Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

53a SEDUTA

MARTEDI 27 LUGLIO 1999

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

Indice degli interventi

PRESIDENTE
BIELLI (Dem. di Sin.-L'Ulivo), deputato
DE LUCA Athos (Verdi-l'Ulivo), senatore
FRAGALA' (AN), deputato
MANCA (Forza Italia), senatore
PARDINI (Dem. di Sin.-L'Ulivo), senatore
SARACENI (Misto-Verdi), deputato
STANISCIA (Dem. di Sin.-L'Ulivo), senatore
TARADASH (Misto-P.Segni-RLD), deputato

La seduta ha inizio alle ore 20,10.

 

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta. Invito la senatrice Bonfietti a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

BONFIETTI, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del 25 maggio 1999.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato. E' approvato.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE.

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l’ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione e che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell’inchiesta.

Comunico altresì che l'avvocato Guiso e l’onorevole Sinisi hanno provveduto a restituire, debitamente sottoscritti ai sensi dell’articolo 18 del regolamento interno, i resoconti stenografici delle loro audizioni, svoltesi rispettivamente il 16 marzo ed il 25 maggio 1999, dopo avervi apportato correzioni di carattere meramente formale. Il signor Alberto Franceschini, dal canto suo, ha fatto sapere per iscritto di non aver alcuna correzione da apportare allo stenografico della propria seduta.

Informo che il dottor Libero Mancuso ed il dottor Carlo Nordio hanno fatto pervenire loro elaborati concernenti il susseguirsi di fatti di terrorismo accaduti in Italia dal 1982 fino all’omicidio del professor D’Antona e che il professor Zaslavsky ha consegnato un suo primo elaborato riferito ai rapporti di carattere politico, ideologico e finanziario intercorsi negli anni del dopoguerra fra organismi dell’allora Unione Sovietica e formazioni politiche e culturali della sinistra europea, e di quella italiana in particolare.

Informo infine che l’Ufficio di Presidenza allargato ha deliberato, in data 17 giugno 1999, di rinnovare al dottor Domenico Rosati, per il periodo 1° luglio-30 settembre 1999, l’incarico di studio e di consulenza a tempo determinato.

 

INCHIESTA SULL'OMICIDIO DEL PROF. D'ANTONA, SULLE NUOVE EMERGENZE DEL FENOMENO TERRORISTA E SULLE MISURE DI PREVENZIONE E DI CONTRASTO. DISCUSSIONE ED APPROVAZIONE DI UN DOCUMENTO PREDISPOSTO DAL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame di un documento sull'omicidio D'Antona, che ho depositato, in adempimento ad un impegno che avevo assunto con l'Ufficio di Presidenza. Il documento è stato ampiamente discusso in via preliminare nell'Ufficio di Presidenza. Quindi oggi è all'esame della Commissione in una edizione riveduta in cui io ho evidenziato tutti i punti in cui la bozza iniziale che avevo predisposto per la Commissione è stata emendata, affinché, soprattutto nelle conclusioni, essa si presentasse come documento aperto, che registrasse cioè su una serie di punti propositivi la pluralità di indirizzi che era emersa all'interno dell'Ufficio di Presidenza.

I colleghi avranno esaminato il documento. Questo mi consente di essere brevissimo nell'illustrarlo. Reca una premessa che si riallaccia all'audizione del prefetto Ferrigno e che descrive, direi da un punto di vista anche sociologico, le ragioni e la diversità delle ragioni per cui oggi quasi tutte le grandi democrazie sono esposte al rischio di improvvise fiammate terroristiche.

Contiene poi una seconda parte che ha riferimento più specifico all'omicidio dell'avvocato professor D'Antona; contiene anche un'analisi del documento di rivendicazione. E poiché da questa analisi chiaramente emerge un collegamento del gruppo che ha commesso l'omicidio con la fase finale dell'esperienza delle BR, un terzo paragrafo analizza quella fase, avanzando anche l'ipotesi che lo Stato, nel colpire dal 1982 in poi quello che sostanzialmente era un esercito in ritirata, ha potuto trascurare degli sbandati consentendo loro di farsi da parte, sostanzialmente indisturbati.

La terza parte, che è quella su cui di più si è acceso il dibattito in sede di Ufficio di Presidenza, contiene una serie di valutazioni e di proposte. Alcune di queste hanno trovato non concordanza nell'Ufficio. Sul piano della valutazione, la mia proposta di relazione conteneva un giudizio tutto sommato positivo di quella che era stata l'attività dei servizi di informazione e poi della polizia di prevenzione; infatti, da ciò che ci disse il prefetto Ferrigno e da ulteriori documenti che sono pervenuti dai ROS e dall'UCIGOS, sembra che le analisi del fenomeno siano state abbastanza approfondite. Però mi è sembrato giusto registrare nel testo corretto che in sede di Ufficio di Presidenza ci sono state opinioni di dissenso da parte di chi ha ritenuto che, dato il corredo informativo già presente quando Ferrigno fu audito, sarebbe stato lecito attendersi negli anni dal 1996 ad oggi maggiori approfondimenti anche a livello di polizia di prevenzione. E si è collegata questa negatività a recenti misure che il Governo ha adottato, abolendo strutture centrali di investigazione come lo SCICO. Ho dato atto di questa opinione di dissenso all'interno dell'Ufficio di Presidenza, anche se mi è sembrato che la maggior parte dei membri dell'Ufficio di Presidenza fosse orientata a concordare con la mia positiva valutazione.

Un secondo punto del testo originario può ritenersi sostanzialmente superato dai fatti, cioè la proposta - che non era stata solo mia, ma che era stata avanzata in un'intervista anche dal collega Athos De Luca - di creare per il contrasto al terrorismo strutture del tipo della procura nazionale antimafia e delle procure distrettuali antimafia, oppure di estendere le competenze di queste a reati di terrorismo (come l'associazione sovversiva e la banda armata), anche per la possibile contiguità che ci può essere tra ambienti criminali e ambienti terroristici. Anche per un ultimo episodio di Milano, le notizie di oggi confermano la possibilità di tale contiguità. Direi che la proposta è superata, perché abbiamo visto che un coordinamento si sta attivando: nello stesso giorno che noi discutevamo della proposta di relazione nell'Ufficio di Presidenza, presso la Procura di Roma c'è stato un incontro tra le sette procure che indagano su questi episodi di terrorismo; si è deciso di proseguire nelle indagini in maniera collegata, con forte scambio di informazioni, e la Procura di Roma ha assunto il compito di assicurare il coordinamento.

Un'ulteriore mia valutazione ha trovato opinioni di dissenso già nello stesso Ufficio di Presidenza, in particolare da parte della collega Bonfietti. Avevo scritto che, nella nuova emergenza, probabilmente sarebbe spettato all'autorità giudiziaria rivedere alcuni benefici carcerari di cui godono brigatisti così detti irriducibili. La collega Bonfietti, a mio avviso giustamente, ha fatto osservare che in questo modo avremmo dato l'idea di una risposta emergenziale; in contrasto con una valutazione fondativa nella mia relazione; e cioè l’affermazione che una grande democrazia reagisce al terrorismo utilizzando le leggi vigenti, senza bisogno di legislazione di emergenza; ha però diritto di chiedere che le leggi vigenti siano applicate con serietà e con fermezza (con il rispetto delle garanzie, ma con serietà e con fermezza).

Anche di questa diversità di opinioni emersa nell'Ufficio di Presidenza ho ritenuto di dover dare atto nel documento, che è ora al nostro esame. Tuttavia, polemiche giornalistiche hanno continuato a susseguirsi sul punto e mi impongono di chiarire il mio pensiero. Io non ho mai pensato di collegare una revisione dei benefici carcerari al fatto che alcuni noti brigatisti, soprattutto brigatisti che furono protagonisti della vicenda Moro, si siano rifiutati di venire in Commissione; né ho mai pensato di ricattarli per imporre loro di venire in Commissione e di dire ciò che io vorrei che dicessero (è un'accusa che mi è stata rivolta sia da "il Manifesto" sia da Barbara Balzerani, in un'intervista rilasciata a "l'Espresso"). Mi riferivo ad altro, mi riferivo cioè alla possibilità, che emergeva - sia pure come tale, come possibilità - da informazioni che avevamo avuto prima dal prefetto Ferrigno e poi dall'UCIGOS e dai ROS, che alcuni brigatisti irriducibili, che godono di benefici carcerari, utilizzano tali benefici per frequentare ambienti come il CARC e l'ASP, che a mio avviso sono chiaramente non terroristici, ma contigui al terrorismo che va riorganizzandosi. Pensavo che in quel caso il giudice, ovviamente sulla base di informazioni e caso per caso, potesse rivedere il regime dei benefici. Ovviamente, come avevo chiaramente scritto, nel rispetto dell'autonomia del potere giudiziario: i giudici provvedono caso per caso, non in via generale e astratta. Né proponevo in qualche modo una modificazione della legislazione premiale.

Il testo che avete davanti registra comunque questa non concordanza dell'Ufficio di Presidenza su questa mia iniziale valutazione. Direi però che i fatti che appaiono sulla stampa oggi confermano che il problema comunque c'è; ed attiene ai mezzi con cui eseguire un monitoraggio costante sul modo con cui i benefici carcerari vengono in concreto utilizzati.

Chi ha accesso a svolgere lavoro esterno è obbligato a stare in determinati luoghi e a seguire specifici percorsi, ma può utilizzare il tempo a sua disposizione per frequentazioni diverse e, sostanzialmente, per contravvenire al regime cui sono stati assoggettati i benefici di cui gode. Ritengo che questa sia – a legislazione vigente – una causa di revoca dei benefici. Naturalmente, oggi è molto difficile accertare tutto questo caso per caso.

Il procuratore nazionale antimafia, rilasciando un’intervista, ha riproposto la utilizzazione del braccialetto elettronico che segnala costantemente la posizione sul territorio di chi gode di benefici carcerari. Non ho la competenza per valutare la fattibilità tecnica e la validità di tale proposta che, comunque, a mio avviso, dimostra che il problema esiste ed è quello di monitorare i percorsi quotidiani di coloro che godono di benefici carcerari per poter assicurare che le condizioni in base alle quali quei benefici sono stati concessi vengano rispettate fino in fondo. Questo è un principio valido per la criminalità organizzata e per la microdelinquenza ma, a mio avviso, dovrebbe valere anche per la criminalità politica, come è indubbiamente quella messa in atto dai cittadini italiani, di cui stiamo discutendo.

Ciò posto, mi auguro ovviamente che in una nuova fase molti dei brigatisti che hanno rifiutato il confronto in Commissione rivedano la loro posizione. Non pensiamo affatto, una volta che si presentano in Commissione, di poterli costringere a fare nomi o accusare persone che non intendono accusare; questo non può essere fatto dal giudice e tanto meno possiamo farlo noi. Ricordo che Morucci, durante l’audizione, ha invitato la Commissione a farsi dire da Moretti chi era l’ospite attivo del comitato esecutivo in Firenze e nessuno di noi ha pensato di farsi dire quel nome dallo stesso Morucci, minacciandolo di non farlo uscire libero da quest’Aula.

Noi abbiamo rispettato queste scelte individuali, così come qualsiasi pubblico ministero, scelte che rientrano nell’autonomia dei brigatisti.

Ad ogni modo, rifiutare il confronto anche nei limiti di una ricostruzione di scenari, non voler sentirsi domandare perché sono state scritte determinate frasi in documenti che provenivano dalle Brigate Rosse e perché non sono state scritte parole diverse è indubbiamente un atteggiamento che ho criticato nella proposta di relazione e ritengo che su tale critica l’Ufficio di Presidenza sia stato ampiamente concorde.

In sintesi è chiaro che ho voluto inserire nell’elaborato conclusioni aperte, perché ritengo che il modo migliore con cui il Parlamento possa rispondere all’emergenza in cui ci ha posto l’omicidio D’Antona sia l’approvazione all’unanimità della proposta di documento in esame, proprio perché esso registra le diversità di opinioni interne alla Commissione ed emerse nella riunione dell’Ufficio di Presidenza allargato.

Si apre quindi la discussione.

MANCA. Intendo esporre il mio pensiero quale contributo ai lavori dal momento che il documento, nella sua impostazione generale, si presenta in linea di massima condivisibile ma in esso non si rilevano alcuni aspetti che io ritengo importanti. Reputo inoltre necessario che si forniscano risposte ad alcuni interrogativi che la lettura del documento fa nascere.

Per quanto riguarda i punti mancanti, vorrei osservare che la premessa, la cui impostazione si può condividere, non presenta specifici riferimenti all’allarmante situazione presente ora in Italia e che è connessa al forte tasso di disoccupazione giovanile, così come sono assenti accenni al fatto che una delle ragioni che potrebbero innescare fiammate terroristiche potrebbe essere quella legata ad una possibile reazione politico-terroristica di alcune forze dell’estrema sinistra di fronte ad una presunta – da loro – assenza della lotta al capitalismo, al liberalismo, a concezioni moderate filoccidentali da parte della Sinistra che è ora al Governo.

Inoltre, vorrei evidenziare che, nel documento, dopo la corretta e chiara esposizione del contenuto dell’audizione del prefetto Ferrigno, non compare alcun tentativo di prevenire la nascita di una domanda; infatti, preso atto della situazione allarmante esposta dal responsabile della Direzione centrale della polizia di prevenzione, perché la Commissione stragi – potete chiarirlo, anche perché è possibile che qualcuno risponda che non era compito nostro –, tenendo conto dei suoi compiti "sull’accertamento dei risultati conseguiti – cito testualmente – nell’ambito dello stato attuale della lotta al terrorismo in Italia", non ha adottato iniziative tese ad informare immediatamente il Parlamento e ad accertarsi, soprattutto, della presenza della dovuta sensibilità degli uffici giudiziari interessati? Infatti, successivamente, emerge con chiarezza, ma indirettamente, che tale carenza degli uffici giudiziari si è comunque riscontrata.

Sempre in ordine ai punti che a mio avviso non sono presenti nel documento e relativamente al riferimento testè espresso sugli uffici giudiziari, si pone l’esigenza, quanto meno, di inserire laddove si parla del vuoto che è seguito agli anni successivi all’audizione del prefetto Ferrigno, alcune frasi che possano sottolineare le aree di incertezza che si intravedono ove si cerchi di spiegare le ragioni per cui non si è avuta la dovuta sensibilità presso gli uffici giudiziari interessati.

A mio avviso, una Commissione parlamentare che non mette a fuoco questo aspetto verrebbe meno rispetto a uno dei suoi principali compiti. Tutto questo è vero e lo si fa anche capire, tant’è che si sta correndo ai ripari con lo svolgimento di riunioni. Infatti, nella relazione si dichiara che una volta, al limite, si potevano anche perdonare certe assenze, certe attività, mentre queste stesse non sono più perdonabili ora che la situazione è cambiata dal punto di vista normativo.

Esprimo, inoltre, un’osservazione che sorge spontanea leggendo quanto scritto a pagina 20. Non credo infatti che siano da ritenere "non attuali le proposte di recente avanzate sia in sede istituzionale che in sede politica di affidare la investigazione giudiziaria su fatti di terrorismo ad una organizzazione del tipo di quella alla quale negli ultimi anni è stato affidato il contrasto alla criminalità organizzata", cioè la Direzione nazionale antimafia. Al limite, a questo proposito, si potrebbe accettare che nella relazione sia scritto: "ciò nonostante, appare non inutile approfondire comunque le proposte". Infatti, rinunciare a priori, solo perché siamo venuti a conoscenza che i responsabili degli uffici giudiziari si sono riuniti a Roma mi sembra qualcosa che non fa onore alla volontà di prendere di petto la situazione.

Infine, per quanto attiene i compiti della Commissione al cospetto delle nuove insorgenze, non ritengo ci si possa pronunciare sull’assunzione di nuovi moduli operativi diversi finché questi non saranno quanto meno indicati. Infatti, la relazione fa riferimento a moduli operativi che saranno poi discussi nell’ambito dell’Ufficio di Presidenza. Nella penultima riunione dell’Ufficio di Presidenza, io avevo capito che tali moduli operativi sarebbero stati esplicitati, mentre il documento non ne fa menzione.

Potrei quindi accettare in linea generale la relazione che dovrà poi essere presentata al Parlamento, ma avrei voluto che il Presidente avesse indicato una strada da percorrere operativamente. Infatti, non vorrei che fossimo confusi con l’attività dell’autorità giudiziaria e, ancor peggio, con l’attività di prevenzione. Ritengo necessario chiarire le idee su questo punto.

Signor Presidente, ho voluto esplicitare il mio pensiero a titolo di collaborazione per migliorare la stesura del documento.

DE LUCA Athos. Signor Presidente, Le chiedo se da parte degli uffici si è adempiuto a quell’impegno che avevamo assunto di formalizzare nuove convocazioni ai brigatisti che in passato avevano declinato il nostro invito per le audizioni. Come lei sa, mi trovo concorde con la necessità che vi sia da parte nostra, anche su questo fronte, la capacità di alzare il tiro rispetto alle indagini, con rigore e con determinazione.

Io sono persuaso del nuovo ruolo che la Commissione deve assumere dopo l’assassinio dell’avvocato e professor D’Antona, pena della perdita di credibilità della Commissione stessa. Non credo che sia questa la sede per decidere le modalità, ma sicuramente una presenza nuova, diversa anche qualitativamente della Commissione e dei suoi membri sul territorio nazionale, con iniziative che marchino la presenza del Parlamento, la determinazione e la volontà politica del Parlamento di fare luce, di sollecitare e coadiuvare nei limiti del possibile l’azione investigativa. Tutto ciò lo ritengo fondamentale. Parto dal presupposto, che mi pare condiviso da molti colleghi ed anche dal Presidente, che se non si può parlare di vera e propria sottovalutazione rispetto allo stillicidio di episodi di terrorismo che si sono registrati negli ultimi anni, però sicuramente si può parlare di una mancanza di efficace intervento investigativo, con relativi rapporti da inviare alla autorità giudiziaria, al Presidente del Consiglio, al Ministro dell’interno per non abbassare la guardia rispetto al terrorismo. Quindi, credo che in questo senso la Commissione debba assumere un ruolo strategico in questa fase, per sollecitare una maggiore attività di prevenzione e di investigazione.

Colgo l’occasione per esprimere una preoccupazione per il fatto che a distanza oramai di molte settimane sul fronte delle indagini rispetto all’omicidio D’Antona non risultano esservi novità (salvo che vi siano novità che io non conosco), tutto ciò ci preoccupa poiché l’assassinio è sembrato – e questo risulta anche dalla relazione qui svolta dal Sottosegretario di Stato per l’interno – essere organizzato in modo imperfetto: non si avvertiva di essere in presenza di una grande organizzazione strategica, ma di un’organizzazione che faceva acqua da diversi punti di vista. A maggior ragione, di fronte a questa preoccupazione, io mi auguro che questo documento possa essere votato, anche recependo altre osservazioni dei colleghi, all’unanimità proprio per dare forza alla volontà dalla Commissione. Il vertice che si è tenuto presso la Procura della Repubblica di Roma sicuramente è un primo segno di volontà di coordinamento, però non vorrei che esso sia stato sollecitato dalle proteste della famiglia, e costituisca un evento occasionale. Credo che bisognerebbe realizzare qualcosa di più concreto, un coordinamento permanente, e comunque è compito della Commissione far sì che questo si verifichi con puntualità.

Da ultimo volevo proporre una riunione della Commissione ai primi di settembre in cui stabilire come procedere con il nostro lavoro. Si è parlato delle modalità operative della Commissione antimafia: io credo che ogni Commissione abbia la sua peculiarità. Noi non siamo la Commissione antimafia, tuttavia una presenza del Parlamento su questo tema io la trovo importante; la trovo anche una condizione per dare un ruolo ed un senso alla nostra presenza e al nostro lavoro nella Commissione. Credo che per assumere anche rispetto al Parlamento, quindi ai nostri colleghi e all’opinione pubblica, un ruolo è necessario che queste cose si facciano e subito.

Avanzo a questo punto anche la proposta, cioè se sia opportuno che le considerazioni che noi abbiamo fatto e che il Presidente ha raccolto siano oggetto di una comunicazione alle Aule del Parlamento.

PRESIDENTE. Questo è normale. Se noi approviamo il documento, lo dobbiamo mandare al Parlamento; poi dovremo chiedere all’Aula di dibatterlo.

DE LUCA Athos. Quindi io propongo che questo documento, una volta approvato, sia oggetto di una nostra richiesta ai Presidenti di Camera e Senato per coinvolgere l’intero Parlamento nella questione. Si tratta di informare il Parlamento con tempestività, definendo anche i modi per portare avanti questa azione.

Io credo che la presenza di delegazioni di parlamentari della Commissione organizzate e di incontri sul territorio sia un elemento importante di supporto ed anche di conforto politico all’azione degli stessi magistrati che in varie situazioni sono impegnati su questo fronte. Questa nostra presenza e attività potrà sensibilizzare e rimarcare la volontà del Parlamento di non abbassare il tiro rispetto a queste nuove forme di terrorismo. Sono convinto che nella fase delicata che attraversa il nostro paese, ma anche molti altri Stati in questo momento storico, fenomeni terroristici potrebbero avere spazio e quindi l’azione fondamentale da mettere in campo è quella della prevenzione. Quindi, se prevenzione s’ha da fare, è necessario che la nostra Commissione si attivi, essendo i risultati fino ad oggi conseguiti a parer mio insoddisfacenti.

FRAGALA’. Signor Presidente, ritengo che l’ultima stesura del documento sull’omicidio D’Antona fotografi in modo corretto le opinioni che sono state espresse nel dibattito che si è svolto nell’Ufficio di Presidenza e quindi rispecchi anche le diverse posizioni ed i momenti di critica o di proposta espressi; per tali ragioni ritengo che il documento possa essere senz’altro approvato, magari accogliendo gli ulteriori suggerimenti che saranno formulati da altri colleghi che stasera intendono intervenire.

Essendo il documento la fotografia esatta delle diverse opinioni, a mio avviso rispecchia anche quella che può essere una valutazione utile per una discussione in sede parlamentare: non c’è dubbio, infatti, che il conato di terrorismo che è costato la vita all’avvocato D’Antona deve essere un richiamo ad una maggiore attenzione da parte degli apparati investigativi e giudiziari (che, secondo la legge ancora attuale, dirigono le investigazioni) rispetto ad una inadeguatezza che se non ci fosse stata avrebbe potuto prevenire certamente un atto terroristico così drammatico per l’intera collettività nazionale, ma soprattutto per la famiglia dell’avvocato D’Antona.

Mi permetto di porre il problema – negli stessi termini in cui ne ho parlato in Ufficio di Presidenza – sotto l’aspetto di una critica che a mio parere la Commissione dovrebbe prospettare in sede parlamentare, ove il documento venisse discusso, rispetto ad alcune iniziative del Governo attuale, ma soprattutto di quello precedente, che hanno azzerato le strutture investigative centralizzate (lo SCICO e il ROS) privandoci, a mio avviso, di un’attività di intelligence e di prevenzione assolutamente efficace e necessaria nei confronti non soltanto della criminalità organizzata, ma anche dei fenomeni terroristici.

Il Gruppo parlamentare Alleanza Nazionale ed anche il Polo per le libertà, hanno vivacemente criticato alcune iniziative dell’allora ministro dell’interno Napolitano assunte per ubbidire ad esigenze politiche non certo edificanti, come quella di azzerare lo SCICO che aveva dato assai fastidio al senatore Di Pietro o quella di azzerare il ROS che aveva dato assai fastidio ad alcuni segmenti giudiziari palermitani. Ci siamo opposti ed abbiamo successivamente criticato vivacemente questo tipo di intervento normativo che ha distrutto un patrimonio di conoscenze e di coordinamento delle investigazioni che a mio avviso dovrebbe essere indicato – e naturalmente lo sarà – in sede di discussione parlamentare come una delle cause della mancata prevenzione dell’omicidio D’Antona e della riorganizzazione di alcuni gruppi terroristici in campo nazionale.

Non c’è dubbio che se la Commissione stragi intende assumere – e sono d’accordo – un ruolo di stimolo nei confronti del Governo, certe considerazioni rispetto ad errori normativi compiuti con l’emanazione di decreti ministeriali, che sicuramente hanno privato gli apparati investigativi di sinergie e di strumenti d’investigazione particolarmente efficaci e penetranti, dovranno essere al centro del dibattito. Analogamente, elemento centrale del dibattito dovrà essere – ne hanno già parlato colleghi che mi hanno preceduto – la sottovalutazione che è stata compiuta dell’audizione del prefetto Ferrigno che, come tutti noi sappiamo, proprio dopo l’audizione fu trasferito ad Aosta e fu privato del comando dell’ufficio centrale di prevenzione, nonostante avesse dimostrato in questa Commissione di avere le idee chiarissime sulla riorganizzazione di alcuni segmenti terroristici che certamente sono alla base dell’omicidio D’Antona.

Mi permetto di sottoporre ai colleghi della Commissione anche un altro elemento squisitamente politico, legato alle dichiarazioni che sull’omicidio D’Antona ebbe modo di rilasciare un ex componente della maggioranza di Governo, l’onorevole Bertinotti, quale segretario del partito della Rifondazione Comunista.

PRESIDENTE. Attualmente è un membro dell’opposizione.

FRAGALA’. Sì, ma faceva parte della maggioranza di Governo non molto tempo fa. L’onorevole Bertinotti ha dichiarato – e per questo è stato al centro di critiche durissime – che oggettivamente una serie di considerazioni espresse nel documento delle Brigate Rosse che rivendicava l’orribile omicidio dell’avvocato D’Antona erano condivisibili. A mio avviso si deve pertanto mettere al centro di una discussione seria anche un problema di carattere politico: esistono nella Sinistra antagonista ed estrema, come esistevano negli anni Settanta ed Ottanta, forze estremiste che vengono tollerate o, addirittura, da alcuni anche sostenute, che ritengono che la Sinistra al Governo sia un tradimento della classe operaia, che si tratti di socialtraditori che, alleati con gli imperialisti e con la NATO, farebbero le cose orribili di cui parla la propaganda di questa Sinistra antagonista.

Ritengo allora che al centro del dibattito parlamentare ci debba essere anche una considerazione di questo tipo: come si può ritenere che certe prese di posizione assunte nei documenti, nei dibattiti e nelle conferenze dei centri sociali siano soltanto folklore o nostalgismo stalinista o leninista di un passato che non ritorna, quando invece questo sottobosco culturale e politico esplodendo nella rivendicazione pedissequa di un assassinio usa lo stesso armamentario ideologico, la stessa semantica e gli stessi concetti di quello che invece, in altre occasioni viene considerato soltanto innocuo folklore? Come si può, in un dibattito politico, ignorare che vi è una certa situazione, una certa acqua in cui nuotano determinati pesci che vivono, evidentemente, in un tipo di humus politico, culturale ed ideologico, che viene continuamente nutrito con il veleno dell’odio ideologico e della contrapposizione radicale nei confronti degli avversari politici, che vengono considerati nemici da battere o da uccidere?

Rispetto a tutto questo, a mio avviso, in sede politica si dovrebbe analizzare il fenomeno della Sinistra antagonista, manifestando anche un’attenzione preventiva e di intelligence rispetto a questo humus dell’estremismo politico.

Un’ultima considerazione su una questione che è stata affrontata anche dal collega senatore De Luca: il problema del coordinamento. La relazione sull’omicidio D’Antona conclude con una dichiarazione d’intenti: che si vada ad un coordinamento degli apparati investigativi e degli apparati giudiziari che si occupano di terrorismo. E’ un’affermazione di comune buon senso che non può non trovare d’accordo tutti ma, come ha ricordato il senatore Athos De Luca, il vertice di coordinamento dei procuratori della Repubblica d’Italia che si occupano di terrorismo si è tenuto alcuni giorni dopo la forte denuncia della vedova D’Antona secondo la quale il marito era stato dimenticato e di quell’omicidio non se ne curava più nessuno. A quel punto si tenne quella riunione che a molti parve come una giustificazione, una parata, di fronte al lungo lasso di tempo lasciato vuoto rispetto alle esigenze del coordinamento. Credo dunque che, poiché non debbono esserci zone franche, se la Commissione dovesse assumere una qualunque iniziativa volta a fare il punto sui diversi interventi degli apparati investigativi o giudiziari sul territorio rispetto alla prevenzione del terrorismo, sarebbe veramente inutile fare soltanto delle gite parascolastiche o delle passerelle per sentirsi dire da un procuratore della Repubblica che sta facendo il possibile. Il problema deve porsi in senso contrario: analizzare cioè i motivi per cui determinati apparati investigativi o giudiziari hanno tralasciato di fare una serie di iniziative di cui la Commissione deve tenere conto. A me infatti non interessa recarmi dal procuratore di Roma, di Venezia o di Milano per sentirmi dire quello che ha fatto o cosa intende fare: a me interessa sapere perché non sono state assunte una serie di iniziative e credo che, rispetto alle investigazioni sull’omicidio D’Antona, gli apparati investigativi e giudiziari, oltre alla responsabilità politica del Ministro dell’interno in carica questa volta (non il precedente), e soprattutto i titolari della responsabilità dei Servizi debbono rispondere al Parlamento e alla Commissione di gravissimi ritardi, di gravissime inefficienze e inadeguatezze. Infatti si è partiti male, sottovalutando il fenomeno di una sinistra antagonista che covava un odio ideologico incredibile nei confronti dei nemici politici; si è sottovalutato poi il grido d’allarme dell’ufficio di prevenzione diretto dal prefetto Ferrigno; ancora dopo, quando è avvenuto l’omicidio D’Antona, si sono lasciati passare prima i giorni, poi le settimane, ora i mesi, senza che si giungesse all’identificazione almeno del gruppo politico cui imputare l’omicidio. Ritengo che, in una situazione di questo genere, tali inadeguatezze e inefficienze debbano essere motivo per la Commissione stragi di una seria analisi politica da riferire al Parlamento, ma soprattutto la Commissione stragi deve chiedere conto ai responsabili. Infatti, su questo credo che il Presidente dovrà concordare, non è possibile che di fronte a fenomeni di questo genere, quando le cose non vanno si debba dare non la responsabilità alle inadeguatezze degli apparati giudiziario-investigativi, ma si debba, come è avvenuto negli anni Settanta e Ottanta, ritenere che le Brigate Rosse erano una formazione militare di così geometrica potenza per cui lo Stato era inerme in quanto eccezionalmente forti. Abbiamo appurato che quelli di allora non erano assolutamente forti, ma era lo Stato ad essere debole: non vorrei che ci ritrovassimo in una identica situazione per cui ci sono altri studenti fuori corso che hanno organizzato una situazione del genere e lo hanno potuto fare non perché dotati di chissà quali capacità offensive o potenzialità terroristiche ma soltanto perché vi era l’assoluta inerzia degli apparati investigativi e giudiziari che evidentemente, fin quando non accade un tragico episodio come questo, non hanno interesse ad occuparsene perché il fatto non fa notizia, perché la prevenzione non provoca passerelle, perché la prevenzione non dà risultati di immagine e quindi di carriera.

Dobbiamo pertanto assolutamente sensibilizzare il Parlamento su questo: si devono ricreare quegli apparati investigativi di prevenzione che impediscano lo scatenarsi dei fenomeni e non piangere poi lacrime di coccodrillo quando una vittima innocente cade sotto il piombo brigatista.

PARDINI. Esprimo a mia volta apprezzamento per il lavoro svolto dal Presidente nelle due stesure della relazione. Si tratta di un lavoro che non si annunciava semplice e che mi pare sia stato portato a termine con molto equilibrio. Esprimo apprezzamento, in particolare, per l’analisi che dà conto delle difficoltà affrontate per seguire e monitorare il fenomeno del terrorismo delle Brigate Rosse che, proprio nelle sue caratteristiche di imprevedibilità, ha la sua natura. L’impossibilità di prevedere e quindi di prevenire eventuali obiettivi che una formazione terroristica, come quella che si è annunciata nel documento di rivendicazione dell’omicidio D’Antona può avere, mi pare risulti molto chiaramente dalla relazione. I possibili obiettivi di attentati sono in numero straordinariamente elevato: bene fa la relazione, a mio parere, ad individuare quali sono oggi perlomeno a partire dalle rivendicazioni contenute nel documento.

Mi pare inoltre significativo rendere anche nel documento il senso del rischio endemico che i paesi occidentali oggi, e non solo, hanno rispetto a queste forme di terrorismo magari dettato e voluto da schegge impazzite, se non da organizzazioni come quelle che in passato abbiamo conosciuto.

Mi è sembrato importante che nelle considerazioni generali sia stato messo in evidenza questa importante zona d’ombra che ancora caratterizza lo studio del fenomeno brigatista, soprattutto nella fase conclusiva da Moro compreso in poi. In questo senso la zona d’ombra di questa seconda fase del fenomeno brigatista necessita di ulteriori approfondimenti e bene fa la relazione a metterlo in evidenza.

Vorrei fare un’unica osservazione, relativa a quanto si dice a pagina 15. La frase in questione è la seguente: "due paiono le direttrici strategiche perseguite dalle attuali Brigate Rosse: l’attacco allo Stato e gli attacchi militari". Mi sembra che in realtà dal documento di rivendicazione, le direttrici strategiche siano anche altre (ciò viene detto, per la verità, in un altro punto della relazione), come l’opera di proselitismo interna e di solidarietà internazionale. Credo che questi siano due dati molto significativi, presenti nel documento di rivendicazione dell’omicidio, che ci devono far riflettere, perché da una parte tale documento si rivolge e cerca di coagulare attorno all’organizzazione che ha messo in atto l’omicidio D’Antona, le forze ritenute disponibili sul campo ad essere reclutate, dall’altra si rivolge al mondo del terrorismo internazionale. Non dimentichiamo che in quel periodo era in atto la guerra del Kosovo e che quindi la situazione internazionale era estremamente fibrillante. Ripeto, credo che le direttrici strategiche con le quali si sta muovendo l’organizzazione criminale in questione siano più di due.

Per quanto riguarda le proposte, credo sia stato giusto ricordare la non condivisione da parte della Commissione dell’istituzione di un organismo equivalente alla Direzione nazionale antimafia. Personalmente, e ho avuto modo di parlarne con il Presidente, ho un’altra opinione. Credo che il nostro paese avrebbe bisogno non di una direzione nazionale per il terrorismo, ma dell’equivalente della Direzione investigativa antimafia. Magari all’interno della stessa DIA, potrebbe costituirsi una struttura interforze con la presenza di investigatori che collaborino tra loro. Questo permetterebbe di mettere in circolo ed in comunione le conoscenze delle diverse Forze di polizia del nostro paese e ciò costituirebbe uno strumento operativo estremamente valido per le varie procure. Ripeto, credo che il nostro paese avrebbe bisogno di una sorta di DIT, se così si può chiamare, ossia di una direzione investigativa per il terrorismo, piuttosto che di una direzione nazionale antiterrorismo. Ricordo che le competenze specifiche e le conoscenze del territorio che le diverse distrettuali antimafia hanno, spesso superano le pur valide competenze di cui dispone la direzione nazionale. Se questa ha una funzione di coordinamento delle indagini, non ha, per suo statuto, alcuna funzione di investigazione. Ciò di cui oggi vi è bisogno è un’implementazione della fase delle indagini e, per quanto attiene a questo tema, della prevenzione. Quindi, a maggior ragione, servirebbe una direzione investigativa antiterrorismo che possa mettere in rete le diverse competenze delle nostre Forze di polizia, tutte a disposizione delle diverse procure.

E’ di questi giorni nel nostro paese un dibattito, estremamente schizofrenico, in tema di sicurezza per cui da un lato il Parlamento vara leggi, si dice necessitate, ma personalmente non le ritengo tali, per far uscire di galera la maggior parte dei delinquenti, e dall’altra, sull’onda dell’emozione di episodi singoli, si chiedono leggi speciali. Questa è una caratteristica del nostro paese e della classe politica italiana, per cui la mano destra generalmente non sa cosa fa la mano sinistra, oppure se ne dimentica una settimana dopo. Faccio riferimento a molte forze politiche i cui esponenti hanno sostenuto a gran voce anche recenti leggi di implementazione di alcuni istituti premiali previsti dalla Gozzini e che oggi richiedono particolari recrudescenze dei sistemi carcerari. Credo che non vi sia bisogno di leggi speciali, ma solo di applicare quelle già esistenti e di estendere queste ad altre fattispecie di reato. Se non ricordo male, per alcuni reati di mafia o per il sequestro di persona si applica l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario. In base a tale articolo, solo chi rientra nella fattispecie dei collaboratori di giustizia, grazie all’applicazione dell’articolo 58-ter dell’ordinamento penitenziario, può beneficiare di determinati trattamenti. Non vedo perché non far rientrare, per esempio, la fattispecie dei reati di terrorismo nell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, in base al quale non sarebbe necessario alcuno stravolgimento, ma basterebbe dire che chi non rientra nel 58-ter, ossia non è diventato collaboratore di giustizia, non gode di alcun beneficio penitenziario e che, di conseguenza, la pena comminata dovrà essere scontata per intero.

Propongo inoltre che anziché l’estensione al terrorismo di reati, quali quello, per esempio, di concorso esterno, la cui definizione è estremamente difficile, vengano applicati ai terroristi irriducibili regimi carcerari simili a quelli per i mafiosi, tipo 41-bis. Credo che l’azione di proselitismo, non a caso nelle rivendicazioni dell’omicidio D’Antona i nuovi brigatisti si rivolgono al mondo carcerario, e le possibilità di comunicazioni esterne ed interne, siano estremamente pericolose. Sappiamo che per la mafia la comunicazione esterna è indispensabile, rappresenta il pabulum da cui poi nascono nuovi filoni di criminalità organizzata. Credo che sottoporre i brigatisti, in particolare i cosiddetti irriducibili, ad un regime carcerario tale da impedirne la circolazione delle idee ed i contatti con l’esterno, senza ricorrere a particolari leggi straordinarie, potrebbe essere utile. Ricordo che il sottosegretario Sinisi ci ha descritto un quadro dei terroristi detenuti estremamente preoccupante. Vi sono irriducibili che possono costituire la vecchia-nuova manovalanza di un nuovo-vecchio terrorismo, che usufruiscono di benefici penitenziari e che all’esterno possono tranquillamente compiere opera di proselitismo. Mi domando se non andrebbero sorvegliati più attentamente i terroristi fuori dal carcere, seguendone da vicino i rapporti, monitorando scrupolosamente contatti e frequentazioni. Circa il metodo per attuare tale controllo credo si debba anche prevedere l’utilizzo di nuove tecnologie, come da più parti invocato.

Desidero anche sottolineare come un’Europa che da monetaria vuole diventare politica non può accettare che vi siano terroristi che godano di immunità ed ospitalità da parte di qualche paese. Mi auguro che il Parlamento chieda alla nuova Commissione europea che si insedierà un impegno straordinario perché anche su questo tema si addivenga ad una legislazione comune e ad una regolamentazione condivisa delle estradizioni.

Concludo ribadendo il mio giudizio sulla relazione estremamente positivo e sottolineando che una società civile risponde a eventi come il terrorismo con una legislazione normale e che questa risposta deve essere portata con coerenza fino in fondo.

BIELLI. Signor Presidente, considero positivo il fatto che questa sera ci troviamo a discutere una relazione sull’omicidio D’Antona per due ragioni: prima di tutto, nell’opinione pubblica (ma non solo) c’è stata una richiesta che evidenziava una presa di posizione da parte delle istituzioni per far sì che questa vicenda non finisse nell’oblio e il fatto che oggi noi presentiamo questo documento in qualche modo evidenzia che ci sono delle istituzioni sensibili che non vogliono far cadere nel dimenticatoio una questione così drammatica; la seconda ragione è data dal fatto che diamo seguito a quello che è il compito della Commissione medesima, quindi cerchiamo di ipotizzare o indicare alcuni metodi e alcuni strumenti di intervento che siano in grado di contribuire a bloccare la ripresa del fenomeno terroristico e anche di proporre una nostra "idea" che si può affiancare al lavoro che le Forze dell’ordine e la magistratura stanno cercando di portare avanti.

Passo ora ad una terza questione relativa al metodo con il quale abbiamo affrontato la redazione della relazione sull’omicidio D’Antona. Considero il metodo adottato dalla Commissione molto importante, dal momento che il Presidente ha evidenziato la necessità di presentare alla Commissione stessa dei canovacci su cui lavorare, delle proposte nelle quali si è tenuto conto – nella stesura finale – del lavoro di tutti i commissari. Si tratta di un metodo da utilizzare anche relativamente ad altre vicende, e noi commissari ci siamo trovati nella situazione di avere un quadro di riferimento al quale ognuno di noi poteva apportare un contributo specifico. Il Presidente, nella relazione che ci ha presentato, ha tenuto conto delle osservazioni di ogni forza politica, di ogni commissario. Un metodo simile non solo è positivo, ma io ritengo che, proprio per il lavoro futuro, dovrà essere portato avanti con la stessa attenzione.

Per quanto concerne il merito delle questioni, vorrei fare alcune osservazioni che provo ad elencare. Prima di tutto, a me pare che in alcuni passaggi della relazione, che considero estremamente positiva, si possano ingenerare alcuni fraintendimenti e ne sottolineo uno fra tutti. A pagina 17 si legge: "Tra il giugno e il settembre 1988 viene smantellata l’intera organizzazione armata denominata BR-PCC" e si arriva a dire che con gli arresti dell’8 settembre 1988 in qualche modo si colpisce tutta la struttura e anche l’area di consenso attorno alla struttura medesima. A mio avviso vi è un elemento di verità, perché il 1988 rappresenta un discrimine, nel senso che si dà il colpo più forte alle Brigate Rosse-Partito comunista combattente, ma arrivare a dire che in quel momento è stato smantellato il sistema mi sembra un po’ forte. Ciò anche in relazione alle considerazioni che si fanno successivamente, per cui forse potremmo attutire i toni, ma colgo il significato politico che c’è in tale affermazione.

Dico questo anche in relazione al documento della direzione centrale di polizia di prevenzione, che non usa termini così forti, ma evidenzia giustamente che allora siamo riusciti a dare un colpo che poteva essere letale, ma che non è stato tale. Pertanto, ritengo che l’approfondimento necessario e che in qualche modo abbiamo già avuto modo di avviare anche con le osservazioni al Presidente, e ancor più con l’incontro di questa sera, potrebbe permetterci di definire meglio un passaggio non di poco conto.

Passo ora ad un’altra questione. Essendo io l’ultimo arrivato in questa Commissione e siccome l’audizione del prefetto Ferrigno viene riproposta da tutti gli interventi in ogni occasione, come tutti i neofiti l’ho riletta non una, ma due, tre, quattro volte. Sicuramente nell’audizione di Ferrigno ci sono elementi che dovevano far riflettere per quanto riguarda il prosieguo dell’attività di prevenzione, però io non ho trovato nelle dichiarazioni di Ferrigno tutte quelle "previsioni" di cui si è parlato. È una denuncia fatta da persona seria e meticolosa che ci ha proposto un’analisi molto precisa, ma debbo dire che anche nella cosiddetta parte secretata non siamo di fronte a chissà quali verità. Comunque, credo di cogliere un dato: era giusto partire dall’audizione di Ferrigno per comprendere il fenomeno ma, se parliamo di Ferrigno, a mio avviso si dovrebbe valorizzare anche la situazione attuale. Invito i colleghi a leggere il documento della direzione centrale di polizia di prevenzione, pervenuto in questi giorni alla Commissione, in cui scopriamo che il lavoro di Ferrigno non si è disperso. Sento dire che oggi ci sarebbero, da parte degli organi di prevenzione, chissà quali difficoltà a far bene il proprio lavoro, ma chi legge questo documento scopre che sul territorio nazionale vi è un’attività che prosegue, un’attività significativa ed importante.

Ci si potrebbe chiedere quali sono i risultati; questione drammatica che ci si pone. Sui risultati mi permetto di fare una considerazione che non so definire politica: al fine di combattere il fenomeno terroristico, noi non abbiamo bisogno di individuare un manovale per poter dire che oggi abbiamo ottenuto un risultato; noi stiamo parlando di un fenomeno terroristico che ha caratteristiche diverse rispetto al passato. È un fenomeno terroristico – come evidenziato nella relazione del Presidente e io condivido questo giudizio – composto di poche persone che non agiscono con le tecniche del passato, quindi non c’è più bisogno di covi, di tipografie, di un certo tipo di progetto, possono agire in pochi e cercare di propagandare il fatto per reclutare manodopera. Quindi siamo di fronte a me pare ad un gruppo ristretto, ma non per questo meno pericoloso, che cerca di non disperdere la propria volontà "omicida", che anzi la vuole alimentare. Ma poche persone significa anche che è più difficile individuarli. Se penso alle Brigate Rosse del passato, esse reclutavano la manodopera nella protesta sociale, nel senso che volevano crescere come Partito comunista combattente pensando ad una prospettiva "rivoluzionaria". Ora siamo di fronte al fatto che compiono il gesto per dire che ci sono.

Allora, per quanto riguarda le indagini, il problema che abbiamo di fronte è di riuscire a pervenire a coloro che in qualche modo, rispetto all’episodio in questione, ne sono i mandanti e poi anche gli autori. Quindi, il lavoro che si sta portando avanti è difficile e complesso e semmai dovremmo fare in modo di non ostacolarlo, nel senso che, in tale situazione, la nostra riservatezza è una delle condizioni che permette di ottenere i risultati desiderati. Dico questo perché colgo un elemento di grande verità: dopo due mesi dall’omicidio D’Antona avremmo bisogno di qualche elemento in più; questo è un fatto vero.

Voglio cogliere ora, in senso positivo, un’osservazione del collega Fragalà. Forse non sarebbe male se noi potessimo avere momenti di incontro con coloro che svolgono le indagini, anche attraverso un’attività secretata che va salvaguardata, per cercare di capire quello che avviene.

Se è vero che il nostro compito è anche quello di contribuire a combattere il fenomeno, credo che un incontro non sarebbe male proprio per evitare che si dica che non si fa niente mentre si ignorano le informazioni che consentono di dire: stiamo lavorando e collaborando per un fine comune.

Nella relazione c'è un passaggio del Presidente che all'inizio mi ha fatto sorridere; poi invece l'ho colto come elemento di grande pregnanza politica (ma non solo). Rispetto all’evento usa questi termini: "non prevenibile, ma neppure tanto imprevedibile". Può far sorridere perché sembrano cose in antitesi fra loro. Io credo che sta qui, proprio in questo passaggio, il dato a cui ho fatto riferimento poc'anzi: abbiamo capito alcune cose, la difficoltà consiste nel come andare a fondo del problema e colpire coloro che agiscono in maniera criminale.

Non entro nel merito di questioni tutte politiche su cui avremo anche altre sedi per confrontarci. Solo per sfizio personale ricordo che nella relazione Ferrigno, ad esempio, rispetto ad alcuni fenomeni dai quali si può generare un certo tipo di terrorismo, si fa riferimento a gruppi che si richiamano alla Repubblica Sociale di Salò. Se si seguono alcune tesi del collega Fragalà, ce n'è per tutti! Secondo me dovremmo cercare di lavorare sulla concretezza e sul contributo che come Commissione vogliamo dare ad una verità condivisa.

A proposito delle proposte che ci fa il Presidente - avevo già fatto pervenire alcune osservazioni - voglio svolgere almeno una considerazione sul fenomeno dei cosiddetti benefici carcerari. Nella versione finale il Presidente in qualche modo è andato incontro anche alle mie osservazioni. Tuttavia chiedo agli altri colleghi di esprimersi, perché mi interessa molto. Così come non ero d'accordo con l'impostazione proposta nella prima versione, colgo che sui benefici carcerari c'è un problema su cui dobbiamo riflettere. Il Presidente nell'introdurre la discussione a mio parere ci ha dato l'interpretazione giusta. Credo che dovremmo allegare quella interpretazione che Pellegrino ci ha proposto alla relazione; perché - lo dico con molta nettezza - se è vero che c'è un collegamento fra le Brigate Rosse e gli irriducibili che sono in carcere, il mondo carcerario, dobbiamo riflettere su come interveniamo; non attraverso leggi eccezionali che non fanno parte della mia cultura: mi sembra che tutti le abbiamo considerate l'elemento a cui non fare riferimento. Una parte degli irriducibili, che hanno anche ottenuto benefici, ad esempio, svolgono un'attività molto intensa di ordine propagandistico e culturale. Non credo che siano i centri sociali che alimentano il terrorismo, dico che lì ci può essere un terreno più permeabile di altri a certe suggestioni. Insomma l'attività prevalente di alcuni di questi brigatisti è di andare a spiegare il valore del fenomeno brigatista nei centri sociali e nelle università, facendo riferimento al "dato etico"… Non sono convinto che questo ci aiuti a combattere il fenomeno. Alcuni di questi brigatisti ancora continuano ad incontrarsi, e sono quelli che in qualche modo si sono detti irriducibili e non hanno dato alcun contributo per scoprire qualcosa di più rispetto al cosiddetto "caso Moro". Mi pare - mi scuso se sbaglio la citazione - che "l'Espresso" nel 1997 (forse 1998) riportasse di un incontro il 15 agosto tra Moretti e Gallinari. Può darsi che non si siano detti nulla, sicuramente, ma come seguiamo le mosse, le attività cui sono dediti, di coloro che non aiutano minimamente la possibilità di ricostruire la vicenda Moro e i lati oscuri che ci sono, ma anche a capire cosa accade oggi? Senza avere un atteggiamento di tipo emergenziale, che potrebbe apparire chissà contro chi, non mi pare che sarebbe culturalmente arretrato tenere conto di questa situazione; si dovrebbe riflettere sull’opportunità di incontrare e discutere di ciò con l'autorità carceraria. Tener conto delle differenti situazioni e comportamenti è cosa giusta e saggia. Se non facessimo questo, rischieremmo di apparire quelli che in certe occasioni dicono alcune cose e poi di fronte a certi fatti usano un altro metro di misura. Credo che a questo riguardo dovremmo fare chiarezza.

Chiudo dicendo che sono d'accordo con le conclusioni della relazione e anche con l'idea di come potrebbe lavorare la Commissione. Desidero integrare questa chiusura con un'ultima nota. In quest'ultimo periodo - ma la circostanza era presente anche in altri documenti del passato e in attività investigative era stata riscontrata - si coglie come il terrorismo e la criminalità, mafiosa o camorristica, hanno contiguità e colleganza, rappresentano una questione su cui soffermare la nostra attenzione. Se ho letto bene - in fretta - l'ultima nota, questa sera, anche l’attentato dello scorso maggio al portavalori a Milano ha visto presente in qualche modo un ex terrorista di Prima Linea. Può essere una cosa priva di valore; però abbiamo colto un altro dato: anche alcuni appartenenti a cosche malavitose hanno avuto rapporti con brigatisti. Nella relazione si afferma che non possiamo pensare di dare tutto in mano alla direzione nazionale antimafia - il Presidente sa bene che non ero d'accordo su questo - però dobbiamo avere la possibilità di riflettere attentamente con la Commissione antimafia e con chi lavora su questi problemi. Ritengo che sia l'altra faccia del lavoro che la nostra Commissione deve portare avanti.

TARADASH. Apprezzo molto lo stile della relazione e il fatto che essa abbia tenuto conto delle osservazioni che alcuni di noi avevano fatto in sede di Ufficio di Presidenza. Vorrei svolgere alcune note sulla relazione e su ciò che secondo me potrebbe essere migliorato, su ciò che forse si dovrebbe aggiungere.

In particolare resta qualche mio dubbio sulla valutazione del lavoro che ha fatto Ferrigno, soprattutto di quello che è stato fatto dopo. Vi è questo richiamo all'audizione del 1996 di Ferrigno e poi vi è quasi un atto di fede sul fatto che i vari organi di polizia e la magistratura abbiano tenuto conto di quella relazione e abbiano lavorato adeguatamente.

Non c’è una prova documentale che questo sia avvenuto. In sede di Ufficio di Presidenza ho già citato il fatto che nelle inaugurazioni degli anni giudiziari non è stato fatto riferimento al rischio terrorismo mentre si parlava di separatismo e di tanti altri fenomeni criminali. Pertanto, non sono convinto di questo, a meno che non si cerchi anche di indirizzare qualche documento sull’attenzione che è stata riservata al fenomeno, magari per sostenere che questo è improvvisamente rifiorito e che non c’era alcun allarme. Però, francamente, rimango perplesso sul fatto che il monitoraggio sia stato effettivamente eseguito; i servizi segreti non hanno parlato, quindi – ripeto – resto alquanto perplesso e vorrei che si procedesse con alcuni approfondimenti in questo senso.

Ho già espresso in sede di Ufficio di Presidenza l’idea oggetto della proposta espressa poco fa dal senatore Pardini, proposta che quindi condivido e con la quale si intende dar vita ad una sorta di direzione investigativa antiterrorismo. Ritengo non si debba richiedere un organo di magistratura speciale ma che sia piuttosto necessario un coordinamento delle informazioni e delle azioni investigative di prevenzione. Mi sembra che questa sia l’esigenza che si avverte, a meno che non si dimostri che gli organi esistenti funzionano in questo senso. Dal momento però che non mi sembra che tutto questo esista, sarebbe utile che la Commissione svolga una riflessione su un organismo di questo tipo. Sono sempre pronto a cambiare idea se mi verrà dimostrata la sua superfluità.

Poiché non mi sembra particolarmente utile, vorrei – se possibile – che fosse espunto dalla relazione ogni riferimento valutativo a ciò che già c’è in materia di antimafia; ad esempio, il giudizio positivo sulla Direzione nazionale antimafia appartiene probabilmente alla maggioranza della Commissione e non alla minoranza ma, ad ogni modo, mi sembra superfluo inserire un dato di questo tipo; non rientra, infatti, nei nostri compiti e pertanto sarebbe utile usare un po’ di rasoio valutativo.

Vorrei poi fare riferimento ad una nota curiosa di carattere sociologico contenuta a pagina 10 del documento, nota che io non condivido affatto. A pagina 10, infatti, si dichiara che "regole maggioritarie (…) escludono dalla rappresentanza politica" sacche di emarginazione e di esclusione. Perché compare questo riferimento, per la verità discutibile? In Italia il terrorismo è nato nell’epoca del sistema proporzionale puro e si è sviluppato con la rappresentanza dello 0 per cento in Parlamento. Perché individuare una relazione, che non è provata da nulla, tra il sistema maggioritario e la rinascita del terrorismo? Francamente, non è giustificato; pertanto, signor Presidente, la invito ad emendare la sua relazione eliminando tale riferimento che è del tutto improprio e non ci aiuta nel nostro lavoro.

Per quanto riguarda i benefici carcerari, la relazione affronta il problema dei collaboratori e degli irriducibili. C’è però una terza area in cui si collocano coloro che non sono né irriducibili né collaboratori: sono quelle persone che hanno riletto criticamente il loro passato da cui hanno preso le distanze e si comportano in modo coerente con le loro nuove convinzioni politiche e con nuove riflessioni di vario genere.

Ritengo sia necessario considerare la presenza di questa terza area e che non si debba pensare di fare tutto ai collaboratori e nulla agli irriducibili; infatti, essere collaboratori di giustizia è un atto utile all’ordine pubblico ma non può essere oggetto di richiesta dello Stato nei confronti di nessuno in cambio di benefici giudiziari che possono essere concessi sulla base di altri criteri. Diversa è la questione degli irriducibili, di coloro che sostengono di voler fare ancora i terroristi se ne avessero la possibilità. A mio avviso, queste persone devono stare in galera. Non c’è alcuna ragione in base alla quale, per merito di una buona condotta all’interno del carcere, tali soggetti possano scrivere sui giornali, intervenire in sede di conferenze e fare tutto ciò che vogliono. Mi sembra che sull’eccesso di benevolenza nei confronti degli irriducibili possiamo pensare di aprire una discussione.

Bisogna, inoltre, fare attenzione al riferimento ai centri sociali contenuto nella relazione. L’estremismo è estremismo. Io, come è noto, sono un estremista e il collega Bielli pensa anche che io sia retrivo, un revisionista e quasi un costante attentatore alla personalità dello Stato intesa come Costituzione e resistenza. Oggi il collega Bielli ha scritto proprio questo e probabilmente per me vorrebbe l’ergastolo.

BIELLI. Dove ha letto queste frasi?

TARADASH. Su un’agenzia.

BIELLI. L’ha letta bene?

TARADASH. Io ho letto l’agenzia.

Io non posso non notare che l’estremismo è estremismo ma la violenza è una cosa diversa, così come ancora diverso è il terrorismo.

È chiaro che deve essere svolto un monitoraggio sulle cellule, sugli embrioni terroristici ma senza calcare troppo la mano su aree che certamente devono essere tenute sotto controllo, ma alle quali non va data una patente di preterrorismo, altrimenti si corre il rischio che la profezia, come spesso capita, finisca per avverarsi. Quindi, bisogna fare sicuramente attenzione tenendo però ben chiara la differenza esistente tra determinati comportamenti; infatti, gli estremisti esistono fuori e dentro i centri sociali e, quindi, non è quello il problema di per sé. Il nostro problema, invece, è quello di identificare determinati percorsi e per fare questo è necessario disporre di una strumentazione investigativa e penale adeguata. Ritengo che quest’ultima sia già abbondante e che disponiamo di tutti gli strumenti possibili perché quando non ce ne sono abbastanza la magistratura se li inventa, così come ha fatto per il concorso esterno; infatti, mi auguro che nessun magistrato pensi di applicare il concorso esterno anche ai reati di terrorismo perché allora il confine tra le libertà politiche, anche quelle di estremismo politico, e il reato penale finirebbe per rappresentare una zona grigia in cui difficilmente potremmo riuscire a salvaguardare determinati valori democratici.

Vorrei, infine, che si tentasse un’ultima riflessione sul ruolo della stampa. Dopo l’omicidio D’Antona abbiamo nuovamente assistito al fenomeno della pubblicazione dei documenti delle Brigate Rosse. Lo scopo del terrorismo è la propaganda attraverso l’omicidio e l’esito di un attentato sperato dagli attentatori non è tanto la morte di chi colpiscono, che è sempre un episodio simbolico, ma la propaganda delle loro idee.

La stampa italiana è riuscita a non tenere conto minimamente dei suoi comportamenti precedenti, della riflessione critica che si è sviluppata negli anni passati e, dopo l’assassinio D’Antona, ha dato amplissimo risalto al testo del documento delle Brigate Rosse. Questo mi è sembrato francamente sconcertante e, al tempo stesso, deplorevole, tanto più che si è poi pensato di effettuare un black out sulle indagini, atteggiamento che non offre alcun aiuto, in maniera assoluta, ai brigatisti, a meno che non si divulghino notizie sottoposte a segreto. Offrire il massimo risalto al momento dell’attentato terroristico, ai suoi contenuti, al messaggio politico legato all’attentato e pensare poi di salvarsi l’anima non dicendo più nulla sulle indagini è un comportamento contraddittorio. Pertanto, anche su questo punto, la propaganda attraverso i mezzi di comunicazione di massa dovrebbe essere quanto meno evitata e, da parte nostra, dovrebbe essere espressa una sollecitazione a non fare da tramite per chi utilizza questi metodi.

SARACENI. Signor Presidente, colleghi, mi unisco all’apprezzamento venuto da parte di tutti per il metodo e per lo sforzo fatto dal Presidente nel cercare di raccogliere tutte le indicazioni avanzate. Però probabilmente, ed inevitabilmente, forse questo doveroso sforzo del Presidente risente di una provenienza così composita e quindi trovo che forse il senso della relazione è complessivamente un po’ diseguale. Tanto che a me pare essa sia caratterizzata da uno sforzo di rendere plausibile il giudizio di prevedibilità relativa, anche se non di prevenibilità. E il corredo dei fatti mi pare francamente inadeguato.

I fatti più importanti che avrebbero giustificato un giudizio di prevedibilità, e dunque anche di responsabilità per chi, avendo il dovere di prevedere non ha previsto e non ha operato, sono genericamente affermati e non puntualmente riferiti. Il sottosegretario Sinisi, ha detto che sono stati puntualmente riferiti all’autorità giudiziaria fatti di rilievo, ma un esempio concreto di questi fatti sarebbe molto utile. Se ci si limita a dire che sono stati puntualmente riferimenti, ciò mi lascia in un certo senso allarmato: una serie di reati di connotato terroristico sono stati commessi e riferiti all’autorità giudiziaria, ma non so quali e dunque un giudizio non me lo posso formare sulla base della generica affermazione! Così pure quando si dice: "troppi benefici agli irriducibili". Anche qui si avrebbe un dovere di indicazione concreta. Come diceva Taradash, anch’io non sarei d’accordo nell’identificare tout court l’irriducibile con il non collaboratore, noi sappiamo bene quale parabola ha attraversato questo mondo tragico del terrorismo.

PRESIDENTE. La Balzerani non è Ravalli, su questo sono d’accordo.

SARACENI. Le due figure non mi dicono molto in termini di differenza perché purtroppo non ho una conoscenza adeguata. Peraltro qui si è criticato – e apprezzo i toni molto equilibrati e pacati con cui discutiamo questi problemi – e si è detto che sarebbe opportuna una esclusione dai benefici per certe categorie. Se concretamente esiste chi tuttora rivendica la lotta armata come metodo, è chiaro che va ovviamente neutralizzato e benefici non ne possa avere: è ovvio. Ma io credo che una legislazione adeguata su questo vi sia già. Il famoso articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario impone di non concedere benefici ove non ci sia la prova in positivo del non collegamento e così via. Quindi io credo che non ci sia bisogno di sforzi legislativi, perché poi le rigidità in questa materia non producono mai buoni risultati; un margine di discrezionalità di giudizio bisogna lasciarlo, proprio per evitare che la rigidità poi produca iniquità.

Tutti noi siamo stati colti di sorpresa: ancora io non ho idee chiarissime se l’omicidio D’Antona sia un’esplosione improvvisa e che rimarrà tale, unica, come ovviamente tutti ci auguriamo, o se veramente ha avuto una incubazione che non abbiamo individuato, che non conosciamo. Quello però che mi preoccupa – e qui prendo un altro versante della questione – è di invitare in qualche modo alla prudenza per evitare di fare una stretta di ordine giuridico, giudiziario, ordinamentale, che magari poi non serve allo scopo. Ad esempio, è proprio compito nostro esprimerci sulla questione del concorso esterno? Taradash invita ad evitare di estenderla anche ai reati di terrorismo. Giustamente il Presidente aveva scritto nella prima stesura della relazione – ma poi è stato eliminato – che il concorso esterno non è che può essere una specialità dell’uno o dell’altro fenomeno associativo. Giustamente il Presidente da giurista faceva questa notazione: il concorso esterno è una categoria che, se è ammissibile, se è fondata, allora è ovvio che va applicata a tutti i tipi di reati associativi. Ma io direi che forse questa è una questione che va lasciata al dibattito giurisprudenziale, anche raffinato per certi aspetti tecnici, e che invece non è opportuno che su di esso si pronunci la Commissione.

Quando a pagina 21 la relazione dice che la categoria dei reati associativi, di cui abbiamo l’esclusiva, pare, ha consentito notevoli successi, è vero, e probabilmente è proprio per la particolarità dei fenomeni del nostro paese. Però è anche vero che reati associativi hanno prodotto molte iniquità e questo ce lo dobbiamo dire con molta franchezza; sono stati uno strumento di giusta lotta giudiziaria, però hanno prodotto molte iniquità. Molte persone – credo – sono state condannate per mero reato associativo quando forse la loro attività e la loro condotta non aveva superato la soglia della rilevanza penale. C’è gente che è stata condannata, ed ovviamente non è il fenomeno che più ci può preoccupare in un momento come questo, ma un ordinamento quanta meno iniquità produce tanto meglio è; quindi attenuerei i toni un po’ trionfalistici sulla questione.

Un’ultima notazione. Quell’inadeguatezza a spiegare l’improvvisa tragedia dell’uccisione di D’Antona io la trovo abbastanza visibile nell’appendice. E’ un metodo un po’ giornalistico: quando devi mettere insieme molti fatti fai un elenco, ma in questo elenco tre-quattro voci, ad esempio, sono riferite ad un fallito attentato: la cosa mi pare un po’ impressionista.

Chiederei poi l’espunzione di una parte. A pagina 25 si mettono fra i fatti di cui si sono resi responsabili i Nuclei Comunisti Combattenti anche l’arresto di un cittadino indicato con nome e cognome. Ora, vi è qualche altro episodio in cui si tratta anche degli sviluppi: un paio di personaggi che, arrestati, si sono dichiarati prigionieri politici. Quello è un episodio significativo, ma l’arresto di questa persona che sviluppi ha avuto? Se fosse stato un arresto ingiusto, infondato, iniquo non si sarebbe dovuto inserirlo in un elenco di fatti che sono prodromici in qualche modo o che possono essere letti nel quadro dell’omicidio D’Antona. Mi pare che questo non sia un metodo corretto, rispettoso dei diritti delle persone. Cosa è successo a questo signore? E’ stato arrestato, e poi? Se è stato arrestato ingiustamente bisognava fargli delle scuse. Io non lo so.

Nello stesso modo credo che anche altri episodi siano un po’ enfatizzati, forse per delineare un quadro che possa giustificare quell’affermazione di prevedibilità. Purtroppo, se siamo in una società che produce endemicamente pericoli di terrorismo, non lo possiamo esorcizzare: possiamo stare attenti e produrre riflessioni, ma dobbiamo anche essere altrettanto attenti, sull’altro versante, a non farci spingere verso scelte che forse sarebbero sbagliate.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti i colleghi che sono intervenuti. Desidero precisare subito una cosa: quello che ha ricevuto un giudizio favorevole largamente convergente, sia pure con diverse riserve, da parte della Commissione – e di ciò ringrazio i colleghi – è chiaramente un documento interlocutorio e preliminare che segna la tappa iniziale di un lavoro; con esso la Commissione assume su di sé questa inchiesta, poi naturalmente dovrà proseguirla. Si tratta di un documento che è stato redatto sulla base di pochissimi atti d’inchiesta e di pochissime acquisizioni documentali, però all’Ufficio di Presidenza è sembrato urgente dare un segnale e molti colleghi che sono intervenuti hanno colto il senso di quello che stiamo facendo.

E’ chiaro che molti giudizi risentono della provvisorietà delle conclusioni; per esempio non sappiamo quali degli episodi che sono riportati nell’elenco finale, che ho riportato senza modificazioni da documenti che ci sono stati trasmessi sia dai ROS che dalla Polizia di Stato, abbiano portato effettivamente a rapporti all’autorità giudiziaria. Su questo abbiamo soltanto una dichiarazione del sottosegretario Sinisi, secondo cui i rapporti sono stati fatti, ma per quali episodi e a quali autorità ancora non lo sappiamo.

E’ chiaro che la nostra valutazione è provvisoria, è allo stato degli atti, salvo ulteriori approfondimenti. Ritengo che proprio questo dovrebbe essere il nostro lavoro futuro.

Nella prima bozza di relazione suggerivo di utilizzare moduli operativi tipici della Commissione antimafia, siccome però nell’ambito dell’Ufficio di Presidenza è stata manifestata una perplessità in merito ho eliminato tale riferimento. La mia idea è di istituire, alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva, delle delegazioni agili di questa Commissione, presiedute da me o dal senatore Manca o dall’onorevole Grimaldi, che vadano a prendere contatto con le varie realtà giudiziarie, si informino su quali rapporti abbiano ricevuto, chiedano qual è lo stato di sviluppo delle indagini. A quel punto, ad esempio, la valutazione che è stata espressa sulle ragioni per cui in sede di discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario non si sia fatto alcun riferimento a tali avvenimenti, potrà assumere o meno rilievo in ragione dell’accertamento che avremo compiuto.

Se la Commissione fosse d’accordo, potremmo procedere in questo modo: considerato che siamo alle soglie della pausa estiva non valuto positivamente la possibilità di rinviare l’approvazione del documento alla ripresa dei lavori e pertanto potremmo approvare il documento così com’è; siccome è un documento molto agile potremmo allegare ad esso il testo della discussione svolta questa sera in Commissione, dopo che ognuno di noi avrà potuto rivedere il resoconto stenografico. In tal modo si darebbe conto anche delle osservazioni divergenti che sono state espresse, nella logica del metodo seguito; a tale proposito ringrazio l’onorevole Bielli di quanto ha detto, perché ha colto precisamente i caratteri di tale metodo, così come ringrazio gli onorevoli Fragalà e Taradash di avermi dato atto dello sforzo, considerato che sono stati i colleghi che in Ufficio di Presidenza più marcatamente avevano manifestato il loro dissenso, di dar conto delle diverse opinioni.

Per quanto riguarda i singoli punti, il senatore Athos De Luca ha proposto il problema di riconvocare i brigatisti "renitenti" sul caso Moro: riceverete domani un mio documento che non è una relazione, ma un documento di lavoro, al quale ho allegato una proposta di un piano d’inchiesta che, subito dopo le ferie, l’Ufficio di Presidenza potrà approvare, accogliere anche solo in parte, o modificare. In tale piano propongo tutte le audizioni in un ordine che ha un senso: nel suddetto piano faccio il punto sull’inchiesta del caso Moro, esprimo una valutazione dello stato cui siamo arrivati, propongo una direzione parzialmente diversa dell’inchiesta e sulla base di questa proposta formulo l’ipotesi di una serie di audizioni, che naturalmente non vincola nessuno, ma è solo una proposta del Presidente. Ritengo che questo documento potrebbe essere, dopo la sua discussione, uno strumento utile per muoverci nella vicenda Moro secondo un determinato ordine.

Constaterete che varie audizioni che mi erano state chieste da alcuni di voi, sono state inserite nell’elenco, ma con un loro ordine e le audizioni dei brigatisti sono previste verso la fine perché ritengo più importante risentire, ad esempio, il presidente Scalfaro e l’onorevole Mattarella, chiedere a quest’ultimo perché ha rilasciato certe dichiarazioni, ascoltare successivamente Martini ed alla fine anche i brigatisti, ma solo quando avremo un corredo informativo ulteriore rispetto a quel documento, che dovrebbe essere la base su cui svolgere tutte queste audizioni e con il quale confrontarci. In quell’occasione sarà anche il caso di chiarire alla Balzerani che nessuno pretende che venga in questa Commissione per accusare qualcuno, però se lei accetta un confronto, sia pure sugli scenari, quel documento potrebbe essere il terreno utile per un confronto, nei limiti in cui l’Ufficio di Presidenza lo approverà.

Per quanto riguarda l’audizione del prefetto Ferrigno, vorrei sottolineare che mi è sembrata importante soprattutto tenendo presente la data in cui si svolse: il 1996. Ritengo che per poter attribuire responsabilità bisogna cominciare ad assumersene ed anche noi forse abbiamo trascurato un dato: ho voluto ricordare in una dichiarazione rilasciata alla stampa che il senatore Gualtieri mi aveva suggerito di ritornare sui contenuti dell’audizione del prefetto Ferrigno con degli aggiornamenti, ma noi non l’abbiamo fatto perché l’Ufficio di Presidenza ha ritenuto che fossero altre le urgenze su cui la Commissione doveva impegnarsi.

Preciso all’onorevole Fragalà che il prefetto Ferrigno non venne rimosso perché aveva svolto l’audizione davanti a questa Commissione, ma perché subito dopo fu raggiunto da una comunicazione giudiziaria nell’ambito dell’inchiesta che nasceva dal ritrovamento dei documenti in via Appia e parve opportuno in quella situazione al Ministro allontanarlo dal suo ruolo di responsabilità. E’ stato sostituito con altro funzionario che sarebbe anche opportuno sentire. Quella vicenda giudiziaria si è favorevolmente conclusa per Ferrigno, ma solo in questi giorni e non mi sembra pertanto che su quella scelta possa essere mosso un rilievo critico al Governo, fermo restando la differenza di opinioni su altre questioni che ho registrato nella mia proposta di relazione.

Vi è un dato delicato: da un lato c’è il problema di asciugare l’acqua in cui i pesci nuotano – come ha segnalato l’onorevole Fragalà – dall’altro c’è il pericolo di criminalizzare l’antagonismo sociale, come hanno sottolineato gli onorevoli Taradash e Saraceni. In quest’ultimo caso faremmo, infatti, il gioco degli omicidi dell’avvocato D’Antona e finiremmo per favorire il proselitismo.

Individuare quali siano gli strumenti per asciugare l’acqua e nello stesso tempo non criminalizzare per intero l’antagonismo sociale e politico è un lavoro estremamente delicato: si manovrano necessariamente spade che tagliano dai due lati e occorre molto buon senso, prudenza e fermezza e coniugarli insieme non è facile.

La mia proposta è pertanto la seguente: se voi siete d’accordo possiamo approvare questa sera la relazione, nell’intesa che verrà trasmessa al Parlamento insieme al testo di tutti i nostri interventi, in maniera da valorizzare quel metodo cui parecchi hanno accennato. Le differenti posizioni – ove siano state tali, perché mi sembra che la convergenza sia largamente prevalente – assumerebbero in questo modo dignità di comunicazione al Parlamento e potrebbero essere la base del dibattito parlamentare, che dovrebbe essere l’esito naturale delle relazioni delle Commissioni d’inchiesta, anche se della Costituzione materiale di questo paese fa parte la circostanza che ciò non avvenga mai. A questo scopo potremmo fare il nostro dovere, sollecitando che si determini un’inversione di tendenza e che un dibattito si svolga.

Tenete presente, però, che questa è in sé una relazione parlamentare e noi non sappiamo cosa ci diranno i procuratori: potranno dirci che non hanno ricevuto denunce o che le hanno ricevute e le hanno ritenute poco importanti e lo stesso vale per la Polizia di Stato, ad esempio per il caso citato dell’arresto di un cittadino, che l’onorevole Saraceni preferirebbe non venisse nominato; se fosse stato innocente, probabilmente non l’avrebbero arrestato, però sarà interessante ottenere qualche informazione ulteriore. Il documento è una base su cui muoversi e pertanto accetto anche l’invito dell’onorevole Saraceni: dovremmo domandare anche che cosa è successo a questo cittadino e svolgere tutti gli approfondimenti necessari.

Penso anche che sia importante – e ringrazio i colleghi che hanno colto questo aspetto della vicenda – che il Parlamento con un organismo specifico dimostri che l’attenzione su questa vicenda è estrema, perché ritengo che una valutazione sia concorde: il gruppo che ha ucciso l’avvocato D’Antona è piccolo e per questo non è facile individuarlo, ma il pericolo che colpisca ancora esiste ed è presente anche mentre parliamo.

Sul ruolo della stampa: anche questo è un problema delicatissimo sul quale è difficile avere certezze. Personalmente ho trovato grave che due organi di stampa come "Il Manifesto" e "L’Espresso" mi abbiano accusato di essere un ricattatore. Rivesto, forse al di là dei miei meriti, una responsabilità istituzionale e, in un momento come questo, una valutazione di quel genere nei confronti di una persona che non gode di alcuna protezione, è grave. Ricordo che sono stato accusato di voler revocare i benefici carcerari a Moretti e alla Balzerani – cosa lontanissima dalla mia mente – perché non vengono in Commissione a dire quanto vorrei dicessero sul caso Moro. In una situazione come questa, un attacco del genere, senza volerlo, al di là delle intenzioni di chi l’ha fatto, finisce oggettivamente per esporre a qualche rischio il suo destinatario.

DE LUCA Athos. Vorrei precisare che la preoccupazione che ho espresso all’inizio è anche legata al fatto che, nella fase politica che vivremo nel prossimo autunno e che potrà portare anche tensioni sociali e politiche, non vorrei che così come – e condivido questa analisi – la congiuntura della guerra abbia indotto certi settori a cogliere quel momento di difficoltà per far esplodere le contraddizioni, quel gesto di violenza e così via, la fase dell’autunno caldo da un punto di vista politico, con le situazioni che si prefigurano su questioni sociali di grande interesse che potrebbero anche mettere in difficoltà il Governo di centro sinistra in alcune decisioni, possa essere una di quelle occasioni prescelte per nuove iniziative di terrorismo.

Per questa ragione ritengo importante partire dall’approvazione di questo documento per far sì che la Commissione stragi rappresenti nel Parlamento e nel paese un momento di forte consapevolezza della gravità e delle preoccupazioni sulla ripresa del terrorismo.

PRESIDENTE. Ciò risulterà dal verbale della seduta ed è una preoccupazione che condivido. Se si tratta di un gruppo piccolo che si muove nella logica del gruppo che uccise Ruffilli, Tarantelli e Conti possiamo aspettarci azioni largamente scadenzate nel tempo. Ciò non toglie che la preoccupazione di tutti noi sul fatto che, allo stato, non ci siano stati avanzamenti nelle indagini è largamente condivisa. Mi auguro che a settembre, quando riprenderemo a lavorare, questi avanzamenti siano avvenuti.

STANISCIA. Signor Presidente, vorrei soltanto precisare che non vedo il motivo per cui una Commissione parlamentare debba fare previsioni simili: è un giudizio del senatore De Luca che l’autunno sarà caldo contro il Governo.

PRESIDENTE. Ci auguriamo tutti che non lo sia.

DE LUCA Athos. Anche io mi auguro che non lo sia.

PRESIDENTE. Poiché non ci sono altri interventi, pongo in votazione il documento sull’omicidio del professor D’Antona e ricordo che domani 28 luglio 1999 si terrà alle ore 19,30 un Ufficio di Presidenza, già convocato.

Il documento è approvato dalla Commissione all’unanimità.

La seduta termina alle ore 22,10.

Home page Commissione stragi