Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

73a SEDUTA

MERCOLEDI 5 LUGLIO 2000

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

Indice degli interventi

PRESIDENTE
ALLEGRA
BIELLI (Dem. di Sin.-L’Ulivo), deputato
DOZZO (Lega Forza Nord Padania), deputato
FRAGALA' (AN), deputato 1 - 2 - 3
MANCA (Forza Italia), senatore
MANTICA (AN), senatore 1 - 2 - 3
MIGNONE (Misto Dem.-L'Ulivo), senatore

 

La seduta ha inizio alle ore 20.15.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito l'onorevole Fragalà, segretario f.f., a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FRAGALÀ, segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta del 4 luglio 2000.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

 

INCHIESTA SU FENOMENI DI EVERSIONE E TERRORISMO: AUDIZIONE DEL DOTTOR ANTONINO ALLEGRA.

Viene introdotto il dottor Antonino Allegra.

PRESIDENTE. Do il benvenuto all'onorevole Dozzo che, come in precedenza annunciato, ha sostituito la deputata Giovanna Bianchi Clerici.

Ringrazio il dottor Antonino Allegra di aver accettato il nostro invito e gli do la parola chiedendogli di ricostruire brevemente le date del suo impegno a Milano presso l'ufficio politico della questura, per permettere così ai commissari di rivolgere successivamente alcune domande. In particolare chiedo al dottor Allegra di fare riferimento al periodo dal 1968 in poi.

ALLEGRA. Ho assunto la direzione nel febbraio 1968, pochi giorni prima dell'occupazione dell'università di Milano e dell'inizio formale della contestazione. Sono andato via da Milano nel gennaio del 1973 perché avevo avuto la promozione a vice questore e questa non era compatibile con l'incarico che avevo prima.

PRESIDENTE. Potrebbe descriverci qual era l'atmosfera di quel periodo, con riferimento alla contestazione studentesca, all'"autunno caldo", alla morte dell'agente Annarumma, agli scontri di via Solferino?

ALLEGRA. I fenomeni contestativi a Milano non sono apparsi improvvisamente, sono stati preceduti da certi atteggiamenti quali il rifiuto di un certo modello borghese. Soprattutto c'è stato prima un fenomeno che ritengo importante: persino nelle file del Partito comunista c'era un fenomeno di antirevisionismo; i giovani non erano soddisfatti dell'atteggiamento del loro partito e si erano posti in una posizione se non di conflittualità, senza dubbio di critica. Anche nella parte cattolica c'era qualcosa del genere. Tutte queste situazioni cominciavano a far pensare che, quando si fossero saldate queste diverse istanze contestative, potesse verificarsi una contestazione generale. Era allora questore di Milano il dottor Parlato, una persona molto sensibile, con il quale ho avuto un ottimo rapporto e con il quale discutevo dell'opportunità di organizzarci per poter fronteggiare una simile evenienza. I fenomeni contestativi di una certa importanza si verificarono molto prima di quanto avevamo preventivato. Il 17 febbraio 1968 vi fu a Milano una manifestazione che ritengo importante. Credo sia stata l'ultima grande manifestazione indetta dalla Consulta per la pace sul problema del Vietnam. In quella circostanza i gruppi cosiddetti filomaoisti, che in realtà erano gli antirevisionisti, formarono una sorta di contro corteo. Il corteo principale percorse tutte le vie del centro dirette a piazzale Loreto, passando davanti al consolato americano. Da parte degli organizzatori e di chi partecipava al corteo ufficiale non c'era volontà di creare incidenti, ma quelli che erano più indietro cominciarono a lanciare oggetti e pietre e alla fine vi furono scontri di una certa importanza. La cosa finì lì, ma erano i primi sintomi che la situazione cominciava a diventare se non più allarmante, più preoccupante. Il 22 febbraio vi fu l'occupazione dell'università statale che fu possibile anche perché, tre mesi prima, nel novembre 1967, vi era stato un inizio di contestazione alla "Cattolica", anche se non molto chiara, nel senso che si parlava dell'aumento delle tasse e sembrava una delle tante manifestazioni di protesta contro le autorità scolastiche. Invece c'era qualcosa di più. In effetti, vi fu una occupazione che si risolse in poco tempo perché il rettore, professor Franceschini, richiese il nostro intervento e noi la stessa notte sgombrammo l'università. Le autorità accademiche presero un provvedimento nei confronti di tre dei loro iscritti che ritenevano fossero gli organizzatori di questa manifestazione e che erano Mario Capanna, Spada e Luciano Pero che di autorità furono trasferiti all'università statale. Vi fu allora una confluenza di forze diverse di varie estrazioni, poi quando iniziò la contestazione confluirono anche persone che con l'università non avevano niente a che vedere e si creò un primo nucleo di contestazione violenta, anche perché, mentre in passato non si pensava di reagire quando la polizia decideva un divieto, da quel momento i ragazzi si premunirono di caschi, scudi e così via e cominciò una conflittualità molto più violenta di quanto fosse accaduto in precedenza. Rispetto a questa contestazione, che poi fu definita globale, ci si accorse che la richiesta sul piano accademico e scolastico prevedevano un altro assetto, non si potevano ottenere senza modificare certi aspetti della struttura statale e quindi la contestazione dall'ambiente scolastico e accademico finì per orientarsi in altra direzione, cominciò a diventare quello che si potrebbe definire un movimento piuttosto rivoluzionario. È chiaro che ci preoccupavamo non tanto dell'impatto in sé, perché la nostra era una democrazia e aveva i mezzi per risolvere certi problemi in via pacifica piuttosto che attraverso gli scontri. Però, avevamo chiaro che da questo formarsi di forze contestative eterogenee, potessero nascere anche filiazioni più o meno pericolose. Questa era la nostra preoccupazione, tanto che, dopo i primi mesi, dopo un continuo tumultuare di assemblee, si cercò anche da parte del movimento studentesco di trovare un terreno ideologico unico per tutti i contestatori, ma si verificarono situazioni centrifughe. C'era il gruppo anarchico individualista che andava per conto suo, c'era il gruppo dell'unione italiana marxisti-leninisti che andava per conto suo, poi con il tempo, si costituirono altre formazioni come Avanguardia operaia, Lotta continua, Potere operaio che già esisteva ma non sotto questa forma.Quindi, nonostante i nostri sforzi, la situazione si andava aggravando ogni giorno di più; anche perché – questo è piuttosto un giudizio personale – se chi ne aveva il potere avesse studiato bene il fenomeno e avesse cercato delle soluzioni, forse si sarebbe potuto non dico eliminare ma senza dubbio attenuare questa sfida, che poi, con il passare del tempo, portò anche a conseguenze tragiche.

PRESIDENTE. Devo chiederle soltanto due chiarimenti. In primo luogo, la radicalizzazione di opposto segno politico quando comincia a manifestarsi a Milano?

ALLEGRA. Comincia a manifestarsi già all’inizio. Nel momento in cui viene occupata l’università, vengono interrotte le lezioni, vengono interrotti gli esami, da parte di altri vi era la volontà di opporsi in qualche maniera: "Io voglio andare a studiare!". Lì cominciano i primi scontri; ma la situazione era impari: il Movimento studentesco comprendeva una grande massa di persone, gli altri invece non erano che una piccola parte e appartenevano ad alcune organizzazioni (non è che ce ne fossero molte poi), come il FUAN, l’organizzazione universitaria di estrema destra. L’organizzazione più attiva comunque era quella dei giovani, che erano più numerosi, la Giovane Italia.

PRESIDENTE. E da parte vostra, un’attività di monitoraggio dall’interno di questi nascenti gruppi rivoluzionari di sinistra iniziò immediatamente? La faceste? Ci pensaste?

ALLEGRA E’ chiaro, ci pensavamo. Seguivamo con attenzione per vedere cosa si andava formando.

PRESIDENTE. Non mandavate qualche poliziotto con i capelli lunghi a fare pure lui delle assemblee?

ALLEGRA. Con i capelli lunghi non ce n’erano.

PRESIDENTE. Con i capelli corti lo avrebbero riconosciuto subito. Non pensaste di farli crescere a qualcuno?

ALLEGRA. Alcuni nostri poliziotti erano già studenti, quindi non c’era bisogno che si camuffassero: avevano la possibilità di essere presenti in qualche assemblea e comunque di avere dei rapporti.

PRESIDENTE. Per dirla chiara, non pensaste di infiltrare questi gruppi immediatamente?

ALLEGRA. Di infiltrazione se ne parlò tanto, ma non abbiamo avuto questa…

PRESIDENTE. Mi sembra però – come dire – una grave mancanza, visto che quei movimenti erano permeabilissimi, almeno nella fase iniziale.

ALLEGRA. Infatti, come le dicevo, avevamo dei nostri poliziotti-studenti che erano in condizione di avere rapporti con il movimento studentesco. Poi, molte cose riuscivamo a saperle perché avevamo contatti continuati, tutti i giorni, anche con i maggiori contestatori. Dai dialoghi e dai colloqui che c’erano molte cose si capivano. E’ quando non si parla che non si …

PRESIDENTE. L’impressione che stessero cominciando forme di compartimentazione, quindi di clandestinità di questi gruppi, quando iniziaste a percepirla? Quand’è che dal movimento, dalla contestazione dichiarata nasce Prima linea?

ALLEGRA. Nasce dopo. La prima enucleazione, se così si può chiamare, ma che è nell’essenza stessa dei fatti, è quella di un gruppetto che si definiva "anarchici individualisti". Anche il Movimento studentesco a volte cercava di emarginarli perché non corrispondevano alla sua logica. Era un gruppo che bazzicava la zona di via Brera, via Madonnina, quella parte lì. Iniziarono a fare dei piccoli attentati; il primo addirittura nel marzo 1968, contro la Dow Chemical. Lasciarono un volantino che in parte rimase bruciacchiato, ma dai pezzi che rimasero fu in parte ricostruito. Un altro attentato si verificò pochi mesi dopo, nel maggio, contro la Citroen, in concomitanza con il famoso "Maggio francese". Poi via via se ne verificarono altri. Erano attentati dimostrativi, anche perché non erano molto potenti. Erano realizzati con ordigni rudimentali, a base di nitrato di potassio. Tuttavia nell’agosto di quell’anno, 1968, vi è stato un grosso allarme per il rinvenimento a "La Rinascente" di Milano di un ordigno esplosivo incendiario che fortunatamente non esplose. Abbiamo creduto allora che la mancata esplosione dipese dal fatto che la forza che la pila dava alla resistenza elettrica per fare incendiare il nitrato di potassio non era stata sufficiente.

PRESIDENTE. In che data avvenne?

ALLEGRA. Nell’agosto 1968, mi sembra il 31. Un altro ordigno, sempre a "La Rinascente" venne trovato nei giorni precedenti il Natale 1968. Il sistema più o meno è lo stesso però questa volta al posto della resistenza venne messo un fiammifero "contro vento". Si erano resi conto che il primo ordigno non era esploso perché la resistenza non aveva avuto forza sufficiente per far incendiare il nitrato di potassio e quindi usarono quest’altro sistema. L’attentato non riuscì perché un guardiano notturno vide l’ordigno e staccò i fili. Questo episodio ci fece molto preoccupare. Il primo di questi attentati fu rivendicato in forma diversa. Infatti, i piccoli attentati di cui dicevo prima (contro il Banco ambrosiano, la Banca d’Italia, la Chiesa di San Babila) venivano rivendicati con un volantino scritto a stampatello ciclostilato in parecchie copie e lasciato sul posto. Quelli de "La Rinascente", invece, furono rivendicati in maniera diversa. Perché non potevano lasciare un volantino sul posto in cui si presumeva che si sarebbe verificato un incendio; e allora fu mandata una lettera, a firma "Gruppo anarchico Ravachol" che giunse in questura. Naturalmente queste cose ci preoccuparono e fu questo il motivo – l’abbiamo detto mille volte, forse non ci credono, non lo so – per cui noi avevamo la percezione che la cosa avvenisse nella zona di Brera. Fra le altre cose, da quelle parti bazzicava anche il Feltrinelli, allora, che pubblicava il famoso "Tricontinental", che invitava la gente a fare la rivoluzione anche a livello individuale: chi va in un supermercato e non paga compie un atto rivoluzionario. Nella rivista "Tricontinental" in prima pagina si diceva: "Chi vuole fare la rivoluzione non a parole si guardi l’ultima pagina di copertina". Nell’ultima pagina di copertina era descritta la confezione rudimentale di un’arma o di un ordigno esplosivo. Anche sulla base non dico di confidenze precise, ma di notizie che si riuscivano ad acquisire nell’ambiente, avevamo il sospetto che lì, nella zona di Brera, ci fosse qualcosa su cui dovevamo porre attenzione.Occorre chiarire una volta per sempre certe cose. Noi contattammo alcuni esponenti dell’anarchia, che consideravamo ideologicamente più maturi e quindi meno propensi a fare delle azioni pericolose, se vogliamo anche irrazionali. Tra questi cito appunto il Pinelli, Amedeo Bertolo e qualche altro di cui non ricordo il nome. Amedeo Bertolo lo conoscevamo dai tempi del sequestro del vice consolo spagnolo Isu Elias; li consideravamo gente che dava un certo affidamento.

PRESIDENTE In che periodo siamo?

ALLEGRA. Verso la fine del ‘68 e agli inizi del ’69, in quell’inverno lì. Non ci illudevamo che queste persone ci dicessero se sapevano, ammesso che lo sapessero, chi faceva questi attentati. Abbiamo però fatto un ragionamento, e non è stata l’unica volta (il senatore Mantica che è qui presente sa che lo facevamo anche in altre direzioni), quello cioè di chiamare delle persone responsabili, avere dei colloqui, e dire: "signori, stiamo attenti, può succedere questo e quest’altro"; è chiaro che non ci aspettavamo che ci dicessero queste cose, ammesso che lo sapessero, naturalmente. Avrebbero però potuto convenire sulle nostre considerazioni. Noi dicevamo che fino a quel momento non era accaduto niente ma se un domani ci fosse "scappato il morto" la faccenda poteva iniziare a diventare grave. Quindi anche dal punto di vista dell’interesse del movimento non era una cosa che poteva essere utile. Era un ragionamento che noi forse facevamo anche in senso utilitaristico, se si vuole, però era anche un ragionamento logico. Quindi speravamo che questi soggetti avessero la possibilità di dire: "Signori, smettetela con queste cose qui perché non serve a nessuno". Questo ci avrebbe lasciati un po’ più tranquilli anche a noi. Invece i fatti continuarono, tant’è vero che Della Savia e un certo Braschi andarono nel bergamasco e rubarono un certo quantitativo di esplosivo da mina, che utilizzarono per diversi attentati, tra gli altri, quello del palazzo di giustizia di Livorno del Natale del ‘68 e quelli di Genova e di Roma (al palazzo di giustizia, al Senato e mi sembra al Ministero della pubblica istruzione). Si è trattato anche di attentati gravi, perché, pur essendo compiuti di notte e non avendo fatto vittime, erano di una potenzialità che cominciava ad essere preoccupante. Questo esplosivo Braschi e Della Savia se lo erano diviso. Sembra anche che una parte era stata sottratta da altri e utilizzata per altri attentati. Uno di questi riuscì, quello contro l’ufficio spagnolo del turismo; un altro contro la caserma Garibaldi non riuscì perché l’ordigno non esplose; un altro ancora non fu portato a termine perché un giovane, che aveva questo involucro in mano, fu sorpreso da una guardia giurata e scappò lasciando l’involucro che conteneva questi candelotti di esplosivo. Questo avveniva a marzo del ’69. Si sa poi che il 25 aprile avvengono quei due attentati alla fiera di Milano e all’ufficio cambi della stazione di Milano. In quella circostanza noi naturalmente accentuammo le indagini. Vorrei premettere che qualche tempo prima, anche sulla base di una informazione, dopo un attentato alla biblioteca ambrosiana facemmo una perquisizione a casa di un certo Francesco Bertoli, in via Lanzoni se non ricordo male, e trovammo dell’esplosivo. Questo tizio fu arrestato, fu poi processato e così via; ma credo che ciò non abbia nulla a che vedere con questi fatti successivi. In quei giorni noi perciò intensificammo le indagini le quali ci portarono al fermo di Paolo Braschi e poi di Faccioli.

PRESIDENTE. Dopo le bombe all’ufficio cambi e alla fiera.

ALLEGRA. Infatti.

PRESIDENTE. Ma il fatto che quelle bombe esplodessero il 25 aprile non vi diceva niente? Cioè, vi sembrava una data in cui degli anarchici avrebbero potuto fare un attentato? Non era più facile pensare che fossero quelli che ritenevano il 25 aprile una data infausta?

ALLEGRA. Le dirò una cosa. Il 25 aprile 1955 io ero a Milano e c’erano delle manifestazioni contro tale ricorrenza da parte della destra; ricordo persino che furono diffusi dei volantini nei quali si considerava il 25 aprile un lutto nazionale. Noi in quella circostanza individuammo alcuni ragazzi ed un signore che diffondevano questo volantino i quali furono processati. Era molto interessante sapere come la pensava la magistratura; noi li denunciammo per vilipendio alle forze di resistenza. Ma, dopo quella volta, il 25 aprile era sempre passato più o meno senza tanti problemi. Forse una volta – ma non ricordo se era il 25 aprile, forse sì - furono messi dei simulacri di bombe nei pressi di certi obiettivi, che non ricordo quali erano, e noi scoprimmo che erano delle latte che contenevano del gesso con dei fili che uscivano fuori con scritto "pericolo di morte"; praticamente era uno scherzo: il 25 aprile del ‘69 tutto si poteva pensare, anche che fossero stati elementi di destra. Però non è che la fiera di Milano, così come "La Rinascente", fossero obiettivi ben visti anche dagli estremisti di sinistra, in particolare anche dagli anarchici. Quindi, siccome avevamo queste prime indicazioni, poi le sviluppammo ed esse portarono alla scoperta che un certo numero di attentati erano stati fatti proprio da Della Savia, Braschi e Faccioli. Noi allora procedemmo nei confronti di costoro e di chi ritenevamo che stesse sopra di loro. Occorre anche chiarire una cosa. Nel rapporto che noi facemmo alla magistratura - che sicuramente la Commissione ha - noi denunciammo per reati commessi realmente Della Savia, Faccioli e Braschi.

PRESIDENTE. Che erano sempre gli anarchici.

ALLEGRA. Sì. Li denunciammo per quei fatti in ordine ai quali si era raggiunta la prova assoluta. Per altri reati li avevamo denunciati come sospetti. Cioè, non avevamo detto che erano loro ma che sospettavamo che fossero loro per dei motivi che specificammo nel rapporto, che posso solo accennare perché non ricordo con precisione: in particolare, perché avevano usato il nitrato di potassio, perché c’era un interruttore all’esterno della borsa e questo corrispondeva ad un ordigno il cui schizzo avevamo trovato in una tasca del Faccioli, perché il Faccioli e il Della Savia in quei giorni si sono trovati a Milano e alcuni giorni prima erano stati a Livorno, dove avevano utilizzato un saldatore elettrico del Braschi in sua assenza e perché pochi giorni prima era stato acquistato un chilo di nitrato di potassio in via Lanzoni. Erano tutti elementi che potevano far supporre che, così come avevano fatto in precedenza, avevano fatto anche questa volta. Premetto anche che l’attentato alla stazione di Milano all’ufficio cambi aveva molta analogia con quello de "La Rinascente" perché, da quanto arguimmo dall’ordigno esploso, questo doveva essere formato da esplosivo al nitrato di potassio e da una bottiglia incendiaria, che poteva essere di benzina, trielina o cose del genere. Aveva molta similitudine con quello de "La Rinascente". Quando riferimmo al magistrato dicemmo che di alcuni reati eravamo sicuri che fossero stati commessi da loro, mentre per alcuni altri sospettavamo che fossero stati loro. Questa vicenda è consacrata in un rapporto che sicuramente molti dei commissari avranno avuto modo di vedere e che credo sia a disposizione della Commissione.

PRESIDENTE. Ormai sono passati trentuno anni dal 1969. Vi è stata una serie di accertamenti giudiziari e ritengo che lei oggi sappia che gli attentati dinamitardi avvenuti nella primavera di quell’anno venissero dall’opposta radicalizzazione. Nel leggere la sentenza relativa alla strage di Bologna colpisce soprattutto il fatto che la ricostruzione di tale strage è su base indiziaria; però nel ricostruire la credibilità degli indizi i giudici bolognesi fecero un lunghissimo elenco di attentati attribuiti in sede giudiziaria sicuramente a gruppi di giovani dell’estrema destra. Lei oggi, a distanza di trentuno anni, sulla vicenda dell’ufficio cambi e della fiera di Milano non opera nessun ripensamento? E’ sempre convinto che siano stati gli anarchici?

ALLEGRA. Non ne sono affatto convinto, come del resto non ne ero convinto neanche allora, anche se non posso escluderlo. Il nostro rapporto è chiaro. Non abbiamo mai affermato che questi attentati sono stati eseguiti da tali persone e per quanto riguarda i fatti di Bologna cui lei accennava io ignoro quali elenchi siano stati fatti. Mi devo riferire alla realtà che conosco, avendo vissuto a Milano. Gli attentati che ci furono a Milano in quel periodo sono quelli. Vi furono anche degli attentati di destra ma avvennero molto prima, negli anni 1964-1965.

MANTICA. In primo luogo mi permetto di ricordare al presidente Pellegrino che a Milano esiste una tradizione anarchica.

PRESIDENTE. Mi sembra che continua ad esistere.

MANTICA. Questa tradizione nasce da una vicenda precisa: l’attentato al Diana del marzo del 1921 fatto per protestare contro la detenzione del Malatesta, che non voglio dire che appartenesse agli anarchici, ma non è stupefacente che ad aprile si registrassero degli attentati anarchici.

Nel ringraziare il dottor Allegra per essere intervenuto questa sera, mi permetto di rivolgergli alcune domande partendo in primo luogo da una premessa che certamente il presidente Pellegrino considererà un mio ricordo personale. Quando ha fatto la domanda sulle infiltrazioni o sui tentativi di infiltrazioni, devo dire che negli anni 1968-1969 la DIGOS di Milano aveva questa capacità di affiancare o di introdurre negli ambienti allora ufficiali, sia di destra che di sinistra, funzionari ai quali nessuno diceva mai niente, ma che alla fine della serata dopo aver parlato con venti o trenta persone della stessa area venivano a conoscenza di molte cose. Era una tecnica consolidata e visto che ho parlato di ricordi personali il mio addetto era l’agente Berolo che mi seguiva più o meno ovunque. Fino al 12 dicembre 1969, vale a dire l’attentato alla Banca dell’agricoltura meglio conosciuto come strage di piazza Fontana, alla DIGOS di Milano risultarono mai bombe o comunque attentati con esplosivi fatti dall’estrema destra milanese?

ALLEGRA. Senatore Mantica, l’attentato al Diana del 1921 fu fatto contro il questore Gasti che si salvò perché quella sera doveva andare ad una cerimonia – mi pare fosse uno spettacolo teatrale – cui all’ultimo momento non andò per ragioni di lavoro. C’è poi un altro attentato del 1928 contro il re durante l’inaugurazione della fiera in piazza Giulio Cesare. In ogni caso i nostri elementi non si "intrufolavano"; ci limitavamo a tenere dei contatti. Voglio chiarirlo ancora una volta perché tante volte si parla di infiltrati come di agenti provocatori. Così non è.

PRESIDENTE. Le mie parole non erano intese in questo senso.

ALLEGRA. Signor Presidente, parlavo in generale, perché mi è capitato di sentire anche queste affermazioni. In effetti una delle armi migliori di un ufficio che funziona è di avere continui rapporti personali, magari non di amicizia stretta ma comunque buoni rapporti di vicinato o comunque di conoscenza, perché da una parola si vengono a sapere tante cose. Certamente non tutto, ma quanto basta talvolta per avviare in una certa direzione determinate indagini. Ritengo pertanto che tale rapporto sia una cosa normale.

MANTICA. Lei mi conferma che fino al 12 dicembre 1969 l’ufficio DIGOS di Milano…

ALLEGRA. Allora, si chiamava ufficio politico.

PRESIDENTE. La interrompo per un attimo, senatore Mantica, perché vorrei precisare quanto avevo precedentemente detto. La sentenza della Corte di assise di Bologna del 16 maggio 1994 enumera diciassette su ventidue attentati terroristici, avvenuti tra l’aprile e il dicembre 1969, di cui afferma essere pacifica l’attribuibilità a Freda e Ventura.

MANTICA. Mi scusi, signor Presidente, ma noi stiamo parlando di Milano.

PRESIDENTE. Infatti, la mia intenzione era soltanto di fare una precisazione rispetto a quanto io avevo detto precedentemente.

MANTICA. Quando il prefetto Mazza nel 1970 scrisse quel famoso rapporto, voi contribuiste? In ogni caso lei ritiene che quel rapporto fosse veritiero e descrivesse la situazione milanese come la conoscevate, o a suo modo di vedere, era carente in qualche parte?

ALLEGRA. Il rapporto Mazza del 1970 è il rapporto Mazza. E’ chiaro che il prefetto Mazza si avvalse di informazioni che furono richieste a noi. Ricordo infatti che allora facemmo un rapporto indicando movimento dopo movimento, di estrema destra e di estrema sinistra, indicando il numero approssimativo di quelli che ne facevano parte, il numero di coloro che nell’ambito di ciascun gruppo consideravamo i più pericolosi. Su diecimila persone vi sono sempre cinquecento disposti a battersi mentre gli altri sono sempre pronti a scappare. Questo era il quadro che davamo. Bisogna inoltre ricordare la situazione esistente all’epoca a Milano. Una situazione veramente invivibile, per non parlare poi delle grandi manifestazioni, dei grandi blocchi stradali e degli scontri di piazza. Il prefetto Mazza ha preso da noi le informazioni sui gruppi di cui lui parla, come del resto anche alcuni orientamenti. Era una persona di grande cultura e perciò in grado si giudicare da sé.

MANTICA. Secondo lei, perché subito dopo la strage di piazza Fontana sia l’ufficio politico della questura di Milano, sia il sostituto procuratore Vittorio Occorsio di Roma (dove vi furono attentati che non ebbero l’effetto che purtroppo ebbero a Milano), indirizzarono le indagini sugli anarchici?

ALLEGRA. Questo non è vero. Quando avvenne il fatto così grave non eravamo in grado di fare una simile supposizione, non era nel nostro costume, nella nostra educazione e nella nostra preparazione professionale. Il fatto che in altri ambienti possano essere stati fatti certi ragionamenti è qualcosa di pericolosissimo, come del resto è pericolosa la teoria del cui prodest perché si rischia di indirizzare le indagini su piste sbagliate facendo anche perdere tempo prezioso. In questi casi ogni ritardo è pregiudizievole per le indagini.

MANTICA. Mi riferivo alle ore subito dopo la strage di piazza Fontana.

ALLEGRA. Non dicemmo con certezza che si trattasse di certi o di altri, anche se ognuno di noi aveva una propria ipotesi. La cosa certa era che fosse necessario cominciare le indagini sugli elementi a disposizione: chiunque poteva aver commesso il fatto, anche un folle. La nostra prima preoccupazione quella sera concerneva le conseguenze che un attentato del genere potesse provocare sull’ordine pubblico a Milano. Questo fu il motivo per cui alla fine si decise di accompagnare, anche coattivamente, in questura il maggior numero possibile di esponenti di gruppi di estrema destra e di estrema sinistra, oltre ad elementi che ritenevamo, per precedenti ragioni, maggiormente sospettabili. Non bisogna dimenticare un aspetto, secondo me, importante: nel momento in cui agiva il gruppo Della Savia, Faccioli, eccetera, che ritengo rispetto ad altri anarchici che frequentavano la stessa zona su una posizione elitaria nei confronti di Feltrinelli perché gli altri venivano poco considerati, tra questi vi era anche Valpreda, il quale costituì un gruppetto di due o tre persone con i quali stampava un giornaletto, il cui titolo era "Terra e libertà" oltre ad un manifesto intestato "L’iconoclasta" per il quale noi li denunciammo per offesa a Capo di uno Stato estero e, cioè, il Papa. L’opuscolo "Terra e libertà" conteneva frasi quali: "si sono verificati per ora questi attentati; la polizia naviga nel buio ma altri ne arriveranno; i borghesi devono avere paura; e finiva con le altre: sangue, bombe ed anarchia". Questo era il linguaggio utilizzato da questo signore. Non indagammo su di lui per il semplice motivo che eravamo a conoscenza del fatto che aveva lasciato Milano. Quindi nel caso si fosse resa necessaria una indagine su di lui ritenemmo lo avrebbe fatto qualcun altro. Se avessimo saputo in quei giorni che era a Milano avremmo anche indagato su di lui non fosse altro per questo precedente; questo però è normale. Che cosa abbiamo fatto noi? Abbiamo accompagnato in questura tante persone innanzitutto evitando in tal modo eventuali fatti che sarebbero potuti succedere in piazza l’indomani. Questo era lo scopo principale della nostra iniziativa. Nel frattempo, pur nella difficoltà dei tanti impegni di quei giorni tremendi, cominciammo a chiedere a queste persone che cosa avessero fatto ed esse, man mano, fornivano alibi: alla nostra domanda su cosa avessero fatto nel pomeriggio costoro davano risposte, a volte credibili, per cui non si rendeva necessario riscontrarne la veridicità; qualche volta, al contrario, si è proceduto ad un loro riscontro. L’unico riscontro che non risultò vero fu quello concernente Pinelli, il quale raccontò di essere uscito di casa per andare al bar dove aveva giocato a carte fino alle 17.00 circa quando se ne era andato. Recatici quindi sul luogo, il gestore del bar e suo figlio ci dissero che aveva preso il caffè con un’altra persona ed era andato via. Abbiamo dovuto procedere ad ulteriori indagini, non ritenendo sufficiente la prima dichiarazione del gestore e di suo figlio i quali il giorno dopo furono interrogati più volte per chiedere conferma ufficiale di quanto raccontato e capire, dunque, il motivo per cui lui non lo avesse detto. Avevamo proceduto alla perquisizione; non ricordo esattamente se avevamo già riscontrato che quel giorno aveva consegnato un assegno ad un certo Sottosanti; non mi ricordo se lo riscontrammo lo stesso giorno o il giorno dopo. Personalmente dirigevo l’ufficio; i colleghi mi riferivano delle indagini, gran parte delle quali svolgevano direttamente. L’interrogatorio avviene il giorno 14. La sera dello stesso giorno la questura di Roma chiede notizie di Valpreda e alla nostra risposta negativa chiede di cercarlo perché nuovamente scomparso da Roma e sospettato, sulla base di informazioni provenienti dal Circolo XXII marzo.

PRESIDENTE. Su cinque due erano poliziotti.

ALLEGRA. Uno solo di loro, un certo Ippolito se non sbaglio, era poliziotto.

PRESIDENTE. Diciamo che si trattava di un circolo infiltrato. Riemerge anche in altre vicende. Personalmente penso che debba esistere. L’infiltrazione è una delle cose da fare; non la considero affatto negativamente. Diverso è il passaggio dall’infiltrazione all’agente provocatorio; diversa ancora è la strumentalizzazione.

ALLEGRA. L’infiltrazione può essere effettivamente pericolosa.

PRESIDENTE. Oggi io darei una medaglia a coloro che si infiltrassero tra quelli che hanno ammazzato D’Antona.

ALLEGRA. Non è necessario procedere ad infiltrazioni; si può arrivare a delle conclusioni anche attraverso delle buone indagini.

MANTICA. La sera del giorno 14 dicembre 1969 fu chiamato da Roma perché non trovavano più Valpreda?

ALLEGRA. Lo cercavano in quanto erano giunte loro delle informazioni: parlavano, innanzitutto, di un deposito di esplosivi, se ricordo bene, fuori Roma; comunque sia Valpreda si era allontanato da Roma. Tra l’altro, eravamo ridotti al lumicino quando ricevemmo la telefonata alle 10 di sera; decidemmo comunque di riunire gli uomini disponibili per cercare a tutti i costi Valpreda. Si formò allora la squadra che cominciò a cercarlo la mattina dopo; non lo trovarono a casa; la nonna, presso la quale si recarono successivamente, disse che quella mattina si doveva recare al Palazzo di Giustizia. Quindi la squadra si recò là, dove lo trovarono. Venne condotto in questura ed avvertita la questura di Roma venne lì inviato, accompagnato da un funzionario.

PRESIDENTE. Nel frattempo con l’ufficio affari riservati del Viminale avevate rapporti e riferivate i vostri risultati?

ALLEGRA. Riferivamo al Ministero tutto quanto succedeva; per le cose di competenza degli affari riservati riferivamo all’ufficio competente.

PRESIDENTE. Quanto di tutto quello che ci ha raccontato faceva parte della competenza di questo ufficio?

ALLEGRA. Questo ufficio non svolgeva indagini. Era nostro compito farle. Noi riferivamo gli effetti, i risultati e per quanto riguarda altri campi non criminosi riferivamo sulle notizie importanti che potevano interessare il centro.

PRESIDENTE. Per esempio?

ALLEGRA. Si veniva a sapere che si costituiva una nuova organizzazione che poteva avere determinati obiettivi. Allora si scriveva affinché il centro fosse in condizione di controllare se analoghe informazioni fossero pervenute da altre parti dello Stato.

MANTICA. Siamo arrivati quindi a capire perché ad un certo punto Pinelli e Valpreda in una platea di "osservati speciali" diventarono…

ALLEGRA. Non si trattava di osservati speciali, o meglio, senatore Mantica, diventarono osservati speciali più tardi. Non è che noi ci aspettassimo che lui mettesse in opera l’operazione che gli avevamo richiesta, tuttavia speravamo che la manifestazione di buona volontà da parte degli elementi più responsabili potesse essere utile. Dopo un po’ di tempo, tuttavia, abbiamo cominciato ad avere qualche sospetto su Pinelli, sia per certe frequentazioni, sia per le sue dichiarazioni dal momento che prima aveva affermato che era impossibile che gli attentati fossero stati condotti da elementi anarchici e altresì che se ne fosse stato informato sarebbe stato comunque il primo a prenderli a calci nel sedere, per poi successivamente impegnarsi al massimo per aiutarli e fargli avere i mezzi necessari per l’assistenza legale. Tra l’altro ci risultava che egli avesse delle frequentazioni all’estero, aveva molti rapporti perché metteva il naso un po’ dappertutto. La mia impressione è che Pinelli fosse una persona che non intendesse in alcun modo essere enucleata o messa da parte, ma volesse essere un protagonista. In tal senso va collocata anche una letteraccia inviatagli dalla signora Vincileoni che era la moglie di Corradini, un personaggio coinvolto nella vicenda di via Madonnina. Allora non esisteva il termine sorvegliato speciale, questa espressione appartiene ad un’altra epoca, Pinelli e Valpreda erano persone che comunque noi tenevamo in considerazione.

MANTICA. A proposito dei rapporti internazionali del Pinelli vi risulta quindi che ricevesse nell’ottobre 1969 dell’esplosivo da Parigi?

ALLEGRA. Avemmo questa informazione, tuttavia purtroppo non potemmo riscontrarla, nel senso che la prova certa non l’abbiamo mai avuta. In ogni caso era notorio che fosse in qualche maniera stato contattato e coinvolto in una faccenda che riguardava la Grecia.

MANTICA. Infatti l’esplosivo che proveniva da Parigi avrebbe dovuto essere destinato alla Grecia?

ALLEGRA. Queste erano le voci che correvano allora, o meglio erano voci estremamente diffuse. In ogni caso ci risultava che avesse rapporti con una signora francese di cui non ricordo il nome e con un certo Jean Pierre De Nanter che era uno di quei personaggi che si erano messi in vista nel famoso maggio francese; mi sembra tra l’altro che si trattasse di un soprannome perché credo che in realtà si chiamasse Deteuil. Dico questo perché successivamente attraverso un identikit riuscimmo anche ad immaginare chi potesse essere, visto che si trattava di un personaggio che ci preoccupava dal momento che ci risultava che venendo in Italia avesse fatto dichiarazioni di un certo tipo, in base alle quali era necessario agire, fare attentati e altre azioni. Come ho già detto facemmo fare un identikit attraverso l’aiuto di una persona che lo aveva conosciuto personalmente e tramite il Ministero spedimmo questo identikit a Parigi; ci risposero che in base a quell’identikit poteva trattarsi di quel soggetto e ci mandarono anche una fotografia.

MANTICA. Mi sembra che lei non partecipò direttamente all’interrogatorio di Pinelli, ma che fosse effettuato dai suoi collaboratori. Le risulta che a Pinelli fosse stata mostrata una cassetta metallica identica a quelle impiegate nel fallito attentato alla Banca Commerciale e nella strage di piazza Fontana?

ALLEGRA. Non mi risulta. Ricordo semplicemente che una cassetta di questo tipo l’abbiamo invece trovata, una juwelparma quando effettuammo la perquisizione dell’abitazione di un certo Enzo Fontana che era uno di quelli che aveva organizzato i GAP di Feltrinelli, mi riferisco a quel soggetto che poi uccise il nostro brigadiere e che a sua volta fu ucciso durante un conflitto a fuoco. Costui aveva in casa una juwelparma con due revolver, due colt special, tanto è vero che il Procuratore della Repubblica manifestò il suo stupore per la somiglianza delle due cassette.

MANTICA. Nella deposizione del processo Calabresi-Lotta continua lei parlò di una repentina visita dell’onorevole Alberto Malagugini in questura pochi minuti dopo che Pinelli era precipitato dalla finestra. Dal verbale della deposizione risulta che lei abbia dichiarato: "E’ a causa di una visita dell’onorevole Malagugini e perché Calabresi era stato invitato a prendere contatto con la magistratura che si sospese quella piccola inchiesta".

ALLEGRA. Chi ha verbalizzato questa dichiarazione ha sbagliato. La magistratura sospese che cosa?

MANTICA. L’inchiesta interna che voi stavate svolgendo sulla morte di Pinelli. In ogni caso la domanda che volevo rivolgere è la seguente: ci può spiegare come mai l’onorevole Malagugini venne a farvi visita in questura in quel frangente e quali rapporti c’erano tra di lui e la questura di Milano? Torno a sottolineare che Pinelli quando arrivò Malagugini era morto da pochi minuti.

ALLEGRA. Le dirò che quella visita era un fatto quasi normale. Può sembrare strano, tuttavia bisogna considerare che l’onorevole Malagugini a quell’epoca seguiva molto da vicino i fenomeni della contestazione.

MANTICA. Per sua passione culturale?

ALLEGRA. No, non vorrei entrare in altri ambiti. L’onorevole Malagugini evidentemente quando succedeva qualcosa, non so se lo facesse a titolo personale o fosse il partito ad incaricarlo, veniva a prendere contatti con noi per avere notizie. Del resto non è stato neanche il solo ad avere contatti con noi, anche se va detto che Malagugini era quello "sempre in giro". In ogni caso anche il senatore Maris è venuto a contattarci per avere notizie.

MANTICA. Si trattava di Gianfranco Maris, appartenente al PCI?

ALLEGRA. Sì, era una persona molto corretta; più di una volta venne da noi per avere informazioni e per manifestare le sue preoccupazioni, i suoi pensieri, le sue idee. Del resto ribadisco che non era il solo. Penso che le risulti, senatore Mantica, che venivano rappresentanti di altre forze politiche. E questo non ci dispiaceva, perché ritengo che il dialogo sia sempre utile sia per chiarire, sia…

MANTICA. L’interrogatorio di Pinelli su che cosa verteva, sul suo alibi?

ALLEGRA. Credo che questo aspetto sia chiaro, ritengo comunque che sia opportuno chiarirlo anche da parte mia. Pinelli doveva essere sottoposto quella sera all’interrogatorio definitivo non più vertente soltanto sull’alibi, o meglio doveva essere interrogato da molti giorni, ma bisogna considerare che c’erano stati i funerali delle vittime ed inoltre il fermo di Valpreda e quindi una serie di iniziative per cui alla fine nessuno aveva avuto il tempo di interrogare il Pinelli. Allora, dal momento che Calabresi aveva trascorso il pomeriggio a casa ed era di turno quella sera dalle ore 20 alle 8 del giorno successivo, si decise che l’interrogatorio finale lo dovesse svolgere lui, giacché il mattino dopo avremmo dovuto trasferire il Pinelli in carcere. Infatti avevamo dichiarato il fermo il 14 mattina e nella mattinata del 16 al massimo dovevamo o rilasciarlo o associarlo al carcere. Il Pinelli doveva essere interrogato sull’alibi, sui documenti che avevamo sequestrato – mi riferisco alla vicenda Sottosanti -. Tuttavia, dal momento che la mattina dopo, cioè il 16 dicembre, dovevo partire per Roma con Cornelio Rolandi - che quel giorno si era presentato e aveva dichiarato di avere il sospetto di aver accompagnato in macchina quello che supponeva essere l’attentatore - volevo poter andare a casa per riposare un po’. Chiesi al dottor Calabresi che prima di procedere all’interrogatorio vero e proprio, svolgesse un piccolo interrogatorio sui rapporti di Pinelli con Valpreda per vedere che cosa sapesse. Io avrei poi portato il verbale con me a Roma per consegnarlo alla magistratura. Purtroppo, però, queste verbalizzazioni che avrebbero dovuto occupare mezz’ora o al massimo quarantacinque minuti di tempo andarono invece per le lunghe per il semplice motivo che il Pinelli prima faceva un’affermazione e poi si correggeva. Faccio presente che allora non utilizzavamo registratori perché si operava ancora a livello artigianale e quindi si rese necessario più volte procedere a verbalizzazioni diverse ed ecco perché le cose andarono per le lunghe ed anche perché io mi recai due volte nell’ufficio a sollecitare…

PRESIDENTE. Quindi era Calabresi ad interrogare Pinelli?

ALLEGRA. Sì.

PRESIDENTE. Le pongo questa domanda perché nella letteratura corrente questo fatto viene addirittura contestato.

ALLEGRA. No, signor Presidente, ci si riferisce al fatto che Calabresi non fosse presente nella stanza quando Pinelli precipitò.

PRESIDENTE. Però fino a quel momento era stato Calabresi ad interrogarlo?

ALLEGRA. Sì certamente.

MANTICA. Lei era andato per ben due volte a sollecitare il dottor Calabresi a chiudere questo interrogatorio?

ALLEGRA. Sì, ed a una di queste due volte si riferisce la famosa frase che pare avrei detto: "C’è altro ferroviere anarchico a Milano?" Domanda a cui mi fu risposto "No, ci sono solo io".

MANTICA. Comunque sull’episodio che riguarda l’onorevole Malagugini c’è anche una versione che viene fatta propria dal dottor D’Ambrosio su questa faccenda in base alla quale l’onorevole Malagugini pare intervenisse presso il questore allo scopo di porre termine a questa indagine o affinché quest’ultima non fosse considerata importante.

ALLEGRA. Le dico subito che, per quanto riguarda il questore, la troppa disponibilità molte volte è una forma di ingenuità: egli non aveva alcun obbligo in quel momento. Viene svegliato di notte, si alza, si veste, viene in questura e dopo cinque minuti riceve i giornalisti. Ha ricevuto non soltanto l’onorevole Malagugini ma anche i giornalisti. Lui doveva dire semplicemente di portare pazienza perché si doveva rendere conto della situazione. Dopo di che eventualmente avrebbe potuto parlare; poteva anche dire loro di aspettare fuori. Poteva quindi limitarsi a dire poche cose, invece ha parlato un po’ di più non rendendosi conto, secondo me, che qualunque cosa si dice quando si ha da fare con certi ambienti è sempre pericoloso: può essere fraintesa e anche fuorviata. Il questore ingenuamente disse quello che gli passava per la mente in quel momento, ma non mi sembra che abbia commesso un grande delitto, perché lui credeva veramente, in quel momento lì, che il Pinelli potesse essersi suicidato per non sopportare questa grossa responsabilità.

MANTICA. Nel covo di Robbiano di Mediglia delle Brigate rosse – è un reperto che abbiamo trovato – vi è una relazione redatta da un brigadiere, suo sottoposto, in base alla quale le Brigate rosse giungono da parte loro alla convinzione che Pinelli si fosse realmente suicidato. Lei è mai stato informato di tutto questo?

ALLEGRA. Questa notizia l’ho conosciuta tramite i giornali, è una faccenda che si è saputa dopo. Quando è stato scoperto il covo di Robbiano di Mediglia, io non ero più a Milano. Nelle indagini da noi svolte nel 1972 scoprimmo in aprile i covi di Feltrinelli e il 2 maggio i covi delle Brigate rosse, praticamente avevamo scoperto via Pelizza da Volpedo, via Boiardo (che era la prigione predisposta per De Carolis), e a Torino in via Ferrante Aporti; rimaneva, per ammissione dello stesso Pisetta, un solo covo nel Lodigiano. Ce lo descrisse come una cascina a forma di ferro di cavallo, con una strada di ghiaia bianca. Non era certo facile trovarla, per cui ci servimmo di un elicottero. Volammo sul Lodigiano, ma di cascine che si somigliavano, a ferro di cavallo e con la strada di ghiaia bianca non ne esisteva certo una sola, quindi non siamo riusciti ad individuare quella giusta. Poi quando quel covo è stato scoperto, abbiamo capito che era proprio quello che noi cercavamo e che non avevamo individuato.

MANTICA. Per l’ufficio politico della questura di Milano, a quei tempi, chi era Giangiacomo Feltrinelli?

ALLEGRA. Era una persona che da tanto tempo ci preoccupava. All’inizio non avevamo la percezione precisa che lui stesse organizzando quei famosi Gruppi di azione partigiani, ma cominciammo a preoccuparci molto di lui da quando venne espulso dalla Bolivia, nel 1967, con la Melega. Nella borghesia milanese, anche quella che non è di sinistra, molte volte le cose le sapevano però facevano finta di non saperle. Quando morì Feltrinelli che fosse morto, a Milano, in tanti lo sapevano la sera stessa; noi lo abbiamo saputo solo la sera del giorno dopo quando, trovato il cadavere, è stato riconosciuto per una foto che gli era stata trovata addosso. Ma la sera prima parecchia gente a Milano sapeva che Feltrinelli era saltato e, nonostante questo, hanno sempre detto che la polizia, i Servizi o non so chi l’avessero portato lì e poi fatto saltare.

FRAGALA’. Lo disse Camilla Cederna.

ALLEGRA. Non soltanto lei. C’è stato anche uno scienziato che ha spiegato che a distanza di 100 metri, con un fucile di precisione, si poteva colpire la capsula. Si tratta di uno scienziato che insegnava all’università.

MANTICA. Quindi Giangiacomo Feltrinelli era sotto osservazione dell’ufficio politico.

ALLEGRA. Devo aggiungere che era sotto osservazione perché sapevamo che aveva questi rapporti, anche all’estero. Qualcuno, non un nostro confidente, ci aveva detto che lui ambiva ad avere un esercito.

PRESIDENTE. Voleva portare Cuba in Sardegna.

ALLEGRA. Era andato anche in Sardegna da Mesina. Alcuni di coloro che abbiamo individuati, e che erano sardi, li aveva reclutati in Germania. Ci avevano chiesto notizie su un revolver che era servito per uccidere il console boliviano di Amburgo e quel revolver fu comprato in un’armeria che c’era in via della Croce Rossa a Milano, questo fu accertato. A questo punto quel personaggio ci impensieriva. Quando successe l’attentato e Rudy Dutsche uscì dall’ospedale fu accolto da Feltrinelli e tenuto sotto scorta, tutelato e protetto da un certo Umberto Rai. Lui aveva una foresteria, da quelle parti, di cui questo Umberto Rai aveva perfino le chiavi. Ci fu un primo tentativo di aggancio del movimento studentesco che non gli riuscì, ma comunque nei primi tempi riuscì ad interessare certi gruppi, quelli che poi quando marciavano facevano con le mani il segno "5 Vietnam 5". Noi chiedemmo che cosa significasse e ci venne chiarito che era un detto che proveniva dal Centro America, cioè che c’erano tanti Vietnam e l’Italia era uno di questi (insieme alla Grecia, alla Spagna, eccetera). Quando ci fu l’aggressione al "Corriere della Sera", dopo l’attentato di Rudy Dutsche, eravamo nel periodo di Pasqua nel 1968, molti dei contestatori erano andati in ferie; Capanna si era perfino tagliato la barba. Erano rimasti i soliti che bazzicavano la zona di Brera, un po’ racimolati così fino ad arrivare a cinquecento e fecero una manifestazione che era diretta, secondo me, al consolato germanico, in via Solferino. Quella sera però il consolato tedesco era protetto da una nostra compagnia, anche se in numero ridotto perché anche noi avevamo mandato il maggior numero di uomini in ferie, approfittando delle giornate festive. Passando per via Solferino arrivarono davanti al "Corriere della Sera", lo circondarono e lo riempirono di sassi e dal giornale fotografarono Feltrinelli lì davanti. La fotografia fu pubblicata anche sui giornali. Questo avvenne nell’aprile del 1968.

PRESIDENTE. Dopo piazza Fontana faceste degli accertamenti su Feltrinelli?

MANTICA. Il dottor Allegra chiese l’autorizzazione a perquisire gli uffici di Feltrinelli, ma gli venne negata dal procuratore Ugo Paolillo.

ALLEGRA. Non so che fine abbia fatto il dottor Paolillo.

MANTICA. E’ ancora vivo, credo che in questo momento sia nella magistratura a Perugia. Ma io vorrei sapere sulla base di quali notizie lei chiese l’autorizzazione a perquisire gli uffici di Feltrinelli dopo l’attentato di piazza Fontana.

ALLEGRA. Su Feltrinelli abbiamo svolto indagini per gli attentati del 25 aprile. La sera del 25 aprile tutto il gruppo mangiò a casa di Feltrinelli compreso Della Savia che si fece anche tagliare i capelli.

PRESIDENTE. Può dirci qualcosa su eventuali rapporti tra Feltrinelli e Fumagalli?

ALLEGRA. Di Fumagalli ci siamo occupati (e forse siamo stati gli unici) a seguito di informazioni che ci hanno messo in allarme. Abbiamo chiesto l'autorizzazione a perquisire, Fumagalli fuggì, ma non risultava che avesse rapporti con Feltrinelli.

PRESIDENTE. Anche il generale Delfino in un suo libro di memorie ne parla.

MANTICA. Il 2 maggio 1972 arrivaste in via Boiardo, nel primo covo delle BR, però quel giorno fuggirono i maggiori responsabili, Curcio, Cagol, Franceschini e Moretti. Si ricorda come andò questa operazione?

ALLEGRA. L'operazione fu una delle migliori che facemmo. Quando qualcuno viene a farci delle confidenze è un bene, però il più delle volte ci arrivano notizie frammentarie e l'importante è approfondirle. Eravamo preoccupati di queste BR perché avevano fatto già dei sequestri: ricordo quello di Bartolomeo Di Mino, che era uno dei suoi senatore Mantica, avvenuto a Cesano Boscone. Quando fu portato all'ospedale, ci rivolgemmo al magistrato di turno che all'inizio non voleva venire. Gli dicemmo che si trattava di una aggressione e che il segretario di quel gruppo era stato ferito. Il magistrato venne in ospedale. Il Di Mino riferì quello che era successo e alla fine il magistrato commentò con la frase: "Ha detto nu cofano e fesserie". Per quanto riguarda via Boiardo, noi conoscevamo Curcio, avevamo fatto una perquisizione nel marzo 1971 in via Cesana e in via Castelfidardo, dove c'era Castellani e dove trovammo le micce per gli incendi a Lainate. Conoscevamo la Cagol, altre due o tre della Pirelli di minore importanza, avevamo il nome di sette-otto persone tra cui Salvoni, la Tuscher, Franco Troiano, Berio, avevamo fatto anche delle perquisizioni andate a vuoto perché stavano in un covo e poi dopo uno o due mesi sparivano, non capivamo se perché non pagavano o per far perdere le tracce. Una delle ultime loro sedi era in via Muratori. Lo venimmo a sapere perché la proprietaria ad un certo punto non fu più pagata e non aveva più traccia della persona che aveva firmato il contratto e venne a dircelo. Mandammo un funzionario, non c'era niente, ma in un angolo c'era della cenere, segno che erano state bruciate delle carte e proprio da un frammento di carta emerse la stella a cinque punte e capimmo che si trattava delle BR. Il contratto era stato firmato da un certo geometra Luigi Russo. Era arrivata notizia che ad un certo elemento che faceva parte del gruppo come esecutore era stato detto di tenersi pronto per un eventuale lavoro e si parlava del sequestro di un esponente della DC. Ci preoccupava molto la possibilità di un sequestro in quel momento. Intensificammo la nostra attività, avevamo tentato di pedinare Semeria attraverso un nostro sottufficiale molto giovane che ritenevamo poco sospettabile di essere riconosciuto come poliziotto. Questo pedinamento non era riuscito. I giorni passavano e incombeva la possibilità di un sequestro. Ci venne allora in mente di utilizzare un suggerimento che avevamo letto su uno dei libri sui Tupamaros sequestrato a Feltrinelli a via Subiaco nel quale si sottolineava l'importanza di utilizzare le donne in campo rivoluzionario perché protette dai pregiudizi borghesi. Facemmo telefonare da una agente della polizia femminile, che non svolgeva attività di polizia giudiziaria, a casa di questa persona. La madre rispose che Giorgio era uscito per lavoro, e quindi capimmo che era presente. Cominciammo di nuovo il pedinamento attraverso una agente della polizia femminile accompagnata da un sottufficiale il quale si accorse che la casa aveva una uscita posteriore dove mise un lucchetto per evitare che venisse utilizzata quella via. La ragazza riconobbe subito la persona, continuò il pedinamento in via Pelizza da Volpedo dove sapevamo esserci una base. Il giorno dopo il pedinamento portò a via Boiardo e qui la ragazza dimostrò che ci sono anche poliziotti di classe. La donna, curiosa, non si accontentò di individuare il covo, guardò l'orologio e lo vide uscire dopo tre minuti vestito diversamente, con una casacca e lo vide entrare in una drogheria. Entrò anche lei nella drogheria e poi tornò in ufficio per riferire. Quei tre minuti sono stati di importanza decisiva. Individuammo l'amministratore dello stabile, l'ingegner Cicala che risultò essere una persona affidabile. Prendemmo contatti con lui, ci disse di una ragazza che abitava al terzo piano che riceveva visite un po’ strane; controllammo se aveva dei precedenti, ma continuavo a chiedermi come si poteva in tre minuti arrivare al terzo piano, cambiarsi d'abito e tornare indietro. Conclusi che probabilmente il covo doveva essere ad un piano più basso. E allora telefono, dicendo: "Aspettatemi, vengo anch’io, dobbiamo parlare un po’". E parlo io con questo Cicala e gli dico: "Senta un po’, mi tolga la curiosità, se questo ha impiegato tre minuti… mi dica lei: a piano terra cosa c’è?". "Ci sono i negozi". Dico: "Va bene: me li elenchi uno per uno". E quello comincia: "Questo, questo, … qui c’è uno studio di geometra". "Come si chiama questo geometra?". "Il geometra Russo". "E chi dava la referenze?". "Il geometra Pirotta". E allora sono quelli lì, via Ludovico Antonio Muratori, non c’è dubbio. Questo è il punto. A quel punto l’ingegnere ci lascia e dice: "State attenti: c’è anche una cantina, vi si accede attraverso una botola, che è coperta ma c’è". Era sabato sera, domenica era 30 aprile e il 1° maggio veniva di lunedì (mi pare). Eravamo con l’acqua alla gola, nel senso che dovevamo agire; però pensavamo che agire nei giorni di festa è sempre poco idoneo: gli uffici sono chiusi, mancano le persone, se si devono sviluppare delle indagini ci si trova in difficoltà. Decidemmo allora di fare le operazioni il 2 maggio, martedì. E il martedì si fecero le operazioni: via Pelizza da Volpedo, via Boiardo (c’era anche un altro posto che non ricordo, a proposito del quale però non avevamo certezze). In via Boiardo troviamo la prigione, esplosivo, armi; sotto la botola c’era la prigione, tutta insonorizzata, con l’apparecchiatura per sentire. Inoltre troviamo un pezzetto di carta dove c’era scritto: "Caro Bramini, sono tanti giorni che la cerco. Lei non ha pagato l’affitto, ma almeno si faccia sentire" (una cosa di questo genere). Allora ci chiediamo: ma chi è questo Bramini? La carta era intestata ad un ragioniere. E mandammo subito un funzionario a rintracciare questo ragioniere che, per combinazione, si trovava in casa. Egli ci dice: "Sì, ho affittato un locale a questo Bramini. Non si è fatto più vedere, non mi ha ancora pagato eccetera". Andiamo a vedere questo locale e, quando l’apriamo, troviamo un arsenale. Non solo un arsenale di armi ed esplosivo…

PRESIDENTE. Dove lo avete trovato questo arsenale?

ALLEGRA. In via Delfico.

BIELLI. Potevano almeno pagare!

MANTICA. Beh, ci hanno raccontato che le BR erano ragazzi che non avevano nemmeno i soldi per mangiare la pizza. Lo stesso giorno di via Boiardo si trova via Delfico.

ALLEGRA. Lì troviamo persino i documenti personali di Feltrinelli.

MANTICA. Perché in via Boiardo voi fermaste Pisetta, che è uno dei primi pentiti, e tre giorni dopo lo rilasciate.

ALLEGRA. Non abbiamo rilasciato solo lui, abbiamo rilasciato anche Bianchi Anna Maria e il Perotti.

MANTICA. Però Pisetta è il primo pentito delle BR.

ALLEGRA. Diciamo che fa delle ammissioni; che sia pentito non lo so, lo sa lui. Pisetta viene arrestato nel covo di via Boiardo. Era addetto ai lavori manuali. Lì noi avevamo lasciato i nostri, come qualche giorno prima avevamo fatto per una casa di Fioroni, dove avevamo fermato parecchie persone: ci lasciavamo dentro degli agenti e quando qualcuno entrava: "Alt, polizia…". La stessa cosa volevamo fare in via Boiardo. Questo ci avrebbe consentito di fermare sia Curcio…

PRESIDENTE. Quindi Pisetta non era un infiltrato, lo diventa dopo.

ALLEGRA. No, ma quale infiltrato? Pisetta era un terrorista come tutti gli altri; solo era una persona non di grande cultura: ma non era un infiltrato. Non si tratta di usarlo o non usarlo, abbiate pazienza, è questione di usarlo nel momento opportuno. Dare dell’infiltrato a uno che ne faceva parte, che aveva fatto degli attentati… perché Pisetta non era la prima volta che li faceva. E’ chiaro che tentiamo di prendere anche gli altri. Purtroppo si verificò un fatto che – adesso non so – forse dipese da un po’ di leggerezza da parte di chi ritenne di indire una conferenza stampa in quel posto, in contrasto con quelle che erano state le nostre decisioni, cioè lasciare degli uomini…

PRESIDENTE. Chi la fece la conferenza stampa?

ALLEGRA. Fu indetta dal questore Allitto. Noi fummo contrariati, però pensavamo che egli intendesse dare lustro alla questura o forse credeva di fare bella figura con la stampa (ci teneva a diventare forse vice capo della Polizia). Sta di fatto che, una volta che i giornalisti erano stati avvertiti, noi non potevamo fare più niente. Però alla fine pensammo: abbiamo raccolto tanto materiale, se lo riferiamo alla magistratura essa farà quello che deve fare; noi siamo qui, si va avanti. Senonché la cosa si bloccò, questa è la realtà.

MANTICA. La magistratura bloccò?

ALLEGRA. Non è che fu molto attiva; tanto è vero che poi Dalla Chiesa denunciò quel magistrato.

BIELLI. Rispetto a questo episodio lei è anche intervenuto successivamente e ha scritto alcune cose. Fra l’altro dice che "vi furono incomprensioni (non sempre limpide) e, tra quelli che avrebbero dovuto provvedere, qualcuno si rese colpevole di lassismo, inazione, sottovalutazione e anche colpevoli omissioni". Più avanti sempre lei dice che "a ciò contribuirono persone consapevoli, e non poche; infine, convinte di poter trarre vantaggi". Rispetto alla versione che ha dato questa sera qui è molto più preciso. Sono cose che ha detto lei in passato. Può spiegare meglio? Perché mi sembra un fatto importante.

ALLEGRA. Ma questo si riferisce a ciò che avvenne dopo il 2 maggio.

BIELLI. Ci spieghi bene.

ALLEGRA. Il materiale che avevamo messo a disposizione della magistratura era tale che avrebbe dovuto allarmare la magistratura non solo di Milano, ma di tutto il paese. Poi la stampa cominciò a dire che non era possibile che noi avessimo scoperto questi covi, perché se era un movimento clandestino la polizia non poteva arrivarci; come se nella vita non esistano casi di errori, di bravure, o momenti di fortuna e di sfortuna: fa parte delle vicende della vita. C’è un’organizzazione clandestina: per quanto forte, per quanto capace, arriva il momento in cui o fa un errore o siamo noi che facciamo qualcosa di buono, oppure un colpo di fortuna. Questi signori, che pure sono degli intellettuali, non le hanno capite queste cose, che sono alla portata di qualsiasi persona di buon senso. E allora hanno cominciato a dire che forse la prigione l’avevamo fatta noi; perché quella volta, quando ci fu la conferenza stampa, un maresciallo, rivolgendosi ai giornalisti diceva: "Non toccate niente, per favore non toccate", come se avesse paura che se qualcuno avesse toccato la prigione sarebbe caduta… Perché, ammesso che l’avessimo fatta noi, non potevamo farla altrettanto bene di come l’avevano fatta loro! Sono cose che potrebbero far ridere, ma erano tragiche.

BIELLI. Rispetto a questo episodio c’è una questione che a me interessa. Lei dice che avete fatto un’opera di monitoraggio precisa della situazione, al punto che otteneste risultati significativi. Si ha quasi l’impressione che, se aveste potuto lavorare con mano libera, andare avanti, sareste arrivati molto oltre il livello cui siete pervenuti. Nelle nostre discussioni tornano sempre alcuni personaggi delle Brigate rosse, in particolare viene fuori sempre il nome di Moretti, che è diventato in questa Commissione un personaggio pieno di significato, e si scopre che quest’ultimo, sarà la casualità o altre situazioni, alla fine doveva essere comunque conosciuto e individuato ma non si riesce mai a farlo arrestate. Con il lavoro che lei stava facendo e con quello che avevate svolto, quando lei parla in qualche modo di inerzia – sembra quasi che parla di colpevoli –, secondo lei si poteva arrivare veramente…

ALLEGRA. Moretti sfuggì il pomeriggio, pochi minuti prima che si facesse questa conferenza stampa. Arrivò in macchina in via Boiardo con la 500 di sua moglie.

BIELLI. Quindi lei dice che anche in quella occasione…

ALLEGRA. Sarebbe stato arrestato.

PRESIDENTE. Ma lo avevate già individuato come un elemento di vertice dell’organizzazione.

ALLEGRA. Sì, già si sapeva che faceva parte di questa organizzazione. Alcuni ancora non si conoscevano, però una gran parte di nomi era già conosciuta. Noi eravamo convinti che dopo aver dato tutto questo materiale alla magistratura non ci si sarebbe fermati lì, ma a "spron battuto" si sarebbe agito per cercare di arrivare fino in fondo, ma siamo stati ad un certo punto estromessi.

BIELLI. Dottor Allegra, la ringrazio per quanto ci ha detto, di cui credo che lei abbia grande conoscenza, ed anche per la chiarezza della sua esposizione. Parlando con altri auditi in ordine a Moretti ci è stato detto che quasi fino al 1978 il ruolo di questo personaggio non è conosciuto; lei oggi ci dice una cosa molto diversa rispetto al senso comune, che Moretti in qualche modo dal 1972 è considerato comunque una mente. In questi anni, sarà il caso o il destino - ma io non credo molto a quest’ultimo -, viene fuori che il Moretti ha potuto fare quanto ha fatto pur essendo stato sotto controllo da parte dei nostri servizi di sicurezza. È la questione su cui ci stiamo arrovellando.

ALLEGRA. Ammesso che non avessimo conosciuto prima il Moretti, se non altro, in quel giorno avevamo trovato la macchina. Una persona del terzo piano ci disse che era scappato qualcuno su quella macchina; abbiamo cercato un ladro di macchine per aprirla e, una volta aperta, abbiamo visto che era intestata a Cochetti Amelia, abitante in via delle Ande n. 15 (proprio di fronte a casa mia) e nel covo abbiamo trovato la fotografia di uno dei suoi figli. Io ho poi interrogato la moglie di Moretti; lei diceva che era stata costretta, sebbene non con la forza, a vivere per un po’ di tempo in una comune in via Paris Bordoni, con un certo Gaio Di Silvestro ed altri. A me questa donna fece anche pena. Però già si sapeva che Moretti era un pezzo importante in quel momento. I capi si ritenevano fossero in quel momento Curcio e Franceschini.

PRESIDENTE. Quindi ha ragione Bielli, perché, se non sbaglio, un anno dopo, con l’infiltrazione di Girotto, che è sicuramente un infiltrato, perché ce lo ha detto…

ALLEGRA. È senz’altro un infiltrato.

PRESIDENTE. …si organizza un blitz in cui cadono Curcio e Franceschini. Noi abbiamo acquisito tutte le fotografie degli incontri di Girotto con Curcio e con Levati, che era il medico che lo metteva in contatto con le Brigate rosse; gli unici incontri che non sono fotografati sono quelli in cui ha partecipato Moretti.

ALLEGRA. Quello che posso dire su questo, perché si tratta di fatti di cui ho sentito parlare e che ho ricostruito ma di cui non mi sono occupato, è che "frate Mitra" penso sia stato – poi ognuno ha le sue idee e opinioni – in Sudamerica proprio per procurarsi la patente da terrorista che poi gli servì per infiltrarsi.

PRESIDENTE. Quindi, è un’infiltrazione che viene da lontano.

ALLEGRA. Secondo me sì. C’è un racconto in un libro scritto da un giornalista, certo Chierici, il quale dice che (Girotto) era andato a comprare del pane e che quanto era tornato avevano già arrestato quell’altro, che lo ha guardato in faccia con uno sguardo molto… forse Chierici non lo aveva nemmeno capito questo qui, non lo so. Comunque, era infiltrato.

PRESIDENTE. Il punto non è se Girotto fosse un infiltrato ma perché Moretti sfugge a voi, sfugge a Girotto…

BIELLI. Sfugge anche a Caselli, il quale dà ai carabinieri delle foto perché controllino e gli dicano che non c’era Moretti.

ALLEGRA. Secondo voi, Moretti avrebbe fatto la spia per cose di questo genere?

PRESIDENTE. Noi non pensiamo questo. E’ venuto in audizione tempo fa un ufficiale di grado elevato dei carabinieri che ha collaborato con Dalla Chiesa in tutte queste operazioni e che ci ha detto che la tecnica che veniva utilizzata era sempre quella di non tagliare tutta la pianta ma di tagliare i rami secchi e di lasciare qualche ramo verde, perché continuasse a svilupparsi, seguendolo nello sviluppo. Mi piace fare sempre le ipotesi più interne all’albero della probabilità, non quelle più estreme; un’ipotesi è che Mario Moretti era un ramo verde che si lasciava crescere ma che poi ogni tanto sfuggiva di mano, finché non uccide Moro. Sono stato criticato per come conduco gli interrogatori, perché spesso dico delle cose, il che significa che arrivo a delle conclusioni: io faccio delle domande per avere le risposte.

BIELLI. Aggiungo un'altra considerazione a quella del Presidente. Dalle documentazioni che abbiamo e da quanto è stato detto mi sembra che lo stesso Curcio nel ‘78 affermi che avevano avuto dei dubbi sul fatto che Moretti potesse essere un, non vorrei usare il termine infiltrato…

ALLEGRA. Non un infiltrato, ma uno che può darsi avesse saputo che poteva essere arrestato e che si era tirato fuori. Questo l’ho letto anch’io. Su questo non posso che esprimere un parere personale: non credo che Moretti fosse così come lo si vuol descrivere. Penso che lui fosse un eversore che probabilmente su molti punti non andava d’accordo con gli altri, perché non era un tipo tanto facile. D’altra parte, dal 1972 a dopo il sequestro di Sossi, che avviene nel ‘74, le Brigate rosse non sono state disturbate per niente da nessuno, diciamo la verità. Quando viene fuori il famoso memoriale di Pisetta.

MANTICA. Perché in quel caso non verbalizzaste?

ALLEGRA. Perché i colloqui con coloro che ci davano delle notizie non li verbalizzavamo; non bisogna verbalizzarli: si scrivono le loro dichiarazioni e si approfondiscono, ma non si verbalizzano le confidenze. Chi lo fece compì un errore. Quelle stesse notizie Pisetta le aveva date all’ufficio politico della questura di Milano; se andate a vedere – non so se ce lo avete – ci devono essere ancora dei fogli di carta scritti a mano dal povero dottor Calabresi ove egli aveva trascritto quanto gli diceva Pisetta. Cosa facciamo con queste dichiarazioni? Accertiamo frase per frase se corrispondono alla verità. Se troviamo riscontri procediamo, in caso contrario possiamo "sbattere" in galera una persona anche se non c’entra niente solo perché lo ha detto Pisetta? Questo è il concetto. Secondo me il confidente non va mai verbalizzato, perché altrimenti abbiamo il pentito.

PRESIDENTE. Pisetta non era un infiltrato, però subito dopo essere stato fermato nel covo di via Boiardo diventa un vostro confidente e vi dà una serie di informazioni.

ALLEGRA. Dopo di che scompare, anche se aveva promesso che avrebbe continuato a farci sapere. Non so se sia stato per paura od altro. Poi viene ripreso a Trento.

BIELLI. Presidente, vorrei fare un’ultima domanda e poi chiedo scusa ma mi dovrò assentare. È la prima volta che andrò via prima del termine della seduta e non lo considero un fatto positivo. Lei, a proposito di questi collaboratori, ha in qualche modo gestito o avuto dei rapporti con Francesco Marra di Quarto Oggiaro.

ALLEGRA. Marra non mi dice niente in questo momento.

PRESIDENTE. Il nome Rocco le dice niente?

ALLEGRA. E’ un nome o un cognome?

PRESIDENTE. No, è un soprannome. Le dice niente come fonte?

ALLEGRA. No, almeno per quanto mi risulta, anche se può avere avuto dei contatti con qualcuno dei nostri.

PRESIDENTE. Quindi, non è a conoscenza del fatto che fosse uno degli informatori del commissario Musocco.

ALLEGRA. Potrebbe anche darsi, ma certamente il commissario Musocco non veniva a dirlo a noi.

MANTICA. Credo che il dottor Allegra abbia sufficientemente illustrato una situazione nell’ambito della quale si svolgevano i rapporti a Milano e di come si comportava l’ufficio politico. Questo lo dico perché le ultime domande le vorrei fare in merito al commissario Luigi Calabresi, una vicenda che ha segnato la storia di Milano. Da quanto ho capito, almeno dalle poche cose che lei ha detto, Luigi Calabresi seguiva in modo particolare le indagini relative all’area della sinistra, su Feltrinelli, lavorando negli anni 1971-1972 allo smantellamento dei gruppi di azione partigiana e alla scoperta delle prime basi brigatiste a Milano. Le chiedo un giudizio personale. Questa sua conoscenza di tale comparto dell’estremismo milanese può essere stata una della ragioni per le quali fu ucciso?

ALLEGRA. E’ necessario chiarire questo punto. Il Calabresi lo hanno fatto diventare dirigente dell’ufficio politico, poi il braccio destro di Allegra, poi il vice dirigente, insomma gli sono state attribuite un po’ tutte le possibili qualifiche. Era uno dei dieci funzionari ai miei ordini presso l’ufficio politico, che in quel momento aveva una dimensione abbastanza grande. Sia per età che per anzianità non era ai primi posti. Era più giovane di Giancristofori, di Zagari e di Pagnozzi. Ognuno di questi funzionari aveva un suo settore. Il Pagnozzi si occupava di contestazioni, il Calabresi dell’estrema sinistra, il Valentini dell’estrema destra, un altro funzionario del settore sindacale e un altro ancora si occupava esclusivamente di questioni pratiche inerenti alla polizia giudiziaria. L’indagine veniva fatta in collaborazione con chi poteva fornire informazioni anche se sul piano materiale compiti specifici, come la stesura dei verbali, erano in capo ad un altro funzionario. Il Calabresi era quindi uno dei tanti e quindi non si può dire che abbia avuto una parte determinante nella scoperta del covo.

MANTICA. Il dottor Calabresi nell’ambito dei suoi collaboratori si interessava particolarmente dell’area della sinistra. In quegli anni, per una serie di eventi, dai Gap di Feltrinelli alla scoperta delle basi brigatiste, l’area della sinistra forniva molto materiale di lavoro e il Calabresi era una persona conosciuta.

ALLEGRA. I nostri funzionari, ognuno nel suo ambito, erano molto conosciuti anche perché il nostro ufficio non era segreto.

PRESIDENTE. Le ragioni dell’omicidio Calabresi…

ALLEGRA. Non hanno niente a che vedere con questi fatti, perché il Calabresi non ha avuto una parte determinante.

PRESIDENTE. Il Calabresi poteva avere acquisito nella sua attività indagativa informazioni o conoscenze sul mondo della sinistra estrema - di cui si doveva interessare - che possono essere state alla base del suo omicidio?

ALLEGRA. Il Calabresi dava il suo contributo all’ufficio. Il suo settore di indagine non era un suo compito esclusivo, anche se si trattava certamente di un settore che lui curava in modo particolare rispetto ad altri. La vicenda di via Subiaco nasce da una confidenza che un privato fa ad un brigadiere del commissariato di via Cinisio. Questa persona viene a sapere dai giornali che noi cercavamo un furgone di cui esisteva una foto. Una sera al bar questa persona incontra il suddetto brigadiere e gli rivela di aver probabilmente visto quel furgone vicino alla propria abitazione. Andarono in questura verso le 11 di sera e quando io tornai verso mezzanotte trovai un verbale. Mi adirai notevolmente perché questo tipo di verbale non si doveva fare. Si trattava di una semplice notizia - che tale doveva rimanere - che poi è risultata veritiera perché il posto indicato corrispondeva effettivamente a via Subiaco.

MANTICA. La mia domanda aveva una valenza più complessiva. Il dottor Calabresi per anni segue i fatti relativi all’estrema sinistra insieme ad altri suoi collaboratori. Da quanto lei mi sta dicendo - ed è logico - usavate giustamente molto le confidenze. Chi è in una certa area viene a conoscenza di notizie che non verbalizza perché rimangono appunto confidenze. Siccome il dottor Calabresi lavorava in quest’area e poteva aver avuto delle sensibilità o aver cominciato ad intuire qualcosa, può essere che questa sua attività in tale settore fosse una delle ragioni per cui fu poi ucciso? Può essere che il dottor Calabresi sia arrivato a scoprire qualcosa di molto importante per cui doveva essere fermato?

ALLEGRA. Se avesse scoperto qualcosa di importante lo avrei saputo, me lo avrebbe detto.

MANTICA. Le ricordo – ed è scritto in un libro – che il Calabresi pochi giorni prima di morire avrebbe confidato alla moglie di essere stato in Friuli o nel Veneto e di aver perlustrato un enorme deposito di armi e di esplosivi.

ALLEGRA. Questa notizia non corrisponde a verità. Non so se abbia sbagliato la moglie o chi ha scritto il libro, ma l’unica cosa che si può dire su di lui è che una volta fu mandato ad interrogare in carcere un tizio che sosteneva di avere delle rivelazioni da fare. Questa persona sosteneva di essere a conoscenza di attentati in Alto Adige e di altre vicende relative a carabinieri o a poliziotti. Siccome si trattava di vicende che territorialmente non erano nostre…

PRESIDENTE. Non ho ben capito il suo riferimento ai carabinieri e ai poliziotti.

ALLEGRA. Si trattava di vicende relative all’Alto Adige.

MANTICA. Lei in questo momento sostiene che le notizie di un certo significato che potevano essere a disposizione del Calabresi venivano riferite a lei. Lei sostanzialmente oggi dice che ciò che sapeva il Calabresi lo sapeva anche lei.

ALLEGRA. Ero certamente a conoscenza delle cose importanti anche se è possibile che quelle più piccole le tenesse per sé.

PRESIDENTE. Oggi ci conferma come la ragione dell’omicidio Calabresi più probabile sia nel valore simbolico che aveva assunto perché veniva considerato uno dei responsabili della morte di Pinelli.

ALLEGRA. In parte era così; sono, però, contrario a fare teoremi. Ecco perché intendo attenermi ad elementi reali. Se devo esprimere un giudizio posso farlo ma deve rimanere tale. Perché avviene il 17 maggio l’omicidio Calabresi? Cosa avviene nel periodo che intercorre dal mese di marzo al 17 maggio? Ritrovamento del covo di Feltrinelli, dei GAP; di tutte le armi nelle cascine e così via; seguono le Brigate rosse; il 2 maggio scopriamo il covo di via Boiardo; qualche giorno dopo andiamo a via Ferrante Aporti a Torino, dove scopriamo il covo di Levate e compagni; il 17 maggio segue l’omicidio Calabresi. Qualcuno dei nostri si è anche impaurito: abbiamo dovuto trasferire qualcuno; altri hanno ritenuto che fosse, comunque, loro dovere restare; indubbiamente, però, un freno alle indagini lo ha dato perché ci si doveva occupare di un’altra cosa in quel momento più pressante.

PRESIDENTE. Ha una sua logica il suo ragionamento; quello che non torna è che non viene rivendicato come tutti gli omicidi simbolici delle BR.

ALLEGRA. Ha spiegato Curcio nell’intervista rilasciata a Scialoja il motivo per cui non è stato rivendicato.

FRAGALA’. Vorrei sapere l’argomentazione che ha usato Curcio.

ALLEGRA. Curcio ha detto che in occasione dell’omicidio Calabresi alla domanda posta, determinati ambienti di sinistra hanno risposto adducendo come motivazione che si trattava di un atto di giustizia proletaria e non si capiva il motivo per rivendicare una cosa di questo genere.

PRESIDENTE. Ciò esclude che lo abbiano fatto le BR.

FRAGALA’. Le BR fecero la controinchiesta. Infatti, in tutto l’ambiente della sinistra tutti sanno che è stata Lotta continua. E’ vero?

ALLEGRA. Sì.

MANTICA. Aldilà della sua considerazione in base alla quale la morte di Calabresi sposta le attività dell’ufficio investigativo su questo omicidio è anche vero che, poco dopo la morte di Calabresi, in realtà l’ufficio politico della questura di Milano, che aveva ottenuto una serie di successi, viene sostanzialmente smantellato.

ALLEGRA. Non viene smantellato: un componente va via timoroso, avendolo comunque deciso tanto tempo prima. Più o meno tutti avevamo timori. In un momento successivo mi fu imposta la scorta che ho rifiutato ritenendo che un qualsiasi appostamento avrebbe fatto fuori me e la scorta. Ho preso certamente qualche precauzione. Prima di uscire di casa la mattina guardavo alla finestra per vedere se c’era qualcuno. Inoltre, un buon appuntato sostava nei pressi della mia casa per notare se c’era qualcosa di strano. Tutti avevamo timore che potesse succedere qualcosa; però, decidemmo che, avendo scelto questo mestiere, avremmo dovuto correre questi rischi e restare. Qualcuno è stato effettivamente sostituito perché andato via; d’altro canto, se aveva paura era inutile e dannoso tenerlo lì. Successivamente a questi fatti, nel mese di settembre sono accusato di reato per la faccenda del cordino. Noi non fummo più interessati alle indagini dopo il rapporto fatto al magistrato cui mandammo tutto il materiale che si preoccupò solamente di farmi una telefonata nella quale mi disse – ed immagino chi glielo ha detto, visto il comitato…–…

MANTICA. Un comitato che aveva sede presso il tribunale di Milano.

ALLEGRA. …che quella fotografia nella quale si vede il lupo, Cattaneo, che tiene fermo il Macchiarini, sequestrato dalle Brigate rosse, è un fotomontaggio. Gli risposi che non sapevo chi potesse avergli detto una tale sciocchezza; gli consigliai però di guardare gli atti dove avrebbe potuto trovare il negativo, di cui non sapeva niente. L’unica cosa che ha avuto il bisogno di dirmi il magistrato è stata questa. Non voglio fare processi a nessuno. Certamente di errori ne facciamo tutti. Alcune cose però producono alcuni risultati.

DOZZO. Chi è il magistrato cui ha inviato tutta la documentazione che ha riferito il collega Bielli?

ALLEGRA. De Vincenzo.

PRESIDENTE. E’ acquisito agli atti della Commissione. Fu oggetto di un’inchiesta e poi prosciolto.

MANCA. Sarò breve considerato che sta parlando da tanto tempo e con tanta dovizia di particolari. Sul carattere nazionale o meno delle Brigate rosse abbiamo idee abbastanza chiare. Ci può dire se agli inizi degli anni ‘70 le Brigate rosse avessero avuto contatti con gruppi terroristici internazionali, per esempio la banda Baader-Meinhof, la RAF e se le Brigate rosse avessero rapporti con i servizi stranieri dell’epoca?

ALLEGRA. A proposito di eventuali rapporti dei servizi segreti non posso darle una risposta certa, nel senso che al riguardo non ho elementi. Posso dire semplicemente che ci risulta che Franceschini si sia recato a Praga. Tuttavia, queste informazioni le abbiamo avute solo dopo; o meglio le ho sapute non perché me ne sia occupato direttamente -giacché avevo altre cose da fare- ma in quanto credo di averle lette da qualche parte. A proposito di Fontana posso dire che abbiamo trovato un documento, o meglio una specie di certificato sanitario, uno di quelli necessari per ottenere un visto; in base a tale documento risulta che Fontana si dovesse recare in Turchia, tanto è vero che c’è stato un momento in cui abbiamo ritenuto che potesse essere coinvolto in una sparatoria, mi pare in una Commissione internazionale, non ricordo l’episodio. Ci risulta, invece che Viel, quel personaggio che faceva parte del gruppo Ventidue ottobre e che arrestammo in via Subiaco si sia recato in Cecoslovacchia. Tuttavia che questi soggetti avessero rapporti con i servizi segreti non sono in grado di dirlo. Ritengo invece che ci sia stato qualche contatto con la Baader Meinhof, in particolare con Andreas Baader e Ulriche Meinhof di cui risulta traccia di un passaggio a Milano, o meglio a Sesto San Giovanni. Ripeto, tracce di questa banda in Italia risultano intorno alla fine del 1969, in ogni caso bisognerebbe controllare gli atti perché in questo momento non ricordo molto bene.

PRESIDENTE. Su questi aspetti forse sappiamo molto più noi, perché abbiamo a riguardo delle documentazioni e un lungo capitolo della relazione della Commissione di inchiesta sulla strage di via Fani.

MANCA. Signor Presidente, mi permetta di rivolgere queste domande al nostro ospite visto che è una persona così informata dei fatti, peraltro sul periodo iniziale e più interessante del fenomeno terroristico…

ALLEGRA. Non so se all’inizio si sia trattato di appoggi o di input, questo non lo posso dire con certezza, del resto, non posso neanche smentirlo. Ritengo tuttavia che ci siano stati dei contatti più che con la banda Baader-Meinhof con la successiva RAF, ma ritengo si sia trattato solo di scambi di informazioni. Invece c’è un episodio che credo non rientri negli interessi della Commissione e forse non so se sia il caso che ne faccia cenno. In ogni caso anni dopo, quando a Padova o a Verona - non ricordo – ci fu l’incontro del Capo del Governo tedesco che allora mi sembra fosse Schmid e l’allora Presidente del Consiglio italiano che mi pare fosse Andreotti o forse Rumor, si verificò una circostanza. Un nostro sottufficiale al valico di Brogeda fermò due macchine, due Alfa Romeo con targa austriaca, ognuna di queste macchine aveva una persona a bordo. Questo sottufficiale si insospettì e chiese che venisse effettuata la perquisizione, il finanziare presente era d’accordo, ma l’ufficiale di dogana ritenne che non fosse il caso. Tuttavia dal momento che questo nostro sottufficiale, che fu veramente in gamba, non era convinto di questa decisione, approfittando della normativa che prevede la possibilità di respingere i mezzi che non corrispondono alle regole vigenti in Italia, dal momento che una di queste macchine aveva la marmitta che non rientrava in tali regole non fece entrare queste due macchine. I due personaggi tentarono di fare ingresso in Italia attraverso altri valichi; però bisogna considerare che quando un soggetto viene respinto ad un valico ne viene data comunicazione agli altri valichi e quindi alla fine la polizia svizzera si insospettì di questi strani movimenti e fermò i due personaggi e al momento della perquisizione questi soggetti tirarono fuori la pistola. Questi due austriaci furono trovati in possesso dei soldi derivanti dal sequestro Palmers, un industriale del legname austriaco; costoro non viaggiavano da soli, guidavano le macchine perché evidentemente si dovevano recare ad un appuntamento. In ogni caso in una delle due auto furono trovate le impronte di un’appartenente della RAF di cui non ricordo il nome, allora molto nota alla polizia. Il che fece sospettare che questi soggetti si fossero dati appuntamento – naturalmente si tratta solo di un’ipotesi - per recarsi poi a Verona o a Padova per effettuare qualche attentato contro il Primo ministro tedesco o quello italiano.

MANCA. La Commissione ad un certo punto dei suoi lavori si è trovata dinanzi ad una serie di fatti che l’hanno portata a concludere o a ritenere che soprattutto al tempo del rapimento Moro, gli organi preposti a condurre le indagini su questi aspetti specifici non fossero molto preparati. Tra l’altro in tal senso sono state rilasciate dichiarazioni agghiaccianti da parte degli auditi ed è stata fatta anche una specie di graduatoria dell’impreparazione. E’ vero che stasera ci stiamo riferendo ad un periodo diverso, tuttavia è altrettanto vero che questo periodo dovrebbe essere caratterizzato da una maggiore impreparazione visto che si era agli inizi del fenomeno. Questa sera ho invece avuto l’impressione che soprattutto da parte delle forze di polizia non ci fosse quel dilettantismo e quella superficialità che sono emerse successivamente. Detto questo a suo avviso, nonostante gli insuccessi in cui sono incorse, come mai le Brigate rosse non sono state fermate fin dall’inizio, mi riferisco soprattutto all’area milanese dove mi sembra che ci fossero degli apparati a livello di polizia abbastanza attivi? Allargando il campo della mia domanda, vorrei anche sapere se a questa preparazione, vitalità, effervescenza degli apparati di polizia, a suo avviso corrispondesse analogo atteggiamento da parte della magistratura? Infatti, gli organi interessati alle vicende terroristiche sono le forze di polizia investigativa e la magistratura e noi abbiamo sentito dire da alcuni magistrati che si erano sentiti impreparati dal momento che si era ancora all’inizio della lotta contro il terrorismo. Qualcuno addirittura ha spostato l’accusa di impreparazione sulle forze di polizia; da parte nostra, invece, attraverso la verifica di atti e mediante successive audizioni abbiamo potuto verificare che alle forze di polizia per quanto gli competeva non erano attribuibili responsabilità di questo genere. Ebbene, qual è il suo giudizio riguardo a questi aspetti?

ALLEGRA. Debbo dire che il fatto che si sia accennato alla questione dell’impreparazione mi sorprende.

MANCA. A chi si riferisce?

ALLEGRA. Intendo riferirmi al fatto che si sia accennato a questa impreparazione.

MANCA. A quale di questi due soggetti si riferisce? Alla polizia o alla magistratura?

ALLEGRA. Parlo della magistratura. Si riferisce a quella di Milano?

MANCA. Il magistrato che ci ha parlato di tale questione non è della procura di Milano .

ALLEGRA. E’ indubbio che non sia stato fatto tutto quello che in realtà si sarebbe dovuto fare. In ogni caso, ad un certo punto è come se fossimo stati tagliati fuori dal momento che nessuno ci chiese più niente. Ciro De Vincenzo si è avvalso della collaborazione di un ufficiale dei carabinieri giovane, per carità validissimo, ma che ha dovuto imparare tutto. In ogni caso dovrei verificare gli atti che ha prodotto. Siamo arrivati nel 1974, al sequestro di Sossi e sono passati due anni, hanno potuto ricostituirsi. Poi, non vogliamo fare una causa alla magistratura come tale, ma bisogna dire che c’è stato anche questo: una disinformazione colpevole, stupida e talvolta non so se anche per mala fede o per ignoranza. Tutto ciò ha avuto la sua influenza su certi settori anche della stessa magistratura. Non so se lei ricorderà questa notizia, ma si diceva che noi avevamo preso Feltrinelli, l’avevamo trasportato fino a sotto il traliccio per farlo saltare in aria, cose di questo genere, quando tutti sapevano, la sera stessa, e la signora Schöntal era stata rintracciata, in un salotto milanese e l’avevano chiamata d’urgenza, quindi sapevano tutti cosa era accaduto. Non è possibile che certa stampa, anche di sinistra, non sapesse certe cose, dovevano saperle anche più di noi che facevamo fatica ad avere certe informazioni, dovevamo raccattarle. Pertanto anche la stasi che si è verificata, secondo me, è stata gravissima dal punto di vista degli effetti che ha prodotto. Ci si è arrivati quando questi sono diventati più aggressivi e più forti e non si era nelle condizioni per fronteggiarli.

MANCA. Secondo lei quali sono le ragioni per cui, in sostanza, si è verificata questa stasi?

ALLEGRA. Lo sto dicendo. Basta leggere tutto ciò che si scriveva in quei giorni nei nostri confronti e nei confronti delle Brigate rosse: "i messaggi che fanno sono farneticanti", ma quelli non farneticavano affatto. Quello che scrivevano lo pensavano veramente.

PRESIDENTE. Su questo sono pienamente d’accordo.

ALLEGRA. Questa è stata l’atmosfera che si è creata. Ad un certo punto si aveva quasi paura. Per fortuna io sono andato via nel gennaio del 1973, ma mi metto nei panni dei miei colleghi perché fare indagini in certi campi significava essere accusati di tutto. E allora, chi glielo faceva fare?

FRAGALA’. Dottor Allegra, la ringrazio per la sua disponibilità e mi aggancio all’ultima risposta da lei fornita alla domanda del senatore Manca. In pratica, lei sostiene che in quel periodo in Italia vi era una vera e propria contro-informazione che ostacolava le indagini. Faccio un esempio. Il quotidiano "Il Giorno" di Milano, di proprietà pubblica, il 23 febbraio del 1975 sentii il dovere di dare ai suoi lettori la chiave di lettura di un fenomeno che stava diventando sempre più inquietante, cioè le Brigate rosse; per farlo impegnò una delle sue firme più prestigiose, quella di Giorgio Bocca. L’articolo, a pagina 5, aveva un titolo che non lasciava spazio ad equivoci "L’eterna favola delle Brigate rosse". "A me queste Brigate rosse" – scriveva Giorgio Bocca - "fanno un curioso effetto di favola per bambini scemi o insonnoliti e quando i magistrati, gli ufficiali dei carabinieri e i prefetti ricominciano a narrarla mi viene come un ondata di tenerezza perché la favola è vecchia, sgangherata, puerile ma viene raccontata con tanta buona volontà che proprio non si sa come contraddirla". Purtroppo, come lei sa e come hanno saputo tante vittime, quella delle Brigate rosse non era una favola come voleva sostenere Bocca. La mia prima domanda è la seguente: secondo lei, vi era una vera e propria contro-informazione, in quel periodo, che utilizzava firme "prestigiose" come quella di Giorgio Bocca per garantire l’impunità alle Brigate rosse e per impedire che si indagasse a sinistra?

ALLEGRA. Che ci sia stato un fenomeno di grandi proporzioni di disinformazione su questo non ci piove. Gli storici cercheranno le cause e vedranno i relativi motivi, se si tratta di iniziativa di singole persone che si danno l’aria di essere grandi uomini e poi sono di modesta entità. Un giornalista di cui non faccio il nome una volta mi intervistò e mi definì – eravamo all’inizio della contestazione – "un funzionario che viene dal profondo sud", detto con un senso di razzismo. Tra le altre cose mi veniva da ridere perché il profondo sud da dove io provengo ha cinquemila anni di storia, mentre la parte da dove proveniva questo signore era ancora all’età delle palafitte. Comunque non c’è dubbio su questo. Ricordo un giornalista importante, che ha diretto anche un giornale cattolico, che si avvicina a Cossiga, allora ministro dell’interno, parlandogli di "fascisti" dopo un fatto a firma delle Brigate rosse. Il Ministro replicò che non si trattava di fascisti, ma di Brigate rosse. Si doveva influenzare il Ministro a dare una certa risposta. Pertanto, non so se si sia trattato di un fatto di snobismo, o se sia stato fatto perché qualcuno aveva interesse che si facesse questo tipo d’informazione. Vorrei che anche i giovani poliziotti d’oggi lo sapessero e non si facessero illusioni: per certi ambienti noi siamo una razza inferiore perché siamo meridionali, si tratta di un fenomeno inconscio ma che esiste. Certo, questo ha giustificato l’inerzia o provocato in molti il disincanto: in fin dei conti chi ce lo fa fare?

PRESIDENTE. Il problema non è che noi stiamo facendo un’indagine ma riguarda il fatto che queste cose non sono avvenute soltanto nel 1975, sono avvenute anche successivamente, dopo che il Capo dello Stato, onorevole Scalfaro, pose il problema se oltre alle responsabilità accertate, nel caso Moro ci fossero altre intelligenze. Questa Commissione da allora, bene o male, nei suoi limiti, sta cercando di dare risposta a questo interrogativo: ci possono essere state altre intelligenze? Personalmente nell’estate del 1999 avevo distribuito un documento istruttorio per dire quello che potevamo fare in quest’ultimo anno; allora Giorgio Bocca ha scritto un articolo di fuoco nei confronti della Commissione affermando che era inutile cercare altre intelligenze, perché tutto il mondo sapeva che nella direzione strategica delle Brigate rosse c’erano degli intellettuali, che però non contavano niente perché alla fine le decisioni le prendevano i capi militari, Moretti, Azzolini e Bonisoli e che noi facevamo un inutile lavoro per cercare di sapere chi fossero questi intellettuali che facevano parte della direzione strategica delle Brigate rosse. Il problema però è che non si muove solo Giorgio Bocca ma contemporaneamente, in una settimana, i giornali italiani furono pieni di articoli di questo genere: si muove Ernesto Galli della Loggia, si muove Lino Jannuzzi, si muove Teodori, parte una grancassa. Noi avevamo e abbiamo tuttora il problema di sapere (per lo meno gli ambiti dove possono esserci state queste altre intelligenze pensiamo di averli capiti), ma si è fatto un fuoco di sbarramento per dire di lasciare stare, di chiudere, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato. Poi è venuta una persona come Piperno e ci ha detto che aveva capito quanto fossero infiltrate nella società italiana le Brigate rosse quando ha potuto riflettere sul proprietario della casa alto borghese in cui nell’agosto del 1978 incontrò l’uccisore di Moro, cioè Moretti. E’ venuto Maccari e ci ha detto che noi saremmo stupiti nel sapere quante persone che oggi possono avere un posto importante nell’informazione, nell’università e nel sindacato in quegli anni facevano a gara per avere a cena i capi guerriglieri. Era l’Italia di quel periodo. Scusi onorevole Fragalà, ma volevo attualizzare questa sua polemica poiché quanto avvenuto con l’articolo che lei ha citato è avvenuto tale e quale nell’estate del 1999 e, devo dire, da postazioni di fuoco contrapposte; si è sparato su questa Commissione perché ci ponevamo quel problema.

ALLEGRA. Voglio citare anche un giornalista, che conosceva l'ambiente e che in un certo senso all'inizio si mise su quella strada, ma che ad un certo punto ha avuto il coraggio di fare autocritica ricevendo l'attacco di tutti. Quando ancora ero a Milano, quando le BR si erano trasformate da collettivo politico metropolitano in Nuova sinistra, pubblicavano un giornale che così si chiamava dove non facevano mistero delle loro intenzioni e dove dicevano che era necessario armarsi. Eravamo preoccupati di questo giornale, lo dissi al capo della polizia Vicari, facendo scandalo perché mi ero permesso di dire che stavamo andando incontro alla guerriglia. Vi fu allora una manifestazione sindacale che partiva dai Bastioni fino a piazza Duomo. Ero di servizio in testa al corteo e con me c'era quel giornalista assieme ad altri. Mi chiese se avevo letto quel giornale. Risposi di sì e che ero convinto che prima o poi qualcosa sarebbe accaduto. Dopo lui per un po’ si orientò come gli altri e successivamente fece autocritica e io lo chiamai per ricordargli quell'incontro durante il corteo. Voglio dare atto a quel giornalista di aver avuto il coraggio di fare autocritica. Anzi ad un certo punto mi ha dato ragione perché scrisse proprio: "Allegra aveva ragione". Così non hanno fatto altri che continuano a dire certe cose dimostrando di non aver capito niente. Certe persone a volte si sopravvalutano, in realtà scrivono di certe cose senza aver capito nulla. Ci sono fenomeni che non si possono riconoscere in pochi giorni...

PRESIDENTE. Anche l'articolo di Bocca che è stato citato è del 1975. Poi Bocca è diventato uno dei più realistici rispetto alla ricostruzione dell'organizzazione delle BR. Lo ha fatto attraverso le interviste a Moretti e a Franceschini, è stato uno dei primi a ricostruire con chiarezza la storia delle BR in anni successivi al 1975, quando alcuni furono catturati e poteva cominciare a intervistarli.

FRAGALA'. Però il tema che stasera ha posto il dottor Allegra è un altro. Non ci troviamo di fronte a persone come a Bocca o altri che avevano gli occhi foderati di prosciutto e che poi hanno fatto autocritica. Il tema che ha posto il dottore Allegra è che quando saltò in aria Feltrinelli tutta la Milano bene lo sapeva e c'era una campagna dolosa di controinformazione per impedire le indagini a sinistra o per ostacolarle. È un fatto diverso. Quando Bocca, Pansa o Camilla Cederna scrivevano in quel modo….

ALLEGRA. Anche Ghirelli.

FRAGALA'. …sapevano bene quello che era successo a Calabresi, a Feltrinelli, ad altri, solo che scrivevano in quel modo perché la loro militanza politica li portava a fare questa opera di controinformazione per impedire o ostacolare le indagini a sinistra. Il dottore Allegra ha posto questo tema e mi pare molto rilevante. Quello che sostiene lei è cosa diversa, di cui prendiamo atto.

PRESIDENTE. Non è diversa, è l'inerzia di quel fenomeno, perchè il problema è capire chi l'ha fatta franca ancora oggi.

FRAGALA'. Vorrei chiedere alcune cose specifiche. Può confermare che dopo l'attentato di piazza Fontana le pervenne la notizia da una fonte del SID che indicava Feltrinelli come il personaggio che stava dietro gli attentati?

ALLEGRA. No, il SID non aveva rapporti diretti con noi.

FRAGALA'. Non il SID, una fonte del SID. Non ebbe alcuna indicazione che Feltrinelli era dietro gli attentati dopo piazza Fontana?

ALLEGRA. Era un sospetto anche nostro all'inizio, ma poi non è emerso niente, anzi risultò che si trovava all'estero perché era uscito dall'Italia poco prima.

FRAGALA'. Perché secondo lei Feltrinelli lasciò Milano il 5 dicembre 1969, dopo essere stato interrogato dal giudice su precedenti attentati?

ALLEGRA. Perché non lo so, forse aveva attività all'estero non solo di tipo editoriale.

FRAGALA'. Attività guerrigliere.

ALLEGRA. In Germania e in Francia. So che rientrò in Italia e si presentò a Moscatelli dicendo che era pronto, pensando che ci sarebbe stato un colpo di Stato e che sarebbe stato necessario combattere, ma quello non lo prese sul serio. Lo dico solo perché l'ho letto e l'ho sentito da qualche parte, ma non è una faccenda di cui sono in grado di dare una certa informazione.

FRAGALA'. Su Pinellli, il capitano dei carabinieri Lo Grano, nel processo Calabresi-Lotta continua ha dichiarato che poco prima che Pinelli precipitasse dalla finestra sul tavolo della stanza fu posta una cassetta jewelparma identica a quelle usate negli attentati. Lei ne è al corrente?

ALLEGRA. Non lo ricordo affatto, non vorrei smentirla, però mi giunge nuova.

FRAGALA'. Ci può parlare dei rapporti intrattenuti con la fonte "Anna Bolena", ovvero Enrico Rovelli?

ALLEGRA. Per quanto riguarda i rapporti confidenziali, Enrico Rovelli era da noi sospettato, insieme con Tito Pulsinelli, di aver fatto, o appoggiato o agevolato l'attentato contro l'ufficio spagnolo del turismo, quello contro la caserma Garibaldi e quello non riuscito contro la chiesa Delle Grazie di Milano. Questo ci venne detto da Ivo Della Savia il 1° maggio 1969. Della Savia, dalle indagini svolte a Milano, risultò essere l'autore, insieme al fratello, dell'attentato al palazzo di giustizia a Roma. Noi chiedemmo alla questura di Roma di procedere e di portarlo a Milano. Della Savia è uno che parla; ha parlato persino degli attentati avvenuti il 25 aprile 1963 contro il comune di Milano. Quando, il 25 dell’anno scorso (o di due anni addietro), ci fu un attentato di "Azione diretta" contro il Comune di Milano, andai in Questura per ricordare che anche il 25 aprile 1963 era stato commesso un attentato contro lo stesso Comune e, precisamente, da Ivo Della Savia. Mi risulta che, dato il lungo tempo trascorso, le ricerche dei precedenti non hanno avuto un esito favorevole. Io ricordo bene l’avvenimento perché ero in ospedale per un incidente stradale patito mentre facevo la scorta all’onorevole Fanfani. Per quanto riguarda il Pulsinelli, in base a una perizia calligrafica risultava che potesse essere l’autore dell’attentato all’ufficio spagnolo del turismo, perché vi era una rivendicazione scritta a penna con una "t" finale. E Ivo Della Savia in questo senso ci aveva indicato. Decidemmo allora di chiedere un’autorizzazione alla perquisizione di questo Rovelli, perché sapevamo che il Pulsinelli viveva con lui. Era il 1° maggio e purtroppo abbiamo dovuto aspettare le 6 per trovare un magistrato disponibile addetto a questa autorizzazione. Quindi andammo a casa di Rovelli, fuori Milano, e trovammo che se l’era squagliata con il Pulsinelli. Furono rintracciati dopo qualche mese a Riccione, dove mi pare che avessero messo una specie di edicola. Per Pulsinelli vi era un ordine di cattura, per il Rovelli avevamo chiesto il fermo, perché volevamo interrogarlo su quanto ci aveva detto Della Savia. Pertanto, la sera stessa partiamo per Riccione. Per portare Rovelli a Milano bisognava farlo interrogare dal procuratore della Repubblica del posto, che ci doveva autorizzare; altrimenti non potevamo portarlo a Milano. Quindi dovemmo rimandare al giorno dopo. Il Pulsinelli non disse niente; per lui vi era un ordine di cattura, venne ammanettato e i Carabinieri lo spedirono direttamente da Riccione a San Vittore; compiendo un atto doveroso, in un certo senso, ma forse avrebbero potuto aspettare noi, avremmo potuto portarlo noi. Niente di male, ma questo ha determinato un danno. Rovelli aveva una attività commerciale, aveva una famiglia e dei figli a cui era molto legato. Cominciò a dire: "Mah, io… se voi mi aiutate… non ho fatto niente di male. Vi posso aiutare, eccetera". "Va bene. Cosa puoi fare per noi?". "Se mi mettete a contatto con Pulsinelli… può darsi che egli sappia qualcosa che io non so: perché quando il giornale ha pubblicato la notizia che vi erano stati degli attentati sui treni, lui ha detto: ‘Ma allora quelli facevano sul serio’».

PRESIDENTE. Pulsinelli era l’altro anarchico.

ALLEGRA. Sì. "Allora facevano sul serio", aveva detto Pulsinelli, per cui Rovelli pensava che sapesse qualcosa. Lui bazzicava l’ex Hotel Commercio di Milano. Ho detto: "Va bene, adesso vediamo". Intanto, siccome Pulsinelli lo avevano portato a San Vittore, questo contatto non si poteva fare. Comunque Rovelli disse che avrebbe collaborato. Qualcosa ci disse: ci parlò di qualche personaggio che lui riteneva importante; ci fece anche l’identikit di Jean Pierre da Nanterre, che lui conosceva. Non è che fu…, però aveva dei rapporti internazionali. C’è un particolare, che risale al periodo in cui ero ancora a Milano: un giorno, al circolo Ponte La Ghisolfa, gli diedero l’incarico di fare un passaporto falso (credo che sia anche grafico o qualcosa del genere); gli diedero una fotografia. Lui ci avvertì e ci disse: "Mi hanno chiesto questo".

PRESIDENTE. Era la fotografia di Bertoli?

ALLEGRA. Sì. Ci chiedemmo chi fosse questo tizio del passaporto falso. Allora non vi erano gli strumenti di oggi: facemmo una riproduzione fotografica e la inviammo alle questure del Nord. Comunque facemmo delle indagini.

PRESIDENTE. Un appunto su questo è stato ritrovato nell’archivio-deposito di via Appia. E’ stato casualmente scoperto anni fa.

ALLEGRA. Ci fu risposto (credo dalla questura di Venezia): "Questo si chiama Bertoli, è un anarchico eccetera". Poi "Anna Bolena" ci disse: "No, non si sono fatti più vivi, mi è rimasta la fotografia". Ci disse che il Bertoli si sarebbe servito di un documento fornitogli da altra persona. Quindi la vicenda finì. Poi, uno o due anni dopo (adesso non ricordo)…

PRESIDENTE. Nel maggio 1973.

ALLEGRA. Io purtroppo mi trovavo sul posto: scoppiò questa bomba.

PRESIDENTE. Si doveva scoprire un busto dedicato al commissario Calabresi.

ALLEGRA. Sì, era l’anniversario della sua uccisione. Quando è scoppiata la bomba, pochi istanti prima, mi stavo incontrando con gli ufficiali dei carabinieri, il comandante dei vigili urbani e così via: ci stringevamo la mano per accomiatarci. Arrivò il collega Zagari, mi prese per un braccio e mi disse: "Andiamo su a salutare Palumbo". In quel momento scoppiò la bomba: praticamente portandomi via mi ha salvato la vita.

FRAGALA’. "Anna Bolena" quali informazioni vi diede su piazza Fontana?

ALLEGRA. Su piazza Fontana non diede informazioni. Su piazza Fontana espose anche i suoi dubbi, ma non fu in grado di dare informazioni. Solo – ma lo aveva detto prima – ha citato un personaggio che secondo lui poteva essere importante. Ma siccome non è stato coinvolto in niente, è inutile che faccia il suo nome. Anche se personalmente ritengo che poteva essere una persona importante.

PRESIDENTE. Chi era?

ALLEGRA. No, non si è potuto indagare a fondo su di lui perché… forse D’Ambrosio ha fatto quancosa, non so.

PRESIDENTE. Prima lei ha parlato di una diversa fonte informativa che vi aveva segnalato la possibilità che l’autore della strage di piazza Fontana potesse essere un ferroviere anarchico.

ALLEGRA. Non di piazza Fontana, dell’attentato sui treni.

PRESIDENTE. Quindi vi domandavate se Pinelli fosse l’unico ferroviere anarchico?

ALLEGRA. Glielo chiesi io stesso a lui, ma non è che ci tenessimo tanto. Però, si fa la domanda e si vede come risponde.

FRAGALA’. Nella informativa che viene da Enrico Rovelli, cioè "Anna Bolena", c’è scritto che: "Avviandosi alla conclusione delle sue confidenze, l’Augusta ha detto"…

ALLEGRA. Sì, me lo ricordo, sebbene in modo vago. L’Augusta era un’edicolante di fede anarchica.

FRAGALA’. Si chiamava Augusta Farvo.

ALLEGRA. Aveva un’edicola in via Passaggio degli Osii; aveva contatti un po’ con tutti e gli fece queste confidenze. Mi sembra che c’entrasse il Sottosanti…

FRAGALA. C’entrava "il Nino" e il Pinelli.

ALLEGRA. Il Sottosanti era quello che il pomeriggio del 12 dicembre andò a trovare Pinelli e riscosse l’assegno di 15.000 lire; Pinelli non ha mai voluto dire che era insieme con lui. Questo è il motivo per cui il fermo di quest’ultimo si protrasse: aveva dato un alibi che era stato smontato.

MANTICA. Nino Sottosanti era di destra?

ALLEGRA. Lui frequentava gli ambienti anarchici e diceva che suo padre era un martire fascista. Quindi lo chiamavano "Nino il fascista". A me sembrava una persona che "se ne fregava" della destra e della sinistra e pensava ai fatti suoi. Era stato anche nella Legione straniera…

MANTICA. Allora era di moda.

ALLEGRA. Ci andavano i delinquenti.

FRAGALA’. Dottor Allegra, le leggo la nota così lei può avere un ricordo preciso: "Avviandosi alla conclusione delle sue confidenze, l’Augusta Farvo ha detto che il Nino è giunto a Milano il 2 dicembre e che ripartì il 13, il giorno dopo l’attentato alla Banca dell’Agricoltura. Assicura di essere a conoscenza che il Nino, dopo il pranzo a casa di Pinelli, tentò in tutti i modi di convincere quest’ultimo ad accompagnarlo in centro ma che Pinelli rifiutò. L’Augusta avrebbe saputo questo dalla moglie di Pinelli. Questo categorico rifiuto del Pinelli a portarsi in centro è interpretato dalla stessa come una conferma che il Pinelli stesso era a conoscenza di quello che doveva accadere e che preferiva rimanere al bar per l’alibi. L’Augusta ha detto anche di aver saputo dalla madre di Pulsinelli che durante la notte dall’11 al 12 dicembre il Nino non ha toccato letto; ha passeggiato per la stanza tutta la notte, fumando molte sigarette. Il Nino dal giorno 2 alla partenza da Milano era stato ospite a casa del Pulsinelli". Lei ricorda questa informativa?

ALLEGRA. Adesso la ricordo.

MANTICA. Nino il fascista sembra il sosia di Valpreda.

ALLEGRA. Che poi sosia non è; hanno cercato di tirarlo in ballo come sosia a suo tempo questi signori dell’informazione di cui si parlava prima.

MIGNONE. Dottor Allegra, vorrei tornare un po’ al ‘74, quando il dottor D’Amato diviene dirigente dei servizi di polizia stradale, ferroviaria, postale e di frontiera e lei era a Ponte Chiasso. Proprio lì, al confine con la Svizzera, fu arrestato Valerio Morucci e Libero Maisano. Ci sa dire se quell’arresto fu fatto dalla polizia svizzera?

ALLEGRA. Sì, la stazione di Chiasso è in territorio Svizzero.

MIGNONE. Ma in quell’occasione furono anche sequestrate alcune agende?

ALLEGRA. Un fucile, o forse due, che era stato rubato…

MIGNONE. Quelle agende furono sviluppate? Cioè in esse c’erano i nomi un po’ di tutti.

ALLEGRA. La polizia svizzera non è che sia stata molto disponibile in quella circostanza, non so perché. Esisteva una convenzione, che mi sembra si chiamasse "convenzione sui controlli abbinati". Noi facevamo controlli per quelli che venivano in Italia o andavano dall’Italia. Anche se era compito nostro arrestarli, la convenzione del Gottardo prevede che quando questi soggetti hanno commesso un reato in territorio svizzero in tal caso interviene l’autorità svizzera. Cioè loro hanno detto che se questi avevano delle armi rubate in Svizzera avevano commesso un reato contro di loro e che quindi veniva meno la competenza della polizia di frontiera. Non ci hanno nemmeno detto niente. Poi abbiamo saputo confidenzialmente, perché ero diventato amico del capo della polizia cantonale, il dottor Lepri, che li espulsero attraverso l’Austria.

MIGNONE. Sarebbe molto importante sapere se erano indicati alcuni nomi che poi sono diventati un po’ le componenti fondamentali.

ALLEGRA. Io mi ricordo Libero Maesano e Valerio Morucci.

MIGNONE. Le risulta però se nelle loro agende c’erano nomi di personaggi importanti; le risulta se nell’agenda di Maesano c’era anche il nome di Germano Maccari?

ALLEGRA. Noi queste agende non le abbiamo viste, deve chiederle agli svizzeri. Furono loro ad arrestarli.

MIGNONE. E ci sa dire qualcosa sul traffico di armi tra la Svizzera e l’Italia attraverso Ponte Chiasso?

ALLEGRA. Quello è un romanzo, di realtà non c’è niente. C’era gente che andava in Svizzera e si comprava un fucile dell’esercito svizzero, che veniva modificato e diveniva un fucile da caccia grossa; una volta portato in Italia poteva ritornare…

PRESIDENTE. Un fucile da caccia in zona Alpi?

ALLEGRA. No, da caccia grossa. Una volta, dalle parti di Domodossola fu preso un personaggio con un fucile di questo genere, il quale diceva trattarsi di un fucile normale e che in Svizzera gli era stato venduto come fucile da caccia; quindi poteva essere temporaneamente importato. In quell’occasione un mio collega funzionario sostenne che secondo lui era un fucile da guerra. Però, che andassero in Svizzera o in Liechtenstein a comprare delle armi corte, pistole o cose del genere, senza grandi formalità è certamente una cosa che è avvenuta e di cui si hanno elementi di riscontro.

PRESIDENTE. Morucci ci ha raccontato di altri acquisti di armi che lui ha fatto in Svizzera.

ALLEGRA. Avevano degli appoggi formidabili, ad esempio, un certo professor Galli e tale Jairo Daghino; però che ci fosse un traffico d’armi in grande stile fra il Ticino e l’Italia non mi sembra.

MIGNONE. Lei, dottor Allegra, tra i primi brigatisti ha citato la Tuscher, cioè la nipote della Abbé Pierre, che più tardi è diventata un’esponente dell’Hyperion, la scuola di lingue di Parigi. Ci sa dire qualche cosa in più sui primi brigatisti che poi sono emigrati a Parigi?

ALLEGRA. Quando sorsero le Brigate rosse, lei sa che la prima riunione la fecero a Chiavari alla "Stella Maris", un albergo del luogo, poi, una volta organizzati, si chiamarono "collettivo politico metropolitano". Da quelle notizie che siamo riusciti a percepire di questo gruppo inizialmente faceva parte Franco Troiano, Corrado Simioni, Salvoni Innocente, la Tuscher Françoise, Schiavi Elvira ed un certo Ravizza Garibaldi. All’inizio erano così, però tra di loro sorse qualcosa. Fecero una rapina sotto Natale in un supermercato che fruttò anche parecchi soldi. Questo gruppo di primi fondatori a quanto pare – è una notizia da verificare – si appropriarono di questi soldi e se ne andarono in Liguria e furono in qualche maniera anche sospettati di aver sfruttato questa situazione. Quelli, invece, pare che non intendessero andare d’accordo con questi perché non erano in linea sul problema della clandestinità. A quell’epoca le Brigate rosse non erano infatti eccessivamente clandestine.

PRESIDENTE. Il gruppo si chiamava "superclan".

ALLEGRA. Questo gruppo, che poi perdemmo di vista perché molti si recarono all’estero e vennero fuori sotto l’Hyperion, però operò ancora in Italia, anche se non abbiamo mai potuto accertarlo. Sta di fatto che la Françoise Tuscher, la Schiavi Elvira e il Salvoni Innocente e quindi anche gli altri, furono protagonisti di questo episodio. La Schiavi Elvira sedusse una nostra guardia di pubblica sicurezza che faceva servizio fisso presso la sede del partito comunista. In poche parole lo convinse a seguirlo a casa sua. Questo ragazzo le credette seguendola all’idroscalo. Ad un certo punto la ragazza, dopo avergli chiesto di aspettarla, sostenendo che doveva controllare che i suoi parenti fossero partiti per le ferie e quindi che l’abitazione fosse libera, si allontanò assicurandogli che sarebbe presto tornata. Il ragazzo rimase lì, fu aggredito da quattro persone che lo spogliarono nudo, lo legarono con le sue stesse manette e gli sottrassero la pistola. All’epoca del fatto mi trovavo in ferie e appresi la notizia dai giornali. Telefonai a Milano e dissi che bisognava stare attenti perché si trattava di un delitto politico. Il dirigente della Squadra Mobile di allora mi disse che ero fissato e che vedevo in ogni cosa la politica. Risposi che la delinquenza comune non avrebbe mai legato un agente di polizia con le mani dietro la schiena. Al massimo gli avrebbe sottratto la pistola dopo averlo pestato. Sta di fatto che il comandante della celere di cui faceva parte questa guardia gli concesse tre mesi di tempo per girare liberamente a Milano insieme ad un collega e per cercare di rintracciare questa ragazza. Alla fine dopo tanti giri finirono per incontrarla insieme a questa Françoise Tuscher, la bloccarono e le sequestrarono la borsetta. Nella borsetta fu trovato un materiale interessantissimo: ipotesi di rapine, le rapine fatte, come si costruisce una base clandestina, la stufa sempre accesa, il documento che quando si esce deve essere sempre portato nella borsetta, se non si fa in tempo lo si deve mangiare e altre questioni del genere. Queste donne furono arrestate fino a quando il fatto non fu chiarito. Quando la Schiavi Elvira fu rilasciata andò via da Milano per poi credo finire a Firenze in una scuola.

MIGNONE. Perché non avete effettuato accertamenti su Hyperion?

ALLEGRA. A parte il fatto che sarebbe stato necessario andare a Parigi – non era un nostro compito –, il vero problema è che ne siamo venuti a conoscenza soltanto successivamente.

PRESIDENTE. Il giudice Calogero però andò a Parigi.

ALLEGRA. In che anno?

PRESIDENTE. Parliamo del 7 aprile 1979.

ALLEGRA. Quindi, lei si riferisce ad un fatto accaduto sette anni dopo.

PRESIDENTE. La soffiata ai giornali però partì dal Viminale. Lei quindi era sempre alle dipendenze di D’Amato quando lui passò alla polizia di frontiera.

ALLEGRA. In realtà, io dipendevo dal Ministero dell’interno anche se certamente come settore di servizio ero alle sue dipendenze.

PRESIDENTE. Agli atti della Commissione abbiamo una lettera di D’Amato al ministro Rognoni in cui lui afferma di aver sempre diretto l’ufficio affari riservati finché nel 1974, per una polemica nata con il servizio segreto militare, fu ritenuto opportuno il suo spostamento a dirigere la polizia di frontiera. Vorrei che fosse chiaro – scrisse al Ministro – che, su richiesta del Ministro dell’interno dell’epoca e del Capo della polizia (un fatto confermato da tutti i ministri e da tutti i capi della polizia succedutisi nel tempo), non ho mai smesso di svolgere compiti di polizia politica.

ALLEGRA. Il fatto che non abbia mai smesso non significa che abbia lavorato per noi. Probabilmente svolgeva un incarico per il Ministero.

PRESIDENTE. E poi aggiunge che se la sua attività si dovesse inquadrare in una luce fosca poteva forse di volta in volta sembrare agente di una parte o dell’altra, essere stato vicino ai terroristi palestinesi o all’eversione di destra? Poteva svolgere questa attività da solo? Doveva certamente avere delle persone fidate.

ALLEGRA. Signor Presidente, conosco bene i colleghi che lavoravano allora presso il servizio affari riservati. Mi riferisco a Milioni, Carlino, Russomanno, Pierantoni e Bonagura che credo sia ancora in servizio. Si trattava di persone di buona cultura e a mio giudizio correttissime. Sono a conoscenza del fatto che il Carlino ha scritto anche una lettera ad un giornale di Roma. Considerati i rapporti che avevo con loro e il fatto che metterei la mano sul fuoco sulla correttezza di questi funzionari, se avessero avuto sentore di qualcosa, qualche notizia mi sarebbe pure arrivata.

PRESIDENTE. Il vero problema è se determinate funzioni anziché essere imputate al luogo istituzionale deputato a ciò, non venissero svolti da luoghi diversi.

ALLEGRA. Le specialità non avevano niente a che fare con questa faccenda. Anche l’attività di frontiera poteva essere connessa con un’attività politica. Ricordo che una sera, durante il sequestro Moro, fermammo alla frontiera di Brogeda cinque persone, quattro donne tedesche e un italiano.

PRESIDENTE. Secondo lei è una millanteria quella che D’Amato scrive al Ministro dell’interno?

ALLEGRA. Non credo che sia una millanteria. Ritengo anzi che lui potesse essere spesso sentito per la sua esperienza e per i suggerimenti che era in grado di dare. Poi, non sono in grado di dire se ciò avvenisse e in quale maniera, ma non sono neanche in grado di escluderlo. Indubbiamente era considerato una persona di grande intelligenza.

PRESIDENTE. Lei ha detto che metterebbe la mano sul fuoco per tutti i funzionari che ha nominato. Sul fatto che il dottor Russomanno passa al giornalista Isman l’interrogatorio di Peci, che idea si è fatto?

ALLEGRA. Lui stesso mi ha raccontato la vicenda e quindi ho il dovere di credergli.

PRESIDENTE. Ovviamente il nostro dovere non è il credere, ma di indagare.

ALLEGRA. All’epoca dell’interrogatorio di Peci lui si trovava al SISDE. Siccome in quell’interrogatorio vi erano una o più pagine in cui spiegava le ragioni morali che lo avevano spinto a collaborare con lo Stato, lui ritenne che se quell’argomento di una o due pagine avesse avuto una diffusione, avrebbe potuto trattenere – dal momento che in quel momento a Roma c’erano più di trenta ragazzi pronti a passare al terrorismo…

PRESIDENTE. E’ una giustificazione da lui data anche nel corso del processo. Comunque le Brigate rosse furono avvertite della possibilità del pentitismo. Ricordo infatti che il fratello di Peci ci rimise anche la pelle.

ALLEGRA. Comunque, sta di fatto che – me lo ha raccontato personalmente – assente quando Isman ha avuto il verbale, aveva raccomandato ad un suo collaboratore di darne solo due pagine nel caso si fosse presentato un giornalista; venne dato invece tutto il verbale. Mi è stato detto anche che si è meravigliato di non aver ricevuto un aiuto da chi era al corrente di questa decisione.

MIGNONE. Ha il ricordo di un colloquio con Grassini, D’Amato ed altri funzionari all’Hotel Metropole di Roma nell’aprile del 1980? In tal caso, di che cosa si parlò e chi ebbe a convocare quell’incontro?

ALLEGRA. Ricordo vagamente l’incontro; secondo me, convocato dal Capo della polizia. Lo scopo era quello di avere il parere di chi si era occupato di questi problemi in merito alla situazione. Se non erro, era un periodo nel quale erano stati uccisi anche dei magistrati del Ministero di grazia e giustizia.

MIGNONE. Non sa dirci quindi se furono prese delle decisioni operative?

ALLEGRA. E’ stata più che altro una riunione informativa.

MIGNONE. Non si ricorda se si parlò di terrorismo, dei rapporti internazionali, visto che qualcuno parlava della pista cecoslovacca?

ALLEGRA. Si parlò senz’altro di terrorismo ma non di questa pista.

MIGNONE. Le ricordo che nel 1998 scrisse un articolo in cui parlava della pista cecoslovacca.

ALLEGRA. La ripresi da "Panorama", pubblicata giorni prima, come del resto citato.

FRAGALA’. Perché non avete interrogato Augusta Farbo che sapeva parecchie cose sulla strage di piazza Fontana?

ALLEGRA. Se l’avessimo interrogata non ci avrebbe detto niente. Era una donna molto particolare.

FRAGALA’. Era disposta a fare da confidente?

ALLEGRA. No; parlava solamente con uno della sua fede politica. Non faceva confidenze alla polizia ma ad un suo collega, ad un suo compagno di stesso orientamento politico.

FRAGALA’. Quando fu scoperto il cadavere dell’editore Giangiacomo Feltrinelli fu poi ufficialmente riconosciuto il 16 marzo 1972 dal confronto delle impronte digitali custodite al carcere di S. Vittore. Vuole dire alla Commissione per quali fatti Feltrinelli era stato detenuto a S. Vittore nel ‘48?

ALLEGRA. Quando faceva parte della Federazione giovanile comunista fu sorpreso una sera insieme con altri ad affiggere manifesti in luoghi non consentiti. In base all’articolo 24 del Testo unico della legge sulla Pubblica Sicurezza, era possibile l’arresto per contravvenzione.

FRAGALA’. Questo di cui lei parla fu il primo arresto. Venne poi arrestato una seconda volta nel ’48 perché aveva nascosto delle armi.

ALLEGRA. Ricordo solamente che quella sera Calabresi, attraverso una fotografia, aveva sospettato che potesse trattarsi di Feltrinelli. Andò con l’ufficiale dei carabinieri all’obitorio per una conferma e tornarono con questa convinzione. Quindi, si decise di cercare dei precedenti perché sembrava che Feltrinelli in passato ne avesse uno. Se non l’avessimo avuto noi il carcere avrebbe certamente posseduto le sue impronte digitali. La prima cosa che si fece la mattina successiva fu proprio questa. Riuscimmo però a fare il riconoscimento ufficiale alle ore 24.00 della sera; convocammo la signora Schöntal ed un cugino di Feltrinelli; un certo Carpe De Resmini il quale in primo luogo negò, sperando di fare controinformazione, che fosse lui. Allora Schöntal, molto decisa, disse senza alcun dubbio che si trattava proprio di lui. Si arrivò quindi al riconoscimento.

FRAGALA’. Ebbe modo di vedere il passaporto originale di Feltrinelli, rinvenuto il 2 maggio 1972 nel covo di via Delfico dove le Brigate rosse avevano immagazzinato armi e materiali proveniente dai GAP di Feltrinelli?

ALLEGRA. Sì.

FRAGALA’. Ci sa dire quali visti erano stampigliati su quel passaporto?

ALLEGRA. E’ agli atti. Tra l’altro, non aveva un solo passaporto ma cinque, con vari nomi (vedi Scotti e così via) caratterizzati da un particolare: tutti i documenti falsi che loro stessi fabbricavano, anche per gli adepti, riportavano l’esatta data di nascita della persona in possesso del documento. E’ importante poiché, in caso di controllo di polizia, non ci si sbagliava sulla data di nascita.

FRAGALA’. Conosce i motivi per cui dopo l’omicidio Calabresi il brigadiere dell’ufficio politico Vito Panessa rassegnò le dimissioni dalla polizia?

ALLEGRA. Panessa è stato un altro di quelli considerati addirittura l’alter ego di Calabresi per il male che si poteva dire di entrambi. Ad un certo punto "i colpevolisti" di Calabresi si chiedevano perché lo avessero fatto. I più danneggiati eravamo noi: Calabresi è un agente della CIA che ha fatto un corso in America, la scorta al generale Walker, che ha presentato questo generale non so a quale Capo di Stato; costui era cioè diventato un personaggio importante. Panessa era considerato quasi come lui tanto è vero che un giornalista ha scritto che quando mi sono recato a piazza Armerina non potevo più interrogarlo, in base alla nuova legge, entrata in vigore, che vietava l’interrogatorio formale da parte della polizia. Però fui seguito dal maresciallo Panessa con il compito di controllarmi.

FRAGALA’. Come ha spiegato il depistaggio attraverso il quale fu attribuito l’omicidio Calabresi al neofascista Nardi fermato alla fine del settembre ’72 al Valico di Ponte Chiasso? Chi organizzò questo depistaggio?

ALLEGRA. Non so dire chi l’abbia organizzato. Questa indagine era caduta sin dall’inizio. Fui io che telefonai a Riccardelli per invitarlo a venire a Como, e alla fine addivenimmo alla convinzione che non c’entrasse con questa vicenda. Tuttavia dal momento che era rimasto il dubbio si decise di continuare l’indagine. Poi di questo non si parlò più, successivamente andai via, e dopo qualche anno sentii dire la notizia in base alla quale Calabresi stava conducendo delle indagini sul traffico di armi e che aveva effettuato continui viaggi a Lugano. Mi risulta, invece, che a Lugano non sia mai stato e francamente non so come sia nata questa notizia. Non bisogna tuttavia dimenticare che c’era un Comitato che "bazzicava" gli ambienti del Palazzo di Giustizia e che veniva definito il "Comitato dei giornalisti democratici" all’interno del quale ci saranno state anche brave persone, ma ce ne erano delle altre che possibilmente hanno "ciurlato". Vorrei anche chiarire un’altra faccenda; c’è stato infatti un momento in cui il procuratore della Repubblica, mi riferisco al dottor Micale, propose due magistrati, il Riccardelli e un certo Sinagra, al Consiglio superiore della magistratura - si tratta comunque di notizie che ho appreso attraverso i giornali – mossa contro la quale mi risulta ci sia stata una grossa reazione contraria, tanto è vero che è stato detto che il Riccardelli era stato molto impegnato dalle indagini sulla morte del dottor Calabresi.

FRAGALA’. La relazione di servizio ritrovata a Robbiano di Mediglia, nel covo delle Brigate rosse, era stata redatta dal brigadiere Panessa?

ALLEGRA. Non credo. Non so come quella relazione sia andata a finire in quel luogo, infatti, non mi risulta che le relazioni interne normalmente vadano in giro. Al riguardo ho letto qualche notizia, ma suppongo che non si trattasse di una relazione, ma delle dichiarazioni rilasciate da questo brigadiere, ma ripeto, non credo che si trattasse di una vera e propria relazione.

FRAGALA’. Nel verbale di sequestro dei carabinieri si parla di "relazione di servizio".

ALLEGRA. Mi scusi, onorevole Fragalà, vorrei capire meglio. Con questa relazione mi si sarebbe dovuto riferire che cosa, che il Pinelli era coinvolto?

FRAGALA’. Sì, perché secondo le Brigate rosse Pinelli era coinvolto nella strage di piazza Fontana.

ALLEGRA. Mi sembra di aver capito che praticamente questi soggetti avrebbero redatto questa relazione in cui si sosteneva che le Brigate rosse avessero accertato questi fatti; tuttavia, questa relazione non era rivolta a me, ma all’ufficio dal momento che probabilmente avevo già lasciato il mio incarico. Ebbene, questo potrebbe essere possibile.

PRESIDENTE. La domanda, onorevole Fragalà quale è? Vuole sapere se c’era una relazione di servizio del brigadiere, o se si trattava di una relazione delle Brigate rosse?

FRAGALA’. Si trattava di una relazione di servizio del brigadiere Panessa…

ALLEGRA. …Il quale dice di aver saputo che le Brigate rosse sostenevano che Pinelli… Ebbene, questo è possibile.

PRESIDENTE. Dove si trovava questa relazione?

FRAGALA’. Nel covo delle Brigate rosse di Robbiano di Mediglia.

PRESIDENTE. Come facevano le Brigate rosse ad avere queste notizie?

ALLEGRA. Mi chiedo anch’io come fosse possibile e poi credo che Panessa non c’entrasse niente. Personalmente ho sentito parlare di Fainelli, visto che costui frequentava l’ambiente di via Brera; tra l’altro si trattava di un ottimo sottufficiale, probabilmente credo che si sia svolta una discussione su questi argomenti e che ne sia stato riferito il contenuto alle Brigate rosse con cui non credo che Fainelli fosse in contatto diretto.

FRAGALA’. Ha saputo i motivi per cui la Procura di Milano nel 1997 ha provveduto ad effettuare delle intercettazioni del suo telefono ed anche intercettazioni ambientali nei suoi confronti?

ALLEGRA. Non mi risulta, né conosco i motivi.

FRAGALA’. Lei è stato sentito nel processo attualmente in corso a Milano sulla strage di piazza Fontana?

ALLEGRA. No.

PRESIDENTE. Prima di concludere questa audizione volevo avere una considerazione conclusiva da parte del dottor Allegra. Se ho ben capito il senso complessivo della sua audizione, mi sembra che lei sia tuttora convinto che le piste che furono originariamente imboccate per quanto riguarda la strage di piazza Fontana, Valpreda ed in genere sull’ambiente anarchico, fossero comunque valide. A distanza di tempo ha rivisitato questa convinzione?

ALLEGRA. In assoluto tutto è relativo. In ogni caso non intendo sostenere di avere la totale certezza che le piste imboccate fossero quelle giuste, tuttavia posso dire che dalle inchieste svolte allora risultarono degli elementi che comunque rimangono validi e che fanno pensare.

PRESIDENTE. Che valutazione ha fatto di tutti gli elementi che emersero successivamente, dopo le indagini di Juliano e del giudice Stiz?

ALLEGRA. Abbiamo sempre ritenuto - ne è una dimostrazione l’indagine condotta a Roma nei confronti di Merlino- che non fosse opportuno chiudere la porta su certi ambienti di destra, anzi la porta è stata aperta. E’ possibile che questi personaggi avessero già l’intenzione di effettuare degli attentati ed è possibile anche che fossero stati guidati in un certo senso; infatti, perché creare una nuova organizzazione quando ci sono dei soggetti disposti ad effettuare determinati atti di terrorismo? Pertanto che ci potessero essere alle spalle di questi soggetti anche degli ispiratori non l’abbiamo mai messo in dubbio, né del resto possiamo affermarlo con certezza. Bisognerà vedere come si concluderà questo nuovo processo, mi auguro bene; tuttavia fino a questo momento materialmente non si sa ancora chi abbia fatto questi attentati; si sa da chi sono stati organizzati, ma non chi materialmente li abbia portati termine.

PRESIDENTE. Mi fa piacere che lei abbia detto queste cose perché abbiamo avuto modo di sentire il senatore a vita Taviani che è stato a lungo Ministro dell’interno e della difesa. Il senatore Taviani ha dichiarato che non è possibile capire niente della strage di piazza Fontana se non si parte dal presupposto che la bomba sarebbe dovuta scoppiare quando la banca era chiusa. In tal senso il senatore Taviani ha inoltre aggiunto che la strage di piazza Fontana fu organizzata da persone e che non avrebbe mai potuto pensare che delle persone serie potessero aver voluto uccidere deliberatamente sedici italiani, né che un ipotetico colonnello dei carabinieri avesse potuto organizzare questa strage. Ha quindi sostenuto che quella bomba non dovesse fare vittime come del resto non fecero vittime le bombe che contemporaneamente scoppiarono a Roma. Il punto è questo: questi anarchici erano soltanto tali? Ci spiega inoltre qualcosa in riferimento a Bertoli?

FRAGALA’. …o erano sedicenti anarchici ed in realtà fascisti come sostengono Bocca e Camilla Cederna?

PRESIDENTE. Ho semplicemente ripetuto quanto dichiarato dal senatore Taviani.

ALLEGRA. Quando ci siamo occupati del Bertoli ci è stato descritto dalle questure competenti come un anarchico, che poi fosse qualcos’altro non lo so dire.

FRAGALA’. Ha tentato il suicidio per affermare di essere anarchico.

ALLEGRA. Ribadisco che non so se abbia avuto altri contatti o abbia subito influenze diverse, posso dire solo quello che mi consta. In secondo luogo, bisogna considerare che vi era una seconda bomba che noi non facemmo esplodere per nostro piacere, ma in seguito a degli ordini che provenivano dal Ministero della difesa. Si erano verificati, infatti, dei precedenti gravissimi, a Verona erano morti due agenti di sicurezza per aver spostato una valigia che conteneva un ordigno. In tal senso le disposizioni vigenti prevedevano che quando si trovava un ordigno di cui era impossibile trovare il meccanismo dell’innesco fosse necessario farlo esplodere con una piccola carica. Successivamente fu rinvenuta a Sesto San Giovanni una bottiglia con una matita dentro…

PRESIDENTE. Secondo lei neanche questo fu un errore?

ALLEGRA. Signor Presidente, a quelli che sostengono il contrario vorrei domandare come in realtà si sarebbe potuto fare. Il maresciallo Bizzarri, che non era un artificiere, sostenne che fosse necessario mettere una miccia detonante: …ma se quella bomba è saltata con venti grammi di tritolo! Inoltre, se anche fosse stato possibile aprire quella bomba - tra l’altro rischiando la pelle di tanta gente -, che cosa si sarebbe ottenuto di più di quello che si è trovato successivamente?

PRESIDENTE. E il cordino?

ALLEGRA. Il cordino è un’altra faccenda. Poi, dove e perché si è perso, non lo so.

PRESIDENTE. Non è a lei che devo spiegare che cosa si è pensato, quale danno alle indagini si è ritenuto sia stato causato per il fatto che la bomba sia stata fatta esplodere.

ALLEGRA. Chi lo dice questo?

PRESIDENTE. Mi sentirei in imbarazzo, è una vicenda giudiziaria.

ALLEGRA. Dico questo: anche il magistrato che afferma che si poteva non farla esplodere ignora in primo luogo che le disposizioni vigenti in quel momento erano tassative; poi, le cognizioni e le concezioni degli esperti; infine, i fatti avvenuti precedentemente per cui non potevamo rischiare di far morire venti-trenta persone perché poi, una volta fatta esplodere, si trovano tutti i frammenti che sono necessari.

FRAGALA’. Aggiungo che voi allora, nel giro di ventiquattro ore, siete riusciti a ricostruire chi aveva venduto le cassette, chi era il fabbricante, e addirittura che una cassetta era stata venduta vicino alla casa di Pinelli. Quindi, avete ricostruito tutto, l’indagine non ebbe nessun ostacolo.

PRESIDENTE. Lei conosceva il commissario Juliano?

ALLEGRA. No.

PRESIDENTE. Peccato che è morto altrimenti un confronto con lei sarebbe stato interessante, avremmo percepito una dinamica interna all’amministrazione della polizia italiana.

ALLEGRA. Non so quanto sarebbe stato interessante…

FRAGALA’. Dottor Allegra, lei non lo sa, ma nel 1997, quando Russomanno la venne a trovare, le fu collocata una microspia con telecamera nel forno del suo appartamento.

PRESIDENTE. Questo da che cosa risulta?

FRAGALA’. Dagli atti pubblici depositati nel processo in corso a Milano, non sono atti della Commissione, sono del processo attualmente in corso. Tale microspia era stata messa per registrare tutto il vostro colloquio. Però, nel momento in cui avete parlato di Calabresi e della sua morte, la registrazione, incredibilmente, non è venuta bene, non si capisce niente.

PRESIDENTE. Per soddisfare la mia curiosità, che cosa dice la parte registrata?

FRAGALA’. Banalità.

PRESIDENTE. E’ stata utilizzata dall’accusa?

FRAGALA’. L’hanno dovuta depositare.

PRESIDENTE. Non dovevano fare niente, lei lo sa meglio di me. Se l’hanno depositata, evidentemente nella logica dell’accusa ha un qualche significato. Quindi, il pubblico ministero non le ha valutate banalità.

FRAGALA’. Obiettivamente sono banalità, poi il pubblico ministero può considerare quello che vuole.

PRESIDENTE. Sarà la Corte d’assise a stabilirlo.

FRAGALA’. Nella parte in cui lei e Russomanno parlate della morte di Calabresi la registrazione è venuta male e non si capisce niente, solo quella parte.

ALLEGRA. Sarei curioso di sapere di quale forno lei parla.

PRESIDENTE. Questo che senso avrebbe avuto visto che, contemporaneamente, la Corte d’assise di Milano, sempre per iniziativa della procura di Milano, aveva condannato Sofri una volta, due volte, tre volte, eccetera?

FRAGALA’. Questa è un’altra faccenda, signor Presidente. Nel 1997 Russomanno va a trovare il dottor Allegra.

PRESIDENTE. Quello che si potevano dire il dottor Allegra e Russomanno sulla morte di Calabresi in che modo avrebbe messo in imbarazzo la procura di Milano visto che nel frattempo aveva celebrato il processo a Sofri?

FRAGALA’. Questo lo dovremmo chiedere a chi ha ordinato l’intercettazione ambientale e il dottor Allegra è stato intercettato nei suoi telefoni per un lunghissimo periodo.

PRESIDENTE. Non riesco a vedere uno schieramento, un indirizzo politico in quel tipo di indagine, visto che stiamo parlando di uffici giudiziari che hanno condannato Sofri per l’omicidio Calabresi e, non molto tempo fa, Bertoli, Maggi e compagnia bella per via Fatebenefratelli. Dovremmo leggere le sentenze, così potremmo farci un’idea più precisa. Lei sa che c’è stata una Corte d’assise che ha ritenuto che Bertoli non era un puro anarchico?

ALLEGRA. L’ho letto sui giornali.

PRESIDENTE. Può darsi che quella sentenza sia sbagliata, ma quando ne leggeremo le motivazioni, forse potremo avere un’idea più precisa.

ALLEGRA. Però io mi meraviglio, adesso, a sentire che sono stato sottoposto ad una intercettazione ambientale, quando penso alle difficoltà che noi avevamo in passato.

PRESIDENTE. Si assume la responsabilità della domanda l’onorevole Fragalà, io non lo sapevo.

ALLEGRA. Non è che non me lo sarei aspettato, perché ormai succede di tutto. Voglio dire che noi all’epoca abbiamo chiesto e abbiamo avuto respinta la richiesta di mettere sotto ascolto telefonico il telefono di Feltrinelli.

PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Allegra per questa lunga audizione e gli facciamo ancora i complimenti per la sua memoria di fatti sia pure lontani nel passato. Evidentemente lei ha molto esercitato la sua memoria su questi. La ringrazio ancora e dichiaro conclusa l’audizione.

La seduta termina alle ore 23,45.

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