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Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti

ATTI E CONVEGNI

Convegno sul tema

LA POLITICA DEI RIFIUTI IN ITALIA

(Lo stato di attuazione Dlg. 22/97)

Lunedì 9 marzo 1998

 

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione. Mi hanno testé comunicato che il Presidente del Senato ha avuto un impegno improvviso e si scusa per non essere presente e non poter salutare di persona i partecipanti al convegno. Manda tramite me i suoi saluti a tutti.

Introduco con alcune riflessioni questi due giorni di lavori. Come sapete, il titolo del convegno è "La politica dei rifiuti in Italia", ma sostanzialmente si tratta di valutare lo stato dell’arte per ciò che riguarda l’attuazione del decreto legislativo n. 22 del 1997, noto ormai come "decreto Ronchi", e i problemi che gli amministratori, le imprese, gli operatori, le forze dell’ordine e i magistrati incontrano, con i relativi suggerimenti che si possono dare. Il dibattito deve fare il punto sulla politica dei rifiuti in Italia.

Inizierei con una parola: arretratezza, grave arretratezza, questa è la parola, con il relativo aggettivo, che connota il sistema dei rifiuti in Italia e che è facilmente riscontrabile in alcuni punti che segnalo immediatamente. Alcune importanti regioni del paese sono commissariate dal Governo per l’emergenza rifiuti, mentre proliferano discariche abusive attraverso il ricorso illegittimo all’ex articolo 12 del DPR n. 915 del 1982.

Sono ancora una minoranza — e questo è un secondo punto — le regioni che si sono dotate delle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente. Regioni come il Lazio e la Lombardia ne sono prive, ma anche la Sicilia; la Campania e la Calabria sono regioni che hanno varato la legge istitutiva delle ARPA, ma in cui le agenzie non sono ancora istituite.

L’85 per cento dei rifiuti finisce in discarica e la raccolta differenziata incide, come media nazionale, per poco più del 5 per cento. Ancora: la scarsezza dei vari tipi di impianti. Alla fine del 1995 era trattato in impianti diversi dalle discariche soltanto l’11,5 per cento dei rifiuti. Il composto prodotto spesso non ha mercato. Il recupero dei materiali della frazione secca è del tutto insoddisfacente.

Altro punto grave. Non si sa dove va a finire il 60 per cento circa dei rifiuti pericolosi, quelli che una volta definivamo tossico-nocivi. La Commissione ha condotto un’indagine sui porti della Sicilia e della Sardegna, regioni che non sono dotate di impianti per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi, e che quindi dovrebbero affidarli ad altre regioni: il traffico in uscita dovrebbe risultare dai registri delle autorità portuali ma, su un totale di 350 mila tonnellate, soltanto da un porto ci è arrivata una risposta per poche migliaia di tonnellate. Ripeto: poche migliaia di tonnellate su un totale di 350 mila. Dove vanno a finire le altre non è difficile immaginarlo.

Altro punto. I traffici illeciti prosperano — ma su questo tornerò fra breve — e la criminalità organizzata, nelle aree dove è fortemente insediata, continua, nonostante l’azione di contrasto si sia rafforzata, a dar vita alla waste connection, al circuito perverso di quelle che sono state chiamate ecomafie.

Sono questi, in estrema sintesi, gli elementi di quella che ho definito l’arretratezza del paese rispetto al sistema rifiuti. Questa arretratezza, certo, è il frutto di oltre quindici anni di un vero e proprio far west nella gestione dei rifiuti. Alle gravi inadempienze degli amministratori si andava ad aggiungere un bassissimo livello tecnologico, in un quadro legislativo spesso farraginoso, confuso, e talvolta anche contraddittorio. La sostanziale assenza di controlli e l’irrisorietà delle sanzioni — semplici contravvenzioni per reati che hanno comportato danni gravissimi all’ambiente ed enormi rischi per la salute, oltre a cifre colossali per le bonifiche ancora da effettuare — hanno completato il quadro in modo del tutto negativo.

Questa era la situazione di partenza, ma va preso atto del fatto che, nelle numerose audizioni e negli incontri sul posto che la Commissione ha svolto in questi mesi di attività, operatori del settore, magistrati, esponenti delle imprese, amministratori e rappresentanti delle forze dell’ordine hanno, in modo direi sostanzialmente concorde, indicato nel decreto legislativo n. 22 del 1997 la possibilità e l’occasione per superare quell’arretratezza per ricondurre ad un livello europeo il settore dei rifiuti.

Certo, questa speranza, questa possibilità, questa occasione, per essere colte, richiedono un grande sforzo. E’ necessario uno sforzo da parte di tutti: tutti devono fare la loro parte. In un quadro normativo che oggi è sufficientemente chiaro, che recepisce finalmente le direttive europee, tocca soprattutto agli amministratori e alle imprese colmare i gravi ritardi, correggere le storture del mercato e le disfunzioni dell’intero ciclo. Sto quindi parlando — e mi rivolgo ad amministratori e imprese — di programmi operativi, di impianti da realizzare. Voglio allora ricordare en passant sia agli amministratori sia alle imprese che la riduzione a monte dei rifiuti, cioè già nella fase di progettazione delle merci, e la massima riciclabilità dei rifiuti stessi sono le priorità delle direttive europee, priorità che però hanno una storia, essendo state individuate già vent’anni prima delle direttive, quindi trent’anni fa, negli studi compiuti dal Massachusetts Institute of Technology, e mi riferisco in particolare a quello commissionato dal Club di Roma sui limiti dello sviluppo.

Dico allora che il 35 per cento di riciclaggio proposto dal decreto Ronchi è un obiettivo minimo posto da questo decreto. È possibile uno scenario di sviluppo della raccolta differenziata fino al 50 per cento. Questo si verifica già in importanti aree europee, ed a questo scenario corrispondono rilevantissimi vantaggi ambientali, sanitari ed economici. Per questi ultimi penso non soltanto agli oltre 15 mila nuovi posti di lavoro stimati in corrispondenza con lo scenario del 50 per cento, ma anche ai rilevanti risparmi sulle modifiche da effettuare. Insomma, voglio con chiarezza affermare che sostituire al modello "tutta discarica" un modello che privilegiasse l’incenerimento sarebbe, oltre che in contrasto con le norme vigenti, sbagliato anche dal punto di vista ambientale ed economico. Ma su questo, sull’allegato tecnico al decreto legislativo e sui limiti previsti per gli inquinanti, su alcuni aspetti che riguardano i decreti attuativi del decreto legislativo e che trovo non convincenti, tornerò brevemente in una sede più propria, cioè quella di domani, nell’ambito dei nostri lavori.

Consentitemi adesso alcune ulteriori brevi riflessioni, innanzitutto sui traffici illeciti. Quando parlo di traffici illeciti non voglio parlare di ecomafie. La Commissione di inchiesta ha istituito un gruppo di lavoro ad hoc e produrrà specifiche iniziative sul tema, di efficacia pari — almeno spero — all’impegno esercitato, e che la Commissione continuerà ad esercitare, nella martoriata area casertana, a proposito di ecomafie. Ma non è di questo che intendo parlare quando parlo di traffici illeciti. Intendo invece sottolineare come gli operatori illegali abbiano immediatamente individuato le strade per aggirare la nuova normativa. Un punto centrale è che non esiste alcuna responsabilità per il produttore di rifiuti. Facciamo un esempio concreto. La Commissione parlamentare di inchiesta ha individuato, nel corso di un sopralluogo a Pontinia, nel Lazio, un sito in cui erano stati stoccati oltre 11 mila fusti contenenti materiale pericoloso che dovevano essere recuperati.In realtà non c’era nessuno dei macchinari per le diverse fasi della lavorazione e la società che aveva ritirato i fusti si era limitata ad una comunicazione di inizio attività, un’attività che non era palesemente in grado di svolgere. Abbiamo convocato l’autorità giudiziaria e tutta l’area è stata sequestrata. I fusti provenivano quasi tutti dalla stessa azienda, una multinazionale dell’informatica che non incorrerà in alcuna sanzione per non aver verificato a chi avesse affidato l’opera di smaltimento e di eventuale recupero.

Badate che un discorso analogo si può fare per gli enti locali. L’indagine che la Commissione sta avviando e che realizzerà in parte anche con la collaborazione dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti mostra che in molti casi neanche i comuni richiedono alcun certificato per l’avvenuto smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Un’azione in questa direzione consentirebbe invece di responsabilizzare le aziende del settore, ancora oggi più inclini alla ricerca del massimo guadagno che non a uno smaltimento corretto ma ovviamente più oneroso. La vicenda di Pontinia è emblematica anche sotto un altro profilo, un altro punto rilevante. La società che avrebbe dovuto provvedere allo smaltimento aveva, come richiesto dalla legge, presentato una semplice comunicazione di inizio attività. La legge richiede anche un sopralluogo da parte degli enti provinciali entro novanta giorni dalla comunicazione; ma da un lato tali verifiche non sempre vengono effettuate, come sta emergendo da un’indagine che la Commissione ha avviato, e dall’altro novanta giorni sono sufficienti per realizzare enormi profitti, causando gravi danni ambientali.

Altra possibilità sfruttata dai trafficanti di rifiuti è l’apertura di centri di stoccaggio provvisori, che tutte le indagini dimostrano essere il nodo di scambio dei transiti dei rifiuti. Anche in questo caso il decreto Ronchi richiede la comunicazione alla regione e il successivo controllo della provincia, ma nelle maglie di questa doppia competenza si stanno inserendo i trafficanti di rifiuti, che utilizzano i siti regolarmente denunciati come centro di smistamento del materiale da smaltire in maniera illecita o addirittura, in alcuni casi, come sito finale dello smaltimento. Alcune inchieste giudiziarie hanno rivelato come nei centri provvisori di stoccaggio rifiuti pericolosi siano stati miscelati assieme a rifiuti solidi urbani o, magicamente, abbiano cambiato denominazione divenendo, ad esempio, rifiuti speciali. È evidente che occorre una diversa attivazione da parte degli enti locali, abolendo il meccanismo della semplice comunicazione. Sarebbe perciò opportuno prevedere un controllo della regione o delle ARPA (quando esisteranno tutte) prima di rilasciare il nulla osta e successivi controlli periodici da parte delle province, per verificare il corretto esercizio dell’attività. In questa maniera si sarebbe ad esempio evitato, in provincia di Roma, la trasformazione in discariche abusive di molti capannoni industriali presentati alla regione come centri di stoccaggio, come abbiamo potuto constatare direttamente con i nostri occhi nel corso dei sopralluoghi.

Nel caso dei centri di recupero, il decreto Ronchi prevede l’avvio delle attività novanta giorni dopo la comunicazione alla provincia competente, che in questo lasso di tempo deve provvedere alla verifica dei requisiti richiesti dalla legge. Anche in questo caso un’indagine in corso da parte della Commissione sta dimostrando come gli enti locali si attivino con grande ritardo rispetto a quanto richiesto dalla legge, consentendo quindi l’avvio dell’attività senza alcuna verifica preventiva. Se da un lato la legge intendeva semplificare le procedure burocratiche, dall’altro va detto che a giovarsene sono purtroppo oggi soprattutto i trafficanti di rifiuti, che fanno giungere il materiale in presunti centri di recupero trasformandoli in discariche abusive. Anche qui si tratta di situazioni che la Commissione ha potuto verificare di persona anche recentemente. A Scurcola Marsicana, in provincia dell’Aquila, quello che doveva essere un impianto di compostaggio era in realtà una discarica di rifiuti pericolosi giunti in prevalenza dalle industrie del nord Italia.

Per le cose viste fin qui purtroppo anche la raccolta differenziata rischia di diventare un business per i trafficanti di rifiuti. In Friuli, in Toscana, nel Lazio e in Abruzzo sono decine i ritrovamenti di capannoni industriali dismessi riempiti in maniera diciamo differenziata. In alcuni siti sono state rinvenute tonnellate di frazione secca, in altri di frazione umida; tutti, però, erano accomunati dall’avvenuta comunicazione alla regione o alla provincia di inizio attività, o per lo stoccaggio o per il recupero, senza dimenticare che anche dall’estero è arrivato materiale raccolto in maniera differenziata — tanto per fare nomi, dalla lodatissima Germania — come dimostrano le migliaia di tonnellate di plastica stoccate abusivamente ad Asti, come la Commissione di inchiesta ha constatato direttamente.

Il meccanismo illegale descritto fin qui sarebbe quasi perfetto dal punto di vista criminale e avrebbe un solo punto debole, il momento del trasporto. Ma anche qui, anche se noi pensassimo di fare le verifiche, chi dovrebbe effettuarle? Come si fa a distinguere, per esempio — penso all’agente che va a controllare il contenuto di un camion — tra fanghi derivanti da processi di deinchiostrazione del riciclaggio della carta, che sono un rifiuto speciale, e fanghi derivanti da operazioni di scrostatura e sverniciatura contenenti solventi alogenati, che invece sono un rifiuto pericoloso? Si pongono problemi di ordine tecnico non irrilevante. Allora, si potrebbe forse prevedere una certificazione del rifiuto alla fonte da parte di laboratori di analisi, e nel corso del controllo un prelievo del campione da analizzare a cura delle ARPA, per verificare la rispondenza del materiale a quanto scritto nel formulario. Badate, infatti, che i formulari sono pressoché tutti inappuntabili, e oltre tutto vengono riempiti in corso d’opera, sulla base di comunicazioni che vengono fatte al trasportatore. In caso di irregolarità, si debbono prevedere sanzioni sia per chi ha inviato i rifiuti sia per chi ha certificato il falso, nello schema che proponiamo.

Se da un lato le misure che venivo configurando sembrano un aggravio di obblighi per gli operatori, e in parte è così, è vero però che, dall’altro lato, i traffici illeciti di rifiuti in Italia hanno assunto i connotati di una vera e propria emergenza, cui rispondere in forma adeguata. Un dato può essere illuminante. Per ogni lira guadagnata grazie agli smaltimenti abusivi lo Stato ne spenderebbe circa dieci per la bonifica corrispondente. Poiché i profitti illeciti sono stimati intorno ai 6 mila miliardi, vi rendete facilmente conto del saldo negativo di molte migliaia di miliardi che graverebbe sulle spalle della collettività. I traffici illeciti costituiscono un banco di prova per le smagliature normative e per i controlli. Nel quadro posto davanti a noi credo che si debba provvedere l’ANPA di un pronto intervento per l’emergenza. Ma i traffici illeciti sono anche la cartina al tornasole di quello che resta il problema da affrontare con la massima determinazione oggi, vale a dire l’irrilevanza delle sanzioni rispetto alla gravità dei reati commessi. I limiti ristretti posti dalla legge delega non hanno consentito di affrontare adeguatamente questo tema all’interno del decreto legislativo n. 22 del 1997, e lo stesso Ministero dell’ambiente, consapevole, ha istituito una commissione che ha elaborato il testo oggi al vaglio del Ministero di grazia e giustizia.

Anche la Commissione di inchiesta di questa legislatura, che è molto sensibile a questo problema — già la Commissione monocamerale della precedente legislatura aveva segnalato, in accordo con le indicazioni provenienti a livello internazionale dall’ONU, la necessità di introdurre il delitto ambientale nel codice penale — ha costituito un apposito gruppo di lavoro, che ha elaborato un testo di riforma del codice penale proprio per l’introduzione del delitto ambientale. La settimana prossima la proposta del gruppo di lavoro coordinata dal senatore Lubrano di Ricco sarà sottoposta all’approvazione della Commissione.

Termino con questo messaggio, perché ritengo che questo sia, oggi come oggi, il risultato più importante da conseguire con la massima determinazione e nel più breve tempo possibile.

Do la parola per la relazione introduttiva al ministro Ronchi.

EDO RONCHI, Ministro dell’ambiente. Ad alcune osservazioni risponderò alla fine della relazione, perché questa comunicazione, che ritengo molto interessante, mi pare utile sia commentata. In particolare mi è stato chiesto di fare il punto sull’attuazione del decreto legislativo n. 22 del 1997, anche in relazione al fatto che è riconosciuto che la riforma, qualora applicata, consentirebbe in qualche modo di togliere un po’ dell’acqua nella quale nuotano anche i pesci dell’illegalità nella gestione dei rifiuti. Fino a quando il modello sarà quello attuale, cioè sostanzialmente quello del rifiuto in discarica, è evidente che la criminalità organizzata avrà maggiore spazio, poiché la discarica costituisce una tecnologia disponibile per chi controlla il territorio. Se riuscissimo a cambiare il modello, e cioè ad avviare un’industria, un’attività industriale sul riutilizzo, sul riciclaggio e sul recupero anche energetico dei rifiuti, è evidente che la criminalità avrebbe meno capacità organizzativa industriale e si ridurrebbe di molto la sua possibilità di attività in questo settore.

Rispetto alla previgente disciplina, il decreto n. 22 non si limita ad enunciare, peraltro in modo più organico e completo, i principi fondamentali che devono regolare la gestione dei rifiuti, ma prevede un’articolata serie di strumenti normativi, procedimentali, finanziari, negoziali e organizzativi per l’effettiva e corretta attuazione di quei principi. Senza entrare nel dettaglio, voglio ricordare che l’attività di recupero è incentivata innanzitutto attraverso la diversa disciplina prevista per le attività di recupero rispetto a quelle di smaltimento. In base alla previgente disciplina, il recupero dei rifiuti era un’attività di smaltimento e come tale era soggetta alla rigida disciplina autorizzatoria e di pianificazione regionale. Il decreto legislativo n. 22 rompe invece questa identità concettuale tra operazioni di smaltimento e di recupero e stabilisce che, sulla base di apposite norme tecniche generali, l’esercizio di queste ultime possa essere avviato sulla base di una semplice comunicazione di inizio attività.

Qui è importante l’osservazione che veniva portata, e cioè che ci sono finte attività di recupero che, approfittando del regime semplificato, in realtà mascherano smaltimenti illeciti. Abbiamo presente che qualsiasi norma può essere sempre violata e che la violazione della norma non può essere invocata per fare un’altra norma, che poi verrà violata anch’essa. È ben chiaro, nella riforma, che possono usufruire di procedure semplificate le attività che destinano il rifiuto all’effettivo e oggettivo recupero. Quindi, qualora non sia attuato un effettivo recupero, la procedura semplificata non si attua e chi utilizza formalmente le norme sul recupero per non fare recupero rientra immediatamente nelle sanzioni per lo smaltimento illecito, per lo smaltimento in assenza di autorizzazione. Perciò non è che la procedura semplificata si applica qualora non si faccia un’effettiva attività di recupero.

Per quanto riguarda le quantità, questo provvedimento, nella parte attuativa, ha fissato un punto che prevede che non può essere stoccata per essere avviata a recupero una quantità di rifiuti superiore a quella che l’impianto di recupero può recuperare in un anno. Tutto ciò che supera questa quantità costituisce smaltimento illecito. Quindi le norme ci sono. Evidentemente abbiamo un problema, che consiste nel sistema dei controlli. Però sconsiglierei di tentare di sostituire il sistema dei controlli con norme sempre più rigide, perché sarebbe una situazione simile a quella di un cane che si morde la coda, dato che poi non si controllerà. Resta il problema delle sanzioni penali una volta accertato lo smaltimento illecito, in particolare di rifiuti pericolosi e a maggior ragione per i danni rilevantissimi che sono stati citati in campo ambientale.

Il sistema sanzionatorio dello smaltimento illecito — sono assolutamente d’accordo con la Commissione — deve prevedere reati che rientrino nella fattispecie del delitto, come ha proposto la commissione istituita con decreto del ministro dell’ambiente e come è all’esame, attualmente, del ministro di grazia e giustizia. Approfitto dell’occasione per chiedere alla Commissione parlamentare di svolgere con noi questa azione presso il Ministero di grazia e giustizia affinché si arrivi rapidamente a definire un testo d’intesa Parlamento-Governo per introdurre queste fattispecie di delitti contro l’ambiente e di reati associativi. Il reato associativo con finalità di danno ambientale, come sapete, consente infatti di attivare strumenti di indagine, per esempio le intercettazioni telefoniche, che secondo me non sono vietate, ma che vengono spesso contestate e che non sempre hanno potuto esplicarsi fino in fondo. Quando c’è un tessuto organizzativo complesso, senza gli strumenti di indagine dei reati associativi, è molto difficile riuscire a ricostruire trame organizzative che addirittura hanno relazioni internazionali, non sono presenti in un unico sito e coinvolgono reti ormai piuttosto complesse. Quindi è molto utile, anzi, a detta degli esperti, è indispensabile attivare anche il reato associativo per i reati gravi contro l’ambiente.

Il decreto legislativo n. 22 si preoccupa inoltre di garantire un mercato — è l’altro punto importante — ai prodotti riciclati e alle materie prime recuperate dai rifiuti, nella consapevolezza — e ciò rappresenta un grosso passo in avanti rispetto alla normativa preesistente — che le operazioni di recupero possono essere incentivate e il flusso dei rifiuti destinato ad uno smaltimento ridotto solo se esistono reali opportunità di mercato a valle delle prime. Ricordo, ad esempio, che è previsto l’obbligo a carico delle pubbliche amministrazioni di inserire nei bandi di gara per lavori, forniture o servizi condizioni che prevedano l’impiego di materiali recuperati dai rifiuti, al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi e che le regioni devono provvedere al loro fabbisogno di carta con una quota del 40 per cento proveniente dalla carta da macero.

Per incentivare il recupero dei rifiuti sono previsti appositi strumenti economici. Mi riferisco alla possibilità di incentivi di carattere finanziario, al passaggio dalla tassa per lo smaltimento ad un sistema tariffario, che dovrà premiare, come è previsto dalla legge, i comportamenti conformi ai principi stabiliti dalla disciplina, stabilendo tariffe differenziate minori per la raccolta differenziata — i costi totali vengono poi ripartiti sull’intera tariffa — e penalizzare quelli in contrasto con la stessa, e al coefficiente di correzione previsto per lo smaltimento dei rifiuti in discarica, che penalizza gli ambiti territoriali nei quali non saranno raggiunti gli obiettivi minimi di raccolta differenziata. Particolarmente innovativa risulta poi la previsione di appositi accordi di programma, che possono prevedere anche agevolazioni amministrative in relazione agli impegni assunti dai soggetti economici rispetto agli obiettivi stabiliti dal decreto n. 22 del 1997. Giova qui ricordare altresì che la componente ambientale risulta ormai un elemento indispensabile per poter accedere ai finanziamenti comunitari di sostegno alle attività economiche. A tali fini, l’accordo di programma può rappresentare un importante indicatore ambientale per accedere a quei finanziamenti.

Un ulteriore profilo che merita di essere approfondito riguarda il complesso degli adempimenti amministrativi finalizzati al controllo della corretta gestione dei rifiuti. La nuova disciplina del formulario di accompagnamento dei rifiuti trasportati risponde all’esigenza di garantire un adeguato controllo sulla movimentazione dei rifiuti stessi, che costituisce uno degli anelli più fragili di tutto il sistema ed è un’operazione essenziale alle attività di illecito smaltimento. Ricordo che questa del formulario è una delle operazioni fra le più contestate dal sistema delle imprese, essendo giudicata come un appesantimento burocratico della riforma.

L’esperienza insegna che se un documento di accompagnamento dei rifiuti trasportati è privo degli elementi formali indispensabili a garantirne l’autenticità e a impedirne la falsificazione diviene un pezzo di carta che, lungi dal facilitare i controlli, costituisce uno strumento formidabile di elusione. Se non è possibile verificare quali e quanti formulari un dato soggetto utilizza, è facile immaginare che quest’ultimo predisporrà regolarmente il documento di accompagnamento, ma una volta effettuata la movimentazione potrà tranquillamente sostituire il documento stesso senza alcuna possibilità di verifica da parte degli organi di controllo. Di qui la ragione della vidimazione dei formulari e dell’annotazione della fattura di acquisto degli stessi su registri IVA acquisiti prima del loro utilizzo. A me paiono sufficienti questa descrizione ed anche questo controllo dei formulari. Se poi il rifiuto trasportato non corrispondesse al formulario... qualsiasi formulario compilassimo non riusciremmo ad evitarlo.

La differenza con il passato consiste nel fatto che la qualificazione di tossico-nocivo doveva essere certificata dall’autorità competente, e quindi ogni rifiuto poteva essere sottratto alla classificazione di tossico-nocivo se non era provvisto di un’analisi specifica del contenuto del rifiuto. Questa analisi era a carico delle amministrazioni locali, dei servizi tecnici delle USL. La novità della riforma è che, sulla base di una tipologia standard, dell’elenco dei rifiuti e di determinate caratteristiche, il rifiuto è classificato automaticamente fra i rifiuti pericolosi. Poi starà a chi lo smaltisce o a chi lo avvia allo smaltimento dimostrare che non corrisponde alla classificazione. È un po’ l’inversione dell’onere della prova, che però aiuta molto la pubblica amministrazione. Se un trasportatore trasporta rifiuti che non corrispondono al formulario commette un reato e si tratterà di controllare — ma è più facile farlo a campione — la non corrispondenza. Se tornassimo a dire che ogni trasporto di rifiuti va certificato con analisi, a parte il fatto che non riusciremmo mai a farlo, rischieremmo di reintrodurre il sistema vecchio, cioè l’onere della prova del contenuto pericoloso del rifiuto a carico dell’amministrazione.Questo però è un sistema che non ha funzionato in passato, perché ogni volta veniva contestata l’analisi, sostenendo che il campione era stato preso male. Invece, adesso c’è una griglia molto estesa. La classificazione dei rifiuti pericolosi dell’Unione europea è molto ampia rispetto alla nostra precedente classificazione, ma è anche molto cautelativa, molto più difensiva dell’ambiente e degli aspetti sanitari rispetto ad una normativa sull’accertamento di ogni singola partita di rifiuti avviata allo smaltimento o al trasporto.

Un’altra osservazione riguarda il cospicuo rinvio che il legislatore delegato ha fatto a successivi decreti attuativi di questa riforma. Si tratta di critiche che trascurano, a mio parere, i principi fondamentali in materia di fonti del diritto, nonché le peculiari caratteristiche della legislazione ambientale in genere e di quella sui rifiuti in particolare. Infatti, quando si denuncia il frequente rimando effettuato dal decreto legislativo n. 22 a specifici decreti attuativi, non si tengono in alcun conto alcuni fattori. Il primo è che è meglio che questa materia sia delegificata. Ogni volta che si fissa una procedura amministrativa o uno standard tecnico per legge, si crea un sistema rigido che non è in grado di seguire l’evoluzione tecnica e organizzativa del sistema. Quindi, questa scelta di delegificare il più possibile, scelta discussa con il Parlamento e da questo condivisa, è una scelta che rivendico. Evidentemente, questo comporta che una parte di attuazione rientri nelle norme tecniche e regolamentari e non nel sistema normativo.

Inoltre, e qui devo dire che avevo fatto presente questo problema ma non sono stato ascoltato, abbiamo previsto nel decreto legislativo n. 22 un numero che io giudico eccessivo di concerti: ogni atto deve essere concertato con tre o quattro ministeri. Ogni concerto vuol dire — poiché ho provato ad attivare dei tavoli, come spiegherò, ma non è che si può tenere un tavolo permanente — che ogni modifica trattata con l’industria deve avere il consenso del Ministero della sanità, di quello dei trasporti, e, qualche volta, anche di quello delle risorse agricole. Ogni modifica richiede di rifare il passaggio daccapo. Ricordo di aver fatto presente questo problema, ma si giudicava la politica dei rifiuti talmente rilevante sul piano industriale, sanitario e del sistema dei trasporti, e anche per molti versi sul piano dell’agricoltura, che si è preferito questo sistema del concerto diffuso. Si deve però sapere che il concerto diffuso richiede tempi più lunghi per tutti questi passaggi: ripeto che ogni volta che c’è una modifica bisogna ricominciare a fare il giro daccapo, giro che è difficile da concludere. Alcuni atti devono giustamente avere il parere delle regioni.

Inoltre, fatto non ultimo in ordine di tempo, stiamo attuando delle direttive comunitarie. Come sapete, la procedura per le direttive comunitarie non è semplicissima, nel senso che bisogna notificare il provvedimento. Non si può tradurlo in norma prima che scadano i 90 giorni. La Commissione fa le sue osservazioni entro il termine dei 90 giorni, ma queste osservazioni richiedono una discussione tecnica approfondita, perché la materia non è affatto semplice. Questa discussione tecnica, inoltre, non riguarda un solo ministero, ma richiede il concerto di tutti. È una procedura che, per il decreto sui rifiuti non pericolosi, è stata piuttosto lunga, avendo richiesto cinque o sei mesi prima di giungere alla conclusione sostanziale, anche se non ancora definitiva. Il decreto sui rifiuti pericolosi ha una procedura addirittura più complessa. È necessario il parere non solo della commissione tecnica europea, ma anche di un comitato in cui sono rappresentati i paesi europei. Questo comitato ha tenuto una prima riunione decidendo di rinviare il suo esame ai primi di maggio. Quindi, la procedura di concertazione europea per il decreto sui rifiuti pericolosi sta richiedendo, come minimo, otto o nove mesi.

Se dovessimo saltare la procedura, solo per questo fatto incorreremmo nella procedura di infrazione anche se nel merito avessimo recepito al 100 per cento la materia, per la sola mancanza formale. Tenete conto che una delle ultime osservazioni che la Commissione ci ha fatto sul decreto legislativo è quella di aver modificato il sistema dei consorzi, non perché questo abbia una rilevanza — perché nelle direttive il sistema dei consorzi degli imballaggi non è affrontato e ogni paese se lo regola autonomamente — non perché abbia implicazioni ambientali o di concorrenza, ma semplicemente perché, nel recepire le osservazioni della Commissione nel decreto n. 389, abbiamo modificato la struttura organizzativa dei consorzi. Questo — è una opinione evidentemente del tutto contestabile — rimetterebbe in discussione di per sé soltanto la procedura seguita per quel procedimento.

Le modifiche che vengono introdotte sulla base delle osservazioni della Commissione europea devono essere solo quelle o non sostanziali o che vanno nella direzione delle richieste della Commissione stessa. Evidentemente, non è semplice attuare con il concerto di quattro ministeri queste osservazioni, e farlo in modo puntuale avendo in corso una trattativa continua con la Commissione europea. Questo per quanto riguarda i ritardi sui decreti sui rifiuti pericolosi e non pericolosi. Il nostro ordinamento prevede anche il parere della Corte dei conti e, per le norme regolamentari, anche del Consiglio di Stato, ma questi pareri, purtroppo, non sono rapidissimi.

Al tempo stesso si deve sottolineare come la legge, per sua natura, interviene in una materia di grande complessità. Qualcuno si è divertito a fare l’elenco dei provvedimenti attuativi previsti dal decreto legislativo n. 22. Consiglierei di fare anche un elenco dei provvedimenti in vigore nel campo dei rifiuti e il rapporto numerico fra i decreti attuativi del n. 22 e i decreti previsti. I decreti sostituiti dalle nuove norme sono più di quaranta: ho l’elenco preciso dei 41 decreti sostituiti dalle nuove norme. Inoltre, si aggiunge la delibera del Comitato interministeriale del 27 luglio 1984, che tiene luogo di almeno un’altra quarantina di materie attuative. Vi risparmio l’elenco dei contenuti della delibera del 1984, anche se i miei uffici l’hanno fatto nel dettaglio. Inoltre, non è che ogni volta che nel decreto legislativo n. 22 si prevede che una disposizione sia approvata con decreto si faccia un decreto. Infatti, anche noi abbiamo predisposto uno schema-indice per rifare la delibera del 1984. Abbiamo già discusso con l’ANPA al fine di affidare ad essa l’elaborazione di questo testo, che raccoglierà una ventina di argomenti affidati a decreto dal decreto legislativo n. 22, e quindi riordinerà l’intera materia della delibera del 1984 e assorbirà una ventina di decreti attuativi del n. 22 in un solo provvedimento.

A distanza di un anno è possibile tracciare un primo consuntivo, fatte queste precisazioni, che io considero positivo soprattutto ove si considerino le difficoltà e le intuibili e note resistenze ad adeguare effettivamente il complesso quadro normativo previgente ai contenuti precipui fissati dal legislatore comunitario. Ricordo che la sola delibera del 1984 ha richiesto due anni per essere elaborata; noi stiamo invece attuando, insieme, un complesso normativo di sostituzione di 41 decreti in vigore, oltre a quella delibera.

Attualmente sono perfezionati i seguenti atti: le norme tecniche che individuano i rifiuti non pericolosi e le condizioni alle quali le attività di recupero degli stessi sono sottoposte a procedure semplificate, che sono al parere della Corte dei conti prima della pubblicazione; la disciplina della prestazione delle garanzie finanziarie per il trasporto transfrontaliero dei rifiuti, che è al parere del Consiglio di Stato; la determinazione dei diritti di iscrizione da versarsi alle province da parte dei soggetti che effettuano attività di recupero e di smaltimento sottoposta a procedure semplificate di denuncia dell’inizio attività, che è alla Corte dei conti; il modello uniforme di registro di carico e scarico, che è definito; il modello uniforme di formulario di accompagnamento dei rifiuti trasportati, che è alla Corte dei conti; il regolamento di riorganizzazione dell’Albo nazionale delle imprese che effettuano attività di gestione dei rifiuti, che è al Ministero del tesoro e poi andrà alla Corte dei conti, essendo stato concertato fra tutti i ministri; le norme tecniche per lo smaltimento dei rifiuti in discarica, che sono alla Corte dei conti; la costituzione dell’Osservatorio nazionale sulle attività di gestione dei rifiuti, che è operativa; la costituzione del Comitato nazionale per le imprese che effettuano attività di gestione dei rifiuti, che è operativa; la riorganizzazione del catasto nazionale dei rifiuti, che è al parere della Conferenza Stato-regioni; il regolamento di organizzazione e funzionamento dell’Osservatorio nazionale dei rifiuti, che è definito; il decreto di recupero dei rifiuti pericolosi di cui ho parlato, che è definito. Dopo le osservazioni dell’Unione europea dovremmo risistemarlo e dovrà andare al Comitato di rappresentanza dei vari paesi, nella riunione che si svolgerà, se non ricordo male, ai primi di maggio (e prima di quella data non potremo mandarlo alla Corte dei conti, e quindi in pubblicazione). Infine cito il decreto di smaltimento dei rifiuti sanitari, che per noi è definito ed è al concerto dei ministri della sanità e dell’industria e il decreto di smaltimento dell’amianto, anch’esso per noi definito ed al concerto dei ministri della sanità e dell’industria.

Sono inoltre in elaborazione i seguenti decreti. Il primo è quello per i criteri delle bonifiche, che sarà definito dal Ministro dell’ambiente entro aprile, e poi avrà i necessari concerti. Per quanto riguarda il decreto sul metodo normalizzato per la tariffa, entro aprile l’Osservatorio fornirà il primo testo — essendo un suo compito — e poi anche questo sarà da concertare. L’elaborazione del cosiddetto decretone sostitutivo della delibera interministeriale del 1984, che assorbe una ventina di adempimenti, è affidata all’ANPA, che dovrebbe consegnare il lavoro entro giugno.

Si tratta quindi di una parte consistente di attività che è in cantiere. Per ultimo, devo fare alcune osservazioni sul "decreto Bassanini" circa il trasferimento di compiti e di funzioni alle regioni. La Conferenza unificata regioni-province-comuni ha richiesto ulteriori modifiche delle competenze previste dal decreto legislativo n. 22 e modificate dal decreto n. 389. Il parere del Ministro dell’ambiente, condiviso dal Governo, è di non fare ulteriori modifiche per tre ragioni. La prima è formale, perché il Parlamento ha già espresso il parere due volte e la Conferenza delle regioni pure; il Governo è già intervenuto quattro volte sulla materia, cioè nello schema preliminare, nel 1997, dopo la delega del "decreto Bassanini". Quindi, non avrebbe senso, altrimenti non ci sarebbe più la certezza delle norme. La seconda ragione è che modifiche di competenze, di compiti e funzioni in questa complessa attuazione di disposizioni tecniche produrrebbe inevitabilmente ulteriori ritardi attuativi. La terza è che abbiamo inserito questa ridefinizione dei compiti e delle funzioni nel recepimento di direttive comunitarie. Ogni modifica di questo recepimento, se non vogliamo automaticamente incorrere in procedura d’infrazione, prima di essere attuata — ho provato a spiegarlo, ma si vede che non sono stato convincente — deve aspettare i 90 giorni: non si può attuare una norma che modifica il recepimento della direttiva se non dopo i 90 giorni. Avremmo la necessità di sospendere l’attuazione della delega per 90 giorni, e quindi andremmo fuori dei termini, perché la delega sul decreto Bassanini scade il 31 marzo, deve essere attuata entro quel termine, e dovremmo non solo rimandare di 90 giorni — il che si potrebbe anche fare, perché basterebbe scrivere che le norme entrano in vigore dopo 90 giorni — ma anche discuterle e, in presenza anche di una sola osservazione, dovremmo ricominciare daccapo. Si tratta di una via crucis che francamente non mi sento più di percorrere, altrimenti non si giunge mai a capo di nulla.

Le osservazioni sostanziali che fanno le regioni, per fortuna, non sono rilevantissime. Questa procedura la riaprirei se ci fossero osservazioni sostanziali, ma in realtà abbiamo discusso, anche se in modo che le regioni giudicano frettoloso. Hanno ragione, perché molti dicono che ci abbiamo messo troppo tempo, ma i vari passaggi, singolarmente considerati, di questo complessissimo iter sono stati molto rapidi. Quindi, è molto rapido il pressing che facciamo tra ministeri e che abbiamo fatto sulle regioni. Però questi passaggi ci sono stati, e sono stati abbastanza produttivi, nel senso che il dissenso di merito delle regioni è molto circoscritto, a questo punto. Pertanto, credo che si possa soprassedere, anche in ragione del fatto che il merito del contenzioso è molto limitato, altrimenti gli ostacoli e le difficoltà che ne deriverebbero sia verso l’Unione europea sia verso la parte applicativa sarebbero di grande consistenza.

So che nelle commissioni di merito della Camera e del Senato questi discorsi sono molto chiari. Infatti abbiamo discusso con la Commissione ambiente della Camera di questo argomento, e la Commissione non ha sollevato la modifica di competenze, essendo competente in materia e sapendo di cosa discutiamo. Ritengo che anche al Senato la Commissione ambiente non solleverà problemi. La mia preoccupazione, però, è che i decreti attuativi del "decreto Bassanini" non vadano alle commissioni competenti di merito bensì alla cosiddetta "bicameralina", dove purtroppo non sempre i parlamentari sono del tutto informati della complessità delle questioni. Qualche preoccupazione sulla "bicameralina", su chi non ha seguito la materia e quindi non conosce la difficoltà di attuare la riforma e non sa che in queste materie è richiesta una complessa concertazione con la Commissione europea, la nutro, nel senso che potrebbe scapparci — mi si perdoni il termine — un qualche parere preso alla leggera.

Per questo rivolgo la mia raccomandazione ai parlamentari delle Commissioni permanenti che seguono con attenzione i lavori della cosiddetta "bicameralina", cui è richiesto il parere sull’attuazione (il Governo farà la sua parte), perché perlomeno i colleghi parlamentari siano informati dell’iter attuativo di questa riforma e dei rischi che corriamo rimodificando nuovamente il quadro dei compiti e delle funzioni dello Stato, delle regioni e degli enti locali. Si rischia infatti di creare un intoppo, che a quel punto non so come sarebbe possibile superare, dovendo ricominciare daccapo solo per osservazioni non di grande portata e contenuto.

Massimo Scalia, Presidente della Commissione. Possiamo proseguire con la relazione del dottor Lucio Di Pietro, della Direzione nazionale antimafia, che, se non ricordo male, è anche applicato, per vicende che ci hanno riguardato, a tutta la situazione campana, che per molti aspetti si presenta come la situazione più grave, forse in assoluto, se penso all’area del casertano.

LUCIO DI PIETRO, Sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia. Porto il saluto del Procuratore nazionale antimafia ed il suo ringraziamento per l’invito a questo convegno che tratta temi di sicura importanza ed attualità.

Il mio intervento riguarderà i rapporti tra il traffico illegale di rifiuti e la criminalità organizzata.

Rimasi inizialmente sorpreso allorquando Nunzio Perrella, esponente di vertice della camorra napoletana, divenuto collaboratore di giustizia, nel corso di uno dei suoi interrogatori, nel dicembre 1992 affermò che "a’ monnezza è oro".Il Perrella intendeva spiegare che l’affare dell’illegale traffico di rifiuti di ogni tipo (urbani, ospedalieri, chimici, tossico-nocivi in genere e radioattivi) rendeva, in termini economici, più utili del traffico internazionale di stupefacenti ed esponeva chi lo gestiva a minori rischi di natura penale, poiché, come è a tutti noto, i reati connessi alla raccolta, al trasporto ed allo smaltimento illegali dei rifiuti essendo di natura contravvenzionale sono puniti, al massimo, con pochi mesi di arresto e, quasi sempre, sono soggetti a prescrizione.

Ma la sorpresa fu di breve durata. Bastò riflettere sulla duttilità operativa della camorra e sulla sua collaudata capacità di interagire con il mondo imprenditoriale ed istituzionale per comprendere il suo ruolo trainante anche in questo settore di economia illegale.

Sulle dichiarazioni del Perrella furono svolte approfondite indagini al termine delle quali il giudice per le indagini preliminari di Napoli (procedimento a carico di Avolio Luca - 20), nell’emettere ordinanza di custodia cautelare in carcere, osservava "...la camorra napoletana e casertana ha controllato, per diversi anni, ed ancor oggi controlla uno dei più grandi business dell’economia nazionale: il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti.In questo settore tutto avviene in dispregio e contro le regole e tutto è controllato dalla camorra e da uno scellerato patto tra camorristi, imprenditori e politici..."

Nonostante fosse stata accertata la presenza fra gli imputati di persone legate o contigue al pericolosissimo clan camorrista dei casalesi, il tribunale, pur affermando la insussistenza del delitto contestato previsto dall’articolo 416-bis del codice penale non avendo ritenuto provata la mafiosità dell’associazione che gestiva l’illegale traffico di rifiuti, condannava gli imputati per il delitto di cui all’articolo 416 del
codice penale.

Sebbene siano trascorsi circa sei anni dalle dichiarazioni del Perrella, carenze normative, che a mio giudizio, ma anche a giudizio del Ministro Ronchi non sono state risolte dal decreto legislativo n. 22/97, scarsa cultura dell’ambiente ed inefficacia di controlli amministrativi, inadeguatezza del sistema di prevenzione e repressione penale, delittuose connivenze e complicità con gli organi preposti al rilascio delle autorizzazioni e concessioni consentono ancor oggi ad organizzazioni di tipo mafioso di gestire, in regime di quasi monopolio, il settore dei rifiuti.

Numerosi altri collaboratori di giustizia hanno pienamente confermato che la criminalità organizzata gestisce la maggior parte del traffico illegale di rifiuti e con recenti dichiarazioni riscontrate da verifiche investigative, hanno permesso di arricchire le conoscenze sui meccanismi sofisticati usati per aggirare od eludere i controlli amministrativi.

La Procura nazionale antimafia, consapevole della gravità del traffico illegale di rifiuti, sia con riferimento agli enormi profitti che esso produce a vantaggio dei sodalizi criminali sia per i notevoli ed a volte irreparabili danni cagionati all’ambiente, fin dal 1994 nell’esercizio delle funzioni di coordinamento propulsivo che le sono affidate dalla legge (articolo 371 c.p.p.), costituì al suo interno un apposito gruppo di lavoro che effettuò un sistematico monitoraggio sull’intero territorio nazionale delle indagini relative al traffico illecito di rifiuti pendenti non solo presso le direzioni distrettuali ma anche di quelle, numerosissime svolte dalle procure ordinarie e dalle procure circondariali. Acquisendo in tal modo una completa conoscenza di ciò che si muoveva, sull’intero territorio nazionale, sullo specifico tema.

Dall’analisi e dall’incrocio dei dati, servendosi anche dalla banca dati della Direzione nazionale antimafia fu possibile riscontrare che molti degli inquisiti dalle procure circondariali e dalle procure ordinarie soprattutto del centro Italia erano stati indagati dalla procura napoletana.

Perciò furono indette dal Procuratore nazionale antimafia riunioni specifiche con i procuratori ordinari e circondariali impegnati in indagini aventi ad oggetto i cosiddetti reati ambientali nelle quali il suindicato gruppo di lavoro della DNA aveva intravisto un coinvolgimento più o meno diretto della criminalità organizzata di tipo mafioso.

Nelle indicate riunioni emergevano anche collegamenti tra esponenti della ’ndrangheta calabrese e lo smaltimento abusivo di rifiuti in Liguria nonché analoghi interessi criminosi di clan camorristi nel Lazio ed ancora collegamenti tra persone contigue alla mafia inquisite in Piemonte e soggetti dediti a traffici illeciti di rifiuti nella regione Puglia.

Si realizzava, attraverso le dette riunioni, un coordinamento nazionale che produceva notevoli risultati: in particolare si dava la consapevolezza alle procure cicondariali e ordinarie che le loro indagini ruotavano, comunque, intorno a fatti di criminalità organizzata.

Non a caso le regioni più colpite dall’illegale smaltimento di rifiuti sono quelle a più alto tasso di presenza mafiosa (Campania, Calabria, Sicilia e Puglia); infatti, è proprio in queste regioni che è meno elevato il livello di sensibilità sociale ed istituzionale verso la tutela dell’ambiente e più annoso è il degrado del tessuto politico, economico e sociale.

Le rotte del traffico illegale di rifiuti si muovono, quindi, sull’asse Nord-Sud in direzione del Mezzogiorno dove vengono smaltite le centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti di ogni specie in discariche prevalentemente non autorizzate, costituite da cava, da specchi d’acqua, da grosse buche scavate in fondi anche agricoli sulle quali una volte ricoperte, vengono praticate, non di rado, colture. Con quale danno per la salute pubblica e con quale disastro ambientale è facile immaginare! I rischi modesti connessi a tale pratica illegale e le "garanzie di omertà" assicurate dai trasportatori e dagli smaltitori hanno, purtroppo, reso "l’affare" appetibile anche per imprese legali di medie e grosse dimensioni che affidano, con sempre maggiore frequenza, i loro rifiuti a soggetti legati alla criminalità organizzata che garantiscono costi di smaltimento di gran lunga inferiori a quelli praticati dal mercato legale.

Secondo alcune stime molto vicine al vero la criminalità organizzata lucra una quota di circa 2000 miliardi l’anno.

Di fronte ad un quadro così allarmante non è ragionevole pensare di sconfiggere o quantomeno arginare con la sola repressione penale l’illegale fenomeno.

Occorrono severi e continui controlli amministrativi preventivi soprattutto in tema di autorizzazioni alle società di trasporto e di stoccaggio di rifiuti queste ultime, infatti col cosiddetto giro di bolla declassificato fraudolentemente il rifiuto affidatogli dalle società produttrici a materiale di scarto riutilizzabile, tramite la documentazione di accompagnamento delle merci lungo il tragitto verso i luoghi di smaltimento.

Occorre, altresì, una costante vigilanza sulle procedure di appalti per la raccolta dei rifiuti che, molto spesso, finiscono nelle mani della criminalità organizzata attraverso società prestanome.

Occorre infine, in tema di repressione penale dar corpo al progetto normativo del Ministro Ronchi che prevede di inserire nel codice penale il titolo dei delitti contro l’ambiente. Tale bozza consta di otto articoli in cui, sull’esempio delle più importanti codificazioni europee, si introducono i delitti di inquinamento ambientale, alterazione del patrimonio culturale, traffico illecito di rifiuti, frode in materia ambientale e associazione per delinquere in materia ambientale. Essa introduce anche — ed è una novità assoluta per l’Italia — alcune specifiche sanzioni a carico delle persone giuridiche i cui amministratori hanno commesso delitti contro l’ambiente, quali l’esclusione dai pubblici appalti, il divieto di contrattare con le imprese estere ed il commissariamento giudiziale per giugere, nei casi più gravi, alla chiusura ed alla sospensione temporanea dell’attività, facendo, però, salvi i diritti dei lavoratori.

Percorrendo, contemporaneamente, le suindicate strade sarà possibile eliminare la cause dello scempio provocato all’ambiente dal traffico illegale di rifiuti definito, con immagine plastica, "furto di futuro", cioè furto in danno delle future generazioni.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione. La ringrazio, dottor Di Pietro, e le faccio molti auguri per la sua salute. Il dottor Onida non è potuto essere presente, quindi ha facoltà di parlare Walter Ganapini, presidente dell’ANPA.

WALTER GANAPINI, Presidente dell’ANPA. Il Ministro dell’ambiente ha anticipato in questa sede —estremamente autorevole — il contenuto delle direttive trasmesse all’ANPA in materia di contributo all’applicazione del decreto legislativo 22/97.Il decreto Ronchi ha il pregio di spiegare al Paese a che punto sia la sfida sulla qualità ambientale: il primo compito di un’Agenzia nazionale per l’ambiente è quello di raccogliere, elaborare e rendere disponibili a tutti i livelli interessati informazione tempestiva ed affidabile sui fenomeni ambientali; nello specifico d’interesse di questo seminario, informazione sul ciclo dei rifiuti. Nel 1976, presi parte al progetto finalizzato "Energetica" del CNR, dirigendo il primo lavoro di indagine sulla qualità e quantità di rifiuti prodotti in Italia. È paradossale che, allora dovesse intervenire il CNR in questo campo, ma ancora oggi i dati che allora raccogliemmo rimangono sostanzialmente validi.Ciò spiega la straordinaria carenza di credibilità del nostro Paese in sede internazionale per quanto concerne i dati sull’ambiente, poiché dello stesso tenore è la valutazione sull’informazione disponibile in tema di qualità dell’acqua e dell’aria: alla voce "Italia" corrisponde troppo spesso, nella versione anglosassone, la dizione not available, non disponibile.L’ANPA, che oggi è in condizione di mettersi a regime come struttura, acquisendo le necessarie risorse umane e tecniche, deve assolutamente contribuire a produrre una adeguata qualità e quantità di informazione disponibile.Sul ciclo complessivo dei rifiuti, rendendola disponibile, in primis, al legislatore. Se si va a vedere cosa fanno le Agenzie tedesche, francesi o addirittura quella europea, ci si rende subito conto che è già operativa una gestione dell’informazione al legislatore che serve come monitoraggio ex post della normativa prodotta e della correzione di essa in corso d’opera, ma soprattutto con l’informazione generata dalle Agenzie si supporta tutto il sistema legislativo ex ante, comparando le alternative in termini di policy alla luce delle informazioni esistenti. Così facendo si facilita il superamento dei rischi di stratificazione di norme tra di loro contraddittorie e di impostazioni non basate su corretta conoscenza della realtà.Nell’ambito della sua iniziativa in tema di rifiuti, ANPA, come previsto dal regolamento e dalla legge istitutiva, istituirà meccanismi di consultazione permanente delle attività produttive e del terzo settore.Ci stiamo ponendo altresì il tema di diventare il punto di riferimento istituzionale, in vista di corrette pratiche di monitoraggio dell’ambiente, per la proposizione e validazione degli standard in tema di metodiche, campionamenti, elaborazione dati relativamente alle diverse matrici ambientali ed ai principali contaminanti.

In questo paese è oggi molto difficile valutare l’affidabilità di un dato a seconda della sua area geografica di provenienza o di come si sia proceduto all’acquisizione del dato stesso.

Questo impegno, nel settore dei rifiuti, sottenderà lo sviluppo di una normazione tecnica applicativa del decreto Ronchi, da rendere disponibile alle sedi competenti il più in fretta possibile, superando storici ritardi culturali al riguardo. Più in generale l’Agenzia opererà uno sforzo che andrà in tre direzioni: l’Italia necessita di un’Agenzia in rete con il mondo (quindi dialogante in tempo reale con l’EPA, la European Environment Agency e le altre migliori agenzie europee), a rete sul territorio nazionale, con il sistema delle Agenzie regionali e con il sistema delle unità tematiche di eccellenza. In questi giorni, il sindaco Cacciari ci ha chiesto, a partire da un tema di radioattività in laguna, di dedicare risorse ad un’unità tematica di eccellenza "Venezia e Marghera", sui temi della bonifica e del riuso dei grandi poli in dismissione; lo stesso ci viene richiesto circa l’ACNA di Cengio, circa la gestione delle acque in Puglia e così via discorrendo.Dobbiamo operare in rete con le strutture di ricerca delle università, del CNR e dell’ENEA: c’è tanto da fare e non è certo il momento di alzare steccati a tutela di orticelli.L’Agenzia — ringrazio il Presidente Scalia per il cenno specifico che ha voluto fare a questo — deve essere altresì in grado di rispondere alle emergenze, segnalate dalle istituzioni, che caratterizzano il Mezzogiorno (abbiamo ad esempio incontrato rappresentanti della Commissione antimafia su Villa Literno; richieste pressanti ci vengono dal Comune di Reggio Calabria).Impegno il nuovo consiglio di amministrazione, rispetto alla richiesta formulata dalla Commissione presieduta dall’onorevole Scalia, a rendere disponibile in tempi brevissimi presso l’ANPA una propria struttura di pronto intervento, di elevata competenza e con compiti di polizia giudiziaria in grado di supportare sistematicamente l’azione dello Stato soprattutto nei territori nei quali l’economia criminale aggredisce istituzioni ed ambiente. Lavori importanti sono in corso per calibrare e armonizzare la nostra disciplina ambientale con quella europea: è il caso della transcodifica del catalogo europeo dei rifiuti in catalogo italiano. Mi auguro che il Governo e il Parlamento possano constatare, nei prossimi mesi, quanto il consiglio di amministrazione, la direzione e l’Agenzia, si siano impegnati a conseguire gli obiettivi prepostici, nell’interesse del paese e del suo procedere nel senso della integrazione europea.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione. Ringrazio il professor Ganapini. In rappresentanza del presidente del CNR, dottor Bianco, che non è potuto essere presente, parlerà il dottor Liberatori.

ALFREDO LIBERATORI, Responsabile del settore ambiente del CNR. Sono felice di essere in questo consesso per parlare sul tema del giorno: "La politica dei rifiuti". La prima domanda che mi sono posto è: "Che cosa c’entra chi si occupa di scienza con la politica?". Dentro di me ho detto che la cosa importante è agire nei rispettivi ruoli con le rispettive funzioni. Del resto la conferma a quello che sto dicendo deriva dagli interventi precedenti, che mi hanno molto stimolato, e che come al solito tendono un po’ a modificare quello che avevo preparato in precedenza. Sono stato molto stimolato dagli interventi svolti dai relatori precedenti, rimanendo sbalordito da alcune affermazioni come quella fatta dal Presidente Scalia quando ha affermato che a fronte dei 6 mila miliardi di risparmio derivante da illeciti c’è un costo ulteriore per lo Stato di 60 mila miliardi per la restoration, il recupero dei siti contaminati. Analogamente ho trovato molto stimolante quanto detto dal dottor Di Pietro relativamente alla scelta di un settore che prevede misure di contravvenzione — non conosco bene il linguaggio giuridico — anziché misure di carattere detentivo o penale più forti nei confronti di soggetti o associazioni criminali. Qui interviene una parte che forse noi scienziati – il professor Cabibbo può confermare — abbiamo sempre trascurato, cioè pensare che fosse possibile intervenire sull’ambiente con le cosiddette scienze esatte o che prevedono degli interventi. Contrariamente a ciò, nel mondo scientifico si è sempre più fatta strada l’idea di utilizzare le conoscenze di scienze di carattere storico, giuridico, sociologico ed economico perché l’ambiente non è un ricettore di rifiuti, ma è una risorsa che va tutelata anche sulla base di consensi e di crescite culturali.

Trovo non sorprendente che le scelte criminali si siano indirizzate su questo settore, quando a quest’ultimo anche persone normali non dedicano l’attenzione che merita e le risorse per la salvaguardia. Qui ci sono colleghi di amministrazioni che lamentano una scarsa possibilità di intervento. Anche il dottor Di Pietro ha detto che il problema dei controlli è molto serio. È un problema che va "approcciato" con una comunità di intenti. Sono questioni che ci siamo sempre posti come comunità scientifica. Abbiamo sempre cercato di lavorare nell’ottica di fornire informazioni che poi chi di dovere (aziende sia pubbliche sia private, amministrazioni dello Stato, la politica per quanto riguarda l’emanazione di atti regolamentari o legislativi diversi da quelle che a me paiono delle grida di tipo manzoniano, a fronte dell’assenza delle possibilità di controllo e intervento) utilizzasse nel modo migliore. Affermo ciò per rispondere al quesito posto all’inizio del mio intervento, cioè cosa stiamo facendo noi scienziati in questo contesto? Siamo presenti perché ci siamo sostanzialmente posti, nei confronti di questi problemi, con l’idea di fornire alla pubblica amministrazione gli strumenti informativi e gestionali utili per gestire questa risorsa. Lo abbiamo sempre fatto, sin dalla nostra nascita. Mi fa piacere che il professor Ganapini abbia ricordato le informazioni che il CNR ha fornito per quanto riguarda i rifiuti. Lo abbiamo fatto però anche in tutti gli altri settori con un approccio veramente integrato anche sulla base delle conoscenze acquisite negli anni passati. Negli anni ’60 sono sorti i nostri istituti, che si occupavano delle risorse ambientali, prevalentemente acqua e aria, ma anche il terreno ha avuto la sua nobiltà con l’istituzione dell’istituto di chimica del terreno. Abbiamo sempre messo a disposizione i nostri istituti per progetti, in particolare quelli finalizzati. È stato ricordato il progetto finalizzato "Energetica", ma ho il piacere di ricordare anche il progetto finalizzato "Ambiente", che è stato sviluppato negli anni ’70 e un altro progetto finalizzato "Ambiente", che non riusciamo a portare avanti per mancanza di fondi. La finalizzazione di tutti quanti i nostri progetti è sempre stata la possibilità di creare, quando non c’era, o di potenziare le strutture preposte alla gestione dell’ambiente. Tutte le strutture nate da poco hanno i loro problemi. Sono convinto che risorse importanti sia in termini di budget sia di personale devono essere dedicate a chi ha dei compiti gestionali, l’ANPA prima di tutti. Le nostre organizzazioni — parlo per il CNR, ma credo che anche l’ENEA abbia le stesse intenzioni — debbono essere pronte a fornire le informazioni ritenute utili al fine della gestione delle risorse.

Non sono rimasto sorpreso del garbo con cui il presidente Scalia durante l’audizione ci ha richiesto la predisposizione di un documento per il telerilevamento. Ci ha detto: "Se ciò non contrasta con i vostri compiti di ricercatori, forniteci un progetto: noi saremmo ben felici di lavorare per l’approvazione di esso e per recepirne poi i risultati". Vorrei sgombrare il campo da possibili equivoci: nel nostro lavoro di ricerca questo tipo di finalizzazione l’abbiamo sempre avuta, quindi non ci chiede nessun sacrificio invitandoci a lavorare con la suddetta procedura e i suddetti obiettivi. Credo che l’ENEA abbia più interesse del CNR al trasferimento delle informazioni alla pubblica amministrazione e all’industria.

Da questo punto di vista non abbiamo problemi sia per quanto riguarda l’acqua, l’aria e i rifiuti, né tantomeno per i sistemi di monitoraggio. Su ciò vorrei concentrate l’attenzione partendo da quanto è emerso nell’audizione del novembre scorso, nella quale erano presenti il nostro presidente e i responsabili del progetto LARA: il dottor Bruno Commini per la parte gestionale, il professor Carlo Marino per la parte scientifica. Entrambi sono presenti qui e disponibili chiaramente per approfondire la sostanza del progetto, a richiesta. È un progetto che per quanto ci riguarda è nato tra il 1990 e il 1991 con lo scopo di fornire un sistema di controllo aereo che avesse un carattere metodologico generale. Non è nato solamente sul problema dei rifiuti, ma anche come strumento di informazione dal punto di vista delle risorse geologiche del terreno in generale e può essere utilizzato — come è stato già fatto — per la sorveglianza di discariche sia autorizzate, sia abusive. È un aereo che riesce a volare a bassa quota fornendo immagini molto più dettagliate rispetto a quelle fornite da altezze più elevate. Alle riprese fotografiche è associata la gestione dei dati. Non ho un’esperienza specifica nel settore però sono abituato a giudicare le cose un po’ dal mercato. Il fatto che ci siano aziende negli Stati Uniti, in Germania, in Australia e in Giappone, che richiedono le prestazioni del nostro sistema è una circostanza che mi fa molto piacere e mi fa pensare che sia competitivo con gli altri sistemi di paesi così importanti. Per quanto riguarda, poi, la strumentazione, quest’ultima — i responsabili possono illustrarla in modo specifico — prevede la possibilità di un ampio spettro di canali utilizzabili. Possiamo utilizzare un centinaio di intervalli di frequenza, in corrispondenza dei quali corrispondono determinati inquinanti e sostanze. Questo è quanto è emerso durante l’audizione del 5 novembre scorso. Dopo, siamo stati invitati a presentare un progetto — l’abbiamo consegnato, è qui — del quale desidero riferire solamente due-tre punti, visto che è agli atti, sui quali è possibile focalizzare la nostra attenzione. È un progetto orientato soltanto sul discorso delle discariche che parte da quello che già sappiamo fare e abbiamo utilizzato in decine di località nel nostro paese, come sul lago di Garda, a Trecate. Lì ci fu uno sversamento di idrocarburi da cisterna e lo strumento fu utilizzato benissimo : le foto sono disponibili. Siamo intervenuti anche sull’Etna, a Vulcano, a Stromboli e nel golfo di Gela. Non vorrei elencare tutte le esperienza fatte, ma ho il piacere di ricordare che è stato utilizzato anche a Momenfels, in Germania, e a Crau-Camargue in Francia. Il progetto prevede una parte centrale che facciamo noi e che continueremmo a fare, indipendentemente da qualunque decisione possa venire dalle sedi politica e amministrativa: l’attrezzatura e il personale. Quest’ultimo è costituito da nove-dieci persone che lavorano presso la sede di Pomezia e continueranno a lavorare nell’individuare i settori che possano fornire indicazioni di carattere metodologico. La parte che viene a cascata e che può costituire elementi di progetto da parte di amministrazioni, riguarda gli aspetti gestionali ed operativi, per i quali non abbiamo le risorse né finanziarie, né umane per poterlo fare. Può essere fatto dirigendolo dal nucleo di coordinamento di Pomezia e attraverso aspetti che passano per gestioni locali. Lo abbiamo già fatto con la regione Molise e la municipalità di Roma, e continueremo a farlo per quanto riguarda le altre possibilità che si possono presentare. Ciò rappresenta quello che desideravo proporre. Ho imbarazzo ad entrare nel dettaglio della proposta, perché ho preferito un’immagine di carattere generale lasciando ai colleghi presenti la possibilità di sviluppare il discorso, se richiesto, per quanto riguarda la parte operativa, gestionale e propositiva. Ribadisco, in conclusione, che la disponibilità per quanto riguarda le nostre possibilità di collaborazione sono assolute. Vi ringrazio per l’attenzione.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione. Do ora la parola al professor Nicola Cabibbo per l’ultima relazione della mattinata.

NICOLA CABIBBO, Presidente dell’ENEA. Ringrazio per l’invito. Vorrei fare innanzitutto alcuni commenti sulle linee di intervento. Il decreto Ronchi è basato su tre punti: ridurre la quantità e pericolosità dei rifiuti; massimizzare il recupero di materia e di energia; minimizzare il ricorso alla discarica. Per quanto riguarda la riduzione della produzione ritengo che occorra far leva su una connessione, sempre più stretta, tra le tecnologie avanzate e i processi produttivi.Nel nostro paese, una chiave è offerta
dai distretti come quello del mobile e del tessile. L’ENEA ha condotto delle esperienze pilota, molto positive in questo campo, con i distretti del conciario, della ceramica e dei laterizi. È una strada da perseguire perché resta moltissimo da fare.Essenzialmente ogni industria ha le sue specificità e quindi ridurre la produzione dei rifiuti, significa risolvere problemi specifici da settore a settore.

Il secondo tema di cui vi volevo parlare riguarda la valorizzazione energetica dei rifiuti, già messo in evidenza dal presidente Scalia.Il tema in discussione ha una doppia valenza: riduce i rifiuti che vanno in discarica e allo stesso tempo contribuisce a ridurre le immissioni di anidride carbonica e di altri gas serra.Rappresenta un elemento di grande interesse anche dal punto di vista delle politiche post-Kyoto.Attualmente in Italia circa l’86 per cento dei rifiuti solidi urbani finisce in discarica, mentre soltanto il 7 per cento viene smaltito per incenerimento, per mezzo di impianti vecchi e di concezione superata: di questo 7 per cento viene recuperato solamente il 10 per cento del potenziale energetico.Se riuscissimo a raggiungere il livello, che è del tutto raggiungibile, visto che lo hanno fatto altri Paesi, del 30 per cento del recupero dell’energia disponibile nei rifiuti solidi urbani, questo ci permetterebbe di coprire il 10 per cento dei consumi elettrici italiani.Sarebbe un grossissimo contributo.Naturalmente esistono problemi, ma va ricordato che i moderni impianti sono in grado di rispettare le normative comunitarie più avanzate.Le problematiche sono riconducibili alla minimizzazione degli impatti, che è ottenibile con l’ottimizzazione a livello progettuale sia degli aspetti tecnicop-gestionali, sia di quelli di localizzazione.In sede di esercizio, il punto centrale è quello di una corretta gestione degli impianti e questo richiede un’adeguata formazione dgli operatori ed un impegno forte da parte degli esercenti.Di questi aspetti avremo modo di riparlare nel corso della conferenza nazionale sull’energia, che avrà luogo a novembre e che noi stiamo curando per il Ministero dell’industria.

Però voglio fin da esso ricordare —insisto su questo fatto — che la termodistruzione è un doppio, anzi un multiplo vantaggio perché, se recupero l’energia, elimino la produzione di energia con altri metodi; quindi acquisisco un primo vantaggio, in quanto valorizzo il rifiuto e inoltre elimino l’emissione di gas-serra, che comunque il rifiuto emette anche se lasciato a se stesso.Pensiamo al metano, che è un gas-serra molto più pericoloso ed efficiente in negativo dell’andride carbonica. Questo è un problema di notevole interesse.Un altro aspetto è l’uso di prodotti riciclabili.Anche questo è un contesto in cui la ricerca e l’innovazione possono giocare un ruolo notevolissimo. È necessario promuovere una nuova imprenditorialità diffusa su queste tematiche, soprattutto nel Mezzogiorno, che giochi un ruolo trainante per raggiungere questi obiettivi.La riduzione dei rifiuti e le altre operazioni descritte richiedono lavoro qualificato, impegno industriale, quindi rappresentano occasioni di sviluppo, come è stato più volte messo in evidenza, però occorrono anche delle tecnologie.Da questo emerge il ruolo degli enti di ricerca (CNR, ENEA, università ed altri).

Vorrei parlare brevemente sul ruolo dell’ENEA per il ciclo dei rifiuti, perché questo ente svolge un’attività molto massiccia su questo tema, innanzitutto per quanto riguarda gli aspetti di ricerca e di sperimentazione. In proposito vorrei citare alcune delle attrezzature abbbastanza uniche di cui l’ENEA dispone: la stazione sperimentale cosiddetta ABI-2000, che è essenzialmente un termodistruttore modulare, che permette di studiare varie situazioni e le emissioni di particolari modi di bruciare.È un apparato ormai in funzione da alcuni anni ed è sempre a tempo pieno, cioè c’è una continua richiesta da parte di imprese che desiderano mettere a punto particolari metodi di termodistruzione o particolari trattamenti dei rifiuti per trasformarli in combustibili e si rivolgono a noi proprio per mettere alla prova queste loro idee sui nostri apparati.

Poi abbiamo impianti di trattamento mobile.Questa è una novità che stiamo realizzando e che in parte abbiamo realizzato nell’ambito del progetto Trisaia-Basilicata.L’idea è che in molti casi la soluzione dei problemi dei rifiuti — stiamo parlando di rifiuti pericolosi, cioè di trattamento del percolato, di inertizzazione dell’amianto, di sterilizzazione di rifiuti ospedalieri e così via — debba essere cercata con impianti mobili, cioè che risolvano problemi spot sul territorio e non si configurino come un carico ulteriore per chi ha già in corso un problema ambientale.Si tratta in sostanza di un impianto che viene portato lì, risolve il problema e poi può spostarsi.

L’altro aspetto dell’attività dell’ENEA è il supporto tecnico scientifico alle pubbliche amministrazioni.Ricordo il supporto all’elaborazione di normativa tencnica.In particolare l’ENEA ha dato il supporto per i decreti attuativi relativi al decreto Ronchi n.22/97.Per quanto riguarda il supporto alle amministrazioni locali, vi sono una serie di esempi: il piano di gestione rifiuti della regione Campania, i piani regionali per il censimento e la bonifica di materiali contenenti amianto (Basilicata e Puglia), censimento e caratterizzazione di siti interessati da discariche (Puglia, Valle del Basento e così via), il piano di risanamento del fiume Sarno.

Inoltre l’ENEA ha svolto un’analisi di compatibilità ambientale rispetto ad impianti per il trattamento, il recupero e lo smaltimento di rifiuti ed ha sviluppato metodi per le localizzazioni.Abbiamo collaborato ad esempio alla localizzazione di bruciatori a Cremona, Latina, Lucca,Pistoia, Udine. È interessante che le richieste ci vengano più dal centro-nord che dal sud, che forse avrebbe più bisogno di questo.

Voglio dire due parole su un’esperienza veramente unica, che l’ENEA ha avuto nella gestione di discariche.Ricordo che all’ENEA è stata affidata con ordinanza prefettizia la discarica DI.FRA.BI e poi la ISMAR. Queste due assieme, ma principalmente la prima, nel complesso rappresentavano il novanta per cento dei rifiuti della regione Campania.Attualmente abbiamo in corso gestione nella discarica di Palma Campania e Tufino, che smaltiscono il 40 per cento dei rifiuti campani.Le due che avevo citato prima nel frattempo sono state chiuse.La gestione delle discariche da parte dell’ENEA è nata come un evento eccezionale.Per la discarica di Pianura l’ENEA ha profuso notevole impegno. Si tratta di una delle più grandi discariche d’Europa (si tratta della discarica DI.FRA.BI). Per essa l’ENEA ha messo a disposizione personale di elevata qualificazione, che ha dovuto affrontare una situazione molto critica, operando in condizioni di estremo disagio.La grave emergenza dei rifiuti è stata fronteggiata per oltre un anno a Napoli, scongiurando gravi pericoli di degenerazione sul piano sociale, ambientale ed economico; come è stato riconosciuto eplicitamente dal commissario e dalla regione Campania. L’intervento dell’ENEA ha permesso di superare lo stato di degrato in cui si trovano le discariche e di pervenire alla fase di chiusura in condizioni tecnico-ambientali accettabili. Però al di là degli apprezzamenti ricordo che questo apporto è stato per l’ENEA un puro costo, pari a svariati miliardi l’anno. All’ente sono infatti state rimborsate soltanto le spese vive, lasciando a carico di esso anche il costo delle retribuzioni del personale.Tra gli oneri sostenuti dall’ENEA era inclusa infatti la circostanza che è stato necessario distogliere risorse umane di elevato profilo professionale da altre attività, pure di notevole rilievo programmatico. L’intervento dell’ENEA sul problema delle discariche dovrebbe avere un significato puramente dimostrativo, in un’ottica di sviluppo e trasferimento di tecnologie innovative nel settore dello smaltimento dei rifiuti.A tale scopo andrebbe promossa una diffusione dei risultati che consentisse poi ai diversi soggetti titolati alla gestione, di attuarla al meglio.

Ho già illustrato nel luglio scorso presso la Commissione presieduta dall’onorevole Scalia la situazione dei rifiuti radioattivi presso l’ENEA. Tralascio pertanto questa parte della mia relazione, che è comunque contenuta nel testo scritto. Mi limito semplicemente a trasmettere un messaggio, vale a dire che tutto quello che avevamo detto che avremmo fatto in questi mesi è stato fatto: una serie di azioni che erano previste in un piano, che peraltro si estende per parecchi anni, sono in piano sviluppo.È un piano molto costoso: richiede all’incirca venti miliardi ogni anno, anche se tale costo varia da anno ad anno a seconda dei contratti. Malgrado questo e malgrado le gravi difficoltà economiche in cui ci troviamo, il progetto va avanti pienamente.

Vorrei concludere con una considerazione un pò estemporanea e da fisico teorico, che reagisce a quello che ha sentito dire ad esempio dal dottor Di Pietro in generale sul problema della criminalità, che in qualche modo forse andrebbe visto con un certo distacco e che vorrei spiegare. Chiaramente l’affidamento dello smaltimento ad elementi criminali è una cosa che si controlla con i costi, in relazione al fatto che l’area di criminalità organizzata si sta enormemente allargando (non so se attualmente sia in una fase ulteriormente espansiva su questo tema, comunque è più stabile e comunque ha invaso questo campo). In altri termini in qualche modo i costi dello smaltimento legittimo erano enormemente superiori a quelli dello smaltimento illegittimo.Chiaramente il problema, come è stato bene identificato in quello che abbiamo sentito, è di aumentare i costi dello smaltimento legittimo. Forse quello che manca in queste presentazioni è uno studio quantitativo. La direzione infatti è questa, però sarebbe interessante avere uno studio quantitativo. Come fisico in uno studio quantitativo mi chiederei: premesso che oggi i costi sono dieci e cento, con quello che abbiamo progettato riusciremo a ribaltare la situazione o no? Questo è necessario anche perché c’è un altro elemento: chi ha conquistato questo mercato a questo punto ha effettuato un notevole investimento (mi dispiace parlare in maniera così cinica, però è così), quindi potrebbe essersi generata una certa rigidità ad un rivolgimento che rimetta il problema della restituzione alla sfera del legittimo del problema dello smaltimento da parte di chi ha tanto investito nel passato. È un problema, questo, che mi piacerebbe vedere trattato anche in maniera quantitativa e non soltanto in termini di dire: rendiamo più dura la legge, in maniera da alzare il costo dell’attività illecita.Vorrei sapere se questo basti e se non occorra anche un’azione che diminuisca il costo dello smaltimento legittimo. Il mercato dello smaltimento è rigido. Nel caso del mercato della droga uno può pensare che un irrigidimento porti ad una diminuzione della quantità della droga consumata, mentre nel campo dei rifiuti probabilmente le quantità sono molto più rigide, sono direttamente legate al prodotto, anche se si potrebbe fare un pò meglio. Mi piacerebbe vedere tutto questo in termini anche quantitativi e analitici, per vedere se queste cose possono funzionare.È importante, quando uno intraprende un’azione, rendersi conto se poi dal punto di vista matematico la cosa sta in piedi.

Vorrei concludere riconfermando che il problema dei rifiuti costituisce anche una sfida sul piano tecnico-scientifico.Il dottor Liberatori ha parlato dell’aereo con i cento canali e via dicendo.Si tratta di esperienze interessantissime e stimolanti dal punto di vista scientifico.Ritengo che l’ENEA possa dare un contributo significativo sia in termini di ricerca e di sperimentazione di soluzioni innovative, sia in termini di aiuto alla pubblica amministrazione alla soluzione di particolari problemi.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione. Visto che ci avanza del tempo, ne approfitto per rispondere brevissimamente all’opzione indicata dal professor Cabibbo. In realtà il problema vero è che dove è più forte la criminalità non c’è mercato, quindi è molto difficile fare stime di costi, che possono essere effettuate soltanto in negativo, nel senso che smaltire correttamente rifiuti solidi urbani oggi in Italia costa in media 150 lire al chilo, con situazioni estremamente differenziate da punto a punto del paese; smaltire rifiuti pericolosi, a seconda della categoria del rifiuto può andare dalle mille alle diecimila lire al chilo; quando attraverso un collaudatissimo sistema che vede coinvolti i trasportatori, ma anche discariche autorizzate che non si riempiono mai, perché il rifiuto non viene consegnato, se non solo e unicamente attraverso una bolla formale alla discarica, ma viene invece direttamente affidato alla malavita organizzata perché sia sversato nelle varie forme che abbiano sentito e visto nel territorio, allora si capisce — non è che ci siano tanti conti da fare — che lo smaltimento illegale dei rifiuti ha soltanto il costo di trasporto, poi c’è un enorme profitto determinato dal differenziale fra quello che non viene speso (appunto le 150, 1000, 10 mila lire al chilo) e gli introiti, il che dà luogo alla stima di circa seimila miliardi come traffico illecito dei rifiuti. Certo vale anche la pena fare due cose, la prima delle quali è innalzare il livello tecnologico. È la prima arma per combattere lo smaltimento illegale. Vale anche la pena di ridurre il costo per i rifiuti. Questo lo promette il ministro, credo non invano: potrà avvenire passando ad esempio da tassa a tariffa, quindi legando per i rifiuti solidi urbani la tariffa a quello che viene effettivamente prodotto come rifiuto dal singolo o da un nucleo familiare, e non basandosi sui metri quadrati.

Ha chiesto di parlare il dottor Anacleto Busà. Gli do la parola.

ANACLETO BUSÀ, Consulente della Commissione. Vorrei ricordare al professor Cabibbo quanto è stato affermato nell’ambito dell’ultima audizione. Effettivamente sul problema dei costi di smaltimento la Commissione sta lavorando. C’è un sottogruppo di lavoro che sta visitando impianti nelle regioni italiane ed è appunto attraverso alcuni canali di informazione che si comincia a conoscere la situazione un po’ meglio rispetto al passato. Posso dire che, in Italia, per ciò che risulta al momento, vi è, in certi casi, un rapporto di uno a tre tra costo reale di smaltimento e costo enfatizzato, soprattutto nel settore dei rifiuti industriali. Questo costo sicuramente si può abbassare e per farlo ci sono, in teoria, mezzi e tecnologie disponibili che, di fatto, però solo alcuni operatori applicano.Dunque, lo sforzo, da parte della Commissione, è quello di andare a vedere dove esistono e dove si applicano effettivamente tali tecnologie al fine di verificare di quanto si possono abbassare i costi. La possibilità c’è, ma siamo ancora a livello di indagine e di acquisizione dati. Ci auguriamo che, da qui a sei mesi, si possa avere una maggior quantità di informazioni concrete, per dare una risposta al suo quesito.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione. Do la parola al dottor Marino per integrare l’esposizione del dottor Liberatori sul LARA, un progetto del quale la Commissione è diventata quasi un broker e che ha spesso fatto presente in situazioni analoghe a quella casertana, dove il sapere cosa c’è nel suolo e nel sottosuolo è fondamentale per riuscire ad avviare le bonifiche.

CARLO MARIA MARINO, Responsabile del progetto LARA del CNR. Sono dell’Università di Milano, ma sono stato distaccato oramai da parecchi anni presso il CNR con la responsabilità scientifica del Laboratorio aereo per le ricerche ambientali, che va sotto questo nome abbastanza carino di LARA. Vorrei aggiungere alcune parole a quanto tutti possono rinvenire negli atti della Commissione parlamentare, relativamente a quello che ha espresso il presidente del comitato ambiente, dottor Liberatori, sulla disponibilità da parte dell’ente di fornire, con una innovazione tecnologica che ormai è certificata a livello internazionale, la possibilità di identificare quelle che definiamo le "impronte digitali" – tanto per rimanere con un neologismo riguardo ai temi trattati questa mattina – di parecchie sostanze sia naturali, sia di produzione industriale. Cito come esempi delle attività svolte e di quella che è già in corso aspetti legati alla produzione di biogas da parte delle discariche. È presente il professor Ganapini: penso che in passato lo abbiano interessato i problemi riguardanti Cerra e Cavenago, oppure ultimamente quello che è diventato uno degli aspetti applicativi più rilevanti della nostra attività. Oramai abbiamo acquisito la capacità di individuare, con opportune tecnologie e con un metodologia messa a punto dai nostri gruppi di ricerca, le coperture in cemento-amianto anche per aree di qualche metro quadrato. Questo porta ad una capacità censuale estremamente dettagliata e precisa, una conoscenza delle localizzazioni precise in termini squisitamente geografici, quasi con lo stradario di dove si trovano queste coperture, il che rappresenta un supporto estremamente importante rispetto a ciò che è a valle di questo discorso. Non dimentichiamo che in molte regioni per l’attuazione delle leggi ad hoc sul cemento-amianto viene richiesta la sola autocertificazione: lascio alla sensibilità di chi opera nel settore sapere quale validità può avere l’autocertificazione, con tutte le conseguenze che poi comporta. Infatti chi è onesto, si autocertifica, poi dovrà provvedere allo smaltimento, il che non è una cosa abbastanza semplice.

Tutto questo bagaglio di conoscenze, che la comunità scientifica nazionale, della quale facciamo parte, ha acquisito, ha oggi una valenza internazionale che è ampiamente riconosciuta. Noi lavoriamo per o con colleghi americani, tedeschi, francesi, svizzeri, olandesi, ai quali molte volte forniamo il supporto per effettuare quelle misure che essi attualmente, e penso per un certo numero di anni, non sono in grado di effettuare. La Comunità europea ci ha riconosciuti come uno degli elementi cardine per il controllo aereo del territorio con tecniche di rilevamento elettronico, quindi dal punto di vista scientifico potremmo ritenerci soddisfatti. Non lo siamo nella misura in cui chiaramente uno scienziato o un ricercatore deve trovare sempre nuovi stimoli. Questi nuovi stimoli ci sono stati forniti dal mondo politico, che ha saputo recepire questi aspetti innovativi che la comunità scientifica metteva a disposizione e li sta traducendo in norme concrete. Di questo ringrazio in modo molto sentito la Commissione, perché è diventata un veicolo per far conoscere quanto era stato acquisito ad una platea più ampia di amministratori pubblici, per poterne curare poi il trasferimento. Abbiamo cominciato a vedere i risultati, perché parecchie amministrazioni regionali, avendo preso cognizione degli atti della Commissione, si stanno rivolgendo a noi per avere conforto e supporto per affrontare questo tipo di tematiche, il che porta, come diceva il dottor Liberatori, al fatto che ci troveremo tra poco ad un bivio, vale a dire come articolarci in una parte di ricerca, che deve fare da apri-pista a questo tipo di innovazione tecnologica e quella parte di servizio che deve trasferire tutto quello che noi stiamo certificando in procedure operative, aperte a tutte le comunità, non solo a quella nazionale. Chi vuole sapere di più rispetto a questo ovviamente trova nella mia persona e in quella del presidente del comitato, e del CNR in generale, la fonte a disposizione di tutti per quanto concerne questo tipo di informazioni. Se voleste fare una passeggiata dalle parti di Pomezia, non so quali attrazioni ci possano essere oltre al litorale, ma noi abbiamo una stazione di conversione dati e una stazione di documentazione che è a disposizione di tutti.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione. Riprendiamo i lavori. Vi chiedo scusa, ma dovrò allontanarmi tra non molto. Coordinerà i lavori in mia vece il Vicepresidente Specchia. Inizio la sessione pomeridiana dando la parola all’assessore regionale Cavallera, che nell’ambito della conferenza Stato-regioni è delegato per queste ultime per quanto concerne i problemi ambientali e quelli dei rifiuti e che, dunque, rappresenta il punto di vista delle regioni o, almeno, lo preghiamo di farsi loro portavoce, come è già accaduto nelle audizioni in Commissione di questo punto di vista.

UGO CAVALLERA, Assessore all’ambiente della regione Piemonte. Non è facile sintetizzare l’articolata situazione delle varie regioni, tuttavia possiamo tentare di mettere in risalto alcune questioni che caratterizzano la problematica nelle varie aree del paese.

Innanzitutto occorre compiere una riflessione sull’evoluzione in atto della legislazione in materia nel nostro paese e quindi dobbiamo parlare del decreto legislativo n.22/97.

Piuttosto di dividersi fra coloro che apprezzano il provvedimento e coloro che pregiudizialmente si collocano in posizione contraria, dobbiamo tutti insieme cercare di individuare un percorso di attuazione, chiedendo la massima disponibilità, a coloro i quali hanno la responsabilità generale, di modificare eventualmente la normativa laddove ciò si renderà necessario a seguito della sperimentazione, dell’attuazione pratica e soprattutto delle varie istanze anche territoriali che possono mettere in luce situazioni diversificate.

Debbo subito premettere che le regioni non si collocano, in questa fase di discussione all’interno della Conferenza Stato-città-regioni e più in generale della conferenza unificata Stato-regioni-città-province e comunità montane, in una posizione di scardinamento del decreto legislativo n. 22/97.Come riconosceva il Ministro questa mattina, le osservazioni sono abbastanza contenute, tuttavia noi riteniamo che sia possibile, in attuazione della delega della legge n.59 cosiddetta Bassanini, stabilire se una funzione possa essere esercitata a livello regionale piuttosto che provinciale e comunale e viceversa.

L’Unione europa potrà forse in qualche modo censurare o formulare rilievi sulla impostazione del provvedimento. Ritengo che sia un fatto prettamente interno lo stabilire, in via generale, che certe autorizzazioni o certe funzioni siano svolte dal livello regionale o da quello provinciale. Penso che questo tipo di problema rilevi veramente poco sotto il profilo dell’Unione europea, per cui capisco la preoccupazione del Ministro di non creare ulteriori tensioni o ostacoli su un percorso già accidentato per natura. Come regioni, province, comuni e comunità montane abbiamo elaborato un testo che giovedì scorso abbiamo presentato al Governo. Su questo, proprio su alcune materia, tra cui la difesa del suolo, l’ambiente, l’energia, è previsto un tavolo di confronto convocato dal Governo per mercoledì prossimo nel quale è stata annunciata la presenza di ministri competenti, presumo i ministri Bassanini, Ronchi e Costa, quest’ultimo per quanto concerne la difesa del suolo.Veramente riteniamo che si debbano cogliere tutte le occasioni che sono date nel nostro ordinamento per portare avanti quella semplificazione procedurale che tutto sommato è necessaria.A questo proposito, secondo il punto di vista prevalente all’interno del fronte delle regioni, noi riteniamo che a fronte di uno Stato che ovviamente elabora la normativa, che predispone gli strumenti anche finanziari e gli incentivi — speriamo che le proposizioni di legge si traducano poi in effettivi provvedimenti — debba corrispondere una regione che ha il punto di forza della propria azione nel piano regionale di gestione dei rifiuti, prevedendo, a mio avviso, a livello generalizzato un conferimento alle province di tutti quelli che sono i compiti autorizzatori in materia ambientale.

Questa mattina in un intervento si è messo in risalto che generalmente alle regioni si formulano le dichiarazioni, mentre le province debbono fare i controlli in materia dei recuperi.Questo può creare problemi, ma ad esempio alcune regioni, compresa la regione Piemonte, hanno delegato questa funzione alle province ricomponendo queste funzioni. Ben venga l’autonomia, ben venga la ricchezza delle posizioni nel panorama regionale a livello nazionale, però se il legislatore nazionale volesse risolvere questo problema potrebbe farlo attraverso le regolamentazioni della legge Bassanini.

Anch’io rivolgo ai parlamentari un invito, vale a dire di non trascurare, bicameralina o non bicameralina, questa fase, perché, anche se i giorni sono contati, sappiamo che al 31 marzo scade la delega, si può cercare magari a tappe forzate di raggiungere qualche risultato positivo.

A me preme, in questo momento, mettere in risalto la posizione costruttiva delle regioni. Noi puntiamo in questa materia ad una leale collaborazione con i vari livelli di governo, locale, ma soprattutto con lo Stato, anche se sappiamo che la situazione è quella che è ben descritta nei rapporti della Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, alla quale abbiamo partecipato e che qui vorrei ricordare.

Voglio anche qui svolgere un’ulteriore riflessione.Nel nostro paese vi possono essere aree a velocità amministrativa accettabile e aree che stanno recuperando velocità, ma che sono più in ritardo. Usiamo a questo proposito tute le circonlocuzioni che vogliamo. Sta di fatto che riteniamo che occorre scommettere sulle autonomie locali ed è utile e neccessario scommettere sulle regioni, naturalmente creando un sistema che preveda l’esercizio dei poteri sostitutivi non come minaccia, ma come possibilità effettiva di intervento e di organizzazione dell’intervento, quindi della struttura di intervento, per sostituirsi laddove le regioni o gli enti locali siano inadempienti.Quindi, non fermiamo il convoglio, laddove ci si è organizzati, con appesantimenti eccessivi, altrimenti veramente si rischierebbe di tornare indietro, e cerchiamo di sostenere quelle realtà che richiedono maggiore attenzione. Di fatto un qualcosa del genere è già avvenuto, infatti in precedenza si parlava di commissariamento e di coinvolgimento di grandi enti tecnici nazionali in situazioni non solo di gestione dei programmi, ma anche di gestione effettiva degli impianti.

Questo è un caso straordinario, perché credo che un punto cardine della svolta debba assolutamente essere una nuova forma di collaborazione pubblico-privato. Ben vengano le normative e tutte le procedure di garanzia, ma non esageriamo, anche alla luce della modifica prevista dal punto di vista dell’appesantimento delle pene per coloro i quali tengono atteggiamenti pericolosi per l’ambiente. A mio avviso indirettamente, come conseguenza, occorre andare ad una semplificazione e quindi ad un superamento di quelle sanzioni che colpiscono comportamenti anomali meramente formali, dietro i quali si possono annidare anche situazioni pericolose. Credo che occorra acquisire la capacità di intervenire in modo selettivo, senza mettere delle camicie di forza al sistema, altrimenti un eccesso di normativa rischia di raggiungere l’effetto opposto. Per certi versi lo ha sostenuto anche il ministro questa mattina e io soo perfettamente d’accordo con lui da questo punto di vista. Una questione importante per l’attuazione di una politica di prevenzione ambientale e di gestione di una corretta politica ambientale nel nostro paese è quella della costituzione su tutto il territorio delle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente.

Non credo che ci sia una volontà contraria da parte degli amministratori di qualche regione o di qualche area geo-politica. Ci troviamo di fronte a grandi difficoltà e resistenze, che sono tutte interne probabilmente agli apparati regionali, soprattuto quelli di derivazione sanitaria. Sappiamo che la costituzione dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente avviene per gemmazione di quel mondo dei controlli ambientali, che oggi fa capo ai presidi multizonali della prevenzione. Nelle regioni in cui si sono costituite, con spirito pioneristico, le agenzie in questione, si è indicata ovviamente come prima fonte di finanziamento una quota del fondo sanitario nazionale, ossia una parte di quella quota che era assegnata per la prevenzione in senso lato, vale a dire la prevenzione sanitaria e ambientale.Non è facile stabilire il confine: in termini statistici e di parametri già in altra occasione, in un’audizione alla Conferenza Stato-regioni, il Piemonte e l’Emilia-Romagna avevano indicato una quota accettabile dei fondi sanitari regionali dell’ordine dall’1,5 al 2 per cento, a cui si debbono aggiungere i fondi integrativi messi a disposizione dalle regioni al fine di far decollare, anche nel senso della qualità e dell’incisività, l’intervento dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente.

In una situazione nella quale si parla di sottostime di fondo sanitario e di disavanzo, è difficile arrivare a questo, si rischia di far scatenare una guerra tra poveri. Occorre arrivare ad indicare questa quota in termini legislativi, come abbiamo auspicato invano nella finanziaria 1997 e nella finanziaria 1998. Raccomando alla Commissione, al suo Presidente e ai componenti di verificare se non sia possibile arrivare a questa enucleazione e indicare questa quota del fondo sanitaro da destinare alla prevenzione ambientale, che è quella che sorregge tutta l’organizzazione dei laboratori di sanità pubblica (mi riferisco alla quota parte dei servizi di igiene pubblica, che sono dedicati ad attività ambientale), diversamente, non arriveremo mai a definire un quadro che consenta di avanzare a tutti coloro che nelle varie regioni sono sensibili a queste problematiche. È un coacervo di forze interne alle amministrazioni, forze politiche di vario orientamento, che attendono un chiarimento di questo genere per andare avanti. Qui si rischia di rasentare l’insensibilità. Non è possibile, non possiamo più accontentarci di richiamare nei vari convegni che non sono state istituite le agenzie regionali per la protezione dell’ambiente.Andiamo a fondo delle ragioni per le quali questo è avvenuto, si creino le condizioni, chi ha il potere legislativo complessivo prenda i provvedimenti del caso: o aboliamo queste agenzie dove sono state costituite — dico questo per assurdo — oppure andiamo a costituirle laddove mancano. Non è possibile avere una situazione frammentata. Una situazione come quella attuale non consente al legislatore né di attribuire né di attendersi compiti o interventi omogenei su tutto il territorio.

Questo è un appello. La questione si potrebbe risolvere con un articolo, nel quale si stabilisca che una quota del fondo sia destinata a quel fine, in questo modo non ci saranno più alibi per nessuno. Molti fra coloro che non hanno attuato le Agenzie si giustificano infatti con queste difficoltà. È una materia complessa, conosciamo le diatribe fra il centro e la periferia sui fondi sanitari, però occorre convivere con queste difficoltà.

MASSIMO SCALIA, Presidente della Commissione. Assessore, mi permetta una interruzione. Siccome faccio parte anche della Commissione bilancio, le dico che una proposta del genere, sulla scorta di quello che era stato indicato dalle regioni, ha trovato una resistenza molto forte da parte del Ministero della sanità. Avevamo proposto in Commissione bilancio durante la discussione della legge finanziaria che una quota del fondo sanitario fosse destinata alla funzionalità delle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente e a rendere operative le stesse agenzie. Debbo dire che non c’è stata molta comprensione.

UGO CAVALLERA, Assessore all’ambiente della regione Piemonte. Vorrei rivolgere una domanda al Ministro della sanità: nelle regioni in cui non sono state istituite le agenzie in questione, le funzioni di controllo ambientale sono svolte dalle sezioni delle ASL che sono dedicate ai controlli ambientali. Non è che non facciano nulla, faranno anche poco, ma ci sono delle sezioni dei laboratori di sanità pubblica e dei servizi di igiene pubblica. Si tratta soltanto di andare a dividere un’attività da un’altra. Il Presidente conosce benissimo il problema, che sottolineo, rivolgendo un appello di carattere generale a tutti coloro i quali hanno orecchie per intendere, nel senso che, fintanto che non si arriva a portare il problema al Consiglio dei ministri, all’attenzione più generale, stiamo facendo un danno, perché rischiamo che in modo strisciante la sanità, visto che la prospettiva è comunque quella di passare la palla ad altri, non faccia più niente e faccia decadere un settore che lascia molto a desiderare, che è stato oggetto di referendum e sul quale i cittadini si sono espressi. La situazione è sufficientemente nota.

Allo stesso modo ritengo che sia importante aver ascoltato dal presidente dell’ANPA la volontà di rilanciare un ruolo di supporto tecnico per tutte le autorità, ad iniziare ovviamente dal Governo, dell’ANPA stessa per elaborare le normative tecniche.Credo che sia un fatto positivo, poiché si annunciano tempi brevi e quindi può darsi che questo porti a risolvere problemi sui quali discutiamo ogni giorno.

Un’altra sottolineatura importante è quella rivolta alla ecotassa.Sappiano che uno strumento importante per orientare i comportamenti è quello di penalizzare ciò che è pesante per l’ambiente e di favorire invece un comportamento che sia invece ambientalmente accettabile. L’ecotassa è stata un mezzo bluff, nel senso che è stata introdotta nel nostro ordinamento, ma l’ottanta per cento di essa è stata assegnata in sostituzione di trasferimenti ai bilanci regionali. Anche in questo caso dobbiamo giocare a carte scoperte. Ritengo che occorra tornare sulla ecotassa, che è l’unico strumento reale da consegnare al sistema locale. Mi riferisco non solo alle regioni, ma anche ai comuni, alle province e alle comunità montane, quindi a tutti gli organismi che operano per organizzare il sistema integrato di smaltimento dei rifiuti. Come prospettiva, come richiesta e come sensibilizzazione, vista l’occasione importante che ci è offerta dalla Commissione oggi, occorre cercare, in questa seconda fase di attuazione del decreto legislativo n.22 e più in generale delle direttive comunitarie, di costituire un tavolo unico per elaborare i provvedimenti.Siamo rimasti spaventati dai racconti del ministro. A furia di concerti, contro concerti, passaggi avanti ed indietro, con l’Unione europea in mezzo con novanta giorni, passano gli anni. Se uno si mette a fare un po’ di conti, alla fine con la Corte dei conti, con il Consiglio di Stato, che interviene nella funzione regolamentare, viene una somma di passaggi che sono inaccettabili per una società industrializzata come la nostra e che attende, come è ovvio, risposte tempestive.

Visto che alcuni passaggi non si possono azzerare, come il controllo della Corte dei conti e i novanta giorni dell’Unione europea, cerchiamo di mettere in parallelo tutti i concerti e i confronti che dobiamo svolgere tra di noi.

Ribadisco in questa sede un concetto che, peraltro, il dottor Pernice conosce benissimo. Abbiamo infatti collaborato in tutte le fasi efficacemente ed a volte in modo non ufficiale con il Ministero per cercare di portare un contributo dal livello locale, che è importante. Al livello locale a volte si possono imputare ritardi, tuttavia non dimentichiamo che esso è in prima linea e quindi si conoscono le esigenze e le situazioni e si può dare qualche indicazione in ordine a quella semplificazione e a quella duttilità che è necessaria in una materia come questa.

L’orientamento delle regioni è innanzitutto di applicare in modo tempestivo ed efficace il decreto legislativo. È chiaro che se ci vuole del tempo per elaborare i provvedimenti ed avere un quadro nazionale, allo stesso modo non si pretenda in ventiquattro ore la presentazione e l’aggiornamento dei piani regionali di gestione di rifiuti. Qualche regione — in particolare la nostra — aveva già in corso una elaborazione, quando è stato emanato il decreto legislativo n.22, quindi ha fatto presto ad adattarla, il nostro nuovo piano è pertanto già adeguato a tale decreto e alle direttive comunitarie, tuttavia è chiaro che tante altre regioni lo stanno elaborando.Anche in questo caso un conto è elaborare un piano come parto della fantasia degli organi regionali, altra cosa è coinvolgere il mondo scientifico, quello imprenditoriale, quello degli enti locali ed effettuare dei confronti preventivi, in modo tale che il piano di gestione dei rifiuti sia il più possibile accettato.Le regioni stanno operando in questo senso, vorrei dare assicurazioni al riguardo. In questi ultimi giorni si sono susseguite dichiarazioni e contro-dichiarazioni: è giusto pungolare e tirare le orecchie, se del caso, ma è anche giusto ed utile rendersi conto di quale sia lo stato dell’arte.

Si punta quindi ad un sistema integrato di gestione dei rifiuti, che veda ovviamente la discarica come ultimo anello della catena, quindi condividiamo perfettamente e riteniamo applicabile, in un quadro anche di maggiore impegno a livello nazionale, il disegno del decreto legislativo n.22, la raccolta differenziata, il recupero, la valorizzazione del rifiuto come materia ed anche la termodistruzione, però cogliamo l’occasione per lanciare un appello: intorno a questa impostazione occorre creare un consenso.Ovviamente la creazione di questo consenso spetta a tutti, in proporzione al livello e al titolo di rappresentanza, e maggiore è il beneficio nel momento in cui vengono indicazioni concomitanti in una certa direzione.

Credo che le regioni, le province e i comuni, che interverranno successivamente, condividano largamente questa impostazione. Troppe volte si è contrapposta una fase del ciclo integrato dei rifiuti ad un’altra. Ritengo che si possano fissare obiettivi di raccolta differenziata superiori al 35 per cento ad una certa data. Ad esempio, la regione Piemonte ha fissato per il 2001 il 30 anziché il 25 per cento, ma non è questo il problema.È più facile, anche se è difficilissimo, perché occorre cambiare le abitudini, superare la cassonettizzazione, una certa concezione deteriore e stravolgente del ciclo dei rifiuti, per cui uno apre un cassonetto, butta tutto dentro e non si pone problemi. Occorre convincersi e convincere che è necessario puntare a tutte quelle fasi del ciclo, che per essere realizzate richiedono tempi più lunghi. Per esempio, ai fini della termodistruzione, del recupero energetico del rifiuto, che è importantissimo anche per una nazione come la nostra, che non ha materie prime e che quindi può ridurre anche le importazioni. È chiaro che ci si può scegliere il partner, si può puntare ad impianti dedicati, ci si può rivolgere ai grandi enti energetici o a società energetiche che danno disponibilità utili in proposito, però, però bisogna partire per tempo con le localizzazioni perché sappiamo che i tempi sono di quattro, cinque o sei anni. Troppe volte ci sono contrapposizioni ideologiche fuorvianti, per cui prima facciamo tutto sulla raccolta differenziata, poi semmai vedremo se fare il recupero energetico, quasi illudendosi che si possa superare quella importante previsione del decreto legislativo n.22, rappresentata dalla termo-valorizzazione del rifiuto, naturalmente un rifiuto trattato e selezionato, dedicato e idoneo ad essere incenerito.

Penso che sotto questo profilo dovremo batterci. Molte regioni hanno impostato l’attuazione dei piani attraverso articolazioni provinciali. Lo stesso succede nella nostra regione, il Piemonte, dove cerchiamo di sintonizzare le province e gli enti locali in questa direzione. Gli enti locali, i comuni o le comunità montane oppure i comuni associati secondo tutte le forme di consorzio previste dalla legge n.142 possono e debbono svolgere una funzione di governo dei servizi di base, vale a dire la raccolta, la prima selezione, le stazioni di conferimento, le stazioni di valorizzazione del rifiuto.

In particolare il sistema integrato di gestione dei rifiuti urbani si basa su conferimenti separati e raccolte differenziate, strutture di servizio a supporto della raccolta differenziata e del recupero, recupero dei rifiuti derivanti dalle raccolte differenziate e dai conferimenti separati, impianti tecnologici di preselezione e trattamento, smaltimento in discarica della parte residuale proveniente dai trattamenti e dalle raccolte differenziate. I conferimenti separati e le raccolte differenziate hanno lo scopo di recuperare ciò che ha un valore di mercato energetico e di differenziare e smaltire separatamente i rifiuti che hanno un elevato carico inquinante e che creano problemi per l’ambiente.

Queste strutturazioni devono essere attuate all’interno degli ambiti territoriali ottimali, che io credo possiamo benissimo individuare nelle province, salvo casi particolari, prevedendo delle aree di raccolta.Non è detto che tutti questi servizi di base possano avere una dimensioni di livello provinciale, bisogna andare anche a valutare quelle che sono le varie realtà locali. In Piemonte ci sono 1209 comuni, in Lombardia ce ne sono 1500-1600, considerando 8000 i comuni italiani, mi sembra ovvio che in alcune zone sia opportuno l’associazionismo. In altre realtà, ovviamente aree metropolitane, l’approccio è diverso. Un conto è organizzare la raccolta differenziata nella zona metropolitana, altro è farlo nelle zone decentrate, quindi occorre un progettazione differenziata, facendo l’abito su misura, cercando anche di investire. Credo che se noi riuscissimo a liberalizzare meglio le risorse dell’eco-tassa, si potrebbe instaurare un circuito virtuoso, nel senso di cercare di riservare l’eco-tassa per sostenere il ciclo ottimale dei rifiuti e magari per finanziare le ARPA. Occorrerebbe fare in modo che poi ci sia l’obbligo di reinvestire per sostenere i comuni che magari sono in grosse difficoltà, perché devono provvedere a smaltire in regime di emergenza con costi eccezionali e non hanno le risorse, pena gravare troppo sulle tasche del contribuente, per investire su questi impianti di base che garantiscono l’innesco di un ciclo di rifiuti accettabili.

Credo che tutto sommato l’iniziativa di oggi, ad un anno dal decreto legislativo n. 22/97, consenta di fare il punto di una situazione nella quale le regioni sono fortemente impegnate per assolvere il proprio ruolo, naturalmente con luci ed ombre, ma se si raggiungessero delle sinergie anziché scaricare le patate bollenti fra i vari livelli di Governo, si otterrebbero sicuramente risultati positivi. Con questo spirito andremo al confronto di dopodomani sulla legge Bassanini, sperando di raggiungere una convergenza.

GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Ringrazio il rappresentante della Conferenza Stato-regioni Cavallera e do la parola al dottor Claudio Roveda, presidente dell’AMSA di Milano.

CLAUDIO ROVEDA, Presidente dell’AMSA di Milano. Porto il saluto del sindaco di Milano, Gabriele Albertini, che non è potuto essere presente per motivi legati al funzionamento del consiglio comunale e che mi ha delegato, in quanto appunto presidente dell’AMSA, a portare soprattutto l’esperienza che la città di Milano ha già realizzato nell’attuazione del decreto legislativo n. 22/97, addirittura con un’esperienza che in qualche modo ha precorso i principi ispiratori e le direttive del decreto stesso. È opportuno ricordare che dal 1995, a seguito anche dell’emergenza dei rifiuti che ha colpito drammaticamente la città di Milano, venne elaborata una strategia per l’evoluzione del sistema di raccolta e trattamento dei rifiuti stessi, in qualche modo innovativo rispetto alla prassi consolidata nel tempo. Modello che in qualche modo faceva fondamento su tre elementi portanti: l’introduzione ed il potenziamento della raccolta differenziata con particolare attenzione alle componenti suscettibili di riciclo; la realizzazione di impianti a tecnologia complessa in grado di assicurare delle autonome fonti di smaltimento dei rifiuti; una minimizzazione dell’impatto ambientale e una focalizzazione sull’economicità, l’efficienza e l’affidabilità del sistema stesso.

È opportuno mettere in evidenza quanto realizzato e le prospettive evolutive, che si stanno elaborando. Nel 1995 vennero esaminate le possibili strategie alternative con cui realizzare la raccolta differenziata, non esistendo un unico modello considerando le caratteristiche di una città come Milano. Venne privilegiata la soluzione di un sistema del tipo "porta a porta", basato su una raccolta a carattere condominiale, con diversi contenitori differenziati, avente come scopo l’eliminazione progressiva del sistema di raccolta di tipo stradale. Fu la scelta che venne fatta e parzialmente implementata. Il sistema si è completato con la realizzazione, nell’area territoriale della città, di cinque riciclerie, cioè aree attrezzate custodite in cui materiali o componenti riciclabili o dannosi provenienti da piccoli canali autonomi di raccolta, come i commercianti e le piccole imprese, potessero essere conferiti, cercando in qualche modo di evitare il fenomeno delle discariche abusive. Rispetto a questo modello di carattere generale, quali sono i dati che lo hanno caratterizzato? Nel 1994 i rifiuti raccolti in maniera differenziata rappresentavano circa l’8 per cento dei rifiuti provenienti dai servizi di raccolta. Nel 1995, anche in seguito all’ordinanza del sindaco che rendeva obbligatoria la raccolta differenziata e ai primi interventi posti in essere dall’AMSA per rendere possibile il processo, tale percentuale salì al 12 per cento. Nel 1996, essendosi messo in moto il sistema di raccolta AMSA, questa percentuale salì al 30 per cento. L’anno successivo ha visto ancora un innalzamento della percentuale. Tutto ciò rende plausibile il conseguimento di tutti i vincoli di prestazione previsti dal decreto Ronchi. Questi sono gli aspetti positivi del processo, ma ci sono anche quelli negativi legati innanzitutto all’incremento dei costi della raccolta. Questi ultimi sono sensibilmente incrementanti rispetto al modello di raccolta indifferenziata, sostanzialmente per delle inadeguatezze sul piano tecnologico, organizzativo e gestionale, che hanno caratterizzato la prima fase di implementazione del processo e che sono imputabili alla rapidità con cui il processo in questione è stato introdotto e sviluppato, il che non ha consentito di graduare lo sviluppo della macchina tecnologica a supporto. Di conseguenza è scaturito un impiego di apparecchiature e risorse umane, che ha fatto lievitare il costo di raccolta per unità di prodotto.

Un secondo aspetto non ancora completamente soddisfacente riguarda il livello di qualità delle componenti riciclabili che vengono raccolte. Anche qui siamo in presenza della necessità di un processo di apprendimento da parte dei cittadini riguardo a quelle che sono le corrette modalità di gestione domestica dei rifiuti in relazione alle esigenze della raccolta differenziata. AMSA e comune di Milano hanno posto in essere campagne di sensibilizzazione ed informazione, che sono lungi dall’aver raggiunto i risultati auspicati. L’impegno da parte dell’AMSA è di rafforzare l’informazione e la sensibilizzazione a partire soprattutto dai giovani che frequentano le scuole della città di Milano. Il risultato degli aspetti positivi e negativi del processo di raccolta differenziata è che comunque il bilancio economico è negativo. La lievitazione dei costi di raccolta non è stata compensata dall’incremento corrispondente dei ricavi dovuti all’utilizzo delle frazioni ricilabili. Basta ricordare che il ricavo proveniente all’AMSA dalla vendita dei prodotti derivanti dalla raccolta differenziata è passato dal miliardo, del 1994, a 5,4 miliardi del 1996. In termini percentuali sono sicuramente dei dati significativi, ma sono i valori assoluti che ancora indicano la necessità di interventi di miglioramento e di arricchimento. Mi rendo conto che i costi di raccolta e smaltimento dell’AMSA, esclusi quelli del personale, sono di 150-170 miliardi l’anno. Con quelli del personale si oltrepassano i 200 miliardi.

Il sistema tecnologico dell’AMSA, oggi, si configura con alcuni impianti sia nella linea della termodistruzione, sia in quella della produzione di compost, per quanto riguarda gli impianti propri. All’esterno vi sono alcuni impianti di terzi, ai quali AMSA fa riferimento soprattutto per le attività di smaltimento delle frazioni organiche, più un impianto di preselezione e trattamento del rifiuto differenziato di proprietà del consorzio "Milano pulita" localizzato nell’area ex-Maserati. Sono impianti concepiti nella logica di superamento dell’emergenza di connessione della situazione di partenza con la situazione a regime del sistema industriale, che AMSA e comune di Milano stanno prefigurando e che quindi hanno la funzione di risolvere i vincoli di capacità di trattamento nel sistema esterno dei rifiuti che hanno condizionato l’AMSA, determinando la famosa emergenza rifiuti. Gli impianti di cui l’AMSA dispone oggi, sono due di termodistruzione associati alla produzione di energia elettrica e che sono di lunga data anche se recentemente rimodernati per renderli compatibili ai vincoli ambientali. Nel 1996 hanno consentito di trattare circa 200 mila tonnellate di rifiuti e hanno una capacità di produzione di energia termica di 18 megawatt di potenza. Gran parte dell’energia elettrica — il 65 per cento — viene ceduta dall’AMSA all’Azienda energetica milanese e la parte rimanente viene utilizzata per il funzionamento degli impianti stessi. Di più recente realizzazione è l’impianto di produzione di compost situato a Muggiano, che viene alimentato con le frazioni organiche provenienti dai magazzini generali in prospettiva anche dell’umido proveniente dalla raccolta domestica e dai prodotti della gestione dei parchi. Si tratta di un impianto ancora in esercizio provvisorio, in cui esistono ancora problemi di messa a punto e funzionalità, ma che a pieno regime dovrà portare ad un trattamento di 43 mila tonnellate annue di rifiuti e alla produzione di circa 12,5 mila tonnellate di compost di buona qualità, di cui è prevedibile di vendita sul mercato come fertilizzante. Questo è grosso modo la situazione attuale degli impianti e della raccolta differenziata.

Quali sono le prospettive su cui ci si sta muovendo? Recentemente è stato definito il piano strategico a medio termine dell’AMSA all’interno del quale esistono alcune finalità che hanno impatto con i requisiti del decreto legislativo n. 22/97. Per prima cosa si deve recuperare l’efficienza del processo di raccolta differenziata agendo sia sul versante dei costi, sia su quello dei ricavi. Il secondo obiettivo è quello di conseguire una completa autonomia di smaltimento agendo opportunamente sugli impianti di trattamento in maniera di rendere il sistema industriale dell’AMSA largamente autosufficiente nei confronti di operatori terzi. Per quanto riguarda la raccolta differenziata è stata studiata e si sta implementando una profonda ristrutturazione delle modalità del sistema di raccolta soprattutto sul piano degli strumenti tecnologici utilizzati, cioè attraverso l’introduzione di automezzi a doppio scomparto in maniera da consentire la raccolta concomitante della frazione organica, della frazione indifferenziata, della frazione carta e di quella del vetro, ottenendo una riduzione dell’impiego di automezzi e manodopera e del costo di lavoro per unità di prodotto trattato. Tale operazione ha comportato significativi investimenti del capitale fisso per il rinnovamento del parco automezzi. Ci si aspetta però ricadute sul piano della produttività del lavoro e di conseguenza sul costo totale di raccolta. Associata al sistema di raccolta con gli automezzi a doppio scomparto è la ristrutturazione del sistema di cassonettatura nella città, con l’introduzione di cassonetti a doppio scomparto dotati di un sistema di lettura di tipo informatizzato che consente la rilevazione e l’immagazzinamento dei dati utente e le frequenze di raccolta, costituendo uno strumento base per attivare un sistema di tariffazione della raccolta dei rifiuti in analogia al passaggio dalla tassa a tariffa. È quindi uno strumento informativo conoscitivo, che viene messo a disposizione.

Allo stesso tempo si è ritenuto necessario intervenire su quelle che sono le altre frazioni presenti nel sistema dei rifiuti della città di Milano per valorizzare al meglio, con redditività, quelle frazioni suscettibili di riciclo. Si sta avviando un progetto per la raccolta degli imballaggi di cartone provenienti dagli esercizi commerciali di piccole dimensioni, attivando un sistema di raccolta privilegiato per questo tipo di prodotto, che verrà avviato — si tratta di una collaborazione con importanti operatori industriali — per la produzione di carta, in maniera da assicurare una catena di valore dal sistema della raccolta a quello del riciclo. È un’operazione che vede la collaborazione dell’AMSA, di questi operatori industriali e le associazioni dei commercianti. Attualmente si sta conducendo uno studio di fattibilità tecnico-economica e organizzativa per verificare i costi dell’operazione e le variabili critiche su cui intervenire, in maniera da assicurare l’effettiva creazione di valore nel processo di riutilizzo dei rifiuti.

Sempre nell’estensione dell’ambito del processo di raccolta differenziata si sta realizzando — sempre in collaborazione con un grande operatore industriale — un sistema per lo smaltimento, tramite riciclo, degli elettrodomestici, in prima istanza gli elettrodomestici bianchi, poi gli altri tipi, fino ad includere i prodotti informatici come i computer. Si tratta di un’operazione industriale di un certo respiro. Si sta anche predefinendo un’ipotesi di costituire una struttura dedicata, sia sul piano tecnico-scientifico, sia su quello operativo, alla bonifica dei siti industriali dismessi. Anche in questo caso si tratta di una collaborazione tra AMSA e politecnico di Milano, per le componenti tecnico-scientifiche, e con importanti operatori industriali nel campo dei servizi, per le componenti operative. È questa la filosofia che AMSA sta seguendo nel diversificare ed estendere le proprie attività nel campo del trattamento dei rifiuti : collaborare con dei partner specializzati e qualificati in maniera da realizzare delle sinergie sul piano del know-how, delle capacità operative e delle tecnologie, nel rispetto di quelli che sono i requisiti di rispetto dell’ambiente e di qualità del servizio di cui in prima istanza si fa garante l’AMSA nei confronti di Milano e della sua comunità.

Sul piano degli impianti di trattamento la linea che stiamo seguendo è quella della realizzazione di un nuovo impianto di preselezione e termodistruzione avente una capacità di trattamento di 1200 tonnellate giornaliere e di 900 tonnellate per quanto riguarda l’incenerimento. È un impianto moderno concepito utilizzando tecnologie all’avanguardia soprattutto nel rispetto dei parametri di impatto ambientale oltreché di affidabilità ed economicità della gestione. Si sta aprendo il cantiere per la realizzazione dei lavori, sperando che terminino per la fine del duemila. Contestualmente, consentirà di trattare una frazione rilevante dei rifiuti riguardanti la città di Milano. Si sta, allo stesso tempo, studiando la realizzazione di un altro impianto di produzione di compost in maniera da completare l’autonomia della città di Milano. Si sta avviando lo studio di fattibilità per la realizzazione di un impianto di CDR in vista anche dell’utilizzo di ulteriori impianti per la combustione del CDR stesso in maniera da completare con forme differenziate il sistema a valle della raccolta. Anche in questi casi le forme con cui sta pensando di operare AMSA sono quelle delle partnership sia sul piano finanziario, sia su quello operativo, in maniera da assicurare un’elevata efficienza ed economicità di gestione. Tutte le iniziative sono precedute da studi accurati sul piano economico-finanziario ed organizzativo-gestionale perché ne risulti con chiarezza la convenienza economica per la città di Milano e la realizzabilità sul piano operativa, ma soprattutto l’individuazione delle variabili critiche, che consentano di assicurare il successo alle iniziative e quindi un’adeguata programmazione. Fortunatamente i tempi dell’emergenza sono alle nostre spalle, quindi possiamo guardare agli sviluppi del sistema AMSA non sotto l’incubo delle montagne di rifiuti, ma con una prospettiva evolutiva in cui possiamo operare al meglio.

GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Ora, anche per un utile confronto tra un’importante realtà italiana come quella di Milano e una diversa realtà non italiana, do la parola all’avvocato Richard Martin, della municipalità di New York.

RICHARD MARTIN, Rappresentante della municipalità di New York. Per me è un grande onore essere presente qui oggi ad affrontare un argomento così importante a livello mondiale. Pur avendo leggi ed esperienze diverse, abbiamo un obbligo comune, proteggere l’ambiente in cui viviamo e da cui dipendiamo in maniera razionale ed efficace. In passato l’Italia e gli Stati Uniti hanno condiviso esperienze e collaborato nella lotta contro problemi simili che affliggono entrambi i nostri Paesi. Come molti di voi sanno, l’anno scorso abbiamo organizzato un convegno presso la New York University per discutere questi stessi argomenti. Desidero pertanto ringraziare gli organizzatori di questo convegno per avermi invitato a parlare dell’esperienza della città di New York, che ha dovuto affrontare non solo il complesso problema dei controlli ambientali, ma anche l’influenza che la criminalità organizzata esercita da molto tempo nel sistema dello smaltimento dei rifiuti. Mi auguro che l’esperienza di New York possa risultare istruttiva per tutti noi qui presenti. È stato interessante seguire i discorsi e ascoltare che anche qui c’è attenzione da parte dell’autorità nazionale e di quelle regionali e locali. Sarà interessante — per me — sentire come saranno risolti i problemi di applicazione del potere e risorse. Negli Stati Uniti, dove abbiamo quasi venti anni di esperienza sulle leggi ambientali, ho visto che il problema dell’equilibrio tra il potere nazionale e locale deve essere rivisto, in quanto le leggi vengono modificate man mano che si impara come dedicare meglio le risorse ai problemi attuali.

Negli anni ’70 e ’80, negli Stati Uniti, sono state promulgate una serie di leggi per la tutela di aria, acqua e suolo. Nello stesso periodo l’EPA — Agenzia federale per la protezione ambiente — ha ricevuto ampi poteri per la creazione di un sistema di controlli in campo ambientale e per la verifica del rispetto delle normative. L’EPA dispone ora di un capillare sistema di ispezione ed ha il potere di applicare ammende e confische per importi notevolmente elevati, in modo da scoraggiare la violazione della normativa e/o sostenere il costo della bonifica resa necessaria dalla violazione di norme ambientali. L’EPA ha inoltre il potere di trasmettere al Dipartimento della giustizia le violazioni della legge ambientale passibili di sanzione penale, per l’azione giudiziaria.

Nel corso degli anni ’90 il Dipartimento di giustizia ha trasformato l’unità per i reati contro l’ambiente in sezione, elevandone lo status e ampliandone significativamente la struttura.

Per capire fino in fondo la posizione della città di New York è importante descrivere il quadro legislativo federale che si applica a tutti gli Stati e alle municipalità degli Stati Uniti. Mi soffermerò, quindi, sui tre principali temi affrontati dalla legislazione ambientale: suolo, aria e acqua.

Iniziamo dal suolo. Per far fronte al crescente numero di discariche abbandonate e rifiuti pericolosi presenti in tutto il paese, nel 1980 il Congresso ha promulgato il Comprehensive environmental response, compensation and liability act — legge nota come CERCLA — avente come scopo principale la creazione di un super-fondo finalizzato al finanziamento degli interventi di bonifica delle discariche di rifiuti pericolosi. Ai sensi della legge in questione chi causa dispersione potenziale o effettiva di una sostanza pericolosa nel suolo deve immediatamente informare l’EPA, altrimenti è soggetto ad un’ammenda o ad un’azione giudiziaria. Chi invece nell’effettuazione di detta comunicazione fornisce informazioni false o fuorvianti è passibile di sanzioni penali. L’EPA può inoltre imporre a chi ha effettuato la comunicazione citata di tenere la documentazione relativa alle sostanze disperse e può chiedere in qualunque momento di esaminare tali documenti.

In caso di dispersione di sostanze pericolose, tale da costituire una minaccia immediata per la salute e la sicurezza delle persone, il presidente e l’Attorney General dispongono di ampi poteri per organizzare la rimozione, la confisca e/o la bonifica del sito nei modi ritenuti più idonei. Queste discariche diventano oggetto degli interventi di bonifica tramite il "superfund" citato in precedenza. Una volta individuate, tali discariche vengono inserite in un elenco di priorità sulla base, tra l’altro, del livello di tossicità e dei rischi per la salute. Ai sensi della CERCLA, l’EPA ha il potere di stabilire le priorità, di ordinare l’effettuazione degli interventi di bonifica per i siti rientranti nel superfund e di obbligare i responsabili a rimborsare le spese sostenute per le operazioni di bonifica, che spesso si rivelano estremamente elevate.

La responsabilità ai sensi della CERCLA scatta al momento della dispersione o della minaccia di dispersione di sostanze particolarmente tossiche. Le parti potenzialmente responsabili sono: a) i proprietari o gestori dell’impianto nel momento in cui si è verificata la dispersione; b) i precedenti proprietari o gestori dell’impianto; c) i trasportatori di materiali pericolosi smaltiti nella discarica contaminata. Queste categorie sono ritenute direttamente responsabili di tutti i costi sostenuti dalle autorità per la bonifica del sito, con pochissime possibilità di difesa. In realtà la responsabilità relativa ai costi degli interventi di bonifica è stata estesa a chiunque altro, singolo o organizzazione, abbia avuto anche una minima responsabilità in relazione ad una discarica rientrante nel superfund, tra cui banche ed assicurazioni, e da chiunque altro abbia partecipato alle attività della società proprietaria della discarica o sia stato nel consiglio di amministrazione della società stessa.

Un’altra importante legge ambientale federale a tutela del suolo è il Resource Conservation and Recovery Act (RCRA) (42 U.S.C.§6901 e seguenti). L’obiettivo di questa legge è quello di sovraintendere alla gestione dei rifiuti solidi pericolosi e di evitare in futuro condizioni di pericolo derivanti dallo smaltimento di tali rifiuti. Tramite l’Ufficio rifiuti solidi, l’EPA definisce le linee guida per un’efficace gestione dei rifiuti, come l’etichettatura e la registrazione delle caratteristiche dei rifiuti pericolosi; inoltre stabilisce la necessità, per le nuove discariche, di richiedere una autorizzazione federale. L’EPA e le relative sottoagenzie possono avviare indagini penali e trasmettere il caso all’Attorney General per l’azione giudiziaria. Per esempio, chi viola consapevolmente le prescrizioni di questa legge in relazione alla registrazione delle caratteristiche dei rifiuti e all’autorizzazione, o chi trasporta rifiuti pericolosi in un impianto non autorizzato, può essere punito con un’ammenda fino a 50.000 dollari al giorno e con il carcere fino a due anni. Chi crea una situazione di pericolo imminente per le persone in seguito ad una violazione di questa legge può essere punito con una ammenda di 250 mila dollari e con quindici anni di carcere.

Per quanto riguarda la protezione dell’aria, la legge federale più importante in materia di inquinamento atmosferico è il Clean Air Act (48 U.S.C.§7401 e seguenti). L’obiettivo di questa legge è quello di stabilire uno standard di qualità dell’aria a livello nazionale. Con la collaborazione degli Stati e delle autorità locali, l’EPA accerta quali Stati non osservino tale standard. In base allo standard di qualità dell’aria accertato, lo Stato in questione è tenuto ad attuare dei programmi (i cosiddetti " Programmi di attuazione dello Stato") volti a limitare le fonti di emissioni nocive nell’atmosfera, già esistenti e nuove, e a effettuare controlli.

Questa legge, che contiene anche un elenco di sostanze considerate inquinanti e nocive e attribuisce all’EPA il potere di definire dei valori limite in relazione a tali sostanze, aventi come obiettivo la massima riduzione delle relative emissioni. Le industrie che emettono sostanze inquinanti comprese nel predetto elenco devono richiedere l’autorizzazione all’EPA: tale autorizzazione stabilisce quali siano i valori massimi accettabili.

L’EPA può imporre alle società e alle persone fisiche il rispetto di quanto previsto dai programmi o, in caso contrario, la necessità di ottenere un’autorizzazione: può inoltre imporre ammende di 25 mila dollari al giorno in caso di violazione di quanto previsto dai programmi o dalla autorizzazione. Il Clean Air Act prevede inoltre una responsabilità di tipo penale per la violazione consapevole di gran parte delle disposizioni della legge stessa. Ai sensi di un emendamento del 1990, tutte le violazioni passibili di sanzioni penali (ad eccezione della creazione non intenzionale di una situazione di pericolo) sono considerate reati gravi.

La legge ambientale più importante in materia di qualità dei "corsi d’acqua navigabili" del paese è invece il Clean Water Act. Questa legge consente all’EPA di stabilire dei limiti per i punti di scarico di liquidi inquinanti, prevedendo l’impiego della migliore tecnologia di controllo utilizzabile. In base a questa legge, gli Stati sono liberi di definire e di effettuare un loro programma per la qualità dell’acqua. In mancanza di tale programma, l’EPA ne attua uno proprio. L’Agenzia per la protezione dell’ambiente definisce, in base alla tecnologia disponibile, gli "standard di prestazione" per le nuove fonti di emissioni, quali fabbriche, stabilimenti ed altre strutture industriali e agricole. I singoli Stati hanno l’autorità di applicare gli standard di prestazione stabiliti a livello nazionale, la cui violazione costituisce reato, spesso passibile di sanzioni penali.

L’EPA può rilasciare l’autorizzazione per determinati scarichi a condizione che il richiedente rispetti gli standard di prestazione nazionali (utilizzando la migliore tecnologia e i metodi più accettabili). Gli Stati possono inoltre presentare richiesta all’EPA affinché quest’ultima approvi l’attuazione del programma da loro predisposto per il rilascio delle autorizzazioni.

Quando gli Stati vengono informati dall’EPA che vi è stata una violazione del Clean Water Act, sono tenuti a diffidare i responsabili dell’inquinamento. Qualora uno Stato non vi provveda tempestivamente, è l’EPA stessa ad applicare la normativa. Il Clean Water Act contiene disposizioni penali che prevedono l’applicazione di pene per reati minori e ammende fino a 25 mila dollari per violazioni relative alle autorizzazioni di altre disposizioni di legge.

Ai sensi del Water Quality Act del 1987, il Congresso ha aggiunto una norma in base alla quale il fatto di essere a conoscenza di violazioni delle prescrizioni relative alle autorizzazioni o degli standard sugli scarichi costituisce reato passibile di sanzioni penali. Inoltre la legge sanziona l’introduzione di sostanze inquinanti o pericolose in impianti di depurazione pubblici, quali i depuratori municipali.

In seguito alla creazione del sistema federale, i singoli Stati e le municipalità hanno promulgato delle leggi ed hanno creato degli enti simili all’EPA a livello locale, al fine di garantire l’applicazione delle leggi ambientali federali. Inoltre diversi Stati hanno parallelamente promulgato delle leggi penali volte a punire i singoli e le aziende che commettano reati contro l’ambiente. Ovviamente le aziende non possono finire in carcere, ma le azioni giudiziarie contro le stesse possono comportare l’applicazione di ammende molto elevate e l’attuazione di confische. Per le società quotate in borsa, una condanna di questo tipo può avere un effetto devastante sul valore dei titoli e spesso può portare ad un cambio del management. Da quasi vent’anni la città di New York risente degli effetti positivi e negativi derivanti dalla presenza dei tre livelli di autorità (federale, statale e locale) per quanto riguarda le norme ambientali. Il complesso sistema di controllo, efficace sotto molti aspetti, presenta evidenti vantaggi. Gli standard di qualità ambientale sono migliorati a New York come nel resto degli Stati Uniti. Soprattutto negli ultimi dieci anni è stato registrato un apprezzabile miglioramento della qualità di aria, acqua e suolo. I procedimenti penali e civili in tutti gli Stati Uniti hanno creato un articolato complesso legislativo, che ha permesso di eliminare i dubbi relativi all’applicazione delle leggi ambientali.

La struttura federale, unita alla normativa statale e locale, ha avuto un notevole impatto sull’industria del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti. Le ammende e i procedimenti penali hanno contribuito ad eliminare i maggiori trasgressori delle leggi ambientali. Le violazioni passibili di sanzioni civili o penali possono impedire a singoli o società di ottenere le autorizzazioni e licenze necessarie per il proseguimento delle attività di smaltimento. In realtà, dopo aveva raggiunto un primo traguardo sul fronte del rispetto della normativa, l’EPA ha un po’ modificato la propria politica aumentando considerevolmente l’importo delle ammende previste per le violazioni, anche minori, delle prescrizioni autorizzative e degli standard sull’inquinamento.

Dopo un "periodo di grazia" concesso alle imprese per adeguarsi alla normativa, l’EPA sta ora applicando ammende molto elevate per violazioni che in passato sarebbero state ritenute di piccola entità. I procedimenti penali sono ormai la norma nei casi in cui vi sia una violazione intenzionale delle leggi ambientali. Sono i procedimenti penali più che le ammende di importo elevato a fungere da deterrente contro le violazioni della normativa ambientale.

Il quadro legislativo e giudiziario esistente ha notevolmente contribuito allo sviluppo di grosse società di servizi ambientali quotate in borsa, sorte negli Stati Uniti negli ultimi dieci-quindici anni. In quanto quotate in borsa, queste società non sono soggette solo alle norme dell’EPA, ma anche al controllo della Securities and Exchange Commission e alle regole del mercato. Queste società sono in grado di pagare qualunque pena pecuniaria loro imposta e dispongono delle risorse necessarie per garantire il rispetto della normativa in tutti i loro impianti. Sono quindi molto più sensibili alla minaccia di sanzioni civili o penali proprio perché, essendo quotate in borsa, le conseguenze di eventuali violazioni della normativa ambientale in termini di immagine potrebbero avere grosse ripercussioni sul valore delle loro azioni.

Tuttavia il quadro normativo esistente non ha eliminato del tutto i problemi ambientali e alcune questioni fondamentali restano difficili da affrontare, prima fra tutte l’influenza della criminalità organizzata.

La creazione di varie agenzie, ciascuna con standard e prescrizioni diverse, ha assorbito alcuni effetti negativi imprevisti. In particolare a New York è proprio la criminalità organizzata che ha maggiormente beneficiato della confusione derivante dalla mancanza di coordinamento e dalla sovrapposizione delle competenze. Nonostante la legislazione ambientale e le agenzie statali e federali si siano in genere rivelatesi efficaci nell’apportare un miglioramento della qualità di aria, acqua e suolo, l’influenza della criminalità organizzata nel campo della raccolta dei rifiuti a New York, nello stesso periodo, è aumentata.

La presenza della criminalità organizzata negli Stati Uniti non è una novità, ma la sua influenza nel settore dei rifiuti ha avuto un grosso impatto in molte municipalità, in particolare a New York. Innanzitutto la complessità del sistema di controllo a livello legislativo e normativo esistente a New York ha costituito un terreno molto fertile per lo sviluppo di corruzione ed estorsione, tipiche della criminalità organizzata. Allo stesso tempo la pesante burocrazia rappresentata dai tre livelli di autorità aveva scoraggiato molte aziende che operano nel rispetto della legge dall’entrare sul mercato. Queste aziende, che avrebbero potuto operare in concorrenza e portare quindi ad un abbassamento dei prezzi dei servizi di raccolta e trasporto dei rifiuti, fino a poco tempo fa avevano preferito rimanere fuori dal mercato di New York per non correre il rischio di rappresaglie di tipo mafioso. Non si trattava di un timore infondato: infatti, negli ultimi 25 anni, nessuna grossa società quotata in borsa era entrata sul mercato di New York.

Tutto questo ha avuto pesanti conseguenze per la città: il costo dei servizi di raccolta e trasporto dei rifiuti a New York era quasi il doppio rispetto alle altre grandi città degli Stati Uniti; un vero e proprio cartello di società autorizzate alla raccolta e al trasporto dei rifiuti controllava il territorio e stabiliva i prezzi; i clienti spesso non potevano scegliere liberamente a quale società rivolgersi e comunque pagavano prezzi non competitivi; il mercato delle acquisizioni e delle cessioni di aziende operanti nel settore del trasporto dei rifiuti era chiuso, pertanto il valore di tali aziende e i loro profitti continuavano a salire; il fatturato delle società di raccolta e trasporto dei rifiuti a New York andava ad arricchire la criminalità organizzata che, a sua volta, controllava un’associazione di categoria in ciascuno dei cinque distretti amministrativi di New York, a cui tutti gli operatori erano caldamente "invitati" ad aderire e/o a contribuire.

In breve il mercato della raccolta e del trasporto dei rifiuti a New York non era concorrenziale. Le azioni giudiziarie intraprese per violazioni di leggi ambientali spesso risultavano inefficaci contro l’influenza della criminalità organizzata, anche perché le società private controllate dalla mafia non pagavano le ammende, né rimborsavano i costi di bonifica, ma uscivano dal mercato per rientrarvi successivamente con un altro nome.

All’inizio degli anni ottanta le autorità federali di New York hanno intrapreso una lotta su tutti i fronti contro la criminalità organizzata e quindi anche contro l’influenza della stessa nel campo della raccolta e del trasporto dei rifiuti. Queste azioni giudiziarie hanno indebolito e destabilizzato la mafia diminuendone l’influenza in tutti i settori. Un aspetto significativo di questi procedimenti è rappresentato dal fatto che sono stati resi noti i nomi degli esponenti della criminalità organizzata, rendendo quindi più difficile per loro continuare ad esercitare un controllo sulle aziende legittime.

Tuttavia queste azioni penali non sono riuscite ad allontanare la criminalità organizzata dalla settore dei rifiuti né a spezzare il controllo del cartello sui prezzi e sul territorio. Gli operatori condannati per reati passibili di sanzioni penali sono stati in molti casi sostituiti e le società che hanno dovuto pagare ammende o che sono state poste sotto controllo sono comunque state appoggiate dal cartello.

Nel 1995 la situazione ha iniziato a cambiare grazie alla concomitanza di due elementi: Rudolph Giuliani, che era stato eletto da poco sindaco di New York, ha dato il via ad una nuova iniziativa volta ad eliminare l’influenza della criminalità organizzata nel settore della raccolta dei rifiuti, mentre il procuratore distrettuale di Manhattan ha intrapreso una battaglia legale diretta contro il cartello. Il sindaco Giuliani, che era stato pubblico ministero federale, era consapevole del fatto che le azioni giudiziarie da sole, per quanto efficaci, non sarebbero state sufficienti per segnare in modo duraturo la criminalità organizzata. Ha quindi definito un programma integrato che unisce i procedimenti giudiziari ad una severa regolamentazione delle società di raccolta e trasporto dei rifiuti autorizzati ed all’incoraggiamento di una sana concorrenza. Il programma del sindaco prevedeva quindi un triplice intervento: 1) proseguimento delle azioni giudiziarie contro la criminalità organizzata nel settore dei rifiuti; 2) creazione di un sistema integrato di regolamentazione e controllo delle società di raccolta e trasporto dei rifiuti; 3) sviluppo di una sana concorrenza, incoraggiando grosse società di gestione dei rifiuti quotate in borsa ad entrare nel mercato di New York.

Tale programma, in meno di due anni, ha dato risultati positivi laddove i precedenti tentativi avevano fallito. Il primo grosso cambiamento in questo settore è avvenuto nel 1995 con l’atto d’accusa contro il cartello delle società di raccolta e trasporto dei rifiuti e contro 17 società di trasporto, in seguito ad una lunga operazione segreta che ha portato alla luce gli intenti ed i metodi della mafia in questo settore. Adesso questo processo è finito e tutte le 17 società sono state condannate. Per la prima volta tutto il settore della raccolta e del trasporto dei rifiuti si è trovato sotto inchiesta e le società, così come le associazioni di categoria, dominate dalla criminalità organizzata, sono state perseguite. Tuttavia, nonostante la portata storica di questo processo, la criminalità organizzata avrebbe potuto riprendere ancora una volta il controllo nel settore dei rifiuti se non fossero intervenuti gli altri due elementi previsti dal programma del sindaco.

All’inizio del 1996 la città di New York ha creato una nuova Commissione del settore dei rifiuti, che regolamenta lo smaltimento dei rifiuti da parte dei privati nella città stessa. Della Commissione fanno parte alcuni rappresentanti del Dipartimento di indagini e del Dipartimento di nettezza urbana, dell’Ufficio del sindaco e della Procura distrettuale. La Commissione lavora inoltre a stretto contatto con le agenzie federali responsabili dell’applicazione della normativa e con l’EPA. Per coloro che hanno partecipato al convegno della New York University nel giugno dello scorso anno, le attività della Commissione in questione sono già note.

La Commissione ha da subito imposto che le aziende di raccolta e trasporto dei rifiuti che desiderano ottenere o mantenere l’autorizzazione ad operare a New York sono tenute a presentare una domanda nella quale siano descritte nei dettagli la struttura esistente e l’attività svolta. La Commissione ha inoltre imposto un controllo estremamente accurato dei proprietari, degli azionisti e dei precedenti gestori delle società che richiedono una autorizzazione. Le società che non presentano questa domanda sono escluse. Se la richiesta contiene dichiarazioni false, il proprietario è perseguibile e la società viene automaticamente esclusa dal settore. Lo stesso avviene per le società che risultano legate alla criminalità o al cartello o che usano metodi anticoncorrenziali.

Negli ultimi due anni sono entrate nel mercato di New York quattro grosse società, tra cui la Waste Management (WMX), la più grande società di gestione dei rifiuti al mondo. Queste società hanno creato una situazione di vera concorrenza, grazie alla quale i prezzi sono già scesi, in molti casi del 30-50 per cento, e la città di New York ha potuto ridurre la tariffa massima applicabile del 35 per cento. Entro la fine di quest’anno si prevede che il numero di società private di raccolta e trasporto dei rifiuti a New York passi da oltre 300 a 100.

Quelle che resteranno verranno tenute sotto rigoroso e regolare controllo allo scopo di garantire che la criminalità organizzata non riassuma il controllo del settore: ogni società dovrà possedere un patrimonio o una copertura assicurativa sufficienti in caso di violazione accidentale o intenzionale delle leggi ambientali.

La presenza di grosse società come la WMX garantisce un mercato competitivo e costituisce un ulteriore ostacolo al ritorno della criminalità organizzata. Il loro ingresso sul mercato di New York è un segno evidente di vittoria nella lotta contro la criminalità organizzata e va a vantaggio della protezione dell’ambiente.

Per questo motivo possiamo affermare che la tutela dell’ambiente a New York non è mai stata così efficace. Tuttavia le lezioni che abbiamo imparato e i successi che abbiamo ottenuto devono essere costantemente salvaguardati per far sì che questi passi avanti, estremamente importanti, non vengano cancellati dalla criminalità organizzata, sempre pronta ad intervenire.

GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Torniamo ora in Italia con il dottor Pernice, presidente dell’Albo degli smaltitori.

MAURIZIO PERNICE, Presidente dell’Albo degli smaltitori. I relatori che mi hanno preceduto hanno affrontato in modo problematico alcuni temi fondamentali della nuova disciplina sui rifiuti.

Un primo elemento di crisi del sistema viene individuato nell’assetto complessivo del riparto delle attribuzioni tra lo Stato, le regioni e gli enti locali. In particolare l’assessore Cavallera ritiene che il decreto legislativo n. 22/97 avrebbe potuto assicurare un più accentuato riconoscimento delle autonomie regionali.

La disciplina delle attribuzioni fissate dal decreto legislativo n. 22/97 potrebbe forse risultare non del tutto soddisfacente rispetto ai nuovi assetti istituzionali che si stanno profilando e che investono in modo radicale i rapporti tra lo Stato e le regioni. Allo stesso tempo però deve essere sottolineato che, nei limiti consentiti dalla legge di delega, il Governo non ha trascurato di dare un adeguato riconoscimento al ruolo delle autonomie regionali e locali. Il decreto legislativo n. 22/97, infatti, riserva allo Stato essenzialmente interventi di indirizzo e coordinamento e l’adozione di norme tecniche generali. A livello centrale rimangono cioè solo competenze che attengono ad esigenze di carattere unitario ovvero soddisfano la necessità di garantire indirizzi e norme regolamentari e tecniche omogenei su tutto il territorio nazionale in considerazione sia del fatto che gli interessi ambientali coinvolgono, quasi sempre, aspettative comuni all’intera collettività nazionale, sia delle implicazioni che la normativa ambientale ha sotto il profilo della concorrenza. Quest’ultimo aspetto, del resto, è stato affrontato in modo estremamente chiaro dall’avvocato Martin, che ha sottolineato come l’assenza di una disciplina omogenea e coordinata può determinare e favorire significative alterazioni del mercato e il ricorso a forme illecite di smaltimento.

Occorre inoltre ricordare che l’esercizio delle competenze rimaste all’amministrazione centrale non è riservato in modo esclusivo allo Stato. Il decreto legislativo n. 22/97, soprattutto a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 389/97, dà un ampio riconoscimento all’apporto collaborativo delle regioni che sono chiamate a partecipare all’elaborazione e all’adozione degli atti di indirizzo e coordinamento e della normativa tecnica di settore sul piano di assoluta parità.

Come sottolineava l’assessore Cavallera, in questa prima fase di attuazione del decreto legislativo n. 22/97 si sono effettivamente registrate alcune difficoltà alla corretta applicazione dei principi che regolano i rapporti tra lo Stato e le regioni. Si tratta, però, di problemi dovuti essenzialmente all’urgenza di dare rapida attuazione alla nuova disciplina sui rifiuti ed in particolare di adottare in tempi brevi il decreto sul recupero dei rifiuti sottoposti a procedure semplificate. A questo proposito occorre infatti ricordare che la Commissione delle Comunità europee ha promosso nei confronti del Governo italiano una procedura di infrazione ai sensi dell’art. 169 del trattato, che tra l’altro riguarda proprio l’ultrattività della normativa tecnica adottata sulla base della disciplina previgente al decreto legislativo n. 22/97 e, quindi, il regime transitorio previsto dal predetto decreto per lo svolgimento dell’attività di recupero dei rifiuti con procedura semplificata. Più precisamente la Commissione ritiene non conforme al diritto comunitario il permanere dell’efficacia dei decreti interministeriali del 5 settembre 1994 e del 16 gennaio 1995.

La forte accelerazione che è stato necessario dare all’iter di elaborazione e approvazione della predetta normativa tecnica non poteva non avere riflessi sulle modalità del confronto tra lo Stato e le regioni. Tuttavia sul piano sostanziale sono stati comunque garantiti la partecipazione e il contributo delle regioni, che sono risultati importanti ed estremamente proficui.

Per garantire un maggiore riconoscimento del ruolo delle autonomie regionali il decreto legislativo n. 22/97, a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 389/97, stabilisce, inoltre, che il piano generale di prevenzione in materia di imballaggi debba essere approvato d’intesa con la conferenza Stato-regioni: soluzione ovvia visto che detto piano integra il piano regionale di gestione dei rifiuti e quindi la partecipazione delle regioni alla sua approvazione è essenziale.

In conformità alla previsione della legge Bassanini, il decreto legislativo n. 22/97 prevede altresì che siano esercitate d’intesa con le regioni anche le funzioni di indirizzo e coordinamento.

Ma importante è anche il ruolo che viene riconosciuto agli enti territoriali minori. Alle province sono state, infatti, attribuite importanti funzioni in materia di elaborazione dei piani regionali di smaltimento, di coordinamento delle attività di gestione dei rifiuti nei singoli ambiti territoriali ottimali, e, soprattutto di controllo. A quest’ultima funzione si collega anche l’attribuzione alle province della competenza in materia di iscrizione delle attività di recupero sottoposte alla procedura semplificata di denuncia di inizio di attività. In questi casi, infatti, l’autorizzazione all’esercizio delle attività sottoposte a procedure semplificate deriva direttamente dalla legge e dalle relative norme secondarie di attuazione che stabiliscono le regole generali in base alle quali una certa attività di recupero dei rifiuti può essere svolta liberamente. L’interessato, cioè, non deve acquisire preventivamente un provvedimento che rimuova un limite posto all’esercizio dell’attività che intende svolgere, ma è tenuto a dare comunicazione della sua volontà, dichiarando di rispettare le regole previste, alla provincia al fine di consentire a quest’ultima di procedere agli opportuni controlli che investono non solo il momento iniziale di avvio dell’attività medesima ma devono essere effettuati in modo periodico sull’attività.

Più in generale la nuova disciplina responsabilizza in modo più diretto ed immediato tutti i soggetti istituzionali. A questi, infatti, è affidato un ruolo fondamentale nella realizzazione degli obiettivi di prevenzione, recupero, riciclaggio e diminuzione del flusso dei rifiuti avviati allo smaltimento, che costituiscono il nucleo essenziale della riforma.

Sul piano operativo questo significa, innanzi tutto, assicurare una gestione integrata dei rifiuti. Purtroppo, come ha evidenziato il dottor Roveda, i problemi della gestione dei rifiuti vengono ancora troppo spesso affrontati in modo non integrato. Quando, giustamente, si enfatizza il ruolo della raccolta differenziata spesso non viene dato analogo ed adeguato risalto a tutte le altre iniziative che devono essere assunte per far sì che tale raccolta non finisca per essere, come purtroppo in molti casi l’esperienza ha dimostrato, un mero prelievo selettivo di frazioni omogenee di rifiuti avviati poi allo smaltimento, e quel che è peggio alla discarica. Oggi il decreto legislativo n. 22/97 dice chiaramente che quando si parla di obiettivi di raccolta differenziata si parla di riciclaggio. I rifiuti urbani raccolti per frazioni omogenee non devono essere avviati al recupero energetico o allo smaltimento ma devono essere trasformati in beni e prodotti e, quindi, collocati sul mercato. Questo vuol dire che la raccolta differenziata richiede necessariamente tutta una serie di iniziative volte non solo a favorire il conferimento differenziato dei rifiuti da parte dei cittadini e la relativa raccolta da parte delle amministrazioni pubbliche, ma anche a promuovere ed incentivare il mercato delle materie e dei prodotti recuperati dai rifiuti con apposite iniziative economiche e fiscali.

Il nuovo regime di gestione di rifiuti favorisce la raccolta differenziata, come conferimento di rifiuti per frazioni omogenee e relativo prelievo, con il passaggio dalla tassa alla tariffa. Quest’ultima, infatti, consente di stabilire un rapporto diretto tra le quantità di rifiuti che i singoli cittadini avviano allo smaltimento e i costi che gli stessi sono tenuti a sopportare.

Le attività di riciclaggio e il mercato dei prodotti riciclati potranno invece essere favoriti con appositi finanziamenti e con misure di natura fiscale. Perché tali interventi risultino funzionali all’obiettivo di una gestione integrata dei rifiuti è però indispensabile che rispondano ad una precisa strategia organica e complessiva. Questo significa determinare una chiara soluzione di continuità con i criteri seguiti in passato. Infatti fino ad oggi gli interventi di natura finanziaria e fiscale volti a diminuire il flusso dei rifiuti avviati allo smaltimento sono stati effettuati senza un adeguato coordinamento e, spesso, hanno provocato un’alterazione nell’ordine delle priorità delle attività di gestione dei rifiuti fissato dal legislatore. Si tratta di evenienze che sono emerse anche dalla cronaca recente. Mi riferisco al fenomeno distorsivo provocato dagli incentivi riconosciuti alla produzione di energia elettrica da fonti alternative che finivano per penalizzare proprio le attività di riciclaggio cheil legislatore considera prioritarie rispetto al recupero energetico. In pratica le imprese di riciclo non riescono più a trovare gli scarti di legno necessari alla loro attività perché il mercato di detti rifiuti viene ad essere alterato dal maggior prezzo che per tali rifiuti le imprese di recupero energetico sono disposti a pagare grazie agli incentivi di cui godono. D’altro canto questa situazione penalizza anche il cittadino. È infatti il cittadino che paga questi incentivi tramite il sovrapprezzo termico e sostiene, perciò un costo aggiuntivo per lo smaltimento, in quanto tale non va a suo beneficio in termini di minor flusso di rifiuti urbani destinati allo smaltimento e quindi di riduzione sulla tariffa per lo smaltimento dei rifiuti urbani.

In attesa di apposite norme di finanziamento e fiscali il riciclaggio e il mercato delle materie riciclate è comunque favorito dal decreto legislativo n. 22/97 con appositi strumenti normativi, amministrativi e negoziali. È previsto, per esempio, che le regioni adottino apposite norme affinché gli uffici pubblici coprano il loro fabbisogno di carta con una quota di carta riciclata pari almeno al 40 per cento dell’intero fabbisogno. È prevista altresì che la pubblica amministrazione inserisca nei propri bandi di gara condizioni che impongano l’impiego di una certa percentuale di materie prime o di prodotti recuperati dai rifiuti. Quest’ultima disposizione in particolare può essere estremamente efficace. Si pensi ad esempio, cosa potrebbe significare in termini di raccolta differenziata, di riciclaggio e di opportunità di mercato dei prodotti riciclati se gli ottomila comuni italiani utilizzassero nella gestione del verde pubblico il compost. Significherebbe assicurare al compost un mercato più che stabile.

Un altro aspetto sul quale il dibattito è molto acceso è quello del nuovo sistema sanzionatorio. Sono particolarmente lieto di aver ascoltato la relazione dell’avvocato Martin, dalla quale emerge la consapevolezza che i reati ambientali hanno essenzialmente origine e natura economica per cui più che la sanzione penale colpisce, e costituisce un adeguato deterrente, la sanzione pecuniaria. Questo ovviamente non vale per le attività illecite che assumono forme e modalità organizzative più gravi, per le quali sarebbe anzi opportuno aggravare la fattispecie penale prevedendo anche apposite figure di delitto. Con questa eccezione comunque chi viola la norma ambientale è spinto dall’interesse di realizzare una economia: ad esempio si ricorre allo smaltimento illecito perché in tal modo si evita di internalizzare nel costo di produzione anche il costo dello smaltimento dei rifiuti e tale risparmio consente anche una maggiore competitività sul mercato. L’assoggettamento di alcune violazioni che nel precedente regime erano punite come contravvenzioni a sanzione amministrativa deriva proprio dal tentativo di impedire che i comportamenti individuali possano essere condizionati da una valutazione di convenienza economica, tenuto anche conto della probabilità di accertamento della violazione da parte degli organi di controllo. Rispetto all’eccessiva gravità delle sanzioni amministrative, che è stata anche oggi segnalata, devo sottolineare che l’intervento dell’avvocato Martin dimostra proprio il contrario. Le sanzioni pecuniarie previste in altri paesi in caso di violazione delle norme di tutela ambientale sono significativamente più elevate di quelle previste dal legislatore nazionale. Inoltre con il decreto legislativo n. 389/97 le stesse sanzioni amministrative sono state attenuate per tener conto dei casi in cui la violazione assuma connotati squisitamente formali. Mi riferisco in particolare alla tenuta dei registri di carico e scarico e alla comunicazione annuale al catasto. Qui è prevista una sanzione differenziata in relazione alla struttura organizzativa del soggetto responsabile, che è più tenute per le piccole imprese artigiane. Inoltre, qualora la violazione assuma carattere formale è prevista una sanzione particolarmente tenue, che va da un minimo di 500 mila lire a 3 milioni.

Le nuove norme sulla gestione dei rifiuti introducono inoltre una disciplina più severa per il trasporto dei rifiuti, al fine di contrastare il traffico illecito di rifiuti.

In base alla disciplina previgente al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, il trasporto dei residui e dei mercuriali, che corrispondono ai rifiuti avviati al recupero, poteva essere effettuato sulla base di una semplice comunicazione con la quale l’interessato informava la regione, e successivamente le sezioni regionali dell’Albo, di voler svolgere la predetta attività di trasporto. Tale comunicazione non era cioè corredata da alcun elemento informativo sulla capacità tecnica e finanziaria dell’impresa nè, tanto meno, sul possesso dei requisiti morali da parte del titolare e del responsabile tecnico.

Il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, aveva già modificato questa situazione, proprio in considerazione dei rischi di una così ampia e incontrollabile liberalizzazione, ed a tal fine aveva previsto che la comunicazione dovesse puntualizzare sotto la responsabilità penale del dichiarante ulteriori elementi informativi relativi alla sussistenza in capo all’interessato dei requisiti richiesti in via generale per il trasporto dei rifiuti. Responsabilità non trascurabile se si tiene conto che la dichiarazione falsa o mendace integra gli estremi del delitto di falso punito con una pena detentiva fino a due anni, salvo che il fatto non costituisca più grave reato.

Il recente decreto legislativo n. 389/97, così detto "Ronchi bis", ha, però, reso tale disciplina ancora più stringente imponendo che la comunicazione di inizio di attività sia corredata dalla documentazione atta a dimostrare il possesso di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti per l’iscrizione ordinaria all’Albo. Inoltre, mentre prima l’attività poteva essere avviata solo sulla base di una comunicazione, il nuovo regime semplificato condiziona l’esercizio dell’attività all’adozione di un provvedimento formale di iscrizione.

Dunque, la nuova disciplina riduce, fino quasi ad eliminarla, la completa ed incontrollata liberalizzazione prevista dalla disciplina previgente, che si riduce in pratica ad una mera accelerazione del procedimento di iscrizione compensata, peraltro, da una forte responsabilizzazione del dichiarante.

È vero che restano le agevolazioni relative all’esonero dall’obbligo di prestare le garanzie finanziarie; che i requisiti richiesti per il responsabile tecnico possono essere acquisiti entro due anni dal 15 gennaio 1998; e che il possesso delle capacità finanziarie può essere dimostrato entro i 90 giorni successivi all’iscrizione. Solo nel primo caso, però, c’è una vera e propria agevolazione rispetto al procedimento di iscrizione ordinario. La possibilità che i requisiti richiesti per il responsabile tecnico possano essere acquisiti entro due anni dal 15 gennaio 1998 e la possibilità di dimostrare il possesso delle capacità finanziarie entro i 90 giorni successivi all’iscrizione, infatti, rispondono solo all’esigenza di garantire un minimo periodo transitorio alle imprese che si sono dovute adeguare al nuovo regime entro il 15 gennaio 1998, avendo, perciò, solo due mesi di tempo. Aspetto, quest’ultimo, non privo di rilievo circa la volontà del Governo di determinare in tempi brevi una radicale riqualificazione anche di questo settore dell’autotrasporto. Periodo transitorio, che, del resto, è stato a suo tempo previsto anche per le procedure ordinarie di iscrizione e con durata più che doppia (cinque anni).

Infine, in merito allo stato di attuazione del decreto legislativo n. 22/97, si registra la seguente situazione. Il decreto di costituzione dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti è stato firmato il 31 luglio 1997 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Questo ha permesso di avviare subito le iniziative per elaborare il metodo normalizzato della tariffa per lo smaltimento dei rifiuti urbani ed assimilati. L’Osservatorio ha promosso la costituzione di un gruppo di lavoro successivamente suddiviso in tre sottogruppi al quale partecipano tutti i soggetti istituzionali ed economici interessati con l’obiettivo di individuare le linee guida generali e le più rilevanti problematiche inerenti all’elaborazione della tariffa. Oltre a questo gruppo di lavoro è stato attivato un rapporto con l’ENEA, con l’obiettivo di elaborare una proposta di metodo normalizzato che sarà quindi portato all’esame del predetto gruppo di lavoro. Tale proposta dovrebbe essere formalizzata entro i prossimi tre mesi. Oltre a questa iniziativa l’Osservatorio ha costituito un gruppo di lavoro composto da esperti, che in collaborazione con l’ANPA dovrà innanzitutto contribuire all’elaborazione del parere sul piano generale di prevenzione in materia di imballaggi, ed eventualmente predisporre il piano stesso qualora il CONAI non vi provveda nei termini di legge. Inoltre, in collaborazione con l’ANPA, l’Osservatorio sta predisponendo l’elaborazione del primo rapporto annuale sulla gestione dei rifiuti e dei rifiuti da imballaggio.

Il decreto di costituzione del Comitato nazionale dell’Albo delle imprese che effettuano l’attività di gestione rifiuti è stato firmato il 31 luglio 1997 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Ciò ha consentito innanzitutto di esaminare e decidere i numerosi ricorsi proposti contro i dinieghi di iscrizione pronunciati dalle sezioni regionali e provinciali dell’Albo nonchè i procedimenti di sospensione dall’iscrizione, eliminando l’arretrato e portando la situazione a regime. Inoltre sono state adottate importanti direttive per chiarire numerosi e problematici aspetti operativi, con particoalre riferimento alla gestione in conto terzi di impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti ed al coordinamento tra la disciplina dell’autotrasporto in generale e quella del trasporto rifiuti. Il Comitato nazionale ha inoltre provveduto ad adottare tempestivamente le direttive per l’iscrizione semplificata delle imprese che effettuano il trasporto di rifiuti destinati ad operazioni di recupero esercitate sulla hase di denuncia di inizio di attività, consentendo in tal modo alle sezioni regionali e provinciali di pronunciarsi sulle iscrizioni nei tempi stabiliti dal decreto legislativo.

Infine, il Comitato nazionale sta avviando le iniziative necessarie per individuare i requisiti professionali e tecnici per l’iscrizione all’Albo nazionale degli smaltitori delle nuove categorie di attività di intermediazione e commercio rifiuti, bonifica dei siti e bonifica dei beni contenenti amianto.

Il decreto che individua i rifiuti non pericolosi sottoposto a procedura semplificata di recupero è stato firmato da tutti i ministri concertanti ed in data 6 febbraio 1998 è stato trasmesso alla Corte dei conti per la registrazione. Superata anche quest’ultima formalità verrà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.

Il decreto che determina i diritti di iscrizione da versarsi alle province da parte dei soggetti che effettuano attività di recupero e di autosmaltimento sottoposte a procedure semplificate è stato già firmato da me e dal ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, ed è attualmente alla firma del ministro del tesoro.

Il decreto recante norme tecniche per lo smaltimento di rifiuti in discarica, il decreto che individua il modello uniforme del registro di carico e scarico, il decreto che individua il modello uniforme di formulario per il trasporto dei rifiuti ed il regolamento di organizzazione dell’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti hanno già ricevuto il parere favorevole del Consiglio di Stato e sono alla firma dei ministri concertanti.

Il decreto recante norme per la prestazione di garanzie finanziarie per il trasporto transfrontaliero dei rifiuti è stato concordato tra le amministrazioni concertanti ed è attualmente al parere del Consiglio di Stato.

Il decreto di riorganizzazione del catasto dei rifiuti è stato già sottoposto all’esame delle regioni e sarà inserito nell’oggetto della prossima conferenza Stato-regioni, per acquisirne il prescritto parere. Quindi dovrà essere trasmesso per il parere al Consiglio di Stato prima di essere adottato.

Sono in fase di adozione i decreti di costituzione delle nuove sezioni regionali e provinciali dell’Albo; è stato predisposto lo schema di regolamento di organizzazione dell’Osservatorio nazionale sulla gestione dei rifiuti, che attualmente è all’esame degli altri Ministeri concertanti (industria e tesoro).

Si sta inoltre procedendo a modificare ed integrare lo schema di decreto sul recupero dei rifiuti pericolosi da assoggettare a procedure semplificate, al fine di soddisfare alle puntuali osservazioni formulate dalla Commissione dell’Unione europea e di superare le censure di non conformità al diritto comunitario delle norme tecniche notificate ai sensi della direttiva 189/83/CEE.

GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione. La parola al dottor Forte Clò, in rappresentanza dell’UPI.

FORTE CLÒ, Rappresentante dell’UPI. Condivido una parte consistente delle cose che ho ascoltato, e, da quanto mi è stato dato di sapere, lo stesso rappresentante delle regioni ha contribuito a meglio delineare il ruolo delle province. Poiché però l’incontro è finalizzato a riflettere sull’andamento dell’applicazione del decreto Ronchi, vorrei fare una considerazione di carattere preliminare che riguarda il triste destino di un decreto legislativo molto importante, di gran lunga innovativo, che rischia di essere argomento di discussione solo fra gli addetti ai lavori, quando invece manifesta in termini assai evidenti la sua enorme rilevanza rispetto a fasi fondamentali delle politiche economiche del paese.

In modo particolare mi sento di fare questo tipo di ragionamento quando sento – ma forse sbaglio – che uno degli aspetti fondamentali del decreto, cioè il tema della riduzione, passa sempre in secondo piano, mentre di più si discute attorno a tutta la parte più gestionale, dimenticando magari i processi di integrazione che devono caratterizzare il ciclo dei rifiuti. Ma se è vero per esempio che quello della riduzione è il tema fondamentale per un sano processo di governo dei rifiuti, credo che valga la pena riflettere sull’andamento della filiera delle sussidiarietà, a partire dal comune, indipendentemente dalla sua dimensione, per arrivare al Governo e al Ministero. In proposito mi sento di dire con estrema franchezza che abbiamo davanti un andamento non propriamente lineare: permane una sorta di divisione dei compiti non pensata in termini di organicità.. Se le regioni, le province, i comuni intervengono attorno al tema dei rifiuti senza che vi sia dal punto di vista nazionale un coinvolgimento delle regioni e degli enti locali, pensando che la cosa possa essere risolta attraverso il prossimo passaggio da tassa a tariffa (quindi la cosiddetta leva tariffaria), si commette una rilevante stupidaggine perché la fase iniziale della raccolta differenziata costa comunque di più: c’è bisogno di un concerto per arrivare a regime.Sarà assai difficile, in tutte le realtà medie del nostro paese, che il passaggio da tassa a tariffa, stante queste condizioni sia per i cittadini un fatto indolore. Oggi sappiamo che gran parte dei costi del servizio è sostenuta dalle attività produttive.

L’altro aspetto che desidero riprendere è quello della filiera delle sussidiarietà.

Comincio a far domande. Siamo sicuri che tutte le pratiche di ottimizzazione siano così convenienti? Vogliamo provare a fare qualche bilancio ambientale anche a fianco del notorio e consolidato bilancio economico? Vogliano cominciare cioè a vedere quali sono le ricadute, i processi che possono avere un qualche rilevante risalto sul piano ambientale? Cambiare il parco macchine sicuramente migliora la qualità delle immissioni, migliora la sicurezza stradale, ma crea anche tutto il problema di tutto ciò che deve essere rottamato con riferimento al ciclo produttivo dell’auto. La parte che può essere avviata al riciclo è ridottissima. E allora forse conviene cominciare a porci alcuni obiettivi. Faceva bene prima il dottor Pernice a richiamare un aspetto, che nell’applicazione del decreto mi risulta essere poco affrontato. È indicato, mi pare nell’articolo 19, l’uso del 40 per cento di carta riciclata da parte degli enti pubblici come fatto obbligatorio. Non si capisce perché le regioni debbano applicare una norma, ma il 40 per cento di carta non credo che richieda una norma attuativa. È un esempio, si dice carta per dire tutto il resto, a partire anche dalle qualità dei prodotti che le amministrazioni comprano, cominciando ad esempio da quelle tossiche. Non so quanti siano i pennarelli che consumiamo, certo credo che non siano pochi e molti hanno contenuti tossici, o comunque se finiscono nella discarica non aiutano certo a preservare la qualità dell’ambiente. Ciò diventa un problema di qualità generale degli acquisti. Per esempio, allora, le province si potrebbero candidare in un rapporto diretto con i comuni e con le restanti pubbliche amministrazioni che operano sul territorio (ma perché solo le pubbliche amministrazioni?) per costruire dei protocolli di intesa e per studiare insieme il quadro complesso del cambio degli acquisti. Altrettanto si potrebbe fare per quanto riguarda i capitolati d’appalto. Come UPI abbiamo cominciato una esperienza campione con alcune province e con gli Istituti autonomi per le case popolari per cominciare a definire dei capitolati d’appalto per la manutenzione, il restauro e gli interventi di ristrutturazione pesante e per il nuovo che prevede un forte uso, laddove ovviamente sia possibile, di materiali provenienti dal riciclo della materie prime e seconde.

C’è un problema di mercato che dobbiamo affrontare e che dovrebbe essere appunto una delle incombenze profonde della filiera delle sussidiarietà. Anche il Governo su questo dovrebbe assumere una propria iniziativa.

Per quanto riguarda il sistema delle autonomie (argomento sottolineato in sede di Conferenza unificata, cui hanno partecipato i ministri Costa e Ronchi), nessuno vuole "portare via l’argenteria", ma si vuole essere invece utili, organici, all’interno di un processo che porti a casa dei risultati, o qualcuno pensa di poter governare processi di questa natura dal suo tavolo di ministro e dell’assessore regionale. La questione è ben più complessa, anche perché il fatto che il tema sia obiettivamente ricondotto all’interno di una discussione tra addetti ai lavori e che in unica proiezione esterna occorra svolgere attività di carattere di marketing o di educazione ambientale, che però sono eccessivamente costose e con sviluppi assai contenuti, non ci aiuta a produrre quel salto di qualità che dovrebbe essere prodotto. Affermo questo forse perché provengo da una regione che sul piano delle deleghe da tempo si è impegnata: questa mattina ho avuto il piacevole compito di discutere con i sessanta comuni della provincia di Bologna i criteri e le modalità per partecipare alla distribuzione di 30 miliardi di ecotassa che la regione ha messo sulla parte che riguarda gli impianti per favorire la raccolta differenziata.

Detto questo, viene da fare un altro passaggio che non è di poco conto e che torna al tema dei costi. Credo che anche le nostre aziende pubbliche (e forse varrebbe la pena di fare un confronto con la CISPEL) debbano sì ragionare attorno alla capacità concorrenziale e al fatto che i bilanci debbono avere il saldo attivo finale, ma credo che dovrebbero anche cominciare a ragionare, parlando in particolare di acqua e di rifiuti, su una voce di bilancio che si chiama riduzione e risparmio, che non può essere equiparata alle normali economie. Parlando per esempio di acqua, poiché non è cioccolata che si può comprare in Svizzera, in Austria ed in Italia o comunque da altre parti a seconda delle aziende che la producono, l’economia più importante nel saldo finale è di farne consumare di meno. È una voce però difficile da misurare sul piano della economicità conclusiva, così come sarà difficile misurare sul piano della economicità conclusiva un impegno delle aziende pubbliche volto a produrre fatti oggettivi di riduzione in un rapporto con le imprese, con i consorzi, insomma con il sistema che sta all’interno di questo processo. Pongo questo problema perché sento in merito una sostanziale arretratezza. C’è questa preoccupazione: più abbiamo da smaltire, più è l’introito economico dell’azienda e più "positivo" è il risultato finale.

Come sul tema delle ARPA, credo che per le regioni e le province sia molto importante procedere in fretta a realizzare questa agenzia, perché uno dei meccanismi migliori per definire il controllo è che chi ha il dovere di pianificare, abbia il supporto tecnico dell’ARPA. Stiamo facendo in Emilia questa esperienza, alla quale l’UPI guarda con grande attenzione, perché la stiamo in qualche modo esportando. Per esempio, siamo entrati nelle logiche dei protocolli d’intesa. Uno l’abbiamo già sottoscritto e fatto vivere con Palermo. L’ARPA emiliana contribuirà per il piano dei rifiuti con la provincia di Palermo, agirà cioè come supporto tecnico alla redazione del piano gestionale con la provincia di Palermo. Altrettanto si sta facendo con la provincia di Salerno. Stiamo discutendo in questa direzione con la provincia di Crotone, ma vorremmo utilizzare questa rete — e le province sono disponibili con le regioni a lavorare su questo versante — anche per altri obiettivi, come la lotta contro la criminalità ambientale.

È ottimo il lavoro sul piano nazionale. Riteniamo che debba avere capisaldi territoriali all’interno dei cosiddetti ambiti ottimali, che potrebbero essere dati da osservatori che aiutino a mantenere la massima trasparenza sull’intero processo della produzione, dello smaltimento o del riciclo. È importante anche su questo che la relazione sia davvero biunivoca, anche perché il tema della cosiddetta criminalità mafiosa ha rotto le dimensioni geografiche, viaggia al nord ed al sud in maniera del tutto indifferente. Sono state scoperte discariche per RSU, che pur dovrebbero essere la parte meno interessante oggi del business dei rifiuti, nel Triveneto, in Lombardia e una in Emilia nei pressi di Parma. C’è insomma un quadro che deve farci riflettere e che dovrebbe vederci — regioni, province, comuni — maggiormente impegnati a produrre questo tipo di struttura diffusa.

L’ultimo aspetto riguarda la pianificazione. Sono convinto che dopo le note polemiche sugli emendamenti all’articolo 55 e seguenti della Costituzione, si sta ricomponendo positivamente. Confido che le regioni sappiano sempre più sviluppare la propria competenza legislativa e sappiano, all’interno di quella competenza, delineare i contorni di un processo di pianificazione, che non può esser regionale, soprattutto per la dimensione delle regioni (in Basilicata potrà anche essere regionale, ma in tutte le altre regioni è assai difficile che così sia in maniera compiuta e precisa). E allora ricade, giustamente a mio avviso, sull’ente di area vasta, sulla provincia questa possibilità, in quanto quello è il luogo nel quale la concertazione con i comuni diventa più precisa e diretta, partendo anche dal presupposto che è assai difficile, nelle grandi conurbazioni urbane, trovare all’interno i luoghi per realizzare impianti. Vale allora la pena su questo di definire un accordo molto saldo e preciso che consenta a ciascuno di fare la sua parte in maniera non ripetitiva, ma dentro un processo sussidiario davvero forte.

Ci tengo a dirlo, perché vedo ancora una situazione a macchia di leopardo nel paese, con regioni che continuano a pianificare, la qual cosa non mi sembra sempre ragionevole, con province che non sanno cosa fare se non svolgere una qualche funzione burocratica connessa ai controlli e alle sanzioni, il che mi sembra mortificante e per molti versi estraneo alla possibilità di esercitare davvero il controllo. Occorre un processo di pianificazione che dovrebbe conoscere anche una rinnovata dimensione del processo di valutazione dell’impatto ambientale. Sulla situazione delle province d’Italia vorremmo sviluppare una discussione e coinvolgere ovviamente il soggetto principale, il Ministero, al quale continuiamo a proporre la necessità di dar corso ad un tavolo specifico fuori della Conferenza delle regioni, che abbia, come caratteristica, quella di verificare, con consistente attenzione, l’andamento dell’applicazione del decreto. Per questo pensiamo ad un tavolo nel quale fondamentale è il ruolo delle regioni e anche di chi ha la privativa dei rifiuti, cioè i comuni. Diventa quindi un tavolo a tre, interlocutore diretto del Ministero sulla specifica materia, che possa anche aiutare, per quello che potrà mettere in movimento, in maniera seria e concreta il tema di fondo del decreto, che è quello della riduzione delle quantità.

GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Do ora la parola al dottor Di Palma, assessore al comune di Napoli.

RICCARDO DI PALMA, Assessore all’ambiente del comune di Napoli. È importante – lo abbiamo verificato – avere la possibilità in questo tipo di incontri di toccare il polso della situazione (al di là del dibattito sul decreto n. 22 del 1997) in Italia: situazione che è molto diversa da regione a regione, da città a città. Prima di entrare nel merito del decreto desidero fare una velocissima carrellata per far capire qual è la situazione di una regione come la Campania e di Napoli. Sono situazioni infatti profondamente diverse da quelle emerse dagli interventi dei colleghi assessori o in base anche ad altre esperienze italiane e straniere.

La regione Campania fino a pochi mesi fa ha rappresentato (non so se lo rappresenti ancora) la grande discarica d’Italia. Questo è un dato sul quale è bene che tutti riflettano. Abbiamo intere zone della provincia di Caserta, di Napoli, dove non si sa neanche dell’esistenza di discariche. C’è stata una gestione del territorio assolutamente non controllata, che definire a rischio dal punto di vista ambientale è un eufemismo. Si pensi che fino ad un anno e mezzo fa, fino agli inizi del 1996 all’interno della città di Napoli era in funzione la più grande discarica d’Europa, la discarica di Pianura, che è uno dei quartieri della città. Venendo a Napoli ci si può rendere conto di cos’era e di che cosa è ancora Pianura (perché la bonifica è ancora in itinere), a ridosso si un parco naturale, il parco degli Astroni, una delle riserve del WWF. Ebbene, le abitazioni – e non singole abitazioni, ma interi rioni — sono a distanza di centinaia di metri dalla discarica. Pianura è uno dei quartieri più popolari della città e la cosa più grave è che ha rappresentato la discarica non solo di Napoli ma di tutta la regione Campania, cioè per anni più di duecento comuni hanno scaricato a Pianura, cioè anche comuni delle province di Avellino, Benevento, Salerno, Caserta. La discarica di Pianura quindi rappresentava il serbatoio di tutta la regione Campania.

Dico questo perché nella regione Campania c’è ancora un problema di emergenza molto serio in quanto le discariche attualmente in funzione entro tre o quattro mesi saranno al collasso. Abbiamo due commissari regionali: un commissario per le discariche che è il Prefetto, ed uno per gli impianti che è il Presidente della regione Campania. Lo scenario è dunque di piena emergenza. Il progetto della costruzione dell’impiantistica definitiva è ancora in una fase molto iniziale perché la regione ha avuto problemi soprattutto di finanziamento, in quanto dei 200 miliardi che finanziavano il commissariato attualmente, per problemi legati alla legge finanziaria, non è arrivata nemmeno la prima tranche. In questo scenario, nella città di Napoli, circa due anni fa abbiamo iniziato un serio riordino di questo settore. La raccolta differenziata fin o a due anni fa non era avviata assolutamente, non c’erano neanche tentativi di sperimentazione nel settore che invece sono stati avviati in modo abbastanza sostenuto circa due anni fa per tutte le frazioni, con la collaborazione di tutti i consorzi e anche del Ministero.

Ricordo che noi non abbiamo una azienda dei rifiuti e questo è un ulteriore aspetto che riguarda la non possibilità di incidere in modo forte sul settore, perché la città ha una anomalia gestionale in quanto una parte del settore è gestita in proprio direttamente dal comune, neanche con una municipalizzata o con una azienda speciale, e una parte del settore è appaltata a privati. Con la CISPEL abbiamo avviato il progetto di trasformazione in azienda e ritengo che entro la fine dell’anno avremo il progetto definitivo. Questa è la situazione, una situazione (che abbiamo trovato) di profonda confusione, una situazione di non organizzazione. Circa due anni fa si è avviata una profonda ristrutturazione di tutto il sistema, partendo con la raccolta differenziata per tutte le frazioni, dalla plastica al vetro, ai rifiuti speciali. Si pensi che non veniva fatta la raccolta di farmaci e di pile in città, cosa che è iniziata circa 18 mesi fa. Questo ci ha permesso, in questi 18 mesi, di arrivare al 4 per cento della quantità dei rifiuti, che per noi è un notevole risultato alla luce di tutti i problemi che evidenziavo. Nei giorni scorsi abbiamo avviato una collaborazione (mettendo a disposizione i nostri tecnici) con la ASCOM e la Confesercenti, per la raccolta degli imballaggi. Abbiamo compiuto un esperimento pilota in città, per cui il comune, in base al decreto Ronchi, mette a disposizione i propri servizi tecnici per la raccolta degli imballaggi su tutto il territorio cittadino.

Questi in sintesi i problemi e le difficoltà, ma c’è stata anche una serie di interventi in positivo che abbiamo avviato in città. Uno dei grandi problemi che esistono nella nostra realtà e che ritengo vadano sottolineati riguarda la bonifica del territorio, che è estremamente importante anche tenuto conto delle ricadute occupazionali che può avere nel territorio della regione Campania, bonifica che riguarda intere aree e settori del territorio della regione e della nostra provincia.

Per quanto riguarda specificamente il decreto n. 22 del 1997, mi sembra opportuno formulare alcune osservazioni per giungere anche a dare la possibilità a molti comuni, ed in particolare al nostro, di proseguire in quell’opera di recupero grazie agli innumerevoli interventi di raccolta differenziata che sono stati avviati e soprattutto rispetto al piano della regione che prevede l’impiantistica e quindi la possibilità di arrivare ad un ciclo integrato dei rifiuti.

Per quanto riguarda la mancanza dei decreti attuativi, mi veniva segnalato che ce ne sono stati solo alcuni. Ciò non dà la possibilità piena al decreto legislativo di essere del tutto incisivo. Ma vi è da sottolineare un secondo aspetto, che riguarda la necessità di investimenti in loco da parte anche dei recuperatori, concernenti una serie di carenze all’interno della regione Campania, se si pensa ai vari aspetti e alle varie frazioni della raccolta differenziata.

Ritengo che questo sia uno degli aspetti importanti per ragionare in termini chiari e concreti su un ciclo integrato dei rifiuti. Ma c’è ancora tutta la situazione legata al CONAI, cioè al consorzio. Anche su questo esistono una serie di problematiche. Oggi il CONAI, almeno in base alla nostra esperienza, è un qualcosa di non ben definito, perché siamo in presenza di tutta una serie di situazioni che vanno chiarite, in particolare per le realtà quali quelle che io rappresento, dove il rapporto con i consorzi ha rappresentato in un determinato momento il punto di riferimento, certamente un appoggio, certamente un aiuto, certamente una situazione di collaborazione che ci ha permesso di decollare in una situazione estremamente difficile. Ho incontrato già due volte il presidente del CONAI, ma devono essere ancora chiariti tutta una serie di aspetti che ritengo fondamentali.

Per quanto riguarda il passaggio da tassa a tariffa, esprimo le mie notevolissime perplessità rispetto ad una situazione qual è quella della nostra città. Il 1° gennaio 1999 dovrebbe avvenire il passaggio da tassa a tariffa. Al momento vedo non solo una serie di difficoltà, ma di situazioni che, se non chiarite, se non definite, se non evidenziate e sottolineate con chiarezza, porteranno ad un passaggio che vuole essere in positivo, ma diventerà invece, nella realizzazione concreta, profondamente negativo: un passaggio negativo sulla qualità del conferimento del rifiuto ed un passaggio negativo sulle capacità di introito di un comune quale è quello che io rappresento.

Questi erano alcuni aspetti che mi sembrava utile sottolineare e su cui spero ci si possa confrontare, perché sono gli aspetti veri ed importanti che, se chiariti, se puntualizzati, possono rendere il decreto legislativo e comunque l’intervento del ministero e del Governo realmente più incisivi, in particolare nelle situazioni più diverse della nostra città.

Ho verificato in questi anni che il ciclo integrato dei rifiuti è già da anni patrimonio delle collettività. Questo è lo scenario nel quale lavoriamo e se insieme cercheremo di porre rimedio a quelli che a mio avviso sono dei limiti, forse le risposte varranno per tutti, per quelli che già sono avanti e per quelli con impegno stanno cercando di risalire un ritardo che dura da anni.

GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Ha chiesto di parlare Fernando Ferrara, responsabile nazionale dell’Associazione ambiente e/è vita, al quale do senz’altro la parola.

FERNANDO FERRARA, Responsabile nazionale dell’associazione Ambiente e/è Vita. Desidero fare alcune considerazioni di carattere generale ed anche qualche richiesta di chiarimento ai presenti. Dalla discussione odierna, mi pare intanto che questo decreto Ronchi, che avrebbe dovuto in origine fermarsi all’attuazione di tre direttive comunitarie per le quali eravamo abbondantemente in ritardo, con un eccesso di zelo (come risulta dagli atti parlamentari) durante la sua gestazione ha voluto proporsi anche come legge-quadro e di riordino complessivo del sistema. Alla luce di quello che si è sentito oggi, mi sembra che ci sia un rimpianto nei confronti del vecchio decreto n. 915, che aveva qualche difetto, ma anche dei pregi, se non altro almeno quello dell’abitudine. Gli operatori, il sistema si erano abituati a quel regime ed oggi si stenta a superare l’attrito di avvio. Questa nuova normativa che a mio avviso ha fallito nel suo punto principe, richiesto da tutti, cioè quello di essere una normativa semplice, snella, chiara, che desse poco spazio alle interpretazioni perché, come tutti sanno, laddove la normativa è complessa e di difficile interpretazione, è facile che chi vuole infilarsi con attività illecite, trovi buon gioco e in un campo come quello dei rifiuti questo è avvenuto puntualmente.

Detto questo, come associazione abbiamo sottolineato nella nostra ultima audizione presso la Commissione d’inchiesta, che finalmente, a quattro anni dalla sua istituzione, all’ANPA viene richiesto di fare ciò per cui era stata istituita: un organo tecnico e scientifico di supporto alle istituzioni, in particolare al Ministero dell’ambiente. Mi piacerebbe che l’ANPA assumesse il ruolo che negli Stati Uniti ha l’EPA e devo registrare che intanto non riesco a capire perché questa richiesta di attivizzazione immediata da parte del ministro avvenga adesso e non è stata fatta uno, due o tre anni fa, quando i problemi erano comunque sul tappeto. Devo registrate come in Italia noi continuiamo ad operare sempre nello stesso modo. In pratica questo organo tecnico ha gli stessi dipendenti del 1994, quando è stato costituito: circa 300 persone, di cui 155 ad altissima qualificazione, oltre 100 ingegneri di tutte le specializzazioni. Mi viene da pensare che qualsiasi struttura privata in Italia con tali risorse sarebbe capace come minimo di progettare il ponte di Messina. Ritengo che tali persone non siano ben utilizzate ed inoltre non hanno nemmeno la certezza del proprio contratto di lavoro.

Sono d’accordo con il rappresentante delle province quando parla di un sistema integrato dei rifiuti, però tutti si concentrano sull’aspetto più operativo e gestionale, dimenticando il primo contributo al sistema di gestione integrato, che è quello della produzione di una minore quantità di rifiuti. Bisogna produrre meno rifiuti e dopo cominciare a pensare cosa fare e come gestire quelli prodotti. Sentiamo parlare tanto di raccolta differenziata, di obiettivi che ci siamo prefissi e allora mi chiedo: intanto noi raccogliamo in modo differenziato per utilizzare e riciclare e non ci si preoccupa minimamente se esiste un mercato del riutilizzo e del riciclaggio. Da qui tutte le preoccupazioni degli enti locali e degli enti amministrativi su quelli che sono i costi reali di smaltimento. Mi dispiace che il rappresentante dell’AMSA di Milano sia andato via perché, leggendo attentamente gli atti della Commissione d’inchiesta, ho scoperto con orrore che i rifiuti di Milano, raccolti indifferenziati, differenziati nelle piattaforme e negli impianti ad altissima tecnologia predisposti all’uso, sono stati poi riportati allo stato di rimescolamento iniziale per essere abbandonati in capannoni nelle regioni del centro, nel Lazio, in Abruzzo, nelle Puglie e così via.

Venendo all’ecotassa, la nostra associazione è completamente contraria a questa impostazione coercitiva. È una interpretazione completamente errata del principio comunitario del "chi inquina paga". Ovvero, noi riteniamo che esistano dei limiti di legge. Se qualcuno va oltre i limiti, esisteranno delle sanzioni, delle pene, però non si può pensare di dare licenza d’inquinamento a chi, pagando di più, può permettersi di smaltire in altre regioni. Questo non mi sembra un atteggiamento mentalmente corretto. È stato detto tra le righe che bisognerebbe impegnarsi di più ed il principio del "chi inquina paga" va inteso nel senso che chi si impegna con la ricerca con il miglioramento dei cicli produttivi, con la inplementazione dei propri impianti di produzione, ad inquinare di meno, cioè a scartare di meno, o meglio a aumentare i propri rendimenti di produzione, questo deve essere incentivato. Tutti gli altri si troveranno a pagare qualcosa rispetto al loro status quo. È proprio una rivoluzione, noi riteniamo, di carattere culturale.

Una notazione per quanto riguarda l’Albo degli smaltitori. Siamo assolutamente d’accordo che non basta auto-dichiararsi capaci di fare qualcosa di tecnologicamente così complesso come smaltire dei rifiuti o trasportarli, anche quando sono pericolosi. Ci deve essere un sistema di qualità di certificazione e di autorizzazione. Siamo in Europa, può essere fatto a livello sovranazionale, dato il nostro profilo, quello che lo Stato italiano ritiene sia giusto: qualunque ente autorizzatorio può essere in grado di certificare. Il dottor Pernice affermava che con una maggiore richiesta di documentazione, analizzata solo dal punto di vista formale, le domande sono diminuite del 35 per cento. Se andassimo a richiedere a queste persone se i camion o i loro impianti di utilizzo siano veramente validi per ciò di cui chiedono questa autorizzazione, di quanto diminuirebbero? Credo molto, ma molto di più.

Una richiesta di chiarimento all’avvocato Martin. Egli faceva riferimento ad una classificazione delle responsabilità che risalgono addirittura dal trasportatore agli attuali proprietari e parlava del sito produttivo. C’è quindi da intendere che quella regolamentazione non valga solo per le discariche, ma anche per i siti produttivi, quindi per siti che necessitano di verifiche, che vengono inquinati non solo dai rifiuti, ma da sostanze che non sono considerate tali, sostanze che vengono dalla produzione. Vedo che egli conferma la mia impressione.

Ancora: egli ha nominato la Waste Management. Ma la Waste Management, negli anni addietro, non era proprio una di quelle multinazionali che venivano additate per essere in mano a famiglie mafiose attraverso prestanomi? Ricordo una inchiesta televisiva in cui si diceva che la famiglia Gambino sembrava fosse tra gli azionisti della Waste Management.

GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Ha chiesto di parlare Giuliana Ferrofino, presidente dell’Assoambiente. Prego, dottoressa Ferrofino.

GIULIANA FERROFINO, Presidente dell’Assoambiente. Sono presidente dell’Associazione delle imprese private che si occupano dello smaltimento dei rifiuti, quelle quindi che sono nell’occhio del ciclone. Vorrei fare una richiesta di specificazione all’assessore del comune di Napoli. Ricordo che, quando è stato fatto il bando di gara per il comune di Napoli, la nostra Associazione aveva presentato un esposto contestando il bando di gara ed il capitolato relativo perché nell’esporre i costi del personale, quindi l’80 per cento dei costi complessivi, erano stati indicati dei valori che erano stati inferiori ai costi contrattuali del personale e ne abbiamo chiesto il motivo. Questo non vuole essere un atto di accusa specifico, ma è un aspetto importante del problema, che mi riservo di affrontare domani. È fondamentale per la trasparenza dei servizi che i costi siano correttamente attribuiti e che se vi sono dei contratti di lavoro che devono essere applicati, questi devono essere indicati, altrimenti è molto probabile che tale tipo di appalto venga ad interessare chi non opera in maniera corretta, perché chi paga il personale secondo i contratti di lavoro non vi partecipa. Aggiungo che è fondamentale per la pubblica amministrazione stabilisca capitolati d’appalto e bandi di gara che rispettino in toto le norme non solo ambientali, ma anche quelle degli altri contratti obbligatori per legge.

GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Do la parola ad Alberto Tamburrini, dell’omonimo studio di teleinformatica nel sociale.

ALBERTO TAMBURRINI, dell’omonimo studio di teleinformatica nel sociale. Debbo formulare una osservazione che ritengo vitale. Ho partecipato per conto del Governo italiano, ad Istanbul, ai lavori su La città del XXI secolo, in cui uno dei temi principali è stato quello riguardante la Waste Management, che riguarda un problema non solo europeo ma di tutto il mondo. In tutto il mondo la soluzione sembra essere ormai chiara, siamo arrivati al collasso e bisogna capire che il problema dei rifiuti va risolto e non lo si può fare soltanto affrontando uno dei tanti problemi che oggi abbiamo esaminato. Condivido personalmente molte osservazioni, ma si tratta di problemi che convergono fra di loro, convergono verso nuove forme addirittura di urbanistica, di approccio alla vita di tutti. Probabilmente il costo della gestione dei rifiuti aumenterà un po’, ma una cosa è sicura: bisognerà passare per la loro riduzione e per il riciclaggio. Non ci sono alternative, anche perché questa forma ha il vantaggio di aumentare i servizi e quindi l’occupazione. Però la logica della gestione dei rifiuti non può essere di smaltire dove capita. Bisogna rendersi esattamente conto che l’ambiente è una delle componenti importanti per l’occupazione. Si sente parlare tutti i giorni di "occupazione 20/80": quell’80 va occupato. Queste sono le forme della società dei beni immateriali. Quindi questa nuova concezione – mi rivolgo soprattutto ai parlamentari – va capita, non esistono altre logiche per costruire in questa direzione comune.

ANACLETO BUSÀ, Consulente della Commissione. Vorrei porre alcune domande all’assessore del comune di Napoli e anche all’assessore del comune di Milano riguardo al problema delle bonifiche dei siti. Lei diceva che a Pianura è in atto una bonifica. Mi chiedo: come si fa a dare certe priorità agli interventi di bonifica in una regione come la Campania che la Commissione conosce bene, quando in Campania manca il censimento dei siti contaminati? In riferimento al decreto 16 maggio 1989, non essendoci ancora regole tecniche nazionali, a quali principi si sta ispirando l’azione della regione in riferimento alla qualità dei suoli e quali sono le tecnologie applicate? Mi spiego meglio: si bonifica Pianura, ma i rifiuti rimangono lì o vengono portati altrove? E se vengono portati altrove, non ci sarà un proliferare di discariche in altri siti? E allora, come si fa a parlare oggi di bonifiche, quando non c’è una norma tecnica? L’articolo 17 del decreto legislativo n.22/97 non è applicabile a tutti i siti contaminati. Meglio sarebbe una norma più organica che affrontasse il problema delle bonifiche da tutti i versanti, compreso quello cui accennava l’ingegner Ferrara, anche in caso di contaminazione diversa da quella da rifiuti. Per esempio nel caso di un serbatoio interrato forato che conteneva un prodotto come la benzina, non si può parlare di rifiuto dal momento che con particolari sistemi di emungimento si può recuperare buona parte del prodotto percolato nel terreno.

UGO CAVALLERA, Assessore all’ambiente della regione Piemonte. Per quanto riguarda l’ecotassa, da un punto di vista di principio sono senz’altro d’accordo con le osservazioni avanzate. Personalmente ne avevo criticato l’introduzione non soltanto perché l’80 per cento andava a copertura del bilancio regionale, ma perché, presentata in quel modo, rischiava di essere intesa, come viene intesa, come una monetizzazione a fronte di un determinato comportamento. Vi è una nostra proposta, che in qualche modo mi sembra condivisa anche da rappresentante del Ministero dell’ambiente: visto che nel nostro ordinamento questo tributo è stato introdotto (pur essendo stata promessa la riduzione del carico fiscale, per un riordino complessivo probabilmente passerà qualche mese), vediamo almeno di qualificarlo al servizio della realizzazione del sistema integrato di smaltimento. Allora penalizzo l’incenerimento o la discarica dei rifiuti "tal quale" per liberare risorse da destinare a quegli impianti di base per la raccolta differenziata.

Non entro nel merito della discussione generale perché ritengo dovrebbe esserci un approccio di tipo diverso. Come real Politik, visto che è stata introdotta, usiamo l’ecotassa per finalità di carattere ambientale, piuttosto che per finalità unicamente care al ministro Ciampi!

RICCARDO DI PALMA, Assessore all’ambiente del comune di Napoli. Per quanto riguarda il bando di gara, è un problema locale, non è il caso di affrontare questo argomento oggi, perché ne dovrei parlare a lungo. Ricordo solo che, nel 1996, abbiamo rifatto l’appalto perché scadeva nel 1995. Quelle ditte avevano avuto un anno di proroga. Abbiamo avuto ricorsi al TAR e iniziative della Comunità europea tese a bloccare quegli appalti. Oggi abbiamo le migliori aziende in Italia nel settore che lavorano sulla città di Napoli. Certo, forse economicamente non era vantaggioso, ma il rispetto delle regole è stato seguito pienamente in quel capitolato. Si è trattato di un appalto e di un capitolato estremamente trasparenti. È stato profondamente innovativo e ciò è stato detto dalle stesse aziende che, ripeto, sono tra le maggiori d’Italia. Siamo molto contenti di quell’appalto e siamo contenti di aver resistito a tutti coloro che volevano la proroga del precedente appalto. Questo va detto con estrema chiarezza. È possibile che ci siano stati errori, ma sottolineo ancora che abbiamo avuto azioni per impedirci di portare a compimento quell’appalto, con ricorsi alla Comunità europea, al TAR, alla magistratura. Questa è la dimostrazione chiara della nostra trasparente posizione.

Per quanto riguarda il problema della bonifica, forse non sono stato chiaro nel mio intervento. Per Pianura lamentavo che non siamo noi ad intervenire sulla bonifica. La discarica di Pianura era privata e la bonifica è in corso attualmente da parte degli ex proprietari. La domanda è: che bonifica stanno mettendo in atto? In concreto, qual è il controllo dell’ENEA e del Ministero dell’ambiente?

Mi è sembrato opportuno sottolineare che l’aspetto della bonifica per regioni come la nostra era prioritario in carenza di norme, che sono necessarie ed indispensabili. Nella discarica di Pianura probabilmente c’è di tutto, c’è materiale, forse tossico, proveniente anche dal nord. Parlo di Pianura perché rappresenta per noi la nostra storia emblematica, ma nella provincia di Caserta (la Commissione potrà avere modo di verificarlo) ci sono centinaia e centinaia di situazioni simili e allora tutti insieme dobbiamo adoperarci perché vi siano riferimenti chiari.

ANACLETO BUSÀ, Consulente della Commissione. Io ho fatto un altro tipo di osservazione. Il decreto del 16 maggio 1989 prevedeva comunque di effettuare censimenti regionali dei siti contaminati al fine di dare priorità di intervento di bonifica a breve e medio termine. È pur vero che lo studio ENEA per la regione Puglia ha previsto anche interventi a lungo termine. Relativamente all’intervento di bonifica su Pianura sorge il dubbio se tale intervento sia effettivamente prioritario rispetto ad altre situazioni gravi nella Baia Domizia e nel casertano.L’intervento su Pianura, senz’altro meritevole per ciò che la Commissione di inchiesta ha avuto modo di accertare, potrebbe quindi risultare limitativo e non giustificabile alla luce delle effettive priorità regionali. In tema di censimenti, oggi, si parla a buon ragione di un nuovo strumento tecnico molto sofisticato che è il L.ARA del CNR, che, se utilizzato dalle regioni, accorcerebbe notevolmente i tempi per la mappatura dei siti contaminati. A ben vedere il censimento dei siti, così come previsto dal DM del 16 maggio 1989, appare puramente teorico ed elaborato sulla base di dati resi disponibili dalle istituzioni locali, ma scarsamente supportato da prove sperimentali, carotaggi etc. Effettuare operazioni di bonifica sulla base di una scaletta di priorità fissata da un censimento teorico può comportare notevoli errori e rischi sul versante degli investimenti. In qualche caso, si è infatti visto che i costi da affrontare, per la bonifica di un sito contaminato, nella realtà risultavano maggiorati di tre volte, in mancanza appunto di un riferimento tecnico certo.

RICHARD MARTIN, Rappresentante della municipalità di New York. Per quanto riguarda la responsabilità, questa va fino alle origini in tutti i casi in cui si può identificare chi è responsabile per lo scarico del materiale e anche chi lo ha prodotto. Naturalmente si inizia con i proprietari e gli ex proprietari, tutti responsabili per quanto riguarda la bonifica. Se un proprietario non ha i mezzi, tutto il costo passa agli altri e spesso c’è chi ha l’assicurazione e chi non ce l’ha, e le società assicuratrici cercano di individuare tutti i responsabili. Da questo punto di vista vi è pertanto un incentivo. Devo rilevare che i costi della bonifica sono enormi. È stato chiesto perché ho citato la Waste Management...

FERNANDO FERRARA, Responsabile nazionale dell’associazione Ambiente e/è Vita. È più facile che le grandi compagnie non siano contaminate dal malaffare. Lei ha citato tra le altre la Waste Management, su cui vi deve essere qualche riferimento negli atti della Commissione d’inchiesta.

RICHARD MARTIN, Rappresentante della municipalità di New York. Ho citato la Waste Management, non solo perché è la più grande società nel mondo, ma anche perché era assente dal mercato di New York, in quanto questa società, come altre quotate in borsa, non volevano essere inquinate dalle famiglie mafiose. Fino a quando queste società non si sono convinte che c’era un sindaco ed una autorità giudiziaria pronte ad affrontare questo problema non hanno voluto correre il rischio di essere controllate dalla criminalità organizzata. La Waste Management stessa è stata invitata a venire nella città di New York non solo perché è la più grande società, e quindi creava automaticamente concorrenza, ma anche perché c’era la convinzione che fosse pulita.

Il dottor Maritati, procuratore nazionale antimafia aggiunto ed il dottor Pansa, che parlerà domani, hanno chiesto alle autorità federali degli Stati Uniti se queste voci fossero fondate. Alla fine si sono convinti che erano false e destinate a danneggiare un concorrente potenziale. In questo contesto è necessario fare controlli, sia per chi è pulito, sia per chi vi è il sospetto che non lo sia. Al nostro convegno l’anno scorso a New York il procuratore Vigna ha suggerito non solo di creare un albo degli smaltitori, ma anche di colpire, civilmente e penalmente, individui e società. Questo albo sarà disponibile in tutti i municipi d’Italia per verificare subito chi è stato coinvolto nel passato. Questo è un sistema utilizzato negli Stati Uniti. L’EPA ha questo albo e qualsiasi società colpita nel passato viene eliminata dagli appalti.

GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Ha chiesto di parlare il dottor Pernice. Gli do senz’altro la parola.

MAURIZIO PERNICE, Presidente dell’Albo degli smaltitori. La considerazione secondo cui la disciplina dettata dal DPR 915/82 era migliore può essere presa unicamente come una battuta.

Nessuno nasconde i problemi connessi all’attuazione della nuova disciplina. Ritengo però che l’affermazione secondo cui la disciplina dettata dal DPR 915/82 era più efficace debba essere presa esclusivamente come una battuta in quanto assolutamente priva di fondamento. Se si esamina la situazione che quella normativa ha determinato vedo, infatti, il 90 per cento dei rifiuti avviati allo smaltimento in discarica, la totale assenza di una gestione integrata dei rifiuti che — come evidenziato dal rappresentante del comune di Milano — in alcune località non si sa nemmeno cosa sia, nonché un traffico illecito di rifiuti dilagante.

Né può essere dimenticato che la confusione normativa era massima e che il DPR 915/82 non è riuscito assolutamente a fronteggiare e ad impedire il verificarsi di gravissime situazioni di emergenza. Anzi proprio questa inadeguatezza ha determinato l’emanazione di numerosi decreti legge che hanno contribuito non poco ad aggravare la confusione che già caratterizzava la disciplina di settore. Penso al decreto-legge 31 agosto 1987, n. 361, recante disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti, al decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, recante disposizioni urgenti in materia di smaltimento di rifiuti industriali, al decreto-legge 14 dicembre 1988, n. 527 recante disposizioni urgenti in materia di emergenze connesse allo smaltimento dei rifiuti industriali e sanitari, ai quali si aggiungono le innumerevoli ordinanze adottate per fronteggiare particolari situazioni di emergenza. Né si può dimenticare che la gestione dei rifiuti era assicurata molto spesso con un improprio ricorso all’articolo 12 del DPR 915/82, che disciplinava l’esercizio di poteri contingibili ed urgenti ed invece veniva utilizzato in via ordinaria per autorizzare l’apertura di discariche di rifiuti. Per non parlare poi delle procedure di infrazione che la Commissione dell’Unione europea aveva promosso nei confronti del Governo italiano per il mancato adeguamento della normativa nazionale alla normativa comunitaria.

Lei ha fatto poi riferimento alla produzione di una minore quantità di rifiuti. In proposito, devo ricordare che nel DPR 915/82 la riduzione della produzione dei rifiuti era emarginata in un periodo collocato in tondo all’articolo 1, che si limitava a dire: "devono essere favoriti sistemi tendenti a limitare la produzione di rifiuti". Rispetto alla disciplina previgente il decreto legislativo n. 22/97 risulta molto più articolato e contiene riferimenti a strumenti normativi, amministrativi e negoziali che danno effettività all’obiettivo della riduzione della produzione dei rifiuti, sia in termini di quantità che in termini di pericolosità. Ricordo ad esempio che tra i criteri di selezione per l’aggiudicazione di appalti pubblici di lavori, forniture e servizi viene attribuito particolare rilievo proprio alle capacità tecniche che i concorrenti alla gara presentano sotto il profilo della tecnologia impiegata per la minor produzione dei rifiuti.

Quello che deve essere assolutamente sottolineato è che il decreto legislativo n. 22/97 interviene e si colloca in una situazione drammatica che richiederà sforzi non trascurabili da parte delle istituzioni, dei soggetti economici e dei cittadini, tutti in vario modo sono responsabilizzati per il raggiungimento dei nuovi obiettivi di gestione dei rifiuti.

Sotto un profilo tecnico giuridico Lei ha inoltre segnalato che il decreto legislativo aveva l’ambizione di porsi come testo unico dell’intera materia ma è inadeguato ad esserlo e, comunque, non poteva essere un testo unico perché la legge delega non lo consentiva. Mi permetto di non essere d’accordo. Questa impostazione infatti trascura che la direttiva 91/156/CEE costituisce, a livello comunitario, la nuova normativa quadro in materia di gestione dei rifiuti in quanto disciplina tutti i rifiuti facendo salve solo le disposizioni comunitarie relative a specifiche categorie di rifiuti, espressamente individuati, e prevede l’adozione di norme comunitarie integrative per particolari categorie di rifiuti. La direttiva comunitaria 91/156/CEE, quindi, definisce un nuovo quadro normativo e riorganizza in modo complessivo l’intera disciplina di settore. Ora poiché la legge delega conteneva necessariamente come primo criterio e principio dato al Governo quello di recepire la direttiva comunitaria, è evidente che una corretta e puntuale attuazione della direttiva 91/156/CEE imponeva la ridefinizione del quadro normativo complessivo della disciplina nazionale di settore. Questo non è stato possibile per le obiezioni sollevate soprattutto in sede di discussione parlamentare. Ma è proprio il non aver colto questa opportunità che sta sollevando delicati problemi applicativi di coordinamento. Mi riferisco in particolare al rapporto tra la disciplina dettata dal decreto legislativo n. 22/97 e il decreto legislativo n. 95 del 1992 che disciplina lo smaltimento degli oli usati. C’è infatti un invito pressante ad emanare il regolamento di abrogazione della normativa sugli oli usati per coordinarla con il decreto legislativo 22/97. Ma quando il Governo nella prima formulazione dello schema di attuazione della direttiva 91/156/CEE propose una specifica disposizione per riportare la disciplina degli oli esausti nell’alveo della normativa generale sui rifiuti fu sostenuto che in tal modo si violava la legge delega e quella disposizione fu fatta stralciare.

Per quanto riguada l’ANPA, l’intera struttura è ormai operativa a seguito dell’approvazione del relativo regolamento organizzativo.

Sulla raccolta differenziata Lei ha perfettamente ragione. Molto spesso infatti in passato la raccolta differenziata ha significato solo conferire e prelevare i rifiuti per tipi omogenei. Come ho già detto però il decreto legislativo stabilisce ora in modo inequivoco che quando si parla di raccolta differenziata si intende riciclaggio. Quindi l’obiettivo di raccolta differenziata previsto dal legislatore si può intendere raggiunto solo se risulta effettivamente riciclata quella quota percentuale.

Problema ecotassa e tariffa. Come ha accennato l’assessore Cavallera, la tassa per lo smaltimento in discarica dei rifiuti costituisce un importante principio, perché si riconosce l’importanza della fiscalità come strumento di incentivazione di comportamenti positivi sotto il profilo ambientale; così come strutturata tale tassa non produce però gli effetti correttivi che avrebbe dovuto assicurare e risulta scarsamente incisiva soprattutto rispetto all’esigenza di diminuire la movimentazione dei rifiuti da una regione all’altra. Al riguardo può essere utilire ricordare che per impedire questo fenomeno in Francia la tassa per lo smaltimento dei rifiuti in discarica subisce una maggiorazione del 50 per cento quando i rifiuti sono smaltiti in una regione diversa da quella in cui sono stati prodotti. Di fatto è un tentativo di non rendere economicamente conveniente la movimentazione.

Per quanto riguarda invece la tariffa, il nuovo sistema di copertura dei costi per lo smaltimento dei rifiuti urbani è essenziale per garantire la trasparenza nella gestione del servizio, in quanto garantisce un collegamento più diretto tra le quantità di rifiuti avviati allo smaltimento dei singoli cittadini e gli oneri economici che ciascuno di questi deve sostenere. Un ulteriore elemento di trasparenza è poi costituito dal metodo normalizzato che costituirà il parametro di riferimento per la determinazione della tariffa, ed è quindi un elemento importante per valutare l’efficacia e l’economicità della gestione del servizio pubblico. Basta pensare che oggi ci sono innumerevoli metodi di tariffazione e nessun cittadino sa esattamente quanto paga anche perchè una quota parte dei costi per lo smaltimento grava sulla fiscalità ordinaria. Per garantire l’entrata in vigore del nuovo regime tariffario dal 1° gennaio 1999, così come previsto dal decreto legislativo n. 22/97, l’Osservatorio nazionale sui rifiuti sta elaborando il metodo normalizzato. A tal fine sono state avviate le necessarie consultazioni con tutti i soggetti istituzionali ed economici interessati.

Un’ultima precisazione riguarda la nuova disciplina della iscrizione all’Albo degli smaltitori delle imprese che effettuano attività di raccolta e trasporto di rifiuti sottoposti a procedure semplificate di recupero. Le sue osservazioni mi inducono infatti a ritenere che forse mi sono espresso in modo impreciso. Nel corso del mio intervento volevo evidenziare che mentre nella disciplina previgente i soggetti che intendevano svolgere le predette attività erano tenuti ad una semplice comunicazione, senza alcuna responsabilità per eventuali omissioni, il decreto legislativo n. 22/97, soprattutto a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 389/97, ha introdotto una disciplina più severa. Infatti, i soggetti che intendono effettuare le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti avviati al recupero con procedura semplificata devono trasmettere all’Albo nazionale degli smaltitori apposita dichiarazione attestante il rispetto delle norme e il possesso dei requisiti richiesti per l’iscrizione, la quale deve essere accompagnata dalla documentazione atta a dimostrare il possesso dei suddetti requisiti. In particolare tale comunicazione deve essere corredata dalla copia autentica del libretto di circolazione del mezzo utilizzato, da una perizia di idoneità del mezzo stesso al trasporto dei rifiuti nonché dalla copia del certificato di iscrizione all’Albo dei trasportatori ove previsto. La sezione dovrà quindi procedere all’iscrizione dell’interessato verificando la completezza della comunicazione e della documentazione richiesta. La semplificazione si riduce quindi ad una accelerazione procedimentale e non incide sui requisiti richiesti in via generale, con la sola eccezione dell’esclusione dall’obbligo di prestare idonea garanzia finanziaria. Nè va dimenticato che tale comunicazione è effettuata dall’interessato sotto la sua personale responsabilità, anche penale. Infatti la comunicazione falsa o mendace integra la fattispecie del delitto di falso, punito con la reclusione fino a tre anni, e l’esercizio delle attività avviata in base a comunicazione falsa o mendace s’intende effettuata in carenza di autorizzazione e quindi è sottoposta alle sanzioni previste per le attività di gestione dei rifiuti non autorizzate.

Oltre a questa maggiore severità per l’iscrizione all’Albo dei soggetti che intendono effettuare attività di raccolta e trasporto dei rifiuti, la movimentazione illecita di rifiuti è contrastata in modo efficace dalla nuova disciplina prevista per i formulari di identificazione dei rifiuti trasportati. Questo formulario infatti dovrà essere vidimato e, soprattutto, potrà essere stampato solo dalle ditte autorizzate dal Ministero delle finanze. In tal modo ogni formulario sarà identificabile con un proprio numero di nferimento seriale, agevolando i controlli sulla movimentazione dei rifiuti.

La riduzione della movimentazione dei rifiuti rappresenta uno degli obiettivi prioritari della nuova disciplina di settore, sia per limitare i rischi di incidente che possono determinare danni ambientali, sia per contrastare le attività illecite che hanno nella movimentazione il loro momento essenziale. A tal fine infatti il decreto legislativo 22/97 stabilisce il principio della territorialità dello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi. Per i rifiuti urbani pericolosi e per i rifiuti speciali vige invece il principio dello smaltimento nel luogo più vicino a quello della produzione del rifiuto. Infatti le priorità in base alle quali il produttore del rifiuto deve provvedere allo smaltimento, in attuazione del principio "chi inquina paga", sono individuate dal decreto legislativo 22/97 nell’autosmaltimento, nell’affidamento dei rifiuti ad un soggetto autorizzato o al servizio pubblico e come ultima opzione nell’esportazione all’estero. Quindi si passa da un minimo di movimentazione (autosmaltimento) ad un massimo di movimentazione (smaltimento all’estero).

GIUSEPPE SPECCHIA, Vicepresidente della Commissione. Ringrazio gli intervenuti e ricordo che nella seduta di domani interverrà il Presidente della Camera, onorevole Luciano Violante.

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