articolo de "L’Espresso". Siccome io ho una certa capacità professionale, nel giro di poche ore seppi l’origine dell’articolo; e quindi feci le mie rimostranze sia al Presidente della Camera, che era l’onorevole Nilde Iotti, sia al senatore Pecchioli, che era il capo della pattuglia del PCI. Da questo nacque un rapporto che fu abbastanza cordiale, pur sapendo ognuno dei due che si militava in campi avversi. Ma io avevo un elevato concetto di lui. Lui probabilmente aveva un elevato concetto di me; a Natale ci si scambiava un libro, di solito, e la cosa finisce qua. Non vedo perché non posso avere un rapporto personale di stima o di quasi amicizia con l’onorevole Pecchioli. Devo dire che ho avuto un eccellente rapporto personale con l’onorevole Tortorella, che fu il successore di Pecchioli: non è che consideravo che tutti i comunisti fossero inavvicinabili. Mi scusi, ma mi sembra un po’ strana la domanda.

TARADASH. Non lo penso nemmeno io, però Pecchioli era il capo dell’organizzazione para militare del Partito comunista.

PRESIDENTE. Ammiraglio Martini, perché aveva dato questo parere sulla inopportunità che Ledeen venisse in Italia?

MARTINI. Intanto quando Ledeen veniva in Italia andava direttamente dal Presidente della Repubblica, che aveva conosciuto quando era Ministro dell’interno. E la cosa non mi piaceva. Secondo, perché Ledeen aveva avuto da uno dei miei predecessori 100.000 dollari per fare delle conferenze sul terrorismo, che erano assolutamente rubati. E poi perché era un individuo che lavorava a margine della CIA, e la cosa non mi piaceva. Era un professore dell’Università di Georgetown negli Stati Unti.

PRESIDENTE. Il problema è che poi questo nome di Ledeen lo vediamo riemergere nella vicenda Moro come uno dei possibili consiglieri di quello che si poteva fare per salvare Moro. Per rispondere un po’ a Taradash, se io fossi stato al posto di Cossiga, ad esempio, avrei chiesto l’aiuto del Mossad, ma per salvare Moro, questo è il punto.

TARADASH. Non riesco a capire come mai un rapporto come quello che si aveva con un servizio operativo abile e bravo sul territorio nazionale non sia stato poi utilizzato per salvare la vita di Moro. O io penso che sia stato utilizzato, però sia una di quelle cose che per strani motivi non ci può essere raccontata.

MARTINI. Non sono nelle condizioni di aiutarvi. Mi sa che abbiamo fatto la gioia dei giornalisti se ci hanno sentito.

TARADASH. Lei ha scritto in un suo libro e ci ha anche riferito questa sera di aver rinunciato ad un incarico molto importante all’interno della NATO per non accedere al criterio della doppia lealtà. Secondo lei ci sono stati invece degli ufficiali dei servizi segreti italiani che non si sono comportati correttamente come lei? E’ possibile che questo criterio della doppia lealtà si sia inserito all’interno del nostro Stato?

MARTINI. No, io non lo penso. Però il mio era un incarico del tutto particolare: avevo accesso ai documenti top secret nazionali degli americani e degli inglesi. Era un incarico che non è mai stato dato a nessuno, era un caso un po’ speciale.

TARADASH. Mi pare che lei abbia dimostrato più volte una imparzialità quando erano in gioco delle responsabilità istituzionali, anche nel caso Pazienza. L’ultima domanda riguarda una cosa curiosa che riferisce Pazienza nel suo ultimo libro, quando parla di uno scambio di opinioni che ha avuto con un ex agente segreto sovietico che era stato arrestato dagli americani, Karol Koecher, che fu scambiato con Anatolij Šaranskij. Secondo Pazienza, questo Karol gli racconta la storia che gli americani erano così convinti, nel ’93 o nel ’94, che la sinistra avrebbe vinto le elezioni in Italia che avevano comprato per 100 milioni di dollari tutti i fascicoli presenti negli archivi della Lubianka e del Comitato centrale del PCUS che riguardavano il Partito comunista italiano. Secondo lei questa è un’affermazione fondata? Quest’affermazione Pazienza la fa risalire al 1994. Nel 1994 ha incontrato – dice - questo signor Karol Koecher, che gli dice che negli anni precedenti evidentemente gli americani avrebbero comprato gli archivi che riguardavano il Partito comunista italiano e li avrebbero portati tutti a Washington. Lei lo ritiene possibile?

MARTINI. Io credo a tutto, ma questa mi sembra un po’ una balla, devo dire la verità, mi sembra un po’ grossa.

TARADASH. Non sarebbe quella più grossa sparata da Pazienza.

MARTINI. Probabilmente Pazienza mi querelerà, visto che mi ha già querelato. Visto che non sa come passare il tempo nel carcere di Alessandria, mi ha fatto anche una querela.

TARADASH. Pazienza ha molto tempo nel suo carcere, lei non ne ha così tanto, però mi auguro che lei scriva un supplemento al suo libro, perché l’ho trovato interessante ma troppo esile.

MARTINI. Io la ringrazio, ma è un po’ difficile parlare di cose molto recenti. Ho già detto che metterei in pericolo della gente. Poi se per caso dico che il tizio ha fatto questo e vengo querelato, io che non ho le carte perdo la casa e cosa vado a fare, il baraccato a piazza Navona?

BIELLI. Ammiraglio, in una sentenza del giudice istruttore di Venezia, dottor Casson, del 24 febbraio 1993 c’è un’affermazione fatta da Licio Gelli, in cui Licio Gelli dice che fra le conoscenze che aveva, aveva come ottimo amico il generale Santovito e l’ammiraglio Martini e che quindi era facile che insieme a loro conoscesse anche altri collaboratori dei servizi segreti. E’ vero?

MARTINI. Ho già risposto al senatore Chiaromonte, che mi ha fatto la stessa domanda quando facevo il consigliere per la sicurezza di Amato e poi di Ciampi. Questa è una frase che ha raccolto il giudice Casson, però è un’affermazione assolutamente gratuita del signor Gelli.

BIELLI. La sua risposta avrebbe come conseguenza logica il fatto che lei si dovrebbe essere mosso per denunciare il fatto, che era un’illazione; ma non risulta agli atti nessuna sua iniziativa che in qualche modo smentisse questa affermazione.

MARTINI. Lei si riferisce ad un’iniziativa del giudice Casson il quale, quando fui nominato consigliere di Amato, scrisse al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio e così via, per questioni di competenza, della pratica in cui ero accusato di banda armata e intelligenza con il nemico (se vuole glielo dico, sarebbero gli Stati Uniti), detenzione e commercio di armi e così via. In quell’occasione predisposi una specie di memoriale che inviai al Presidente della Repubblica. Casson lo mandò anche al segretario del comitato parlamentare di controllo, il senatore Chiaromonte, il quale andò a parlare con Amato e la vicenda si chiuse in questo modo. Cosa voleva che facessi contro il giudice Casson? Anche perché quando affermo qualcosa generalmente la gran parte della gente mi crede. Gelli non l’ho mai visto, non so neanche come sia fatto, anzi, le posso dire che sono riuscito ad individuarlo, quando mi è stato chiesto: si trovava in un paese con il quale avevamo un trattato di estradizione risalente al 1832 circa, per cui quando mi recai dal procuratore generale questi mi consigliò di lasciar stare.

BIELLI. Il colonnello Cogliandro risulta uno degli uomini della P2: lei, dopo che è stato allontanato, ha continuato ad avere rapporti in cui si parla se non di un lavoro comune, di informazione e di collaborazione. Per quale motivo tali rapporti con un personaggio indagato di fatti così gravi?

MARTINI. Non mi risulta che il colonnello Cogliandro fosse iscritto alla loggia P2. Inoltre, l’affare Gladio fu l’ultimo di una serie d’incidenti che ebbe con il Presidente del consiglio del tempo, Andreotti. Il colonnello Cogliandro era considerato un’eccellente professionista, la legge n. 801 non me lo vietava e quindi presi il colonnello con il quale avevo avuto in passato un rapporto non di lavoro (si occupava infatti della parte interna e io di quella estera), era quello che nel gergo dei servizi si chiama persona utile. Affidavo a lui un minimo di quattrini per organizzare pranzi con i giornalisti o altre persone del genere: volevo sapere i boatos della capitale nei riguardi dell’ammiraglio Martini e del servizio negli anni fine 1989-1990.

PRESIDENTE. Visto il contenuto dell’archivio Cogliandro si può dire che questo non selezionava i boatos ma raccoglieva tutto.

MARTINI. L’archivio Cogliandro non è stato dato all’ammiraglio Martini, se non qualche foglio che egli ha immediatamente distrutto o tritato: è stato fatto per altri utenti, che preferirei non citare (Viminale, qualche segreteria politica e così via). Cogliandro quando è stato interrogato ha detto che in alcuni di questi documenti (soltanto uno o due), che non sono datati e nessuno si è preoccupato di farlo, c’è scritto "dato all’ammiraglio". Se me li ha dati sono stati distrutti. Sono stato accusato di abuso d’ufficio dal procuratore Salvi, ma lei sa che non sono mai stato interrogato sull’argomento? Sono stato interrogato da un altro magistrato il quale mi ha chiesto se confermavo quello che avevo detto al giudice Priore per gli appunti di Cogliandro che si riferivano ad Ustica.

PRESIDENTE. C’erano almeno tre versioni diverse.

MARTINI. Tra l’altro, il processo non si è neanche celebrato perché si sono lasciati trascorrere i tempi per la prescrizione. Avevo intenzione di ricorrere, poi, a un certo punto…

BIELLI. Vorrei sapere, per mia curiosità, se lei in questo momento ha qualche procedimento penale in corso, se è indagato, se ha subito qualche condanna.

MARTINI. Certo. Penso che non sarò condannato e ritengo che non lo sarò. Sono stato rinviato a giudizio per una distruzione di carte di Gladio.

BIELLI. Visto che fa questa considerazione la invito a spiegare meglio la questione della distruzione delle carte di Gladio: visto che si parla tanto di Gladio rossa può parlare anche di Gladio vera.

MARTINI. Si tratta di carte risalenti alla Brigata Osoppo di cui io ignoravo l’esistenza oppure si parla di carte che sono i cosiddetti quaderni degli operatori trovati dal giudice Mastelloni. In ogni caso ciò rientrava nelle possibilità del Servizio il cui capo era anche l’autorità nazionale per la sicurezza. Se si esaminano queste carte alla luce della circolare Goria risulta che il fatto non sussiste.

BIELLI. Le ho fatto questa domanda perché sono scettico, anzi contrario a quanto affermato dal Governo oggi rispetto alla distruzione di una serie di atti degli archivi segreti. Credo infatti che sarebbe bene non distruggerli, soprattutto perché non si tratta più di un fatto cartaceo ma di tipo informatico e quindi, secondo me, è bene conservarli. Colgo dunque la sua osservazione, penso che sarebbe stato bene averli. Infatti, lei sa bene che quando siamo andati ad esaminare vari atti abbiamo scoperto in fascicoli che avevano altro nome cose molto interessanti e quindi la distruzione di quei fascicoli può aver distrutto informazioni assai interessanti per il caso Moro.

MARTINI. La distruzione di questi microfilm di cui sono accusato è avvenuta nel 1975 e io sono diventato capo del servizio nel 1984, quindi c’è qualcosa che non torna.

BIELLI. Le rivolgo due domande velocissime. Nell’archivio di Avanguardia operaia in viale Bligny - risulta dall’inchiesta del dottor Salvini - c’è un’indagine su due brigatisti: Bonomi, quello che aveva il passaporto di Bertoli, e Simeoni, fondatore delle Brigate rosse. Risulterebbero dei legami con il SID e in qualche modo anche la presenza di un campo di addestramento in Francia. Lei cosa sa di questa vicenda?

MARTINI. E’ la prima volta che ne sento parlare.

BIELLI. Non volevo affrontare questioni che mi parevano più frutto di polemica politica che non della ricerca di verità su altri fatti, ma vorrei sapere la sua opinione sulla questione dell’archivio Mitrokhin. Si dice che il Governo avrebbe dovuto rendere pubblico il fatto che questi documenti fossero arrivati. Sono tra coloro che pensa che i segreti debbono essere tolti e dunque mi adopererò perché sia resa pubblica la verità, ma vorrei sapere da lei, in base alla sua esperienza: quando arriva un documento con la dicitura "segretissimo", un Ministro, un capo di Governo o chi per esso, di fronte a quella parola, prima di renderlo pubblico, non deve trovare il modo di parlare con il Governo britannico e concordare se lo si può fare o meno? Lei ha sollevato con molta serietà e buon senso una questione, cioè che sarebbe stato sicuramente utile farlo vedere al Ministro della difesa per concordarsi con lui. Ma con altrettanta evidenza lei ha detto che siamo in un campo in cui mettiamo in discussione non solo questioni del nostro paese, ma anche quelle di altri paesi. Le chiedo allora una sua opinione.

MARTINI. Di solito, i documenti che riguardano questa materia tra i servizi sono tutti targati "segretissimo", quindi questo fatto non ha grande rilevanza.

BIELLI. Ho usato questo termine perché oggi il vice presidente del Consiglio Mattarella ha usato il termine "segretissimo" indicando che era una soglia in cui il riserbo spariva d’obbligo.

MARTINI. Ci sono molte carte targate "segretissimo" negli archivi dei servizi. Il problema è un altro. Ad esempio, si poteva immediatamente chiedere maggiori spiegazioni. Però, ripeto, la decisione non viene presa dal capo del servizio. Il Presidente del Consiglio o il Ministro di solito hanno fiducia estrema nel capo del servizio e penso che dovrebbe essere così. In sette anni, mi sono trovato a contatto con cinque diversi Presidenti del Consiglio, e ad un certo punto alcuni di loro mi hanno chiesto che cosa avrei fatto in determinati casi. Però la decisione – chiariamolo bene – viene assunta dall’Esecutivo, dal Presidente del Consiglio e dai Ministri ed il capo del servizio non può interferire. Se è interrogato sull’argomento, egli può esprimere un parere che – secondo me - deve essere soprattutto professionale e di buon senso.

BIELLI. Guardando fra le carte, mi è capitato di trovare un documento della questura di Roma, indirizzato ai superiori ai tempi del rapimento di Moro. In un passaggio si dice che sono stati individuati i bossoli della strage di via Fani, che appartengono a un deposito dell’Italia del Nord, di cui solo sei persone hanno le chiavi. Cosa sa di questo fatto e cosa ne pensa?

MARTINI. E’ la prima volta che ne sento parlare.

BIELLI. Le farò avere i documenti.

PRESIDENTE. Nelle prime interviste che le hanno fatto su questa vicenda Mitrokhin, lei ha chiaramente fatto capire che – a suo giudizio – il Governo britannico ci ha fatto uno scherzo da prete: prima ci ha inviato le carte con il vincolo del segreto e poi, senza dirci niente, ha deciso di renderle pubbliche nel libro di Andrew. Addirittura, lei all’inizio sospettava che fosse una decisione attribuibile al Governo laburista, poi si è accertato invece che tutta l’idea di affidarli all’expertise di Andrew e poi alla pubblicazione libera è stata una scelta del Governo precedente, che era conservatore. Credo quindi che l’onorevole Bielli volesse dire questo. Il fatto che un Governo non renda immediatamente pubbliche delle carte con il vincolo della segretezza rientra nella normalità: non aveva l’obbligo di renderle immediatamente pubbliche o di trasmetterle all’autorità giudiziaria; avrebbe anche potuto decidere di apporre il segreto di Stato, visto che non si trattava di questioni relative alla sovversione dell’ordine democratico né di questioni di Stato.

BIELLI. D’Alema ha già detto che sarà tolto il segreto di Stato!

MARTINI. Il Governo era libero di fare qualsiasi cosa, anche mettere il documento sotto il tappeto e lasciarlo lì per centinaia di anni. Il problema è che si possono fare delle speculazioni. Si può anche immaginare che ci sia un interesse specifico a pubblicare il libro e a farne la propaganda che è stata fatta. Secondo me, noi potremmo essere stati messi lì per fare buon peso, ma potrebbe anche essere una manovra verso i francesi (dal momento che la parte francese è ben più densa), i quali però, durante la guerra fredda, avevano fatto un’espulsione di massa di 55 persone del KGB.

DOLAZZA. Ammiraglio, la rivedo dopo trent’anni circa, però in vesti diverse: lei era comandante e io ero sottufficiale di bordo. Stasera ho assistito, in questa Commissione, ad una schermaglia tra gruppi di destra e di sinistra, che portano prevalentemente ad un risultato: il funzionario a cui viene chiesto di svolgere determinati servizi poi viene considerato responsabile delle conseguenze dei servizi; si pretenderebbe l’obbedienza quando si danno gli ordini, però poi si dà un input, al fine di sapere a cosa servono gli ordini eseguiti o da chi vengono utilizzati. Mi sembra doveroso fare alcune considerazioni. Lei ha detto che in Italia sono avvenute poche uccisioni. Si riferiva sicuramente ad uccisioni violente, provocate da armi da fuoco. Lei sa meglio di me – basta leggere alcuni articoli nei periodi in cui lei era direttore - che in Inghilterra ci fu, ad esempio, una moria di scienziati suicidi, esperti di energia atomica. Addirittura, mi ricordo che uno di questi si suicidò mettendosi la corda al collo e legandola ad una pianta, per poi partire in macchina. Questo per dire il tipo di suicidio che si sono scelti. In Italia, in quel periodo sicuramente si sono verificati decessi naturali, causati magari da incidenti o da malattie procurate. E’ arcinoto il sistema sovietico di sparare piccoli e sottilissimi aghi radioattivi nella gamba della persona predestinata e questa, nell’arco di sei mesi, moriva di leucemia. Ci sono documenti che attestano questo. Pertanto, quando si dice che in Italia non è successo niente, mi viene da ridere. A proposito del caso di Abu Abbas, che abbiamo nominato alcune volte, mi risulta difficile capire come mai gli americani lo catturano su un aereo, che fanno atterrare a Sigonella e, a questo punto, i nostri solerti Vam circondano l’aereo ed impediscono ai berretti verdi americani di prelevare il signor Abu Abbas dall’aereo e di portarlo via. Non penso che i nostri servizi non ne abbiano saputo niente. Vorrei capire allora la relazione tra questi fatti. Inoltre, non capisco come mai non vengano citati i campi di addestramento in Libia ed in Algeria, dove sembra che i terroristi siano stati addestrati. Mi sembra strano anche il problema israeliano nei confronti dei comunisti. Per gli israeliani il problema è quello del fondamentalismo islamico, che è esploso adesso. Gli israeliani hanno sempre avuto questo terrore, non hanno mai avuto paura del blocco sovietico. Il loro problema è che il blocco sovietico ha utilizzato l’estremismo islamico, che forse adesso gli è sfuggito di mano, per cui si trovano a doverlo gestire in prima persona. In tutto questo non ho capito una cosa. Lei sostiene che si occupava solo di operazioni all’estero per cui il problema dei brigatisti lo ha vissuto solo sotto il profilo estero. Vorrei farle notare che la maggior parte dei finanziamenti dei brigatisti provenivano dall’estero, come dimostrano le sofisticate installazioni radio trovate – non ricordo in che anno – che non provenivano sicuramente da magazzini italiani. Alcuni documenti delle BR non erano certo di provenienza italiana. Mi sembra strano quindi che il suo Servizio fosse asettico e non disponesse di materiale relativo a queste movimentazioni di addestramento e di documentazioni. Pertanto il fatto che il suo servizio non si sia occupato del caso Moro perché era una questione interna è comprensibile sul piano operativo nazionale ma non lo è sotto il profilo degli addestramenti e dei rifornimenti. Qualche aggancio, qualche informativa in relazione ai movimenti di queste persone doveva pur esserci. Mi sembra strano che il suo servizio non ne sapesse niente.

MARTINI. Cercherò di rispondere a tutte le sue domande. Ho qualche dubbio sull’esistenza di campi di addestramento in Libia e in Algeria perché è la prima volta che ne sento parlare. Forse in Libia qualcosa c’è stato, ma in Algeria assolutamente no. Sulla seconda questione vorrei sottolineare che durante il rapimento Moro il Servizio collaborava intensamente con la magistratura e gli altri organi di sicurezza italiani in ordine al problema delle Brigate rosse. Le grandi operazioni contro le BR sono state svolte anche da persone appartenenti al Servizio. "Frate mitra", per fare un nome, era manipolato dal vecchio SID. I capitani dei carabinieri più brillanti, come l’ultimo capo del ROS, erano capitani del SID che lavoravano nel settore delle Brigate rosse. Il problema è che io non ne sapevo niente perché mi occupavo di altro. Quando nel 1984 sono diventato capo del Servizio non sono andato a cercare quelle carte perché ero talmente occupato a rimettere in piedi un Servizio che ormai aveva subito un numero di colpi pesanti – dalla P2 al Caso Cirillo -, che non avevo nemmeno il tempo di respirare. Quindi, quando mi vengono rivolte domande specifiche sulle Brigate rosse non posso che dire che non me ne sono mai occupato, tranne per quegli episodi che vi ho raccontato o per quelli successivi al trasferimento di una parte delle BR a Parigi o in altre zone del mondo. Io non affermo che il mio Servizio non disponesse di alcuna documentazione, dico soltanto che del materiale in suo possesso io non ero a conoscenza. Desidero in proposito sottolineare una cosa che ho già detto in altre sedi. Il vecchio SID era estremamente compartimentato. Ero capo reparto allo stesso livello ordinativo del capo del reparto D, il famoso Maletti. Voi forse non ci crederete, ma nella palazzina di Maletti non sono mai entrato da solo pur essendo capo reparto e occupando il quarto posto nella gerarchia del SID; sono sempre stato accompagnato da un sottufficiale dei carabinieri senza essere mai lasciato solo. In un’occasione chiesi dei documenti relativi a persone agganciate ad attività rientranti nella mia sfera di competenza e un ufficiale dei carabinieri mi portò il relativo faldone, me lo fece leggere, mi permise di prendere appunti ma restò sempre al di là della mia scrivania. Questo era il vecchio SID. Quando affermo che non mi sono mai occupato delle Brigate rosse dico la verità. Di "Frate mitra" ho letto sui giornali successivamente o sono stato informato dal giudice Sica con cui ho lavorato diverse volte.

PRESIDENTE. Noi siamo andati a Johannesburg a sentire Maletti, l’uomo che forse più di tutti ha segnato per tempo il mutamento quasi genetico che le BR hanno avuto tra la prima e la seconda generazione. Si lamentava che nessuno lo prendeva sul serio, ma quando noi lo abbiamo sentito su questo punto in realtà non ha aggiunto granché.

MARTINI. Quando lei parla degli israeliani e della grande minaccia degli arabi, vorrei ricordarle che quando è scoppiata la guerra del Kippur in Egitto c’erano 40.000 tecnici sovietici. L’intero armamento dell’esercito egiziano era sovietico. In Siria c’erano 8.000 tecnici sovietici.

DOLAZZA. Possiamo dire che i Russi hanno usato questo sistema che era anche l’arma migliore per convincerli.

MARTINI. Io credo poco ai finanziamenti esteri alle Brigate rosse perché a mio avviso esse si autofinanziavano.

PRESIDENTE. Nella scorsa legislatura il consulente Galli ha provato più volte a fare i conti, ma questi non tornavano mai.

MARTINI. Comunque se chiede la mia opinione gliela dico francamente anche perché l’ho già esposta in diverse sedi. A mio avviso non esiste alcun appoggio diretto del KGB alle Brigate rosse.

DOLAZZA. Sarebbe stato troppo pericoloso per loro.

MARTINI. Il KGB attraverso il Ministero dell’interno ha dato assistenza ai terroristi palestinesi. Carlos, Abu Nidal e gente del genere andavano tranquillamente oltre cortina, erano titolari di imprese di import ed export, si autofinanziavano e se avevano feriti li facevano curare in quegli ospedali. Non è mai successo niente alle Brigate rosse se non in riferimento al Servizio cecoslovacco. Quest’ultimo aveva ottenuto una sorta di delega. Occorre ricordare che in Cecoslovacchia alla fine della guerra, dopo l’amnistia Togliatti, oltre 400 persone del Partito comunista continuarono a fare la guerra di liberazione per conto loro. Su queste 450 persone c’è anche un libro di Augias, che probabilmente qualcuno di voi ha letto; non solo, ma il Governo italiano nell’immediato dopoguerra è stato così tollerante da permettere che da Radio Praga un noto personaggio televisivo facesse propaganda anti italiana nei confronti degli operai in Germania. E’ chiaro il discorso.

FRAGALA’. Mi sembra si parlasse di due persone.

MARTINI. Parlo solo di una perché della seconda non so niente.

FRAGALA’. E’ l’attuale direttore de "Il Messaggero".

MARTINI. Nel 1990, essendo il primo che andava a parlare con il nemico a causa dell’incidente verificatosi durante i mondiali di calcio che grazie a Dio non c’è stato…

PRESIDENTE. Come lei ha potuto osservare, c’è un punto della lettera della Balzerani che evidenzia un punto nodale. A suo avviso che tipo di appoggio – di aiuto, lei ci sta confermando – era quello del Servizio cecoslovacco, che si riscontra nella documentazione cecoslovacca e di cui sia ha notizia anche dall’archivio Mitrokhin? Si trattava di un’eterodirezione o soltanto di un aiuto attraverso la fornitura di armi? Intendo dire: le Brigate rosse erano un fenomeno nazionale?

MARTINI. Secondo me si trattava di un fenomeno nazionale. L’unico rapporto sicuro che avevano era con i colleghi francesi di Action directe e con quelli tedeschi della RAF.

PRESIDENTE. Il Servizio cecoslovacco che cosa faceva?

MARTINI. Non conosco le carte che pare abbia dato Havel a qualcuno in Italia…

PRESIDENTE. Ammiraglio, quelle carte dicono moltissimo. Ne emerge la certezza dell’esistenza di campi di addestramento con terroristi provenienti da tutto il mondo (IRA, ETA, BR e Prima Linea). Non vengono però citati i nomi e a quale livello ciò si svolgesse.

MARTINI. Queste voci esistevano quando ero a capo delle operazioni, mi riferisco agli anni intorno al 1978. In quel periodo condussi un’operazione utilizzando dei tir che però andò a buca. Infatti, ci fecero una specie di bidone; non perdemmo gente, grazie a Dio, ma solo una somma di 5-6 milioni di lire che per l’epoca rappresentava comunque una somma discreta, soprattutto perché il vecchio SID non aveva una lira. Questa rappresentò la mia più cocente sconfitta e lo spunto per cui mi venne la voglia – una volta caduto il muro di Berlino e diventato capo del Servizio – di avere qualche elemento in più su questa vicenda. Venimmo a conoscenza del fatto che un nostro informatore, che si trovava in una macchina dietro ad un camion militare nella zona di Karlovy Var – dove erano collocati i campi di addestramento – aveva potuto osservare all’interno di tale camion (a causa di un colpo di vento si era sollevato il telone posteriore), una decina di soldati vestiti con l’uniforme della Germania federale, si trattava degli Spetsnatz che si addestravano per le operazioni militari a cui prima ho fatto cenno. Infatti, nella zona di Karlovy Var c’era un campo accertato di addestramento di Spetsnatz. Ora io non so dire per quale motivo e per ordine di chi i cecoslovacchi – evidentemente oltre cortina non si muoveva niente – avessero accettato di essere la base operativa, consentendo anche che questi quattro-cinquecento poveracci che avevano conti in pendenza con la giustizia italiana si addestrassero in quei luoghi; né conosco la ragione per cui il servizio cecoslovacco favorisse questa gente e desse loro ospitalità e carte di identità. Evidentemente questa enclave cecoslovacca rappresentava qualcosa. Stranamente poi il servizio cecoslovacco è stato uno dei primissimi, insieme a quello ungherese, a collaborare con noi alla caduta del muro di Berlino.

PRESIDENTE. Secondo lei, ammiraglio, considerato lo sfaldamento che si è verificato nel blocco sovietico, se i cecoslovacchi avessero recepito – per usare il linguaggio del generale Dalla Chiesa – gli originali della documentazione Moro, lo avremmo saputo oppure si tratta di qualcosa che continua ad essere coperto da segreto?

MARTINI. Quando io misi le mani su questa vicenda della stazione italiana mi fu riferito – e fu confermato anche successivamente quando mi recai in Cecoslovacchia ed ebbi l’avventura di essere ospitato nella villetta che era quella del residente sovietico durante il Patto di Varsavia – che una parte della documentazione era stata bruciata dalla stazione russa, mentre l’altra parte era stata trasportata a Mosca.

PRESIDENTE. Se l’avessero portata a Mosca, Mitrokhin ce l’avrebbe fatta avere; in ogni caso ritengo plausibile che questi documenti possano essere stati bruciati. Non so però se questo costituisca un sospetto decente: mi riferisco al fatto che gli originali della documentazione relativa al caso Moro siano stati bruciati in Cecoslovacchia.

TARADASH. Questo non è affatto un sospetto indecente, potrebbe essere anche concreto.

PRESIDENTE. La decenza e l’indecenza stanno da una parte sola.

TARADASH. Mi scusi Presidente, ma questa è una situazione diversa. Infatti, chiamare in ballo gli Stati Uniti e il Mossad rispetto all’omicidio Moro è sicuramente differente dal chiamare in ballo i servizi segreti cecoslovacchi.

PRESIDENTE Quello che sarebbe importante capire, onorevole Taradash, è se ad esempio Franceschini abbia posto la storia del Mossad come la copertura di un rapporto diverso. Ora, come facciamo a capire come stanno le cose se non andiamo a fare una verifica? Infatti sarebbe strano se avessi cominciato a fare queste domande ad una persona come l’ammiraglio Martini partendo da un libro di memorie che chiude con questa attestazione di rapporto di amicizia e di piena collaborazione con il Mossad. Si tenga presente che ho scelto l’ammiraglio Martini per cominciare questa verifica proprio perché non ho tesi preconcette e quindi vorrei capire perché Franceschini sia venuto a farci il discorso che conoscete o per quale motivo gli altri brigatisti abbiano riferito queste tesi ai giudici, senza tuttavia escludere che si possa trattare di una cortina fumogena che vuole coprire l’incendio delle carte degli originali relativi al caso Moro. Infatti, o questa documentazione è stata incendiata in Cecoslovacchia, oppure è conservata in qualche banca svizzera. Da qualche parte dovranno pur stare questi originali! Quello che raccontano i brigatisti e cioè che hanno distrutto gli originali per motivi di sicurezza e che poi, dietro ad un muro si sia andati a nascondere il denaro e le fotocopie, è un aspetto che personalmente non mi convince. Mi domando quindi dove siano finiti gli originali e per questo motivo propongo due ipotesi; mi chiedo, altresì, se la seconda ipotesi che ci ha fatto Franceschini, non sia – ripeto – una cortina fumogena per coprire la prima ipotesi.

TARADASH. Signor Presidente, lei mi deve spiegare per quale bizzarro motivo queste carte dovrebbero stare a Tel Aviv?

PRESIDENTE. Franceschini ci ha suggerito questa ipotesi.

DOLAZZA. Desidero porre un’altra domanda all’ammiraglio Martini. A parte il circuito spionistico che il blocco sovietico aveva in Italia, ritengo che sicuramente anche gli americani, essendo nostri alleati, avessero un loro servizio per tenerci d’occhio o fare i loro interessi: mi sembra un comportamento abbastanza normale e naturale. Considerando che alla caduta del muro i primi a poter mettere le mani negli archivi sono stati gli uomini che contavano e che tutt’oggi sono implicati in traffici strani – mi riferisco ad esempio a contatti con la mafia russa – lei non ritiene che possano esistere altre documentazioni conservate in cassaforte da persone che hanno interesse ad esercitare pressioni finanziare e industriali sul nostro territorio e in tal senso a svolgere anche azioni ricattatorie? Infatti, ritengo che fornire un elenco di persone che hanno rivelato informazioni - nomi di ambasciatori che magari possano essere stati ricattati in varie forme – non possa costituire la forza che ha sostenuto un servizio segreto come quello russo che notoriamente non era tenero con nessuno e che quando si muoveva era piuttosto efficiente.

MARTINI. Ritengo che messi da parte i magnifici cinque – secondo la definizione di Mitrokhin – e considerato che adesso stiamo vivendo in un mondo che non crede più in niente, va tenuto presente che trent’anni fa c’era della gente da una parte e dall’altra che invece credeva in qualche cosa. Quindi, il richiamo del Partito comunista era abbastanza forte nel mondo.

DOLAZZA. Mi ricordo che anni fa si raccontava che le delegazioni russe che venivano a visitare gli stabilimenti indossavano scarpe con una para particolare, di modo che potessero rimanervi attaccate eventuali particelle metalliche.

MARTINI. Mi sembra un'altra furbizia.

DOLAZZA. Ho letto un articolo di giornale in tal senso. E' arcinoto che raccoglievano informazioni su tutto, ad esempio fu preso un signore che copiava i disegni in un centro di La Spezia.

MARTINI. Avevano una certa arretratezza dal punto di vista tecnologico. Avevamo un organismo, il Cocom, che aveva sede a Parigi e che controllava il livello tecnico di quello che veniva esportato in Unione Sovietica. Negli ambienti dei Servizi, il Concorde sovietico era chiamato Concordosky, tanto per dirne una, perché era stato copiato. Ad esempio, erano molto indietro nella tecnologia dei metalli e facevano cose pazzesche per cercare di avere informazioni. Difatti, un caso di spionaggio che ho ricordato nel mio libro riguardava metalli speciali. Loro non riuscivano a produrli e non avevano la possibilità di spendere nella ricerca. Anche per le plastiche era così. In un certo periodo, la Otomelara ha costruito pattini in plastica dura per carrarmato e loro sono diventati matti; anche se la Otomelara non li ha poi usati per varie ragioni, loro erano molto interessati.

DOLAZZA. Secondo lei, è probabile che ci siano tuttora nei Servizi inglese e americano persone in possesso di altri dossier concernenti l'Italia? Lo chiedo a lei per la sua conoscenza dei Servizi dei paesi alleati.

MARTINI. Può darsi che abbiano qualcosa, non lo posso escludere. L'affare Mitrokhin non potrà essere necessariamente seguito da un Mitrokhin-bis, a parte il fatto che io spero di essere morto quel giorno visto che ho lavorato più da quando è scoppiato l'affare Mitrokhin che quando ero direttore del Servizio.

DOLAZZA. Sono giustificabili, o da mettere sullo stesso piano, quelli che hanno lavorato nel contesto di un partito con i funzionari italiani che hanno svolto attività di spionaggio ai danni della nazione?

MARTINI. Sono molto nazionalista e reputo molto grave l'operare contro il paese, non farei grandi distinzioni. Certo, il funzionario ha obblighi in più.

TASSONE. Signor Presidente, ho già avuto qualche risposta ad alcuni quesiti che volevo porre ma vorrei esprimere una mia valutazione, all'interno della quale implicitamente ci sono alcune domande per l'ammiraglio Martini. Non le farò le domande di oggi, sono molto rispettoso. Rivolgerle delle domande rispetto ad un lavoro che ha lasciato da molti anni sarebbe un po' azzardato. In questo periodo abbiamo avuto chi ha continuato a parlare anche dopo le esperienze del passato. Lei è ritenuto, giustamente, un uomo che ha fatto il proprio dovere con un lavoro attento in posti di responsabilità. Questa sera ci siamo incontrati con lei per una valutazione sulle ultime carte che sono state trovate e pertanto stiamo saccheggiando la sua esperienza, anche per ricevere un contributo illuminante. Le carte Mitrokhin ci riportano a notizie già ampiamente risapute nel nostro paese. Desidero riferirmi alla sua esperienza e soprattutto alla organizzazione dei Servizi di cui lei ha avuto grande parte, sia al SID che al SISMI. Il dossier Mitrokhin è suggestivo, abbiamo prove, ci sono specificità, ma non ci sono grandi novità. Il nostro paese aveva strutture a latere rispetto all'organizzazione statuale che non erano in sintonia con le istituzioni del nostro paese. Nel periodo in cui lei è stato direttore del SISMI, qual era l'azione di contrasto di questo grande movimento, con strutture, con organizzazioni, con spie? Poco fa lei ha fatto riferimento al SID, che aveva pochi soldi, poche strutture, ma dopo la legge n. 801 c'è stato un salto di qualità rispetto alle potenziali strutture e possibilità che il Servizio poteva esprimere. C'è stata incapacità nel cogliere l'esistenza di una struttura che doveva essere contrastata? Forse rischiamo di fare una storia dal Medioevo che servirà solo ai posteri, senza arrivare a risultati concreti.

PRESIDENTE. Qual era la struttura che doveva essere contrastata?

TASSONE. Erano varie strutture, poteva essere Gladio rossa ma anche altre organizzazioni presenti nel nostro paese. Posso far riferimento, ad esempio, anche alle spie.

PRESIDENTE. Sarebbe preferibile non mettere insieme cose diverse.

TASSONE. C'è la stessa matrice, non sono cose diverse. Nel dossier Mitrokhin si parla di spie; Gladio rossa si è chiusa affrettatamente nel 1993, con i Comitati di controllo sui Servizi e altro. Perché non c'è stata un'azione di contrasto forte ed efficace? Non voglio dare a questo Governo la responsabilità per le notizie perché ritengo che ci siano responsabilità diffuse. Di questo avevate contezza e notizia? Quali erano le vostre possibilità per dispiegare una capacità di contrasto?

PRESIDENTE. Lei vuole sapere perché a un certo punto l'esistenza di questa rete informativa del Partito comunista non sia stata considerata a livello di Ordine Nuovo, di Avanguardia Nazionale? Lei vuole sapere perché non sia stata sciolta per legge?

TASSONE. Anche questa era la domanda. Volevo sapere come operavano i Servizi in quel clima, quali condizionamenti c'erano, perché di questo si deve parlare.

MARTINI. Non c'era alcun condizionamento ma diciamo esattamente come stavano le cose. Sa di quanti uomini è composto l'organico del SISDE? Di 1500 persone. Il SISDE, come servizio di sicurezza, dovrebbe essere organizzato in maniera completamente diversa. La legge n. 801 sul piano operativo contiene errori colossali, come ho detto tante volte, ma è politicamente ben congegnata e potrebbe ritenersi valida ancora oggi, aggiungendo qualche tocco di professionalità: ma chi fa questo tocco di professionalità? Il nostro paese non capisce assolutamente niente di intelligence e di sicurezza. Nel mio libro ho scritto che nel DNA italiano non esiste la parola sicurezza. Se lei interroga un tassista britannico e gli chiede chi ha fatto l’impero, al 95 per cento lui le risponderà la Royal Navy e l’Intelligence Service. Solamente adesso, che con questo libretto ho assunto un minimo di fama, sono stato invitato a un seminario della facoltà di sociologia della Sapienza in cui c’erano i migliori professori dell’Università italiana. In Gran Bretagna in un seminario sull’intelligence erano presenti i più bei cervelli del paese. Qui non c’è nessuno che sappia parlare di intelligence. Quando sento parlare Ministri rabbrividisco dal punto di vista professionale. Noi ci perdiamo in piccole beghe. Allora, nel massimo fulgore del SISMI nel periodo in cui ero direttore avevo 3.000 persone; credo che adesso siano molte meno. Il SISMI è precocemente invecchiato. Io ho fatto tante cose, ho avuto carta bianca su tutto meno che sull’arruolamento del personale perché c’è l’amico dell’amico che arruola un tizio perché così va sicuramente in pensione a 65 anni prendendo uno stipendio e quindi una pensione superiore. L’arruolamento del personale va fatto in maniera moderna. Sono stato l’unico ad aver pubblicato sui giornali un bando (adesso lo ha fatto anche l’ammiraglio Battelli) per 15 crittografi, uomini e donne, chiedendo dei requisiti estremamente severi. Su 550 domande arrivate ho scelto 15 giovanotti che erano il meglio del meglio in Italia; per la sezione crittografica li volevo infatti laureati in statistica e matematica. E’ lì che bisogna prendere la gente, con alcuni trasferimenti di personale tecnico perché in Italia non ci sono le scuole che esistono in altri paesi. Ad esempio, se lei vuole un marconista deve prenderlo dalle Forze armate; c’è sì la scuola Elettra o altri istituti simili ma non garantiscono un livello professionale. Questo in altri paesi è un fatto normale. Immodestamente credo di essere considerato – almeno così ha detto il presidente Cossiga – un bravo professionista ma non sono Batman, non ho le capacità di Batman. Sono per caso l’unico in Italia ad aver fatto una carriera che è assolutamente normale nel Mossad, nel KGB e nel Servizio britannico, sono cioè uno che proviene dall’interno e diventa direttore, non un ambasciatore, un prefetto o un generale di corpo d’armata che ha comandato gli alpini. Noi abbiamo sbagliato tutto. Siamo partiti da una tradizione francese del secolo scorso, perché veniamo dalla scuola napoleonica, e non abbiamo avuto il coraggio di fare i cambiamenti che la Francia ha fatto. La Francia, per esempio, ha separato il controspionaggio mettendolo in mano alla DST (Defence Securité de Territoire), che è il migliore servizio di sicurezza che esiste. Noi a causa di beghe parlamentari abbiamo tolto la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria agli appartenenti al Servizio: è un errore professionale. Questo è accaduto perché un agente dei Servizi che allora, fino alla legge n. 801 era un agente di polizia giudiziaria, ha assistito ad un borseggio su un tram senza intervenire perché stava seguendo una certa missione. Poiché il Parlamento è sovrano, sarebbe bastata una legge in cui si diceva che gli appartenenti ai Servizi sono agenti di polizia giudiziaria con i limiti fissati per il proseguimento di una certa operazione. Non abbiamo questa dose di buon senso elementare che avrebbe una qualsiasi donna di servizio.

Nessuno si rende conto di cosa significa trasferire un’operazione da uno all’altro. C’è un filmato che vi consiglio di farvi consegnare dai Servizi, in cui si vede l’arresto di uno di quelli citati nel controspionaggio. Abbiamo dovuto chiamare i carabinieri perché non eravamo in condizione di compiere l’arresto, pur avendo noi dei carabinieri. E’ un aspetto che complica l’operazione: infatti devo spiegare al maresciallo o al tenente dei carabinieri chi deve arrestare o cosa deve fare quando potrei farlo direttamente, visto che dispongo di un tenente o di un brigadiere dei carabinieri, che è poi quello che ha condotto l’operazione. Potrei raccontare centomila di questi episodi. Siamo un paese di medio livello: in tutto il servizio di sicurezza italiano, tra noi e il SISDE, si raggiungono sì e no 4.500 unità. Prescindendo dai casi in cui viene assunto l’amico dell’amico, è tutta gente che viene in gran parte dalla pubblica amministrazione e viene vecchia, interessata e senza che gliene importi niente. Con 4.500 persone un paese come l’Italia non fa assolutamente niente, assolutamente niente!

FRAGALA’. Quante ce ne vorrebbero?

MARTINI. 10.000-12.000 basterebbero per fare tutto quanto.

I lavori proseguono in seduta segreta alle ore 24.

…omissis…

I lavori riprendono in seduta pubblica dalle ore 00,06.

MARTINI. Krjuchkov (il capo del KGB) mi disse, ad esempio, che loro erano i più precisi osservanti degli accordi di Yalta. Ed era verosimile per il semplice motivo che i tre paesi confinanti, Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria, che si erano ribellati, loro non volevano che fossero aggrediti dalla propaganda americana. A loro faceva comodo che ci fosse in Italia un forte Partito comunista. Mi disse Krjuchkov: il Partito comunista in Italia non arriverà mai al potere perché noi cominceremmo a preoccuparci veramente, visto che è stato assegnato a Yalta agli americani, non è un paese grigio come la Jugoslavia, è un paese bianco; noi arriveremmo persino a prendere misure attive. Misure attive nel gergo dei servizi significa fare la disinformation: introdurre documenti falsi ed altre cose del genere. Quindi loro avevano interesse che ci fosse un forte Partito comunista, ma non che potesse arrivare al potere perché avrebbe turbato l’equilibrio al quale loro tenevano molto, perché secondo loro l’Italia non valeva i tre paesi confinanti, che si erano già ribellati a loro.

TASSONE. Quindi la CIA non c’entra.

FRAGALA’. Ammiraglio, proprio su quello che lei adesso ha detto, che il Partito comunista italiano era controllato da un apparato che lei ha chiamato apparato di vigilanza, che era di stretta osservanza sovietica e controllava gli stessi dirigenti del partito… Lei ha parlato di Pecchioli e ha detto che tutto questo era alla fine soltanto un apparato di difesa per evitare che un’attività repressiva potesse compiersi.

MARTINI. Questa è la mia opinione.

FRAGALA’. C’è un documento catalogato come segreto del Raggruppamento centri di Roma del 7 febbraio 1980 con cui al direttore del servizio del SISMI si trasmette questo appunto. Si dice: "Partito comunista italiano, apparato della vigilanza. E’ stato costituito in seno al PCI un apparato denominato vigilanza, delegato al controllo e alla sicurezza dell’organizzazione e dei componenti. Secondo notizie trapelate da ambienti legati alla rappresentanza diplomatica sovietica esiste uno stretto collegamento tra l’apparato della vigilanza ed elementi della rappresentanza sovietica, valutata da alcuni come una vera e propria dipendenza". Sta di fatto che l’apparato è considerato autonomo e indipendente dal segretario del partito e dagli altri dirigenti comunisti. Al riguardo dell’autonomia, si insiste col dire che gli uomini dell’apparato rispondono direttamente in modo segreto agli ordini dell’ambasciata russa. Si vuole addirittura che gli stessi elementi dei servizi di scorta e vigilanza del segretario del PCI siano in parte legati ai sovietici e all’alta vigilanza che questi effettuano tramite uomini sulle alte sfere del Partito comunista. Poi si dice che questi della vigilanza addirittura controllavano i telefoni dei dirigenti del Partito comunista, dicevano quello che dovevano dire ai giornalisti e quello che non dovevano dire e che ad Amendola lo hanno zittito in mezzo alla strada perché parlava con alcuni giornalisti, e poi stabilivano chi doveva essere espulso dal PCI attraverso questo sistema del controllo delle intercettazioni telefoniche.

PRESIDENTE. Questo è un documento della Commissione?

FRAGALA’. Questo è un documento della Gladio rossa depositato agli atti di Ionta e che Ionta non ha mai mandato a questa Commissione. Adesso lo deposito e lo do subito all’ammiraglio. E’ firmato dal tenente colonnello Cogliando. Quindi, Pecchioli da chi dipendeva, dall’Unione Sovietica? Seconda domanda: nelle liste Mitrokhin, oltre al nome dell’onorevole Cossutta c’è per caso il nome dell’onorevole Pecchioli?

MARTINI. Io non lo so. Come faccio a saperlo? Io non le ho viste. Ho guardato qualche nome, ma non è che sono andato a vedere il resto.

FRAGALA’. Quindi questo apparato dipendeva direttamente dai sovietici e controllava i dirigenti?

MARTINI. Sì, però facciamo lo stesso discorso che abbiamo fatto prima sul documento che il giudice Priore dice che era stato distrutto, non conosciuto. Un documento così, se non è avallato da altri documenti, non vale assolutamente niente. Questo non è un documento, questa è un’informativa fatta dal signor Cogliandro, che ha il valore di essere un pezzo di un mosaico che deve essere riempito.

FRAGALA’. Lei come sa che non ci sono altri documenti che lo confermano? Io le dico che ci sono altri documenti.

MARTINI. Se ci sono, il discorso è diverso.

FRAGALA’. Poiché lei si incontrava con Pecchioli, vorrei sapere se questa vigilanza, che dipendeva dall’ambasciata russa e addirittura zittiva Amendola in mezzo alla strada e decideva le espulsioni dal PCI, dipendeva dall’ambasciata russa non per difendere la nomenclatura ma per controllarla. Questo è il discorso che lei ha fatto poco fa, il patto di Yalta e così via.

MARTINI. Il fatto che l’ambasciata russa fosse coinvolta nel sistema di protezione e di vigilanza è anche normale. Per esempio, in caso di esfiltrazione è chiaro che i sovietici erano in condizione di muovere pedine che il PCI, da solo, non avrebbe potuto muovere. Anche questo conviene tener presente.

TARADASH. In nessun paese occidentale questo sarebbe stato considerato normale.

FRAGALA’. A suo avviso in Germania o in Inghilterra avrebbero consentito che l’ambasciata russa controllasse un organismo di vigilanza che vigilava su un partito politico e decideva chi doveva essere espulso?

MARTINI. Non so in Inghilterra, ma le posso dire che in Francia una cosa del genere succedeva. Le faccio io una domanda: lei ha sempre pensato che questo sia un paese impermeabile, con un perfetto controllo del territorio e così via. Cosa stiamo a discutere, non si può dare la colpa ai servizi se oltretutto non si da loro nè potere, nè i mezzi per funzionare in maniera piena! Anzi, bisogna dire la verità: sarà stato San Gennaro, sarà stata Santa Rita da Cascia o, diciamo lo stellone, per quelli che non sono religiosi, c’è andata fin troppo bene.

PRESIDENTE. Qualche prezzo lo abbiamo pagato.

BIELLI. Nei documenti della Commissione…. Credo che dobbiamo guardare ai documenti in nostro possesso, se c’è qualcuno che li ha per altre vie prendiamo atto che c’è anche qualche organizzazione parallela che fornisce documenti.

FRAGALA’. C’è la via giudiziaria, c’è il procuratore Ionta che ha un archivio su Gladio rossa che non ha inviato a questa Commissione.

BIELLI. Lo ha dato a lei!

FRAGALA’. Come cittadino ho il diritto di fare le fotocopie degli atti di tutti i processi in Italia.

BIELLI. Mi pare che stasera parliamo d’altro rispetto alle ragioni dell’audizione, stiamo pensando alla propaganda. Voglio farle presente che nei documenti in nostro possesso rispetto al PCI di quegli anni, con tutti i problemi che ci sono, si fa riferimento ad un aspetto: c’era una grande preoccupazione da parte dei comunisti italiani di un fatto vero, il golpe Borghese. Nessuno oggi contesta che nel 1970 ci fu un tentativo nel nostro paese che poteva condurre ad un colpo di Stato. Di fronte a fatti simili, che sono acclarati, mi chiedo: un partito di opposizione cosa deve fare se non pensare come salvare i propri dirigenti, come costruire una rete che in qualche modo, di fronte a fatti di questo tipo…

TARADASH. E’ in discussione il rapporto con l’Unione Sovietica.

BIELLI. Taradash, l’indecenza è una categoria che conosci bene. L’hai usata per il Presidente.

TARADASH. Non ho detto che il Presidente era indecente, non c’era alcuna offesa, ho detto che erano indecenti le argomentazioni.

BIELLI. Le tue argomentazioni sono indecenti.

TARADASH. Questo è consentito.

BIELLI. Qual è il partito che non si preoccupa di salvare i propri dirigenti in un periodo di contrapposizioni tra i due blocchi in cui, da una parte, c’era ovviamente il blocco occidentale con tutto quello che significava, ma dall’altra parte in quel periodo, se non ci fossero state le spie, se non ci fossero stati rapporti con l’altro blocco, saremmo fuori dal mondo. Il problema è verificare un’altra questione su cui si sta facendo propaganda in questa sede: se negli atteggiamenti del partito in qualche modo si utilizzavano meccanismi o altro che andasse contro le nostre leggi. Questo, stando ai documenti che ci sono, non mi pare sia il dato da acclarare. Non siamo di fronte a questo fatto perché dai documenti risulta una cosa molto semplice e abbastanza chiara da interpretare: il PCI chiede ai sovietici, di fronte a questo rischio se c’era la possibilità di tutelare i loro dirigenti. Sarei stato sorpreso se non ci fosse stato questo perché dovremmo contestare tutto quanto abbiamo detto fino ad ora: oggi, dopo la caduta del muro di Berlino riusciamo a parlare diversamente dei fatti del mondo: oggi c’è la possibilità di ragionare, di pensare in maniera diversa, in maniera corretta, ma rispetto a prima…

MARTINI. Il suo discorso mi convince fino a un certo punto se non fosse per il fatto che il Governo italiano e gli organi di sicurezza italiani non avessero avuto difficoltà, come anche in parte ha avuto il Governo francese con delle levate golliste particolari. Era difficile per noi giustificare questa apertura verso quello che ufficialmente era il nemico.

PRESIDENTE. Questo è implicito in quanto le dice Bielli.

BIELLI. Di fronte ad un presunto nemico…

MARTINI. Non era presunto, era reale.

BIELLI. Di fronte al nemico reale, come si deve comportare lo Stato italiano? Di fronte al fatto che c’è un partito che si muove in maniera corretta e che, all’interno delle istituzioni, si sta tramando per un colpo di Stato.

MARTINI. A parte il fatto che nutro dei dubbi sulla vicenda del 1970.

BIELLI. Lei avrà dei dubbi, io ho dei dubbi su alcune cose che lei ha affermato.

MARTINI. Anche io su molte di quelle che lei sta esprimendo.

BIELLI. Lo sapevo prima che lei arrivasse, altrimenti non le avremmo chiesto di essere qui. Se c’è un dato certo è che nel 1970 c’è stato un qualcosa di estremamente pericoloso. Nessuno lo contesta.

FRAGALA’. Lo contestiamo tutti. Una sentenza definitiva dell’autorità giudiziaria di Roma……

PRESIDENTE. Perché non fate finire la domanda?

FRAGALA’. Sta facendo un comizio. Stavo intervenendo con una domanda e mi ha interrotto per fare un comizio e per dire cretinaggini.

PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, lei aveva posto una domanda alla quale l’ammiraglio Martini ha risposto, ora la sta ponendo l’onorevole Bielli.

BIELLI. Onorevole Fragalà, si vedranno poi quali sono le verità. Un fatto è certo: manteniamo tra noi un rapporto un po’ diverso rispetto a quello che lei sta portando avanti.

TARADASH. Hai cominciato con dirmi che sono indecente.

BIELLI. Lo hai detto tu al Presidente per primo.

TARADASH. Non l’ho detto, non capisci le parole.

PRESIDENTE. Il verbale chiarirà questo aspetto. Penso però che l’onorevole Taradash abbia torto: lei ha detto che io mi sono comportato in maniera indecente e dunque, poiché l’indecenza sta nel comportamento, non capisco dove sia la differenza.

TARADASH. Lei che è un avvocato non sa la differenza tra dire ad una persona che è indecente e dire che certi argomenti sono indecenti?

PRESIDENTE. Lei ha affermato che stavo conducendo l’interrogatorio in maniera indecente, quindi ha accusato di indecenza il mio comportamento.

TARADASH. No, il metodo dell’interrogatorio.

PRESIDENTE. Il metodo dell’interrogatorio è il mio comportamento.

TARADASH. C’è una bella differenza tra l’argomentazione politica e l’offesa personale. Se non lo capite, appartiene alla vostra cultura non capirlo.

FRAGALA’. Ammiraglio, desideravo che lei mi dicesse se ha avuto delle notizie, ovviamente nella sua qualità di responsabile del servizio, prima a livello intermedio e poi a livello di direttore, su una fuga organizzata nel 1982, attraverso le linee aeree Aeroflot dall’Italia, del noto brigatista Casimirri, che fu portato da Roma a Mosca con un aereo dell’Aeroflot e, con un altro aereo, da Mosca in Nicaragua, dove diventò il consulente del Governo sandinista.

MARTINI. Questa storia non la conosco e nel 1982 non c’ero. Comunque, posso dirle che in Nicaragua organizzai un controllo, a cui seguì anche un rientro di brigatisti rossi, che ebbe un certo successo. Nel mio libro ho citato anche alcuni nomi, che adesso francamente non ricordo. Facemmo un’operazione di controllo, tra l’altro condotta da una donna, di coloro che si erano rifugiati in Nicaragua. Però non so niente dell’operazione del 1982 di cui lei parla.

PRESIDENTE. Quindi, riusciste a riprendere coloro che controllaste?

MARTINI. Una parte di loro decise di rientrare.

PRESIDENTE. E si consegnò alla giustizia?

MARTINI. Sì, nel mio libro sono indicati anche i nomi.

FRAGALA’. Allora lei mi sta dando una conferma: c’era – lo sospettavo ma non lo sapevo – un canale preferenziale per la fuga di militanti delle Brigate rosse (tra cui alcuni che avevano partecipato direttamente al sequestro Moro), che attraverso Mosca andavano in Nicaragua.

MARTINI. Però alcuni di questi non sono andati in Nicaragua attraverso Mosca; si sono recati all’estero normalmente, cioè hanno attraversato la frontiera e poi hanno preso l’aereo per il Nicaragua.

FRAGALA’. Allora, come direttore dei servizi, mi spieghi questo fatto. Nel 1982 – c’era ancora il muro – per un cittadino italiano riparare in Nicaragua attraverso Mosca era possibile solo con il consenso del servizio segreto sovietico oppure poteva farlo anche da turista?

MARTINI. Poteva farlo anche da turista. Credo che i sovietici avessero un controllo adeguato in entrata, però penso ci fosse qualche probabilità che ciò potesse avvenire anche senza l’appoggio deciso di Mosca. Lei vuole dimostrare…

FRAGALA’. Non voglio dimostrare, voglio chiedere.

MARTINI. Francamente, non potrei darle la certezza che tutto fosse organizzato dal KGB.

FRAGALA’. Quanti erano i terroristi delle Brigate rosse, che lei conosce, che sono riparati in Nicaragua?

MARTINI. Un certo numero, ma quelli che cito nel mio libro mi sembra che siano quattro o cinque.

TARADASH. Esattamente sono tre: Cauli, Guglielmi e Casimirri.

FRAGALA’. Quindi anche Casimirri.

MARTINI. Ma io ho visto Casimirri già lì, non so come ci fosse arrivato.

FRAGALA’. Un’ultima domanda riguarda il periodo in cui l’onorevole Scalfaro è stato Ministro dell’interno e lei mi sembra fosse direttore del servizio. Parlo del periodo 1985-1990. Vorrei chiederle se è a conoscenza di quell’operazione del servizio segreto militare su un informatore del KGB, che era segretario di un alto dirigente della RAI. La moglie di questo informatore era nella segreteria particolare dell’onorevole Scalfaro quando egli era Ministro dell’interno. Lei ricorda questa operazione condotta fra il 1985 e il 1988?

MARTINI. E’ la prima volta che ne sento parlare, ed ero anche direttore del servizio.

FRAGALA’. Per questo glielo sto chiedendo.

MARTINI. Ma lei è sicuro di questa operazione?

FRAGALA’. Sì, sono sicuro. Voi avete condotto due operazioni. Una riguarda il ruolo di informatore di un giornalista della RAI di Trieste, il cui nome in codice era "Serbo". Ricorda questa operazione? Lo avete smascherato.

MARTINI. Non ricordo. Può darsi che l’abbiamo smascherato, ma lei mi sta chiedendo di operazioni singole e non sono…

FRAGALA’. La seconda operazione era più delicata: la moglie di questo informatore, che era il segretario di un alto dirigente della RAI, era nella segreteria particolare dell’allora Ministro dell’interno, onorevole Oscar Luigi Scalfaro.

MARTINI. Non ricordo niente a questo proposito.

PRESIDENTE. Vorrei dare un senso ad un equivoco che penso sia sorto con l’onorevole Tassone e perciò vorrei porle un’ultima domanda. Secondo la valutazione del servizio, la rete informativa del PCI era di spionaggio? Perché adesso lo spionaggio è un delitto.

MARTINI. Noi pensavamo che fosse più che altro una rete di protezione. Del resto, cosa si intende per spionaggio? Cosa voleva sapere da noi l’Unione Sovietica?

PRESIDENTE. A me va bene la risposta che ha dato, ho capito. Sicuramente gli uomini della vigilanza del PCI non avevano niente da raccontare all’Unione Sovietica. E’ incredibile la storia del funzionario nella segreteria del Ministro dell’interno; quella era la spia che poteva servire. Ma questo lo capisco.

MARTINI. Comunque, nella rete di protezione vedrei poco spionaggio.

PRESIDENTE. Sono d’accordo con lei che era un’anomalia, che faceva parte dell’anomalia italiana.

MARTINI. La vera anomalia era una distorsione…

PRESIDENTE. Era l’anomalia della nostra democrazia, era una democrazia anomala, debole. Secondo il servizio, il KGB e la rete di cui parlavamo prima hanno fatto vittime, hanno ucciso qualcuno, sono mai stati operativi (salvo il periodo iniziale dei 400 che avevano continuato la resistenza per i fatti loro)? Negli anni Settanta ha avuto mai segnali di un’operatività offensiva di questa rete?

MARTINI. Della rete di protezione no, che io sappia.

PRESIDENTE. Lei ha difeso, come già altre volte – ed è logico e comprensibile -, la vicenda del servizio. Ha detto che avete avuto sempre pochi soldi, pochi mezzi, che eravate in una situazione di difficoltà. Però, al di là della sua esperienza personale, ritiene che il servizio di cui ha fatto parte non abbia niente da rimproverarsi? Ad esempio, tutta l’azione dell’ufficio di Maletti sull’indagine di piazza Fontana e altre…

MARTINI. Il servizio ha tante cose da rimproverarsi, però sono portato a dire che durante il mio settennato il Servizio ha molte meno cose da rimproverasi rispetto al passato. Tuttavia, si entra in una statistica italiana. Sarebbe strano che il servizio fosse formato solamente da Batman! Tutto questo rientra nella logica italiana.

PRESIDENTE. Più volte, anche nelle altre audizioni, lei ha posto sempre il problema dell’eccessiva attenzione che si è fatta sulla vicenda di Gladio; adesso, dopo anni, non c’è dubbio che il ruolo di Gladio è fortemente ridimensionato.

MARTINI. Ma lo era fin dall’inizio!

PRESIDENTE. Ma un tipo di lettura che se n’è fatto non sarebbe stata possibile se non ci fosse stata la protezione a Giannettini, la protezione a Pozzan, la protezione a vicende in cui un certo numero di italiani ha perduto la vita. Mi sembra che stiamo perdendo il senso delle proporzioni. Penso che in questo paese ci sia stato un anticomunismo ed un anticomunismo democratico. Penso anche che in questo paese all’anticomunismo sia stato pagato un alto prezzo di sangue oltre che una notevole caduta della legalità. Se non entriamo in questo ordine di idee non possiamo comprendere la storia né capire determinate reazioni.

FRAGALA’. Anche al comunismo si è pagato un grave prezzo di sangue.

PRESIDENTE. Non in questo paese.

MARTINI. Non ritengo che i comunisti siamo più stupidi della media nazionale: quando all’epoca della caduta del muro di Berlino gli si è messa in mano un’offa come era Gladio, poi discussa in una Commissione che, guarda caso, si chiamava Commissione stragi, ne hanno approfittato. Il discorso è chiaro, anche se adesso è stato ridimensionato.

PRESIDENTE. Anche negli atti della Commissione presieduta dal senatore Gualtieri, di cui io non facevo parte, l’equazione Gladio-stragismo è stata sempre negata.

MARTINI. Il primo che ha negato l’equazione è stato il giudice Salvini il quale, come prima cosa, ha ringraziato l’ammiraglio Martini perché altrimenti non avrebbe dato inizio all’operazione. Salvini ha sempre negato l’equazione.

PRESIDENTE. E’ noto che condividevo la posizione di Salvini e che in televisione ho avuto anche una lite con Casson proprio perché difendevo Salvini. A questo punto però lei dovrebbe riconoscere che se è vero che Salvini scagiona Gladio, è anche vero che non scagiona le istituzioni, altri settori dei servizi e gli stessi servizi alleati. Egli ribadisce che Gladio non c’entra nulla. In realtà dietro i ragazzi della destra eversiva che mettevano le bombe c’erano altri tipi di apparato istituzionale.

MARTINI. E’ evidente però che il sangue è stato versato da tutte le parti, perché non era un caso che le Brigate rosse si chiamassero così.

PRESIDENTE. Su questo non c’è dubbio; infatti io l’ho scritto.

FRAGALA’. Ma questi non sono delitti del comunismo. Questo non è sangue del comunismo.

PRESIDENTE. Fanno parte della storia della sinistra italiana e questo l’ho detto e scritto.

FRAGALA’. Cinque minuti fa non ha detto questo.

PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, se legge il documento che a Taradash è sembrato un romanzo giallo, potrà constatare che quanto sostengo è indicato con estrema precisione.

Ringrazio l’ammiraglio Martini per la sua disponibilità, considerando anche che è la quarta volta che viene audito da questa Commissione. Dichiaro chiusa la seduta.

La seduta termina alle ore 00,40 del 7 ottobre 1999.

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